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Tagore

Ostello Caritas agosto 2011

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quaderno formazione campo servizio Ostello Caritas Roma Termini

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Tagore

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Ogni Caino non è che un Abele: Ogni Caino non è che un Abele: la fraternità non è un istinto,la fraternità non è un istinto,

è una decisioneè una decisione

Caino nega il posto unico di entrambi,

perché ritiene che non ci sia che un unico

posto. Ciascuno deve dimostrarsi ogget-

to di primaria importanza nell’universo,

essere eroe, provare che egli conta più

di qualsiasi altro. E l’altro, allora, è im-

piccio, rivale, concorrente, che minaccia

il mio successo, la mia riuscita, la mia vi-

ta stessa.

Ma Dio rivolge a Caino la famosa do-

manda: “Dov’è Abele, tuo fratello?”,

con la quale fa dono a Caino

dell’orizzonte della fraternità, poiché nel

progetto di Dio l’attrazione tra fratelli

dovrebbe essere anzitutto quella di

“custodirsi reciprocamente”. Perché an-

che Caino è Abele, un soffio, un essere

fragile, un fugace prestito della vita di cui prenderci premurosamente cura, farci custodi. Come si è

manifestato in Gesù, “guardiano e custode delle nostre anime” (1Pt 2,25).

Gesù vive, insegna, dona una logica diametralmente opposta a quella di Caino: egli, l’Unigenito, in-

vece di tenere per sé questa ricchezza, vi rinuncia e diventa primogenito di molti fratelli, guarendo la

percezione che ogni Caino ha del proprio fratello come limite, come impoverimento, come ferita e si

lascia uccidere come Abele, l’ultimogenito zittito. Nella logica umana, il sangue versato di Caino a-

vrebbe riscattato quello di Abele. Ma la logica di Dio è un’altra. Non il sangue di Caino, ma quello di

Gesù riscatterà il sangue innocente di Abele.

Tutto, allora, dipende da come si percepisce il volto di Dio che è all’origine della nostra vita e

dall’identità di Gesù: il fratello è compagno, sostegno, ricchezza? Oppure è rivale pericoloso che

mette a repentaglio la vita, sottraendoci l’unico posto disponibile? Tanto più è smaniosa la ricerca di

un unico posto, tanto meno si crede che Gesù, il Figlio Primogenito ci ha davvero preparato un po-

sto unico per ciascuno: “Vado a prepararvi un posto. Nella Casa del Padre mio vi sono molto posti.

Io andrò e vi prenderò con me” (Gv 14,1-3).

Questa è la grande sfida della vita: mentre il legame fra uomo e donna e quello fra genitori e

figli è frutto di attrazione, istinto, inclinazione naturale, quello tra fratelli è frutto di libera decisione.

Ed è questo che, oltrepassando la sola logica dell’istinto, rende più umano l’uomo. Gli umani devo-

no, insomma, imparare, apprendere, un legame nuovo: quello della fraternità. È la questione aperta

di un’umanità all’altezza di sé: che i popoli si riconoscano “fratelli”.

Cfr. Giovanni Cesare Pagazzi, C’’è posto per tutti. Legami fraterni, paura, fede, Vita e Pensiero; Giovanni Sal-

nia, Odòs, la via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, EDB.

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Abele, fratello senza voce

È stato messo fuori per qualche giorno da un centro di accoglienza, perché trovato in stato di ebrezza (dopo

sei mesi di cura disintossicante, si ubriacava di nuovo), e vaga all’interno della stazione senza alcun baga-

glio, avviluppato in una specie di cappotto militare, come per proteggersi meglio da qualsiasi intrusione;

Arsené, così si fa chiamare perché ha lavorato tanti anni fa in Belgio, borbotta, parlando da solo:

«Tanto… tanto si sa, il barbone è colui che ha solo bisogno di panini: il barbone vive di pa-

nini! Se poi vuole comprare un pacchetto di sigarette, no quello è lusso! Al barbone non gli

danno i soldi, perché non si sa mai se si droga o se beve. Quindi gli comprano i panini e,

praticamente, questo disgraziato è costretto a mangiare panini dalla mattina alla sera: gli

verrà un fegato come un panino! Poi non importa se deve dormire: dormire si dorme per

terra! Quello che ci vuole per un barbone, è un sano panino! I volontari, i panini te li porta-

no persino alle stazioni o sotto il ponte: magari ti svegliano alle tre di notte, dopo che c’hai

messo due ore per addormentarti, per darti tè e panini, perché secondo loro il barbone va a

panini!».

A proposito di fraternitàA proposito di fraternità

Noi tutti viviamo di fraternità.

