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Il dolore più grande Quasi non volevo crederci. Era una meravigliosa mattina di primavera, e stavo curando le mie adorate rose. Ricordo di aver pensato, anche con un po’ di fastidio: “ma non ha un altro momento? proprio adesso viene, con tutto quel che ho da fare”. Però era un bel ragazzo, asciutto e palestrato, come si direbbe oggi, gli occhi gentili e un velo di barba bionda che gli dava un pizzico piuttosto attraente di mascolina incuria. Ora non sono più una ragazzina, sicuro, ma quel tipo d’uomo mi piace ancora, forse perché nel mio intimo lo collego a quella indimenticabile mattinata, e anche perché mi ricorda il mio bambino, l’amore mio infinito; il mio bellissimo e dolcissimo fiore; la più bella di tutte le mie rose. È di lui che vi voglio raccontare. Di lui e della sua storia straordinaria. Sono orgogliosa di lui adesso come quand’era piccolino e caldo tra le mie braccia; sono stata orgogliosa di lui anche quando si metteva nei guai, ed è successo molte volte; sono stata orgogliosa di lui anche quando è tornato tra le mie braccia, ormai uomo fatto e freddo come il marmo. Tutto questo io non potevo saperlo, quella mattina. Sapevo solo che dovevo badare ai miei fiori, e dovevo anche preparare da mangiare. La mamma era al mercato in città per tentare di vendere il nostro asinello, e il peso delle responsabilità di casa era tutto mio. Capite bene che non avevo né la voglia né il tempo di ricevere gente, anche se di bell’aspetto, ma lo feci ugualmente entrare in casa. Erano altri tempi, e le porte erano sempre aperte: ospitare il viandante era considerato normale. Lo “straniero” era solo uno che veniva da un’altra parte, così, non un appestato da schivare o allontanare. A guardar bene poi eravamo tutti “stranieri”, perché nessuno di noi veniva realmente dal posto in cui si trovava in quel momento, e nozioni come “paese”, “regione”, “stato”, non avevano un gran significato. Ora non ricordo bene, ma mi pare addirittura che in quel tempo non fossero ancora state coniate quelle parole, e comunque certo non portavano con sé l’idea di “confine”. Insomma, dicevo, l’ho fatto entrare. Parlava elegante, ma non era del luogo, di questo sono sicura. E poi non è che abbia fatto chissà che discorso, anche se pareva

Paolo Sanchetti - Il dolore più grande

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A short bio of the Holy Virgin told by herself, from her very point of view. It has pleased my first readers, so the same I hope it will to you as well.

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Page 1: Paolo Sanchetti - Il dolore più grande

Il dolore più grande

Quasi non volevo crederci. Era una meravigliosa mattina di primavera, e stavo curando le mie adorate rose. Ricordo di aver pensato, anche con un po’ di fastidio: “ma non ha un altro momento? proprio adesso viene, con tutto quel che ho da fare”. Però era un bel ragazzo, asciutto e palestrato, come si direbbe oggi, gli occhi gentili e un velo di barba bionda che gli dava un pizzico piuttosto attraente di mascolina incuria.

Ora non sono più una ragazzina, sicuro, ma quel tipo d’uomo mi piace ancora, forse perché nel mio intimo lo collego a quella indimenticabile mattinata, e anche perché mi ricorda il mio bambino, l’amore mio infinito; il mio bellissimo e dolcissimo fiore; la più bella di tutte le mie rose.

È di lui che vi voglio raccontare. Di lui e della sua storia straordinaria. Sono orgogliosa di lui adesso come quand’era piccolino e caldo tra le mie braccia; sono stata orgogliosa di lui anche quando si metteva nei guai, ed è successo molte volte; sono stata orgogliosa di lui anche quando è tornato tra le mie braccia, ormai uomo fatto e freddo come il marmo.

Tutto questo io non potevo saperlo, quella mattina. Sapevo solo che dovevo badare ai miei fiori, e dovevo anche preparare da mangiare. La mamma era al mercato in città per tentare di vendere il nostro asinello, e il peso delle responsabilità di casa era tutto mio.

