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Paper Difesa e Sicurezza – Febbraio 2017 The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence 1

Paper Difesa e Sicurezza Febbraio 2017 - The Alpha Institute · con la diffusione della retorica jihadista contemporanea. La definizione dell’immigrato di fede islamica come minaccia

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Paper Difesa e Sicurezza – Febbraio 2017

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The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence

Paper Difesa e Sicurezza

Le rotte del jihadismo: Europa sotto assedio?

Alessandro Biafora

Roma, febbraio 2017

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The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence 3

INDICE

La galassia jihadista e la dis-unione della politica di sicurezza europea

La diffusione della dottrina jihadista nella modernità

La propaganda per la rivoluzione islamista in Europa

Il traffico dei migranti tramite il checkpoint turco: l’instabilità dei confini

Conclusioni e considerazioni

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Le rotte del jihadismo: Europa sotto assedio? Alessandro Biafora

La galassia jihadista e la dis-unione della politica di sicurezza europea

La crisi sociale nella polveriera etnica, multi-culturale e confessionale europea, aggravata dall’instabilità dei flussi migratori provenienti dal Vicino Oriente, continua sempre più a porre in evidenza le contraddizioni ideologiche e politiche della dis-unione regionale del Vecchio Continente sul tema di sicurezza e difesa, rischi che si fondono con la diffusione della retorica jihadista contemporanea. La definizione dell’immigrato di fede islamica come minaccia allo stile di vita occidentale, sfocia nella pericolosa assimilazione dei concetti di l’Islam e Jihadismo, tale da far ripiombare l’Occidente nell’imperdonabile errore di sviluppare, all’interno delle proprie società e nelle decisioni politiche, nuove forme di razzismo. Per questo motivo, occorre evitare equazioni fuorvianti. L’Islamismo è l’interpretazione politica e talvolta violenta dell’Islam, che mira al ritorno all’antica gloria islamica con l’istituzione del califfato e l’applicazione della shar’ia1, consentendo l’unificazione della religione allo Stato (al-din wa al-dawla). Tale percorso, che rappresenta l’evoluzione della crisi post-coloniale e l’avvento della globalizzazione nel Medio Oriente, può essere realizzato tramite il rovesciamento dei regimi corrotti filo-occidentali e, a livello internazionale, si oppone all’alleanza ameicana-israeliana considerata antitetica al progetto dei militanti islamisti. Queste nozioni nella retorica islamista portano Sayyid Qutb, uno dei teorici più eminenti dell’Islamismo a partire dagli anni ‘60, a teorizzare i concetti di ʿubūdiyya (adorazione) e ḥākimiyya (assoluta sovranità divina). Il primo termine indica che Allah è l’unico degno di adorazione, mentre il secondo implica l’assoluta sovranità di Dio sulla società. Coloro i quali non si conformano a queste architravi del pensiero islamico sono riconducibili all’era della jahiliyya, concetto che originariamente indica l’epoca anteriore all’avvento dell’Islam, contrassegnata dalla corruzione e dall’ignoranza, e che viene reso a-temporale, attualizzato per definire le società contemporanee del mondo musulmano colpevoli di apostasia volontaria (kufr), essendosi allontanate dai dettami islamici. La lotta alla miscredenza e al materialismo occidentale, sia nel dar al-islam che nel dar-al harb, può essere perseguita tramite un unico mezzo politico e militare, il jihad2: per identificare correttamente la sua connotazione all’interno della struttura culturale islamica, bisogna inquadrare la prospettiva classica e, come detto, la sua strumentalizzazione politica moderna. Innanzitutto il jihad è divenuto un termine erroneamente associato alla guerra santa per definire le crudeltà terroristiche, ma esso

1 Bassam Tibi, "Islamism and Islam" Yale University Press, New Haven and London, 2012. 2 Riccardo Redaelli, "Fondamentalismo Islamico", Giunti Editore, 2007.

