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Parole chiave
Demenza Presa in carico
PUA Punto Unico di Accesso
UVMD Unità Valutativa Multidimensionale Distrettuale
Integrazione sociosanitaria
PAI Piano Assistenziale Individualizzato
Centro Territoriale Esperto
Centro diagnostico di II livello
Percorso assistenziale
Distretto sanitario
Trattamento psico-comportamentale
Caregiver Case manager Trattamento riabilitativo
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Introduzionedi Giorgio Banchieri*
Il seguente volume presenta il risultato di un lavoro di ricerca – “Il PDTA demenze: le raccomandazioni SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria come chiave di lettura” – sviluppato da un gruppo di allievi del master MIAS, “Ma-nagement e innovazione nelle aziende sanitarie”, edizione 2012-2013, gestito dal DiSSE, Dipartimento di scienze sociali ed economiche, dell’Università “Sapienza” di Roma.
I partecipanti al gruppo di ricerca sono stati il dott. Sergio Cavasino, la dott.ssa Rita Lucchetti, la dott.ssa Raffaella Pisano e la dott.ssa Antonella Proietti.
L’interesse per questo lavoro è la presenza in esso di un impianto metodo-logico molto coerente che ha dato un’impronta unitaria fortemente agganciata a riferimenti di letteratura scientifica e ha consentito uno sviluppo degli assun-ti di ricerca in maniera consequenziale ed esauriente.
Il razionale della ricerca ha il suo incipit nella considerazione che le de-menze comprendono un insieme di patologie caratterizzate da deficit funzio-nali e da disturbi comportamentali che compromettono l’autonomia nelle atti-vità quotidiane, sono causa di gravi disabilità e influenzano in modo incisivo la qualità della vita del paziente e di chi se ne prende cura.
Questo in un contesto demografico ed epidemiologico che si caratterizza in un invecchiamento progressivo della popolazione e in un basso tasso di natalità. Nel breve e medio termine il sommarsi dei due driver comporta un aumento esponenziale degli over 65 e over 75, con una durata media della vita che supera sia per gli uomini sia per le donne gli 80 anni.
* Docente e coordinatore didattico del master MIAS, Management e Innovazione nelle Aziende Sanitarie, DiSSE, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Università “Sa-pienza”, Roma.
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Solo nella Regione Lazio si stima in circa 71.000 persone il numero dei portatori di una forma di demenza, di cui 28.000 in specifico affetti dalla Sin-drome di Alzheimer, prevedendo un’incidenza di circa 14.000 nuovi casi l’an-no nelle popolazione ultra sessantacinquenne.
Quindi il tema considerato è sicuramente di grande valenza sanitaria e so-ciale con un forte coinvolgimento delle famiglie dei portatori di demenze.
Il gruppo di ricerca ha individuato, come argomento del project work, il “Percorso demenza” in considerazione di un approccio multidisciplinare con-nesso alle professionalità presenti all’interno del gruppo di lavoro (un diri-gente amministrativo, un direttore di Distretto sanitario, un direttore UOC Accreditamento e un direttore UOC Psicologia), nonché per la forte valenza di integrazione sociosanitaria rappresentata da queste patologie.
Dopo aver effettuato una revisione della normativa nazionale e regionale, delle Linee guida e delle raccomandazioni disponibili in letteratura, per la diagnosi e la gestione delle demenze, il gruppo di ricerca ha proceduto, attra-verso un approccio di benchmarking, a identificare un modello di riferimento standard.
Sono stati presi in considerazione tre modelli di buona pratica di PCA sul tema, ovvero: il modello della Regione Toscana, il modello della Regione Lombardia e il modello della Regione Emilia-Romagna, messi a confronto attraverso una SWOT Analysis che ha usato come check-list di lettura i “Re-quisiti di qualità nell’integrazione tra sanità e sociale”, oggetto della recente Raccomandazione SIQuAS, Società italiana per la qualità nell’assistenza sa-nitaria, editata da FrancoAngeli nel 2013.
Ovviamente sono stati considerati solo i “requisiti” della Raccomandazio-ne SIQuAS pertinenti l’oggetto della ricerca, come poi di seguito evidenziato nell’elaborato.
La Raccomandazione SIQuAS1 è il risultato di un percorso di confronto e di ricerca, avviato nell’ottobre 2009, sui temi della qualità nell’integrazione tra sanità e sociale, che ha portato alla definizione dei “Requisiti di qualità nell’integrazione tra sanità e sociale”, raccolti in una nuova Raccomandazio-ne SIQuAS sul tema, presentata a Roma il 16/3/2012. Il tema unificante del percorso è stato: Programmare servizi sociosanitari professionali, efficaci e appropriati.
Il razionale del percorso SIQuAS è stato il seguente: – è necessario, come sempre si dovrebbe, partire da un’analisi dei bisogni
di salute dei cittadini su cui programmare le risposte dei SSR e degli enti
1 Vedi Requisiti di qualità nell’integrazione tra sanità e sociale. Raccomandazione SI-QuAS, FrancoAngeli, Milano, 2013.
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locali a livello dei servizi sociosanitari e socio-assistenziali in termini di appropriatezza, efficacia e efficienza delle cure e delle prestazioni erogate, recuperando i grandi margini di non appropriatezza esistenti;
– si impone oggi, sempre di più, una riflessione su come sviluppare un per-corso di deospedalizzazione e una crescita delle reti territoriali e di cure primarie, nonché lo sviluppo di processi di garanzia della presa in carico dei pazienti e della continuità delle cure, congiuntamente al tema delle reti per patologie e della loro integrazione verticale e orizzontale, su come riorganizzare la presenza della sanità nei territori e su come integrarla con altre presenze assistenziali in logiche sempre più di collaborazione, condi-visione e di network;
– si deve affrontare in questo approccio il tema dell’uso razionale delle ri-sorse disponibili in un contesto non facile di difesa del ruolo del carattere pubblico e universalista dei SSR, prefigurando e sperimentando nuovi mo-delli organizzativi e gestionali che garantiscano la sostenibilità dei sistemi sanitari regionali e la difesa dei LEA in tutto il Paese,
– fino a oggi i modelli gestionali, di sicurezza e qualità si sono sviluppati principalmente nell’area dell’assistenza e cura dei pazienti acuti in quanto la realtà degli ospedali era ed è di più facile parametrizzazione, mentre la realtà delle reti territoriali, essendo oggettivamente dispersa nei territori, è sempre stata più difficilmente monitorata e valutata;
– lo sviluppo del ruolo dei servizi sociosanitari e socioassistenziali richiede di affrontare in modo sistematico il tema del loro monitoraggio, della loro valutazione in termini di appropriatezza, efficacia ed efficienza, nonché di sicurezza e qualità. In questo approccio la SIQuAS, che si è già impegnata da più di venti anni
su questi temi e in particolare su quelli relativi alle attività per acuti, intende mettere a disposizione delle istituzioni e degli operatori sanitari, sociosanitari e socio-assistenziali un know how pluriennale sui temi della sicurezza, qualità, monitoraggio, validazione, gestione e management.
SIQuAS per perseguire queste finalità ha organizzato e gestito un gruppo di lavoro nazionale multi professionale e multi disciplinare, nonché con par-tecipanti rappresentanti di tutti i principali soggetti delle filiere assistenziali sociosanitarie, che ha lavorato da ottobre 2009 a marzo 2012.
L’obiettivo era costruire un percorso di raccolta di esperienze, di studi e di ricerche, sia di letteratura scientifica, che di evidenze già consolidate, da raccogliere tramite un calendario di eventi di confronto e incontro (convegni e seminari), in cui approfondire le varie dimensioni topiche delle problematiche relative all’integrazione tra sanità e sociale, che lo stesso gruppo di lavoro doveva necessariamente affrontare e sviluppare per arrivare alla redazione di
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una Raccomandazione nazionale, riportando quale tappa intermedia i primi ri-sultati del suo lavoro al congresso nazionale SIQuAS nel marzo 2010 a Grado.
I “prodotti” del percorso di ricerca sono stati: – gli atti dei 4 convegni preparatori su temi topici dell’integrazione tra sanità
e sociale, svolti dall’ottobre 2009 al febbraio 2011 (presenti sul sito www.osservatoriosanita.it);
– una ricerca di letteratura scientifica in materia; – una ricerca di buone pratiche di miglioramento dei servizi sanitari e sociali
tramite il portale www.osservatoriosanita.it (2.024 evidenze censite); – un glossario scientifico delle parole dell’integrazione tra sanità e sociale; – una scheda di autovalutazione dei progetti di miglioramento dei servizi
basata sul modello EFQM; – 20 allegati alla Raccomandazione sui temi topici dell’integrazione a sup-
porto dei requisiti redatti; – i requisiti della Raccomandazione.
Tutti i materiali suddetti sono stati pubblicati in sequenza sulla Rivista QA della SIQuAS, numeri del 2011-2012. La Raccomandazione e i suoi 20 allegati sono stati pubblicati nel 20132.
Nel percorso di ricerca svolto i riferimenti in letteratura scientifica sul tema oggetto della Raccomandazione SIQuAS sono stati individuati essenzialmen-te nei modelli descritti nella fig. 1.
Fonte: Leutz (1999)
Fig. 1 – Integrazione
Modello basato sui livelli dei “bisogni” del cittadino/paziente e sulla tipo-logia di risposta possibile per “complessità assistenziale”.
Altro successivo modello di riferimento per sviluppare un approccio siste-mico al tema dell’integrazione può considerarsi quello elaborato da Warner e altri nel 1996, denominato Chronic Care Model. A seguire è utile tener conto dello sviluppo successivo di questo modello da parte Bar e altri nel 2003, denominato “expanded” in quanto introduce un maggior peso delle “commu-nity”.
2 Vedi Requisiti di qualità nell’integrazione tra sanità e sociale. Raccomandazione SI-QuAS, FrancoAngeli, Milano, 2013.
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Fonte: Warner et al. (1996); Bar et al. (2003)
Fig. 2 – Expanded Chronic Care Model
Pertanto, partendo dai modelli suddetti, la Raccomandazione SIQuAS ha necessariamente e coerentemente adottato uno schema su tre livelli per rag-gruppare funzionalmente i “requisiti” definiti, ovvero: – livello politico-istituzionale: si realizza attraverso la collaborazione tra isti-
tuzioni sociali e sanitarie per la definizione di scelte programmatorie volte a realizzare comuni obiettivi di salute;
– livello organizzativo-gestionale: è relativo alle modalità di gestione che possono promuovere e facilitare percorsi di continuità assistenziale, ri-spondendo in modo esaustivo e in senso multidimensionale al bisogno complesso di salute;
– livello professionale: si realizza nella collaborazione tra diverse culture professionali nella gestione del sistema dell’offerta, attraverso l’unitarietà di protocolli degli interventi.Quest’articolazione per livelli consente di individuare sia le funzioni og-
getto della Raccomandazione, sia i target di soggetti a cui si rivolge, ovvero, enti/soggetti a cui è indirizzata, come da schema a seguire:
Livelli Funzioni oggetto della Raccomandazione
Enti/soggetti cui è indirizzata la Raccomandazione
Macro Politico- istituzionale
Governo nazionale (Macro 1)
Istituzioni/Governo: Stato, Regioni, Enti locali
Politici e funzionari amministrativi nazionali
Governo locale (Macro 2)
Politici e funzionari amministrativi regionali ed EELL
Meso Organizzati-vo-gestionale
Gestione organizzativa (Meso 1)
Enti gestori: Aziende sanitarie, Servizi sociali EELL, altri
Direttori generali, staff (AUSL/AO), dirigenti amministrativi servizi EELL
Gestione professionale (Meso 2)
Gruppi professionali nella fase di pianificazione organizzativa e di intervento
Gruppi professionali (dei servizi, società scientifiche ecc.)
Micro Professionale
Assisitenziale (Micro)
Professionisti nelle fasi di implementa-zione degli interventi
Professionisti singoli
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Inoltre per dare forza alla Raccomandazione, a fronte del numero limitato di evidenze in letteratura scientifica sul tema, dal marzo 2012 a oggi sono stati raccolti da SIQuAS quasi 3.000 questionari di consensus compilati da operatori sanitari e del sociale in occasione di congressi, assemblee, seminari, workshop ecc. I questionari di consensus sono stati compilati dagli operatori in modalità “anonima”.
Per ogni requisito inserito nella Raccomandazione gli operatori e gli esper-ti potevano dare un livello di gradimento differenziato su un gradiente da [1] a [5].
Nel caso in cui alla domanda sul gradimento veniva data una risposta che andava da [3] a [5] si poteva dare un “peso” alla rilevanza del requisito ri-spetto alle raccomandazioni su un gradiente da [1] a [3]. Il livello medio delle risposte dei rispondenti per livelli della Raccomandazione è stato il seguente:
Livelli della Raccomandazione Accordo da 1 a 5 Peso/Forza Da 1 a 3Livello macro “Politiche istituzionali” (Macro 1) 3,97 2,21Livello macro “Politiche istituzionali” (Macro 2) 3,96 2,02Livello della gestione organizzativa (Meso1) 4,00 2,24Livello della gestione professionale (Meso 2) 3,98 2,18Livello micro professionale 3,88 2,19
Come illustrato, il livello di adesione ai requisiti elaborati e proposti è stato significativo su tutti i livelli.
La raccolta del consensus ovviamente continua.Partendo da questo impianto concettuale il gruppo di ricerca ha sviluppato
tutti gli strumenti utilizzanti nello sviluppo delle sue attività.Infatti i “requisiti” selezionati dal gruppo di ricerca, in quanto “specifici”
per il suo oggetto di lavoro, sono stati posti a base di una check-list con cui hanno successivamente valutato: – i modelli regionali considerati (Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana); – le evidenze attuali presenti nella Regione Lazio; – quanto presente nei tre contesti di osservazione (ASL RMD, ASL RME e
ASL di Viterbo); – le SWOT Analysis relative a modelli e contesti osservati e confrontati; – le proposte di miglioramento per singolo contesto e a livello regionale.
Anche nell’osservazione di contesto, per garantire una confrontabilità dei dati, il gruppo di ricerca si è data uno strumento di rilevazione condiviso con focus sulle seguenti dimensioni di osservazione: – dati epidemiologici; – rilevazione del fabbisogno di ore/operatori dedicati sulla base degli stan-
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dard della Regione Lazio; – struttura organizzativa, morfologia e funzionamento dei servizi interessati
(organizzazione formale e informale); – modalità di accesso (PUA, UVA, altri servizi ecc.); – modalità di valutazione (composizione delle équipe e funzioni degli opera-
tori, scale di valutazione); – offerta suddivisa per regime assistenziale (ambulatoriale, domiciliare, resi-
denziale, semi-residenziale); – tipologia di erogatore (pubblico, privato, accreditato, sociale, profit e non
profit); – il percorso/i percorsi attuali.
Quest’impostazione ha consentito di confrontare tra loro gli esiti della SWOT Analysis per individuare non solo i punti di forza, le criticità, le sfi-de e le minacce di ogni contesto osservato con esplicitazione delle possibili azioni di miglioramento, ma anche le “costanti” positive e negative esistenti nei tre modelli aziendali e, quindi, gli elementi a “comun denominatore” su cui agganciare le proposte di miglioramento di un nuovo possibile modello di assistenza a livello di tutta la Regione Lazio.
Il tutto con un approfondimento sulla valutazione e trattamento degli aspet-ti psicologici comportamentali del paziente con demenza e del suo caregiver e sul ruolo del Distretto sanitario nel percorso di integrazione.
L’elemento propositivo finale della ricerca svolta si sostanzia nella defini-zione di una proposta di PCA Demenza.
Com’è noto da letteratura scientifica sul tema, i percorsi assistenziali (Care Pathway), sono stati introdotti negli USA tra il 1985 e il 1987 presso il New England Medical Center di Boston (USA) (Zander, 2002) per adeguare le at-tività ospedaliere alle tariffe introdotte col nuovo sistema di finanziamento basato sui DRG (Mayes, 2007), avviato sperimentalmente negli USA nel 1983 per il rimborso dei ricoveri ospedalieri degli utenti dei programmi federali Medicare e Medicaid, istituiti nel 1965.
Invece nel Regno Unito i Percorsi Assistenziali Integrati (IPC) sono stati introdotti nei primi anni Novanta non solo per aumentare l’efficienza del siste-ma, mantenendo o migliorando la qualità delle cure ma anche per promuovere lo sviluppo dell’EBM (Evidence Base Medicine) e la concreta adozione delle Linee guida nella pratica quotidiana (Cambell et al., 1998).
Dalla fine degli anni Novanta a oggi, i percorsi assistenziali si sono diffusi in tutto il mondo, ma tale diffusione non appare ancora prevalente soprattutto se si considera il fatto che l’assistenza del 60-80% dei gruppi di pazienti ne-gli ospedali generali, potrebbe essere elegibile per l’utilizzazione dei percorsi (Vanhaecht et al., 2006).
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L’EPA – European Pathway Association – offre una definizione articolata e condivisa in una sua Consensus Conference (Vanhaecht et al., 2007) dei PCA, come segue:
Un percorso assistenziale è un intervento complesso, decisionale e organizzativo, dei processi di assistenza di un gruppo di pazienti ben definito, nel corso di un periodo ben definito.
Le caratteristiche che definiscono i percorsi assistenziali sono:– una dichiarazione esplicita degli obiettivi e degli interventi fondamentali di assi-
stenza basati sulle evidenze scientifiche, sulle migliori pratiche e sulle aspettative e caratteristiche dei pazienti;
– la facilitazione della comunicazione tra i membri del team e con i pazienti e le famiglie;
– il coordinamento del processo di cura attraverso il coordinamento dei ruoli e lo sviluppo delle sequenze delle attività del team di cura multidisciplinare, compresi i pazienti e i loro familiari;
– la documentazione, monitoraggio e valutazione degli scostamenti e dei risultati, – l’identificazione delle risorse adeguate.
L’obiettivo di un percorso assistenziale è quello di:– migliorare la qualità delle cure attraverso un continuum assistenziale, finalizzato al
miglioramento degli esiti aggiustati sul rischio specifico dei pazienti, – promuovere la sicurezza dei pazienti;– aumentare la soddisfazione dei pazienti;– ottimizzare l’utilizzo delle risorse.
A sua volta la SIQuAS definisce i PCA come:
Piani multidisciplinari e multiprofessionali, costruiti a livello locale sulla base di raccomandazioni riconosciute, per gestire pazienti con una specifica condizione pa-tologica, definendo la migliore sequenza temporale e spaziale possibile delle attività diagnostiche, terapeutiche e assistenziali da svolgere al fine di raggiungere obiettivi di salute, definiti a priori, con un’efficienza e un’efficacia ottimali. [...]
Lo scopo principale dei percorsi assistenziali consiste nel migliorare i processi assistenziali, identificandone gli sprechi e gli elementi di variabilità ingiustificata, ga-rantendo nel contempo la continuità assistenziale per meglio rispondere alla comples-sità dei bisogni di salute. [...]
La progettazione di percorsi assistenziali costituisce un elemento essenziale per le organizzazioni sanitarie al fine di migliorarne la pratica clinica, le prestazioni, la comunicazione tra i professionisti e il lavoro di gruppo, garantendo un miglior utilizzo delle risorse umane e materiali3.
Da tale definizione emerge il core delle caratteristiche dei percorsi assi-
3 Da Position Paper SIQuAS PCA, Rivista QA, 2005.
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stenziali che li contraddistinguono da altri “strumenti”, che talvolta vengono a loro assimilati: Linee guida e PDT, Protocolli Diagnostici e Terapeutici. I per-corsi assistenziali si “nutrono” di Linee guida e PDT, che formano il sostegno di evidenze per lo sviluppo degli interventi previsti nel profilo4.
Nelle review degli studi di efficacia dei percorsi assistenziali considerati nel loro insieme (non per specifiche patologie) si sono evidenziati effetti posi-tivi (Rotter et al., 2008) su complicanze, durata della degenza e adesione alle buone pratiche. La più recente revisione Cochrane sui percorsi assistenziali (Rotter et al., 2010) (sempre considerati nel loro insieme) ha concluso che i percorsi sono associati a una riduzione delle complicanze intraospedaliere e a un miglioramento della documentazione, senza impattare negativamente sulla durata della degenza e sui costi ospedalieri.
I trial e le review sui percorsi assistenziali di specifiche patologie (per es. sindrome coronarica acuta, stroke, chirurgia gastrointestinale, scompenso cardiaco, artroplastica dell’anca o ginocchio ecc.) (Cannon et al., 2002; Kim et al., 2003; Panella et al., 2003; Kwan et al., 2004; Lemmens et al., 2008; Neuman et al., 2009; Barbieri et al., 2009; Panella et al., 2009; Van Herck et al., 2010) evidenziano che, se adeguatamente sviluppati e attuati, i percorsi assistenziali sono in grado di migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria.
Quanto sopra è riferito essenzialmente a un ambito ospedaliero.Partendo da questi assunti il gruppo di ricerca doveva costruire una propo-
sta di PCA Demenze a forte valenza sociosanitaria e quindi doveva darsi un percorso coerente.
Il percorso di ricerca adottato si è articolato pertanto in cinque fasi proget-tuali.1) Analisi di contesto delle tre realtà territoriali considerate:
– rilevazione analitica dei 3 contesti; – punti di forza e punti di debolezza dei 3 modelli attualmente presenti
(SWOT Analysis); – epidemiologia/domanda/bisogni nei 3 contesti considerati; – confronto tra i 3 modelli rilevati.
2) Normativa di riferimento e revisione sistematica delle buone pratiche.Sono partiti dalla considerazione che la demenza in quanto malattia cro-nica è caratterizzata da diverse ed evolutive fasi che richiedono interventi personalizzati e diversificati, sia sul versante strettamente sanitario (tera-pia farmacologia e non farmacologia, riattivazione cognitiva, riabilitazio-ne motoria, mantenimento delle funzioni ADL), sia sociosanitario (centri
4 F. Di Stanislao, Allegato 20, “I percorsi assistenziali”, in Requisiti di qualità nell’integra-zione tra sanità e sociale. Raccomandazione SIQuAS, FrancoAngeli, Milano, 2013.
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diurni Alzheimer, assistenza domiciliare, azioni di sollievo e sostegno alle famiglie, ritardo nell’istituzionalizzazione).In questo panorama abbastanza variegato nell’ambito di una stessa patolo-gia era importante fissare i riferimenti normativi vigenti ed effettuare una revisione sistematica della buone pratiche al fine di identificare:
– i parametri legislativi di assicurazione di assistenza e garanzia di cura dei malati affetti da Sindrome di Alzheimer o altre forme di demenza e della loro presa in carico globale attraverso una rete di servizi sociali e sanitari integrati;
– le migliori esperienze nei modelli di presa in carico integrati a rete. 3) Benchmarking.
Sviluppo di un approccio di benchmarking rispetto alle evidenze di buone pratiche, mediante la rilevazione di:
– scostamenti rispetto alla buona pratica di riferimento adottata dell’of-ferta esistente nelle tre realtà analizzate;
– gli interventi e le azioni potenzialmente in grado di riallineare i percorsi in essere con quelli presi a riferimento (progetto di fattibilità secondo l’analisi dei punti critici e il loro superamento);
– i risultati attesi e il loro monitoraggio attraverso l’identificazione di indicatori di qualità di integrazione sociosanitaria (Raccomandazioni SIQuAS).
4) Il percorso di miglioramento. Definizione di percorsi di miglioramento costruiti per ciascuno dei seguen-ti item:
– accessibilità e presa in carico; – residenzialità e semi-residenzialità; – trattamento riabilitativo: prevenzione dell’aggravamento e manteni-
mento delle funzioni residue.Obiettivi principali nell’elaborazione e adozione di proposte di migliora-mento dei PCA esistenti negli specifici contesti territoriali di riferimento, sono stati:
– fornire la presa in carico nel percorso sin dalle prime fasi della malattia; – assicurare il sostegno e il rafforzamento delle risorse del malato e della
famiglia; – mettere in connessione pro-attiva (integrazione e coordinamento) le di-
verse strutture assistenziali e i servizi dedicati secondo una modalità d’intervento modulare e sinergica nei diversi stadi della malattia in ade-sione al modello di presa in carico.
5) Attuazione del percorso.Riproducibilità e trasferimento del modello complessivo nelle diverse re-
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altà operative considerate.Poiché nella ricerca svolta viene affrontato un tema ad alto impatto sociale, sanitario ed economico quale quello dell’assistenza al paziente affetto da demenza, il gruppo di ricerca ha scelto di approfondire in maniera priori-taria gli aspetti organizzativi e sociosanitari rispetto a quelli strettamente clinici, comunque trattati.Le motivazioni di questa scelta partono da alcune considerazioni di base che sono trasversali ai percorsi territoriali complessi:
– la stretta interdipendenza delle due componenti, sanitaria e sociale, non permette quasi mai di enucleare la prestazione sanitaria da quella so-ciale rendendo di fatto incompleto l’approccio esclusivamente clinico;
– la gestione delle cronicità pone il problema della limitatezza delle risor-se, questo impone un rigoroso sistema di valutazione e di personalizza-zione delle risposte assistenziali, governando in modo integrato risorse pubbliche e private;
– nei percorsi territoriali “integrazione” e “continuità delle cure” sono di-mensioni che devono avere pari dignità rispetto alla dimensione clinica se, appropriatamente, si deve ragionare in termini di outcome e qualità di vita del paziente.
Viste queste considerazioni preliminari il gruppo di ricerca si è posto l’obiettivo di individuare un percorso di miglioramento per la presa in ca-rico del paziente con demenza, partendo da un approccio sistemico basato sull’integrazione delle diverse competenze professionali sociosanitarie e dei diversi setting assistenziali necessari.
Per far questo il primo step è consistito necessariamente in una revisione della normativa nazionale e regionale, dalle Linee guida e alle Raccomanda-zioni disponibili in letteratura, relativamente alla diagnosi e alla gestione delle demenze.
Successivamente è stato individuato, attraverso un approccio di benchmar-king, il modello di riferimento standard, sviluppando l’analisi dei tre percorsi regionali considerati messi a confronto attraverso una SWOT Analysis che ha privilegiato come chiave di lettura alcuni “requisiti” della Raccomandazione SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria. Nell’analisi SWOT è stato inserito anche il confronto con il modello della Regione Lazio, basato sulla recente normativa ancora in fase di applicazione.
Conseguentemente dalla dimensione regionale si è passati quindi alla di-mensione aziendale e, in considerazione del contesto lavorativo di provenien-za degli autori, è stata effettuata un’analisi del percorso demenza nei tre conte-sti aziendali. Infine è stato individuato il percorso di miglioramento possibile, ponendo attenzione all’aspetto di contestualizzazione nell’ambito normativo
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e organizzativo della Regione Lazio.Altro elemento metodologicamente rilevante è stata l’individuazione di in-
dicatori e standard di riferimento per il monitoraggio del percorso proposto, suddivisi in: – indicatori di qualità relativi all’integrazione tra sanità e sociale; – indicatori di struttura; – indicatori di processo; – indicatori di esito.
La dimensione clinica, comunque analizzata, viene in questo lavoro speci-ficamente declinata secondo un modello sistemico/ olistico che pone al centro dell’intervento il paziente, il caregiver e la rete di relazioni, rispondendo così alla necessità di una gestione globale della patologia.
Il ruolo di “regia” del percorso individuato viene assegnato al Distretto sociosanitario che deve garantire l’integrazione professionale e la continuità delle cure, anche attraverso l’implementazione di nuovi modelli assistenziali quali il Punto Unico di Accesso e l’Unità Valutativa Multidimensionale Di-strettuale.
Da quanto illustrato deriva che questa ricerca può essere, da un punto di vista metodologico, una “buona pratica” per lavori analoghi in altri contesti patologici e territoriali.
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1. Lo stato dell’arte delle Linee guida e Raccomandazioni disponibili nell’individuazione, diagnosi, gestione della demenzadi R. Lucchetti
1. La dimensione internazionale
Le Linee guida (maggio 2001, confermate a ottobre 2013) elaborate dall’A-merican Academy of Neurology su diagnosi, trattamento e assistenza della de-menza e diffuse in due stesure, una rivolta ai medici e l’altra a chi si prende cura del malato, indirizzano verso una diagnosi e una presa in carico precoce, con l’obiettivo finale di indicare un approccio uniforme alla diagnosi al fine di riconoscere le diverse forme di demenza e identificare il tipo e la gravità della compromissione delle capacità cognitive e funzionali del malato.
Infatti la demenza è spesso misconosciuta nelle fasi iniziali e nelle persone molto anziane, mentre una diagnosi precoce potrebbe permettere di intervenire tempestivamente sulle cause delle demenze reversibili, avviare terapie in grado di ritardare la progressione della malattia, agire più incisivamente sulle capacità cognitive residue, organizzare al meglio la vita del malato e dei suoi familiari.
Sicuramente tali azioni hanno un impatto determinante su quella che è l’e-voluzione della storia naturale della patologia e comprensibilmente sulle ne-cessità sociosanitarie e assistenziali da attivare nelle diverse fasi progressive della malattia.
Viene riportata una sintesi delle tre Linee guida sulla demenza elaborate dall’American Academy of Neurology. Le Linee guida riguardano tutti i tipi di demenza, ma questa sintesi si focalizza sulla Malattia di Alzheimer, in quanto sono disponibili dati più consolidati e più chiari. Gli autori concludono che la Malattia di Alzheimer (MA) dovrebbe essere diagnosticata e trattata nelle fasi più precoci; i pazienti con Deterioramento cognitivo lieve (MCI) dovrebbero essere identificati e seguiti nel tempo per una possibile evoluzione verso la MA.
I criteri clinici per diagnosticare la MA sono affidabili e validi. Sebbene la MA non sia guaribile, sono oggi disponibili terapie farmacologiche e non far-
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macologiche per controllare i sintomi, migliorare la qualità di vita e ritardare il momento del ricovero e dell’istituzionalizzazione.
Sono indirizzate in particolare agli specialisti e ai medici di famiglia (per coadiuvarli nell’iter diagnostico della malattia), ma anche alle autorità sanita-rie (per migliorare l’utilizzo delle strutture e la gestione delle risorse).
BOX 1 – Indicazioni pratiche per l’individuazione di demenza–MCI
• LaMalattiadiAlzheimerècomunenell’anziano:il10%dellepersonealdisopradei65annieil50%diquellealdisopradegli85neèaffetto.
• MAeMCIsidifferenzianodalnormaleinvecchiamento.StudiateidiecisintomipremonitorichefannosospettarelaMA,rendetelinoti,parlateneconivostricolleghi,conipazientielelorofamiglie.Contattateleasso-ciazioniAlzheimerpersaperecomecomportarvi.
• Identificateeseguitenel tempo ipazienticonMCIper individuareunaprogressioneverso laMA.SiparladiMCI inpresenzadidisturbidellamemoriaeinassenzadidemenza(funzionicognitivenellanorma;attivitàdellavitaquotidianaintegre).Ognianno,unapercentualecompresatrail6eil25%dipazienticonMCIevolvonoversounaformadidemenzaoversolaMA.IpazienticonMCIdovrebberoesserevalutatiregolarmenteperevidenziarel’evoluzioneversolaMA,usandoglistrumentidivaluta-zioneelencatidiseguito.
Prestateattenzioneaidisturbicognitiviintuttiivostripazienti;eseguiteunavalutazioneperdemenzasesospettateunacompromissionecognitiva.
BOX 2 – Strumenti di valutazione
Unabuonaevidenzasostienel’usodi:• valutazionegeneraledellostatocognitivo:• Mini Mental State Examination(correttoperetà/scolarità);• Memory Impairment Screen;
• batterieneuropsichologiche.Unadeboleevidenzasostienel’usodi:• altristrumentidivalutazionegeneraledellostatocognitivo:• Kokmen Short Test of Mental Status;• 7-Minute Screen;
• tecnichebasatesuinterviste:• Blessed Dementia Rating Scale;• CDR;• IQCODE;
• strumentidivalutazionecognitivabreve*:• disegnodell’orologio;
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• TimeandChangeTest.*Usarecautela:questitesthannounvalorelimitato.
Box 3 – Strategie per migliorare le attività funzionali e ridurre i disturbi del comportamento
Per migliorare le attività funzionali Forza dell’evidenzaModificareilcomportamento,programmaregliaccessiallatoilet-te,eincasodibisognoaccompagnaresubitoilmalatoperridurrel’incontinenzaurinaria
Forte
Assistenzaqualificata,attivitàpraticheerinforzopositivoaumen-tanol’indipendenzafunzionale
Buona
Bassi livellidi illuminazione,musicaesuonichesimulanoquellidellanaturamiglioranoilcomportamentoalimentare
Debole
Frequentiesercitazioni“multimodali”digruppopossonomigliora-releattivitàdellavitaquotidiana
Debole
PerridurreidisturbidelcomportamentoMusica,inparticolareduranteipastieilbagno BuonaPasseggiateoaltreformediginnasticadolce BuonaTerapiadellapresenzasimulata,conalbumdi famigliaovideo-cassette
Debole
Massaggi DeboleProgrammipsicosocialidisostegno DebolePettherapy DeboleUtilizzarecomandiadeguatiallivellodicomprensionedelpaziente DeboleLucebrillante,rumorebianco DeboleRimedicognitivi Debole
Box 4 – Indicazioni pratiche per la diagnosi di demenza
• I criteri clinici per MA sono affidabili (DSM-IIIR per la definizione eNINCDS-ADRDAeDSM-IVpericriteridiagnostici);
• demenzavascolare,demenzaacorpidiLewy(DLB)edemenzafronto-temporale(FTD)dovrebberoessereescluse,maallostatoattualeicriteridiagnosticiperquestemalattiesonoimperfetti;
• leneuroimmaginistrutturali(TAC,RMN)possonoevidenziarelesionire-sponsabilideidisturbicognitivi;
• laproteinaCSF-14-3-3delliquidocefalo-rachidianoèutilequandosiso-spettalamalattiadiCreutzfeldt-Jakob(CJD),epossonoessereesclusiunrecentestrokeoun’encefalitevirale.
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L’evidenzasostienel’utilizzodeiseguentiesamiperlavalutazionediroutinedelpazienteaffettodademenza:• emocromocompleto;• elettrolitisierici;• glicemia,azotemia,creatininemia;• dosaggiovitaminaB12;• testperladepressione;• provedifunzionalitàepaticaetiroidea.L’evidenzaindicacheiseguentiesaminondovrebberoessereinclusinellavalutazionediroutinedelpazientecondemenza:• testper lasifilide (amenochenonesistano fattoridi rischiospecifico,
qualevivereinunaregioneadaltaincidenza);• TACoRMNpermisurazionilineariovolumetriche;• SPECT;• testgeneticiperDLBoCJD;• genotipodell’APOEperMA;• EEG;• punturalombare(salvoseinpresenzadimetastasi,sospetta infezione
delSistemaNervosoCentrale,positivitàsierologiapersifilide,idrocefalo,etàsottoi55anni,demenzarapidamenteprogressivaoinsolita,immuno-soppressione,sospettavasculitedelSistemaNervosoCentrale).