Capite bene che non avevo né la voglia né il tempo di ricevere gente, anche se di bell’aspetto, ma lo feci ugualmente entrare in casa. Erano altri tempi, e le porte erano sempre aperte: ospitare il viandante era considerato normale. Lo “straniero” era solo uno che veniva da un’altra parte, così, non un appestato da schivare o allontanare. A guardar bene poi eravamo tutti “stranieri”, perché nessuno di noi veniva realmente dal posto in cui si trovava in quel momento, e nozioni come “paese”, “regione”, “stato”, non avevano un gran significato. Ora non ricordo bene, ma mi pare addirittura che in quel tempo non fossero ancora state coniate quelle parole, e comunque certo non portavano con sé l’idea di “confine”.

Insomma, dicevo, l’ho fatto entrare.

Parlava elegante, ma non era del luogo, di questo sono sicura. E poi non è che abbia fatto chissà che discorso, anche se pareva molto sicuro di quel che diceva. Tanto sicuro che, quando mi ha riferito quel che stava per accadere, non mi sono neppure messa a ridere. Ho solo pensato al “come?”, e devo averlo pensato a voce alta, perché lui mi ha detto che uno spirito sarebbe sceso su di me e avrebbe pensato al resto; io dovevo solo accoglierlo senza timore, e in capo a dieci lune avrei avuto un bambino. Nientemeno.

Disse anche altre cose, ma quella sola bastò a riempirmi d’ansia.Mamma tornò dal mercato senza aver potuto vendere l’asinello, e mi

trovò già a letto che guardavo il soffitto con gli occhi spalancati, persa in quell’incredibile annuncio. Naturalmente non avevo preparato la cena, ma quando raccontai alla mamma della visita di quel giovane, lei stessa rimase incapace di far altro che camminare avanti e indietro, borbottando come un paiolo di lenticchie al fuoco, e alzando di continuo il capo in cerca d’ispirazione per il nome da dare al nipotino. Quando le dissi che anche quello

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era già deciso, mi guardò e chiese se avessi pensato all’alternativa, se fosse stata una femmina. Le spiegai che alternative non si ponevano, e che poteva mettersi il cuore in pace: sarebbe stato un maschio, e sarebbe diventato un Re. Questo era il suo destino, lo sentivo, e non mi avrebbe delusa.

* * *

Finalmente il mio piccolo nacque in una gelida notte del deserto, in un giaciglio che il mio povero sposo fu costretto ad allestire in fretta perché altrove non eravamo riusciti a trovare spazio. Ricordo che era una notte senza stelle. No, a dire il vero una stella c’era, una sola, con una specie di coda luminosissima: pareva si fosse piazzata apposta sopra di noi, perché in breve tutt’intorno cominciò a radunarsi una vera folla. Tutti avevano sentito dell’arrivo di questo bambino, e tutti volevano vederlo. Ognuno portava qualcosa, ognuno nelle sue possibilità. Quel che ci lasciò veramente di sale fu che alcuni giorni dopo, dall’Oriente, arrivò perfino una carovana di importanti signori con doni talmente sontuosi che solo la gloria di un Re ne avrebbe potuto esser degna. E questi signori come un Re lo onorarono, e ne tessero lodi talmente elevate che io e il mio sposo rimanemmo a testa bassa, timorosi di poter recar loro offesa.

Fu anche grazie a quei doni che potemmo garantire a nostro figlio un’infanzia serena, anche se le più disparate avversità ci costrinsero per i primi tempi a una vita da fuggiaschi, braccati da un potere disumano che voleva proprio il nostro bambino.

Io gli sono sempre stata accanto, per quanto ho potuto; con discrezione, ma gli ero sempre vicina, anche perché era una gioia vederlo crescere. Divenne sempre più bello e intelligente, ma anche intraprendente e di spirito libero. Non ci mancò mai di rispetto, e anzi era proprio lui che incitava tutti a onorare i genitori senza riserve. Se però aveva in mente una cosa, non c’era al mondo niente e nessuno che gli potesse far cambiare idea.

Quante volte spariva improvvisamente, e noi a cercarlo, finché magari lo trovavi al tempio, seduto con i grandi professori, a discutere con loro e spesso a stupirli con argomentazioni brillanti e ineffabili. Ma non disdegnava i giochi con i suoi coetanei, e mai rifiutava una mano al babbo in bottega, rivelandosi in poco tempo un falegname anche migliore.