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si riferisce etimologicamente e più semplicemente all’idea di “sforzo” e di “tensione verso un miglioramento”. La dottrina giuridica musulmana classica ha codificato quattro modalità in cui quest’ultimo può esser applicato: il jihad dell’animo, della parola, della mano e della spada. I primi tre rimangono all’interno della sfera dell’impegno etico e morale personale definiti come “grande jihad”. Il “piccolo jihad” sarebbe quello armato, ossia con la spada. Quest’ultimo rappresenterebbe un obbligo per la comunità dei credenti per la difesa o l’espansione dell’Islam tramite conflitti (e non con il terrore), il quale deve essere combattuto contro i pagani, politeisti (mushrikun) e i miscredenti (kafirun o kuffar), dopo chiari inviti di conversione, e nei confronti degli apostati (irtidad). Il jihad non può essere diretto contro cristiani, ebrei e zoroastriani, definiti come ahl al-kitab (“gente del Libro”), a meno che essi non minaccino l’esistenza della umma. In ogni caso-secondo la dottrina classica-esso deve risparmiare donne, bambini, anziani ed infermi. Avendo così delineato la dottrina del jihad classico, si può comprendere come esso si discosti radicalmente dai precetti jihadisti e sia utilizzato come arma vitale nel modus operandi dei movimenti terroristici contemporanei. Il jihad-ismo può esser inteso come un neologismo, utilizzato per descrivere azioni violente e di matrice terroristiche perpetrate da gruppi armati che ne rivendicano la legittimità e l’efficacia sulla base di una personale interpretazione del contenuto teologico dell’Islam. In particolare, la sua formulazione sembra suggerire l’incontro e la saldatura tra l’immaginario dei movimenti ideologici totalitari novecenteschi e l’ideale del jihad come lotta armata. Questi attori tramutano in realtà un’utopica legittimazione tratta dalle fonti dell’Islam facendo leva su sentimenti quali l’umiliazione, la rabbia, la sofferenza e l’impotenza che contraddistinguono numerosi paesi medio orientali reduci dalla dominazione coloniale europea e dagli interventi militari moderni all’interno di due fazioni distinte da: il “vero Islam” e la miscredenza. Ogni fedele viene posto dinnanzi ad una scelta: unirsi alla schiera dei credenti o essere considerato come un nemico. Per questi ultimi la condanna è netta: classificati come kuffar, divengono passibili di uccisione. Da questi presupposti la strategia totalitaria del terrore mira ad essere l’arma e il simbolo al fine di ridurre la disparità tra attori non statali e forze armate regolari e, colpendo direttamente il nemico al suo interno, ha l’obiettivo di acutizzare la percezione di insicurezza sino a spaventare la controparte tanto da paralizzarla all’inazione politica o obbligarla ad una reazione spropositata. Un risvolto di questo genere nel contesto moderno rispecchierebbe perfettamente la logica asimmetrica dei gruppi jihadisti3. Sulla scia dell’azione jihadista, da al-Qaeda a Daesh, l’Europa si è riscoperta estremamente fragile alla costante minaccia su obiettivi che sfuggono da misure di sicurezza stringenti. Guardando alle dinamiche nell’esecuzione degli attentati perpetrati nel cuore dell’Europa negli ultimi anni, Berlino (19 dicembre 2016), Saint-Étienne-du-Rouvray (26 luglio 2016), Monaco (22 luglio 2016), Nizza (14 luglio 2016), Bruxelles (24 maggio e 22 marzo 2016), Parigi (7 gennaio e 13 novembre 2015), si evidenzia come

3 Andrea Plebani, Jihadismo globale “Strategie del terrore tra Oriente e Occidente", Saggi Giunti Orizzonti, 2016.

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l’attenzione jihadista sia rivolta contro i soft target. Questi ultimi si caratterizzano per un alto grado di vulnerabilità, in termini di accesso e riuscita di un eventuale attacco, rispetto agli hard target o obiettivi sensibili, caratterizzati dalla presenza di misure di sicurezza atte a neutralizzare possibili attacchi terroristici, nonostante abbiano un appeal mediatico e simbolico più rilevante. I soft target includono chiese, scuole, centri commerciali, manifestazioni, eventi sportivi, centri di incontro e di ricreazione frequentati da un elevato numero di persone. Questi sono fondamentalmente diversi dagli hard target in termini di misure di sicurezza esistenti, come per esempio in tribunali, basi e installazioni militari, edifici governativi, aeroporti e simboli nazionali di un paese. Questi luoghi, dotati di videosorveglianza e personale di sicurezza, sono di piena responsabilità statale mentre, al contrario, i soft target sono a carico dei proprietari e degli operatori privati, i quali non hanno l’esperienza o le risorse sufficienti per munirsi di strumenti che possano garantire una prevenzione nei confronti di attentati. Nell’ottica jihadista è di cruciale importanza instillare il terrore nella vita quotidiana e, per questo, spesso si scelgono di attaccare obiettivi collaterali piuttosto che quelli su cui vengono preventivamente adottate misure più ferree. Un approccio per minimizzare il rischio incombente su questi obiettivi consiste nell’intraprendere una collaborazione fattiva tra pubblico e privato tesa ad individuare ed attuare una robusta metodologia di analisi di rischio e ridurre le conseguenze di potenziali attentati terroristici. L’Unione Europea, dopo gli attacchi terroristici subiti dal al-Qaeda ad inizio del nuovo millennio, ha promosso una strategia di sicurezza e difesa nella lotta contro il terrorismo nel 2005 e in vigore ancora oggi, incentrata su quattro pilastri: prevenzione, protezione, perseguimento e risposta.

