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OMICIDIO DI ANTONELLA FALCIDIA
IL GIALLO DELLA CATANIA BENE
Il 4 dicembre 1993 è assassinata con 23 coltellate nella sua casa a Catania, la professoressa
Antonella Falcidia, anni 44. Il 14 marzo 2007 viene arrestato il marito, il medico Vincenzo Morici,
scarcerato qualche giorno dopo ed assolto in primo grado il 3 marzo 2011. Attualmente è in corso
il processo d'appello che lascia intravedere la conferma dell'assoluzione.
1- NELL’ESTATE DEL 1994 MI ERO INTERESSATO DEL CASO
Nel luglio del 1994, mentre ero impegnato a Firenze nel primo processo contro Pietro Pacciani, come
consulente della difesa assieme ad altri colleghi, fui invitato a recarmi a Catania per fornire una consulenza
sul modus operandi dell’assassino di una professoressa di 44 anni, Antonella Falcidia, per verificare la
versione rilasciata dal marito Vincenzo Morici e produrre una mia opinione in merito, con l'analisi del
modus operandi.
Presi un volo Alitalia per Catania, arrivai in Procura e venni presentato alla dottoressa Accagnino titolare
dell’inchiesta. Parlammo del caso, degli enunciati sospetti sul marito, dei vari pro e contro. Dopo una
trentina di minuti arrivò Vincenzo Morici con il quale ci fu un colloquio, poi uscimmo dalla Procura per
andare a casa sua, nell’appartamento al terzo piano in via Rosso di San Secondo, dove otto mesi prima era
stata uccisa Antonella Falcidia. Morici fu esplicativo e collaborativo, ci mostrò l’appartamento, il sistema
d’allarme, la porta, le finestre, l’ascensore, il garage e i balconi. Sapeva di essere sospettato.
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CCOLDOLD C CASESASES & A & ANALISINALISI C CRIMINALERIMINALE
SOMMARIO
1- NELL’ESTATE DEL 1994 MI ERO INTERESSATO DEL CASO
2- IL FATTO CRIMINALE
3- L’EPICENTRO DEL CRIMINE E LA VITTIMA
4- ALTRE TRACCE D’INTERESSE INVESTIGATIVO
5- IL BIGLIETTO MINATORIO
6- LE INDAGINI
7- LE PISTE INVESTIGATIVE SEGUITE
8- LE INDAGINI SUL MARITO
9- I PERSONAGGI DELLA VICENDA
10- IL PROFILO CRIMINALE DELL’ASSASSINO
11- CONCLUSIONI
Detective & Crime traccia il profilo
criminale del soggetto ignoto assassino di Antonella Falcidia
Su una parete a buccia d’arancia notai che c’era ancora qualche minuscola schizzo di sangue della
moglie, ormai brunito, frutto di proiezione e di scivolamento del sangue dalla lama. Glielo dissi, si scusò
dicendo che non era stato pulito bene. Accanto a lui c’era il figlio Riccardo.
Morici parlava e ci forniva le sue versioni per i vari eventi. Nel frattempo disegnai uno schizzo
dell’appartamento, presi le misure delle stanze, mi concentrai sulla stanza epicentro del crimine e sulla
porta.
Notai la presenza di un rudimentale e strano sistema d’allarme all’interno dell’appartamento, situato
proprio accanto allo stipite della porta d’entrata: era composto (1) dalla classica catenella la cui estremità
libera veniva fissata sul braccetto della leva fermaporta e l’altra estremità era fissata al muro, (2) da un
pulsante-levetta posto 30 cm sotto la catenella fissata al muro che, se non disattivato tramite pressione,
avrebbe fatto scattare l’allarme dieci secondi dopo l’apertura della porta. La stranezza del sistema d’allarme
consisteva nel poter essere disattivato con estrema facilità anche dall’esterno, bastava infilare il braccio
destro fra la porta e lo stipite, manovra favorita dalla lunghezza della catenella e dalla posizione del
pulsante-leva dell’allarme fissato pochi decimetri sotto la catenella. Morici mi spiegò, in presenza del figlio
Riccardo, di due Carabinieri e di altri, che il sistema d’allarme aveva soltanto una valenza psicologica di
sicurezza per la moglie, ma chi aveva le chiavi dell’appartamento poteva disattivarlo senza svegliarla.
La prima osservazione-considerazione che emerse è che l'assassino fosse a
conoscenza del “sistema d'allarme” e di come disattivarlo.
Feci un lungo sopralluogo nell’intero stabile, documentai le posizioni dell’ascensore e delle scale, i tempi
di salita e di discesa, i punti di osservazione e di visuale dall’interno dell’appartamento e viceversa.
Controllai il palazzo difronte, quello dove, al momento del crimine, abitavano il padre della vittima, la colf
dello Sri Lanka col marito ed altre persone interessanti. Controllai il garage condominiale dall’altra parte
della strada, verificai tutti i tempi dei percorsi e dei movimenti di Morici.
Diedi una rilettura veloce alle carte, feci altre domande e parlai molto anche col figlio Riccardo.
Tornai a Roma non convinto della responsabilità di Vincenzo Morici, anche se il marito ha sempre il
“diritto” di essere sospettato per primo, anche quando tutto sembra deporre a suo favore e oggi, con i delitti
che corrono, sembra diventata quasi regola. Riguardai tutti i documenti delle indagini e i miei appunti, però
non riuscivo ad essere d’accordo con l’impostazione accusatoria, perché conteneva sempre più di qualcosa
che non quadrava, o “red flag” per dirla alla John Douglas. Era la classica coperta troppo piccola e bucata
che non riusciva a coprire un letto più grande. La teoria del crimine prevedeva l’omicidio premeditato, la
possibilità di un mandante, un movente fortissimo e superiore a quello di tipico scontro emozionale, una
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A sinistra due fotografie dei coniugi Morici negli anni '90. La terza foto riprende la vittima.
Nella quarta foto il dott. Vincenzo Morici ai giorni d'oggi in Tribunale.
cronologia temporale molto strana, uno “sconquassamento” degli alibi di Morici. Con i tempi di percorrenza
e con quelli esecutivi Morici non rientrava nella finestra di possibilità attuativa del crimine: molto non
collimava e dalle risultanze dell’autopsia e delle evidenze delle scene del crimine, non sortiva nulla che
potesse portare a Morici, neanche a volerlo spezzettare, ampliare e virtualizzare.
Presi quindi le distanze dall’impostazione accusatoria nei confronti di Vincenzo Morici.
