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Partito comunista e movimento operaio a Napoli. 1921-1943. Problemi metodologici e ipotesi di lavoro * L’oggetto e le ragioni Sono note le indicazioni di Gramsci secondo cui la storia di un partito non è, o meglio non è solo, la storia della sua vita interna, quanto invece quella di un determinato gruppo sociale al quale esso principalmente fa riferimento. Tale gruppo sociale «non è isolato» perché ha «amici, affini, avversari e nemici [...] per cui soltanto dal complesso quadro di tutto l’insieme sociale e statale (e spesso anche con interferenze internazionali) risulterà la storia di un determinato partito. Si può dire che scrivere la storia di un partito significa niente altro che scrivere la storia generale di un paese da un punto di vista monografico, per porne in risalto un aspetto caratteristico » h Queste osservazioni furono riprese da Togliatti fin dal 19512 con evidente sotto- lineatura del rapporto storia del Pci-storia d’Italia, tesa ad esaltare i caratteri di autonomia rispetto all’Unione Sovietica. Ed ancora riproposte nel 1960, in una cornice più ampia e di grande rilievo storiografico, nel saggio introduttivo dello stesso Togliatti al carteggio sulla formazione del gruppo dirigente del Pei3. * II saggio che segue può essere soltanto una introduzione problematica al tema indicato e vuole offrire alla riflessione comune alcuni parziali risultati. La ricerca ha avuto un primo mo- mento di sintesi, relativamente al periodo 1927-1939, nella tesi di laurea (die. 1976), successiva- mente, ampliata nella dimensione' cronologica e tematica, è proseguita con l’apporto finanziario dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia. Elenchiamo le abbreviazioni e le sigle cui si è fatto uso: ACS: Archivio centrale dello stato, Roma; ACS, PS: Archivio centrale dello stato, ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicu- rezza, Divisione affari generali e riservati; ACS, PP: Archivio centrale dello stato, ministero dell’In- terno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione polizia politica; ACS, CPC: Archivio centrale dello stato, ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Casellario politico centrale; APC: Archivio partito comunista italiano, Roma; ASN: Archivio di stato, Napoli; AGP: Archivio gabinetto di prefettura, Napoli; AICSR: Archivio Istituto campano storia della resistenza; T.r.A.: Testimonianza resa all’autore; D.B.: franco andreucci - tommaso detti, II movimento operaio italiano, Dizionario Biografico, Roma, Editori Riuniti, Voi. I, 1975, Voi. II, 1976, Voi. Ili, 1977, Voi. IV, 1978, Voi. V, 1978. 1 A ntonio gramsci, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, Voi. Ili, pp. 1629-1630. Cfr. anche le osservazioni di R enzo Martinelli, Il partito comu- nista d’Italia 1921-1926, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. X. 2 Si veda 11 piano di Togliatti per il Quaderno dedicato al X X X anniversario della fondazione del PCI, in « Rinascita », 4 dicembre 1970. Togliatti metteva in guardia sui rischi di una perio- dizzazione basata sulla vita interna del partito più che sulla storia d’Italia. 3 palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano nel 1923-24, Roma, Editori Riuniti, 1960. Si veda la lucida interpretazione che di quel saggio

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Partito comunista e movimento operaio a Napoli. 1921-1943. Problemi metodologici e ipotesi di lavoro *

L’oggetto e le ragioni

Sono note le indicazioni di Gramsci secondo cui la storia di un partito non è, o meglio non è solo, la storia della sua vita interna, quanto invece quella di un determinato gruppo sociale al quale esso principalmente fa riferimento. Tale gruppo sociale «non è isolato» perché ha «amici, affini, avversari e nemici [...] per cui soltanto dal complesso quadro di tutto l’insieme sociale e statale (e spesso anche con interferenze internazionali) risulterà la storia di un determinato partito. Si può dire che scrivere la storia di un partito significa niente altro che scrivere la storia generale di un paese da un punto di vista monografico, per porne in risalto un aspetto caratteristico » hQueste osservazioni furono riprese da Togliatti fin dal 19512 con evidente sotto- lineatura del rapporto storia del Pci-storia d’Italia, tesa ad esaltare i caratteri di autonomia rispetto all’Unione Sovietica. Ed ancora riproposte nel 1960, in una cornice più ampia e di grande rilievo storiografico, nel saggio introduttivo dello stesso Togliatti al carteggio sulla formazione del gruppo dirigente del P ei3.