Nel pane che spezzo e che mi nutre

c’è la storia di infinite mani,

mani nude sul seme,

mani operose su grandi macchine,

storie di fatiche e forse di sfruttamenti

di innumerevoli fratelli e sorelle.

Hai ricevuto - spesso unilateralmente e immeritatamente - molte cose

nel campo dell’istruzione, della cultura, della salute, della protezione.

Un tessuto di debiti è la tua vita.

Esistere non è un diritto,

prima ancora è un debito.

Sei in debito verso Dio, verso la storia e il lavoro di tanti

e dal momento che inizi a esistere, tu esisti in fraternità.

Vivi dentro l’avere e il dare di eterne fraternità, di eterne comunioni.

Da altri a te, da te ad altri: tutto è circuito aperto.

Sapersi debitori è imparare a esistere in armonia, a convivere senza violenza;

vuol dire, per ciascuno, essere un filo unico e inestimabile

nel tessuto immenso dell’umanità e del mondo vivente

riuscendo a stare nel tessuto senza rovinarlo.

Anzi arricchendolo del tuo esserci, del tuo deciderti ogni giorno per la fraternità.

Il debito di esistere si paga solo restituendo alleanza. (Ermes Ronchi)

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ESERCIZI PER ABITARE DIVERSAMENTE IL MONDO

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Trova il tempo per riflettere, è la fonte della forza. Trova il tempo di giocare, è il segreto della giovinezza Trova il tempo di leggere, è la base del sapere. Trova il tempo di essere gentile è la strada della felicità Trova il tempo di sognare è il sentiero che porta alle stelle Trova il tempo di amare, è la vera pienezza della vita. Trova il tempo di servire, è la via della gioia vera

Trova il tempo di essere contento, è la musica dell’anima. (antica ballata irlandese)

Signore Gesù, buon Samarita-no dell’umanità fragile e ferita,

apri il nostro cuo-

re,

la nostra mente,

i nostri occhi,

rendi più viva

e acuta

la nostra sensibilità:

ogni fratello

e ogni sorella,

come ognuno di

noi, come me,

ha. prima di tutto bisogno

di essere riconosciuto e amato,

ha bisogno di esistere

nello sguardo e nel sorriso dell’altro,

di essere in qualche modo guidato

alla sua intima Epifania.

Tu, amico dei pubblicani e delle prostitute, aiutaci a conservare la speranza che, contro tutti

e contro tutto,

ogni vita

- anche la più distrutta -

ci è donata

come un segno salutare per umanizzarci,

un invito a dar prova

di generosità,

di bellezza, di rispetto.

Gli “Esercizi” sono tratti da Giuliani Martirani, Viandante mae-

stoso. La via della bellezza, Paoline; La civiltà della tenerezza.

Nuovi stili di vita per il Terzo Millennio, Paoline.

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Femminile consapevoleFemminile consapevole

Quando Giovanni XXIII indisse il Concilio Vaticano II con la Bolla Humanae salutis, il 25 dicembre 1961, volle subito precisare: “La Chiesa oggi assiste a una crisi in atto della società. Mentre l’umanità è alla svolta di un’era nuova, compiti di una gravità e ampiezza immensa attendono la Chiesa, come nelle epoche più tragiche della sua storia”. Perché si esprimeva così Giovanni XXIII? Che cosa sta succedendo sulla terra? Quale pericolo tremendo stiamo cor-rendo? In che senso è addirittura un’era nuova quella che si annuncia? Forse per rispondere a questi interrogativi cruciali ci può aiutare un pensatore come Martin Heidegger che più di ogni altro ha approfondito il tema dell’attuale e caotica fine di un intero ciclo storico: “Non è la bomba atomica, di cui tanto si parla, a costituire, in quanto ordigno di morte, il mortifero. Ciò che da tempo minaccia l’uomo di morte – e di una morte che concerne la sua stessa essenza è l’ingannevole convinzione che, attraverso la produzione, la trasformazione, l’accumulazione e il governo delle energie naturali, l’uomo possa rendere agevole a tutti e in genere felice la situazione umana”. Tutto ciò che sta mettendo in pericolo la nostra stessa sopravvivenza è, dunque, un certo tipo di umanità che pre-tende di dominare il mondo rendendolo oggetto del proprio volere e del proprio potere tecnico.