L’impegno a combattere il terrorismo per un’Europa più sicura, avviene tramite la prevenzione contro le cause e le motivazioni che possano condurre alla radicalizzazione e al reclutamento.

Attuare politiche di protezione nei confronti dei cittadini e delle infrastrutture soggette a possibili attacchi rafforzando, in secondo luogo, la sicurezza alle frontiere.

Creare un sistema di persecuzione dei terroristi su scala mondiale, ostacolandone e limitandone la comunicazione e i finanziamenti, oltre che i materiali necessari per l’attuazione di attentati.

Applicare una risposta effettiva e risolutiva a tali minacce, migliorando le capacità di gestione e coordinamento tra gli Stati membri.

Questi principi rientrano nella struttura basilare della nuova agenda sulla sicurezza europea emanata il 28 aprile del 2015 a Strasburgo, in seguito alla ripresa della nuova campagna jihadista in Europa per mano dell’autoproclamato “Stato Islamico”. L’agenda mette in luce la necessità di collaborare meglio sulla sicurezza tramite lo scambio di informazioni con un aumento della fiducia reciproca tra i membri nel far fronte all’instabilità contro il terrorismo. Per questi motivi le priorità odierne della politica europea, come stabilito dalle nuove sfide alla sicurezza, si basano sul deciso contrasto delle reti transazionali terroristiche, criminali ed informatiche che cooperano tra loro e per questo richiedono un’immediata azione comune. Oltre alle operazioni di mutua

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sorveglianza ed esecuzione, l’Europa auspica di accrescere le competenze dell’Europol tramite un centro anti-terrorismo, istituito nel corso nel giugno del 2016, che possa garantire un’ottimizzazione delle risorse e degli strumenti esistenti con la massima riservatezza nella condivisione di informazioni sui soggetti che presentano un alto rischio di radicalizzazione. Inoltre, mira all’implementazione dell’Eurojust, il quale dovrebbe essere pienamente coinvolto nelle attività per migliorare il coordinamento delle indagini e delle azioni penali. Nonostante la definizione di queste linee guida in materia di sicurezza e difesa, risultano sempre più lampanti i casi in cui la collaborazione tra i membri viene meno. Infatti, la mancanza di un accordo comunitario sulla crisi dei migranti accentuata dal contesto socio-politico di crisi economica aumenta la percezione di instabilità nei confronti di uno straniero che fatica ad integrarsi nelle nostre società, che per marginalizzazione o cause personali, viene attratto dal proselitismo jihadista. Attualmente tale rischio è accentuato dalla dis-unione politica ed ideologica che rende l’Europa instabile, poiché gli Stati agiscono gelosamente in difesa dei propri interessi di sicurezza in un’epoca, nella quale, non sono più in grado di assicurarla unilateralmente. La diffusione della dottrina jihadista nella modernità

L’esplicita esigenza di associare il jihadismo alla violenza, si rispecchia nell’identificazione di un nemico (near and far enemy) da estirpare ad ogni costo e con ogni mezzo, obiettivo che è al centro del progetto politico e comunicativo del Daesh. Dal punto di vista ideologico, il messaggio jihadista evidenzia una stretta correlazione tra l’istituzione del califfato e l’applicazione della shar’ia, favorendo di fatto un’associazione indissolubile tra violenza e religione. Tale risultato viene conseguito tramite una duplice operazione: da una parte la violenza, mediatizzata attraverso la diffusione di immagini e testi che esaltano il monopolio dell’uso della forza (guerra, punizione del nemico, somministrazione della punizione, ecc); dall’altra, l’esposizione costante della violenza produce un’assuefazione della stessa fino a farla divenire giustificata e legittima. Patrocinando una retorica che fonde i precedenti punti, il Daesh mira ad affascinare nuovi combattenti da reclutare nelle sue file a livello regionale e/o internazionale, avvalendosi di sapienti strategie comunicative in rete, proseguendo sulla scia qaedista nella “guerra de-territorializzata”4 da combattere contro il nemico ovunque esso sia. La forza del messaggio di matrice jihadista si fonda, oggigiorno, su di una struttura polivalente costituita da:

Un esperto uso dei social media (Facebook e Twitter) che permette di attrarre nuovi soggetti e spingerli alla radicalizzazione ed emulazione delle gesta del sedicente Stato Islamico.