Allostatoattualenoncisonodatisufficientipersostenereoconfutarel’usodeiseguentiesami:• PET;• marcatorigeneticiperMAnonelencatiprima;• CSF(liquor)oaltrimarkerbiologiciperMA–MutazioniTau inpazienti
condemenzafronto-temporale(FTD);• mutazionidelgeneperMAinpazienticonFTD.
Box 5 – Indicazioni pratiche per la gestione della demenza
Trattare i sintomi cognitivi della MA con inibitori dell’acetilcolinesterasi e vi-tamina EPrendereinconsiderazionel’usodiinibitoridell’acetilcolinesterasiinpazienticonMAdigradolieveomoderato.Gli inibitoridell’acetilcolinesterasipossonomigliorare laqualitàdivitae lefunzionicognitive,inclusalamemoria,ilpensieroelacapacitàdiragiona-mento.SisonodimostratiefficacineisoggetticonMAdigradolieveomode-ratoesonoallostudioinpazienticonMCIedemenzadigradosevero.EccoperchéilriconoscimentoprecoceeunadiagnositempestivadellaMalattiadiAlzheimersonoimportanti.PrendereinconsiderazionelavitaminaEperrallentare laMA; l’utilitàdellaselegilinaèriportata in letteratura,anchesesullabasedidatipiùdeboli.NonprescrivereestrogenipertrattarelaMA.
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Trattare agitazione, psicosi e depressioneParanoia,sospettosità,aggressivitàoresistenzaadaverecuradellapropriaigienepersonalepossonocostituireunproblemaperlagestionedeimalatida parte delle famiglie e del caregiver e incidere significativamente sullaqualitàdivita.Studibasatisull’evidenzaindicanodiversestrategieperridur-reidisturbidelcomportamento.Selemodificazioniambientalinonriesconoaeliminareagitazioneopsicosiricorrereall’usodiantipsicotici.Soloalcuni triciclici, inibitori delleMAO-B (monoaminoossidasiB)eSSRI(inibitoridelreuptakedellaserotonina)dovrebberoesserepresiinconside-razionepertrattareladepressione.Incoraggiareicaregiverapartecipareaprogrammid’informazione/formazio-neeagruppidisostegno.Programmibrevidieducazionedeicaregiverpossonoesserediaiutopersostenerlinelcaricoassistenziale;programmidieducazionealungoterminepossonoritardarel’istituzionalizzazionedeipazienticonMA.Corsidiadde-stramentopericaregiverealtrisistemidisostegno(telemedicina,helpline,centridiurniecc.)possonoritardarel’istituzionalizzazionedelmalato.
Quelle che seguono sono le nuove Linee guida sviluppate nel 2001 e con-fermate nell’ottobre 2013 dall’American Academy of Neurology (AAN) e de-stinate ai pazienti, ai loro famigliari e ai caregiver.
Esse riassumono le migliori ricerche circa il riconoscimento, la diagnosi e il trattamento dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie.
Questa sintesi fornisce informazioni per saperne di più su: – come si può riconoscere la Malattia di Alzheimer; – come il vostro medico diagnosticherà la Malattia di Alzheimer; – quali trattamenti – farmacologici e non farmacologici – sono disponibili
oggi; – dove potete trovare maggiori informazioni.
Box 6 – Strategie per migliorare le attività funzionali e ridurre i disturbi del comportamento per malati, famiglia e amici
ComesipuòriconoscerelaMalattiadiAlzheimer?LaMalattiadiAlzheimersidifferenziadalnormaleprocessodi invecchia-mento. I sintomidiquestapatologianonsonosemplicierroridimemoria:chineèaffettohadifficoltàdicomunicazione,apprendimento,pensieroeragionamento,chepossonoinfluenzareillavoro,lavitasocialeefamiliare.LaMalattiadiAlzheimerdistruggelecelluledelcervelloenonèunnormaleinvecchiamento.LediecipiùcomunimanifestazionichefannosospettarelaMalattiadiAlzhei-mersonoelencatepiùavanti:chipresentaquestisintomidovrebbeconsulta-reunmedicoperunesamecompleto.
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ComevienediagnosticatadalmedicolaMalattiadiAlzheimer?LaMalattiadiAlzheimerpuòesserediagnosticatacon:• unastoriacompletamedicaepsichiatrica;• unesameneurologico;• esamidilaboratorioperescludereanemia,deficitdivitamineealtrecon-
dizionipatologiche;• unesamedellostatomentalepervalutarememoriaefunzionicognitive;• uncolloquioconmembridellafamigliaoconilcaregiver.Poteteaiutare il vostromedicopreparandoviper lavisita.Portateconvoil’elencodeifarmaciusati,unadescrizionedeisintomiodeicambiamentidelcomportamentoeunalistadidomandeodubbi.Saràancheutileriferirelastoriaclinicaedeventualitrattamentifarmacologici.Qualitrattamenti–farmacologicienonfarmacologici–sonodisponibilioggi?
Sono disponibili farmaci per alleviare alcuni disturbiSichiamano“inibitoridell’acetilcolinesterasi”epossonomigliorarelaqualitàdivitaealcunefunzionicognitive,inclusalamemoria,ilpensieroeilragio-namento. Sono più efficaci neimalati in fase lieve omoderata. Perciò, ilriconoscimentoprecocediundisturbocognitivoeladiagnositempestivadiMalattiadiAlzheimersonomoltoimportanti.Comunque,ifarmaciadisposi-zionenonfannoregredirenémodificanol’evoluzionedellamalattia.Datidella letteratura indicanocheanche lavitaminaEpuòessereutile inalcunisintomidellaMalattiadiAlzheimer.LavitaminaEèunantiossidanteepuòaiutareaproteggerelecellulecere-bralidaglieffettidistruttivideiradicaliliberi.Laselegilinaèunaltroantiossidantechepuòesserediaiutosualcunisinto-mi.LaterapiarisolutivaperlaMalattiadiAlzheimernonèancoradisponibile,malaricercaproseguenellostudiodinuoveopportunitàditrattamento.
Cambiamento di attività e farmaci per migliorare il comportamentoUnmalatodiAlzheimerpuòmanifestaredisturbidelcomportamentocomeparanoia,sospettosità,aggressivitàocarenzanell’igienedellapropriaper-sona.Questiproblemipossonosembrareinsopportabiliaifamiliarioaicaregiver.Ilmedicopuòquindisuggerirevariestrategieperleattivitàdellavitaquoti-diana:• passeggiareefareginnasticadolce;• ascoltaremusica,inparticolareduranteipastieilbagno;• programmareleattivitàdituttiigiorni,compresalatoilette;• stimolareabilitàvarieericorrerealrinforzopositivoperaumentarel’indi-
pendenza;• prendereinconsiderazioneifarmacidisponibiliperaiutaredepressione,
agitazioneepsicosi.
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Programmi di formazione per i caregiver possono ritardare il ricoveroIcaregiverpotrannoriceveremaggioriinformazionisuquesticorsicontattan-dol’AssociazioneAlzheimerlocale.Sonoinoltredisponibiligruppidisostegnopermigliorarelaqualitàdivitadelcaregiver,cosìcomeperimalati.Dovepotetetrovaremaggioriinformazioni?Contattatel’AssociazioneAlzheimerlocaleoilvostromedico.
I 10 sintomi premonitori
1) Perdita di memoria che compromette la capacità lavorativa. È normale, di quando in quando, dimenticare un compito, una scadenza o il nome di un collega, ma la dimenticanza frequente o un’inspiegabile confusione menta-le a casa o sul lavoro può significare che c’è qualcosa che non va.
2) Difficoltà nelle attività quotidiane. Una persona molto impegnata può con-fondersi di tanto in tanto: per esempio dimenticare qualcosa sui fornelli accesi o non ricordare di servire parte di un pasto. Il malato di Alzheimer potrebbe preparare un pasto e non solo dimenticare di servirlo ma anche scordare di averlo fatto.
3) Problemi di linguaggio. A tutti può essere capitato di avere una parola “sul-la punta della lingua”, ma il malato di Alzheimer può dimenticare paro-le semplici o sostituirle con parole improprie rendendo difficile da capire quello che dice.
4) Disorientamento nel tempo e nello spazio. È normale dimenticare che giorno della settimana è o quello che si deve comprare, ma il malato di Alzheimer può perdere la strada di casa, non sapere dove è e come ha fatto a trovarsi là.
5) Diminuzione della capacità di giudizio. Scegliere di non portare una ma-glia o una giacca in una serata fredda è un errore comune, ma un malato di Alzheimer può vestirsi in modo inappropriato, indossando per esempio un accappatoio per andare a fare la spesa o due giacche in una giornata calda.
6) Difficoltà nel pensiero astratto. Compilare un assegno può essere difficile per molta gente, ma per il malato di Alzheimer riconoscere i numeri o com-piere calcoli può essere impossibile.
7) La cosa giusta al posto sbagliato. A chiunque può capitare di riporre male un portafoglio o le chiavi di casa. Un malato di Alzheimer, però, può met-tere questi e altri oggetti in luoghi davvero singolari, come un ferro da stiro nel congelatore o un orologio da polso nel barattolo dello zucchero, e non ricordarsi come siano finiti là.
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8) Cambiamenti di umore o di comportamento. Tutti quanti siamo soggetti a cambiamenti di umore, ma nel malato di Alzheimer questi sono particolar-mente repentini e senza alcuna ragione apparente.
9) Cambiamenti di personalità. Invecchiando tutti possiamo cambiare la per-sonalità, ma un malato di Alzheimer la può cambiare drammaticamente: da tranquillo diventa irascibile, sospettoso o diffidente.
10) Mancanza di iniziativa. È normale stancarsi per le faccende domestiche, il lavoro o gli impegni sociali, ma la maggior parte della gente mantiene interesse per le proprie attività. Il malato di Alzheimer lo perde progressi-vamente: in molte o in tutte le sue solite attività.
2. La dimensione europea
Migliorare le conoscenze sulle demenze e promuovere lo scambio di infor-mazioni tra Paesi sono le due anime del progetto europeo Alzheimer Coopera-tive Valutation in Europe (ALCOVE). Un’iniziativa di importanza strategica in un’area, come quella europea, in cui le demenze incidono in maniera forte e determinante in termini di prevalenza, costi e impatto sulla società. Sono infatti oltre 7 milioni le persone che in tutta Europa soffrono di demenza e in particolare di Alzheimer.
Avviato nel 2011, questo progetto coinvolge 30 partner provenienti da 19 Paesi e mira al miglioramento delle conoscenze sulla patologia, sulle sue con-seguenze e a stimolare una riflessione sulla qualità della vita delle persone, sul concetto di autonomia e sui diritti di chi vive con una forma di demenza.
All’interno del progetto sono stati individuati quattro work packages e, per ciascuno di essi, i gruppi di lavoro associati hanno redatto una serie di raccomandazioni: – dati epidemiologici sulle demenze: a cui collabora il Centro Nazionale di
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) del-l’ISS, è finalizzato alla valutazione degli studi di letteratura per definire i criteri più adeguati alla raccolta dei dati epidemiologici sulle demenze;
– diagnosi tempestive sulle demenze: questo gruppo ha il compito di analiz-zare le raccomandazioni nazionali sulla diagnosi delle demenze e valutare i sistemi sanitari esistenti per migliorarne il lavoro;
– diritti, autonomia e dignità delle persone con demenza: questo work packa-ge ha il compito di analizzare l’aspetto etico e legale che interessa le per-sone affette da demenze;
– sistemi di supporto per le persone con BPSD (Behavioural and Psycholo-gical Symptoms of Dementia): questo gruppo ha il compito di valutare le
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cure, domestiche e ospedaliere, disponibili per le persone con BPSD e i processi formativi del personale impiegato.Tra i prodotti del progetto ALCOVE vale la pena citare le seguenti racco-
mandazioni.
Raccomandazioni sui principi fondamentali per una strategia globale di gestione dei BPSD (Behavioural and Psychological Symptoms of Dementia) che di seguito vengono riportate:1) dal momento che i BPSD sono fonte di carico assistenziale e di depressio-
ne per i caregiver, così come di un aumento del tasso di istituzionalizza-zione per le persone con demenza, tutti gli Stati dovrebbero sviluppare una strategia olistica tridimensionale:
– 1a dimensione: come sviluppare strutture e organizzazioni assistenziali (Structures and Care Organisations, SCO) per i BPSD;
– 2a dimensione: come implementare interventi individualizzati per il pa-ziente e il caregiver (Individualized Patient and Family Carers, IPCI) combinando interventi psicosociali per i caregiver e i pazienti e terapie non farmacologiche e farmacologiche per il paziente;
– 3a dimensione: come assicurare una forza-lavoro competente (Skilled WorkForce, WFS) con programmi di formazione sistematici per i pro-fessionisti sociosanitari (WP6.1);
2) queste tre dimensioni relative ai sistemi di supporto ai BPSD dovrebbero essere adattate e implementate in ogni fase del percorso del paziente: per la prevenzione e la gestione di BPSD minori, per crisi maggiori di BPSD e per la fase post-crisi, compresa la prevenzione secondaria. Queste imple-mentazioni devono essere progettate sulla base di una stretta collaborazio-ne tra decisori, servizi sociosanitari, professionisti, associazioni di pazienti e familiari (WP6.2);
3) l’informazione al pubblico sulla prevenzione e la gestione dei BPSD e sui rischi degli antipsicotici dovrebbe far parte di campagne di sensibilizzazio-ne per ridurre la paura e lo stigma riguardo alla demenza (WP6.3);4) dovrebbe essere promosso un approccio multidisciplinare in tutte le di-
mensioni dei sistemi di supporto ai BPSD (WP6.4).
Raccomandazioni sulle strutture e l’organizzazione assistenziale (SCO) per i BPSD:1) Devono essere sviluppati ambulatori SCO per le persone con BPSD, per-
ché è cruciale prevenire e gestire precocemente i BPSD. Questo aumenterà la possibilità delle persone di vivere in casa propria il più a lungo possibile (WP6.5).
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Dovrebbero essere creati team mobili con specifiche competenze per l’as-sistenza ai BPSD, in contesto sia di assistenza domiciliare sia di RSA. Per esempio, team mobili dedicati ai BPSD in aree ad alta densità di popolazione e personale con competenze specifiche nell’ambito di team mobili di geria-tria nelle aree a bassa densità di popolazione (WP6.5.1).Consulenza con caratteri di semi-urgenza per i BPSD (tempo d’attesa < 1 set-timana): in ospedale e per mezzo di telemedicina, allo scopo di rispondere ra-pidamente a disturbi comportamentali in modo da evitare il ricovero ospeda-liero in emergenza. Diversi specialisti, come neurologi, geriatri e psichiatri, potrebbero effettuare questa consulenza. Può anche essere utile un approccio multidisciplinare che coinvolga infermieri specializzati e psicologi e fornisca anche un supporto telefonico alla persona e/o a chi lo assiste (WP6.5.2).La respite care (cosiddetti letti di respiro) è necessaria perché è cruciale sostenere i caregiver dando loro la possibilità di sospendere transitoria-mente l’assistenza alla persona, quando necessario. Ciò può essere utile a prevenire l’esaurimento psicologico e fisico dei caregiver. L’analisi del-la letteratura mostra che una buona salute del careviger può prevenire i BPSD. La respite care include centri diurni, sistemazioni temporanee per le persone con demenza e professionisti a domicilio per supportare il care-giver (WP6.5.3);
2) devono essere create unità dedicate per i BPSD nelle RSA e negli ospedali perché lo sviluppo di questo tipo di unità di assistenza o di ricovero si è già dimostrato di notevole aiuto per le persone con BPSD maggiori in diversi Stati europei (WP6.6);
3) deve essere promosso l’uso di una cartella sociosanitaria condivisa del pa-ziente, in quanto è uno strumento ottimale, indispensabile per un approccio multidisciplinare. Infatti, ai fini di una maggiore efficienza dell’assistenza è importante per condividere rapidamente dati sociosanitari, clinici, dia-gnostici, psicologici, comportamentali sul paziente e sul caregiver di rife-rimento. Una cartella condivisa deve essere mantenuta aggiornata lungo tutto il percorso assistenziale del paziente (WP6.7).Deve essere adottato un approccio multidisciplinare a tutti i livelli struttu-rali (RSA, unità dedicate per i BPSD, team mobili) e a livello del percorso centrato sul paziente (medico di medicina generale, altri medici, case ma-nager, terapisti, assistenti sociali). Un team specializzato multidisciplinare guidato da un infermiere che comprenda terapisti psicomotori e occupa-zionali si è dimostrato utile nella prevenzione e nel trattamento dei BPSD minori in persone con demenza assistite a domicilio. Per quanto riguarda BPSD più gravi, può essere utile l’intervento di un medico e di uno psico-logo per la prevenzione dei ricoveri in emergenza (WP6,7.1).
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Per l’assistenza a persone giovani con demenza in SCO, andrebbero consi-derate competenze specifiche, dati i particolari bisogni dei pazienti e delle loro famiglie (WP6.7.2);
4) Devono essere raccolti indicatori di qualità e di impatto per le persone con BPSD, i caregiver e gli assistenti professionali, dal momento che nella pratica quotidiana è fondamentale garantire e monitorare la qualità dell’as-sistenza in differenti SCO. Per creare nuove SCO a scopo di ricerca e per garantire l’utilità delle SCO nel mondo reale, è necessario seguire indi-catori di impatto che siano focalizzati anche sugli assistenti professionali (WP6.8).
Raccomandazioni sugli interventi assistenziali personalizzati per il pazien-te e la famiglia per i BPSD:1) in termini di sanità pubblica, gli interventi di prima linea per la prevenzio-
ne e la gestione dei BPSD dovrebbero essere gli interventi psico-sociali (PsychoSocial lnterventions, PSI), e in particolare, il primo livello dovreb-be essere rappresentato dai programmi psico-educazionali. Ciò in ragione del fatto che i PSI sono efficaci sui disturbi comportamen-tali (agitazione, aggressività, scatti d’ira, ombrosità, depressione e com-portamenti ripetitivi diversi dalla psicosi) e più sicuri degli antipsicotici. Devono essere in primo luogo effettuate valutazioni più precise dei PSI in associazione a terapie non farmacologiche per identificare quale strategia sia la più efficace; la valutazione deve essere effettuata anche in termini economici (WP6.9).I programmi psico-educazionali devono essere parte di programmi nazio-nali per la demenza. Ciò in ragione del fatto che i PSI e i programmi psico-educazionali sono efficaci per prevenire i BPSD e facili da implementare. È stato dimostrato un aumento dell’efficacia con l’uso di un modello teori-co e con la partecipazione attiva dei carergiver (WP6.9.1).Gli interventi multicomponente possono anche essere parte di programmi nazionali, dal momento che, tra i PSI, quelli multicomponente (adattati ai bisogni dei caregiver e delle persone con demenza, con follow-up periodi-co e forniti a domicilio) sono l’opzione più efficace. Sono efficaci per gli esiti relativi al paziente e al caregiver e ritardano l’istituzionalizzazione. Tuttavia, richiedono un coordinamento tra la comunità e i contesti specia-listici e sono di gran lunga più difficili da implementare (WP6.9.2);
2) tutti gli interventi psico-sociali dovrebbero essere mirati su entrambi (pa-zienti e carergiver), personalizzati e regolarmente sottoposti a revisione.Un PSI comporta il coinvolgimento sia del caregiver sia del paziente e deve essere adattato ai bisogni di entrambi, perché le dinamiche nelle loro
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relazioni possono essere una fonte di BPSD, e quindi sono centrali per la gestione dei BPSD. I bisogni di entrambi devono essere valutati sulla base di competenze sociosanitarie. Questo comprende la ricerca dei fatto-ri che contribuiscono al disturbo nel paziente e la valutazione del carico, dello stress, della qualità della vita e dell’autostima del caregiver. Poiché i trattamenti sia farmacologici sia non farmacologici possono avere effetti avversi, poiché può cambiare la situazione sia dei riceventi sia dei fornitori di assistenza, e poiché i caregiver necessitano spesso di un supporto emo-tivo, deve essere garantita la continuità delle cure e il supporto (WP6.10);
3) un approccio diagnostico e trattamenti multipli per i BPSD dovrebbero essere applicati a livello del paziente. Le prove della gestione dei BPSD in termini d’interventi individualizzati per il paziente dovrebbero comprendere: 1) il trattamento appropriato della malattia e dei casi rilevanti 2) la ricerca e il trattamento delle malattie con-comitanti e dei loro sintomi (per esempio dolore, equilibrio, incontinenza) associato a un approccio specifico ai BPSD 3) interventi non farmacologici e 4) interventi farmacologici (WP6.11).
Raccomandazioni sulla forza-lavoro e le competenze (WorkForce & Skills – WFS) per i BPSD:1) l’accesso alla formazione sui BPSD si è dimostrato necessario per i caregi-
ver, sia che siano professionisti o no. Purtroppo in letteratura sono disponibili informazioni limitate sull’impat-to della formazione sui BPSD a livello di base, per esempio nelle scuole infermieristiche o nelle scuole per altri professionisti. Peraltro, qualsiasi attività di formazione fatta ai professionisti dell’assistenza sembra produr-re benefici (WP6.12);
2) devono essere diffuse Linee guida omogenee sulla gestione dei BPSD e sugli effetti collaterali degli antipsicotici. Il 63% degli Stati membri europei ha Linee guida nazionali per la demen-za. Tuttavia, solo 6 Linee guida affrontano la questione dei BPSD. Peral-tro, è importante tenere presente che non tutti i BPSD compromettono la vita della persona con demenza e ciascuna persona ha sintomi e bisogni differenti. Quindi le Linee guida dovrebbero considerare la necessità di rispondere ai bisogni sia di chi riceve sia di chi fornisce assistenza con programmi multicomponenti e personalizzati che abbiano esaustivamente e sistematicamente valutato tali bisogni (WP6.13);
3) programmi di qualità e sicurezza, centrati sull’impiego limitato degli an-tipsicotici sono vantaggiosi e complementari alla gestione ottimale dei BPSD nella demenza. La toolbox ALCOVE fornisce strumenti e racco-
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mandazioni basate sul riferimento europeo di ALCOVE. I miglioramenti della qualità devono affrontare 4 punti chiave: le revisioni sui riferimenti rilevanti e sulla prescrizione sistematica; le campagne pubbliche di comu-nicazione per aumentare la consapevolezza sui rischi degli antipsicotici e per informare sul trattamento dei BPSD; la valutazione e il monitoraggio con indicatori rilevanti a livello nazionale e locale; l’approccio collaborati-vo con il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse (WP6.14).
L’esperienza dell’ISS e la normativa italiana
Lo studio AdCare, condotto tra il 2009 e il 2010 in 20 centri specializzati nell’assistenza alle persone con Alzheimer, mirava a studiare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci antipsicotici e a formare e informare le persone che si prendono cura di chi soffre della patologia, sulla gestione della malattia. A causa di difficoltà legislative legate alla procedura del consenso informato lo studio è stato interrotto prematuramente. Tra febbraio 2009 e aprile 2010 sono stati coinvolti 83 pazienti, di questi il 68% sono stati inclusi attraverso il consenso di un rappresentante legale e il 32% è stato giudicato in grado di fornire da sé il consenso. La rilevanza della tematica da un lato ha portato alla chiusura anticipata dello studio e dall’altro ha permesso l’avvio di una rifles-sione più ampia sul tema e sull’incompatibilità dei tempi amministrativi con quelli della ricerca scientifica.
Nell’ambito del progetto AdCare erano previste attività di formazione de-stinate ai professionisti dei centri coinvolti e incontri informativi per i caregi-ver. Per tali attività è stato scelto un approccio costruttivista basato sui prin-cipi dell’educazione degli adulti, sulla condivisione delle esperienze e sulla riflessione su temi di interesse comune. A questo scopo è stato prodotto un video basato su materiali cinematografici ritenuti rilevanti, e strutturati ad hoc dal gruppo di ricerca, destinato ai famigliari e caregiver di persone malate di Alzheimer. La visione del filmato è stata scelta sulla base di alcuni obiettivi specifici: – la descrizione dell’evoluzione della malattia nelle sue fasi salienti; – l’esplorazione degli aspetti emotivi legati all’accudimento di persone ma-
late; – l’individuazione dei comportamenti da adottare nell’accompagnamento
delle persone affette da Alzheimer; – la creazione di una rete di relazioni fra i famigliari.
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3. La dimensione italiana
La consapevolezza del peso e dell’importanza del fenomeno delle demen-ze, con le sue implicazioni sulla tenuta del tessuto sociale ha evidenziato, anche in ambito italiano, la necessità di un governo clinico complessivo delle demenze anche attraverso la definizione di una qualificata rete integrata di servizi sanitari e socio-assistenziali.
Nel 2000 l’Expert Panel Alzheimer della Società Italiana di Neuroscienze ha elaborato un documento di consenso allo scopo di delineare i comporta-menti medici e gli indirizzi socio-assistenziali che gli esperti giudicano appro-priati per le persone affette da Malattia di Alzheimer.
Le Raccomandazioni scaturite esplorano le sei seguenti aree:1) demenza e Malattia di Alzheimer: le dimensioni del problema;2) diagnosi di demenza e di Malattia di Alzheimer;3) trattamento della Malattia di Alzheimer;4) aspetti etici della gestione medica della persona con demenza;5) problematiche socio-assistenziali:
– valutazione costi-benefici; – organizzazione dell’assistenza; – ruolo del medico di famiglia, della famiglia e del caregiver;
6) direttrici future di ricerca.Per la rilevanza diretta con la tematica dell’integrazione sociosanitaria vie-
ne evidenziato un focus sui contenuti dell’Area 5, così riassunto:Problematiche socio-assistenziali e valutazione costi-beneficiNella Malattia di Alzheimer la stragrande maggioranza degli studi docu-
menta che i costi indiretti sono sempre maggiori di quelli diretti, rappresentan-do il 70-80% dell’intero costo medio annuo.
È possibile concludere che gran parte dei costi della Malattia di Alzheimer si configura attualmente come costo indiretto che grava sostanzialmente sulle famiglie.
Questo costo indiretto è rappresentato non solo da quello del lavoro del caregiver, che potrebbe giustificare addirittura il 50% di tutti i costi indiretti, ma anche dai costi derivanti dalla perdita del lavoro e dalle conseguenze sulla sua salute.
A questo proposito esistono poi evidenze preliminari che trattamenti in grado di migliorare le funzioni cognitive del paziente possono ridurre le sue necessità assistenziali e risultare economicamente vantaggiosi.
Dato che oggi la famiglia si fa carico del 70-80% dei costi, tutti gli inter-venti che sono in grado di supportare la famiglia e il caregiver possono tra-dursi in un vantaggio economico per la comunità: in particolare quando questi
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interventi permettono di ridurre la necessità di ricorso all’istituzionalizzazione o riducono il tempo che il caregiver deve dedicare al paziente, o migliorano le sue condizioni di vita. L’istituzionalizzazione del paziente con Malattia di Alzheimer è infatti la modalità assistenziale più costosa per la collettività e gli oneri economici connessi alla condizione di caregiver costituiscono la voce di costo indiretto più rilevante della malattia.
Nell’analisi dei costi, sono da tenere in considerazione anche alcune mo-dalità assistenziali quali i “group living” e i centri diurni che, in altri Paesi, si sono dimostrati particolarmente vantaggiosi non solo in termini di costi, ma anche in termini di qualità della vita. È raccomandabile che queste modalità alternative di gestione del paziente con Malattia di Alzheimer abbiano una larga sperimentazione all’interno del nostro Servizio Sanitario Nazionale.
3.1. Organizzazione dell’assistenza
Vi è largo accordo sull’opportunità che il malato con demenza di Alzhei-mer resti per quanto possibile nel proprio abituale ambiente di vita.
In quest’ottica vanno valorizzati e potenziati i ruoli, le motivazioni e le professionalità di tutte quelle figure che hanno contatto con il malato nel suo ambiente di vita, in primo luogo i caregiver, i famigliari e i medici di famiglia. Il caregiver e i famigliari devono sorvegliare il paziente segnalando al medico di famiglia l’occorrenza di problemi che via via si presentano. Questi, a sua volta, dovrà identificare la natura del problema e coordinare gli interventi per affrontarlo.
Il Piano nazionale della prevenzione 2010-2012 (PNP) si pone come obiet-tivo, tra gli altri, di rivedere i percorsi assistenziali cui afferiscono i soggetti, per comprenderne e verificarne l’adeguatezza e integrare tra loro i diversi sup-porti (esenzione ticket, concessione protesi, indennità di accompagnamento ecc.) consentendo alla persona di rivolgersi a un unico interlocutore. Per la prima volta è stata inclusa la demenza, ponendo l’attenzione al governo cli-nico complessivo, alla promozione delle migliori pratiche basate su evidenze cliniche, alla definizione dei percorsi assistenziali, con la previsione di azioni di supporto centrali alla programmazione regionale.
Il “Piano di azioni per le demenze” elaborato dal Ministero della Salute nel corso del 2011, documento di programmazione strategica generale, inviato alla Conferenza unificata per la discussione tecnica e la condivisione con le Regioni (riunione a ottobre 2011), individua le “dieci priorità” per le demen-ze, ponendo quali strumenti e obiettivi il Disease management e la costruzio-ne di una rete integrata di interventi.
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Le dieci azione da promuovere
1. Interventi e misure di politica sanitariaMappaaggiornatadell’offertasanitariaesociosanitariaesistente;promozio-nedegli interventimiratiallacreazionediunareteassistenziale regionaleintegrata;ridefinizionedeicriteridiaccreditamentoecertificazionediqualitàdellestruttureperlagestioneintegratadelledemenze;presenzadiobiettivispecificiconnessiagliinterventiperledemenzenellavalutazionedeiDGedeidirettori delle struttureoperative individuatedallaprogrammazione re-gionale
2. Ottimizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutici e riqualificazione dei processi socio-assistenzialiGaranziadidiagnosiprecoce,presaincaricotempestivaecontinuitàassi-stenziale,attraversolacreazionediunareteintegratatraMMG,UVA/UVD,ADI,ospedale, IRCCS,Centri di riabilitazione,RSAeognialtra funzione/strutturadedicata(centridiurni).Piùspecificatamente:a)adozionedicriteridiagnostici(cliniciestrumentali)improntatiadappropriatezza,precocitàetempestività;b)implementazionedel sistema in relazione ai percorsi terapeutici (farmacologici e non) e alcounseling,ancheattraverso l’utilizzodella “Cartadellamemoria”; c) rior-ganizzazioneepotenziamentodelsistemadelleUVA/UVD;d)razionalizza-zionedeipercorsidiagnostico-terapeuticinellestruttureospedaliereenegliIRCCS;e) implementazione/sviluppodellaretedell’AssistenzaDomiciliareIntegrata;f)implementazione/sviluppoditecnologiademoticaedimetodo-logieditelemedicina;g)implementazione/sviluppodiinterventidiprevenzio-neprimariaesecondaria;h)identificazionediUnitàspecialidiriabilitazionenell’ambito delle strutture riabilitative; i) riorganizzazionee potenziamentodeinucleiperledemenzenelleRSAeapplicazionedimisuredimonitorag-gio;k)ottimizzazionedeipercorsi terapeutici,deitrattamenti farmacologiciedelle loroassociazioni; l) definizionedeipercorsi socio-assistenziali perpazientiaesordioprecoce/giovanile.
3. Creazione di una rete integrata per le demenzeGaranziadellapresaincaricoecontinuitàassistenzialeattraversol’integra-zionedeiserviziconimedicidimedicinageneraleeattraversolarealizza-zionediretidedicatesullabasedellaspecificaprogrammazioneregionale;sviluppodi interventidicoinvolgimentoattivoeconsapevoledeifamiliariedei caregiver informali; identificazione del Casemanager o coordinatore;promozione di interventi di formazione e aggiornamento continuo, anchecongiunto,delleprofessionalitàcoinvolte(inclusi,quindi,MMGefamiliari).
4. Sviluppo di Linee di indirizzo clinico e promozione della ricerca scientifica Elaborazioneeimplementazionedilineediindirizzodiagnostico-terapeuticoaggiornateperlapraticaclinicael’organizzazionedeipercorsiassistenziali,
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rivolteaiprofessionistidelsettore;promozionedelcoinvolgimentodelleso-cietàscientifichenell’elaborazionedelleLineedi indirizzo;diffusionedellelineediindirizzoattraversocanaliistituzionaliedicomunicazionescientifica;stesuradiunasintesidivulgativadelleLineeguida,rivoltaallapopolazione,esuaadeguatadiffusione;promozionedellaricercascientificasperimentalee traslazionale nelle strutture socio-assistenziali e negli IRCCSmediantedefinizioneditemistrategici;promozionedellaRicercascientificainambitoclinico,epidemiologicoesocialemirataallosviluppodinuovimodelliassi-stenziali;promozionediprogettidiprevenzionemiratialcontrollodeifattoridirischioealcambiamentodeglistilidivita;istituzionediuncoordinamentoscientificodiunaretedicentridieccellenzaperlosviluppodiprogrammidiricercafinalizzatae integratacon iprogrammi internazionali; istituzionediunaCommissionedicoordinamentodellaricercaconilcoinvolgimentodelledirezionigeneralidelMinisterodellaSalute,delleRegioniePAeconglialtriministeri istituzionalmente o potenzialmente coinvolti in queste tematiche,qualiMinisterodellaRicercascientifica,MinisterodelLavoro.
5. Programma di sviluppo e implementazione delle Linee di indirizzoAnalisidellaqualitàassistenzialealivelloregionaleelocale,ancheattraversol’utilizzodellamappadinamicadicuiall’azione1;definizionediindicatoridiappropriatezzadiagnostico-terapeuticasullabasedeglistandarddiriferimen-toderivatidalleLineediIndirizzo;sviluppoemonitoraggiodipercorsiclinico-assistenzialiaziendali,sullabasedelle lineedi indirizzoper lapromozionedell’appropriatezzadegliinterventiassistenziali;promozionedell’auditclinicoqualestrumentodivalutazionedellaqualitàdeiserviziedellecureerogate.