Si tratta di un di uomo che si contrappone al mondo, alla natura, agli altri, e anche a Dio, per definirne e così con-trollarne l’esistenza, attraverso la guerra, l’aggressione, la violenza, il dominio, sia esso di natura politica o econo-mica. Questo è il tipo di umanità, che potremmo riassumere come “bellica”, che abbiamo conosciuto nei due mil-lenni che ci hanno preceduto e della quale la Bibbia ci ha esemplificato i comportamenti, la mentalità, gli atteggiamenti, le azioni nei racconti delle relazioni tra fratelli (e non solo). Questa umanità bellica sta mostrando finalmente la sua natura folle e alla fine suicida, la sua insostenibilità rispetto alla stessa sopravvivenza della vita in generale sul nostro pianeta. Le donne sembrano essere il punto di svolta per il passaggio ad un Terzo millennio delle relazioni, della riconci-liazione, della tenerezza. Le donne, con la loro primordiale e sofferta differenza di genere, possono essere mediatrici nella soluzione non-violenta dei conflitti scatenati dalla “conquista e difesa della primogenitura”. La donna sembra essere un’ottima mediatrice del progetto di Dio, soprattutto perché le appartiene una visione della vita fondata sul pensiero divergente e sulla prospettiva relazionale. Come se nell’identità femminile fosse più forte la tendenza a vivere la relazione con l’altro da sé, le donne hanno un “istinto”, un rivolgersi radicale verso l’altro in quanto altro. Le donne paiono più inclini degli uomini a rivolgersi agli altri esseri umani come a un “tu” (ma non so-lo, anche al mondo animale o vegetale), mentre gli uomini tendono a trattare il loro “tu” come un “esso”, a orga-nizzare, a strutturare, a gerarchizzare, a finalizzare le relazioni. Con tutto il male che anche loro possono fare, esse hanno il senso della differenza e dell’attrazione per l’altro. E queste attitudini femminili non sono loro patrimonio esclusivo: possono e de-vono essere reciprocamente insegnate e apprese da tutti, uomini donne. La diffe-renza sessuale non va concepita in modo esclusivo e antagonista: ciò che è mio non può essere tuo e viceversa, poiché le atti-tudini che siamo portati a suddividere in maschili e femminili sono evidentemen-te patrimonio comune dell’umanità. Atti-tudini e risorse fioriscono se sono condivise come doni che possono essere reciproca-mente fatti e accolti, insegnati e appresi. Un diverso stile di vita nasce, oggi come ieri, da una lettura simbolica di quei rac-conti biblici dove le soluzioni trovate dal popolo partono dalle donne. Non sono so-luzioni soltanto femminili, quanto piuttosto “al femminile”: le levatrici in Egitto, la so-rella e la mamma di Mosè, la principessa, figlia del Faraone, ci presentano il modo di guardare la realtà dalla prospettiva della donna, ci fanno scoprire il sentire della donna e la visione della donna.

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ESERCIZI PER ABITARE

DIVERSAMENTE IL MONDO Agire “al femminile”Agire “al femminile”Agire “al femminile”

Come sappiamo, il Faraone è impressionato e preoccupato dalla prolificità dei figli del popolo ebraico e ordina alle levatri-ci di sopprimere i figli maschi appena nati da donne ebree. Ma le levatrici, libere e astute, non esitano a disobbedire e saggiamente proteggono la vita, ponendo così le basi del fu-turo d’Israele. Il faraone non sa che il potere di dare la vita delle donne è più forte di ogni potere di stato. Le levatrici agi-scono così bene, con abilità e astuzia, che il faraone non si rende conto di essere stato ingannato. Spinto allora dalla pa-ura che gli ebrei divengano più numerosi degli egiziani, ordina un infanticidio su larga scala. Sempre l’angoscia che non ci sia terra, grano, acqua per tutti.

A questo punto entrano in campo la madre e la sorella di Mo-sè e la figlia del faraone. Sono in relazione fra loro a causa di un’azione che, senza saperlo, compiono insieme: salvare la vita del bambino, salvare la speranza, vegliare sulla crescita di un essere fragile (un Abele, appunto) per fortificarlo. La madre, pur in una situazione in cui è stata decretata la morte, dove dominano paura e persecuzione, attratta dalla grazia e dalla bellezza del figlio (riconosce un “tu”), disobbedisce, non lo consegna alla morte, lo nasconde per tre mesi. Poi è costretta a fare qualcosa per salvarlo. Lo depone in un’arca bituminosa (una cesta di papiro) che lo preserverà dalle ac-que della morte. Fatto tutto ciò che poteva fare, la madre affi-da il piccolo all’arca del Dio della promessa. Ha un’enorme fiducia in Dio, anche se Dio non è mai menzionato. Ripete il gesto di Noè, salva nell’arca. Prese tutte le precauzioni ne-cessaria, lascia il resto a Dio. Riconosciamo nella madre un atteggiamento di offerta, bontà e bellezza davanti alla creazione.