La comunicazione dell’orrore tramite la diffusione di video di decapitazioni ed esecuzioni con lo scopo di mostrare la brutalità della morte e promuovere reazioni affettive. Questo mezzo ha l’obiettivo di raggiungere l’ampio pubblico

4 Andrea Plebani, Jihadismo globale "Strategie del terrore tra Oriente e Occidente", Saggi Giunti Orizzonti, 2016.

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occidentale, facendo scaturire da un punto di vista emozionale, terrore e minaccia.

Il flusso incessante di informazioni dal califfato tale da creare un canale sempre più solido tra l’organizzazione e i potenziali sostenitori.

Un procedimento di contro-informazione indirizzato ad un pubblico occidentale competente ed interessato, risaltando la contrapposizione tra la strategia dell’Isis e l’agenda pubblica occidentale.

Gamification: piattaforme ideate appositamente per attrarre ed incitare alla violenza i giovani (non solo islamisti), sfogando le loro aspirazioni virtuali nella realtà.

Magazine ed E-book (Dabiq e Inspire), rivolti principalmente ai foreign fighters, forniscono una base strategica, politica ed ideologica da attuarsi nei vari contesti regionali ed internazionali contro il nemico. Dabiq rappresenta la piattaforma comunicativa per eccellenza del califfato, pubblicato in diverse lingue a partire dall’inglese. Si autodefinisce come un magazine focalizzato sulle questioni dell’unità divina (tawhid), della ricerca della verità (manhaj), delle migrazioni (hijra), del jihad e della vita della comunità islamica (jama’a).

Dal punto di vista politico-ideologico, questa struttura comunicativa ha un forte impatto globale: manifesta la legittimazione e la grandezza del califfato nei confronti del nemico vicino e lontano. Il near enemy del Daesh sono gli sciiti, yazidi, cristiani e curdi stanziati tra Siria e Iraq, sui quali espandere la propria area di influenza e controllo con l’imposizione della legge islamica. Il far enemy si identifica negli Stati Uniti e nei loro alleati, colpevoli di aver condannato la popolazione islamica alla sofferenza e corrotto i sistemi di governo regionali. Tale opposizione, inoltre, ha anche una sua tracciabilità storica, con riferimento all’Europa tra l’esperienza coloniale e l’influenza esercitata da Inghilterra e Francia a seguito degli accordi di Sykes-Picot del 1916. Proprio questa tematica converge al centro dei proseliti e del messaggio del sedicente Stato Islamico, diffuso mediante la predicazione da parte di al-Baghdadi, all’interno della moschea di Mosul, con l’intento chiaro di portare a termine ciò che al-Qaeda ha lasciato incompiuto. La creazione di uno Stato Islamico, che rappresenti l’ambiente ideale per tutti i “veri” credenti e abbia il pieno controllo della società in tutti gli ambiti, scaturisce dall’intento sia di difendere l’esistenza dell’Islam dalla cospirazione globale che dal sentimento di ingiustizia e sofferenza cui il Medio Oriente è stato protagonista negli ultimi decenni. Il passato coloniale e le politiche militari odierne rendono l’Europa il vero obiettivo della strategia islamista, considerando l’alto numero di foreign fighters che hanno deciso di sposare la causa del Daesh sia in Medio Oriente che nel continente europeo con particolare riferimento alla Francia, rea di partecipare attivamente all’azione militare contro il “califfato”. Quest’ultima, infatti, occupa uno spazio a se stante nell’immaginario del mondo arabo, dalla Siria al Maghreb per quanto riguarda l’assetto geopolitico, le relazioni diplomatiche e gli interventi militari. Basti pensare al dispositivo militare francese nel Sahel e anche alla partecipazione nella coalizione per combattere l’Isis nell’area siro-irachena. Inoltre, sul piano interno, ha una vasta comunità araba e

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musulmana, con riferimento soprattutto alle persone emarginate e con scarso grado di educazione che, attratti dal messaggio jihadista, decidono di abbracciarlo per farsi giustizia nei confronti di una mancata integrazione all’interno di una società occidentale incapace di offrire uguaglianza e condizioni di vita dignitose. Per questi motivi il disegno jihadista trova terreno fertile in Europa sia tramite il suo appeal mediatico che militare, offrendosi come garante di un movimento pronto a vendicare le ingiustizie e le vergogne subite dalla umma, con l’intento di convogliare sempre più soggetti verso il jihad. La propaganda per la rivoluzione jihadista in Europa