6. Carta dei servizi, informazione e sensibilizzazione socialeSviluppodiunaCartadeiServizispecificaincui,inconformitàaiprincipidiqualitàeappropriatezza,sianocontenuteindicazioniriguardantiinformazio-nigeneralisullaoperativitàdeiserviziesullemodalitàassistenzialidell’interopercorso;creazionediunalineatelefonicadiaiutoediunsitowebcheoffrainformazionigenerali,dilivellonazionale,maconlaprevisionedispecifichesezioniperaggiornamentilocali;attuazionediconferenzeregionalie/olocaliperdiffondereeimplementareleLineedi indirizzosulledemenze;promo-zionedicampagneinformative/educativerazionali;organizzazionedieventimiratiallasensibilizzazionedellapopolazione,allalottaallostigmasociale,allapromozionedelrispettoedelladignitàdeipazienticondemenza.
7. Rete di supporto per i caregiverPotenziamentodeiprocessidisalvaguardiadeidiritti,siadeipazientichedeilorofamiliari;offertaepotenziamentodipercorsidiformazioneededu-cazionerivoltiaicaregivereallefigurediaccompagnamento;promozionediinterventimiratialmiglioramentodellaqualitàdellavitadeimalatiedeilorofamiliari;monitoraggio dello stato di salute dei caregiver e promozionediinterventidisupportomirato.
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8. Formazione degli operatori e dei carers informaliAttivazioneprioritaria,nell’ambitodelleattivitàdiformazionecontinuaECMaziendalee regionale, di percorsi di formazione/aggiornamentodi tutte lefigureprofessionalicoinvolte,conmodalitàintegrate;promozionedelcoin-volgimentodelleSocietàScientifichenellaformazionecontinuadeiprofes-sionisti sanitari; promozionedi occasioni formative cheprevedano lapar-tecipazioneanchedifigureprofessionalidelsociale,difamiliariedicarersinformali.
9. Monitoraggio e verifica delle attivitàPromozionedell’utilizzodisistemidimonitoraggiodelleattivitàbasatisuin-dicatorimisurabili,ingradodivalutarel’impattodelleattivitàstessesiaperquantoriguardagliaspetticlinicicheassistenziali;attivazionediunasorve-glianzaepidemiologicafinalizzataasupportarelaprogrammazionenaziona-le,regionaleelocale;promozionediunasistematicaattivitàdiauditqualestrumentodiautovalutazionedeiprofessionisti sanitariedimiglioramentodellapraticaclinica;promozionedisistemidiverificaevalutazionedelleatti-vitàprevistedalpresenteaccordo.
10. Istituzione di una funzione di coordinamento permanente delle demenzeAlfinedidarecompletaattuazioneaquantoprevistodallepresentiLineediindirizzo,ilgoverno,leRegionielePAdiTrentoeBolzanoconcordanosullanecessitàdell’istituzionepressoilMinisterodellaSalutediunComi-tatoNazionaleperleDemenze(CND),inter-istituzionale,confunzionedisupporto,coordinamentoeverificadelleattività,conilcoinvolgimentodelleDgdelMinisterodellaSalute,delleRegionieProvinceautonomeedialtriorganismiistituzionalicheconcorrono,avariotitolo,allaprogrammazionenazionale; esperti o scienziati di fama potranno essere coinvolti diretta-mentenelCNDsu indicazionedelComitato stesso; inoltre altri soggetti(societàscientifiche,esperti,associazioniecc.)potrannoesserechiamatiinaudizionecon l’obiettivodi forniresuggerimentiper la formulazionediulterioristrategie,peresaminaregliaspettieticicommessialproblemadel-lademenza,persupportare l’organizzazionedieventuali forumnazionaliperiodici;èdaprevedersi l’istituzione,a livellodiognisingolaRegioneeProvinciaautonoma,diunanalogocomitatoperledemenzeconfunzionidi coordinamentoe verificadelle attività locali connesseall’applicazionedelPianodiazioni;predisposizione,acuradelCND,diunreportannualesull’attuazionedelPianodiazioni,anchesullascortadidocumentiriepilo-gativiperiodicifornitidalleRegioni.
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4. La dimensione regionale
Tra le Regioni che hanno già da tempo individuato percorsi specifici sulla gestione delle demenze con un approccio integrato mirato a un governo com-plessivo si distinguono la Regione Toscana, la Regione Emilia-Romagna e la Regione Lombardia.
Toscana
Nella Regione Toscana è stata elaborata la Linea guida “Sindrome demen-za” edita nel gennaio 2011 dal Consiglio sanitario regionale e inserita nella banca dati National Guideline Clearinghouse (NCG:008442) che rappresenta un esempio di come, partendo dai dati epidemiologici ed economici di un problema, possano crearsi alleanze fra tutti gli attori coinvolti nella sua di-mensione sanitaria e sociale. Il declino cognitivo, i disturbi del comporta-mento e l’insieme dei bisogni che caratterizzano il progredire di una demenza si aggravano progressivamente nel tempo richiedendo risposte assistenziali diversificate. Attraverso la scala Global Deterioration Scale (Reisberg B., Fer-ris S.H. et al., “The Global Deterioration Scale for Assessment of Pharmaco Degenerative Dementia”, Am. J. Ps., 139, 1982, pp. 1136-39) possono essere individuati specifici momenti del declino.
La Linea guida “Sindrome demenza” fornisce indicazioni per il percorso di cura e rappresenta l’elemento unificante fra le varie realtà della Regione. Un progetto generale di cura della demenza deve necessariamente partire dagli aspetti propriamente clinici, quali la diagnosi e il trattamento farmacologico e non farmacologico. In parallelo, si rendono necessari specifici servizi dedicati alle diverse fasi della malattia, ai problemi familiari e ai luoghi delle cure. In sintesi, si deve ipotizzare un sistema che, tenendo conto della situazione am-bientale e sociale del singolo paziente, garantisca: – diagnosi e presa in carico tempestive; – terapia non farmacologica e farmacologica; – educazione del paziente e soprattutto del caregiver; – affidamento a un team territoriale con specifiche competenze; – competenze specialistiche sanitarie e sociali finalizzate alla consulenza per
il monitoraggio e la gestione delle fasi di scompenso; – disponibilità di strutture sociosanitarie dedicate all’accoglienza tempora-
nea; – nuclei residenziali edificati secondo specifiche indicazioni architettoniche
e organizzative.
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Il governo clinico della malattia richiede dunque un approccio sistematico, che integri le competenze della medicina generale e dei servizi specialistici per la cura delle demenze.
La Linea guida, dedicata alla diagnosi tempestiva e alla terapia, farmacolo-gica e non farmacologica, della demenza, è diretta al medico di famiglia (che può identificare per primo i segni clinici del decadimento cognitivo e che resta l’unico responsabile della salute del paziente nell’intero percorso di cura) e ai servizi dove sono concentrate le competenze cliniche, psicologiche, infermie-ristiche e sociali specialistiche per la cura delle demenze.
Innanzi tutto la Linea guida individua i “nodi hub” che intervengono nella cura delle demenze, ovvero: – il medico di medicina generale; – l’Unità Valutativa Alzheimer (UVA); – l’Unità Valutativa Multidimensionale (UVM); – il centro diurno Alzheimer; – i Nuclei Alzheimer presso le RSA.
Le raccomandazioni si focalizzano soprattutto sulla diagnosi precoce della malattia, sugli strumenti di valutazione e i test diagnostici, sulle terapie farma-cologiche e quelle comportamentali.
Si riportano alcune raccomandazioni estrapolate dalla Linea guida “Sin-drome demenza”.
Raccomandazione 1Il medico di medicina generale conosce il profilo cognitivo/comportamen-
tale dei suoi assistiti e può identificare i segni clinici del decadimento co-gnitivo al loro insorgere, anche avvalendosi delle segnalazioni dei familiari. Livello di prova I, Forza A.
La diagnosi tempestiva consente: – di elaborare e sperimentare interventi, anche farmacologici, prima che il
danno neuronale sia avanzato e dunque inemendabile; – favorisce una migliore gestione della malattia influendo sul contesto familiare
e sociale fino dalle fasi iniziali (Dubois B. et al., The Lancet Neurology, 2007; Ashford J., Borson S., O’Hara R., Dash P., Frank L., Robert P., Shankle W., Tierney M., Brodaty H., Schmitt F., Alzheimer’s and Dementia, 2007).
Raccomandazione 10Per la conferma diagnostica, per la diagnosi differenziale fra le demenze,
per l’organizzazione del piano terapeutico e per la stabilizzazione di situazioni complesse, il medico di medicina generale può avvalersi dei servizi specialistici dedicati alla cura delle demenze. Livello VI, Forza A.
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Raccomandazione 11Al momento della diagnosi di Malattia di Alzheimer in stadio lieve e mode-
rato, deve essere valutata la possibilità di istituire un trattamento con inibitori delle colinesterasi, la cui efficacia è stata dimostrata sui sintomi “core” della malattia. È necessario discutere con paziente e caregiver i benefici realistica-mente attesi e i potenziali effetti avversi della terapia. Esistono dati di efficacia degli inibitori dell’acetilcolinesterasi anche nella demenza a corpi di Lewy e nella demenza associata a Malattia di Parkinson. Nei pazienti con Malattia di Alzheimer moderata grave deve essere valutata la possibilità di istituire un trattamento con Memantina per il trattamento dei sintomi core della malattia.
Non ci sono prove in merito ai c.d. rimedi naturali.Livello I, Forza A.
Raccomandazione 16Al momento della diagnosi di demenza, deve essere valutata la possibilità
di trattamento non farmacologico dei sintomi cognitivi, anche se le eviden-ze della letteratura non sono ancora conclusive. È necessario discutere con paziente e caregiver i benefici realisticamente attesi. Il trattamento di prima linea dei sintomi psicologici e comportamentali è non farmacologico, in con-siderazione degli eventi avversi potenzialmente gravi connessi al trattamento farmacologico.
È necessario prevedere momenti e strumenti di formazione e supporto ai caregiver.
Per queste finalità il medico di medicina generale si avvale dei servizi spe-cialistici dedicati alla cura delle demenze.
Livello V, Forza A.Nella tabella viene sintetizzato il decorso della sindrome demenza ipotiz-
zando le professionalità necessarie per i vari momenti e la tipologia di risposta indicata.
Questa modalità di lavoro, definibile come una memory clinic, risponde ai bisogni specifici della “cura” di una persona con demenza, dal sospetto del deficit mnesico fino al bisogno di assistenza globale.
Organizzare una memory clinic secondo questi criteri non richiede specifici investimenti in quanto si basa esclusivamente sul collegamento fra tutti i professionisti e i servizi che, in un determinato territorio, già si occupano di persone affette da demenza.
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Emilia-Romagna
Nell’ottobre del 2000 la Regione Emilia-Romagna ha elaborato e validato le “Linee guida per la diagnosi e la valutazione del paziente con demenza” andando a individuare i criteri cardine nella diagnosi della malattia e la sua gestione nelle varie fasi cliniche.
Il percorso diagnosticoAi fini dell’impostazione del trattamento farmacologico e riabilitativo e
della pianificazione degli interventi assistenziali è poi necessario valutare la severità del deterioramento cognitivo e funzionale, le modificazioni compor-tamentali, la situazione familiare, sociale e ambientale. Infine va valutata la presenza di rischi e di complicanze (per es. problemi di sicurezza dell’abita-zione, lo stato nutrizionale, i rischi di cadute), diversificando gli strumenti di valutazione per pazienti di nuova diagnosi e pazienti in follow-up.
Per il paziente di “nuova diagnosi”: – anamnesi patologica, familiare, sociale; – esame obiettivo somatico e neurologico; – valutazione delle funzioni cognitive:
• MMSE (in casi selezionati valutazione neurospicologica; vedi tabella 7); – esami di laboratorio (vedi tabella 6); – TC encefalo; – stato funzionale (ADL e IADL); – valutazione del comportamento; – diagnosi differenziale tipo di demenza; – criteri per la diagnosi di Malattia di Alzheimer (NINCDS-ADRDA); – criteri per la diagnosi di demenza vascolare (NINDS-AIREN); – criteri per la diagnosi clinica di demenza frontotemporale (Neary D. et al.,
1998); – criteri per la diagnosi di demenza a corpi di Lewy (McKeith et al., 1996); – livello di gravità (CDR); – valutazione strutturata dei caregiver per i fabbisogni educazionali, psicolo-
gici, legali, assistenziali; – piano terapeutico.
Per il paziente in follow-up: – evoluzioni sintomi; – evoluzione problemi sociali e familiari; – MMSE; – stato funzionale (ADL e IADL); – valutazione del comportamento;
44
– livello di gravità (CDR); – verifica tollerabilità, compliance, aderenza ed efficacia dell’intervento; – aggiornamento piano terapeutico; – aggiornamento valutazione strutturata dei caregiver per i fabbisogni edu-
cazionali, psicologici, legali, assistenziali.La diagnosi di demenza deve essere posta utilizzando criteri standardizza-
ti, quali quelli del DSM-IV e dell’ICD-10.
La valutazione dei caregiverLe demenze determinano un elevato carico assistenziale sui familiari dei
pazienti. Il sostegno e il mantenimento dell’equilibrio psico-fisico dei care-giver diventa di fondamentale importanza per il mantenimento del malato al proprio domicilio.
Nell’ambito della valutazione del paziente demente, in qualsiasi stadio del-la malattia, è necessario associare la valutazione della famiglia, sia in termini quantitativi (caregiver coinvolti, relazione argentale, disponibilità all’aiuto, condizioni di salute) che in termini qualitativi (livello di stress percepito, sin-tomi psichici e somatici, emotività espressa).
Il follow-up del paziente dementeL’approccio al paziente demente richiede, una volta stabilita la diagnosi
etiologica con il massimo livello di certezza raggiungibile, la definizione di obiettivi realistici, che possono essere così riassunti:a) ottimizzazione delle funzioni cognitive, anche attraverso l’utilizzo di far-
maci specifici;b) controllo delle alterazioni comportamentali;c) ottimizzazione dello stato funzionale;d) trattamento delle patologie concorrenti;e) prevenzione o trattamento delle complicanze;f) definizione dei problemi sociali, etici e legali;g) definizione degli interventi di tipo sociale e ambientale.
Regione Lombardia
Nell’ambito del progetto ministeriale Alzheimer – Unità operativa n. 9 – Regione Lombardia – “La continuità assistenziale in una rete integrata di servizi a favore del malato di Alzheimer e della sua famiglia” – 2002, è stato elaborato il documento generale valutazione e sviluppo della rete integrata lombarda per la Malattia di Alzheimer contenente:
45
– linee guida sulle cure domiciliari per i malati di Alzheimer; – documento sulla relazione d’aiuto nella Malattia di Alzheimer; – Linee guida sulla riabilitazione cognitiva-comportamentale nella Malattia
di Alzheimer; – modelli innovativi di assistenza in ospedale al malato di Alzheimer; – relazione sulle iniziative formative attuate.
Si riassumono di seguito nel cronoprogramma del percorso le principali indicazioni fornite dal documento regionale.
Quando e come attivare i servizi sociosanitari della rete territoriale
Nei numerosi casi di demenza per i quali non può risultare esaustiva la sola gestione del paziente a cura di Struttura per demenze e MMG, ma si rende necessario il coinvolgimento di altre figure professionali per una valutazione multidimensionale e l’attivazione di servizi della rete territoriale, le strutture per le demenze inviano la segnalazione al MMG e/o all’UCAM di riferimento territoriale.
Alcune delle condizioni che richiedono l’avvio di tale processo sono: – il paziente è solo o non dispone più di validi riferimenti familiari/caregiver; – l’ambiente domestico necessita di adeguamento alle esigenze dal malato; – i familiari/caregiver presentano un livello non sufficiente di conoscenza
della malattia e/o degli strumenti di sua gestione e/o di capacità di utilizzo degli stessi;
– i familiari/caregiver sono in difficoltà o non in grado di gestire i problemi comportamentali del malato;
– il quadro del paziente subisce un aggravamento clinico e/o sociale che ri-chiede la ricerca di nuove soluzioni;
– l’assistito con demenza è in fase terminale.
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Standard garantiti
– Assistenza domiciliare:• i tempi di valutazione multidimensionale per la definizione del profi-
lo assistenziale, devono avvenire entro 72 ore dalla segnalazione alle UCAM;
• un sistema di valutazione di 1° e 2° livello (triage e valutazione domi-ciliare di 2° livello), sono garantiti dalle UCAM in collaborazione con il MMG;
• un voucher ADI che prevede due profili prestazionali e quattro livelli di profili assistenziali;
• la libera scelta dell’Ente erogatore ADI fra quelli accreditati, da parte di paziente e/o familiari.
– Centri diurni. L’utilizzo appropriato dei centri diurni (CDI-CDD) per pa-zienti affetti da demenza richiede:• l’utilizzo dei criteri specifici per la selezione dei pazienti con decadi-
mento cognitivo/demenza che possono essere accolti in strutture diurne, in base alle condizioni cliniche e al quadro complessivo, in particolare a entità e tipologia dei disturbi comportamentali, con predisposizione del PAI periodicamente monitorato;
• attenzione ai sistemi di protezione in uso nei CDI, per valutare la capa-cità di gestione da parte della struttura dei pazienti;
• la definizione di obiettivi di intervento rispetto a paziente e famiglia;• chiari criteri di utilizzo dei ricoveri notturni in regime di protezione.• RSA• la valorizzazione di esperienze pilota di impiego di terapie non farma-
cologiche e di modalità organizzative gestionali in RSA, al fine di defi-nire modelli di riferimento;
• la verifica dei sistemi di contenzione e dell’utilizzo di terapie farmaco-logiche;
• il possibile utilizzo di ricoveri di sollievo ad alta protezione, da definire nel PAI, sia pianificati sia per situazioni di emergenza;
• le iniziative innovative (per es. disponibilità di consulenza telefonica, corsi per familiari ecc.).
– Supporto al caregiver. Scuola di assistenza familiare, a cura dell’ASL: ven-gono garantiti territorialmente corsi di formazione a supporto della fami-glia/caregiver non professionale, dedicati alle fragilità, fra cui le demenze, con la collaborazione di operatori del Distretto e di unità di offerta locali, MMG, specialisti, operatori del Comune. Alcuni fra gli obiettivi dei corsi di formazione sono:
48
• la maggior appropriatezza dell’approccio nella cura e nell’assistenza;• la riduzione dei rischi di rottura di equilibri familiari;• la riduzione dell’ansia del caregiver nella gestione del malato, in parti-
colare dei disturbi comportamentali.• manuale “Assistenza in famiglia, istruzioni per l’uso”, consegnato e
spiegato al caregiver, in base al PAI e ai particolari bisogni del singolo assistito.
– Servizi comunali a supporto della domiciliarità. I Comuni garantiscono, a loro volta, una serie di servizi orientati a sostenere il mantenimento del paziente nel proprio ambiente di vita. Fra di essi si citano:• SAD (ASA/OSS, servizio pasti a domicilio, servizio lavanderia);• servizio di trasporto;• servizio di telesoccorso;• buono sociale (finalizzato anche alla legalizzazione delle “badanti”).
– Rapporto ospedale-territorio:• ricovero ospedaliero di paziente con diagnosi pregressa di demenza: il
MMG fornisce al reparto di ricovero documentazione e informazioni utili ai fini della gestione del malato;
• gestione pazienti con primi sintomi/sospetti a seguito di ricovero ospe-daliero: l’UO ospedaliera attiva l’ASTD di riferimento che effettua una prima valutazione di inquadramento con screening pre-diagnostico e decide l’iter successivo.
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Test di valutazione del caregiver
Cognome __________________________ Nome ____________________Data di nascita____________ Codice fiscale ______________
Caregiver Burden Inventory (CBI)Carico oggettivo1. Il mio familiare necessita del mio aiuto per svolgere molte delle abi-
tuali attività quotidiane0 1 2 3 4
2. Il mio familiare è dipendente da me 0 1 2 3 43. Devo vigilarlo costantemente 0 1 2 3 44. Devo assisterlo anche per molte delle più semplici attività quotidiane
(vestirlo, lavarlo, uso dei servizi igienici)0 1 2 3 4
5. Non riesco ad avere un minuto di libertà dai miei compiti di assistenza 0 1 2 3 4Carico evolutivo1. Sento che mi sto perdendo 0 1 2 3 42. Desidererei poter fuggire da questa situazione 0 1 2 3 43. La mia vita sociale ne ha risentito 0 1 2 3 44. Mi sento emotivamente svuotato a causa del mio ruolo di assistente 0 1 2 3 45. Mi sarei aspettato qualcosa di diverso a questo punto della mia vita 0 1 2 3 4Carico fisico1. Non riesco a dormire a sufficienza 0 1 2 3 42. La mia salute ne ha risentito 0 1 2 3 43. Il compito di assisterlo mi ha reso più fragile di salute 0 1 2 3 44. Sono fisicamente stanco 0 1 2 3 4Carico sociale1. Non vado d’accordo con gli altri membri della famiglia come di solito 0 1 2 3 42. I miei sforzi non sono considerati dagli altri familiari 0 1 2 3 43. Ho avuto problemi con il coniuge 0 1 2 3 44. Sul lavoro non rendo come di consueto 0 1 2 3 45. Provo risentimento verso alcuni dei miei familiari che potrebbero dar-
mi una mano ma non lo fanno0 1 2 3 4
Carico emotivo1. Mi sento in imbarazzo a causa del comportamento del mio familiare 0 1 2 3 42. Mi vergogno di lui/lei 0 1 2 3 43. Provo del risentimento nei suoi confronti 0 1 2 3 44. Non mi sento a mio agio quando ho degli amici in casa 0 1 2 3 45. Mi arrabbio per le mie reazioni nei suoi riguardi 0 1 2 3 4
Legenda 0 = per nulla 1 = un poco 2 = moderatamente 3 = parecchio 4 = molto
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Regione Lazio
Nel Lazio non esiste un documento che approvi LG/Raccomandazioni per la diagnosi, il trattamento e la gestione delle demenze.
Nel 2006 sono stati presentati i risultati preliminari di un progetto finanzia-to con i fondi di ricerca finalizzata, destinata all’Alzheimer ex art. 12 D.lgs. 502/92 “Un modello di stima dell’occorrenza della Malattia di Alzheimer per la costruzione di un registro regionale e la valutazione del bisogno assistenzia-le”, coordinato dall’ASP, i cui obiettivi erano: – definire i criteri di riconoscimento della malattia nel settore della medicina
generale; – stimare la prevalenza e l’incidenza della demenza in un campione rappre-
sentativo della popolazione > 65 anni; – costruire un profilo di gravità dei casi “incidenti” e prevalenti e identificare
indici neuropsicologici, comportamentali e neurofisiologici dell’evoluzio-ne della malattia;
– valutare i carichi assistenziali e i costi, diretti e indiretti, generati dalla malattia nei suoi differenti stadi di evoluzione;
– sperimentare un modello di raccolta dei dati utile alla futura costruzione di un registro regionale;
– fornire le basi per un razionale programmazione della rete dei servizi che supporti la famiglia e i caregiver.Nell’ambito di tale progetto sono stati individuati gli strumenti e le me-
todologie per la diagnosi e la valutazione di pazienti affetti da demenza, del carico assistenziale e stress del caregiver. Successivamente è stato redatto un manuale a uso dei MMG inerente i criteri di diagnosi, gli strumenti di valuta-zione, le indicazioni terapeutiche farmacologiche e comportamentali, il ruolo del MMG nel percorso diagnostico terapeutico.
Nella tabella che segue vengono messi a confronto gli strumenti diagno-stici e di valutazione raccomandati all’interno delle Linee guida regionali esa-minate.
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Considerazioni
Le Linee guida regionali rappresentano i fondamenti basilari nell’elabora-zione dei Piani regionali demenze
L’utilizzo di strumenti e criteri omogenei ci ha garantito la confrontabilità dei modelli regionali presi a riferimento
5. Costi della malattia
L’impatto della malattia, come osservato, è piuttosto forte nella popolazio-ne anziana e comporta costi notevoli per la famiglia del malato, prima presta-trice di cura. Il nostro paese rientra, infatti, in un sistema di welfare che affida prevalentemente alla famiglia il compito di prendersi cura dei soggetti più deboli, come i bambini, i disabili e gli anziani. Un’indagine del CENSIS in collaborazione con AIMA ha calcolato una stima dei costi sostenuti per cia-scun paziente affetto da Alzheimer. Il costo complessivo calcolato comprende costi di due tipi: – diretti: sono le spese direttamente monetizzabili sostenute per l’acquisto di
servizi, di medicinali o di beni per garantire la cura e l’assistenza necessa-ria al malato;
– indiretti: sono quei costi che non prevedono una vera e propria spesa, ma fanno riferimento alla perdita di risorse per la collettività legate alla malat-tia. Per risorse si intende soprattutto il tempo che viene sottratto a un’attivi-tà produttiva e impiegato nella cura e nell’assistenza da parte del caregiver. Vengono inoltre calcolati quei costi che la famiglia dovrebbe sostenere se affidasse la cura del malato a personale retribuito invece che occuparsene in modo informale. Attraverso il calcolo dei costi diretti e indiretti richiesti dalla malattia, vie-
ne stimato che, in Italia, il costo medio annuo per paziente, comprendente sia i costi a carico della famiglia che della collettività, si aggira intorno ai 60.000 euro. Di questi il 25% riguarda i costi diretti pari a 14.866 euro, suddivisi tra il 71,4% a carico della famiglia e il 28,6% a carico del SSN.
I costi indiretti incidono invece per il 75,6%, pari a 46.019 euro, il 95% dei quali pesano sui caregiver.
I costi totali delle demenze in Europa sono pari a 141 miliardi di euro, il 51% dei quali è composto da costi di cura informali (Dementia Yearbook, 2008). Le spese medie sostenute per ciascuna persona affetta da demenza si aggirano intorno ai 21.000 euro, costo che varia molto a seconda della gravità della malattia, della disabilità e della presenza di disturbi comportamentali.
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Costi della malattia in Europa (miliardi di €) nel 2005 per la Malattia di Alzheimer e altre forme di demenza
Direct costs Informal care Total costsEU 27 57,3 72,7 130,0EU27 + candidate countries, EEA countries and Switzerland
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Fonte: Dementia Yearbook, 2008
A livello mondiale si stima che i costi annuali della demenza si aggirino intorno ai 604 miliardi di dollari, pari a circa 440 miliardi di euro (Report mondiale Alzheimer, 2013), comprendenti sia costi diretti che indiretti.
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2. L’integrazione sociosanitaria nel percorso demenze: dalle norme alle prassi operative nelle Regioni Lazio, Toscana, Lombardia e Emilia-Romagnadi R. Pisano
La demenza in quanto malattia cronica è caratterizzata da diverse ed evo-lutive fasi della malattia che richiedono interventi personificati e diversifica-ti, sia sul versante strettamente sanitario (terapia farmacologia e non farma-cologia, riattivazione cognitiva, riabilitazione motoria, mantenimento delle funzioni ADL) che sociale (centri diurni Alzheimer, assistenza domiciliare, azioni di sollievo e sostegno alle famiglie, ritardo nell’istituzionalizzazione).
In questo panorama abbastanza variegato nell’ambito di una stessa patolo-gia è importante fissare i riferimenti normativi cogenti al fine di identificare i parametri legislativi di assicurazione di assistenza e garanzia di cura dei mala-ti affetti da demenza e della loro presa in carico globale attraverso una rete di servizi sociali e sanitari integrati.
1. Cenni sulla normativa nazionale
La Costituzione attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare la salute “come fondamentale diritto dell´individuo e interesse della collettività” (art. 32).
L’assunzione e la gestione del servizio pubblico sanitario rappresentano adempimento di un dovere costituzionale cui il legislatore ha provveduto, in modo organico e compiuto, a partire dalla legge n. 833 del 1978 che ha isti-tuito il Servizio Sanitario Nazionale: pubblico, universalistico, solidaristico, finanziato attraverso la fiscalità generale.
Il decreto legislativo 502/92, così come modificato e integrato dal decreto legislativo 517/93, nel confermare la tutela del diritto alla salute delineato dalla 833/78, disegna un modello organizzativo di aziende sanitarie “dinami-co”, in grado cioè, attraverso la flessibilità funzionale e la impostazione per obiettivi, di rispondere pienamente, in termini quantitativi e qualitativi, alla domanda sanitaria.
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Le principali innovazioni riguardano la regionalizzazione del Servizio Sa-nitario Nazionale (che viene a essere costituito dai Servizi sanitari regionali), l’attribuzione alle aziende sanitarie della personalità giuridica pubblica, il fi-nanziamento per quota capitaria, l’accreditamento e il finanziamento a tariffa delle strutture.
Il decreto legislativo n. 229/99 “Norme per la razionalizzazione del Servi-zio Sanitario Nazionale” ha portato a compimento il processo di regionalizza-zione del sistema e aziendalizzazione delle strutture; ha potenziato il ruolo dei Comuni nella programmazione e nella valutazione dei servizi; ha sottolinea-to il forte rilievo dell’integrazione sociosanitaria; ha focalizzato l´attenzione sulla qualità, appropriatezza ed efficacia delle prestazioni, provvedendo ad affermare il principio di contestualità tra identificazione dei livelli di assisten-za garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale e la definizione del fabbisogno nazionale.
L’evoluzione in senso federalista del sistema di tutela della salute, dopo i primi passi compiuti con il decreto legislativo n. 112/98, si afferma più com-piutamente con il decreto legislativo n. 56/2000, recante il nuovo sistema di finanziamento regionale dei servizi, e con la riforma generale apportata con la revisione del titolo V, parte II, della Costituzione, attuata con la legge n. 3/2001, che contiene i presupposti per la futura approvazione di nuove e di-stinte discipline regionali della sanità pubblica.
Sempre del 2001 è la legge n. 405, la quale, con il titolo “Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria”, detta importanti disposizioni riguardanti non solo il regime di finanziamento dei servizi, ma anche i presupposti per una diversa regolamentazione nelle Regioni degli ospedali pubblici, delle forme di collaborazione tra pubblico e privato e dell’organizzazione dell’assistenza farmaceutica.
Con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 sono stati definiti i servizi che rientrano tra i Livelli Essenziali di Assi-stenza (LEA), vale a dire quei servizi che devono essere garantiti a tutti, a cari-co del Servizio Sanitario Nazionale. L’integrazione sociosanitaria è affrontata dalla legge n. 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema inte-grato di interventi e servizi sociali”), finalizzata a promuovere interventi so-ciali, assistenziali e sociosanitari diretti a offrire un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà, fornendo sostegni ai singoli anche all’interno del proprio nucleo familiare. La legge 328/2000 in particolare l’art. 8 comma 3 punto a) sancisce che “nella determinazione degli ambiti territoriali, le regioni prevedono incentivi a favore dell’esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari già operanti per le prestazioni sanitarie”.
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Il Piano sanitario nazionale 2003-2005 ha posto l’integrazione sociosani-taria tra i principi fondamentali del sistema sanitario italiano, il piano dedica particolare attenzione al territorio favorendo la costruzione di un rete integrata dei servi sociali e sanitari per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili.
La necessità di tale integrazione la cui carenza può vanificare anche il più complesso intervento sanitario è stato ribadito anche nel Piano sanitario 2006-2008 e nei seguenti.
Il nodo dell’integrazione sociosanitaria richiede uno sforzo maggiore quando si parla di patologie dementigene, che richiedono un’assistenza glo-bale al paziente e ai familiari per la quale, quindi, è necessario un impegno straordinario da parte delle istituzioni, centrali e regionali. Per questo il si è convenuto nella Conferenza unificata Stato-Regioni di definire e implemen-tare nel triennio 2011-2013 un “Programma nazionale di interventi per le de-menze” che tenga conto del fatto che come, recita il testo “ in tutte le malattie cronico-degenerative nelle quali l’approccio farmacologico non è risolutivo, occorre prevedere un insieme articolato e organico di percorsi assistenziali”. Per questo sono state redatte 10 linee di azione “improntate a tutte le op-portune misure di sanità pubblica che possano promuovere interventi ade-guati, di contrasto allo stigma sociale, di garanzia dei diritti, di conoscenza aggiornata, di coordinamento delle attività, finalizzati a una corretta gestione integrata della demenza”. Si tratta di adeguare, razionalizzare e/o potenziare l’espe rienza delle UVA, che restano pur sempre il punto di accesso e l’unico riferimento per pazienti e familiari, nelle zone in cui si riesce – con difficol-tà – a mantenerle aperte. Va poi perseguita l’integrazione, tra servizi sanitari e sociali, anche valorizzando l’esperienza dei PUA, i punti unici di accesso rivolti all’anziano e al disabile. Al punto 10 inoltre si prevede l’istituzione di una funzione di coordinamento permanente per le demenze con funzione di supporto, coordinamento e verifica delle attività con il coinvolgimenti delle direzioni generali del Ministero della Salute.
2. Analisi di contesto: Regione Lombardia
Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria di primo livello la Regione Lom-bardia è organizzata in 15 ASL all’interno delle quali sono presenti 86 Distret-ti. Pur in presenza di un ruolo forte della Regione nel governo e nella pro-grammazione delle politiche di welfare alle ASL è riconosciuta un’autonomia sostanziale nel disegno organizzativo nella programmazione e nelle modalità erogative dei servizi e delle prestazioni in base alle specialità territoriali.
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Con la legge regionale n. 3/2008 “Governo della rete delle unità d’offerta sociosanitarie e sociali” e con la legge regionale 33/2009 “Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità” che abroga la LR 31/97, la Regione ha inteso richiamare i principi di sussidiarietà orizzontale e verticale e di libera scelta del cittadino perseguendo tra gli obiettivi prioritari l’adeguatezza del-le risposte sanitarie offerte ai bisogni sociali e sociosanitari, la promozione dell’integrazione sociosanitaria.
Con la deliberazione Giunta regionale 1 dicembre 2010 n. 9/937 “Deter-minazioni in ordine alla gestione del servizio sociosanitario regionale per l’esercizio 2011” la Regione Lombardia sottolinea l’importanza e il ruolo, nell’assetto organizzativo, del direttore sociale e dei Dipartimento di assisten-za sociosanitaria integrata. Essi, infatti devono fungere sempre più da integra-tori della domanda del welfare “secondo matrici di responsabilità, espressa dal cittadino, coordinando più il bisogno che nasce dalla domanda che le criticità poste dall’offerta”. In questo quadro, quindi le ASL, dovranno assegnare alla Direzione Sociale adeguate risorse sia umane sia finanziarie, impegnandosi in un’organizzazione, progettazione e realizzazione della rete sociosanitaria.