È il momento ora della sorella, che si pone ad osservare da lontano ciò che sarebbe accaduto al bambino. Come non ri-cordare le donne che guardano da lontano, il Signore della vita sulla croce? Sono sempre le donne che vegliano, vigilano sulla vita, in contemplazione. Vede senza essere vista. Quando, finalmente, la principessa si avvede del bambino, la sorella con grande senso di opportunità, vincendo certa-mente la paura di un ritorsione contro di sé e contro il fratelli-no stesso, si fa avanti, senza farsi riconoscere e propone arditamente la soluzione: una nutrice ebrea. È lei che stabi-lisce relazioni, che crea ponti e comunica.

La principessa, figlia del Faraone, davanti ad un bambino che piange, avverte compassione di fronte alla fragilità e al dolore, scordandosi la paura di una possibile disapprovazione del padre. Si assume la responsabilità e l’impegno di por-tare il bambino a salvezza completa. Riconosciamo in lei un impeto di commozione e un atteggiamento di accoglienza e compassione di fronte al bisogno e alla fragilità di “un tu” che spariglia tutte le programmazioni e le decisioni del Farao-ne.

Cfr. Marco Guzzi, Dalla fine all’inizio. Saggi apocalittici, Paoline.

Cfr. Marisa Teresa Porcile Santiso, La donna spazio di salvezza, EDB; Con

occhi di donna. Identità, ministero, spiritualità, contemplazione, Parola, Edb.

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Stai attento con i tuoi pensieri: si trasformano in parole. Stai attento con le tue parole: si trasformano in azioni. Stai attento con le tue azioni: si trasformano in abitudini.

Stai attento con le tue abitudini: modellano il tuo carattere. Stai attento con il tuo carattere: controlla il tuo destino.

(P. Coelho)

Abele, fratello senza voce Caro Giovanni, ogni settimana al parcheggio Api di Falconara mi hai cer-cata, usata, pagata. Ma ti sei mai chiesto chi c’è dietro quel corpo che continui a comprare per dieci euro alla vol-ta? Quando hai domandato il mio nome, ho risposto “Joy”, ma il mio nome è un altro…e così non sono giamai-cana, ma nigeriana e non ho vent’anni ma 17. Voglio di-stinguere “Joy di notte” con tacchi alti, parrucca, minigon-na, da quella che sono in realtà. Non mi piace fare la pro-stituta. La mia famiglia vive in Nigeria…sì ho anch’io una famiglia che mi ama, non sono soltanto “dieci euro”. Tro-vare lavoro in Nigeria è difficile… sono partita sapendo che probabilmente sarei finita sulla strada, ma in fondo sarebbe stato solo per qualche anno per sistemare la mia famiglia Con un contratto firmato, mi impegnavo a pagare 70mila euro per documenti, viaggio e sistemazione in Italia. Non ho ancora finito di pagare… Quando passi sulla strada mi senti cantare, lo faccio per tirarmi su, per animarmi, per nascondere a me stessa e alla gente il dolore profondo in cui sono caduta. Ma quando mi metto a letto piango. Piango perché so-no diventata una schiava e posso fare solo ciò che altri decidono: battere, battere sulla strada e battere ancora, farmi usare e far soldi e poi ancora soldi e consegnarli a loro, ai miei sfruttatori. Piango perché il mio corpo non mi appartiene più; tutti ne fanno ciò che vogliono e io devo sempre dire di sì e umiliarmi a tutte le bestialità che mi chiedono. Piango perché mi picchiano: mi picchiano i clienti con le loro manie violente, mi picchiano i miei padroni quando non porto a casa tutti i soldi che pretendono. Piango perché penso alla mia famiglia lontana che non vedo da molti mesi. Piango perché penso al mio futuro? Quando pagherò finalmente il debito? Chi mi vorrà come moglie dopo anni sulla strada? Vorrei lasciare tutto, ma mi minacciano continuamente. E poi gli spiriti maligni della mia terra mi castighe-rebbero per aver tradito chi mi ha portato in Italia. L’unico amico che mi è rimasto è Dio, anche se non vado in chiesa perché mi vergogno. Ma Dio è sempre con me e dà la forza di continuare a vivere. Hai pensato, Giovanni, che anch’io sono un essere umano, che sono figlia di Dio, che ho diritto ad essere tratta con dignità, che anch’io ho una famiglia? Mi piacerebbe incontrare in Italia persone che mi sorridano senza se-condi fini, che mi tendano la mano per uscire dal fango in cui sono caduta… Chiedo troppo, Giovanni, chiedo troppo?