La comunicazione svolge, come visto, un ruolo cruciale nella strategia di arruolamento dello Stato Islamico, accompagnando il fruitore dalla radicalizzazione all’azione. Questo fenomeno sta aumentando sempre più nella modernità e necessita di un approccio dettagliato ed accurato per comprendere le diverse modalità su come esso si realizzi. Innanzitutto, occorre distinguere tre concetti che, sebbene complementari, sono causati da fattori diversi: la radicalizzazione, il reclutamento e il linkage. La radicalizzazione può essere definita come il meccanismo attraverso il quale individui e/o gruppi fanno della violenza il loro strumento di azione politica. Per meglio analizzare tale concetto, è necessario ricorrere a due approcci: top-down e bottom-up. Il primo fa riferimento a tutte quelle situazioni in cui un gruppo jihadista ha intenzione di affascinare nuovi potenziali terroristi, introducendoli alla dottrina radicale e, dopo questo procedimento, inserirli all’interno dell’organizzazione. Il secondo, invece, è un processo indipendente conseguito a livello individuale o mediante reti sociali personali. La maggior parte dei casi si verifica all’interno di piccoli gruppi, dove gli individui vengono spinti verso il pensiero fondamentalista da parenti e amici che li inseriscono all’interno di organizzazioni e reti islamiste. Gli attori che ruotano attorno a queste dinamiche sono rappresentati da predicatori radicali di alcune moschee, veterani di guerra che hanno trascorso un periodo considerevole a combattere nelle file estremiste dal Maghreb al Mashrek, ed esperti della comunicazione sui social network, i quali si adoperano nel fornire materiali propagandistici per i potenziali simpatizzanti. Queste figure hanno contatti diretti con i vari gruppi militanti in Medio Oriente, e la loro propaganda ha come primo obiettivo quello di raggiungere la massa, e non solamente il singolo individuo. La seconda fase, il reclutamento, può essere concepita come “l’assunzione” di un nuovo membro all’interno di una cellula. Questo processo avviene tramite il linkage tra un individuo radicalizzato che cerca di mettersi in contatto con diverse organizzazioni che operano nell’area di riferimento. Sebbene l’approccio bottom-up sia particolarmente attuato in questa fase, vi sono numerosi casi di movimenti jihadisti come Hamas i quali prediligono un procedimento “top-down” che coinvolge diversi membri dell’organizzazione intenti a reclutare nuovi soggetti tramite le scuole, circoli sociali e i simpatizzanti in un percorso che va dall’indottrinamento ideologico all’addestramento militare. Tale approccio viene anche adottato da al-Qaeda e dai suoi gruppi alleati in diverse parti del mondo, dalla Somalia alle Filippine. Ma in Europa, le dinamiche si distinguono radicalmente. Nonostante il fatto che vi sono alcune eccezioni (come le reti

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di al-Shabaab) al-Qaeda e Daesh non adottano un approccio top-down ma bensì bottom-up. Infatti, queste organizzazioni hanno l’obiettivo di attrarre e reclutare nuovi militanti all’interno del Vecchio Continente inviando dei reclutatori al fine di individuare nuovi possibili soggetti da radicalizzare sul campo. Ciò che spesso avviene è appunto il “linkage” tra gli individui già radicalizzati e una delle cellule presenti in Europa, in un procedimento che vede coinvolto in prima persona il soggetto che cerca di affiliarsi alla cellula. Per questi motivi, il reclutamento in Europa esiste non solo tramite l’approccio top-down ma sopratutto con il bottom-up che viene meglio definito come linkage. Non è un caso che oggi questo processo risulti altamente diffuso in Europa alla luce dei recenti attacchi terroristici. Le motivazioni che spingono un soggetto ad assorbire l’ideologia islamista non sono pre-determinate, e ricoprono un’ampia gamma di variabili che vanno da ragioni psicologiche a quelle personali. Inoltre, esse fanno riferimento ad un processo di mancata integrazione sociale della seconda e terza generazione di immigrati, che perdono la propria identità e maturano dentro di sé rabbia e disprezzo verso una società incapace di includerli attivamente nel sistema occidentale. Una volta completato il percorso di radicalizzazione e di indottrinamento, il jihadista è pronto all’azione. Da questa premessa, le figure che hanno svolto un ruolo cardine nell’attuazione degli attentati negli ultimi anni sono i foreign fighters e i “lupi solitari“. Il primo termine indica tutti quei combattenti radicalizzati in Europa e da altre parti del mondo che, mediante il meccanismo di persuasione e reclutamento precedentemente illustrato, decidono di intraprendere il viaggio verso la Siria e l’Iraq per schierarsi nelle fila dell’Isis (o di altri gruppi estremisti). Dal 2014, sono circa 20.000 i combattenti che hanno scelto questa strada, e il pericolo è che possano diventare delle vere e proprie mine vaganti: da un lato, prendendo parte ai conflitti in Medio Oriente, c’è il rischio che contribuiscano a prolungarlo, accentuandone l’efferatezza. Ma d’altro canto, la preoccupazione per la sicurezza interna dell’Unione è il fenomeno del blowback, cioè gli effetti che potrebbero verificarsi al loro ritorno nei paesi d’origine, o in un terzo paese, una volta conclusa l’esperienza bellica. L’evidenza empirica dei precedenti conflitti dimostra che solo un’esigua minoranza di foreign fighters è risultata coinvolta in attività terroristiche dopo il ritorno in patria. Soltanto pochi reduci dello jihad iracheno, infatti, hanno partecipato ad atti terroristici in Occidente. Se l’equazione che eguaglia ciascun foreign fighter a un terrorista non è giustificabile sul piano scientifico, è altrettanto evidente, però, che la minaccia costituita dai cosiddetti “jihadisti di ritorno” è ugualmente elevata per la sicurezza europea. Invece, i “lupi solitari“ sono tutti quegli individui che si auto-radicalizzano ed agiscono pressoché indipendentemente, spesso entrando in contatto con cellule estremiste tramite Internet, le quali fungono da centri di comando e di controllo per l’esecuzione dell’azione armata. Lo scopo attribuito ai “lupi solitari” è quello di compiere attentati contro una parte della società, atti che sono giustificati sia politicamente che religiosamente, ed hanno lo scopo di influenzare l’opinione pubblica e il decision-making politico. Possono, oltretutto, agire indistintamente da queste motivazioni, perseguendo invece quelle di natura personale. Per questo motivo, distinguiamo un approccio sia organizzativo, come la carneficina del Bataclan, che quello attuato dai “lupi