Il Piano sociosanitario 2010-2014 sancisce di fatto il passaggio dalla “cura al prendersi cura” rinforzando la scelta regionale di porre al centro del sistema la persona e la famiglia sostenendo a livello distrettuale l’integrazione e l’uni-tarietà fra i diversi interventi sanitari e sociosanitari.
Tutti i documenti di programmazione strategica regionale individuano nel livello distrettuale il luogo più importante per il governo della domanda fa-vorendo l’accesso ai punti di accoglienza orientamento e accompagnamento del cittadino favorendo una presa in carico globale integrata e continuativa in particolar modo nella fase post-acuzie e nella fase cronica di lungo assistenza.
L’incremento significativo della fascia dei grandi anziani ha posto la Re-gione Lombardia, come del resto tutte le altre Regioni, davanti a una nuova sfida da affrontare quella delle demenze senili e con il Piano Alzheimer del 1994 la Regione Lombardia, la prima in Italia e tra le prime nel mondo, ha avviato un intervento organico per affrontare il complesso problema dell’assi-stenza alle persone affette da demenza: punto di avvio del processo di costru-zione di un sistema integrato di servizi per la Malattia di Alzheimer. Nel 2000 nacquero le Unità di Valutazione Alzheimer , più di 70 centri specializzati nella diagnosi e terapia della malattia.
Questo testimonia la forte attenzione al problema e altrettanto forte volon-tà di supportare tutti coloro che sono impegnati nella cura nell’assistenza e nell’aiuto alla famiglia.
La panoramica riguardo i servizi istituzionali parte dall’analisi dei singoli provvedimenti attuati dalla Regione Lombardia, e prende l’avvio, nel 1995,
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dal Piano Alzheimer, primo modello di rete integrata specifica, i Centri Regio-nali Alzheimer (CRA) e i Nuclei Alzheimer; a seguito di questi ultimi inter-venti nel 1998 è stato condotto uno studio (finanziato in parte dalla Comunità Europea) per verificare l’efficacia dei Nuclei Alzheimer in oltre 40 RSA della regione. Nel settembre 2000 il Ministero della Salute ha promosso la realizza-zione del progetto CRONOS che prevedeva, da parte di tutte le regioni, l’indi-viduazione di Unità di Valutazione Alzheimer (UVA) finalizzate alla diagnosi e alla stadiazione della malattia. La Provincia di Bergamo ha avviato inoltre a partire dal 2001 la diffusione del “buono sociale” e, attualmente, del voucher sociosanitario. I “voucher” sono titoli per l’acquisto di prestazioni, sociosani-tarie o socio-assistenziali da erogarsi presso strutture accreditate o pubbliche, attualmente diverse Regioni stanno seguendo l’esempio della Lombardia che ha disciplinato la generalità dei servizi domiciliari con forme di voucher sul versante sociosanitario, tramite l’ASL, e ha disposto alcune nuove forme di sostegno alla domiciliarità sul versante socio-assistenziale, tramite i Comu-ni. È destinato a sostenere interventi che possono favorire il mantenimento a domicilio di persone fragili. Il voucher sociale è rivolto ad anziani, disabili, ma anche a minori, emarginati o persone con problemi di salute mentale che hanno necessità di prestazioni di tipo sociale o assistenziale garantite da pro-fessionisti. Il valore del voucher sociale è determinato dai Comuni associati all’interno del Piano di zona; è fissato principalmente tenendo conto della diversa complessità delle prestazioni.
Nell’ambito della Provincia di Bergamo si segnala inoltre la messa a pun-to di un applicativo informatico “RILDEM” che ha permesso l’automazione delle segnalazioni dei nuovi casi di demenza e la raccolta delle informazioni in ambito provinciale. Questa costituzione di una banca dati permette l’inter-scambio di informazioni, via web, fra i soggetti che compongono la rete delle UVA.
In questo quadro si inseriscono: il Piano regionale triennale per la salute mentale approvato con DGR n. VII/7513 del 17/5/2004 che ha indicato i mo-delli organizzativi e gli strumenti per sviluppare una nuova policy per la salute mentale, e il Piano sociosanitario 2007-2009 approvato con DGR n. VIII/257 del 26/10/2006, che identifica tra le linee di intervento prioritario, le malattie neurologiche.
Secondo questo Piano, in relazione alle demenze, tra cui la Malattia di Alzheimer, oltre alla diagnosi precoce, “dovranno essere favorite le iniziative di prevenzione, che hanno dimostrato di avere influenza nel rallentare l’in-sorgenza di tali patologie; allo stesso modo un approfondimento dovrà essere attuato nello studio dei protocolli di cura e sull’appropriatezza delle terapie e dei ricoveri”.
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Con il decreto n. 9942 del 05/10/2009 la Direzione generale sanità della Regione Lombardia ha approvato il documento “Rete integrata per la gestione del paziente con demenza” quale importante supporto tecnico-organizzativo da destinare alle aziende ospedaliere e alle ASL, in quanto definisce l’orga-nizzazione in rete e i criteri di organizzazione delle strutture dedicate alle de-menze nella Regione.
Detto documento, che è stato elaborato dal GAT (Gruppo di Approfondi-mento Tecnico), costituito nel 2007, con l’obiettivo di proporre iniziative vol-te all’ottimizzazione e riqualificazione di aree prioritarie d’intervento tra cui l’area delle demenze, illustra le modalità organizzative delle strutture dedicate alle demenze; definisce gli ambiti e i livelli di competenza per la medicina generale, gli ambulatori di 1° e 2° livello e le strutture residenziali; da indica-zioni concernenti i collegamenti tra strutture della stessa azienda o di aziende diverse, qualora il percorso diagnostico-terapeutico assistenziale non sia com-pletabile in un’unica sede, al fine di generare una rete di servizi integrati.
Il centro di I livello/Ambulatorio Territoriale Specialistico Dedicato (ATSD) procede alla conferma della diagnosi sottoponendo il paziente inviato dal MMG dopo la prima valutazione diagnostica, a una valutazione neurop-sicologica di base e alla programmazione delle successive prestazioni ambu-latoriali.
I Centri per le Demenze (CD) o centri di II livello, collaborano con gli ATSD nella stesura del programma di interventi a medio-lungo termine, inol-tre a loro spetta la valutazione neuropsicologica completa e approfondita, pre-stazioni specialistiche diagnostiche.
La gestione domiciliare del paziente si avvale delle seguenti offerte socio-sanitarie: – ADI/voucher sanitario-buono sociale; – centri diurni integrati; – Residenze Sanitarie Assistite.
Con il DGR n. 10759 del dicembre 2009 l’offerta relativa ai servizi domi-ciliari si è arricchita di un nuovo strumento, i Centri di Assistenza Domiciliare (CeAD) che rappresentano la proposta di una nuova modalità di coordinamen-to delle cure domiciliari.
L’obiettivo dei CeAD, uno per ogni ASL, è rappresentato da:a) filtro e orientamento per persone anziane, disabili, non autosufficienti e per
le loro famiglie;b) regolazione degli accessi a servizi e prestazioni domiciliari;c) erogazione delle risorse disponibili in base alla gravità e all’urgenza dei
bisogni, avendo a disposizione un budget sia sanitario sia sociale.
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La ASL di Brescia ha dato seguito alle indicazioni regionali attivando il centro nel Distretto 1, dove trova un valido supporto nell’UCAM (Unità di Continuità Assistenziale Multidimensionale), un gruppo di lavoro multidisci-plinare che da oltre 10 anni interviene nei confronti degli anziani o malati con diverse problematiche.
Il CeAD formalizza l’integrazione tra l’UCAM distrettuale e i servizi so-ciali comunali di ambito, garantendo l’integrazione tra prestazioni sociali e sociosanitarie in ambito domiciliare, oltre che la continuità assistenziale at-traverso la definizione di un Piano Assistenziale Individualizzato, e secondo le modalità e le strategie più adeguate al contesto territoriale. Il centro offre anche un supporto per l’orientamento nell’accesso ai servizi, e una risposta rapida agli utenti.
Con la deliberazione Giunta regionale – Regione Lombardia – 14 maggio 2013, n. 10/116 “Determinazioni in ordine all’istituzione del fondo regionale a sostegno della famiglia e dei suoi componenti fragili: atto di indirizzo”, è stato istituito il fondo regionale per persone anziane fragili tra cui gli anziani con demenza in fase avanzata. Il fondo dovrà essere utilizzato per offrire so-stegno anche alle famiglie sia per l’assistenza alla famiglia sia per l’assistenza diretta alla persona. Punti salienti di detta determinazione sono: presa in cari-co globale e integrata delle famiglie e dei suoi componenti da parte degli enti territoriali – ASL, Comuni – che sarà realizzata attraverso una valutazione multidimensionale condivisa del bisogno, favorire l’accesso ai servizi e rimo-dulazione dell’attuale rete della residenzialità e dei servizi domiciliari.
3. Analisi di contesto Regione Toscana
Le politiche della Regione Toscana nel campo dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti colpite dalla Malattia di Alzheimer e da demenza si inquadrano nella cornice normativa generale. Una delle leggi di riferimento per l’integrazione sociosanitaria è la LR 72 del 3 ottobre 1997: “Organizzazio-ne e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e sociosanitari integrati”.
Essa conferma l’impostazione di fondo della Regione Toscana per quan-to riguarda l’organizzazione dei servizi socio-assistenziali e sociosanitari nel territorio e rafforza gli obiettivi dell’integrazione dei servizi sociosanitari e dell’allargamento delle politiche sociali.
La LR 72/1997 pone a pilastro del suo impianto progettuale l’unitarietà del percorso assistenziale, che non è comunque affermazione di poco conto di fronte al rischio sempre presente di separatezza e disarticolazione degli
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interventi di carattere socio-assistenziale nella loro organizzazione territoria-le. L’altro cardine delle politiche regionali dell’assistenza è la specificità dei progetti assistenziali sulla base della tipologia degli assistiti e delle patologie che li colpiscono.
La Regione, inoltre, dopo aver definito il distretto sanitario il livello in cui collocare l’integrazione tra offerta sociale e offerta sanitaria, con la legge 40/2005 modificata dalla LR n. 60/2008 ha costituito la Società delle Salute come modalità organizzativa di un ambito territoriale di zona-Distretto costi-tuita in forma di consorzio tra l’ASL e i Comuni per l’esercizio associato delle attività sanitarie territoriali, sociosanitarie e sociali integrate. L’introduzione nel sistema regionale della Società della Salute è avvenuta dopo una lunga fase di sperimentazione iniziata nel 2004.
Secondo l’art. 71 della LR 40/2005 le finalità della Società della Salute sono:a) consentire la piena integrazione delle attività sanitarie e sociosanitarie con
le attività assistenziali di competenza degli enti locali, evitando duplicazio-ni di funzioni tra gli enti associati;
b) assicurare il governo dei servizi territoriali e le soluzioni organizzative adeguate per assicurare la presa in carico integrata del bisogno sanitario e sociale e la continuità del percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale;
c) rendere la programmazione delle attività territoriali coerente con i bisogni di salute della popolazione;
d) promuovere l’innovazione organizzativa, tecnica e gestionale nel settore dei servizi territoriali di zona-distretto;
e) sviluppare l’attività e il controllo sia sui determinanti di salute sia sul con-trasto delle disuguaglianze, anche attraverso la promozione delle attività di prevenzione, lo sviluppo della sanità di iniziativa, il potenziamento del ruolo della medicina generale e delle cure primarie.Lo strumento dell’intero processo di pianificazione integrata è costituito
dal Piano Integrato di Salute (PIS) che deve essere adottato da tutte le SDS e il Piano attuativo locale delle ASL deve recepire le indicazioni previste dal PIS.
Il PIS in quanto strumento della nuova organizzazione dell’assistenza sa-nitaria territoriale previsto dal PSR 2002/2004, trova applicazione sull’intero territorio della Regione toscana e disegna un nuovo processo di programma-zione della zona-distretto.
Il PISR Piano Integrato Sociale Regionale 2007/2010 prevede, all’Allega-to 3, punto 1, la definizione di un Progetto regionale per l’assistenza continua alla persona non autosufficiente finalizzato ad accompagnare l’organizzazione di un sistema locale di welfare in gradi di tutelare le persone non autosuffi-cienti e le loro famiglie e a fornire modalità organizzative e gestionali finaliz-zate alla presa in carico globale del paziente fragile.
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Con la legge regionale n. 66 del 18 dicembre 2008 “Istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza “art. 10 vengono istituiti dei presidi detti “Punti insieme” che assicurano l’informazione alla persona che richiede la valutazione di non autosufficienza che sarà effettuata dall’Unità di Valutazio-ne Multidisciplinare (UVM) che ha inoltre il compito di definire il Progetto di Assistenza Personalizzato (PAP) che contiene gli obiettivi e gli esiti attesi in termini di mantenimento o miglioramento delle condizioni di salute della persona non autosufficiente.
Nello specifico per quel che riguarda le persone affette da demenza nel “modello toscano” la zona distretto rappresenta la cabina di regia di tutto il percorso sociosanitario e assistenziale in quanto rappresenta il governo della rete territoriale. La presa in carico del paziente con disturbi cognitivi parte dal MMG che avvia il percorso diagnostico-terapeutico, avvalendosi dei presidi specialistici, quando il percorso diventa anche assistenziale la presa in carico passa alla UVM che si avvale dei centri specialistici di I e II livello.
Obiettivo specifico di tale modello è rappresentato dal diritto alla garanzia della prestazione sociosanitaria appropriata, attraverso la valutazione dello stato di bisogno, la definizione di progetti personalizzati e l’erogazione delle prestazioni relative.
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Il Piano sanitario e sociale integrato 2012-2015 si è posto come obiettivo primari quello di mettere al centro la Persona nella sua complessità attraverso la presa in carico globale che è possibile solo attraverso il “coordinamento di tutti gli interventi necessari e la partecipazione di tutti gli attori coinvolti, in un sistema a rete aperto e flessibile, che metta al centro la persona e non la sommatoria dei suoi problemi, superando logiche professionali e “locali” e trovando soluzioni più attente al reale vissuto della persona interessata”. Inol-tre semplificare e sburocratizzare l’accesso ai servizi agevolando il percorso del paziente attraverso scelte volte a semplificare e riorganizzare i servizi so-ciali e sanitari.
4. Analisi di contesto Regione Emilia-Romagna
Con legge regionale n. 29 del 2004, “Norme generali sull´organizzazione e il funzionamento del Servizio Sanitario Regionale”, viene ridefinita la sanità dell´Emilia-Romagna in un´ottica federalista, sulla base delle nuove compe-tenze assegnate alle Regioni dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Confermando i principi di universalismo, equità e gratuità del Servizio sanita-rio, sono rafforzate le competenze degli enti locali in materia di programma-zione sanitaria, verifica e controllo, la partecipazione degli operatori sanitari al governo aziendale e il rapporto della Regione con l´Università nel campo dell´assistenza, della ricerca e della didattica.
La legge regionale 21/2003 ha istituito l’AUSL di Bologna. Per l’inte-grazione sociosanitaria il riferimento legislativo, in coerenza con la legge 328/2000, è la legge 2/2003 “Norma per la promozione della cittadinanza so-ciale e per la razionalizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
Per quel che attiene alla problematica relativa ai paziente affetti da demen-za e in particolare dal Malattia di Alzheimer la Regione Emilia-Romagna, per far fronte al forte impatto sociale che tale malattia impone, ha approvato nel 1999 con DGR 2581 il Progetto regionale sulle demenze senili che ha dato vita a una rete di servizi, presente su tutto il territorio regionale, di 53 Centri specializzati nella diagnosi e cura delle demenze, collegati ai servizi sociosa-nitari anche domiciliari
Obiettivo del progetto è offrire un sistema di servizi globale, unitario, inte-grato, radicato nel territorio, vicino alle persone non, quindi, percorsi troppo differenziati ma qualificazione della rete esistente attraverso: una formazione diffusa, la creazione di una rete di consultori e un percorso di adeguamento e miglioramento della rete dei servizi al fine di migliorare la qualità delle cure e
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della vita, favorire il mantenimento a domicilio e adeguare e specializzare la rete dei servizi sociosanitari nella presa in carico e cura dei soggetti dementi. La deliberazione della Giunta regionale n.2581/99, è una direttiva abbastanza singolare, almeno rispetto all’epoca in cui è promulgata: una patologia clinica è affrontata principalmente in termini inusuali, poiché sono individuate due leve strategiche per la lotta alla malattia: – approccio globale e integrato alla persona affetta da disturbi cognitivi; – sinergia con la rete integrata a livello sociosanitario e non separata per
patologia.La declinazione degli obiettivi del progetto demenze non è quindi solo di
tipo strettamente diagnostico, ma amplia la propria visione, richiedendo:6) una diagnosi tempestiva e adeguata;7) la qualità delle cure e della vita degli anziani dementi e dei loro familiari;8) il mantenimento a domicilio degli anziani colpiti da sindromi demenziali;9) l’espansione e la specializzazione della rete dei servizi della presa in ca-
rico;10) il cambiamento delle relazioni tra servizi/anziani/famiglie;11) la qualificazione dei processi assistenziali interni agli ospedali nei reparti
più interessati da ricoveri di soggetti affetti da sindromi demenziali.Solo dalla semplice lettura degli obiettivi indicati nella direttiva regionale
citata, emerge con chiarezza l’approccio assolutamente innovativo assunto a livello regionale nei confronti della patologia in esame: l’enfasi è giustamente direzionata anche agli aspetti sociali e sociosanitari in un’ottica davvero glo-bale del problema, con adeguata attenzione a ogni dimensione di vita.
In questo senso importante è la valorizzazione del ruolo del medico di medicina generale nelle varie fasi della malattia, prevedendo per questa figura professionale momenti d’informazione/formazione, ma anche le necessarie connessioni all’interno della rete.
Baricentro del sistema è il Consultorio demenze.Il Consultorio, centro esperto per le demenze senili, presente in ogni
Azienda USL dell’Emilia-Romagna, ha funzioni d’indirizzo, controllo e coor-dinamento tra il medico di famiglia, i reparti ospedalieri e i servizi assistenza anziani del Distretto.
Viene individuato un Consultorio demenze per ogni Provincia della Regio-ne, fulcro del sistema che agisce in stretta connessione con i “Centri delegati”, che sono ambulatori dislocati nei territori distrettuali, per l’accesso dei citta-dini nel luogo ove abitano.
L’obiettivo del progetto regionale è però principalmente quello di assicu-rare ai soggetti dementi, oltre una precoce valutazione e diagnosi, un’effettiva presa in carico da parte di tutta la rete, garantendo la qualità delle cure e della
69
vita degli anziani dementi e dei loro familiari.Con la direttiva summenzionata, la Regione Emilia-Romagna individua
come importante la presa in carico non solo da un punto di vista clinico del soggetto ma anche di diversi tipi d’interventi, sia fornendo ai familiari infor-mazioni sulle risorse della rete esistente, sia favorendo l’attivazione di servizi di sollievo, sia predisponendo eventi di formazione e aggiornamento dei care-giver informali, sia infine offrendo consulenza su problematiche assistenziali, legali, previdenziali e psicologiche.
A questa direttiva sono seguiti vari documenti regionali contenenti pro-poste operative e Linee guida per la qualificazione della vita delle persone dementi, sia presso il domicilio, sia presso le strutture e indicazioni in merito all’adeguamento domestico e strumentale.
Nel marzo 2001 l’Assessorato alle Politiche sociali, immigrazione, pro-getto giovani, cooperazione internazionale e l’Assessorato alla Sanità hanno emanato una proposta di un percorso di riqualificazione dei servizi della rete per gli anziani in particolare ha dato indicazioni specifiche relative ai AD e ADI, centri diurni, case protette, RSA, indicazioni per la sperimentazione di servizi specifici per soggetti dementi.
Con il Piano sociale e sanitario 2013-2014 la Regione Emilia-Roma-gna rilancia le sue politiche per un welfare universalistico (sia pure selettivo, quando si riferisce all’ambito sociale), pubblico nella programmazione e defi-nizione dei bisogni, basato sull’integrazione tra politiche sanitarie e politiche sociali per perseguire salute e benessere.
70
Emilia-RomagnaLa Regione ha due distinti Assessorati, Sanità e Politiche sociali, ma una Direzione centrale comune per l’integrazione sociosanitaria.Il Piano sociosanitario reg. 2008-2010 delinea un sistema articolato di governance, con luoghi e modalità di concertazione di obiettivi, azioni e risorse tra i diversi interlocutori, che comprende diversi livelli: il livello politico regionale, che si esprime tramite gli organismi generali (Assem-blea legislativa, Consiglio delle autonomie) e anche tramite un apposito organismo creato per promuovere l’integrazione delle politiche sanitarie e sociali (cabina di regia), con relativi organismi tecnici di supporto: – il livello provinciale, che assume un ruolo innovativo come sede di
programmazione unitaria attuativa del PSSR, anche per le aziende sanitarie. L’organismo di raccordo è la Conferenza Territoriale So-ciale e Sanitaria (CTSS);
– il livello distrettuale, che coincide con gli ambiti sociali di program-mazione e che assume un ruolo decisivo nel sistema di governo e gestione degli interventi sociosanitari.
Nelle Aziende USL, la gestione delle attività sanitarie e sociosanitarie è affidata al Comitato di Distretto e al direttore del Distretto, che si avval-gono, per gli aspetti programmatori, di una struttura tecnica gestionale integrata Comuni-AUSL.Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e sociosani-taria regionale – Art. 10 bis, LR n. 19/1994 “Norme per il riordino del Servizio Sanitario Regionale” Punto Unico di Accesso – Art. 15, LR n. 5/1994 “Tutela e valorizzazione delle persone anziane – Interventi a favore di anziani non autosufficienti”
Il Piano sociosanitario regionale 2008-2010 costituisce il nuovo stru-mento di programmazione integrata tra ambito sanitario e ambito socio-assistenziale, e il quarto piano sanitario della Regione Emilia-Romagna.Il Piano prosegue un più ampio disegno di sviluppo del sistema sanita-rio e del welfare locale che trova come prioritari riferimenti, a livello regionale: – il precedente PSR 1999-2001 e i successivi provvedimenti attuativi;
la LR 29/2004 che avvia la cosiddetta “terza fase di aziendalizzazio-ne del SSR”;
– la LR 2/2003 sul sistema dei servizi sociali e di cittadinanza.Tenendo conto di questo ampio processo, la Regione fissa nuovi obiet-tivi di salute e di sistema dei servizi, orientati a un nuovo passaggio, fortemente sostenuto a livello nazionale dal PSN 2006-2008 e dal Patto della salute, che riguarda l’integrazione sociosanitaria e la prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie croniche.Obiettivi prioritari: – sperimentazione della gestione del Fondo regionale per la non au-
tosufficienza; – sistema di accreditamento delle strutture sociali e sociosanitarie;
regolamentazione omogenea del sistema di compartecipazione alla spesa, attraverso lo strumento ISEE;
– integrazione nel sistema delle Aziende pubbliche per i servizi alla persona (ASP).
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5. Analisi di contesto: Regione Lazio
La Regione Lazio attraverso i Piani sanitari regionali ha dato attuazio-ne alle normative nazionali stabilendone i criteri organizzativi e strutturali attraverso la formulazione dei Piani sanitari regionali e attraverso il Piano socio-assistenziale che è lo strumento di programmazione e pianificazione at-traverso cui la Regione determina i criteri di programmazione degli interventi sociosanitari assistenziali. Il primo PSA è stato approvato con DGRG n. 591 dell’1/12/1999.
Attualmente è in corso la redazione del nuovo Piano socio-assistenziale per il triennio 2012-2014.
La Regione Lazio approva ogni tre anni un Piano socio-assistenziale che determina i criteri di programmazione degli interventi e dei servizi socio-assistenziali, in coerenza con gli obiettivi del piano sanitario, coordinandoli con le politiche dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro. Il piano sulla base dei dati socio-demografici ed economici relativi al territorio regionale, individua gli obiettivi generali e specifici da perseguire nel trien-nio di riferimento, le priorità di intervento, i livelli e gli standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni; le esigenze di formazione, riqualificazione e aggiornamento nell’area dell’assistenza sociale. Obiettivo primario è quello di costruire un sistema regionale del welfare, capace di modulare gli interventi e le risorse secondo criteri di appropriatezza, attivando risposte adeguate alle necessità assistenziali dei cittadini.
Il PSR 2008-2010 si è posto come obiettivo irrinunciabile una qualificata assistenza sul territorio ponendo al centro la persona e non la patologia. L’evo-luzione dell’assistenza, così intesa, trova la sua realizzazione solo attraverso la costituzione, l’organizzazione e il funzionamento di reti di assistenza in grado di offrire una razionalizzazione nell’erogazione delle prestazioni, per questo un ruolo principale assume il Distretto sanitario.
Il Piano per il triennio 2010-2012, coerentemente con l’intesa tra il go-verno, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concernente il nuovo Patto per la salute per gli anni 2010-2012 prevede una profonda trasfor-mazione dell’organizzazione dei servizi assistenziali, dove tutti gli operatori dei vari settori sono chiamati a operare in una prospettiva comune.
Le ASL devono rafforzare e perfezionare il loro ruolo nel governo della domanda attraverso l’affidamento al Distretto di un ruolo di governo effettivo.
Particolare rilievo riveste l’avvio dei Presidi Territoriali di Prossimità (PTP), strutture con funzioni assistenziali, intermedie tra il ricovero ospe-daliero e le risposte assistenziali domiciliari. Ricordiamo, inoltre, il DGR 315/2011 “Il Punto Unico di Accesso sociosanitario integrato nella Regione
73
Lazio – Linee di indirizzo, e il DPCA 431/2012 “La valutazione multidi-mensionale per le persone non autosufficienti, anche anziane e per le perso-ne con disabilità fisica, psichica e sensoriale: dimensioni e sottodimensioni. Elementi minimi di organizzazione e di attività dell’UVM distrettuale nella Regione Lazio”.
In particolare la DGR 313/2012 ha previsto l’adozione da parte delle ASL, di specifici piani operativi riguardanti lo sviluppo dell’assistenza primaria, la costruzione di PDTA, l’integrazione sociosanitaria, formazione e qualifi-cazione del personale e piani atti ad assicurare la continuità assistenziale e l’integrazione tra ospedale e territorio, nonché il potenziamento delle attività di specialistica ambulatoriale e l’integrazione di essa nella rete dei servizi ter-ritoriali, per l’erogazione delle prestazioni erogabili a tale livello nel quadro di una politica di Health Technology Assessment.
Con il decreto n. U00314 del 5/7/2013 “Adozione della proposta di pro-grammi operativi 2013-2015 e salvaguardia degli obiettivi strategici di rientro dai disavanzi sanitari della Regione Lazio” si ribadisce il ruolo del Distretto ovvero quello di governo dell’assistenza primaria e intermedia, in grado di ge-stire a livello territoriale soggetti affetti da patologia cronica, anche attraverso lo sviluppo di un rapporto più incisivo e integrato con la medicina generale e la pediatria di libera scelta, adottando l’approccio previsto dal Chronic Care Model. A tal fine si prevede il completamento dei PUA, l’implementazione della valutazione multidimensionale, il potenziamento dell’assistenza resi-denziale.
Per quel che riguarda l’assistenza dei cittadini affetti da demenza, il Con-siglio regionale del Lazio ha approvato il 26 aprile 2012 la LR n. 6 il “Piano regionale in favore di soggetti affetti da Malattia di Alzheimer-Perusini e altre forme di demenza”, presentato come proposta di legge a giugno 2010. Alla base del provvedimento, sancito nell’articolo 1, c’è il “diritto alla presa in carico”. Questo diritto è garantito dal Punto Unico di Accesso alla rete dei servizi presente in ciascuna ASL. In base a detto Piano è previsto in ogni distretto ASL un “care manager” che si occupa di ciascun piano assistenziale individualizzato (PAI). I PAI sono realizzati dai Centri territoriali esperti per le demenze presenti in ciascuna ASL. Con questa legge la Regione Lazio “assicura l’assistenza e la cura dei malati affetti da Alzheimer-Perusini o da altre forme di demenza, garantendo la presa in carico globale e continuativa del paziente e della sua famiglia attraverso una rete di servizi sociali e sani-tari integrati”.
La suddetta legge indica che la presa in carico di soggetti affetti da pato-logie cronico-degenerative, spesso portatori di bisogni socio-assistenziali cor-relati alla non piena autosufficienza, deve avvenire all’interno di team mul-
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tidisciplinari, il cui stile di lavoro sia caratterizzato dall’interdisciplinarietà, dall’integrazione e dall’operare non gerarchico dei singoli professionisti, in un piano di pari dignità. Tutti gli operatori della sanità devono convincersi fino in fondo che la vecchia impostazione dell’assistenza, basata sul “caso cli-nico” di pertinenza esclusiva di qualche specialista, è completamente superata dalla realtà dei bisogni sanitari attualmente espressi dai cittadini. Obiettivo delle aziende sanitarie sarà la sperimentazione di nuovi modelli organizzativi e di cura per la gestione delle cronicità.
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3. Modelli regionali a confrontodi S. Cavasino, R. Lucchetti, R. Pisano, A. Proietti
1. Criteri per una classificazione dei “modelli” regionali di integrazione sociale e sanitaria
Nel presente capitolo vengono presi in considerazione tre modelli di buo-na pratica (modello toscano, modello lombardo, modello Emilia-Romagna) e l’attuale modello della Regione Lazio.
Sono stati presi in considerazione tre modelli di buona pratica (model-lo toscano, modello lombardo, modello Emilia-Romagna) messi a confronto attraverso una SWOT Analysis che ha privilegiato la chiave di lettura delle “Linee guida SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria”. Nell’analisi SWOT è stato inserito anche il confronto con il modello Lazio, basato sulla recente normativa ancora in fase di applicazione.
Per l’analisi delle realtà regionali si è utilizzato un modello concettuale di riferimento sviluppato dal prof. Stefano Ricci (sociologo esperto in politiche sociali, organizzazione dei servizi, integrazione sociosanitaria), a partire da una declinazione dell’ISS in territoriale, istituzionale, programmatoria, orga-nizzativa, gestionale e professionale e dal confronto dei vari modelli rispetto ai criteri di “praticabilità” e “adeguatezza”.
Fig. 1 – ?????
Il percorso di costruzione di un “modello” di classificazione dell’integra-zione sociale e sanitaria delle Regioni italiane, ha considerato come riferimen-to generale due dimensioni costitutive dell’ISS: contenuti e modalità.
Ogni dimensione dell’ISS varia lungo un asse con due polarità: – contenuti di un’ISS sistemica vs settoriale;
81
– modalità di un’ISS strutturale vs funzionale.Rispetto alle possibili declinazioni dell’ISS (istituzionale, programmatoria,
organizzativa, gestionale, professionale, territoriale) sono state individuate 16 variabili, 8 per ogni asse; per ogni variabile sono stati proposti quattro item (a ogni item corrisponde un “valore” da 1 a 4 che contribuisce, combinato con gli altri, a posizionare la Regione nel sistema di assi cartesiani) come riportato nella tabella seguente.
Tab. 1 – Schema interpretativo dei modelli di ISS
Livello ISS Modalità-descrizioneTerritoriale Coincidenza ambiti/zone sociali (ex L. 328/00) e Distretti sanitariIstituzionale Integrazione strutture regionaliIstituzionale Ruolo comitati dei sindaciProgrammatorio Integrazione dei Piani regionali di programmazioneOrganizzativo Presenza/Attività dell’Ufficio di coordinamento delle attività distrettuali
(UCAD)Istituzionale Fondo regionale per la non autosufficienza Istituzionale Assetti istituzionali-Presenza e livello deleghe sul territorioProgrammatorio Piani territoriali integrati-Livello di integrazioneLivello ISS Contenuti-descrizioneProgrammatorio Piani territoriali integrati-Definizione e monitoraggioProgrammatorio Partecipazione cittadiniOrganizzativo Centri di responsabilità DistrettoOrganizzativo Esistenza/Funzione Punto Unico di Accesso (PUA)Gestionale Innovazioni gestionaliOrganizzativo Rapporto pubblico-privato nell’area dell’integrazione sociale e sanitariaGestionale Modalità di gestione-Condizioni operativeProfessionale Valutazione multidimensionale e predisposizione del Piano Assistenziale In-
dividualizzato (PAI) integrate
Per la determinazione degli item delle diverse variabili sono state utilizzate le seguenti fonti: – indagine AGENAS sui Distretti; – allegato normativo regionale su integrazione sociosanitaria della SIQuAS,
ricerca: percorsi regionali per il governo delle politiche sociali: scelte or-ganizzative a confronto;
– “l’integrazione sociale e sanitaria: ordinamenti e modelli regionali”, Fosco Foglietta.Il “modello “ riporta sull’asse delle ascisse (x) Modalità dell’ISS e sull’as-
se delle ordinate (y) Contenuti dell’ISS.
82
Sulla base dei due assi individuati e della polarizzazione definita (y = si-stemica vs settoriale e x = strutturale vs funzionale) si determina un sistema di assi cartesiani in cui i quadranti delineano quattro “tipologie/classificazioni” dei modelli regionali di integrazione sociale e sanitaria.
Tab. 2 – ????
Il modello è stato utilizzato in prima applicazione, in riferimento alle infor-mazioni ottenute dall’indagine AGENAS sui Distretti sanitari e alle risposte date dai presidenti regionali della CARD (Confederazione associazioni regio-nali di Distretto a un questionario online che riproponeva il quadro complessi-vo di quattro item per ognuna delle sedici variabili osservate.
L’applicazione del modello costruito, ha determinato la seguente mappa.
Fig. 2 – ????
2. Analisi SWOT dei 4 modelli regionali
A delle prime considerazioni possiamo evidenziare come la Regione Lazio si collochi nel 4° quadrante, caratterizzato da una modalità di ISS “funziona-le” e da contenuti “settoriali” che definiscono un livello di integrazione cosid-detto “leggero”.
Le Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Lombardia, seppur esprimendo tre “modelli” diversi di integrazione sociale e sanitaria, sono accomunate da caratteristiche di “consolidamento” per contenuti più “sistemici” e modalità più “strutturali”.
Tali considerazioni hanno determinato, da parte del gruppo, la scelta di analizzare il PDTA demenze, quali modelli di “buona pratica”, della Regione Toscana, della Regione Lombardia e della Regione Emilia-Romagna.
Le tre best practices sono state quindi messe a confronto attraverso una SWOT Analysis che ha privilegiato la chiave di lettura delle “Raccomanda-zioni SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria”. Nell’analisi SWOT è stato in-serito anche il confronto con il modello Lazio, basato sulla recente normativa ancora in fase di applicazione.