Passarono gli anni. Nell’agosto del 2001 collaboravo come consulente criminologo con la trasmissione di
Rai Uno “GialloUno” condotta da Puccio Corona, avevamo in programma otto gialli irrisolti, fra i miei vari
compiti c’era quello di proporre i casi. Proposi anche il caso Falcidia e mi sentii telefonicamente con Morici
per invitarlo alla trasmissione, ma, poiché era impossibilitato, fece intervenire il suo avvocato dell’epoca,
Giusto Pacifico di Bologna. Ebbi altri contatti telefonici con Morici, dove gli indicai un soggetto che aveva
un profilo criminale “molto speciale”, con caratteristiche particolari, con le capacità, le opportunità ed anche
un po’ di fortuna che lo avevano reso invisibile nelle fasi delle indagini preliminari.
Nel marzo 2006 leggo che il giallista Carlo Lucarelli si sta interessando del delitto Falcidia, guardo la sua
trasmissione e capisco che sta guardando verso Morici e che “sotto voce” lo sta indicando perché qualcun
altro glielo ha indicato. Capisco che la rete mass mediatica giudiziaria si sta lentamente strutturando attorno
a Morici, per poi piombare su di lui. L’invisibile sistema a cupola di giallo-noir e legal thriller si muoveva
ancora una volta.
Un anno dopo le anticipazioni di Lucarelli viene arrestato Vincenzo Morici per l’omicidio della moglie.
L'impianto accusatorio era semplicemente illogico, fondato sul nulla, tanto che il tribunale del riesame
annullò l'ordinanza.
Morici è stato processato avendone il PM chiesto il rinvio a giudizio ed avendo il Morici, in sede di
udienza preliminare, chiesto il rito abbreviato: quindi processo secco, allo stato degli atti..
2- IL FATTO CRIMINALE
La notte del 4 dicembre 1993, verso le ore 23,40, arrivava alla Centrale Operativa dei Carabinieri di
Catania la notizia del rinvenimento del cadavere di Antonina Maria Falcidia maritata Morici. A dare
l’allarme era lo stesso marito Vincenzo, un medico catanese originario di Avellino il quale, rientrato a casa
verso le ore 23,30, proveniente da Nicosia (una cittadina a circa 110 km da Catania) dove aveva cenato con
il collega dottor Salvatore Campagna, aveva scoperto il corpo insanguinato della moglie riverso sul
pavimento e quasi a contatto col divano.
Arrivavano i Carabinieri, alle 0,45 arrivava il medico legale Biagio Guardabasso.
3- L’EPICENTRO DEL CRIMINE E LA VITTIMA
Al momento del ritrovamento la vittima indossava la vestaglia da camera, la camicia da notte e le
mutandine di colore nero. La vestaglia e la camicia erano sollevate fino a scoprire l’addome. Al polso
sinistro aveva un orologio marca Rolex con cinturino metallico slacciato.
Il corpo giaceva sul pavimento ai piedi del divano sporco di sangue, in posizione decubito dorsale,
accanto a lei due cuscini sporchi di sangue. In prossimità del cuscino, alla destra del cadavere, c’erano tre
impronte di scarpe da tennis macchiate di sangue.
In corso di sopralluogo, alle 0,45, durante la prima ispezione esterna del cadavere, il medico legale
Guardabasso dedusse che la morte era avvenuta circa due ore prima, cioè attorno alle 22,45. Il cadavere era
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ancora tiepido, specialmente nelle parti coperte, nessuno prese la temperatura corporea e quella ambientale
(il giallo di Via Poma aveva fatto scuola … all'incontrario!).
La vittima aveva subito 23 colpi d’arma bianca monotagliente con la lama lunga almeno 16 centimetri.
Era stata colpita con sette pugnalate sulla parte posteriore del corpo, nove sulla parte anteriore e le restanti
sulle mani. Oltre alle ferite di arma bianca, presentava ecchimosi sul naso e sulla fronte.
Presentava ferite al collo, sulla regione mammaria destra, al pube, alla radice della coscia destra, alla
coscia, al ginocchio ed al polpaccio destro, il palmo delle mani presentava ferite di difesa. La dislocazione
delle ferite faceva ritenere che si fosse difesa dopo essere stata colpita a tradimento; la scena iniziale
dell’attacco armato sembrerebbe essersi svolta sul divano che presentava abbondanti macchie di sangue.
L’esame autoptico del professor Guardabasso, medico legale presso l’Università di Catania, rilevava che
la vittima aveva cenato da circa due-tre ore e confermava che era stata uccisa un paio d’ore prima
dell’ispezione esterna. Fornisco al lettore alcuni passi della relazione del medico legale per una migliore
comprensione di quanto avvenuto nell’epicentro del delitto: “Le cause della morte erano uno shock
emorragico mortale provocato dalla rescissione dell’arteria carotide comune destra da un colpo da arma
da punta e taglio inferto in regione anterolaterale destra del collo e la perdita ematica attraverso la rottura
traumatica di un grosso vaso arterioso del collo, che ha fatto abbassare rapidamente i valori pressori
precocemente, perdita di coscienza della vittima per grave ipossia cerebrale. Il lobo del polmone superiore
In alto a sinistra e al centro le ferite inferte alla Falcidia secondo la ricostruzione grafica dell’Autore.
A destra le ferite di difesa attiva rinvenute sulle mani della vittima.
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sinistro è stato trapassato dalla lama del coltello penetrato dalla regione claveare sn e la cui punta è
arrivata sino alla faccia anteriore del pericardio senza perforarla con tramite anatomico dall’alto in basso.
La vittima è stata attinta da altri colpi d’arma da punta e taglio inferti anche in regioni vitali e che però
non hanno provocato lesioni dei relativi organi sottostanti. Infatti, è stata colpita anche alla faccia
anterolaterale sn del collo e all’emitorace dx, regione mammaria, senza penetrazione in cavità toracica.
Alcuni colpi inferti con notevole forza hanno interessato la coscia, il ginocchio e il polpaccio dell’arto
dx e taluno di essi è stato anche trapassante. (…)
La Falcidia, oltre alle ferite da arma da punta e taglio e talune anche solo taglio, ha riportato ferite
ecchimotico-escoriate al dorso del naso provocate, verosimilmente, da un pugno la cui mano impugnava il
coltello di cui l’estremità, che doveva essere rotondeggiante, ha provocato la escoriazione figurata al dorso
del naso. Stessa azione contusiva, sempre col manico dell’arma, ha subito la regione frontale. (…)
4- ALTRE TRACCE D’INTERESSE INVESTIGATIVO
L’assassino non ha lasciato tracce d’impronte papillari palmari o digitali.