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solitari” con tattiche low-cost come il conclamato caso della metropolitana di Londra nel 2015. Identificare e perseguire questi soggetti è estremamente complicato poiché le loro intenzioni non possono essere soggette ad una prevenzione efficace e diretta solo verso un individuo considerato “pericoloso”. Per questi motivi, una maggiore cooperazione a livello di intelligence europea può effettivamente esercitare un controllo sui soggetti che mostrino inclinazioni radicali, monitorandoli ed intervenendo prima del compimento delle loro azioni, jihadiste e personali.

Il traffico dei migranti tramite il checkpoint turco: l’instabilità dei confini

Il crescente flusso migratorio proveniente dal Medio Oriente e dal Nord Africa, rispettivamente causate dalla crisi siriana e libica, accende il dibattito socio-politico sulla questione della sicurezza e difesa dei confini nei confronti delle possibili infiltrazioni di foreign fighters e terroristi, pronti a colpire in Europa. Le rotte maggiormente utilizzate per lo sbarco nell’area Schengen sono le seguenti:

La nord-africana (o del Mediterraneo centrale): è la principale rotta per l’accesso alle coste italiane. Tale, viene intrapresa da popolazioni provenienti dall’Africa sub-sahariana e rappresenta la più pericolosa e costosa di quelle percorribili.

La rotta anatolica-balcanica: particolarmente utilizzata dai migranti del Vicino Oriente (Siria, Palestina, Iraq) e dall’Asia (Pakistan, Afghanistan e Bangladesh). Il tragitto per raggiungere l’Europa può suddividersi attraverso due modalità: quella marittima, che si focalizza attorno all’approdo in Grecia, e quella terrestre, riguardante il ventre “molle” europeo, i Balcani.

Il trasferimento dalle aree di origine a causa di guerre o semplicemente per motivi economici e personali, si fonde con la criminalità organizzata e transnazionale coinvolta nel riciclaggio di denaro, droga, traffico di armi e di esseri umani. Queste reti organizzate forniscono, inoltre, sostegno logistico in termini di fluidificazione e permettono la permeazione all’interno della Comunità Europea tramite la produzione di documenti falsi o rubati. Il fenomeno della migrazione costituisce un’emergenza multiforme, che va dall’aspetto umanitario-sanitario a quello della sicurezza. In tale prospettiva, un ruolo fondamentale è giocato dall’intelligence nazionale ed europea, rivolta all’individuazione delle possibili contaminazioni tra immigrazione clandestina e terrorismo. La percezione che gruppi terroristici possano gestire il flusso migratorio derivanti dai contesti di crisi siriana, irachena, libica, sub-sahariana e del Corno d’Africa, assume una dimensione reale nel contesto di un’Europa sotto assedio. Con particolare riferimento all’Isis, vi è una stretta connessione tra l’incremento delle violenze regionali condotte dall’organizzazione e le migrazioni di massa tramite il corridoio turco. Proprio per questo motivo le politiche di sicurezza e difesa promosse dall’Unione sono volte ad arginare e controllare meglio il flusso spropositato proveniente dal Vicino Oriente. Per rispondere a tale instabilità, l’accordo sui i migranti tra Europa e Turchia, siglato il 18 marzo 2016, costituisce un passo cruciale nel controllo dei flussi migratori. Questo progetto prevede l’erogazione di 3 miliardi di euro per consentire una coordinazione migliore per la gestione dei rifugiati siriani, da utilizzarsi particolarmente in materia di