83
3. Confronto tra i 4 modelli regionali attraverso griglia di lettura racco-mandazioni SIQuAS
I quattro modelli regionali vengono messi a confronto attraverso una gri-glia di lettura basata sulle raccomandazioni SIQuAS sull’integrazione socio-sanitaria”.
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4. La scelta della best practicedi S. Cavasino, R. Lucchetti, R. Pisano, A. Proietti
1. Il modello di riferimento
Il gruppo di lavoro individua, quale modello di riferimento, il modello della Regione Toscana.
La Regione Toscana è la regione che da tempo ha adottato il Chronic Care Model come modello di gestione integrata delle patologie croniche.
Vengono di seguito riportati i sei elementi su cui si basa questo modello:1) le risorse della comunità. Per migliorare l’assistenza ai pazienti cronici le
organizzazioni sanitarie devono stabilire solidi collegamenti con le risorse della comunità: gruppi di volontariato, gruppi di auto aiuto, centri per an-ziani autogestiti;
2) le organizzazioni sanitarie. Una nuova gestione delle malattie croniche do-vrebbe entrare a far parte delle priorità degli erogatori e dei finanziatori dell’assistenza sanitaria. Se ciò non avviene difficilmente saranno intro-dotte innovazioni nei processi assistenziali e ancora più difficilmente sarà premiata la qualità dell’assistenza;
3) il supporto all’auto-cura. Nelle malattie croniche il paziente diventa il prota-gonista attivo dei processi assistenziali. Il paziente vive con la sua malattia per molti anni; la gestione di queste malattie può essere insegnata alla mag-gior parte dei pazienti e un rilevante segmento di questa gestione – la dieta, l’esercizio fisico, il monitoraggio (della pressione, del glucosio, del peso corporeo ecc.), l’uso dei farmaci – può essere trasferito sotto il loro diretto controllo. Il supporto all’auto-cura significa aiutare i pazienti e le loro fami-glie ad acquisire abilità e fiducia nella gestione della malattia, procurando gli strumenti necessari e valutando regolarmente i risultati e i problemi;
4) l’organizzazione del team. La struttura del team assistenziale (medici di famiglia, infermieri, educatori) deve essere profondamente modificata, introducendo una chiara divisione del lavoro e separando l’assistenza ai
95
pazienti acuti dalla gestione programmata ai pazienti cronici. I medici trat-tano i pazienti acuti, intervengono nei casi cronici difficili e complicati, e formano il personale del team. Il personale non medico è formato per supportare l’auto-cura dei pazienti, per svolgere alcune specifiche funzioni (test di laboratorio per i pazienti diabetici, esame del piede ecc.) e assicu-rare la programmazione e lo svolgimento del follow-up dei pazienti. Le vi-site programmate sono uno degli aspetti più significativi del nuovo disegno organizzativo del team;
5) il supporto alle decisioni. L’adozione di Linee guida basate sull’evidenza forniscono al team gli standard per fornire un’assistenza ottimale ai pa-zienti cronici. Le Linee guida sono rinforzate da un’attività di sessioni di aggiornamento per tutti i componenti del team;
6) i sistemi informativi. I sistemi informativi computerizzati svolgono tre im-portanti funzioni: 1) come sistema di allerta che aiuta i team delle cure primarie ad attenersi alle Linee guida; 2) come feedback per i medici, mo-strando i loro livelli di performance nei confronti degli indicatori delle malattie croniche, come i livelli di emoglobina A1c e di lipidi; 3) come registri di patologia per pianificare la cura individuale dei pazienti e per amministrare un’assistenza population-based; i registri di patologia – una delle caratteristiche centrali del Chronic Care Model – sono liste di tutti i pazienti con una determinata condizione cronica in carico a un team di cure primarie. Le sei componenti del Chronic Care Model sono interdipendenti, costruite
l’una sull’altra. Le risorse della comunità – per esempio le attività di una pa-lestra – aiutano i pazienti ad acquisire abilità nell’auto-gestione. La divisione del lavoro all’interno del team favorisce lo sviluppo delle capacità di adde-stramento dei pazienti all’auto-cura da parte degli infermieri. L’adozione di Linee guida non sarebbe attuabile senza un potente sistema informativo che funziona da allerta e da feedback dei dati.
Mentre i primi due punti sono caratterizzati da una forte valenza politico-istituzionale, gli ultimi quattro caratterizzano il percorso assistenziale dei pa-zienti affetti da disturbi cronici. Secondo il Chronic Care Model, informare i pazienti e fornire loro un valido supporto all’autocura è un processo di fondamentale importanza per il rag-giungimento di un miglior stato di salute che, nel caso dei malati cronici, può essere mantenuto anche in assenza di una continua assistenza medica.
L’organizzazione del percorso assistenziale deve garantire un perfetto co-ordinamento tra tutto il personale sanitario, compreso quello non medico, che riveste un ruolo fondamentale nel supporto ai pazienti affetti da disturbi cro-nici.
96
Il personale sanitario deve poter accedere a fonti d’aggiornamento conti-nue di sviluppo professionale per l’assistenza ai malati cronici e ogni decisio-ne clinica deve essere supportata da protocolli e Linee guida che garantiscano la massima efficacia del trattamento assistenziale.
Un ampio sistema di informazioni cliniche, in formato digitale o cartaceo, è indispensabile secondo il Chronic Care Model, per fornire agli operatori sa-nitari i dati relativi ai pazienti o a gruppi di pazienti affetti da disturbi cronici specifici.
Analizzando il database e i programmi di assistenza gli operatori sanitari possono così mettere a punto le migliori strategie di cura o piani individuali di assistenza personalizzata, valutandone in seguito la loro efficacia.
Applicando il modello del Chronic Care Model alle patologie dementigene, uno degli obiettivi è quello di avere un paziente/famiglia/caregiver informati che interagiscono con un team multidisciplinare proattivo.
2. Le motivazioni della scelta
I criteri che hanno determinato la scelta del modello toscano come modello di riferimento sono i seguenti: – validazione e riconoscimento a livello internazionale e nazionale: la linea
guida “Sindrome Demenza” edita nel gennaio 2011 dal Consiglio sanita-rio regionale è inserita nella banca dati National Guideline Clearinghouse (NCG:008442) e nel Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG);
– aderenza alle Linee guida SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria: il modello presenta un’alta aderenza alle Linee guida SIQuAS (vedi analisi SWOT comparativa dei 4 modelli);
– aderenza al Chronic Care Model che nell’attuale letteratura scientifica rap-presenta una delle più appropriate risposte nelle gestione delle patologie croniche;
– coerenza con le recenti indicazioni e normative della Regione Lazio in tema “demenze” e integrazione sociosanitaria (LR 6/2012);
– esportabilità del modello Toscano perché coerente con l’organizzazione territoriale della Regione Lazio.L’individuazione di un percorso di miglioramento aderente al modello di
riferimento presuppone l’individuazione di obiettivi prioritari, strumenti, in-dicatori e standard di riferimento.
In particolare in questo percorso vengono individuati quali obiettivi per la costruzione di una rete di continuità ospedale territorio e di integrazione tra sanità e sociale:
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– rete territoriale con centralità su bisogni/utenti; – rete territoriale come centro d’accessibilità al sistema; – semplificazione dei percorsi; – continuità delle cure (ospedale-territorio).
Gli strumenti della rete integrata possono individuarsi in: – Punto Unico di Accesso (PUA); – Unità Valutativa Integrata (UVI); – Piano Assistenziale Individuale (PAI).
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5. Il paziente con demenza e il suo caregiver: valutazione degli aspetti psicologici-cognitivi e trattamento riabilitativo di S. Cavasino
1. Approccio sistemico alla demenza
La demenza è una patologia complessa in quanto caratterizzata dall’in-terazione tra problemi cognitivi, disturbi psichici e comportamentali inseriti spesso in un quadro di comorbilità. Proprio per la frequenza dei sintomi com-portamentali la demenza, tra le patologie cronico-degenerative, è la malattia che più modifica l’assetto relazionale interno alla famiglia, provocando spesso comportamenti disfunzionali che incidono sull’omeostasi familiare. La presa in carico precoce, la personalizzazione dell’intervento può ridurre sia l’entità dei disturbi comportamentali del paziente che, conseguenzialmente, lo stress del caregiver.
Si va sempre più affermando un approccio olistico alla malattia, anche attraverso una “demedicalizzazione” di alcuni interventi.
La Regione Toscana infatti nella Linea guida demenza affronta tale temati-ca nella Raccomandazione 16 (Liv. V, Forza A) affermando che “Al momento della diagnosi di demenza, deve essere valutata la possibilità di trattamento non farmacologico dei sintomi cognitivi anche se le evidenze della letteratura non sono ancora conclusive. È necessario discutere con paziente e caregiver i benefici realisticamente attesi. Il trattamento di prima linea dei sintomi psico-logici e comportamentali è non farmacologico, in considerazione degli eventi avversi, potenzialmente gravi connessi al trattamento farmacologico. È neces-sario prevedere momenti e strumenti di formazione e supporto al caregiver. Per queste finalità il MMG si avvale dei servizi specialistici dedicati alla cura delle demenze”.
Stessa impostazione ritroviamo nell’ambito del progetto ALCOVE (Alzheimer Cooperative Valutation in Europe) dove vengono definite le rac-comandazioni sui principi fondamentali per una strategia globale di gestione dei Behavioral and Psychological Symptoms of Dementia (BPSD). Questo
99
progetto è stato avviato nel 2011 con l’obiettivo di migliorare le conoscenze sulle demenze e promuovere lo scambio di informazioni tra Paesi. Tale studio indica che in termini di sanità pubblica, gli interventi di prima linea per la pre-venzione e la gestione dei BPSD dovrebbero essere gli interventi psicosociali (PsychoSocial lnterventions, PSI), e in particolare, il primo livello dovrebbe essere rappresentato dai programmi psico-educazionali. Ciò in ragione del fat-to che i PSI sono efficaci sui disturbi comportamentali (agitazione, aggressi-vità, scatti d’ira, depressione e comportamenti ripetitivi diversi dalla psicosi) e più sicuri degli antipsicotici. I PSI e i programmi psico-educazionali sono efficaci per prevenire i BPSD e facili da implementare ed è stato dimostrato un aumento dell’efficacia con la partecipazione attiva dei caregiver.
Gli interventi multicomponente tra i PSI (adattati ai bisogni dei caregiver e delle persone con demenza, con follow-up periodico e forniti a domicilio) sono l’opzione più efficace per quanto riguarda gli esiti relativi al paziente e al caregiver e ritardano l’istituzionalizzazione. Tuttavia, richiedono un coor-dinamento tra la comunità e i contesti specialistici e sono di gran lunga più difficili da implementare.
Un PSI comporta il coinvolgimento sia del caregiver sia del paziente e deve essere adattato ai bisogni di entrambi, perché le dinamiche nelle loro relazioni possono essere una fonte di BPSD, e quindi sono centrali per la ge-stione dei BPSD. I bisogni di entrambi devono essere valutati sulla base delle necessità sociosanitarie e ambientali, questo comprende necessariamente la ricerca dei fattori che contribuiscono al manifestarsi dei disturbi comporta-mentali del paziente e la valutazione del carico, dello stress, della qualità della vita e dell’autostima del caregiver.
2. Segni e sintomi psico-comportamentali e del decadimento cognitivo
La demenza è una condizione che comporta la progressiva perdita delle funzioni cognitive, tale da compromettere l’autonomia personale.
Alla sintomatologia della sfera cognitiva si accompagnano solitamente an-che alterazioni del comportamento, sintomi depressivi e/o psicopatologici che possono variare lungo il decorso della malattia.
Le funzioni cognitive sono operazioni mentali che mettono in condizione l’individuo di relazionarsi con l’ambiente in modo funzionale.
Le principali funzioni cognitive che consentono al soggetto di relazionarsi con l’ambiente sono l’attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, che nella persona con demenza sono compromesse.
100
Tab. 1 – Sintomi cognitivi
Amnesia Disturbo sempre presente nella demenzaLa memoria a breve termine è compromessa, mentre quella a lun-go termine è maggiormente conservataCompetenze non verbali abbastanza conservateIntermittenza nel riconoscere percorsi e persone conosciuti
Aprassia Difficoltà nella gestione della vita quotidiana, anche di comporta-menti semplici
Agnosia Difficoltà nel riconoscimento degli oggetti e del loro usoDifficoltà nel riconoscimento delle persone
Afasia Disturbo del linguaggioDisturbo dell’attenzione Incapacità di mantenere l’attenzione
Incapacità di filtrare gli stimoliDisturbo dell’orientamento Difficoltà a orientarsi nel tempo e nello spazio
I sintomi psichici sono correlati alla percezione del “mondo interno”, delle emozioni e del pensiero del paziente con demenza e a questi si associano i sintomi comportamentali.
Tab. 2 – Sintomi psichici e comportamentali
DepressioneLa consapevolezza della propria condizione porta in alcuni casi il pazienti affetto da demenza, in fase iniziale, a mettere in atto meccanismi di ritiro sociale e indifferenza emotiva
AnsiaIl paziente affetto da deterioramento cognitivo si sente spesso mi-nacciato dall’ambiente circostante questo può comportare ansia e in questi casi la reazione può essere di aggressività
Irritabilità La presenza di iper-stimolazione ambientale possono provocare nel pazienti reazione di fastidio o rabbia
Deliri I comportamenti più frequenti nel delirio sono solitamente carat-terizzati da un contenuto di furto, di gelosia o di minaccia fisica
Allucinazioni La distorsione delle percezioni provocano nel pazienti allucina-zioni percettive
Disturbi dell’alimentazione La percezione non adeguata degli stimoli provoca comportamenti iperfagici o ipofagici
Disturbo del sonno Nel paziente affetto da demenza la percezione del ritmo sonno-veglia può essere alterata
La valutazione di queste dimensioni nell’ambito dell’unità valutativa mul-tidimensionale sono necessarie per la definizione di un piano assistenziale individuale (PAI).
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3. La valutazione psicologica e cognitiva del paziente con demenza
La valutazione del paziente demente è fondamentale in qualsiasi setting clinico. La gravità della demenza è un elemento che condiziona la scelta degli strumenti di valutazione, infatti vanno individuati strumenti specifici adatti alla gravità del paziente; ovviamente in relazione agli scopi e al setting, po-tranno variare anche gli operatori coinvolti nel processo valutativo.
Gli obiettivi del processo valutativo possono essere così elencati:1) diagnosi;2) valutazione del carico assistenziale;3) valutazione efficacia di terapie/interventi riabilitativi personalizzati;4) pianificazione dell’utilizzo di servizi e risorse.
La valutazione deve tener conto delle varie dimensioni da esaminare e del-la multiprofessionalità.
Nell’ambito della valutazione psicologica, nello specifico del paziente de-mente, vanno indagate le aree seguenti:1) funzioni cognitive;2) sintomi psicologici/depressivi;3) stress dei caregiver.
Per la scelta degli strumenti ci si è basati sia sulla Linea guida demen-za della Regione Toscana che è inserita nel Sistema nazionale linee guida (SNLG) e nella banca dati National Guideline Clearinghause, che sul con-fronto con gli strumenti valutativi usati dai PDTA dalle altre tre Regioni prese in considerazione dal presente studio (Emilia-Romagna, Lombardia e Lazio).
Nella tab. 4 vengono riportati i criteri diagnostici delle sindromi demenzia-li secondo le classificazioni del DSM-IV e dell’ICD-10.
103
Tab. 4 – Criteri diagnostici delle sindromi demenziali secondo il DSM-IV e l’ICD-10
DSM-IV ICD-10 Sviluppo di molteplici deficit cognitivi che comprendono: – compromissione della memoria; – afasia o agnosia o aprassia o disturbo delle
funzioni esecutive.I deficit non si manifestano esclusivamente nel corso del delirium.I deficit cognitivi sono sufficientemente gravi da causare una compromissione del funziona-mento lavorativo o sociale.Il deficit cognitivo deve rappresentare un de-clino rispetto a un precedente più elevato livel-lo di funzionamento.È correlata eziologicamente a una patologia medica generale, all’effetto persistente di so-stanza (compreso tossine) o alla combinazione di questi fattori
Disturbo di molteplici funzioni corticali supe-riori che comprendono: – memoria, pensiero, orientamento, com-
prensione, calcolo, capacità di apprendi-mento, linguaggio e giudizio;
– assenza di compromissione dello stato di coscienza. I deficit cognitivi sono accom-pagnati (o anche preceduti) da compromis-sione del controllo emotivo, del comporta-mento o delle motivazioni;
– interferenza con le attività personali della vita quotidiana (igiene personale, mangia-re, vestirsi, lavarsi…). Apprezzabile decli-no delle funzioni intellettive. Si manifesta nella Malattia di Alzheimer, nelle malattie cerebrovascolari e in altre condizioni che colpiscono primariamente o secondaria-mente il cervello;
– presenza dei sintomi e delle alterazioni da almeno 6 mesi
3.1. Valutazione delle funzioni cognitive
La batteria di test raccomandata dalle Linee guida per la valutazione neurop-sicologica dei pazienti con demenza accertata o da diagnosticare è la seguente: – Mental Deterioration Battery (MDB). La batteria è composta da sette test
finalizzati a fornire indicazioni sull’efficienza funzionale di diverse aree cognitive: abilità verbali e visuo-spaziali, memoria episodica, capacità logiche, capacità visuo-costruttive. Tuttavia la MDB non consente di ef-fettuare una diagnosi differenziale all’interno delle demenze perché non esamina specificamente le funzioni esecutive, solitamente compromesse nella demenza fronto-temporale e il rallentamento psico-motorio, tipico delle forme sottocorticali della demenza;
– Mini-Mental State Examination (MMSE). Il MMSE rappresenta lo stru-mento più usato per la valutazione di base e per la rivalutazione.Il test è composto da trenta item, che misurano sette aree cognitive:• orientamento nello spazio;• orientamento nel tempo;• registrazione delle parole;• attenzione e calcolo;
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• linguaggio;• prassi costruttiva.Il punteggio totale dello strumento è compreso tra 0 e 30 punti; un punteggio tra 0 e 18 compreso è indice di un grave deterioramento, un punteggio da 19 a 24 indica una compromissione moderata/lieve, un punteggio pari a 25 è considerato borderline, mentre da 26 a 30 è indice di normalità cognitiva. È necessario correggere il punteggio grezzo per età e scolarità del soggetto (vedi tab. 5). Il coefficiente va aggiunto (o sottratto) al punteggio grezzo del MMSE per ottenere il punteggio aggiustato. La somministrazione è agile e abbastanza veloce;
– Milan Overall Dementia Assessment (MODA). Il MODA è uno strumento utilizzato sia per lo screening sia per il follow-up, è più “raffinato” del MMSE e da maggior informazioni sul profilo delle funzioni cognitive del paziente, ma il tempo di somministrazione risulta molto più lungo, oltre a richiedere un addestramento specifico dell’operatore.Il MODA è una batteria che prevede la raccolta sia di dati di inchiesta (ri-cavati da un famigliare) che di dati testistici che si riferiscono ad aree co-gnitivi (attenzione, intelligenza, memoria, linguaggio, cognizione spaziale e percezione visiva).L’accertamento MODA riguarda soprattutto soggetti affetti da una demen-za in fase iniziale.La parte a inchiesta si articola su 35 punti per gli orientamenti (personale, temporale, spaziale e familiare) oltre a 15 punti relativi all’autonomia. Il punteggio complessivo è uguale a 100.Lo svolgimento dell’intero accertamento dura circa 25 minuti.La classificazione dei punteggi del MODA comprende il deterioramento cognitivo lieve per valori superiori a 60, medio tra 40 e 60, grave per valori inferiori a 40.
Tab. 5 – Coefficienti di aggiustamento del MMSE per classi di età e educazione nella popolazione italiana
Intervallo di etàLivello di educazione 65-69 70-74 75-79 80-84 85-890-4 anni +0,4 +0,7 +1,0 +1,5 +2,25-7 anni -1,1 -0,7 -0,3 +0,4 +1,48-12 anni -2,0 -1,6 -1,0 -0,3 +0,813-17 anni -2,8 -2,3 -1,7 -0,9 +0,3
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3.2. Valutazione dei sintomi psicologici/depressivi
– Neuropsychiatric Inventory (NPI). Il NPI è lo strumento più completo, in particolare quello a 12 item valuta anche il distress psicologico dei fa-miliari. Il NPI è utile in qualsiasi setting e per ogni livello di gravità del paziente;
– Geriatric Depression Scale (GDS). Per la valutazione della depressione e raccomandato il GDS in considerazione del fatto che dai dati della lettera-tura si evidenzia che il 67% di tutti i pazienti con demenza iniziale soffrono anche di depressione; tale test è consigliato nella raccomandazione delle Linee guida della Regione Toscana con Livello di forza III, Forza A.È uno strumento composto da 30 item, che esclude la rilevazione dei sin-tomi somatici e di sintomi psicotici. Le risposte sono di tipo binario (sì/no) e questo rende lo strumento di facile utilizzo nei pazienti anziani con deficit cognitivo. Il punteggio varia da 0 (normale) a 30 (depressione grave). I sintomi de-pressivi sono assenti da 0 a 10, da 11 a 16 sintomi lieve-moderata, 17 o superiore depressione grave.
3.3. Valutazione dei caregiver
Caregiver Burden Inventory (CBI). La scala CBI offre la possibilità di ot-tenere un profilo del carico del caregiver nelle varie aree (dipendenza, evolu-tivo, fisico, sociale, emotivo) ed è particolarmente raccomandata. La CBI è uno strumento di valutazione del carico assistenziale, in grado di analizzarne l’aspetto multidimensionale, elaborato per i caregiver di pazienti affetti da Malattia di Alzheimer e demenze correlate.
La scala è suddivisa in 5 sezioni, consente di valutare fattori diversi dello stress: carico oggettivo, carico psicologico, carico fisico, carico sociale, carico emotivo.1) il burden dipendente dal tempo richiesto dall’assistenza (item 1-5), che
descrive il carico associato alla restrizione di tempo per il caregiver;2) il burden evolutivo (item 6-10), inteso come la percezione del caregiver di
sentirsi tagliato fuori, rispetto alle aspettative e alle opportunità dei propri coetanei;
3) il burden fisico (item 11-14), che descrive le sensazioni di fatica cronica e problemi di salute somatica;
4) il burden sociale (item 15-19), che descrive la percezione di un conflitto di ruolo;
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5) il burden emotivo (item 20-24), che descrive i sentimenti verso il paziente, che possono essere indotti da comportamenti imprevedibili e bizzarri.La CBI permette di ottenere un profilo grafico del burden del caregiver
nelle diverse aree, per confrontare diversi soggetti e per osservare immediata-mente le variazioni nel tempo del burden.
I caregiver con lo stesso punteggio totale possono presentare diversi modelli di burden. Questi diversi profili sono rivolti ai diversi bisogni sociali e psicolo-gici dei caregiver e rappresentano i differenti obiettivi di diversi metodi di inter-vento pianificati per dare sollievo agli specifici punti deboli specificati nel test.
Le minori affidabilità del test si riscontrano a proposito del carico emotivo e sociale.
3.4. Valutazione complessiva della demenza
Clinical Dementia Rating Scale (CDR) estesa. La scala CDR è una tra le più utilizzate in questo ambito per il suo grado di accuratezza nella stadiazione della gravità clinica della demenza.
Per ottenere il punteggio della CDR è necessario disporre di informazioni rac-colte da un familiare o operatore che conosce il soggetto e di una valutazione del-le funzioni cognitive del paziente con particolare riferimento ai seguenti aspetti:1) memoria;2) orientamento temporale e spaziale;3) giudizio e astrazione;4) attività sociali e lavorative;5) vita domestica, interessi ed hobby;6) cura della propria persona.
In base al grado di compromissione viene assegnato un punteggio variabile tra 0 e 3; 0 = normale; 0,5 = dubbia compromissione; 1 = compromissione lie-ve; 2 = compromissione moderata; 3 = compromissione severa. Ogni aspetto va valutato in modo indipendente rispetto agli altri. La memoria è considerata categoria primaria; le altre sono secondarie. Se almeno tre categorie secon-darie ottengono lo stesso punteggio della memoria, allora il CDR è uguale al punteggio ottenuto nella memoria. Se tre o più categorie secondarie ottengono un valore più alto o più basso della memoria, allora il punteggio della CDR corrisponde a quello ottenuto nella maggior parte delle categorie secondarie. Qualora due categorie ottengano un valore superiore e due un valore inferiore rispetto a quello ottenuto dalla memoria, il valore della CDR corrisponde a quello della memoria. La scala è stata successivamente estesa per classificare in modo più preciso gli stadi più avanzati della demenza. I pazienti possono
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essere perciò classificati in stadio 4 (demenza molto grave) quando presentano severo deficit del linguaggio o della comprensione, problemi nel riconoscere i familiari, incapacità a deambulare in modo autonomo, problemi ad alimentarsi da soli, nel controllare la funzione intestinale o vescicale. Sono classificati in stadio 5 (demenza terminale) quando richiedono assistenza totale perché com-pletamente incapaci di comunicare, in stato vegetativo, allettati, incontinenti.
4. Basi neurofisiologiche dell’intervento riabilitativo
Le basi che rendono possibile e funzionale una Terapia di Riabilitazione Cognitiva (CRT), sono legate al concetto di plasticità del Sistema Nervoso Centrale (SNC), caratteristica presente in tutte le fasi evolutive della vita di un individuo. In questo ambito prenderemo in esame il concetto di plasticità ce-rebrale legato alla fase di invecchiamento normale e patologico. Per plasticità si intendono dei cambiamenti legati sia al livello cellulare che nei meccanismi sinaptici. Mattson (2002), ha ipotizzato che i neuroni e le cellule della glia rispondano alle stimolazioni ambientali che avvengono nell’invecchiamento, o con adattamento, o con perdita, sottolineando come l’adattamento sia col-legato con un invecchiamento di successo. Il termine plasticità è utilizzato anche in riferimento alla capacità mostrata da un neurone, nello specifico al-cune parti come dendriti e sinapsi, di cambiare in risposta a stimoli ambientali. L’invecchiamento cognitivo non è legato solo a una perdita ma racchiude in sé anche un meccanismo di adattamento a questa perdita. Il SNC degli adulti ha delle capacità plastiche, attraverso cambiamenti nella rappresentazione corti-cale. In generale vi è una diminuzione del volume a carico soprattutto della corteccia pre-frontale e della corteccia parietale dovuto a perdita di sinapsi, regressione dendritica e riduzione della materia grigia, inoltre vi è anche una riduzione della materia bianca, ma ciò non si correla con un calo significativo delle prestazioni cognitive. Greenwood sostiene che ciò che provoca l’atrofia del SNC mette contemporaneamente in atto dei meccanismi plastici che con-sentono una compensazione degli eventuali danni cognitivi; questo modello costituisce la base teorica per l’utilizzo di programmi di interventi volti a mi-gliorare la funzionalità cognitiva; molte prove mostrano come anziani affetti da demenza possano beneficiare di un training cognitivo.
Una review di Hill et al. (2011) conferma l’importanza della plasticità ce-rebrale come base di intervento nelle patologie neurodegenerative, intendendo per plasticità la capacità del SNC di adattarsi sia alla crescita evolutiva, sia l’a-dattamento conseguente a modifiche ambientali e sia ancora a meccanismi di compensazione dopo danni cerebrali. Studi di neuroimmaging in soggetti con
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demenza di Alzheimer lieve-moderata, impegnati in compiti di riabilitazione cognitiva, soprattutto rispetto alla funzione dell’apprendimento, confermano la presenza di meccanismi di plasticità cerebrale. Uno studio di Van Paasschen (2013) mostra che i soggetti del gruppo con demenza di Alzheimer evidenzia-no una più ampia attivazione delle zone coinvolte nelle attività cognitive dopo un intervento di riabilitazione cognitiva della durata di 8 settimane. Questi studi dimostrano come nella patologia di Alzheimer ci siano delle manifesta-zioni di plasticità cerebrale e che ciò sia un’ottima base su cui implementare dei protocolli di CRT soprattutto nella fase iniziale di tale patologia. Anche le Linee guida NICE (2006), suggeriscono come questi interventi siano utili e producano dei miglioramenti cognitivi, soprattutto in fase lieve moderata dell’evoluzione della sintomatologia cognitiva della demenza.
5. Trattamenti non farmacologici
Vista la relativa efficacia e i gravi effetti avversi della terapia farmacologi-ca per il trattamento dei sintomi psicologici e comportamentali della demenza (BPSD) si sta diffondendo fra gli esperti l’opinione che il trattamento psicologico dovrebbe comunque costituire la prima opzione, in particolare per quanta riguar-da i disturbi dell’umore, dell’aggressività, i disturbi dell’alimentazione, disinibi-zione e ripetitività verbale. Quindi al momento della diagnosi di demenza, deve essere valutata la possibilità di un trattamento non farmacologico dei sintomi. Anche se le evidenze scientifiche non sono ancora conclusive in tale ambito, si ritiene comunque necessario consigliare tali interventi discutendone sia con il paziente che con il suo caregiver circa i benefici realisticamente attesi (vedi Linea guida Demenza 2011 Regione Toscana, Raccomandazione 16 Liv. V, Forza A).
Il tentativo è quello di elaborare specifiche procedure che, basandosi sulla plasticità neuronale possano favorire riorganizzazioni corticali come nei casi di deprivazione sensoriali.
5.1. Trattamento dei sintomi cognitivi
Nella demenza la metodologia della riabilitazione cognitiva si declina in un modo specifico e differente rispetto a quello che può essere un approccio clas-sico a un adulto con lesione cerebrale acquisita. Gli spunti più interessanti in questo contesto vengono dati dai lavori della Clare (2003; 2008) e Bahar-Fuchs (2013). L’obiettivo da perseguire in un trattamento cognitivo in una persona con demenza nelle fasi iniziali è quello di ottimizzare il funzionamento cognitivo e
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migliorare la qualità della vita della persona. Inoltre, cosa non secondaria, agire nel sistema sociale della persona per facilitare e mantenere un continuo coinvol-gimento di questa nella sua quotidianità. Parlare di riabilitazione cognitiva nella demenza può sembrare una contraddizione in termini, in quanto stiamo parlan-do di una patologia neurodegenerativa, che comporta una perdita neuronale e quindi una conseguente perdita funzionale. Ma vari studi sperimentali mostrano come persone con demenza possono ancora modificare il proprio comporta-mento in risposta a modifiche dell’ambiente, possono apprendere nuove abilità e possono immagazzinare e recuperare nuove informazioni verbali. È importan-te sottolineare che un apprendimento di successo avverrà solo in determinate condizioni e che mantenere tale traguardo servono delle stimolazioni continue.
Nella fase precoce della malattia, quando il paziente ha parzialmente conservata la capacità di apprendere, si possono mettere in atto interventi riabilitativi con l’obiettivo di mantenere il più a lungo possibile le funzioni cognitive comportamentali, con risultati misurabili; tali interventi non sono più efficaci nella fase avanzata della malattia, il focus della cura in questa fase, sarà la diminuzione dello stress secondo un modello definito “protesico”.
Nella letteratura si trovano principalmente tre approcci cognitivi orientati verso la demenza: la stimolazione cognitiva generale, il training cognitivo e la riabilitazione cognitiva. Spesso i confini di questi tre approcci tendono a confon-dersi e spesso i termini non sono ben utilizzati dai vari fruitori di questi approcci.
Stimolazione cognitiva generale inspirata ai metodi e ai principi della Te-rapia di Orientamento Realtà (ROT): implica un coinvolgimento in attività di gruppo orientate a un generale miglioramento cognitivo e anche sociale. Tale approccio risulta essere applicato con persone con uno stato di demenza lieve-moderato. Questo programma può essere descritto come un approccio globale che mira sia alle funzioni cognitive (attenzione-concentrazione, orientamen-to, memoria, abilità visuo-costruttive, funzioni esecutive e fluenza verbale), sia a fattori psico-sociali come motivazione, socializzazione e stato affettivo. Da molti punti di vista questo intervento può essere considerato una versione della Reality Orientation ma è molto più coinvolgente sul piano individuale. I programmi di stimolazione cognitiva sono molto vari e spesso richiedono degli adattamenti personalizzati. Gli obiettivi sono:1) preservare le funzioni cognitive il più a lungo possibile e quindi rallentare
il declino cognitivo;2) incrementare o ri-stabilire autostima e fiducia in se stessi, motivando i pa-
zienti durante le attività che richiedono uno sforzo cognitivo.Le persone con demenza utilizzano strategie basate sull’immaginazione
mentale, classificazione categoriale e associazione semantica, con l’obiettivo
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di migliorare la memoria episodica e semantica, e consolidare la memoria implicita. Gli esercizi di stimolazione si basano su interessi e attività della persona anziana e sono divisi in categorie sulla base delle funzioni cognitive a cui sono diretti. Considerando inoltre che lo stato emozionale della persona e le funzioni cognitive sono interdipendenti, il trattamento si estende anche all’ambito psicosociale della persona, facendo leva sia sulla motivazione che influenza il funzionamento intellettivo, sia sullo stato psico-affettivo che in-fluenza la relazioni sociali. Questi aspetti sono stati ripresi e maggiormente strutturati da Spector, Woods e Orrel (2008), che hanno creato un program-ma di stimolazione, la Cognitive Stimulation Therapy, basato su 14 sessioni, ognuna delle quali include delle aree specifiche di lavoro sia in ambito cogni-tivo che affettivo. Vari studi pongono l’accento sull’efficacia di questo inter-vento (Spector et al., 2003), sebbene non sia ancora stato stabilito se questa efficacia sia dovuta alla componente della terapia centrata sulla sfera cogniti-va o a quella centrata sulla sfera dell’interazione sociale (Clare, Woods, 2004).
Training cognitivo: composto da una serie di compiti standardizzati orien-tati a specifiche funzioni cognitive come memoria, attenzione, linguaggio e funzioni esecutive. Questi compiti variano di difficoltà e possono adattarsi per le fasi del deterioramento cognitivo della demenza. Tale intervento è orientato alla fase lieve-moderata. Nello specifico il training cognitivo mira a riabilitare le funzioni cognitive deficitarie attraverso esercizi con carta e matita o con l’utilizzo di software. Nella demenza tale approccio è composto da compiti standardizzati orientati verso le funzioni cognitive, con l’obiettivo di sotto-porre la persona a una stimolazione delle funzioni in oggetto mirando poi a un conseguente miglioramento. Questo approccio non interviene in modo priori-tario sulla quotidianità del paziente, non è focalizzato sul contesto sociale ed emotivo e può essere somministrata sia individualmente che in gruppo (con gruppi omogenei per la tipologia di disturbo cognitivo e per livelli di deficit).