Non sono stati rinvenuti segni di effrazione sulla porta, sui vetri e sui vari infissi dell’abitazione.
Non è stato constatato alcun disordine tale da fare dedurre una tentata rapina o un’intrusione per furto.
Sulla cassaforte non sono state trovate tracce di impronte digitali e di tentata effrazione.
Come già detto, accanto al corpo sono individuate tre orme di una scarpa sinistra da tennis numero 36, i
cuscini intrisi di sangue e un tappeto persiano con tracce di sangue.
Vengono repertati capelli di donna tra le unghie delle dita della mano destra della vittima, altri capelli
sullo schienale del divano accanto al cadavere, la montatura per occhiali da vista appartenente alla vittima
intrisa di sangue.
L’arma del delitto è un coltello con una lama lunga circa 16 cm, del tipo monotagliente.
La collaboratrice domestica filippina “Cora” Socorro Estigoy, nel verbale del 20 dicembre dichiara che,
quando il 16 dicembre il dottor Morici le ha chiesto se mancava qualche coltello dai cassetti della cucina, lei
ha risposto che mancava un coltello lungo, con una lama monotagliente, con manico in legno. Certamente se
si fosse trattato dell’arma del delitto, l’assassino l’avrebbe portata con sé per motivi di autosicurezza, o per
fare ritenere che si fosse trattato di omicidio d’impeto e non del tipo premeditato. Un assassino organizzato
lascia l’arma del delitto sulla scena solo per depistare, per creare una speciale e mirata messinscena o per il
c.d. “incastro altrui”.
L’ultima notizia in vita della vittima risale alle 21,15, quando il figlio le ha
citofonato prima di allontanarsi con gli amici.
5- IL BIGLIETTO MINATORIO
Si seppe che alcuni giorni prima del delitto, il 24 novembre 1993, la donna aveva ricevuto un biglietto
minatorio indirizzato al figlio Riccardo, non ancora maggiorenne (Riccardo avrebbe compiuto 18 anni il 10
dicembre, 6 giorni dopo la morte della madre). Il biglietto, benché indirizzato al giovane Riccardo, aveva un
contenuto diretto alla madre ed era composto con ritagli di giornale.
La lettera minatoria è stata recapitata ai Morici dopo un periodo di telefonate anonime che arrivavano
solitamente di pomeriggio.
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Naturalmente le indagini furono indirizzate a ventaglio sulla vita privata e sociale della vittima.
Nell’ambiente di lavoro universitario la donna era stimata e reputata professionalmente seria e preparata.
Nell’ambiente familiare era considerata donna decisa, madre austera nell’educazione del figlio.
Era particolarmente affettuosa e generosa con la domestica e donna di fiducia “Peppina”, era amica
protettiva della domestica Anna, originaria dello Sri-Lanka, affettuosa verso la sua bambina di circa tre anni.
Non emersero dicerie o pettegolezzi sulla sua vita coniugale, la coppia era reputata affiatata e invidiabile;
in seguito si è scoperto che il marito in passato aveva avuto delle avventure ed aveva un’amante fissa al
momento dell’omicidio.
Qualche chiacchiera aveva attribuito alla vittima un’attività di usura, ma non furono trovati riscontri in tal
senso.
Negli ultimi tempi la vittima si occupava del proprio padre Giuseppe, anziano e vedovo. Per questo
motivo era entrata in contrasto con la “fidanzata” dello stesso, Santa Santagati.
Arrivarono agli inquirenti ed ai mass media alcune telefonate da persone diverse, restate anonime, che
suggerivano che l’assassino fosse una donna.
6 - LE INDAGINI
Le indagini furono meticolose, a largo raggio e senza alcun pregiudizio, ne cito qualche aspetto:
- perquisizioni e intercettazioni telefoniche verso una cinquantina di persone;
- controllo tabulati del traffico telefonico di soggetti che potevano avere un ruolo nella vicenda, anche di
solo intermediario o involontario testimone;
- accertamenti sugli alibi del marito (compresi i tempi di percorso) e su altre vicende;
- accertamenti per la comparazione del DNA di 19 persone con quello del capello con bulbo repertato sulla
scena del crimine, tutti con esito negativo;
- interrogatori di almeno un centinaio di persone;
- vaglio degli alibi e delle posizioni di tutti i condomini.
Le 19 comparazioni biologiche
Le seguenti donne si sono sottoposte al prelievo dei campioni di sangue necessario per una comparazione
con il DNA ricavato dai capelli repertati sul cadavere della vittima. I risultati degli esami biologici hanno
dato esito negativo.
RICCARDO MORICI
MORICI RICCARDO VIA
ROSSO DI SAN
SECONDO 16 D
CATANIA
Attenta a TuoFiGli o conosCo
Tutti Gli orari
MotoRino scUolaPaleStRa
Il ritorno delSabato seRa
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Renata Giffora, Ferdinanda Finocchiaro, Santina Salvo, Maria Costanzo, Maria Profeta, Donatella Di
Silvestro, Maria Angela Pettinato, Maria Stancanelli, Annetta Taglierina, Socorro Estigoj, Simona De Luca,
Maria D’Avola, Patrizia Finocchiaro, Lucia Silvana Giulia Mirone, Rosalia Maria Carmela Ragusa, Danielle
Clarke, Annie Birget Perera, Francesca Giordano, Santa Santagati.
7 - LE PISTE INVESTIGATIVE SEGUITE
Sono state seguite, senza alcun esito, le seguenti piste:
1. La gelosia e l’invidia nell’ambiente di lavoro della vittima e del marito, con la possibilità di una
vendetta trasversale.
2. Il filone passionale di uno spasimante respinto, di una donna amante del marito che eliminava (o
faceva eliminare) la rivale. Non è stata esclusa la governante del padre della vittima.
3. L’usura, in quanto si vociferò che la vittima aveva in cassaforte una ventina di milioni di lire.
4. Il maniaco, il delitto a sfondo sessuale, un soggetto introdottosi in casa che le ha tentato violenza.
5. La malavita che uccide la professoressa per “fare un piacere” a qualcuno o perché la reputava
pericolosa per i propri affari.