Joy

Le testimonianze di “Abele fratello senza voce”, sono tratte da Federico Bonadonna, Il nome del barbone. Vite di strada e povertà

estreme in Italia, DeriveApprodi; Michel e Colette Collard-Gambiez, Un uomo chiamato clochard. Quando l’escluso diventa

l’eletto, Macondo libri.

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Abitare mondoAbitare mondoAbitare mondo

Io amo il mondo e l’Eterno

come il natio focolare.

(Sergeij Esenin)

Che cosa pensa, che cosa sente la nostra anima,

la sostanza misteriosa del nostro essere abitata da Dio,

proprio in questo momento storico?

Grida con tutte le sue forze

che tutta un’epoca si sta compiendo,

che siamo alla fine di un mondo di paure,

conflitti, chiusure, divisioni…

L’anima annuncia agli increduli la nascita,

proprio adesso,

di teneri germogli di una nuova umanità

che sta emergendo

dalla crisi di tutte le culture, civiltà

e ricerche religiose della terra:

una nuova umanità fondata sul dialogo fecondo, l’arricchimento reciproco,

il dare e il ricevere, l’apprendimento vicendevole.

Avverte, la nostra anima,

che è giunta l’ora, ed è questa,

di “abitare mondo”, di pensare in grande e in largo,

di sentirsi cioè parte di una rete di vincoli

e di reciproche connessioni,

di rilanciare l’essenza del mondo nella direzione della libertà, della pace,

della felicità, della riconciliazione universale:

Dentro ciascuno di noi convivono, in questo momento,

un morente e un nascente:

un morente sempre più sfiduciato, chiuso, agitato, insoddisfatto

e un nascente che vuole destarsi, che in verità si sta già destando,

luminoso, rappacificato, limpido, arioso.

Con chi ci identificheremo? A chi daremo ascolto?

Sulla parola di quale dei due fonderemo la nostra giornata terrena?

Il morente o il nascente?

Questa è la scelta definitiva che ci troviamo davanti e dietro

e dentro e in ogni luogo. (Marco Guzzi)

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“Il problema degli altri è uguale al mio. Risolverlo tutti insieme è politica, cavarsela da soli è avarizia”.

(don Lorenzo Milani)

È ancora tempoÈ ancora tempoÈ ancora tempo Signore, io so che questa vita, che manca di maturità in amore, non è del tutto perduta.

So che i fiori che appassirono all'alba, i fiumi che si smarrirono nel deserto, non sono del tutto perduti,

So che qualunque cosa rimane indietro in questa vita greve di lentezza non è del tutto perduta.

So che i miei sogni ancora inappagati, le melodie non ancora suonate, s'aggrappano a una corda del Tuo liuto, e non sono del tutto perduti. Si, è ancora tempo. anche se i nostri piedi camminano incerti in questo inizio di millennio, anche se nubi oscure calano sulle nostre menti, anche se i nostri ideali sono feriti, è ancora tempo...

Nonostante milioni di esseri umani si trascinino nella miseria della fame eguali o peggio degli animali, nonostante bambini gemano e piangano in grida di pazzia, perse nell’infinito, è ancora tempo...

Anche se a milioni camminano senza direzione, e donne soffrono ancora violenze assurde, nonostante nazioni intere si appellino alla guerra. è ancora tempo.... è ancora tempo...

L' Uomo non può morire! C'è luce, molta luce nell'Universo e in noi tutti. C'è un cammino! C'è un'uscita! Come le acque dei nostri fiumi in pieno inverno discendono ferme e risolute, e tutto mondano rendendo fertile, così il popolo prenderà nelle sue mani la costruzione del futuro. È ancora tempo...

Suore nella ResistenzaSuore nella ResistenzaSuore nella Resistenza per vincere la battaglia della caritàper vincere la battaglia della caritàper vincere la battaglia della carità