Riabilitazione cognitiva: sono degli interventi individuali orientati a speci-fiche funzioni ed esigenze della persona. Tale intervento è orientato alla fase lieve. Alcuni lavori recenti si sono concentrati su di un modello di riabilitazio-ne cognitiva per pazienti nelle fasi iniziali di demenza. Questo modello di ria-bilitazione si poggia su elementi legati sia alla neuropsicologia, alla psicologia cognitiva e alla teoria dell’apprendimento, che si combinano insieme per dar vita a una cornice riabilitativa che tiene conto sia del contesto della persona che del suo ambiente sociale. Questo metodo è stato inizialmente sviluppato su soggetti giovani con danni cerebrali e recentemente è stato applicato anche nella demenza. I problemi di memoria nelle prime fasi di demenza possono
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essere affrontati applicando due strategie: una strategia di riabilitazione che sfrutta gli aspetti di memoria preservati e, una strategia compensativa per que-gli aspetti della memoria che sono danneggiati.
La riabilitazione deve essere condotta nell’ottica del naturale cambiamen-to a cui il soggetto inevitabilmente andrà incontro, considerando sia il cam-biamento individuale che sociale che il progressivo aggravarsi della demenza e di conseguenza del deficit cognitivo. Considerando questi aspetti anche gli obiettivi della riabilitazione cognitiva devono essere modificati. I cambiamenti cognitivi nelle prime fasi della demenza e il loro impatto sulla vita quotidiana sono probabilmente l’aspetto su cui bisogna concentrarsi in questa fase e la riabilitazione cognitiva può essere una risposta efficace. Questo perché nelle fasi iniziali della demenza diversi aspetti della memoria sono selettivamente colpiti, mentre alcuni sono intatti. La memoria per eventi recenti ed eventi per-sonali è più colpita rispetto alle abilità procedurali. Anche se lavorare sull’ap-prendimento di nuove informazioni può risultare abbastanza dispendioso, ciò può portare a una maggiore conservazione delle abilità di ragionamento.
Attualmente tra le tecniche di riabilitazione cognitiva quella sostenuta da maggiori evidenze scientifiche è la ROT.
Trattamento dei sintomi psicologici e comportamentali: – musicoterapia. Nel 2001 l’America Accademy of Neurology ha indica-
to la musicoterapia come una tecnica per migliorare le attività funziona-li e ridurre i disturbi del comportamento nel malato di Alzheimer. Ciò è possibile perché la musica sembra rivelarsi uno strumento utile per pre-servare abilità e competenze musicali fondamentali (intonazione, sincro-nia ritmica, senso della tonalità), nonostante il deterioramento cognitivo dovuto alla malattia. Gli approcci musicoterapici sono mirati a integrare funzioni cognitive, affettive, fisiche e interpersonali, utilizzando tecniche attive e ricettive. L’intervento musicoterapico mira a raggiungere alcuni obiettivi quali: socializzazione, contenimento di stati di agitazione, con-tenimento dell’aggressività, del wondering e degli stati ansiosi, accresci-mento dell’autostima, riattivazione della memoria musicale ed emozionali; costruzione di una relazione empatica tra musicoterapeuta e paziente;
– approccio multisensoriale. L’approccio multisensoriale, noto anche con il termine snoezelen, ha come obiettivo la promozione del benessere psico-fisico del paziente utilizzando la stimolazione dei sensi. L’approccio mul-tisensoriale nasce come tecnica rivolta a soggetti in età evolutiva e giovani adulti con disabilità mentale, da alcuni anni viene utilizzato anche con sog-getti affetti da demenza. Alcuni studi hanno dimostrato che nei malati di demenza promuove il rilassamento e i comportamenti adattativi, migliora
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il tono dell’umore, facilita l’interazione e la comunicazione, migliora la relazione con il caregiver, produce una diminuzione dell’apatia e dell’irre-quietezza, dello stato confusionale e dei comportamenti compulsivi;
– aromaterapia. È un trattamento terapeutico che ha come obiettivo il mi-glioramento del benessere psico-fisico attraverso l’uso del massaggio, del micromassaggio e dell’automassaggio con l’utilizzo di oli essenziali. La modalità di applicazione della tecnica con micromassaggio fra operatore e utenti o reciproco tra anziani, provoca sia un rilassamento e un rinforzo psi-cologico e il contatto fisico rappresenta anche l’accettazione e la riscoperta di un sé corporeo; se l’esperienza corporea costituisce il primo rudimento del senso di sé, l’attenzione al corpo può aprire una via per recuperare parti di sé scisse e isolate, che con il paziente affetto da demenza viene del tutto misconosciuto. Il massaggio può anche essere rivolto contemporaneamen-te sia al paziente sia ai familiari e può rappresentare un metodo per crea un canale di comunicazione non verbale che agevola il riavvicinamento tra paziente e caregiver, consentendo anche a quest’ultimo di uscire dal senso di impotenza che la malattia può suscitare. In conclusione i risultati che si possono ottenere dall’aromaterapia in termini di miglioramento psico-fisi-co sono: rilassamento di corpo e mente; stimolazione delle facoltà senso-riali; miglioramento della percezione del sé e dell’altro; miglioramento dei disturbi depressivi e della qualità di vita delle persone istituzionalizzate;
– terapia con l’ausilio di animali (Pet Therapy). La Pet Therapy è un tratta-mento assistenziale finalizzato al miglioramento psico-fisico attraverso spe-cifici stimoli al cambiamento che nascono dalla relazione uomo-animale.Un recente studio condotto dall’Università di Tolosa ha evidenziato come la compagnia di un animale (in particolare cani e gatti) abbia effetti bene-fici su alcuni sintomi della Malattia di Alzheimer quali: irritabilità, aggres-sività, ansia, allucinazioni e insonnia. Un altro studio di Linda Laun pub-blicato nel gennaio 2003 sull’Home Healthcare Nurse evidenzia l’efficacia della Pet Therapy nel trattamento delle demenze: l’interazione con gli ani-mali provoca una stimolazione cognitiva che migliora le abilità motorie e sociali e la memoria nei pazienti. Va sottolineato che la Pet Therapy non è una terapia sostitutiva, ma la sua funzione è specificatamente di supporto;
– arte terapia. L’arte è una risorsa per il recupero e la riabilitazione nei di-sturbi cognitivi; ci sono dimostrazioni di buoni risultati sia nel migliorare capacità motoria e creative sia nella la memoria a breve termine.Questi trattamenti necessitano comunque di maggiori approfondimenti sulla loro efficacia;
– psicoterapia. In alcune situazioni di demenza in fase iniziale si può valuta-re l’opportunità di un intervento di psicoterapia breve mirato al trattamento
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dei sintomi di ansia e depressione con tecniche cognitivo-comportamenta-le o con un approccio interpersonale.Nella scelta delle tecniche sopra descritte, in assenza di forti evidenze, ci
si può avvalere delle indicazioni della Regione Toscana riportate nella linea guida demenza relativamente al trattamento dei sintomi psicologici-compor-tamentali e delle Linee guida elaborate dall’American Academy of Neuro-logy, revisionate nell’ottobre 2013 relativamente alle strategie per mantenere le attività funzionali e ridurre i disturbi del comportamento.
Vengono di seguito riportate le tabelle relative a tali indicazioni.
Tab. 6 – Trattamenti non farmacologici Regione Toscana
Trattamento dei sintomi cognitivi Trattamento dei sintomi psicologici e comportamentaliROT (Reality Orientation Therapy) Terapia cognitivo-comportamentale/approccio Interpersonale Training cognitivo MusicoterapiaRiabilitazione cognitiva Approccio multisensoriale
AromaterapiaPet TherapyArte terapia
Tab. 7 – Linee guida elaborate dall’American Academy of Neurology
Per migliorare le attività funzionali Forza dell’evidenzaModificare il comportamento, programmare gli accessi alla toilette, e in caso di bisogno accompagnare subito il malato per ridurre l’incontinenza urinaria
Forte
Assistenza qualificata, attività pratiche e rinforzo positivo aumentano l’in-dipendenza funzionale
Buona
Bassi livelli di illuminazione, musica e suoni che simulano quelli della natura migliorano il comportamento alimentare
Debole
Frequenti esercitazioni “multimodali” di gruppo possono migliorare le at-tività della vita quotidiana
Debole
Per ridurre i disturbi del comportamentoMusica, in particolare durante i pasti e il bagno BuonaPasseggiate o altre forme di ginnastica dolce BuonaTerapia della presenza simulata, con album di famiglia o videocassette DeboleMassaggi DeboleProgrammi psico-sociali di sostegno DebolePet Therapy DeboleUtilizzare comandi adeguati al livello di comprensione del paziente DeboleLuce brillante, rumore bianco DeboleRimedi cognitivi Debole
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6. Interventi sul caregiver
Per caregiver si intende la persona che si prende cura del malato non au-tosufficiente, distinguendo i caregiver formali (operatori) da quelli informali (familiari); il caregiver informale in alcune occasioni rappresenta una criticità di cui si deve tener conto nel progetto assistenziale (PAI) individuale del pa-ziente, visto che le condizioni emotive possono interferire con il PAI. Il cam-biamento di stile di vita del caregiver in seguito alla diagnosi di demenza del congiunto comporta normalmente la rinuncia forzata della pluralità di ruoli fino a quel momento ricoperti, queste rinunce possono sfociare in depressione reattiva con irritabilità e rancore correlate negativamente con la salute psico-logica del paziente; a tale proposito si sono rivelate efficaci i programmi di assistenza domiciliare, i centri diurni per pazienti con demenza con funzione di respite-care, i corsi di formazione per caregiver e i gruppi di mutuo auto-aiuto. Altrettanto utili, nel ridurre lo stress del caregiver, si sono dimostrati i programmi di counseling e supporti educazionali di tipo individuale.
L’intervento rivolto al caregiver deve essere mirato all’informazione pun-tuale sulla diagnosi, sul decorso della malattia e sulle strategie gestionali nelle varie fasi della malattia.
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6. Le demenze: analisi di contesto nel territorio dell’ASL RMDdi R. Pisano
1. Dati epidemiologici
La ASL RMD si estende dal centro della città di Roma a ovest verso il mare e comprende 3 distretti del Comune di Roma (corrispondenti ai Municipi X, XI e XII) e un distretto del Comune di Fiumicino per un’estensione complessiva di 517 kmq (fig. 1). Nell’ultimo decennio la popolazione è costantemente aumen-tata, fino a raggiungere circa 603.632 abitanti alla fine del 2012. Le caratteri-stiche demografiche della popolazione residente sono piuttosto disomogenee, in quanto la RMD include sia aree urbane, caratterizzate da una popolazione in rapido invecchiamento come il Municipio XI e Municipio XII, sia aree perife-riche con un ritmo di crescita demografico più “giovane”, come il Distretto 1 e il Municipio X. Pur occupando una superficie pari a meno di un terzo del totale dell’ASL, i Distretti “urbani” rappresentano insieme il 50% della popolazione totale, con una densità abitativa molto più elevata degli altri due.
Fig. 1 – Il territorio dell’ASL RMD
2. Analisi epidemiologica
Da un punto di vista epidemiologico assume una rilevanza la percentuale della popolazione over 65 risulta essere di circa 118.704 distribuita come mostrato nella tab. 1.
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Tab. 1 – ???????????
Municipio/Comune 65-69 70-74 75-79 80 > Totale Stima n. pazienti con demenza (6%)
X 9.954 9.728 8.448 11.742 39.872 2.392XI 8.330 8.279 6.558 10.916 34.083 2.045XII 9.626 9.011 6.800 8.954 34.391 2.063Comune Fiumicino 3.089 2893 2.048 2.328 10.358 621Totale 30.999 29.911 23.854 33.940 118.704 7.122
In base alle stime epidemiologiche sui dati relativi alla popolazione italia-na (prevalenza di casi di demenza tra il 5 e il 6%) nell’ASL RMD si dovreb-bero annoverare circa e 7.000 casi di demenza, con un’incidenza del 0,8-1,3% (pari a 950-1.545 nuovi casi l’anno).
Dalla pubblicazione dell’ASP “Report UVA 2012” risultano attualmente in carico all’UVA dell’ASL n. 3.110 pari al 43,67% dei pazienti stimati.
I pazienti presi in carico presso le UVA dell’ASL RMD secondo i dati del Report UVA 2012, n. 3.110 pari al 43,67%, il numero dei pazienti elegibili nel territorio sia pari a 4.986 ovvero al 70% dei potenziali pazienti affetti da demenza.
Sulla base dei dati riportati sul documento dell’ASP “Report UVA 2012” nella tabella seguente vengono riportati, il numero delle ore anno per opera-tore occorrenti per la presa in carico del paziente demente da parte delle UVA nell’ASL RMD.
Tab. 2 – ????????
N. ore attive UVA N. ore necessarie per la presa in carico del 70% dei pazienti stimati
Δ
Medici 7.248 12.465 5.217Psicologi 3.792 9.970 6.178Ass. sociali 576 4.985 4.409Infermieri 3.360 7.477 4.117Terapisti 3.552 4.985 1.433
Circa 1.700 anziani sono seguiti nei tre Centri anziani presenti nel territo-rio dell’ASL, ma tutti dislocati nell’area romana poiché nell’area del litorale non sono presenti strutture.
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3. Rilevazione analitica dell’attuale percorso demenza nel contesto azien-dale
Viene effettuata una rilevazione descrittiva delle attuali modalità assisten-ziale di presa in carico nei confronti dei pazienti residenti affetti da demenza e delle loro famiglie secondo una griglia costruita sulle seguenti dimensioni da esplorare: – struttura organizzativa e funzionamento dell’attuale percorso; – modalità di accesso; – composizione équipe, modalità e strumenti di valutazione; – offerta suddivisa per regime assistenziale: ambulatoriale, domiciliare, resi-
denziale, semi-residenziale.
3.1. Struttura organizzativa e funzionamento dell’attuale percorso
Il Percorso Diagnostico-Terapeutico-Assistenziale (PDTA) per i pazienti affetti da demenza è stato formulato in conformità con quanto indicato nel “Documento di indirizzo operativo per la riorganizzazione e la riqualificazio-ne dei servizi dedicati alle persone affette da demenza”, preparato dal gruppo di lavoro regionale per le demenze ed emanato nel giugno 2012 dall’Area programmazione dei servizi territoriali e delle attività distrettuali e dell’inte-grazione sociosanitaria della Regione Lazio, e in conformità con quanto pre-visto nella legge regionale n. 6 del 12/6/2012 sulle iniziative e i servizi per la assistenza alle demenze.
Un documento fondamentale per questo progetto è stata la Deliberazione aziendale ASL RMD n. 604 del 7/8/2008, ripresa poi dalla deliberazione ASL RMD n. 335 del 2/4/2010, in cui veniva indicata l’organizzazione della rete professionale per le demenze attraverso la istituzione della UVA aziendale multidistrettuale.
Le UVA sono presenti sia sul territorio sia presso il presidio ospedaliero G.B. Grassi secondo la seguente organizzazione: – Centro diagnostico-specialistico per le demenze:
• UOC Neurologia Ospedale Grassi, responsabile neurologo, con altri 5 neurologi, 1 neuropsicologa, 3 infermieri con specifica competenza nel-le demenze (n. 550 pazienti seguiti/anno).
– Centri territoriali distrettuali esperti per le demenze:• Distretto sanitario X Municipio:
° Poliambulatorio di Ostia Antica (responsabile neurologo, e presenza di un geriatra e una neuropsicologa);
118
° Ambulatorio geriatrico della UOC Medicina Ospedale G.B. Grassi: geriatra, con infermieri dedicati;
° Poliambulatorio e UO assistenza domiciliare Casal Bernocchi X Municipio: n. 3 neurologi e di infermieri ed assistenti sociali opera-tori del PUA): 135 visite nel 2011, 208 nel 2012.
° Centro assistenza domiciliare, Distretto Municipio X: n. 1 geriatra, con 2 neurologi, infermieri e operatori del PUA).
• Distretto sanitario Fiumicino: ° Poliambulatori e UO assistenza domiciliare Distretto Comune di
Fiumicino: n. 1 neurologo, con un altro neurologo CAD, infermieri dedicati, operatori del PUA.
• Distretto sanitario XI Municipio: ° Poliambulatorio distrettuale a Via Vaiano e CAD via Volpato (anco-
ra non attivo); ° Centro diurno “Il Pioppo” – Via Portuense 220 (n. 1 neurologo, con
una geriatra e un altro neurologo del CAD, infermieri dedicati, ope-ratori del PUA
° Distretto sanitario XII Municipio: ° Poliambulatori e UO assistenza domiciliare via Ramazzini (n. 2 ge-
riatri, infermieri CAD e operatori PUA): in via di attivazione.Il Coordinamento dell’UVA ASL RMD resta attribuito alla UOC Neurolo-
gia dell’Ospedale G.B. Grassi.
Centro diurno. Per i residenti nei Municipi X, XI, XII il Comune di Roma e l’ASL RMD in collaborazione con la cooperativa Nuova Socialità hanno attivato il centro diurno “Il Pioppo”, presso Casa Vittoria in via Portuense, 220, per malati di Alzheimer e altre forme di demenza degenerativa di grado medio/lieve.
Il Centro può ospitare mediamente 22 ospiti a giorni alterni (per un totale di 44 utenti) in regime di semi-residenzialità dalle ore 8.00 alle ore 17.00 dal lunedì al venerdì e dalle 9.00 alle 15.00 il sabato.
L’équipe è composta da un neurologo, responsabile sanitario (ASL RMD), uno psicologo e psicoterapeuta (coop. Nuova Socialità), un geriatra e un infer-miere (ASL RMD), n. 6 assistenti sociali (coop. Nuova Socialità)
Le attività del centro si possono sintetizzare in: – attività di vita quotidiana; – attività di stimolazione cognitiva; – attività occupazionale di gruppo; – attività ricreative; – attività rivolte ai familiari: counseling, colloqui di sostegno individuali.
119
È ormai imminente l’apertura di un nuovo Centro diurno Alzheimer nel territorio del Distretto X in collaborazione con Roma Capitale e l’équipe è composta da: – 2 medici specialistici CAD (neurologo/geriatria); – 2 infermieri professionali CAD; – 1 terapista della riabilitazione; – 1 psicologo.
Il Centro potrà ospitare n. 14 utenti gravi e 44 medio lievi a settimana su due turni.
Modalità di accesso: – UVA; – PUA/CAD distrettuale; – PUA integrato sociosanitario (Distretto X); – ambulatori geriatrici distrettuali; – MMG.
Composizione équipe. Modalità e strumenti di valutazione: – UVA ospedaliera: 5 neurologi, neuropsicologa, infermieri con specifica
competenza nelle demenze; – UVMD: geriatra, neurologo, infermiere e operatori del PUA; – PUA integrato distrettuale: n. 3 assistenti sociali di cui n.1 ASL RMD gli
altri due del Municipio, n. 1 amministrativo del Municipio, n. 2 infermieri e n. 1 medico (ASL RMD).Nel Distretto X già nel 2008 è stato attivato il Punto Unico di Accesso
integrato sociosanitario che svolge mansioni di informazione, accoglienza e orientamento ai servizi distrettuali. Le attività sono svolte in stretta collabora-zione con il Municipio X ed esegue una pre-valutazione del paziente e attiva se necessario l’UVMD (Unità di valutazione multimediale distrettuale). Altre-sì attua la presa in carico con la conseguente redazione del PAI (Piano Assi-stenziale Individualizzato) per e con l’utente e per i suoi familiari, con i servizi distrettuale e territoriali. Inoltre dal 12 aprile 2011, a seguito di un accordo operativo e congiunto tra i responsabili dei servizi distrettuali PUA e CAD e la Direzione sanitaria del Distretto hanno spostato l’accoglienza del servizio CAD presso il PUA dedicando 2 unità infermieristiche e un assistente sociale.
Le attività dei PUA sono monitorate con riunioni mensili tra tutti i servizi coinvolti, e una riunione trimestrale di coordinamento e verifica tra il dirigente ASL rappresentanti Municipio.
Per quanto riguarda l’UVDI, attivata in conformità al protocollo d’intesa del 12/4/2012 n. 24592 e relativo protocollo operativo del 26/04/2011 prot. 28838, è composta da 3 assistenti sociali (2 Municipio, 1 ASL) un infermiere e un medico.
120
Con delibera n. 521 del 7/11/2013 è stata istituita l’Unità Valutativa Mul-tidimensionale Distrettuale in attuazione sia del DGR n. 313 del 28/6/2012 “Riqualificazione dell’assistenza territoriale valorizzazione del ruolo del Di-stretto”. Approvazione del documento “Interventi prioritari per lo sviluppo delle funzioni del Distretto” che evidenzia come la valutazione multidimen-sionale territoriale assuma un particolare rilievo nel governo della continuità assistenziale e come il distretto, nell’ambito dei PAT e del Piano di zona, curi gli aspetti dell’integrazione sociosanitaria al fine di migliorare la risposta ai bisogni della popolazione che in risposta del DCA n. 431 del 24/12/2012. “La valutazione multidimensionale per le persone non autosufficienti, anche anziane e per le persone con disabilità fisica, psichica e sensoriale: dimensioni e sottodimensioni. Elementi minimi di organizzazione e di attività dell’UVM distrettuale nella Regione Lazio”.
3.2. Strumenti di valutazione: MMSE, ADL, IADL, CDR
Offerta suddivisa per regime assistenziale: – ambulatori distrettuali di neurologia e geriatria; – ambulatorio ospedaliero di neurologia; – UVA-UVDI; – CAD distrettuali; – centri diurni (ASL/Municipio); – RSA (privato accreditato).
Il diagramma di flusso rappresentato di seguito si riferisce alla situazione attuale dell’ASL RMD.
Fig. 1 – ?????
4. Punti di forza e debolezza
L’attuale modello di assistenza ha come punti di forza: – costituzione formale della rete professionale per le demenze tra gli specia-
listi neurologi e geriatri (deliberazione ASL RMD n. 608 del 07/08/2008 e n. 335 del 02/04/2010);
– definizione di alcune procedure e strumenti operativi;
121
– espressa volontà delle istituzioni (Municipi e ASL) di andare incontro alle richieste delle associazioni dei familiari per la realizzazione di un Centro diurno dedicato ai pazienti dementi (l’apertura nel Municipio X è ormai imminente);
– rapporto consolidato con l’associazionismo delle famiglie e canale aperto di comunicazione (incontri periodici formali);
– istituzione della UOS Integrazione sociosanitaria e dei Punti Unici di Ac-cesso PUA in tutti i Distretti, dove sono individuate figure professionali specifiche (Case manager) per garantire la gestione condivisa con i Muni-cipi delle problematiche di integrazione sociosanitaria;
– realizzazione di corsi per badanti.Punti di debolezza:
– insufficiente coinvolgimento del MMG prima e dopo la presa in carico dei pazienti da parte delle UVA;
– lista di attesa per la prima valutazione eccessivamente lunga per i pazienti che accedono per la prima volta alle UVA, soprattutto a causa dell’insuf-ficiente numero delle ore di neurologia, geriatria e neuropsicologia attual-mente disponibili (secondo il documento di indirizzo del Gruppo regionale per le demenze sarebbero necessarie 2,5 ore/anno di specialista neurologo o geriatria, 2,0 ore/anno di psicologo e 1,5 ore/anno di infermiere, per ogni paziente affetto da demenza residente nel territorio);
– insufficienza dei pochi centri diurni sul territorio; – mancanza posti letto in strutture intermedie per ricoveri anche brevi di
“sollievo” per le famiglie o per i ricoveri in corso di riacutizzazioni di pa-tologie croniche associate;
– carenza di legami stretti e saldi tra la rete sanitaria e la rete sociale nella gestione dei pazienti;
– insufficienza numerica e formativa di figure socio-assistenziali esperte in-dispensabili per la gestione dei casi a elevato livello di assistenza (fisiote-rapisti, terapisti occupazionali, assistenti sociali, educatori);
– mancanza di una gestione unitaria dei dati di attività e della cartella clinica del paziente.
5. SWOT Analysis percorso demenza ASL RMD
Segue l’analisi SWOT del percorso e la valutazione dello stesso rispetto alle raccomandazioni SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria.
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123
7. Le demenze: analisi di contesto nel territorio dell’ASL RMEdi R. Lucchetti
1. Dati epidemiologici
Gli ultra 65enni rappresentano il 21,96% della popolazione residente nell’ASL RME, vs il 21,6% dei residenti di Roma città, e il 4,19% della popo-lazione ultra 65enne dell’intero territorio comunale.
Sulla base dei dati demografici e dello studio sopra citato, si può stimare che nel territorio dell’ASL RME vi siano almeno 6.000 persone ammalate di demenza (tabb. 1-4), con un’incidenza attesa pari a circa 1.000 nuovi casi/anno.
Il quadro sintomatologico della Malattia di Alzheimer e delle altre demen-ze determina l’alterazione progressiva delle funzioni cognitive, con associati disturbi comportamentali e perdita della capacità di far fronte alle attività della vita quotidiana, fini alla perdita dell’autonomia personale. Il decorso naturale della malattia dura dagli 8 ai 12 anni e attraversa tre fasi:1) la fase iniziale riguarda le capacità cognitive. La persona è ancora auto-
sufficiente, ma presenta disturbi della memoria sempre più ricorrenti. Nel malato di Alzheiner questi disturbi sono continui e accompagnati da altri sintomi: alterazioni della personalità; perdita della capacità di ragionamen-to; il pensiero astratto è impoverito; diminuisce la capacità di giudizio e il rendimento lavorativo;
2) la fase intermedia vede l’aggravarsi progressivo dei disturbi: il soggetto è incapace di apprendere nuove informazioni; perde l’orientamento anche in ambienti familiari a causa del disorientamento temporo-spaziale; la me-moria remota è compromessa; sono frequenti i disturbi comportamentali;
3) nella fase grave/avanzata i sintomi si aggravano fino alla perdita della ca-pacità di riconoscere i familiari, di esprimersi, mangiare, muoversi autono-mamente. Il malato deve essere assistito e controllato ogni momento della giornata. Si manifestano difficoltà nella deglutizione e a volte il paziente
124
deve essere alimentato artificialmente. C’è il rischio di complicanze: mal-nutrizione, disidratazione, malattie infettive (soprattutto polmonite), pia-ghe da decubito. I pazienti dementi non muoiono per conseguenza diretta della malattia; la causa è da ricercare in una delle patologie sopra elencate che insorgono nello stadio avanzato della demenza.La Malattia di Alzheimer è stata definita come una malattia familiare nel
senso che sono le famiglie, in particolare in Italia, ad avere il peso psicologico e pratico, di far fronte alle trasformazioni e alle modificazioni che la malattia determina, sia per la mancata di una rete socio-assistenziale e sanitaria ade-guata, sia per motivazioni profonde di ordine culturale e religioso.
Fin dagli anni Sessanta sono state elaborate diverse metodiche di tratta-mento riabilitativo allo scopo di controllare i sintomi della Malattia di Alzhei-mer, tramite la stimolazione delle capacità cognitive e funzionali danneggia-te, al fine di rallentare e recuperare le disabilità determinate dalla malattia. Quindi è possibile effettuare questi trattamenti nei pazienti in fase iniziale e intermedia della malattia nei quali il danno cerebrale non ha ancora interessato tutte le strutture funzionali.
Nella fase avanzata di malattia il danno cerebrale è di entità tale che non è più possibile aspettarsi alcun recupero delle funzioni danneggiate. I pazienti in questa fase avanzata hanno solamente necessità di assistenza nei bisogni fisiologici primari e richiedono spesso il ricovero in strutture residenziali.
Fig. 1 – Il territorio dell’ASL RME
Tab. 1 – Popolazione dei Municipi dell’ASL RME al 31 dicembre 2011
Distretti Municipi Pop. totale
Estensione territoriale (kmq)
Densità abitativa (ab./kmq)
Peso demografico (pop. Mun./totale pop. %)
XVII Parte I 68.804 5,6 12.286 12,5XVIII XIII 137.132 68,7 1.996 24,9XIX XIV 186.288 131,3 1.419 33,8XX XV 158.222 186,7 847 28,7ASL RME 550.446 392,3 1.403
Fonte: Ufficio statistico del Comune di Roma – anno 2011
Tab. 2 – Rappresentazione della popolazione residente nell’ASL RME (Municipio e
125
Distretto) per classe di età al 31 dicembre 2011
Distretti Municipi 0-4 5-9 10-14 15-29 30-49 50-64 > 65 TotaleXVII Parte I 2.477 2.480 2.355 8.096 19.924 14.605 18.867 68.804XVIII XIII 6.098 6.204 5.776 18.012 43.494 26.612 30.936 137.132XIX XIV 8.528 8.881 8.401 26.032 58.979 35.947 39.520 186.288XX XV 7.440 7.568 7.206 22.704 51.012 30.812 31.480 158.222ASL RME 24.543 25.133 23.738 74.844 173.409 107.976 120.803 550.446
Fonte: Ufficio statistico del Comune di Roma – anno 2011
Tab. 3 – Popolazione residente ASL RME per grandi classi di età in valore percentua-le e per Municipio al 31 dicembre 2011
Distretti Municipi Fino a 14 (%) 15-64 (%) Ultra 65enni (%) Totale XVII Parte I 10,6 64,3 27,4 68.804XVIII XIII 13,2 64,3 22,6 137.132XIX XIV 13,9 64,9 21,2 186.288XX XV 14,0 66,1 19,9 158.222ASL RME 13,34 64,7 21,96 550.446
Fonte: Ufficio statistico del Comune di Roma – anno 2011
Tab. 4 – Variazioni indici demografici 2006 vs 2011 per Distretto e città di Roma
Distretto Indice di vecchiaia
Indice di invecchiamento
Indice di dipendenza
Indice di dip. anziani
Indice di dip. giovani
2006 2011 2006 2011 2006 2011 2006 2011 2006 201117 255,8 258,0 26,4 27,4 61,4 61,4 41,8 44,3 16,3 17,218 170,0 171,1 21,8 22,6 55,6 55,6 33,4 35,1 19,7 20,519 152,5 153,1 20,8 21,2 54 54 31,8 32,7 20,8 21,320 137,6 141,7 19,2 19,9 51,4 51,4 28,8 30,1 20,9 21,3ASL RME 163,7 164,6 21,4 21,9 54,5 54,5 32,7 33,9 20 20,6Roma 160,7 162,8 20,8 21,6 53,4 53,4 31,4 33,1 19,6 20,3
Indice di dipendenza = (popolazione età 0-14 + popolazione di 65 anni e oltre)/(popolazio-ne 15-64) * 100; Indice di vecchiaia = (popolazione di 65 anni e oltre)/(popolazione 0-14) * 100; Indice di Invecchiamento = (popolazione di 65 anni e oltre)/(popolazione totale residente) *100; Indice di dipendenza = (popolazione di 0-14 + popolazione di 65 anni e oltre)/(popo-lazione di 15-64 anni) * 100; Indice di dipendenza anziani = (popolazione di 65 anni e oltre/popolazione di 15-64 anni) * 100; Indice di dipendenza giovanile = (popolazione di 0-14 anni/popolazione di 15-64 anni) * 100.
Fonte: Ufficio statistico del Comune di Roma – anno 2011
126
Tab. 5 – Stima dei pazienti affetti da demenza
Distretti Municipi Popolazione > 65 anni
% popolazione > 65 anni
Stima n. pazienti con demenza*
XVII Parte I 18.867 27,4 1.132XVIII XIII 30.936 22,6 1.856XIX XIV 39.520 21,2 2.371XX XV 31.480 19,9 1.889ASL RME 120.803 21,96 7.248
* 6% Studio ILSA 1997.
Fonte: Ufficio statistico del Comune di Roma – anno 2011
Dalla pubblicazione dell’ASP “Report UVA 2012” risultano in carico alle 7 UVA insistenti nel territorio dell’ASL RME, di cui 6 ospedaliere e 1 terri-toriale, n. 5.875 pazienti affetti da demenza, pari all’81% dei pazienti stimati.
Nel medesimo documento viene indicata la percentuale di pazienti elegibi-li ovvero il 70%, percentuale derivata da stime di pazienti affetti da patologie croniche che sono presi in carico dai servizi specialistici dedicati (La presa in carico dei malati cronici nell’ASL di Brescia: monitoraggio BDA 2003-2006- Pubblicazione 10, ASL di Brescia, dicembre 2008; Monitoraggio dei malati cronici presi in carico nell’ASL di Brescia: BDA 2008 – Allegato al numero di Assistenza primaria, ASL di Brescia, marzo 2010).
Fondamentalmente i pazienti presi in carico dai Centri UVA sono in linea con le percentuali di quelli elegibili, riconducendo l’eccedenza del 11% alla molteplicità di tali Centri nel territorio aziendale, alla loro elevata specializza-zione e tenendo comunque conto che solo uno di tali Centri è a collocazione territoriale e a gestione diretta dell’ASL RME.
Il quadro che si viene a delineare nella tab. n. 6 mette in risalto un delta positivo per tutte le figure professionali coinvolte, ad eccezione di quella del medico e dell’assistente sociale che presentano un delta negativo, pur con le premesse di quanto specificato precedentemente.
Tab. 6 – ????
N. ore attive UVA N. ore necessarie UVA ∆Medici 9.840 12.752 -2.912Psicologi 9.408 7.651 1.757Infermieri 8.064 7.651 413Assistenti sociali 240 5.101 -4.861Terapisti della riabilitazione 9.552 5.101 4.451
127
Nell’ambito dei 7 Centri UVA, dei quali nel frattempo uno è stato disatti-vato, risulta pertanto estremamente rilevante la parte diagnostica specialisti-ca, con scarsa propensione alla costruzione di percorsi integrati, laddove gli UVA ospedalieri devono riconvertirsi in Centri diagnostici di II livello, con identificazione di un unico Centro territoriale esperto, quale riconversione del Centro UVA territoriale a gestione diretta, secondo quanto previsto dal Piano regionale demenze 2012 per la Regione Lazio.
2. Rilevazione analitica dell’attuale percorso demenza nel contesto azien-dale
Viene effettuata una rilevazione descrittiva delle attuali modalità assisten-ziali di presa in carico nei confronti dei residenti affetti da malattie dementige-ne secondo una griglia costruita sulle seguenti dimensioni da esplorare: – struttura organizzativa e funzionamento dell’attuale percorso; – modalità di accesso; – composizione équipe, modalità e strumenti di valutazione; – offerta suddivisa per regime assistenziale: ambulatoriale, domiciliare, re-
sidenziale, semi-residenziale e tipologia di erogatore (pubblico-privato-accreditato-sociale-profit e non profit).