6. Omicidio in seguito a litigio con qualche donna del condominio.
7. Omicidio del tipo domestico, con la lista capeggiata dal marito, per poi scendere al figlio, alle colf, a
qualche amica.
8. Il delitto su commissione per motivi economici, personali o di altro tipo. Anche in questa ipotesi il
marito era il capo-lista.
8- LE INDAGINI SUL MARITO
Il marito Vincenzo Morici, che avrebbe compiuto 45 anni il 16 dicembre, a dispetto delle informazioni
iniziali, aveva avuto diverse avventure extraconiugali e una alquanto impegnativa. Ha prodotto un alibi
confortato da alcuni elementi testimoniali e oggettivi, fra i quali il fatto che era stato a Nicosia, a cena nel
ristorante La Rotta, distante dalla sua abitazione 110 km, per 60-75 minuti di macchina, che era ripartito
verso le ore 22 e 15.
Al suo rientro a casa ha parcheggiato la macchina nel garage condominiale di fronte al suo palazzo, è
salito al terzo piano a piedi perché l’ascensore era bloccato, ha aperto la porta ed ha intravisto la moglie
riversa a terra, coperta di sangue. Dopo averla toccata al collo e alla giugulare ed averne quindi constatato la
morte, ha chiesto soccorso rivolgendosi agli inquilini amici e poi chiamando i Carabinieri che sono
intervenuti dopo qualche minuto.
Quando i Carabinieri arrivano, constatano fra l’altro che il motore della macchina del marito della vittima
è ancora caldo. La macchina era stata parcheggiata come ogni sera nel garage sotterraneo.
Accertamenti in Nicosia per controllare l’alibi di Vincenzo Morici
Il 18 dicembre 1993 i Carabinieri del Nucleo Radiomobile percorsero il tragitto di ritorno da Nicosia a
Catania a bordo di un’Alfa 75, partendo dalla trattoria “La Rotta” di Filippo La Rotta, che si trova sulla
strada che da Nicosia porta ad Agira, per stabilire il tempo necessario al dottor Morici per rientrare,
valutando anche l’intensità di traffico che poteva aver incontrato la notte dell’omicidio. Il tragitto fu
percorso nel tempo di 43 minuti, a velocità sostenuta, rispettando i limiti di velocità nel traffico urbano.
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Ulteriore sopralluogo nell’appartamento Morici
Il 28 aprile 1994, alla presenza del pubblico ministero Accagnino e del medico legale Guardabasso, si
procedette alla ricostruzione della dinamica dell’omicidio. Le operazioni vennero filmate e il divano fu
sequestrato per esperire un esame più accurato di alcune tracce ematiche. Nel frattempo il dottor Morici
veniva sottoposto al prelievo dattiloscopico per poter eseguire la comparazione con alcune impronte palmari
rinvenute sul tessuto dei due cuscini intrisi di sangue.
Morici fu sempre e comunque sospettato e ogni sua iniziativa ed atteggiamento vennero interpretati
sempre in chiave di lettura “marito assassino”.
9- I PERSONAGGI DELLA VICENDA
Si forniscono le dichiarazioni delle persone protagoniste della vicenda, in modo da formare un
esaustivo quadro globale dati di riferimento per valutare gli alibi, i tempi esecutivi, le possibilità, le
opportunità e quanto utile per l'analisi criminale: i familiari, i domestici frequentatori della casa del
delitto, i condomini di Via Rosso di San Secondo 16/d, i vicini di casa, i testimoni d’alibi per Morici.
I FAMILIARI
Vincenzo Morici, marito della vittima. Interrogato il 7 dicembre 1993: “Ho iniziato la mia attività di
libera professione alla Clinica “Falcidia” nell’anno 1982. Attualmente ricevo in uno studio di Via Rosso di
San Secondo numero civico 18 il martedì e il venerdì … ogni sabato mi reco a Nicosia dove esercito
all’interno di uno studio dentistico da parecchi anni: mio suocero Giuseppe era Ufficiale Sanitario del posto.
Mi collabora il dottor Salvatore Campagna di Nissoria sia presso lo studio di Catania in via Rosso di San
Secondo, sia in clinica, sia a Nicosia”.
È dal 1982 circa che vado a Nicosia … percorro di solito il tratto Nicosia - Agira in 25 minuti circa,
impiegando in totale un’ora e 15 minuti per coprire il tratto Nicosia - Catania; sabato scorso ho impiegato 1
ora e 10 minuti circa, arrivando a casa alle ore 23,15 circa. (…) la sera del 4 indossavo un impermeabile di
colore chiaro, un abito grigio ed avevo la mia borsa da medico, oltre ad alcune buste di plastica. Di solito
non suono quando arrivo a casa tardi; ricordo di aver chiamato l’ascensore ma visto che lo stesso era
bloccato sono salito a piedi; devo precisare che dalla strada avevo notato la luce dell’albero di Natale acceso
che spegnevamo quando andavamo a dormire. Una volta aperta la porta, ricordo la televisione accesa, così
come la lampada posta sopra di essa; non ricordo con sicurezza se quella dell’ingresso fosse accesa o meno;
potrei averla accesa io. (…) Dopo essermi inginocchiato e aver constatato la morte di mia moglie, ho tolto
l’impermeabile e la giacca insieme; ho quindi notato quattro o cinque ferite al collo, una dietro l’orecchio
destro, qualcuna al polso; c’era sangue dappertutto … non ho spostato i vestiti di mia moglie: le ho stretto il
viso, l’ho baciato … e poi ricordo di avere urlato …”.
Riccardo Morici, figlio della vittima, nel verbale dell’11 dicembre 1993 dichiara di aver parlato per
l’ultima volta con la madre alle 21,15 di sabato 4 dicembre: “… La sera dell’omicidio io ero uscito verso le
20,30 per recarmi in via Monfalcone dove avevo appuntamento con amici … Da via Monfalcone ho
telefonato a mia madre e poi le ho citofonato intorno alle 20,45 per dirle che avrei aspettato Nicola. Alle
21,10 ho citofonato nuovamente a mia madre e le ho detto di chiamare Maria Bonaccorso per chiederle se
avesse notizie di Nicola. Dopo cinque minuti è arrivato Nicola e ho citofonato nuovamente a mia madre…
poi siamo andati via”.