Tante le prospettive storiche che hanno studiato la Resistenza, la più dimenticata è stata quella dell’aiuto e del contributo offerto dalle religiose. Un ruolo che non fu mai di secondaria importanza e si concretizzò senza mai abbracciare un’arma se non quella della carità, del coraggio, di una resistenza civile all’oppressione e alla violen-za. Per questo nascosero nei loro conventi ebrei, sfollati, ricercati, sbandati, renitenti alla leva, perseguitati politici, feriti, partigiani a volte anche fascisti braccati. Dopo l’8 settembre 1943 in molte località del Paese si registrano gesti significativi nei conventi, negli istituti religiosi femminili per contenere la violenza, assistere in varie forme la popolazione, i partigiani, militanti in clandestinità. La partecipazione delle religiose nella Resistenza fu «un’opposizione non violenta, un reagire lon-tano dalle armi, ma non per questo meno fermo: il contributo alla Resistenza da parte di molte suore e ordini reli-giosi è stato insieme azione concreta e simbolo, dimostrazione che una strada diversa da quella che allora si pro-spettava – la guerra civile – era davvero possibile». Le religiose operarono nelle attività di assistenza e salvataggio, ma anche di sostegno attivo alla Resistenza, so-prattutto negli aspetti organizzativi e informativi: negli ospedali le suore infermiere realizzarono attività di sa-botaggio «falsificando le cartelle cliniche, inventando malattie contagiose o particolarmente temute dai tedeschi, inducendo febbri altissime, nascondendo tra i malati di mente, simulando ferite profonde e a rischio altissimo di emorragia...». Nella carceri, tramite una rete clandestina di partigiani e antifascisti le suore collaboravano con medici e in-fermiere per assistere i detenuti politici, organizzare la loro fuga, raccogliere materiale sanitario per parti-giani ed ebrei:

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suor Enrichetta Alfieri suor Enrichetta Alfieri suor Enrichetta Alfieri

nel carcere di san Vittore a Milano, chiamata dai detenuti come

“l’Angelo e la mamma di San Vittore”, passava tra le stanze

dell’infermeria del carcere e nelle profonde tasche del suo grem-

biulone teneva medicinali, ma soprattutto “biglietti” preziosi

che riuscivano a salvare vite umane.

Venne scoperta e arrestata rischiando la fucilazione e

l’internamento nei lager nazisti. Nelle testimonianze raccolte nel

processo di beatificazione spiccano quelle di Mike Bongiorno e

Indro Montanelli.

Nelle vicende complesse della lotta di Liberazione non manca-

rono episodi di segno contrario, ma la presenza delle religiose

nella guerra fu «un’esperienza concreta della carità di donne che

si sono chinate sulle povertà, sulle debolezze e sulle infermità di

persone bisognose di aiuto. Quasi mai le religiose, per quanto

ne sappiamo, agirono per motivi politici. Erano piuttosto spinte

dalla carità, che imponeva in tempi di emergenza di aiutare chi-

unque ne avesse bisogno. Per questo si trovarono talvolta sotto

lo stesso tetto renitenti alla leva, ricercati per motivi politici, ebrei, sfollati, orfani... In alcuni casi offri-

rono una base di appoggio ai partigiani.

Dinanzi alle ingiustizie palesi del nazifascismo e alla durezza della guerra diedero un contributo di u-

manità, superando antichi steccati. Basti pensare agli ebrei: dal punto di vista religioso non c’era dia-

logo, ma prevalse il buon senso di rischiare per persone che forse non si sarebbero salutate per stra-

da».

Cfr. Paolo Damosso, E lei, invece, sorride, Suor Enrichetta Alfieri, Paoline.

Madre Enrichetta, sorriso di Dio,

sul tuo esempio e con il tuo aiuto,

fa’ che i nostri gesti

e le nostre parole esprimano

una presenza discreta, attenta, semplice.

Tu, che ci hai mostrato

come farsi incontro alla sofferenza,

insegnaci ad inventare gesti, parole, silenzi,

che ricostruiscano la relazione

che ristabiliscano la fiducia nella vita.

Aiutaci a scoprire che la presenza dei poveri

è una spina nella carne delle Chiese e del mondo.

Una spina nella carne

della nostra opulenza e indifferenza:

i poveri, pur apparendo

sotto molto aspetti indesiderabili,

ci sono invece così preziosi.

Beata Enrichetta, angelo e madre dei poveri, prega per noi.

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Il Signore Gesù, nostro fratelloIl Signore Gesù, nostro fratelloIl Signore Gesù, nostro fratello Dal racconto del dramma di Caino e Abele, abbiamo compreso che nel progetto di Dio l’attrazione tra fratelli dovrebbe essere anzitutto quella di “custodirsi reciprocamente”. E Gesù riprende la storia dei fratelli proprio là dove si era interrotta: mentre Caino vede la nascita di Abele come la ferita inferta alla sua pienezza e lo elimina, Gesù di Naza-reth vive, insegna e dona una logica diametralmente opposta. Egli, l’Unigenito Figlio del Padre, invece di tenere per sé questa ricchezza di figlio unico, vi rinuncia e diventa primogenito di molti altri fratelli. Gesù, in questo modo, gua-risce la percezione che ogni Caino ha del proprio fratello come limite, impaccio, ostacolo, impoverimento.