* II saggio che segue può essere soltanto una introduzione problematica al tema indicato e vuole offrire alla riflessione comune alcuni parziali risultati. La ricerca ha avuto un primo mo­mento di sintesi, relativamente al periodo 1927-1939, nella tesi di laurea (die. 1976), successiva­mente, ampliata nella dimensione' cronologica e tematica, è proseguita con l’apporto finanziario dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.Elenchiamo le abbreviazioni e le sigle cui si è fatto uso: ACS: Archivio centrale dello stato, Roma; ACS, PS: Archivio centrale dello stato, ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicu­rezza, Divisione affari generali e riservati; ACS, PP: Archivio centrale dello stato, ministero dell’In­terno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione polizia politica; ACS, CPC: Archivio centrale dello stato, ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Casellario politico centrale; APC: Archivio partito comunista italiano, Roma; ASN: Archivio di stato, Napoli; AGP: Archivio gabinetto di prefettura, Napoli; AICSR: Archivio Istituto campano storia della resistenza; T.r.A.: Testimonianza resa all’autore; D.B.: franco andreucci - tommaso detti, II movimento operaio italiano, Dizionario Biografico, Roma, Editori Riuniti, Voi. I, 1975, Voi. II, 1976, Voi. Ili, 1977, Voi. IV, 1978, Voi. V, 1978.1 Antonio gramsci, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, Voi. Ili, pp. 1629-1630. Cfr. anche le osservazioni di Renzo Martinelli, Il partito comu­nista d ’Italia 1921-1926, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. X.2 Si veda 11 piano di Togliatti per il Quaderno dedicato al X X X anniversario della fondazione del PCI, in « Rinascita », 4 dicembre 1970. Togliatti metteva in guardia sui rischi di una perio- dizzazione basata sulla vita interna del partito più che sulla storia d’Italia.3 palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano nel 1923-24, Roma, Editori Riuniti, 1960. Si veda la lucida interpretazione che di quel saggio

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L’uscita, tra il 1967 ed il 1969, dei primi due volumi sulla storia del Pei stimolò una vivace discussione per la scelta dell’autore di privilegiare l’ambito interna­zionale 4. L’articolo di Giorgio Amendola5 e la lettera di Giuliano Pajetta6, apparsi su « Rinascita » nel 1969, mentre denunciavano la « parzialità » dell’opera di Spriano, in quanto storia della classe dirigente e non dell’intero partito, rilan­ciavano, richiamandosi a Togliatti e non a Gramsci, l’identità storia del partito- storia nazionale.Pochi mesi dopo era Ernesto Ragionieri, in un saggio fondamentale, a fare il punto sui problemi legati alla storia del Pei7. Circoscritte le critiche a Spriano, egli evidenziava piuttosto il carattere di continuità della linea del Pei sulla base della riconsiderazione del valore del citato saggio di Togliatti8.Nel marzo del 1970, Pietro Secchia proponeva una interpretazione assai originale con la quale, da un lato rivalutava l’importanza delle questioni internazionali e dall’altro sosteneva con vigore l’esigenza di un approfondimento del rapporto masse-partito nella clandestinità9.L’interesse intorno allo studio della storia del Pei era apparso assai grande e una serie di interviste ad alcuni storici comunisti costituì un primo ed opportuno bilancio10. Ne scaturiva un quadro assai completo; appariva chiaro che l’atten­zione si era riversata soltanto su alcuni momenti, ritenuti più importanti, mentre era mancata, quasi del tutto, una verifica sul piano locale. Si avvertiva cioè la contraddizione insita in un programma di ricerche intenso ma unilaterale, de­stinato ad esaurirsi se privato dell’apporto di attente analisi settoriali, necessarie a fornire nuovi elementi di approfondimento e di riflessione.A parte qualche rara eccezioneu, la dimensione locale era stata colta infatti esclusivamente dai lavori di memorialistica, peraltro relegati in una posizione in cui sterile appariva il loro apporto storiografico. D’altra parte, le diffidenze per la storiografia dei protagonisti non sempre avevano avuto una giustificazione oggettiva. Ragionieri, ad esempio, aveva giudicato i lavori di Berti e di Secchia 12