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Giuseppe Falcidia, padre della vittima, ricorda i momenti della giornata di sabato 4 dicembre: “…
Ricordo che il sabato 4 dicembre mi affacciai alle ore 22 dal balcone; so che il sabato rientrava sempre verso
le ore 21,30 / 22,30, e per questo visto che il tempo era brutto mi sono affacciato per vedere perché ritardava
… tante volte mia figlia dormiva sul divano lasciando la luce accesa, e quando lasciavano la luce accesa
significava che erano rientrati a casa … mi sono affacciato alle ore 22, ho visto le luci riflettenti dell’albero
di Natale, le tapparelle erano semi abbassate, ricordo di aver intravisto l’albero, non ho visto le luci accese
nella stanza …”.
I DOMESTICI FREQUENTATORI DELLA CASA DEL DELITTO
Giuseppa Zaccaria, “Peppina”, domestica e donna di fiducia della famiglia Falcidia. Racconta che il
sabato mattina, se voleva andare al suo paese, andava in macchina con il dottor Morici, che aveva visite
presso uno studio medico. Arrivati a Nicosia verso l’ora di pranzo, andavano prima al ristorante “La
Pagoda”, poi il dottor Morici l’accompagnava alla sua abitazione: “Sapevo che il dottor Morici non aveva
orario di chiusura la sera, a volte ritornavo con lui la sera stessa a Catania, ed avevamo orari più disparati
che andavano dalle 22 alle 23, e si arrivava a Catania verso le 23, ci vuole un’ora, un’ora ed un quarto per
percorrere tutto il tragitto, io dicevo al dott. Morici di non correre perché avevo paura”.
Socorro Estigoy, collaboratrice domestica, dice: “Sabato 4 dicembre … verso le 12,30 è arrivata Anna
per portare la sua bambina, ed alle ore 13,15/13,30 è arrivata la signora Antonella. … Abbiamo pranzato,
mentre la bambina di Anna stava dormendo; io ho lavato i piatti, mentre il signor Falcidia Giuseppe è andato
via, Riccardo usciva verso le ore 15 non so dove andasse, mentre la signora Antonella è andata accanto al
divano della sala da pranzo per vedere la bambina che dormiva. Poco dopo le ore 15 giungeva Anna per
prendere la bambina, e si è messa a parlare con la signora Antonella, mentre io stavo lavando il pavimento,
la signora diceva ad Anna di restare perché il pavimento era ancora umido, nel frattempo io ero andata nella
stanza della lavanderia e la signora Antonella aveva preparato la pasta per la bambina. Ricordo che quando
sono tornata in sala la signora Antonella stava imboccando la bambina. Alle ore 15,55 sono uscita per
andare e salutata la signora lasciavo la stessa intenta a parlare con Anna. (…) Ho saputo della morte della
signora Antonella l’indomani mattina … Arrivata a casa della signora trovai Antonio, il marito di Anna e
Peppina intenti a pulire il pavimento della sala da pranzo, e subito Peppina piangendo mi disse che la
signora era morta, mi disse di pulire il piatto sporco che si trovava in cucina, quello dove aveva mangiato la
bambina di Anna il sabato pomeriggio, ho notato che il lavandino della cucina era asciutto e pulito …”.
Annie Birget Perera (Anna) e Rohana Don Welathanthri (Antonio), coniugi, originari dello Sri
Lanka, domestici. I due hanno dichiarato, separatamente, di essere stati nella propria abitazione, inoltre,
Antonio ha dichiarato che stava lavando le scale del palazzo in cui abitava, di fronte allo stabile
dell’omicidio. Non sono stati ascoltati con attenzione. Ed è qui che potrebbe nascondersi l’invisibile
seme dell’errore investigativo che ha impedito, sinora, di risolvere il caso.
I CONDOMINI DI VIA ROSSO DI SAN SECONDO 16/D
Al primo piano:
✗ la famiglia di Mario Comis, la moglie Agata Della Pria, le figlie Giuliana, Isabella e Roberta;
✗ la famiglia di Giovanni Taglierina, la moglie Giovanna Carnazza, i figli Massimo e Francesca;
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Al secondo piano:
✗ appartamento con tre studenti universitari, Giuseppe La Terra, Paolo Manciagli e Salvatore Curcio;
✗ la famiglia di Antonino Lenzo e la moglie Francesca Scafidi;
✗ la signora Maria Marengo, vedova De Leo.
Al terzo piano:
✗ la famiglia di Alberto Carrera, la moglie Francesca Giordano, i figli Matteo e Marco;
✗ la Famiglia Morici - Falcidia.
Al quarto piano:
✗ la famiglia di Sebastiano Musumeci, la moglie Caterina Renzi, i figli Fabio e Alida;
✗ la famiglia di Carmelo Milanese, la moglie Gaetana Maria Meccio, i figli Gabriella, Francesco e
Antonio.
I VICINI DI CASA
Simona De Luca, dirimpettaia dei Morici, dichiara che circa quattro anni prima la professoressa Falcidia
chiese alla zia di dare in locazione ai coniugi Antonio e Anna dello Sri-Lanka una tavernetta al seminterrato
dello stabile al numero 15 (in cui Antonio faceva le pulizie), anche perché in quel periodo Anna aspettava un
bimbo. Per qunto riguarda una lamentela riferita dal proprio marito alla Falcidia sul cattivo servizio
espletato da Antonio nella pulizia del palazzo, dichiara: “ … quest’ultima a sua volta rispose: “Con lui non
ci parlo più”, in virtù del fatto che maltrattava sua moglie Anna e lei quindi si era schierata dalla parte di
quest’ultima. (…) Sabato 4 dicembre … Abbiamo consumato la pizza nel salotto sito di fronte alle finestre
della signora Falcidia e preciso che non abbiamo notato nulla di anormale o di sospetto. Alle 22,15 abbiamo
udito scuotere fortemente i tappetini del palazzo, gesto che di solito viene fatto da Antonio nel fare le
pulizie. Alle ore 23,15 circa ho accompagnato personalmente io e mio figlio la mia amica Rita a bordo della
mia autovettura “Mini 3”, e nello scendere le scale, notammo Antonio che lavava le scale. Preciso che il mio
garage è sito proprio di fronte al portone del palazzo ove abita la signora Antonella Falcidia e non ho notato
alcuna autovettura sospetta o quella del dottor Morici. Sono ritornata a casa alle ore 23,20 - 23,25 circa,
senza notare nulla di sospetto. Preciso che al mio rientro Antonio stava ancora lavando le scale; indossava
regolarmente i suoi abiti e aveva i guanti in gomma per le pulizie”.