La pienezza che Gesù vive e dona sta nel comprendere e nell’accogliere il fratello come ricchezza, dono del Padre di tutti. Ma Gesù arriva fino a farsi ultimogenito e come Abele si lascia uccidere, ultimogenito zittito. Mentre Caino ha ritirato la fiducia in Dio, sentendosi defraudato delle doti e capacità del fratello, Gesù di Nazareth viene addirittura defraudato della vita. Eppure continua a fidarsi e a credere nell’amore del Padre. E a fidarsi e a credere nell’uomo. La sua è una scelta irreversibile: essere figlio, esserlo sempre, anche sulla croce. Essere fratello di tutti, esserlo sempre, anche di chi lo uccide.

La pienezza del nostro essere, la riuscita di tutta una vita, il compimento dell’intera esistenza non è data dalla vittoria del primo posto, non viene dalla conquista di quel che si crede l’unico posto disponibile. La pienezza dell’umanità, dirà Gesù di Nazareth, è “ai piedi del fratello” (Gv 13), è nel servizio al fratello, nella custodia del fratello, nel pren-dersi amorevolmente cura delle sue fragilità, delle sue ferite, che sono anche le nostre : Abele di Abeli, tutto è Abele!

Lettera aperta Lettera aperta Lettera aperta agli abitanti della terraagli abitanti della terraagli abitanti della terra

Cari abitanti del pianeta, le cose qui non vanno bene, anzi ci troviamo in una situazione critica. Chi ci guida, forse

non lo sa fare adeguatamente, o ha smarrito lui stesso la strada. Dobbiamo darci da fare noi, proprio là dove cia-

scuno si trova. E non c'è tempo da perdere.

Il programma si enuncia in tre parole: fraternità, sobrietà, solidarietà. E per chi crede, ascolto della parola di Dio

e preghiera. Insomma un nuovo stile di vita.

Un messaggio breve e chiaro: attenzione, pericolo! Sobrietà, fraternità, solidarietà, preghiera.

Per un anno, solo per un anno,

secondo la logica biblica della FRATERNITÀ

che è logica di……………………………………….

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mi impegno a

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Per la Sua forza e il nostro impegno,

a seguito del nostro Fratello Primogenito

tutti i popoli siederanno finalmente all’unica mensa,

dove c’è posto per tutti,

e formeranno un regno di giustizia e d’amore

dove tutti gli uomini si ritrovano fratelli e sorelle,

si riconoscono e si custodiscono in alleanza.

Cristo è la nostra gioia e la nostra speranza.

La Chiesa è la nostra famiglia, il mondo la casa di tutti.

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Abele, fratello senza voceAbele, fratello senza voceAbele, fratello senza voce

Qui e ora La discontinuità, la fugacità, la saltuarietà, la sospensione, a noi della strada, ci sono tutti familiari. Alcuni di noi si spostano da paese in paese, a volta anche all'estero per lavori stagionali, ma soprattutto cambiano con-tinuamente sistemazione all'interno della stessa città. Passiamo così dalla vita sulla strada in senso stretto, ad un centro di accoglienza o ci sistemiamo da un compagno che dispone di una camera ed è disposto a prendersi anche il cane, nostro compagno inseparabile e rifiutato nei dormitori e nei vari centri. Uno di noi, magari, decide di intraprendere una cura di disintossicazione, un altro finisce dentro e scompare dal-la circolazione. Un terzo si trova un lavoretto temporaneo e sparisce senza dire niente. Insomma, ci muoviamo in un mondo estremamente instabile, mobile, e alla fine, constatiamo spesso che siamo noi stessi a "venire ab-bandonati" bruscamente. Sarà forse per questo che conserviamo in noi la memoria di ogni incontro positivo, per quanto fugace. Ecco, per tutti noi, è un'esigenza fondamentale: qui ed ora, e non forse domani, che occorre impegnarsi nella relazione, esattamente come essa si manifesta, imprevista, fuggevole, ma comunque sempre unica. E sufficiente anche un solo istante di bellezza. Sarà una gioia in eterno. Tutto il resto non ci riguarda.

Chicca, la principessa de Trastevere

"Che cosa resta, quando non resta niente? Resta questo: poter essere umani verso gli altri esseri umani; Essere, gli uni per gli altri, questa ancestrale tenerezza"

(Maurice Bellet).

La tenerezzaLa tenerezzaLa tenerezza

è quando ci si sente piccoli. Così...in pezzi davanti all’altro.