2.1. Struttura organizzativa e funzionamento dell’attuale percorso
Vengono di seguito definiti i ruoli e le funzioni dei servizi coinvolti nella cosiddetta rete del percorso demenza così come strutturato nell’attuale realtà operativa. – Gli attori istituzionali: Municipi ex XVII, parte del I, XIII, XIV e XV – V
Dipartimento – ASL RM/E → accordo programmatico con identificazione ruoli, responsabilità, interfacce.
– I nodi della rete: MMG – funzioni:• gestione sospetto diagnostico;• competenze professionali gestione organizzativa, clinica e farmacolo-
gica;• orientamento ai familiari.
– Centro Demenze – UVA aziendale è definito “Centro esperto” nell’ambito della rete ed ha le seguenti funzioni:• svolge un ruolo di indirizzo (Linee guida-orientamento-formazione);• favorisce gli interventi di diagnostica di II livello: direttamente per la
128
valutazione neuropsicologica e indirettamente attraverso percorsi privi-legiati per la diagnostica strumentale e di laboratorio;
• collegamento strutturato con reparti ospedalieri (nell’ambito del territo-rio ASL ma anche extra-aziendali);
• costruzione di un percorso diagnostico-terapeutico preferibilmente in D.H. ovvero costruzione di un PAC in day service;
• definizione intervento farmacologico-cognitivo-comportamentale;• training riabilitazione cognitiva:
° azioni di consulenza RSA – CAD – strutture ospedaliere – strutture residenziali e semi-residenziali socio-assistenziali;
° gestione flussi informativi raccolti dai vari nodi; ° è costituito da: 1 medico (neurologo/geriatra), 1 psicologo, 1 infer-
miere professionale, 1 terapista occupazionale con esperienza in ser-vizi geriatrici e stimolazione cognitiva, 1 amministrativo.
– Municipi – funzioni:• rilevazione bisogni socio-assistenziali;• garantire la rete socio-assistenziale domiciliare e diurna.
– V Dipartimento – funzioni: • elaborazione programma di interventi;• ratifica protocolli d’intesa di integrazione sociosanitaria.
2.2. Modalità di accesso
Vengono di seguito riportati i servizi identificati quali punti di accesso al percorso e la loro collocazione: – PUA distrettuali; – sportello Alzheimer (Distretto XX); – Centro UVA – UOC Neurologia Ospedale S. Spirito – c/o Casa di Riposo
“Roma 3”; – CAD Distretto XVII, XVIII, XIX e XX.
Inoltre insistono nel territorio aziendale i Centri UVA degli erogatori ac-creditati non a gestione diretta, i quali non hanno punti di accesso strutturati al percorso: – Ospedale S. Pietro FBF – UOC Neurologia; – Azienda ospedaliera S. Andrea – UOC Neurologia; – Azienda ospedaliera S. Filippo Neri – UOC Neurologia; – Policlinico Gemelli – UOC Neurologia + Centro di Medicina per l’Invec-
chiamento (CEMI).Allo stato, quindi, nel territorio aziendale sono operative 6 Unità Valu-
129
tative Alzheimer (UVA) (7 fino al 31/12/2012 data in cui è cessata l’attività dell’IRCCS INRCA), ubicate presso il Policlinico Gemelli, l’Azienda ospe-daliera S. Filippo Neri, il Policlinico S. Andrea, l’Ospedale Villa S. Pietro e in via G. Ventura 60, unica UVA a gestione diretta dall’ASL RME; tali strutture sono nate grazie al “Progetto Cronos” del settembre 2000 del Ministero della Salute che aveva quale obiettivo la creazione di una rete di ambulatori per la diagnosi e per il controllo dell’evoluzione delle demenze da parte di specia-listi, secondo precise Linee guida e per la prescrizione, a carico del SSN, dei farmaci.
La struttura di via Ventura ha iniziato l’attività nel mese di marzo 2001; a oggi sono state effettuate dal Centro 9.100 visite a favore di circa 3.000 utenti, di cui 2.300 residenti; di questi ultimi sono risultati affetti da demenza circa 1.600 pazienti.
A oggi il Centro segue circa 700 pazienti ed eroga la seguente tipologia di prestazioni: – valutazione multidimensionale e visita neurologica; – visita geriatrica; – somministrazione di test neuropsicologici (MMSE, IADL, ADL); – prescrizione e distribuzione (dall’ultimo trimestre 2006) di farmaci speci-
fici; – controlli ambulatoriali periodici; – servizio di segretariato sociale.
2.3. Composizione équipe, modalità e strumenti di valutazione
– UVA: psicologo, geriatra, neurologo, infermiere professionale e assistente sociale del Municipio.La valutazione dei pazienti affetti da forme dementigene viene effettuata dall’équipe dell’UVA secondo le seguenti scale di valutazione:• MMSE (21-26 forma lieve; 10-20 forma moderata; < 10 forma severa)
– stadiazione del deficit cognitivo;• BADL e IADL (scale di valutazione funzionale);• NPI – scala di valutazione dei disturbi comportamentali.
– UVMD: geriatra, infermiere professionale, terapista della riabilitazione, assistente sociale (anche del municipio) e altre figure professionali e/o spe-cialistiche da integrare secondo le esigenze.
– Equipe Centro diurno: operatori ASL (psicologo, assistente sociale, terapi-sta della riabilitazione, infermiere professionale) integrati con gli operatori dl Municipio (educatore, OSS, assistente sociale).
130
2.4. Offerta suddivisa per regime assistenziale
Viene di seguito descritta l’offerta socio-assistenziale secondo la tipologia dell’erogatore e il regime assistenziale. – ADI (Distretto). L’Assistenza Domiciliare Integrata viene erogata per il
tramite del CAD di ciascun Distretto e comprende prestazioni di nursing, visite specialistiche, verifica del Piano di Trattamento Farmacologico pre-scritto dall’UVA.
– Centri diurni (Comune):1) Centro diurno c/o Casa di Cura Roma 3, via G. Ventura, 60, 20 posti
semi-residenziali ore 8.00-18.00 dal lunedì al sabato (max ospitalità per 60 giorni) + 8 letti di respiro (permanenza notturna per brevi periodi max 5 giorni), gestito dal Municipio XIX per la parte organizzativa ri-cettiva/alberghiera (ginnastica dolce, musicoterapica). Protocollo d’in-tesa con l’ASL RME per i Piani di assistenza individuali e prestazioni sanitarie: assistenza medica specialistica, assistenza infermieristica, igiene e cura della persona, terapia occupazionale, consulenza psicolo-gica per i pazienti e i familiari (accesso tramite UVA);
2) Centro diurno c/o Casa di Riposo “Roma 1” – via Rocco Santoliqui-do, 88 – 15 posti semi-residenziali ore 8.00-18.00 dal lunedì al sabato (max ospitalità per 60 giorni) – gestito dal Municipio XIX per la parte organizzativa ricettiva/alberghiera (ginnastica dolce, musicoterapica) – Protocollo d’intesa con l’ASL RME per i Piani di assistenza individuali e prestazioni sanitarie: assistenza medica specialistica, assistenza infer-mieristica, igiene e cura della persona, terapia occupazionale, consulen-za psicologica per i pazienti e i familiari (accesso tramite UVA).
– Assistenza residenziale/non residenziale di riabilitazione (erogatori privati accreditati): Istituto ex art. 26 Centro Divina Provvidenza, Don Gnocchi Onlus, Via Casal del Marmo, n. 30 posti residenziali riabilitazione integra-ta Alzheimer-Parkinson (15 in estensiva + 15 di mantenimento) + 20 trat-tamenti non residenziali domiciliari in estensiva, erogatore Onlus privato accreditato (accesso tramite UVMD).
– Assistenza residenziale/semi-residenziale di mantenimento A ed estensiva per disturbi cognitivo-comportamentali:1) progetto sperimentale Villa Grazia, n. 40 posti residenziali + 40 trat-
tamenti domiciliari, erogatore privato convenzionato (accesso tramite UVA. Commissione valutativa interna alla casa di cura; allo stato è in corso un processo di riconversione quale struttura sociosanitaria con. 30 posti residenziali e 20 posti semi-residenziali di livello estensivo per pazienti anche anziani non autosufficienti con disturbi cognitivo-
131
comportamentali gravi);2) Casa di Cura Villa Aurora, n. 50 posti residenziali R2D (attuale manteni-
mento tipo A), erogatore privato accreditato (accesso tramite UVMD).
3. Punti di forza e punti di debolezza del percorso attuale
Allo stato il percorso demenza strutturato nell’ASL RME si presenta molto frammentario, settorializzato e di specialità, con modalità di accesso diver-sificate a secondo del setting assistenziale individuato. Le risorse professio-nali sono notevoli sia per capacità tecniche che per multidisciplinarietà, ma mancando un governo unitario viene vanificata l’unitarietà dell’intervento di presa in carico secondo un continuum assistenziale appropriato ai bisogni del paziente e della sua famiglia, con il rischio di duplicazione degli interventi e di inappropriatezza delle soluzioni assistenziali attuate.
Fig. 1 – Flow-chart dell’attuale percorso demenza nell’ASL RME
L’analisi del contesto così come l’esame delle interfacce e del layout del percorso demenza strutturato nell’ASL RME pongono in evidenza quelli che possono essere le criticità per la piena funzionalità del percorso finalizzata a facilitare/assicurare la presa in carico del paziente e dei suoi familiari nonché la piena integrazione socio-assistenziale.
Punti di forza: – storica vocazione dell’ASL RME per la presa in carico degli anziani fragili; – punti di eccellenza tecnico/professionale; – elevato know how degli operatori; – approccio per accordi programmatici fra il sociale e il Distretto.
Punti di debolezza: – servizi sparsi sul territorio anche in aziende diverse (Gemelli, S. Filippo, S.
Andrea, Villa S. Pietro); – attualmente i servizi dedicati non sono in rete (non si parlano o lo fanno in
modo informale); – mancanza di un percorso strutturato interfacciato fra la componente sociale
e quella sanitaria se non per piccoli tratti del percorso (Centri diurni – Cen-tro UVA);
– mancato coinvolgimento delle associazioni di categoria e del volontariato; – punti di accesso e di valutazione multipli;
132
– disomogeneità nell’elaborazione del PAI; – elevata settorialità degli interventi; – discontinuità fra i vari regimi assistenziali e quello ospedaliero; – inappropriatezza e alto rischio di ricovero ospedaliero; – mancanza di rilevazione sistematica dei dati e di un flusso informativo
consolidato.
4. SWOT Analysis percorso demenza ASL RME
Segue l’analisi SWOT del percorso e la valutazione dello stesso rispetto alle raccomandazioni SIQuAS.
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Appendice
Si riportano di seguito i risultati di uno studio effettuato dal Dipartimento di Epi-demiologia dell’ASL RME relativo all’andamento dei ricoveri in reparti per acuti dei residenti nel territorio dell’ASL RME affetti da demenza.
I ricoveri in reparti per acuti di cittadini residenti nell’ASL RME, rappresentano solo una piccola parte del numero di persone affette da malattie dementigene. Di so-lito questi ricoveri vengono effettuati in seguito ad aggravamento repentino delle loro condizioni o all’insorgenza di patologie concomitanti.
Andamento temporale del tasso di ospedalizzazione 2001-2005 (Fonte: Diparti-mento di Epidemiologia ASL RME – v. tabelle e grafici)
Nell’arco temporale preso in considerazione per i maschi si osserva un andamento in diminuzione dei ricoveri ordinari e una stabilità di quelli in day-hospital; per le donne fino al 2004 i ricoveri ordinari presentano un trend in diminuzione mentre au-mentano nell’ultimo anno con una diminuzione costante per quelli in day-hospital; la durata della degenza è costante per entrambi i generi.
Analisi per stato socio-economico (SES)
Uomini: si osserva un aumento dell’ospedalizzazione al diminuire del livello so-cio-economico, in particolare le persone di livello socio-economico più basso (SES V) hanno un tasso di ospedalizzazione del 60% superiore a quello delle persone del livello più alto (SES I). Anche per la mortalità si osserva questa tendenza, ma gli ec-cessi osservati non sono statisticamente significativi.
Donne: si osserva un aumento dell’ospedalizzazione al diminuire del livello so-cio-economico, in particolare le persone di livello socio-economico più basso (SES V) hanno un tasso di ospedalizzazione del 50% superiore a quello delle persone del livello più alto (SES I). Per la mortalità non si osservano variazioni del rischio legate al SES.
Analisi geografica dell’ospedalizzazione e della mortalità
Uomini: si osserva, rispetto a Roma, eccesso di ospedalizzazioni intorno al 30% (di-missioni e dimessi), per la mortalità non ci sono invece differenze con quella comunale.
Per le ospedalizzazioni (dimissioni e dimessi) la maggior parte dei quartieri del territorio aziendale è in eccesso rispetto a Roma, tali eccessi raggiungono la significa-tività statistica per i residenti nei quartieri: La Storta (RR* 2,08), Ottavia (RR 3,74), Primavalle (RR 1,74), Tomba di Nerone-Grottarossa (RR 1,98), Trionfale (RR 1,70).
Per la mortalità, è interessante notare come il rischio complessivo dell’area sia uguale a quello di Roma, ma all’interno del territorio dell’ASL si va dal rischio dei
136
residenti a S. Maria della Pietà, Cornelia, Prima Porta che è più di due volte maggiore di quello dei residenti di Roma (RR 2,56) a quello dei residenti ad Aurelia sud che hanno una mortalità pari a quasi un terzo di quella osservata a Roma (RR 0,38).
Donne: si osserva un eccesso di ospedalizzazione (dimissioni e dimessi) superiore del 30% di quello del comune di Roma, mentre non ci sono differenze per la mortalità.
Quasi tutti i quartieri dell’area sono a maggior rischio di ospedalizzazione rispetto a Roma. Tra i quartieri si segnala l’eccesso di rischio (dimissioni) di più di tre volte superiore a quello di Roma per le residenti nei quartieri Giustiniana (RR 3,33), La Storta (RR 3,22); più del doppio a Ottavia (RR 2,10), S. Maria della Pietà (RR 2,21) e Tomba di Nerone-Grottarossa (RR 2,63) e infine un rischio maggiore del 75% a Casalotti-Boccea e del 57% a Trionfale. Aurelia sud è invece l’unico quartiere in cui le residenti hanno un minor rischio di ospedalizzazione rispetto alle donne romane (RR 0,59).
Situazione sostanzialmente simile a quella delle dimissioni si ha per i dimessi.Anche per la mortalità si evidenziano forti eterogeneità sul territorio dell’ASL,
passando da Fogaccia e Labaro in cui le residenti hanno il doppio di rischio di morire rispetto a Roma, a Prati in cui il rischio è la metà (RR 0,50).
Commenti
Differenze di genere: non osservate. Il tasso di ospedalizzazione (dimissioni e di-messi) dei residenti nel periodo in studio è tra 0,4 e 0,6 per 1.000 sia per gli uomini sia per le donne, senza rilevanti differenze tra dimissioni e dimessi.
Differenze di SES: maggiore ospedalizzazione per i livelli socio-economici più bassi.
Differenze di area: le persone residenti si ospedalizzano di più rispetto a Roma (circa +30% per entrambi i generi), mentre la mortalità è sostanzialmente simile a quella comunale (uomini e donne). Tra gli uomini spicca l’eccesso di ospedalizzazio-ne osservato a Ottavia, tra le donne quello osservato a La Storta e Giustiniana.
*RR: rappresenta il rischio relativo che esprime l’eccesso (o il difetto) di rischio proprio del gruppo posto al numeratore del rapporto, rispetto al gruppo posto al deno-minatore. Esso è stato calcolato come rapporto tra tasso standardizzato del Municipio e quello relativo all’intero territorio comunale.
Figure (2)
137
8. Le demenze: analisi di contesto nel territorio dell’ASL Viterbodi S. Cavasino, A. Proietti
1. Dati epidemiologici
Dai dati ISTAT al 1 gennaio 2012 la popolazione over 65 nella provincia di Viterbo è il 21,9% e la stima dei pazienti affetti da demenza è pari a 4.118 con differenze nei 5 distretti come evidenziato nella tab. 1.
Tab. 1 – Stima dei pazienti affetti da demenza nell’ASL di Viterbo
Distretto Totale Pop > 65 anni % pop > 65 anni Stima n. pazienti con demenza*
VT 1 55.244 14.530 26,3 872VT 2 44.788 10.149 22,7 609VT 3 92.801 20.050 21,7 1.203VT 4 62.805 12.982 20,7 779VT 5 57.036 10.909 19,1 655Totale 312.674 68.620 21,9 4.118
* 6% popolazione > 65 anni.
Fonte: Demo ISTAT
Dalla pubblicazione dell’ASP “Report UVA 2012” risultano attualmente in carico all’UVA di Viterbo 1.347 pazienti affetti da demenza, pari al 32,7% del totale dei pazienti stimati. Nello stesso documento viene indicata la per-centuale dei pazienti elegibili, pari al 70%, derivata da stime di pazienti affetti da patologie croniche che sono presi in carico dai servizi specialistici dedicati (La presa in carico dei malati cronici nell’ASL di Brescia: monitoraggio BDA 2003-2006, Pubblicazione 10, ASL di Brescia, dicembre 2008; Monitoraggio dei malati cronici presi in carico nell’ASL di Brescia: BDA 2008 – Allegato al numero di Assistenza primaria, ASL di Brescia, marzo 2010).
138
Si stima pertanto che il numero dei pazienti elegibili nella provincia di Vi-terbo sia pari a 2.883 pazienti, circa il doppio di quelli che risultano in carico all’UVA dell’ASL di Viterbo.
Sulla base dei dati e dei parametri riportati nel documento ASP “Report UVA 2012”, nella tab. 2 vengono riportate il numero di ore anno necessarie per operatore per la presa in carico da parte dei Centri territoriali esperti del 70% dei pazienti affetti da demenza nella provincia di Viterbo.
Fig. 1 – Cartina ASL Viterbo
Tab. 2 – Ore anno necessarie per la presa in carico di 2.883 pazienti affetti da de-menza
N. ore attive UVA N. ore necessarie per trasformazione in
Centri territoriali esperti
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Medici 2.400 7.207 -4.807 (circa 3,2 unità)Psicologi 1.440 5.766 -4.326 (circa 2,9 unità)Ass. sociali 480 2.883 -2.403 (circa 1,6 unità)Infermieri 1.920 4.324 -2.404 (circa 1,6 unitàTerapisti 1.728 2.883 -1.155 (circa 0,8 unità)
2. Rilevazione analitica dell’attuale percorso demenza nel contesto aziendale
Viene effettuata un rilevazione descrittiva delle attuali modalità assisten-ziali di presa in carico nei confronti dei pazienti residenti affetti da demenza e delle loro famiglie secondo una griglia costruita sulle seguenti dimensioni da esplorare: – struttura organizzativa e funzionamento dell’attuale percorso; – modalità di accesso; – composizione équipe, modalità e strumenti di valutazione; – offerta suddivisa per regime assistenziale: ambulatoriale, domiciliare, resi-
denziale, semi-residenziale e tipologia di erogatore (pubblico, privato ac-creditato, sociale, profit, non profit).
139
2.1. Struttura organizzativa e funzionamento dell’attuale percorso
L’atto aziendale vigente prevede come servizio specifico un’Unità operati-va semplice UVA inserita all’interno del Distretto di Viterbo ma con valenza aziendale (di fatto non è stata costituita una UOS UVA nel Distretto 3 e attual-mente I’UVA afferisce all’UOC di Neurologia ed è integrata da operatori che provengono dalla UOC Psicologia e dal Distretto 3).
Gli altri servizi che intervengono nella gestione del paziente con demenza sono: – Distretti attraverso i Centri di Assistenza Domiciliare, il servizio sociale,
gli ambulatori di neurologia, geriatria e i medici di medicina generale; – UOC Neurologia presso Centro ospedaliero di Belcolle (COB) sede di Vi-
terbo; – UOC Geriatria presso COB sede di Montefiascone; – UOC Psicologia presso COB sede di Viterbo con funzioni trasversali ospe-
dale-territorio; – servizi sociali dei Comuni; – Centri diurni a gestione integrata ASL/Comune con sede a Viterbo, Vetral-
la, Tarquinia; – RSA; – Centri di riabilitazione ex art. 26.
Centro diurno di Viterbo: – ente gestore: Comune di Viterbo e ASL; – progettualità: progetto di Piano di zona distrettuale attivo dal 2004; – composizione équipe: psicologo psicoterapeuta, geriatra, neurologo, tera-
pista della riabilitazione, assistente sociali (ASL e Comune di Viterbo), educatore, OSS;
– destinatari: pazienti affetti da demenza medio-lieve; – attività svolte: attività psicologica (riabilitazione cognitiva, gruppo di so-
stegno ai caregiver, follow-up trimestrali), attività riabilitative effettuate dall’educatore, laboratori, attività assistenziale svolta dagli OSS, attività di servizio sociale per utenti e famiglie, follow-up medico;
– organizzazione: n. utenti 12, apertura tri-settimanale dalle ore 9 alle ore 16.Centro diurno di Vetralla:
– ente gestore: Comune di Vetralla-ASL; – progettualità: Piano di zona attivo dal 2012; – composizione équipe: psicologo (ASL), assistente sociale (ASL-Comune),
terapista della riabilitazione, educatore, OSS; – destinatari: pazienti affetti da demenza con deterioramento di tipo medio-
lieve;
140
– attività svolte: attività psicologica (riabilitazione cognitiva, colloqui e gruppi di sostegno al caregiver, follow-up), attività riabilitative effettuate dall’educatore, laboratori, attività assistenziale da parte di OSS, attività di servizio sociale per utenti e famiglie, follow-up medico;
– organizzazione: pazienti 7, apertura tri-settimanale dalle ore 9.30 alle ore 16.Centro diurno di Tarquinia:
– ente gestore: Comune di Tarquinia-ASL; – progettualità: progetto di Piano di zona attivo dal 2012; – composizione équipe: psicologo, OSS, terapista occupazionale, medico
Distretto, neurologo, infermiere, geriatra, fisioterapista, assistente sociale; – destinatari: pazienti affetti da demenza con deterioramento di tipo lieve-
medio; – attività svolte: attività psicologica (riabilitazione cognitiva, colloqui e
gruppi di sostegno per caregiver, valutazioni periodiche ai pazienti), at-tività riabilitative effettuate dal terapista occupazionale, laboratori, attivi-tà assistenziale effettuata da OSS, attività di servizio sociale rivolto agli utenti e alle loro famiglie, attività fisioterapica (attività motorie, ginnastica dolce), infermiere (presenza programmata), geriatra-neurologo (valutazio-ni periodiche);
– organizzazione: pazienti, apertura tri-settimanale dalle ore 9.00 alle ore 15.00.
2.2. Modalità di accesso:
Nell’ASL di Viterbo non esiste una sola porta di ingresso alla rete dei ser-vizi per il pazienti affetto da demenza, non essendo strutturato un PDTA, que-sto comporta una frammentazione dell’accesso del pazienti che in alcuni casi potrebbe portare a una sovrapposizione di interventi con dispendio economico per il servizio sanitario regionale.
Le attuali porte di ingresso sono: – Unità Valutativa Alzheimer presso ospedale; – UOC Psicologia, ambulatorio DNP (disturbo neuropsicologico) presso
ospedale; – Punto Unico di Accesso distrettuale; – CAD (Centri Assistenza Domiciliare); – ambulatori distrettuali di neurologia e geriatria; – servizi sociali ASL/Comuni; – MMG.
141
2.3. Composizione équipe, modalità e strumenti di valutazione
– Composizione équipe UVA: psicologo, geriatra, neurologo, assistente so-ciale.
– Strumenti di valutazione: ADL, IADL, MMSE, GDS, NPl, CBl (MODA, BDM per approfondimenti degli aspetti cognitivi).
– Composizione UVM distrettuale: geriatra, inf. coord., terapista coord., as-sistente sociale (altri operatori in base alle necessità richieste dal caso).
– UVM distrettuale, strumenti di valutazione: ADL, IADL, MMSE, Tinetti. – Composizione équipe operativa CAD: geriatri, infermieri, terapisti, assi-
stenti sociali (altri operatori in base alle necessità richieste dal caso). – Composizione équipe Centro diurno: operatori ASL (psicologo, assistente
sociale, terapista della riabilitazione), operatori Comune (educatore, OSS, assistente sociale).
2.4. Offerta suddivisa per regime assistenziale
– Ambulatori distrettuali di neurologia e geriatria; – ambulatori ospedalieri di neurologia; – UVA; – ambulatori di psicologia (DNP); – Centri di assistenza domiciliari distrettuali; – Centri diurni (ASL-Comuni); – RSA (privato accreditato); – Istituti di riabilitazione ex art. 26 (privato accreditato).
In mancanza di un PDTA aziendale per il paziente con demenza esistono diversi percorsi a cui il cittadino può essere avviato e questo dipende essen-zialmente dal MMG.
La flow-chart di seguito rappresentata si riferisce alla situazione attuale dell’ASL di Viterbo.
Fig. 2 – ?????
142
3. Punti di forza e punti di debolezza del percorso attuale
L’analisi del percorso e della presa in carico del pazienti con demenza strutturato nell’ASL VT, evidenzia le criticità per la piena funzionalità del PDTA finalizzata a facilitare e assicurare la presa in carico del paziente e dei suoi familiari nonché la piena integrazione socio-assistenziale.
Punti di forza: – progetto integrato sociosanitario su fondi Alzheimer; – attivazione di corsi di formazione per operatori dedicati; – realizzazione di opuscoli informativi per i cittadini; – presenza di operatori motivati; – riorganizzazione dei PUA e delle UVMD.
Punti di debolezza: – varie porte di ingresso; – attualmente i servizi non sono in rete; – interfaccia fra la componente sociale e quella sanitaria è in alcuni casi solo
professionale e quasi mai organizzativa; – mancato coinvolgimento delle associazioni di categoria e del volontariato; – elevata settorialità degli interventi; – inappropriatezza e alto rischio di ricovero ospedaliero; – mancanza di rilevazione sistematica dei dati e di un flusso informativo
consolidato; – instabilità dell’assetto istituzionale dell’ASL; – carenza di personale dedicato.
4. SWOT Analysis percorso demenza ASL Viterbo
Segue l’analisi SWOT dell’attuale percorso e la valutazione dello stesso rispetto alle raccomandazioni SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria.
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9. La proposta di un percorso di miglioramento per la presa in carico del paziente con demenza e indicatori per il monitoraggiodi S. Cavasino, R. Lucchetti, R. Pisano, A. Proietti
1. Il percorso di miglioramento: obiettivi e azioni
Il governo clinico della demenza richiede un approccio sistemico, che in-tegri le varie competenze professionali sociosanitarie e i vari setting assisten-ziali.
Un percorso di cura della demenza deve comprendere sia gli aspetti pro-priamente sanitari quali la diagnosi, il trattamento farmacologico e quello psi-cologico- riabilitativo che la presa in carico globale paziente-famiglia.
La demenza necessita di una precoce, forte personalizzazione e costante monitoraggio del piano di intervento al fine di consentire il permanere della persona nel proprio ambiente di vita con un supporto di servizi assistenziali commisurato al grado di disabilità.
Il percorso dovrà prevedere i seguenti aspetti: – accoglienza del paziente e della sua famiglia; – diagnosi e presa in carico tempestiva; – terapia farmacologica e non farmacologica (psicologica e riabilitativa); – presa in carico da parte del team territoriale con individuazione del case-
manager; – educazione al paziente e al caregiver; – monitoraggio e gestione delle fasi della malattia; – individuazione delle soluzioni assistenziali coerenti con le fasi della ma-
lattia nei vari setting; – (ambulatoriale, domiciliare, semi-residenziale, residenziale).
Obiettivi generali dell’elaborazione e adozione di un percorso di migliora-mento nell’ambito del contesto territoriale di riferimento, sono: – fornire la presa in carico nel percorso sin dalle prime fasi della malattia; – assicurare il sostegno e il rafforzamento delle risorse del malato e della
famiglia;
146
– mettere in connessione pro-attiva (integrazione e coordinamento) le diver-se strutture assistenziali e i servizi dedicati secondo una modalità d’inter-vento modulare e sinergica nei diversi stadi della malattia in adesione al modello di presa in carico.Il percorso di miglioramento proposto individua gli interventi e le azioni
potenzialmente in grado di riallineare i percorsi in essere con lo standard di riferimento individuato (modello Regione Toscana) quali: – intercettazione tempestiva del bisogno attraverso il MMG; – accesso universalistico, attraverso la rete dei PUA; – appropriatezza delle risposte in base a livelli di priorità, attraverso l’équipe
multidisciplinare dell’UVMD; – personalizzazione degli interventi, attraverso la formulazione del PAI; – domiciliarità come scelta strategica e prioritaria; – semi-residenzialità con funzioni terapeutico-riabilitative; – temporaneità dell’offerta residenziale; – sostegno alle funzioni assistenziali della famiglia.
Di seguito si riporta la flow chart del percorso di miglioramento:
Figura
2. Indicatori e standard di riferimento per il monitoraggio del PDTA
Il Piano sanitario della Regione Lazio 2010-2012 ai fini della verifica della riorganizzazione delle UVA regionali in Centri per le demenze individua spe-cifici indicatori per la valutazione della continuità assistenziale e dell’integra-zione con le strutture territoriali, per tali indicatori è previsto uno standard di almeno il 60% nel primo anno e del 90% nel triennio: – n. di ASL/Distretti che individuano attraverso un protocollo di intesa un
Centro diagnostico di riferimento per le demenze e uno o più Centri terri-toriali esperti per le demenze per il proprio bacino di utenza;
– n. di Centri per le demenze che attivano protocolli di intesa per interventi assistenziali integrati (ADI) con le strutture territoriali distrettuali (Centro di Assistenza Domiciliare);
– n. di ASL/Distretti che promuovono accordi / protocolli di intesa tra i Cen-tri per le demenze e i MMG per la gestione congiunta del paziente demente;
– n. di ASL/Distretti che attivano eventi formativi accreditati sul tema delle demenze finalizzati al miglioramento della qualità assistenziale;
– n. di Centri per le demenze che attivano un archivio informatizzato, adot-tando una scheda di raccolta dati paziente.
147
Considerati i sopracitati indicatori del PSR Lazio, le Linee guida SIQuAS sull’integrazione sociosanitaria, gli obiettivi prioritari del percorso di miglio-ramento, vengono di seguito individuati indicatori e standard di riferimento per il monitoraggio del percorso di miglioramento:
Indicatori di qualità sull’integrazione sociosanitaria: – n. eventi formativi accreditati integrati ASL Comune realizzati sul percor-
so demenza (standard di riferimento: realizzazione di almeno 1 evento for-mativo l’anno);
– realizzazione di progetti integrati nei Piani di zona quali centri diurni, Cen-tri sollievo (standard di riferimento: realizzazione di almeno 1 progetto integrato);
– realizzazione di protocolli con associazioni di volontariato (standard di ri-ferimento: sottoscrizione di almeno 1 protocollo operativo per Distretto);
– n. campagne di informazione alla cittadinanza (standard di riferimento: realizzazione di almeno 1 campagna informativa ogni 2 anni e/o in conco-mitanza con rilevanti cambiamenti organizzativi);
– protocolli di intesa ASL/Comune per il funzionamento dell’Unità Valuta-tiva Multidimensionale Distrettuale (UVMD), del Punto Unico di Accesso (PUA), dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) (standard di riferi-mento: sottoscrizione di almeno 1 protocollo operativo per Distretto);
– n. valutazioni in UVMD integrata ASL Comune/n. casi complessi accolti al PUA (standard di riferimento 90%);
– n. PAI Integrati sociosanitari/ n. valutazioni in UVMD integrata(standard di riferimento 90%).Indicatori di struttura:
– n. PUA attivi (standard di riferimento: realizzazione di almeno 1 PUA in ogni Distretto);
– qualifica operatori PUA (standard di riferimento: DGR 315/2011 Linee di indirizzo PUA Regione Lazio);
– n. e qualifica operatori UVMD (standard di riferimento: DCA Regione La-zio 431/2012);
– n. Centri territoriali esperti per le demenze (gold standard: 1 centro per ogni distretto);
– n. operatori Centro territoriale esperto per le demenze (pubblicazione ASP – Report UVA 2012).Indicatori di processo:
– tempo di attesa richiesta PUA/intervento UVMD (gold standard: 7 giorni); – tempo di attesa intervento UVMD Integrata/presa in carico (gold standard
30-60-90 gg. case mix); – n. valutazioni in UVMD /n. prese in carico pazienti con demenza (90%).
148
Indicatori di esito: – n. dimissioni da reparti per acuti con diagnosi demenza (standard di riferi-
mento < dell’anno precedente; – n. pazienti con demenza assistiti a domicilio/n. pazienti istituzionalizzati
(standard di riferimento > 1).
149
10. Il ruolo del Distretto nel PDTA demenzedi A. Proietti
1. Il Distretto e la complessità del sistema territorio
Il PDTA demenze proposto nel capitolo 10 del presente lavoro assegna al Distretto un ruolo strategico nel governo complessivo di un percorso che si deve realizzare in un contesto ad alta complessità quale è quello della dimen-sione territoriale. L’assistenza territoriale è caratterizzata da un’imprescindi-bile esigenza di integrazione tra tante categorie di professionisti che usano lin-guaggi e mappe cognitive non sempre condivisi e dalla necessità di coordina-mento tra i diversi ambiti assistenziali (assistenza ospedaliera, cure primarie, cure intermedie, assistenza sociale) e tra i diversi soggetti erogatori (Distret-to, ospedale, privato accreditato, ente locale, volontariato, rete assistenziale informale). Il paradosso è che il territorio, contesto ad alta frammentazione professionale, fisica, organizzativa, molto più dell’ospedale deve rispondere a pazienti che quasi sempre richiedono interventi assistenziali multispecialistici e multiprofessionali coordinati e in continuità tra di loro. Molto spesso tale complessità viene affrontata con approccio troppo semplicistico, settoriale, prestazionale, ponendo scarsa attenzione agli outcome del paziente. Cercando di analizzare ulteriori possibili cause che rendono difficile l’integrazione, una di queste può essere riconducibile alla storia stessa dei servizi territoriali, nati in epoca relativamente recente rispetto all’ospedale e che hanno quindi svi-luppato, come esigenza di visibilità, una forte identità di servizio territoriale in antitesi all’identità ospedaliera. Prigionieri di questa storia, alcuni servizi ap-paiono “trincerati “e difficilmente coinvolgibili in un contesto di integrazione professionale, presupposto per la continuità assistenziale. Un altro elemento è rappresentato dalla frequente assenza di parametri condivisi che consentano una valutazione della relazione tra risorse investite e risultati nei diversi am-biti assistenziali del territorio; ciò ha comportato spesso un investimento acri-tico di risorse sui singoli servizi territoriali, alimentando l’autoreferenzialità
150
e mantenendo una logica prestazionale che si limita a valutare solo ciò che è misurabile e non necessariamente ciò che è rilevante.