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visti. Per questo sarà necessario incrementare lo scambio di informazioni e collaborazione con le forze di polizia e la guardia costiera turca. La Turchia ha accettato la norma sul rapido rimpatrio di tutti i migranti e coloro i quali necessitano protezione internazionale nella tratta verso la Grecia. Inoltre, le due controparti, si impegnano ad intensificare le misure contro i trafficanti attraverso le seguenti modalità:

I migranti irregolari sulla tratta orientale saranno rimpatriati in Turchia dalle isole greche nel pieno rispetto del diritto internazionale, escludendo qualsiasi forma di espulsione collettiva.

I migranti che raggiungeranno le isole greche saranno registrati e potranno inoltrare la domanda d’asilo, in cooperazione con UNHCR.

Saranno garantiti nuovi canali umanitari attraverso cui ogni profugo siriano ricondotto in Turchia verrà trasferito a sua volta in Europa.

Dal punto di vista politico turco, l’accordo permette la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, entrando di fatto all’interno degli accordi di Schengen. L’Unione, inoltre, si impegna a fornire aiuti economici alla Turchia nella gestione della crisi dei migranti con una possibile aggiunzione di altri 3 miliardi entro il 2018. L’ultima condizione, forse la più importante, implica un’accelerazione dei negoziati verso l’adesione della Turchia all’interno dell’Unione Europea, che a seguito del tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, la ripetuta violazione dei diritti umani e di espressione e la partecipazione politico-militare ambigua nel contesto siriano, fa propendere l’ago della bilancia verso una prospettiva di interesse egemonico nel Medio Oriente piuttosto che una possibile adesione comunitaria. L’altro aspetto da tenere in considerazione per analizzare il fenomeno europeo sull’immigrazione è quello interno, ove vi è la crescente percezione dei migranti come una minaccia nel loro inserimento sociale. Proprio su questo aspetto, l’Europa ha manifestato una crescente preoccupazione, specialmente nei confronti delle minoranze musulmane. Gli attacchi terroristici conducono ad un processo di esclusione piuttosto che di inclusione, alimentando sfiducia e diffidenza nei confronti della diversità culturale e religiosa. Un dibattito politico che pone al centro il concetto di multiculturalismo, ora necessita di un nuovo impegno per “un’integrazione civile” per quanto riguarda l’aspetto linguistico, storico e legislativo nel rispetto dei valori democratici e delle istituzioni. Sulla scia di un mancato e funzionale processo integrativo che ha contraddistinto la vita sociale europea degli ultimi anni, oggi occorre più che mai un progetto per il presente e futuro incentrato sulla coesione sociale, sulla diversità, sull’uguaglianza, sul dialogo interculturale e non sulla discriminazione. Alla luce di queste tematiche è necessario porre in rilievo 3 aspetti fondamentali: l’Unione Europea deve impegnarsi di più nel creare una collaborazione tra i governi degli Stati membri su questi imperativi. Secondariamente, le Istituzioni hanno raggiunto risultati soddisfacenti nel coordinare politiche di sicurezza e controllo delle frontiere, ma i traguardi raggiunti da un lato collidono con la collaborazione per la suddivisione del numero dei migranti. Ciò deve esser perseguito mediante una miglior governance nei processi civici e di integrazione sociale all’interno di ogni singolo Stato. Ed infine il ruolo delle Organizzazioni Non Governative, con particolare riferimento a quelle operanti nell’ambito religioso nella società secolarizzata, sponsorizzano il dialogo tra gli attori