Quando nel suo sguardo ci accorgiamo di esistere.

La tenerezza è quando si spartisce tutto

e la comunione nulla sottrae dal giardino segreto

che mai potrà appartenere all’altro.

La tenerezza è quando piangiamo con le lacrime dell’altro.

Quando sul suo volto s’asciugano dentro un sorriso.

La tenerezza è quando ci mettiamo in ginocchio

davanti alla libertà dell’altro.

Quando sul punto dove si apre la ferita

spunta d’un tratto l’Amore.

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Il battesimo: Il battesimo: Il battesimo: il bacio santo di Dioil bacio santo di Dioil bacio santo di Dio

Torniamo anche oggi alla pagina della Genesi, dove abbiamo

lasciato Adamo ed Eva che si ribellano: “Dio non ci ha dato

tutto quello che poteva darci, si è tenuto qualcosa per sé” e

spezzano così il legame di fiducia e di appartenenza nei con-

fronti di Dio. Anche i legami tra fratelli abbiamo visto come

siano caratterizzati dalla ferita del voler rimanere unici: Dio

non è tutto per me, lo devo condividere con qualcun altro.

Dio, non sopportando questa lacerazione, va in cerca

dell’uomo, di Adamo, di Caino, del suo popolo con il quale

intessere di nuovo alleanza.

Ma anche se tenuta in vita grazie alla fedeltà di Dio, l’alleanza

non riesce a cambiare il “cuore di pietra” e verrà continuamen-

te smentita, tradita e stravolta dal popolo d’Israele. Essa non è

che una premessa ad una alleanza nuova ed eterna, così inten-

sa e capovolgente, da configurarsi come una nuova creazione:

come dal torpore di Adamo nacque Eva, così dal sonno mortale di Gesù nasce la nuova Sposa di Cristo,

l’umanità pienamente rinnovata, sanata, rigenerata, guarita nelle sue ferite, nei suoi tradimenti, nelle sue

paure.

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Nel mistero del Battesimo, ognuno di noi diventa uomo nuovo, donna nuova, perché si trova inserito in

un dinamismo in cui la struttura originaria dell’affettività umana viene ripristinata e rigenerata.

Nell’evento del Battesimo, viene donata insomma la “guarigione dei legami”, il risanamento dei nostri

conflitti relazionali: l’essere creatura, l’essere coppia, l’essere fratelli e sorelle. “Ricevete lo Spirito Santo”:

con questo dono di unione, con questo bacio, il Risorto inaugura la nuova umanità.

Al bacio di Giuda, lo Spirito Santo nel Battesimo risponde con il bacio santo di comunione che il Cristo dà

alla Chiesa e all’umanità, al fratello peccatore e malato che siamo noi.

Preghiera dei volontari vincenzianiPreghiera dei volontari vincenzianiPreghiera dei volontari vincenziani Signore, fammi buon amico di tutti. Fa’ che la mia persona ispiri fiducia: a chi soffre e si lamenta, a chi cerca luce lontano da Te, a chi vorrebbe cominciare e non sa come, a chi vorrebbe confidarsi e non se ne sente capace. Signore aiutami, perché non passi accanto a nessuno con il volto indifferente con il cuore chiuso, con il passo affrettato. Signore aiutami, ad accorgermi subito: di quelli che mi stanno accanto, di quelli che sono preoccupati e disorientati, di quelli che soffrono senza mostrarlo, di quelli che si sentono isolati senza volerlo. Signore, dammi una sensibilità che sappia andare incontro ai cuori. Signore, liberami dall'egoismo, perché Ti possa servire, perché Ti possa amare perché Ti possa ascoltare in ogni fratello che mi fai incontrare.

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Ci auguriamo

che questa settimana di convivenza e di servizio sia stata anche per te la provocazione a speri-

mentare nuove ―attenzioni‖, destinate poi a rifluire sulla vita quotidiana e a possibilmente modi-

ficarla.

Da domani, torniamo alla vita ―normale‖ con una gioia nuova,

frutto della nostra risposta ad una chiamata di Dio:

ci decidiamo per la fraternità.

Al termine dell’esperienza, la comunità del Centro Betania invoca su di te la benedizione del Si-

gnore:

Possa il cammino venirti incontro,

possa il vento soffiare alle tue spalle,

possa il sole brillare caldo sul tuo volto,

cada dolcemente la pioggia sui tuoi campi

e, fino al nostro prossimo incontro,

Dio ti conservi sul palmo delle sue mani. (antico testo irlandese)

Suore della Carità – Pastorale Giovanile Italia Centro — Roma, agosto 2011