La sfida consiste nel superare il concetto tradizionale di “servizio” e nel portare a compimento un vero e proprio passaggio culturale: siamo passati da una cultura di “servizi territoriali” di tipo prestazionale, alla “presa in carico” del paziente all’interno del singolo servizio, ora deve essere realizzato il “go-verno dell’intero percorso assistenziale”, un percorso articolato tra più servizi e tra diversi enti che possono rispondere a paradigmi e regole diverse. È in questa sfida che il Distretto gioca il suo ruolo, come scelta organizzativa che ricompone l’offerta dei servizi sulla base di una lettura unitaria della doman-da. Il Distretto deve promuovere il coordinamento e l’integrazione tra unità operative, favorire e semplificare i processi di accoglienza e fruizione dei ser-vizi sociosanitari in un ottica di equità del sistema, governare l’utilizzo delle risorse ottenendo un bilanciamento tra pubblico e privato. Il Distretto è quindi il responsabile elettivo dell’integrazione e della continuità delle cure, inte-grazione e continuità che vanno perseguiti includendo nei percorsi anche il privato accreditato, governando in modo integrato risorse pubbliche e private.
A tal proposito risulta fondamentale attribuire al Distretto la funzione di committenza, vista la rilevanza della quota di prestazioni sanitarie e sociosa-nitarie acquisite esternamente, soprattutto nell’ambito delle strutture interme-die (riabilitazione, lungodegenza, RSA, hospice). L’accesso a tali strutture, che rappresentano opzioni assistenziali necessarie quando il paziente non può essere elegibile per la domiciliarità, deve essere gestito dal Distretto al quale dovrebbe essere attribuito uno specifico budget.
2. Personalizzazione delle cure come strumento di sostenibilità del siste-ma sanitario: quali strategie?
Alla complessità del territorio legata essenzialmente alla molteplicità degli attori coinvolti e alle loro relazioni, si aggiunge la complessità del rapporto tra bisogni, domanda esplicita e risorse da allocare che impone di intervenire se-condo una logica di “personalizzazione delle cure” come strumento di sosteni-bilità del sistema sanitario. Infatti è soprattutto nel territorio che si manifesta la difficoltà nella decodifica della domanda: non tutti i bisogni si trasformano in domanda esplicita mentre d’altro canto alcune domande esplicite non dovreb-bero rientrare tra le priorità. La gestione delle cronicità pone pesantemente il problema della limitatezza delle risorse dei servizi territoriali che dispongono di fattori produttivi non adeguati alla situazione epidemiologica che si trovano ad affrontare. Nei percorsi territoriali esiste inoltre una componente sociosa-
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nitaria integrata in cui non sempre è possibile separare la prestazione sanitaria da quella sociale e, per loro natura, le prestazioni sociosanitarie territoriali sono molto più vicine alla spesa out of pocket dei pazienti e dei loro familiari. Tutto ciò impone di adottare logiche più esplicite e razionali di selezione dei pazienti, di ricorrere a un rigoroso sistema di valutazione per l’elegibilità alle più idonee soluzioni assistenziali. La continuità delle cure, l’integrazione pro-fessionale, la personalizzazione dell’intervento assistenziale sono tre fonda-mentali dimensioni su cui il Distretto è chiamato a intervenire. L’evoluzione dei modelli assistenziali basati su queste tre dimensioni deve prevedere un superamento della “logica di servizio” per abbracciare una “logica operativa” di presa in carico basata sull’accoglienza della domanda presso il Punto Unico di Accesso (PUA), sulla valutazione integrata del bisogno in Unità Valutativa Multidimensionale Distrettuale (UVMD) e sulla predisposizione di Piani As-sistenziali Individualizzati (PAI).
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Servizio dedicato – Sistema chiuso Servizio integrato – Sistema apertoAppropriatezza dell’intervento tecnico-specia-listico con équipe dedicata
Equipe distrettuale e non équipe dedicata (La minore specificità diminuisce l’appropriatezza dell’intervento tecnico)?
Gestione apparentemente più semplice, ri-sponde a logiche di tipo gerarchico
Gestione più complessa perché non risponde a logiche di tipo gerarchico ma deve integrare più saperi professionali
Semplificazione del controllo dei risultati in termini prestazionali
Difficoltà di misurare i risultati in termini di outcome
Scarso collegamento con percorsi collaterali ma determinanti ai fini del PAI
Risposta più articolata e rivolta alla complessi-tà dei reali bisogni dei pazienti
Ineludibile problema delle risorse Razionale utilizzo delle risorse in ambito di-strettuale
Dal momento che non sempre esiste coerenza tra la complessità dei bisogni a cui si è chiamati a rispondere e le scelte organizzative delle aziende sanita-rie, vanno fatte alcune considerazioni che sostanziano la scelta della dimen-sione distrettuale del percorso di presa in carico del paziente con demenza, la centralità del ruolo dell’UVMD, rispetto al Centro territoriale esperto per le demenze, la modalità di accoglienza presso il PUA distrettuale. Il percorso di miglioramento individuato nel presente lavoro si avvale di un’organizzazione distrettuale strutturata per la presa in carico delle cronicità e della complessità, ma non specifica per patologia. La domanda che ci si è posti a monte è se, supe-rata la fase diagnostica e di impostazione terapeutica, nell’ambito assistenziale territoriale, è opportuno creare servizi dedicati di tipo specialistico, settoriali,
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più centrati sui bisogni clinici del paziente o piuttosto servizi integrati con un assetto più trasversale rispetto all’eterogeneità e complessità dei bisogni del paziente e del suo nucleo familiare. Viene di seguito riportato uno schema rela-tivo alle caratteristiche delle due opzioni organizzative.
La visione sistemica, propria della logica della presa in carico distrettuale, propende per la soluzione di percorsi integrati e non servizi dedicati.
Spesso, in alcune organizzazioni, vengono invece individuati servizi dedi-cati, quali Unità Valutative Multidimensionali a valenza aziendale, specifiche per patologia (vedi Unità Valutative Alzheimer, Unità cliniche di valutazione per l’accesso alla riabilitazione ecc.). In particolare le Unità valutative azien-dali specifiche per tipologia di percorso/patologia in alcuni casi rischiano di trasformarsi in “commissioni” che accertano i requisiti ma che non possono farsi carico del percorso assistenziale.
Il PUA, l’UVMD e i PAI rappresentano un’evoluzione dei modelli assi-stenziali basati sull’integrazione professionale e sulla continuità delle cure che devono operare in una dimensione di “prossimità territoriale” nei confronti del paziente. La personalizzazione dell’assistenza prevede infatti una mobili-tazione delle risorse della comunità più prossima al paziente (famiglia, servi-zi, rete formale e informale) e una maggiore attenzione agli aspetti sostanziali della presa in carico rispetto a quelli formali.
La centralità dell’UVMD nel modello di “PDTA demenze” proposto è una scelta strategica per superare alcune note criticità della rete territoriale e nel contempo una strumento di governance della rete stessa.
Le più frequenti criticità della rete territoriale consistono in: – molteplicità della presa in carico; – duplicazione degli interventi; – difficoltà negli snodi della rete; – difficoltà nell’effettuare un effettivo collegamento tra i diversi soggetti
erogatori dell’assistenza; – disequità nell’accedere e nel fruire dei servizi sociosanitari da parte dei
soggetti fragili.Queste criticità possono essere superate con un’implementazione dell’atti-
vità e del ruolo dell’UVMD quale strumento di governance della rete territo-riale che, in quanto tale, dovrà assicurare: – la personalizzazione dell’assistenza attraverso PAI integrati sociosanitari; – l’appropriatezza erogativa; – il bilanciamento nell’utilizzo delle diverse tipologie di risorse (residenzia-
le/domiciliare, pubblico/privato accreditato); – la prevenzione degli accessi inappropriati di istituzionalizzazione; – il supporto alla funzione di committenza.
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Nei paragrafi successivi vengono dettagliate funzioni, modalità operative e contenuti del PUA, dell’UVMD e dei PAI.
3. Il Punto Unico di Accesso (PUA)
Il Punto Unico di Accesso dovrebbe rappresentare, anche per il percorso demenza, il luogo di accoglienza della domanda e di prima attivazione della rete sociosanitaria territoriale, come proposto nel capitolo 8.
Le linee di indirizzo, emanate dalla Regione Lazio nel 2011, definiscono infatti il PUA quale “modalità organizzativa che, nell’ottica di fornire risposte integrate concrete e appropriate a bisogni semplici e avviare i percorsi per i bisogni complessi, è funzionale anche alla razionalizzazione dei processi e delle risorse”.
Il PUA è una struttura organizzativa distrettuale che deve garantire risposte di tipo sanitario e sociosanitario alle persone con problemi sociosanitari sem-plici e complessi. Il PUA deve infatti assicurare un’adeguata informazione sull’offerta dei servizi, anche a sostegno di una scelta consapevole dell’utente e/o della sua famiglia. Attiva le UVMD per le valutazioni multidimensionale cercando di garantire con tempestività i tempi di risposta ed evitando percorsi complicati che costituiscono spesso le cause dell’ospedalizzazione impropria.
Le professionalità che devono essere coinvolte nel PUA sono: – assistenti sociali; – infermieri; – amministrativi; – medici di Distretto.
È necessario che questi operatori possiedano capacità relazionali, in par-ticolare di ascolto e accoglienza, competenze per una funzione di “screening della fragilità”, conoscenza della mappa dei servizi territoriali e delle modalità di attivazione, capacità di lavoro multi professionale.
La segnalazione del bisogno, che determina l’attivazione dell’UVMD, può provenire da qualunque fonte, ossia da chiunque ravveda la necessità di inter-venti sociosanitarie.
Le fonti di segnalazione più frequenti sono: – Medico Medicina Generale (MMG); – unità operative ospedaliere; – centro territoriale esperto (per il PDTA demenze); – centro diagnostico di II livello (per il PDTA demenze); – servizi sanitari territoriali; – servizi residenziali;
154
– servizio sociale comunale; – familiari e/o altri soggetti della rete informale.
Il PUA dovrebbe essere considerato quindi un punto nodale del percorso demenza ai fini dell’orientamento, accompagnamento e presa in carico attraverso i seguenti elementi: – raccordo tra funzione di prevalutazione (di competenza del PUA) e l’Unità
Valutativa Multidimensionale Distrettuale; – realizzazione della mappa dell’offerta dei servizi sociosanitari del territorio; – costituzione di partnership strategiche con gli altri attori del sistema terri-
toriale; – valorizzazione del terzo settore e delle risorse informali presenti sul terri-
torio.
4. L’Unità Valutativa Multidimensionale Distrettuale (UVMD)
Il decreto del commissario ad acta della Regione Lazio n. 39 del 20 marzo 2012 “Assistenza territoriale: ridefinizione e riordino dell’offerta assistenziale residenziale e semi-residenziale per persone non autosufficienti anche anziane e a persone con disabilità fisica psichica e sensoriale” identifica nella valuta-zione multidimensionale lo strumento di accesso alle varie soluzioni assisten-ziali presenti sul territorio.
Più recentemente il DCA Regione Lazio 431 del 24 dicembre 2012 “La valutazione multidimensionale per le persone non autosufficienti, anche an-ziane, e per le persone con disabilità fisica, psichica e sensoriale: dimensioni e sottodimensioni. Elementi minimi di organizzazione e di attività dell’Uni-tà di valutazione multidimensionale distrettuale nella Regione Lazio” ride-finisce gli elementi organizzativi e operativi della valutazione multidimen-sionale.
L’UVMD è formata da un’équipe multiprofessionale e multidisciplinare di tipo funzionale la cui responsabilità è in capo al direttore del Distretto.
Ciascun Distretto si avvale di una propria UVMD costituita da personale sanitario afferente al Distretto e operante presso le UUOO territoriali.
La UVMD si può articolare in: – “UVMD core” composta da: medico di Distretto/geriatra, infermiere pro-
fessionale, fisioterapista, assistente sociale, MMG-PLS; – “UVMD integrata” in cui la componente core viene integrata da altre fi-
gure professionali ritenute utili alla valutazione e alla definizione del PAI (medici specialisti, psicologi, fisioterapisti, terapisti occupazionali, opera-tori PUA, mediatori culturali, assistenti sociali del comune di residenza
155
dell’assistito), provenienti dai vari servizi territoriali e ospedalieri, anche accreditati.I destinatari della valutazione multidimensionale sono:
– persone non-autosufficienti anche anziane; – disabili fisici, psichici e sensoriali; – persone in condizioni di fragilità/complessità sociosanitaria.
La UVMD viene attivata nei seguenti casi: – accesso ai trattamenti residenziali (intensivi, estensivi e di mantenimento),
semi-residenziali (estensivi e di mantenimento) e domiciliari per le perso-ne non autosufficienti, anche anziane;
– accesso ai trattamenti riabilitativi residenziali intensivi ed estensivi con accesso dal domicilio e di mantenimento, semi-residenziali estensivi con accesso dal domicilio e di mantenimento per le persone con disabilità fisi-ca, psichica e sensoriale;
– accesso ai trattamenti riabilitativi domiciliari per persone con disabilità fi-sica, psichica e sensoriale;
– accesso a PAI integrati sociosanitari che possono prevedere l’utilizzo di risorse esternalizzate o di fondi finalizzati gestiti dai comuni (per es. fondo per la non autosufficienza, fondo per l’Alzheimer).Le funzioni dell’UVMD:
– valutazione del bisogno utilizzando strumenti valutativi omogenei e vali-dati;
– elaborazione del piano assistenziale/riabilitativo individuale (PAI) con in-dividuazione del case manager;
– identificazione del setting assistenziale e autorizzazione al trattamento.La procedura operativa dell’UVMD:
– l’attivazione dell’UVMD avviene tramite il Punto Unico di Accesso (PUA) distrettuale
– la richiesta di valutazione multidimensionale può essere formulata da: MMG/PLS, Centro territoriale esperto per le demenze, Centro diagnostico specialistico di II livello per le demenze, servizi ospedalieri, servizi terri-toriali
– il PUA inoltra alla “UVMD core”, tutte le richieste pervenute e per le quali è opportuno attivare la valutazione multidimensionale, dal momento che la valutazione di primo livello ha evidenziato un bisogno complesso e non di tipo prestazionale.Gli strumenti di valutazione utilizzati dall’UVMD, come ampiamente trat-
tato in altri capitoli del presente lavoro, dovranno fornire tutti gli elementi utili alla scelta del setting assistenziale più appropriato e alla formulazione del PAI più idoneo all’intervento assistenziale ed essere, al contempo standardizzati,
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validati e comprensivi di informazioni sulla patologia, sulle funzionalità e sul contesto socio-assistenziale.
Per raggiungere questi obiettivi oltre alla “diagnosi clinica” – quale ele-mento per l’individuazione della malattia in base all’analisi dei segni clinici e dei sintomi riferiti dal paziente e dei risultati di specifiche indagini strumentali – codificata secondo la classificazione ICD9CM – dovranno essere prese in considerazione la diagnosi riabilitativa, la diagnosi funzionale e la diagnosi sociale.
Un cenno particolare merita la valutazione sociale per l’importanza che ri-veste nel contribuire a identificare il setting più appropriato rispetto ai bisogni presenti verificando: – condizione familiare, rete assistenziale, situazione economica, condizione
abitativa; – valutazione del carico assistenziale del caregiver con previsione di sosteni-
bilità della scelta del setting assistenziali.L’obiettivo generale consiste nell’individuare e offrire la migliore soluzio-
ne possibile per la persona riconosciuta portatrice di bisogni complessi, quale il paziente affetto da demenza, coinvolgendo attivamente il paziente stesso e la sua famiglia nella scelta della più idonea soluzione assistenziale.
La valutazione multidimensionale che esplora dimensioni cliniche, fun-zionali, riabilitative e sociali consente di identificare la soluzione assistenzia-le più appropriata per la persona valutata tra quelli disponibili nel territorio aziendale o regionale:
I possibili setting assistenziali sono: – setting ambulatoriale: centro territoriale esperto, centro diagnostico di II
livello, ambulatori specialistici distrettuali, servizio sociale distrettuale; – setting domiciliare: Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), assistenza do-
miciliare programmata del MMG (ADP), Assistenza Domiciliare ad Alta Intensità (ADIAI);
– setting residenziale: RSA, strutture riabilitative ex art. 26; – setting semi-residenziale: centri diurni socio-riabilitativi; – setting ospedaliero: H per acuti, lungodegenza.
5. I Piani Assistenziali Individualizzati (PAI)
I Piani Assistenziali Individualizzati che vengono definiti dall’UVMD sono importanti strumenti per il governo dell’intero percorso del paziente af-fetto da demenza che consentono di integrare tipologie di attività e servizi erogati in contesti fisici diversi (ospedale, domicilio, strutture residenziali) in
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momenti differenti, lungo un arco longitudinale di tempo, e con finalità diffe-renti (servizi sanitari e servizi di carattere socio-assistenziale); orientano i vari operatori, anche provenienti da diverse UUOO alla condivisione degli obietti-vi sul paziente e al coordinamento delle attività, governano la frammentazione delle attività inserendole all’interno di un unico progetto personalizzato. I PAI si devono inoltre caratterizzare per la ricerca di un crescente livello di empo-werment dell’individuo/famiglia e di coinvolgimento della comunità secondo il modello del Chronic Care Model.
I contenuti minimi di un PAI consistono in: – dati anagrafici; – diagnosi codificata; – definizione dei problemi della persona; – definizione degli obiettivi da raggiungere; – definizione degli indicatori per verificare il raggiungimento degli obiettivi; – pianificazione di attività di tipo sanitario e socio-assistenziale; – revisione e verifica; – firma dell’UVM; – firma dell’utente/familiare.
Il PAI è quindi un’elaborazione di un Piano di Assistenza Personalizzato che tiene conto delle necessità individuali del paziente affetto da demenza e della sua famiglia, uno strumento di sintesi all’interno del quale trovano spa-zio i problemi “attivi” (sanitari, sociali, assistenziali) sui quali è necessario lavorare in quel determinato momento.
Il PAI è uno strumento operativo di sintesi che presuppone una modalità di lavoro interdisciplinare e rappresenta il progetto globale sulla persona de-rivante da: – valutazione medica clinica; – valutazione psicologica clinica; – valutazione dei bisogni assistenziali di competenza dell’infermiere profes-
sionale; – valutazione dei bisogni di riabilitazione di competenza del fisioterapista; – valutazione dei bisogni sociali di competenza dell’assistente sociale.
6. Il Chronic Care Model e il Medico di Medicina Generale: dall’evidenza all’operatività
L’impatto sociale, economico e sanitario della malattia dementigena, come già detto, impone la ricerca di percorsi organizzativi in grado di coniugare l’efficacia dell’intervento con la sostenibilità. I PDTA sono un ottimo stru-
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mento per promuovere la continuità assistenziale, favorire l’integrazione fra gli operatori, contribuire a ridurre la variabilità clinica diffondendo la medici-na basata sulle evidenze (EBM), assicurare equità di accesso contrastando le diseguaglianze sociali, consentire un utilizzo congruo delle risorse. È necessa-rio implementare la rete tra i diversi livelli assistenziali (MMG, PUA, UVMD, Centro territoriale esperto per le demenze, Centro esperto di II livello, spe-cialisti ospedalieri e specialisti territoriali) e un ruolo decisivo nei PDTA a prevalente impatto territoriale deve essere svolto dai MMG.
I principi del Chronic Care Model (CCM) e le raccomandazioni dell’Euro-pean Forum for Primary Care rappresentano ormai paradigmi organizzativi in-ternazionali finalizzati alla gestione delle cronicità e delle fragilità; d’altro can-to l’esperienza ha evidenziato come l’attuale sistema delle cure primarie offre risposte inadeguate all’emergenza epidemiologica delle cronicità, sia dal punto di vista tecnico-professionale che da quello della sostenibilità economica.
È ormai evidente che una medicina generale organizzata, con un rapporto di partnership con l’ASL nell’implementazione dei nuovi modelli di presa in carico delle patologie croniche determina un trend migliorativo della com-pliance ai percorsi e degli indicatori di risultato, con un minor consumo di risorse dovuto alla riduzione di prestazioni e ricoveri inappropriati.
Il Chronic Care Model e in particolare la forma più evoluta dell’Expan-ded Chronic Care Model è il modello di riferimento basato sulla medicina di iniziativa, sull’interdisciplinarietà, sulla partecipazione della comunità al pro-cesso assistenziale; è già adottato in alcune regioni (in particolare in Toscana) e, sperimentalmente, in alcune AUSL del Lazio. L’unità territoriale base per l’intervento di medicina d’iniziativa secondo il modello del Chronic Care Mo-del nella Regione Lazio può essere rappresentata dalle Unità di Cure Primarie (UCP), forme associative dei MMG dove possono operare team multiprofes-sionali costituiti dai MMG, da infermieri e da operatori socio sanitari. Questi operatori, gerarchicamente dipendenti dal Distretto, sono funzionalmente as-segnati ai medici delle UCP.
Il MMG, affiancato da questi operatori, secondo la logica della medicina di iniziativa propria del CCM, deve: – individuare precocemente i sintomi di una demenza attraverso una valuta-
zione di I livello che prevede anche la somministrazione di test; – accompagnare il pazienti nel PDTA, partecipando attivamente all’UVMD
e alla definizione del PAI; – monitorare attivamente lo stato di salute del caregiver; – organizzare interventi di formazione ed educazione per i caregiver; – partecipare a campagne istituzionali di Informazione/educazione in colla-
borazione con enti locali.
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Ma al di là delle evidenze è forse opportuno analizzare le cause che ren-dono difficile l’operatività di tale modello, soprattutto nella Regione Lazio.
Pur in presenza di un quadro nazionale vincolato dagli accordi collettivi per la medicina generale, alcune regioni, tra cui la Toscana, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, hanno posto particolare rilevanza al ruolo delle cure pri-marie e allo sviluppo organizzativo della medicina generale nei propri Piani sociosanitari e negli accordi collettivi regionali per la medicina generale, av-viando sperimentazioni sulla gestione delle patologie croniche con sistemi rigorosi di monitoraggio. Lo stesso processo non è avvenuto nella Regione Lazio e in mancanza di un chiaro e cogente vincolo regionale di riferimento per MMG e AUSL, di fronte a progetti di sperimentazione dei nuovi modelli di gestione delle patologie croniche, risulta prevalente un atteggiamento di rivendicazione dell’autonomia organizzativa e professionale del MMG nei confronti dell’organizzazione sanitaria. I nuovi modelli assistenziali propo-sti sono percepiti non come una diversa modalità di lavoro che può portare benefici al paziente e all’organizzazione, bensì come una richiesta di lavoro extra, prestazioni aggiuntive che, come tali, vanno opportunamente retri-buite. Tale posizione è spesso rinforzata dalle organizzazioni sindacali di categoria. Ciò rende difficile, a livello aziendale, la realizzazione di questi progetti anche se in questa fase si può puntare su singoli professionisti mo-tivati e disponibili che per loro cultura e sensibilità capiscono l’importan-za del lavorare insieme uscendo dallo storico isolamento per condividere percorsi di diagnosi e cura e confrontarsi attraverso strumenti di valutazio-ne tra pari e miglioramento della pratica professionale. Un coinvolgimento graduale delle forme associative dei MMG in questi modelli assistenziali, a opera del Distretto potrebbe, in assenza di elementi cogenti di pianificazione regionale, avere un effetto trainante di mutamento culturale ma con tempi di realizzazione assai lunghi.
Sarebbe auspicabile invece l’individuazione di una tecnostruttura regio-nale sulle cure primarie a cui i Distretti possano far riferimento, con funzioni di indirizzo, coordinamento e valutazione tecnica sull’attuazione dei nuovi modelli di gestione delle patologie croniche. Tale struttura dovrebbe anche verificare la coerenza con gli altri processi, quali gli accordi collettivi decen-trati con la medicina generale regionali e aziendali, gli obiettivi assegnati ai direttori generali, il sistema informativo sociosanitario ecc.
Ma prima ancora andrebbe definito a livello di strategie di politica sanitaria quale ruolo assegnare al MMG rispetto ai livelli di interazione con la istitu-zione sanitaria pubblica: MMG con ruolo di gate-keeper o MMG con ruolo di partnership? Il Chronic Care Model a cui il presente lavoro fa riferimento propende chiaramente per un ruolo di partnership del MMG, quale elemento
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integrato nel sistema Distretto a cui funzionalmente risponde, che partecipa al governo della domanda complessiva a livello distrettuale e gestisce l’intero percorso assistenziale del proprio paziente. A livello concettuale va quindi prevista un’evoluzione del ruolo del MMG quale gate-keeper, mutuato dal modello inglese e mai del tutto realizzato nei contesti regionali italiani, in quanto più basato su una logica di tipo prestazionale, adatto più al governo delle liste di attesa che alla gestione della complessità nelle patologie croni-che. Una possibile ma non auspicabile evoluzione sostenuta essenzialmente dalle associazioni sindacali di categoria vede il MMG assumere il ruolo di “primario del territorio” con due possibili conseguenze: la perdita della visio-ne comunitaria e quindi epidemiologica della Primary Health Care a favore della nascita di una modalità frammentata e autoreferenziale di gestione orga-nizzativa delle risorse del territorio.
Nella tabella seguente vengono riassunte le caratteristiche dei tre possibili ruoli del MMG nell’interazione con l’istituzione sanitaria pubblica.
Da quest’analisi risulta evidente che l’implementazione di un PDTA sulla demenza, ispirato al modello del Chronic Care Model, quale quello individua-to nel presente lavoro, impone una chiara visione strategica sul ruolo di part-nership del MMG all’interno del sistema distretto e un conseguente adeguato utilizzo degli strumenti contrattuali della medicina generale.
Il Distretto ha una funzione determinante nel coinvolgimento/arruola-mento dei MMG nel PDTA monitorando il processo attraverso specifici in-dicatori.
Possibili indicatori di processo: – n. MMG coinvolti/n. MMG presenti nel Distretto; – n. UCP coinvolte/n. UCP presenti nel Distretto; – % dei pazienti elegibili presi in carico nel PDTA.
Ricordiamo che il Piano sanitario nazionale 2011-2013 individua il Di-stretto per la “centralità delle cure primarie” affermando che “il coordinamen-to e l’integrazione di tutte le attività sanitarie e sociosanitarie a livello terri-toriale vengono garantiti dal Distretto al quale sono altresì affidati i compiti di ricercare, promuovere e realizzare opportune sinergie tra tutti i sistemi di offerta territoriale e di fungere da strumento di coordinamento per il sistema delle cure primarie (MMG e altre professionalità)”.
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7. Il percorso demenza tra sanitario e sociale: quale integrazione?
A conclusione di questo capitolo che ha analizzato il ruolo del Distretto nel PDTA del paziente con demenza, con un approccio analitico e pragmatico, orientato alla conoscenza degli elementi di criticità, sull’integrazione sociosa-nitaria il punto di domanda è d’obbligo: qual è il livello di integrazione?
La strada è ancora lunga se, come abbiamo visto nel capitolo dedicato al confronto tra i modelli regionali, nel Lazio siamo in una condizione di integrazione settoriale e non sistemica. In particolare il quadro normati-vo regionale sulla demenza (PSR 2010-2012, LR n.6 /2012, DGR Lazio 504/2012) ha un impianto leggero, di indirizzo, che se da un lato può con-sentire maggiori opportunità di contestualizzazione a livello aziendale e di-strettuale, dall’altro, la mancanza di un cronoprogramma vincolante per le ASL determina una disomogeneità degli interventi e quindi della risposta integrata sociosanitaria. Un elemento di forza delle nostre organizzazioni è certamente il “livello professionale” di integrazione sociosanitaria che garantisce la presa in carico in équipe multiprofessionale, funziona spes-so come elemento di consolidamento dei percorsi di integrazione e pone particolare attenzione alla specificità degli interventi. Ma l’opzione funzio-nale, settoriale, sostenuta spesso dal buon livello tecnico-professionale dei servizi dedicati può creare divaricazione e duplicazione degli interventi. Nel percorso demenza, in particolare, un approccio settoriale affidato es-senzialmente al livello di integrazione tecnico professionale può non far convergere nello stesso percorso interventi che possono risultare sinergici o alternativi, togliendo opportunità o duplicando gli interventi allo stesso paziente (per es. fondi Alzheimer, fondo per la non autosufficienza, progetti specifici dei Piani di zona, interventi relativi alla disabilità di cui alla L. 104 e al riconoscimento dell’invalidità civile, accesso alle strutture residenziali e semi-residenziali ecc.).
Ci sono inoltre altri elementi, come già più volte affermato in questo la-voro, che vanno presi in considerazione sul versante dell’integrazione profes-sionale, ma che necessitano di un impegno e di una pianificazione a livello gestionale e politico-istituzionale sono: – i luoghi integrati di accoglienza (Punti Unici di Accesso) di cui vanno de-
finite le regole di funzionamento organizzativo; – l’utilizzo di strumenti di valutazione integrata sociosanitaria multidimen-
sionale e multi professionale; – la definizione di modalità presa in carico e continuità assistenziale; – l’utilizzo di strumenti di pianificazione monitoraggio integrati degli inter-
venti sociosanitari sui singoli pazienti;
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– la formazione continua sugli oggetti dell’integrazione sociosanitaria con il coinvolgimento degli operatori sanitari e operatori sociali del territorio e dell’ospedale.Un altro fattore che ha condizionato fortemente il processo di integrazione
sociosanitaria nella Regione Lazio è la lunga fase di assestamento dell’as-setto istituzionale. Un assetto instabile, caratterizzato da un rapido turn over delle direzioni generali aziendali, ha fino a oggi determinato una mancanza di vision e strategie certe da mettere in campo nei rapporti con gli enti locali. Per un prossimo futuro possiamo però anche immaginare che questo sistema istituzionale dinamico, in divenire, sia un’opportunità per la definizione di atti aziendali e documenti programmatori distrettuali chiaramente determinati sul versante di un’integrazione sociosanitaria sistemica.
L’obiettivo di garantire un’univocità di gestione istituzionale delle politi-che sociosanitarie può essere raggiunto rafforzando il ruolo del Distretto quale interlocutore diretto con gli enti locali per una programmazione integrata e contestualizzata nello specifico ambito territoriale (Distretto sanitario coin-cidente con il Distretto sociale). Il Distretto rappresenta in tal senso il punto di sintesi tra i programmi e le azioni dell’intero sistema locale di assistenza sanitaria e tra questo e il sistema dei servizi sociali dei comuni.
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Conclusioni di S. Cavasino, R. Lucchetti, R. Pisano, A. Proietti
Questo lavoro ha portato all’individuazione di un PDTA “Demenza” at-traverso un metodo comparativo di valutazione che è partito da una revisione della normativa nazionale- regionale e delle Linee guida-raccomandazioni di-sponibili in letteratura, per arrivare all’analisi di percorsi già adottati in alcune realtà regionali mettendo a confronto, in ottica di benchmark, gli aspetti clinici e sanitari, con uno sguardo più approfondito sugli gli aspetti organizzativi e di integrazione sociosanitaria.
La scelta di questo tipo di approccio nasce dalla considerazione che, su-perata la fase diagnostica e di impostazione terapeutica, in un percorso che si sviluppa prevalentemente sul territorio e che richiede il coinvolgimento di un network multidisciplinare di professionisti, la vera sfida non consiste nella dimensione specialistica. Provocatoriamente si potrebbe concludere che sul territorio ci si va orientando verso una “de- specializzazione” dell’ambito di intervento, per privilegiare altre due dimensioni che sono la continuità e la integrazione delle cure.
Ed è in questo senso che si è proceduto a identificare il modello di riferi-mento standard, utilizzando nel confronto lo strumento della SWOT Analysis e privilegiando la chiave di lettura delle raccomandazioni SIQuAS sull’inte-grazione sociosanitaria.
Altro elemento determinante nella scelta del modello di riferimento è sta-to l’aderenza al Chronic Care Model che, nell’attuale letteratura scientifica, rappresenta una delle più appropriate risposte nelle gestione delle patologie croniche.
Il governo clinico della demenza richiede, come tutte le patologie croni-che, un approccio sistemico, che integri le varie competenze professionali so-ciosanitarie e i vari setting assistenziali, che veda un superamento della logica prestazionale e ponga invece maggiore attenzione agli out come del paziente in termini di qualità di vita dello stesso paziente e della sua famiglia.
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Va in questa direzione l’approfondimento che è stato dedicato, in questo lavoro, agli aspetti relativi ai trattamenti psicologici riabilitativi e di sostegno ai familiari dei pazienti affetti da demenza con l’obiettivo di dare risonanza a un approccio olistico alla malattia, anche attraverso una “demedicalizzazione” di alcuni interventi.
Interventi multicomponente adattati ai bisogni dei caregiver e delle perso-ne con demenza sono l’opzione più efficace per quanto riguarda gli esiti rela-tivi al paziente e alla sua famiglia e ritardano l’istituzionalizzazione; ma sono difficili da implementare perché richiedono un coordinamento tra la comunità e i vari contesti assistenziali.
Il PDTA demenza proposto assegna un ruolo determinante al Distretto nel governo complessivo di un percorso ad alta complessità che deve: intercettare e decodificare tempestivamente il bisogno attraverso i medici di medicina ge-nerale la rete dei Punti Unici di Accesso, definire le priorità e personalizzare gli interventi attraverso la valutazione in Unità Valutativa Multidimensionale Distrettuale e la definizione dei Piani Assistenziali Individuali, assicurare la domiciliarità come scelta strategica e prioritaria, sostenere, in una logica di proattività, le funzioni assistenziali della famiglia. La personalizzazione delle cure deve essere vista anche come strumento di sostenibilità del sistema sa-nitario.
La sfida consiste nel superare il concetto tradizionale di “servizio” e nel portare a compimento un vero e proprio passaggio culturale: passare da una cultura di “servizi territoriali” di tipo prestazionale, alla “presa in carico” del paziente all’interno del singolo servizio, al “governo dell’intero percorso as-sistenziale”, articolato tra più servizi e tra diversi enti, un percorso che ricom-ponga l’offerta sulla base di una lettura unitaria della domanda.