Paolo Addamo, nipote della famiglia Taglierina, condomini di Via Rosso di San Secondo 16, in visita
agli zii sabato sera 4 dicembre, esce insieme al cugino dal portone dello stabile per fare un servizio al civico
28, non notano alcunché di sospetto. Al loro rientro hanno sentito le urla provenienti dai piani superiori.
Sono corsi per le scale e al terzo piano c’era il dottor Morici che gridava per l’uccisione della moglie. Dice
che l’ascensore era regolarmente funzionante.
Maria D’Avola, medico, conoscente dei Morici. Nel verbale del 16 dicembre dichiara che dalla metà di
ottobre va ad aiutarla saltuariamente nei lavori domestici la signora Annie dello Sri Lanka, consigliatale
dalla signora Falcidia. “Da Anna, pochi giorni prima che Antonella morisse, venni a sapere che era
intenzionata a prendere in affitto un appartamento per poter andare a stare solo lei e la sua bambina, in
considerazione del fatto che lei e suo marito non andavano d’accordo da circa tre anni. …il marito della
donna era stato visto solo una volta ed in clinica. Da quando si è verificato l’omicidio, lo stesso viene a
prendere la donna perché, a dire della stessa ha paura in questo ultimo periodo”.
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I TESTIMONI D’ALIBI
Giuseppa Rizzone, moglie di Filippo La Rotta, proprietari della trattoria “La Rotta”, nel verbale del 18
dicembre 1993 dice: “Quindici giorni fa ho visto il dottor Morici, in quanto lo stesso passò dalla trattoria
alle ore 21,45 circa insieme al suo collega Campagna di Nissoria. Il dottor Morici entrò nella trattoria per
salutarmi, e per ritirare il pane che doveva portare al dottor Falcidia Giuseppe, quando sentì l’odore dei ceci
che nel frattempo stavo preparando, decise di restare a cena. Ricordo che hanno mangiato la suddetta
pietanza e dell’affettato, ricordo con precisione che erano le 22,45, quando mio nipote Gentile Antonino di
anni 16, mi chiese di voler andare a ballare, e in quel momento il dottor Morici e il suo collega se ne
andarono. Ricordo che prima di andarsene regalai al dottor Morici sei uova e un pane che confezionai in una
busta di plastica. Ricordo quel sabato oltre a mio nipote, c’era mio marito …, non c’erano altre persone
all’interno del locale. Preciso che ogni tanto il dottor Morici veniva presso la mia trattoria a mangiare, e
veniva solo il sabato, perché faceva le visite presso il suo studio”.
Vincenzo La Blunda, contitolare con il fratello Carmelo del ristorante “La Pagoda”, sito in Nicosia,
ricorda che sabato 4 dicembre “… il dottor Morici arrivò verso le 13,45 e le 14,00, ed è venuto con l’altro
medico di Nissoria, ricordo che erano da soli, hanno preso un primo, il secondo, e si sono trattenuti fino alle
15,00/15,30. Ricordo nulla di anormale nel loro comportamento durante tutta la loro permanenza nel locale,
non so se hanno fatto qualche telefonata, ora che ci penso forse c’era la cameriera “Peppina”, nata a Nicosia
e da quanto ne so è da molto tempo che sta con la famiglia Falcidia”.
Maria Campione Chiodo, moglie di Vincenzo La Blunda, titolare del ristorante “La Pagoda”, dichiara:
“Ricordo che sabato 4 dicembre, il dottor Morici venne con “Peppina” e con l’altro medico. Ricordo che
chiesi a Peppina perché era venuta in paese, e lei rispose che doveva votare l’indomani, infatti si doveva
svolgere le elezioni comunali giorno 5 dicembre, ricordo che lei come diceva sempre voleva stare a Nicosia
in quanto ha una casa, ma diceva anche che Antonella voleva che restasse a Catania a farle compagnia.
Ricordo che il dottor Morici chiese e mangiò … se ne andarono verso le ore 15”.
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Epicentro della scena del crimine.
A sinistra il corpo della vittima, ai piedi del divano. Le macchie di sangue sul divano indicano che l'aggressione è iniziata sopra il divano e che la vittima ha sanguinato abbondantemente, prima di terminare sul pavimento.
A destra il divano, il tavolo ed altri mobili, con i cartellini indicanti i reperti
10- IL PROFILO CRIMINALE LOGICO INVESTIGATIVO DELL’ASSASSINO
L’assassino è un soggetto maschio adulto. Lo si deduce dalla forza dei due pugni sferrati alla fronte ed
al naso della vittima con l’impugnatura del coltello a martello, dalla forza impressa alle pugnalate,
dall’accanimento sulla vittima, dall’opera di staging effettuata tramite le tre orme di scarpa femminile per
indirizzare i sospetti verso una donna, dall’ampia libertà di movimento dimostrata, che fa pensare che non
dovesse rendere conto a nessuno della propria assenza (attività prettamente maschile), dai colpi sferrati al
ventre come per punire (anche) la maternità.
La vittima era in vestaglia, quindi i casi sono due: se è stata lei ad aprire la porta, aveva un rapporto di
confidenza col soggetto; se così non fosse, non ha aperto ed è stata sorpresa. Però, se trattasi di maschio col
quale era in confidenza - non essendo emerse notizie di un eventuale suo amante - questi dovrebbe essere un
soggetto familiare. Il padre è escluso perché impossibilitato, il figlio aveva un forte alibi, il marito non può
entrare nel profilo alternativo altrimenti sarebbe una “contraddizione in termini”, gli altri parenti maschi
sono stati attenzionati.
Poiché vi sono tracce della colluttazione solo nella zona del divano, appare probabile che la Falcidia sia
stata sorpresa dall’aggressore proprio mentre riposava o era appisolata sul divano e che, sorpresa
dell’intruso, sia andata immediatamente in escandescenze in quanto lo aveva classificato come “soggetto
nemico” e “non gradito in casa”. Morici padre e figlio mi hanno dichiarato che la donna usava
addormentarsi sul divano guardando la televisione.
Il soggetto ignoto si è introdotto artatamente aprendo lentamente e
silenziosamente la porta, senza il rumore dello scatto:
questo sta a significare sia che era a conoscenza che Antonella Falcidia stava
guardando la televisione con le spalle alla porta, sia che era provvisto della chiave
della porta e che sapeva come poter neutralizzare il “sistema d’allarme”, così
dimostrandosi “soggetto ambientale-territoriale, conoscitore e con grandi
possibilità di controllo diretto della famiglia Morici e dei suoi movimenti”
Alcune caratteristiche esecutive dell’assassino
Trattasi di soggetto agile, veloce e scattante.