diede ernesto ragionieri, Problemi di storia del partito comunista italiano, in « Critica marxista », luglio-agosto 1969, ora in e . ragionieri, La Terza Internazionale e il partito comunista italiano, Torino, Einaudi, 1978.* paolo spriano, Storia del PCI. Da Bordiga a Gramsci, voi. I, Torino, Einaudi, 1967 e Storia del PCI. Gli anni della clandestinità, voi. II, Torino, Einaudi, 1969. Spriano motivò la sua scelta nella Introduzione al secondo volume, p. IX.5 Giorgio amendola, Una storia non ufficiale, in « Rinascita » 25 luglio 1969.6 giuliano pajetta, A proposito della storia del PCI di Paolo Spriano, lettera al direttore, in « Rinascita », 25 luglio 1969, in cui l’autore scrisse polemicamente che il titolo avrebbe dovuto essere: « La storia del dibattito interno tra i dirigenti comunisti ».7 E. ragionieri, Problemi di storia, cit.8 p. togliatti, La formazione del gruppo dirigente, cit.9 Pietro secchia, L ’azione svolta dal Pei in Italia durante il fascismo, 1926-1932, in « Annali dell’Istituto G. Feltrinelli », XI, 1970. Secchia, op. cit., p. XV, polemizza con l’italianismo di alcuni storici del Pei, attenti « ad attribuire a Stalin ed allTnternazionale tutti gli errori ed a Gramsci tutte le saggezze ». Si veda l’acuta recensione di Nicola Gallerano al lavoro di Secchia, in « Il movimento di liberazione in Italia », 1970, n. 101, pp. 171-184.10 In verità il tema era assai più ampio ma le richieste di giudizi sulla storiografia del Pei risultarono frequenti. Le interviste a F. De Felice, G. Manacorda, G. Mori, L. Paggi, G. Pro­cacci, E. Ragionieri, E. Santarelli, P. Spriano, R. Villari, R. Zangheri, apparvero tra marzo e luglio 1973 su « Rinascita », ora ripubblicate in La ricerca storica marxista in Italia, a cura di OTTAVIO cecchi, Roma, Editori Riuniti, 1974.11 L’interessante lavoro di clemente ferrario, Le origini del PCI nel Pavese, Roma, Editori Riuniti, 1969, costituisce il contributo più significativo.12 Ci riferiamo ai lavori pubblicati negli « Annali Feltrinelli ». 1 primi dieci anni di vita del Pei. Documenti inediti dell’archivio A . Tasca, a cura di G. Berti, V ili, Milano, 1966;

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con estrema severità, esasperando le differenze tra storico e testimone e non aveva perduto l’occasione di muovere ai due anziani dirigenti aspre contestazioni allorquando, dalla documentazione inedita rinvenuta negli archivi del Komintern sulle sedute della commissione italiana, nel 1929 e 1930, potè riscontrare la dignitosa difesa di Togliatti e Grieco della linea di Lione13.Ma non si può fare a meno di sottolineare che se rilievi, forse anche eccessivi, hanno raggiunto l’opera di Spriano, sono mancati invece, proprio per la non adeguata considerazione della necessità di sviluppare ricerche locali, lavori ad essa realmente alternativi. Ed anche il recente contributo di Giorgio Amendola, pur ricco di spunti ed osservazioni assai stimolanti, trova forse il suo limite proprio nell’assenza di una produzione storiografica minuta, quale base di ap­poggio necessaria a quella sintesi che Amendola si propone di delineare14.Se è vero che è stata studiata, finora, la storia del gruppo dirigente del partito, è utile avviare ora lo studio del corpo intermedio, vale a dire dei suoi iscritti (militanti e dirigenti di base) ed anche dei suoi simpatizzanti; e non solo, come suggerisce Galli, per il periodo successivo al 1945 15. Tale indagine è infatti più interessante se condotta a partire dal 1921, mediante una utilizzazione diversa del materiale documentario già noto ed una estensione ulteriore delle fonti. È evidente, d’altra parte, come ricerche di questo tipo non possano essere im­postate sul piano nazionale: si ritorna così necessariamente alla dimensione locale, alla scelta di una ben determinata area geografica oggetto di studio.L’ambito locale consente inoltre di mettere a fuoco i problemi organizzativi, fino ad oggi trascurati. A parte i lavori di Secchia, il citato studio di Renzo Martinelli è in questo senso una positiva novità, che tuttavia risente dell’ap­proccio su di una dimensione eccessivamente estesa. Comunque, attraverso la considerazione preliminare che non bisogna valutare il peso di un partito o di un dirigente con la sola analisi delle affermazioni ideologiche, sia pure dive­nute linea politica, essa dimostra chiaramente quanto feconda possa essere que­sta strada. Perciò ci siamo proposti non tanto di analizzare una linea politica nel suo snodarsi teorico, quanto di ricostruire la sua pratica attuazione, i rapporti che con essa stabiliscono i militanti e quindi la misura della sua capacità coin­volgente ed aggregativa.Tali considerazioni rinviano direttamente alla problematica della storia sociale, allo sviluppo ed alla elaborazione dei temi ad essa legati e da cui dipende una comprensione più piena del processo storico. In questo senso ci paiono illumi­nanti le osservazioni di Guido Quazza sul taglio da adottare nello studio della Resistenza, intesa nel suo senso più ampio, anche in termini cronologici, come