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comunitari e religiosi. Connesso a questa attività, una partecipazione più intensa dei migranti e delle loro associazioni nel perseguimento della coesione sociale deve essere rafforzata. La costante pressione migratoria cui l’Unione Europea è soggetta, si fonde con i recenti attacchi terroristici, aumentando l’insicurezza e l’instabilità nei confronti della possibile infiltrazione dei foreign fighters nelle rotte dei migranti. Oltre a questo aspetto, si considera anche come il traffico dei migranti venga utilizzato dalle organizzazioni terroristiche per finanziare le proprie attività. Sebbene non vi siano concreti segnali di un possibile collegamento, non può essere esclusa questa prospettiva. Infatti, a seguito delle investigazioni dell’attentato del 13 novembre 2015 a Parigi, è stato scoperto che due degli attentatori sono entrati in Europa tramite la Grecia, nel flusso dei migranti provenienti dalla Siria. Un rischio destinato ad incrementare, su questo fronte, con il proseguimento delle attività armate contro l’Isis. Per questo motivo è necessario porre un rimedio tramite accordi bilaterali con gli Stati per arginare il flusso, una migliore coordinazione regionale ed internazionale per il problema dei profughi e nuove politiche di sicurezza che permettano di identificare a chi approda in Europa. Dal punto di vista sociale, invece, è necessario creare uno spazio di mutua comprensione per evitare discriminazioni, poiché proprio sul sentimento di disuguaglianza, rabbia, frustrazione ed esclusione sia economica che sociale fa leva il messaggio jihadista, al fine di fomentare una rivoluzione islamista degli oppressi contro gli oppressori occidentali.

Conclusioni e considerazioni

La dis-unione politica europea nei confronti della crisi dei migranti e l’esposizione agli attentati terroristici negli ultimi anni, aumentano l’instabilità in termini di sicurezza sia nei confronti del nemico esterno che quello interno, tramite la pericolosa associazione tra i migranti di fede islamica e Jihadismo. Attuando una dettagliata distinzione tra Islam ed invenzione della tradizione islamista, abbiamo individuato il percorso della retorica jihadista nella sua radicale opposizione nei confronti di un Occidente secolarizzato, imperialista e spietato nei confronti della comunità islamica. Un nemico da combattere in qualsiasi modo e in qualsiasi mezzo tramite il terrore, unica strategia per immobilizzare l’avversario e costringerlo ad una resa o ad una reazione spropositata. Per questo motivo, gli attacchi terroristici perpetrati nel cuore dell’Europa sui soft target hanno lo scopo di eludere la sicurezza e di minare lo stile di vita occidentale. L’Unione Europea ha reagito a tale minaccia introducendo una strategia incentrata su quattro pilastri: prevenzione, protezione, perseguimento e risposta. Questo dispositivo presenta luci e ombre: gli Stati faticano a collaborare attivamente nello scambio di informazioni per una funzionale lotta preventiva contro tutti quei soggetti pronti a compiere il martirio jihadista in Europa. In opposizione agli strumenti di sicurezza, l’Isis si è fatta promotrice di un’efficientissima struttura comunicativa per la diffusione della sua propaganda in Europa, che si pone di radicalizzare e spingere all’azione soggetti europei, musulmani e non, che vengono affascinati dalla retorica islamista. Molti di loro decidono di partire per aiutare la resistenza e l’espansione del Daesh in Siria ed Iraq (foreign fighters), altri attraverso un percorso di auto-radicalizzazione compiono attentati in Europa sia mediante l’appoggio di un

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organizzazione jihadista (lupi solitari) che tramite azioni solitarie dettate da ragioni personali. Questi attori giocano un ruolo cruciale nella definizione di una strategia europea nel controllo delle rotte e reti dei migranti, dalla nord-africana all’anatolica-balcanica. La tratta turco-greca è quella più battuta dai migranti provenienti dalla Siria e dall’Iraq, la quale preoccupa maggiormente l’establishment europeo in un’ottica di sicurezza per la possibile infiltrazione di terroristi. Questo percorso è stato soggetto ad un accordo tra Unione Europea e Turchia per limitarne il flusso. Ma la vera sfida si gioca sul piano interno, ove è necessario ricorrere a politiche che favoriscano un’effettiva integrazione dei migranti, una loro ricollocazione, eguaglianza di diritti e doveri, riconoscimento della diversità e tolleranza, oltre che alla promozione di un’integrazione tra comunità e religione. D’altro canto, ai migranti è richiesto il rispetto e l’osservanza delle leggi, delle istituzioni e dei valori democratici europei. L’infiltrazione tra i migranti di possibili jihadisti è una prospettiva concreta e preoccupante che deve essere affrontata dalla Comunità Europea e non dai singoli Stati, incrementando la collaborazione sia a livello di intelligence che di sicurezza comune. Da un punto di vista sociale, invece, la popolazione europea deve esser in grado di creare ponti per abbattere il muro dell’ignoranza jihadista, sostenendo l’integrazione e la tolleranza senza cadere nello stereotipo banale e al contempo pericoloso di associare l’Islam al Jihadismo.