Col tempo la sua fama divenne invidiabile. Girava la regione con i suoi amici più cari e fedeli, parlando a tutti e ascoltando tutti, dando ovunque prova di una mente non comune, di un fascino poderoso e soprattutto di un amore infinito. Dappertutto le sue parole infiammavano le folle senza mai provocare disordini (anche se ormai aveva iniziato a dar fastidio ai potenti, e nei palazzi si stringevano le più improbabili alleanze per arrivare a stroncarlo). Se questo preoccupava il mio cuore di mamma, pareva che lui non ne fosse minimamente toccato. Continuava a girare e a parlare alla gente; amava e si faceva amare; aiutava malati e storpi, riusciva a scacciare il demonio dalle menti, compiva prodigi di cui si parla ancora oggi.

Però la malinconia scuriva spesso i suoi occhi buoni. Credo infatti che abbia sempre saputo cosa ne sarebbe stato della sua vita, anche se non era per sé che soffriva, ma per la convinzione tutta umana di non esser riuscito a fare di più; la frustrazione di avere troppo poco tempo per fare tutto quello che sentiva di poter fare.

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* * *

Con il tempo ognuno di noi inizia la sua esperienza di dolore: cominciano ad andarsene prima i più vecchi, poi qualche amico, qualche altro parente. Prima o poi purtroppo se ne vanno i genitori, i fratelli. Nel frattempo invecchi anche tu, e ti scopri immancabilmente a pensare più di quanto ti piaccia che l’orologio che batterà la tua ora è già stato costruito, caricato e puntato in maniera inesorabile.

Eppure neanche questo in fondo ti sembra poi così doloroso: è un’idea con la quale impari a convivere, magari fastidiosa sotto pelle, ma sopportabile.

Nulla invece ti prepara al dolore assoluto. Non c’è raziocinio che arrivi in soccorso alla mamma che ha tenuto in grembo il suo bambino, che lo ha visto crescere ma non invecchiare, e che a un certo, orribile punto, se lo vede togliere dalla perfidia del fato o da quella degli uomini.

Povero figlio mio, i suoi pochi anni sono volati in un istante. A me è rimasta la gioia di averlo donato al mondo, la certezza di aver avuto in dono un gioiello inestimabile, lo strazio nel vederlo morire e l’osceno, eterno strappo che costringe una mamma a sopravvivere alla sua creatura.

Potete amare qualcuno quanto volete, potete dire a qualcuno “ti amo da morire” o, che so, “ti amo alla follia”. In qualche momento della vita sarà anche vero. Proverete delle perdite dolorose, altre un po’ meno; soffrirete per la morte di un giovane amico, di un amato fratello, di una sposa dolce, di una mamma eccezionale. Piangerete stringendo il forte braccio del papà che vi sorreggeva da piccoli, divenuto esile e poroso nella vecchiezza. Sarete preparati ad accettare una malattia che vi sta rubando una persona cara; accetterete un incidente che vi lascia orfani.

Mai però sarete preparati al dolore di mamma, a quel fuoco infame e impietoso che vi porta via la vita lasciandovi vivi.

Neanche quel grande medico che si chiama Tempo può nulla per una ferita del genere: la sua medicina è sostanza inerte e impotente.

* * *

Io ero stata preparata, sapete? Sapevo che avrei avuto il mio bambino, come sapevo che l’avrei perduto. Bene, questa consapevolezza non mi è stata di alcun aiuto lì su quella collina, dove il mio cuore ha iniziato a sanguinare per sempre. Non mi è stata di alcun aiuto quando mi hanno portato il mio bambino e me l’hanno messo in braccio; quando mi sono bruciata la gola a furia di gridare al vento il suo nome, quando mi sono lacerata gli occhi con lacrime di vetriolo, urlando il mio bestiale conato di una liberazione mai venuta.

Perché vi dico queste cose, oggi che anch’io come lui sono stata accolta in un posto migliore, e malgrado tutto continuo come lui a venire tra di voi continuamente, anche se a malapena ve ne rendete conto?

Perché siete tutti figli miei, ecco perché, e perché io sto male quando state male voi. Perché io piango quando siete smarriti e sorrido quando vi vedo sereni.

Rivolgetevi pure a me quando vi sentite soli, quando qualcosa va storto, ma ricordatevi di me anche quando le cose vanno bene, perché io godo della vostra felicità, e farò sempre tutto quel che posso per aiutarvi. Vogliate quindi

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bene a me, ma non dimenticate mai il consiglio, anzi l’ordine quasi forsennato di mio figlio: vogliatevi soprattutto bene tra di voi.

Chissà, se un giorno riuscirete tutti a mettere in pratica questo, forse potreste addirittura arrivare a non aver più bisogno di me…

… esagero, naturalmente.

Una mamma