Non ha usato l’ascensore per motivi di sicurezza personale (non fare rumore, non fare collegare il rumore
dell’ascensore alla sua presenza dinamica), ha preferito servirsi della scale sia in salita che in discesa.
Soggetto organizzato, pianificatore, freddo, determinato, abile nell’intrusione, nella manomissione e
nell’azione esecutiva.
Capace di far fronte a imprevisti, ostacoli e situazioni di pericolo.
Le caratteristiche organizzative e logistiche dell’assassino
L’assassino ha dimostrato un agevole controllo visivo e strategico del palazzo, ottima capacità e
possibilità di intrusione con copia della chiave del portone, un valido controllo dei movimenti della vittima e
dei suoi familiari.
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Come già detto si è avvalso delle chiavi della porta e del portone, aveva quindi accesso, contatto e/o
frequentazione con soggetti che erano in possesso delle chiavi.
Ha dimostrato profonda conoscenza della presenza del sistema d’allarme all’interno dell’appartamento,
situato accanto allo stipite della porta, del fatto che l’allarme potesse essere disattivato con estrema facilità,
anche solo infilando il braccio fra la porta e lo stipite, essendo la catenella abbastanza lunga e il pulsante-
leva dell’allarme posizionato pochi decimetri sotto la catenella. Sapeva che l’allarme scattava dopo dieci
secondi.
Aveva la conoscenza e la possibilità di bloccare l’ascensore per prendere tempo e, nel caso il marito
arrivasse, poter giocare a rimpiattino (mentre Morici saliva a piedi, lui si appostava e poi scendeva a piedi).
Aveva la possibilità di controllare dall’esterno, tramite il gioco dell’illuminazione della stanza,
dell’albero di Natale e della televisione, se la Falcidia fosse in salotto a guardare la televisione, attendendo il
momento opportuno e propizio per tentare l’intrusione.
Era a conoscenza - direttamente o indirettamente - che la vittima usava sdraiarsi la sera sul divano e
guardare la televisione.
Conosceva gli orari e le abitudini della vittima, del marito, del figlio e dei collaboratori domestici.
Conosceva anche, in anticipo, i loro movimenti per la sera del delitto.
Ha usufruito di logistica, di posizioni e di visuali tali, oltre alle opportunità e possibilità già espresse, da
poter avere tutto sotto controllo, con grande naturalezza e senza creare sospetti.
Le opportunità di cui l’assassino ha usufruito
Per introdursi con sicurezza (progetto criminale di intrusione) l’assassino doveva possedere informazioni
che non si acquisiscono sul momento, ma frequentando, direttamente o indirettamente, l’ambiente
territoriale della vittima:
1. sapeva che Peppina, la domestica di fiducia di casa Falcidia, era a Nicosia, che il giorno dopo,
domenica 5 dicembre, sarebbe rimasta a Nicosia per votare, che quindi aveva maggiori opportunità
esecutive e pochissimi rischi da correre;
2. sapeva che Morici sarebbe tornato tardi come ogni sabato sera e che usava cenare fuori casa;
3. sapeva che il figlio Riccardo era andato via alle 21,15 con gli amici, che sarebbe tornato tardi;
4. sapeva di avere via libera, perché la Falcidia era sola in casa;
5. sapeva che il padre della Falcidia era nella casa di fronte alla figlia;
6. sapeva che l’inquilino del piano sottostante alla Falcidia era assente.
Occorre stabilire chi possa avere avuto tali conoscenze e opportunità di conoscenza e di controllo del tipo
territoriale ambientale. Conoscenze anche in modo diretto e continuo, lentamente, da persona inserita
nell’ambiente, mimetizzata e integrata, quindi di immediata presenza sui luoghi senza destare sospetti, per
motivi di naturale presenza.
Le caratteristiche dell’assassino
Il soggetto è astuto, crudele e organizzato.
Ha cancellato la verità del suo delitto e le tracce che ad essa portano e, per cancellare la verità, ha
prodotto menzogne e lasciato tracce di “falsa verità”, cioè le tre orme di scarpa da tennis numero 36 disposte
come tre timbri, ma a distanza illogica e non naturale.
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La sua astuzia non appare essere supportata dalla conoscenza delle scienze forensi e investigative, perché
si deduce chiaramente che le orme sono state messe a bella posta e per messinscena per i seguenti motivi: 1)
la distanza fra di esse è superiore al passo normale di una donna che calza il 36; 2) la direzione delle tre
orme non è armonica e coerente; 3) mancano altre orme di scarpa, ad esempio quella del piede sinistro; 4) le
tre orme sono state originate da pressione a stampo e non dal camminamento, difatti, risultano essere nette.
Ha superato il sistema difensivo della vittima in modo furbo, organizzato e intelligente, sia
strategicamente che tatticamente.
Ha calcolato, verificato ed approfittato che l’inquilino di sotto fosse assente, questo denota una profonda
conoscenza e un controllo naturale dell’ambiente, delle persone e dei loro movimenti, oltre alla possibilità
d’immediato intervento.
L’assassino non ha lasciato tracce d’impronte papillari palmari o digitali e sulla cassaforte non sono state
trovate tracce di impronte digitali e di tentata effrazione. Aveva i guanti.
Non sono stati rinvenuti segni di effrazione sulla porta, sui vetri e sui vari infissi dell’abitazione.
L'assassino ha usato uno dei seguenti stratagemmi per entrare: doppione di chiave, scheda telefonica o
lastra fotografica.
Non è suonato l'allarme: l'assassino lo ha disattivato perché ne conosceva l'ubicazione.
Non è stato constatato alcun disordine tale da fare dedurre una tentata rapina o un’intrusione per furto:
l'intento primario era “furto + vendetta + assassinio”.
Avendo l’assassino lasciato a bella posta le tre orme di scarpa femminile Stan Smith (Adidas) numero 36
significa (1) che egli non ha un collegamento con una donna che calzi la stessa misura, (2) che non è una
donna.
Il soggetto ha lasciato a bella posta due capelli biondo-castano di altra persona di sesso femminile, o
addirittura quelli della vittima, per due motivi: per fare credere che trattasi sempre di una donna e per non
fare entrare nel mirino degli inquirenti alcuna donna con i capelli neri.
Quindi il soggetto vive con una donna che non ha scarpe numero 36 e non ha capelli biondi o castani.