Problemi del Movimento operaio. Scritti critici e storici inediti tratti dai « Quaderni » di A. Tasca (1927-1939), a cura di G. Berti, XI, 1968, Milano 1969; p . secchia, L ’azione svolta dal Pei in Italia durante il fascismo, cit.u Cfr. ernesto ragionieri, Il partito della svolta e la politica di massa, in « Critica marxista »,1970, n. 5, pp. 160 e 165. Preannunciando la presentazione del materiale inedito Ragionieri, op. cit., p. 172, scrisse: « Riprenderò la questione in altra sede per trattarla sulla scorta di una nuova documentazione stranamente sfuggita fino ad oggi tanto a chi, all’inizio del ’30, potè prendere visione della sezione riguardante l’Italia dell’archivio dell’I.C. quanto a quella tradizione orale della storia del partito che da taluni si vorrebbe onniscente ». I verbali della commissione italiana del X Plenum dell’I.C. furono poi pubblicati, a cura di E. Ragionieri, in « Studi storici »,1971, n. 1.14 Giorgio amendola, Storia del Partito comunista italiano. 1921-1943, voi. I, Roma, Editori Riuniti, 1978.15 Si veda l’Introduzione alla nuova edizione di Giorgio galli, Storia del PCI, Milano, Bom­piani, 1976.

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storia dei partiti del Cln, ma attraverso un confronto prioritario con le forze sociali16. Inoltre, sgombrando il campo da ogni equivoco, è opportuno affermare la non automatica identificazione tra storia sociale e storia locale17 e contem­poraneamente rilevare, però, che in assenza ed in attesa di una storia sociale contemporanea, quella locale ci appare come la via più breve. D’altra parte non si deve dimenticare che non è vero che nell’ambito locale esiste solo il sociale, così come pure non è detto che anche sul piano nazionale non possano essere prodotti studi di storia sociale. Ciò ci induce piuttosto a sottoporre a maggiore attenzione il rapporto locale/nazionale che non deve più variare tra le pretese di autonomia dell’uno sull’altro e, all’opposto del secondo di schiacciare il primo. Se dunque trasferiamo i termini di tale questioni verso lo studio dei partiti politici ed in particolare di quello comunista, ci pare di poter confermare quanto sopra si diceva in termini generali e cioè che una storia « dal basso » si presta meglio, in questa fase storiografica, ad un approccio con le istituzioni sociali.Abbiamo accennato di sfuggita che la dimensione locale corrisponde ad un’area geografica determinata. C’è chi, molto opportunamente, ha sottolineato che « in troppe ricerche di storia locale la dimensione spaziale investita dall’indagine tende ad identificarsi naturalmente [...] con le circoscrizioni amministrative (comunali, regionali, provinciali) che non sempre [...] corrispondono ad aree omogenee [...] » 18. Ci sembra perciò necessario, entrando nel merito della nostra ricerca, precisare che essa è condotta sull’area napoletana costituita dall’insieme dei suoi quartieri più tradizionali (Mercato, Ferrovia, San Lorenzo, Vomero, Fuorigrotta, ecc.) più qualche centro della provincia (Pozzuoli, Torre Annunziata, Caivano, ecc.) secondo la suddivisione territoriale adottata dagli organi di polizia19, e manter­remo tale riferimento costante per l’intero periodo da indagare, cosicché, ad esempio, quando in seguito al riassetto amministrativo del 1926 vedrà raddop­piato il numero dei suoi comuni della nuova provincia di Napoli, noi continueremo a riferirci all’area geografica precedentemente delimitata20.È utile anche cercare di chiarire quale posto occupa Napoli nella storia del Mezzogiorno e nella storia d’Italia. Troppe volte si sono voluti sottovalutare gli elementi di profonda differenziazione, che pure sono evidenti, tra la città par­tenopea ed il resto del sud. La nota definizione gramsciana del Mezzogiorno come « grande disgregazione sociale » e la società meridionale quale « grande blocco agrario » 21, invece di stimolare ulteriori approfondimenti, ha subito per molti