Dalla dinamica aggressiva e feroce del suo atto sulla vittima, si ipotizza che il soggetto possa essere
molto brutale anche nei confronti della donna con cui vive.
È altamente probabile che la donna con cui vive sia stata controllata per verificare se il Dna
corrispondesse a quello del capello col bulbo repertato sulla scena del crimine.
Il movente dell’omicidio è del tipo emozionale e personale, racchiude una vendetta, un vecchio
contenzioso con la vittima, rancori mai sopiti, tacitazione testimoniale. Il movente del rancore contiene
anche la figura di un figlio e di una maternità, ciò è deducibile da due indicatori molto forti: 1) la lettera
anonima che ha preceduto di pochi giorni l’azione omicidiaria, lettera minatoria che cerca di depistare e,
congiuntamente, indica il movente simbolico e la trasposizione: il figlio; 2) l’aggressione al ventre della
vittima, simbolo di offesa e di distruzione verso la maternità.
Collegare la morte della Falcidia a una vendetta personale, scaturente da un contenzioso fra la vittima e
l’assassino e causato dall’intromissione della Falcidia nella sua vita privata, dove ha un altissimo valore la
figura di un figlio, è lo speculare esatto di quello che ha agito l’assassino con il suo progetto criminale: “Tu
ti introduci nella mia vita e in quella di mio figlio, io prima ti minaccio minacciando tuo figlio, poi ti uccido,
lasciando intendere sia dal biglietto, che sarà collegato al delitto, sia dalle tracce di scarpa e di capelli, che
sono una donna”.
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Altri indicatori del profilo criminale
Il contesto dell’aggressione appare essere del tipo scaturito in seguito ad atto criminale: illecita e
organizzata intrusione – con sapiente e dosata scelta del momento proprizio - seguita dalla slatentizzazione
dell’aggressività con uccisione. Nemmeno è da escludere che l’assassino abbia agito in due fasi: intrusione
degenerata in omicidio, fuga momentanea, reperimento di strumenti per il depistaggio e l’alterazione della
scena, fuga finale e definitiva.
L’over killing è di due matrici, del tipo psicologico e del tipo strumentale (quindi di modus operandi).
Matrice psicologica perché le ferite e le modalità di inflizione dei colpi rivelano rabbia distruttiva e perdita
del controllo, ostilità e rancore; matrice strumentale perché tutte le ferite fanno parte del naturale svolgersi
di una colluttazione avvenuta fra aggressore e vittima, laddove lo scopo finale dell’aggressore era proprio
l’eliminazione e la punizione fisica della vittima tramite l’arma bianca, affilata e mortale, sia per motivi di
tacitazione testimoniale, sia per altri motivi da definire.
Le 23 ferite sono state inferte con furia selvaggia e omicida, alcune sono di difesa attiva e passiva perché
la vittima ha lottato e si è difesa disperatamente.
La maggior parte delle ferite sono state sferrate al collo ed al volto; le ferite mortali al collo hanno reciso
la carotide e la giugulare.
Se il soggetto è aduso a colpire con un’arma bianca, dimostra una tecnica d’uso che non è quella siciliana
(colpi di taglio e di sfregio con inevitabile riferimento al volto).
Il soggetto è destrimane.
Non è da escludere che abbia voluto torturare la vittima per farsi rivelare qualcosa di speciale, ad esempio
dove custodisse i valori, le modalità e gli strumenti per aprire la cassaforte. Alcune ferite (quelle di pochi
centimetri sul collo, esito di pressione lenta e calcolata) depongono in tal senso.
L’assassino ha composto la scena ma non la vittima, ha alterato la scena, ha effettuato lo staging e vari
depistaggi, ma non ha messo in posa la vittima e/o ha agito su di essa atti di pentimento, rimorso o
negazione psichica: quindi non è un suo parente, anzi. È un soggetto che aveva un rapporto di conoscenza
ma che odiava tale nesso e i rapporti in tal senso.
Non ha preso l’orologio Rolex della vittima perché non ne ha compreso il valore economico e/o perché
non aveva le conoscenze per “piazzarlo”. Comunque, il Rolex non era previsto nel suo progetto / percorso
criminale.
Non è un malavitoso.
Nulla osta che abbia potuto scrivere sul famoso “volant” del divano la scritta “ENZ” col sangue della
vittima, ultima beffa e sfregio infernale contro di lei e la sua famiglia, ma si tratta di un’ipotesi remota e non
dimostrabile, perché manca il divano.
L’omicidio di Antonella Falcidia ricorda il giallo dell’Olgiata, vittima Alberica
Filo della Torre. Anche in tale caso alla vittima venne lasciato col Rolex al polso,
venne ingiustamente sospettato il marito … e altro.
Last, but not least (ultimo, ma non per questo ultimo), Vincenzo Morici, parlando della coppia dello Sri-
Lanka, Anna e Antonio (Annie Birget Perera e Rohana Don Welathanthri), disse: “Non mi risulta che siano
separati, so di per certo che Antonio aveva picchiato la moglie, ero al corrente del suo carattere aggressivo
e mi risulta quantomeno strana l’improvvisa riappacificazione con la moglie. Mia moglie ed io abbiamo
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procurato un lavoro ad Anna … sono a conoscenza del timore di Anna che il marito partisse con la figlia
per il suo paese: ritengo che Antonio avrebbe potuto vedere in mia moglie una persona ostile al suo
atteggiamento … però mia moglie non gli avrebbe mai aperto a quell’ora. (…)”.
In seguito si venne a sapere che Antonella Falcidia era in contrasto col marito di Anna, Rohana Don
Welathanthri “Antonio”, perché questi era violento con la moglie, che la Falcidia voleva farsi carico del
futuro della bambina e parteggiava apertamente per Anna per altri motivi, fra cui la richiesta di affidamento
per la loro figlioletta.
11- CONCLUSIONI
Ritengo che l'applicazione congiunta delle varie scienze e discipline investigative, una rivisitazione
dell'intera vicenda e il prendere in considerazione gli aspetti peculiari sinora MAI esplorati dagli
inquirenti, si possa risolvere il caso.
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A sinistra il procuratore aggiunto di Catania dott. Renato Papa, dopo la cattura di Morici mostra in una
conferenza stampa la ricostruzione della scritta “ENZ” attribuita a Morici.
A destra la ricostruzione della scena da parte degli inquirenti, dove ipotizzano che la vittima, morente, abbia
scritto il nome dell'assassino … intingendo il dito nel proprio sangue.