16 guido quazza, Resistenza e storia d ’Italia. Problemi ed ipotesi di ricerca, Milano, Feltri­nelli, 1976, pp. 19-20.17 Si veda l’intervento dell’Istituto per la storia della Resistenza della provincia di Alessandria nel dibattito su « Storia nazionale e storia locale » in « Notizie e documenti », Bollettino a cura dell’INMLI e degli Istituti associati, 1979, n. 4, pp. 90-91.18 guido d’agostino, Nicola gallerano, renato monteleone, Riflessioni su storia nazionale e storia locale, in « Italia Contemporanea », 1978, n. 133, p. 10. Ed anche Lucio gambi, Le regioni italiane come problema storico, in « Quaderni storici », 1977, n. 34, p. 292.15 II motivo di tale scelta è dettato dalla circostanza di poter così fare riferimento alI’ASN ed ai relativi rapporti dei rispettivi commissari corrispondenti alla suddivisione citata nel testo.20 Per il riassetto amministrativo si veda, Consiglio Provinciale dell’economia di Napoli, Relazione sull’attività economica della provincia di Napoli nell’anno 1928, Napoli, 1929, p. 3.21 Antonio gramsci, Alcuni temi della questione meridionale, in « Lo stato operaio », Parigi, gen. 1930; ristampato su « Rinascita », 1945, n. 2 ed ora in a. gramsci, La questione meridionale, a cura di Franco De Felice e Valentino Parlato, Roma, Editori Riuniti, 1966. Val forse la pena di ricordare che nel passo in cui Gramsci definisce il Mezzogiorno « una grande disgregazione sociale » e la società meridionale « un grande blocco agrario » è contenuta anche una significativa frase in parentesi: « Si capisce che occorre fare delle eccezioni: le Puglie, la Sardegna, la Sicilia, dove esistono caratteristiche speciali nel grande quadro della struttura meridionale ». Ebbene,

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anni la sorte di essere sviluppata in modo pressoché unilaterale, sino a togliere a quel contesto economico ogni peculiarità. Una interessante eccezione è costi­tuita da un quasi dimenticato articolo di Giuseppe Berti, Sulla questione meri­dionale. Se è vero, egli scrive, che il Mezzogiorno è una grande disgregazione sociale, il maggior problema consiste « nel riuscire a trovare gli elementi di organizzazione capaci di dare una spina dorsale, una organizzazione economica, politica, morale, a questa disgregazione sociale » 22. Berti mostra di non condi­videre appieno l’impostazione gramsciana secondo la quale « le principali forze motrici della rivoluzione proletaria in Italia sono rappresentate dagli operai di fabbrica del nord e dai contadini poveri del sud ». Si tratta di una indicazione, a suo giudizio, « grossolana e approssimativa e nondimeno essa è talmente inesatta che forse andrebbe mutata ». E ciò perché è arbitrario considerare secondari sia la classe operaia meridionale, sia il proletariato agricolo del nord. È evidente « che la classe operaia del nord, più omogenea, più forte, più sviluppata, finirà per esercitare la sua direzione anche sulla classe operaia del sud e quindi sui con­tadini del Mezzogiorno, ma ciò avverrà solo nella misura in cui i contadini del sud saranno legati agli operai meridionali ».Il saggio di Berti si proponeva di smuovere le masse del Mezzogiorno e farle attivamente partecipare al processo svoltista in atto nel paese. Non tanto, vice­versa, quello di proporre elementi di discussione alle tesi gramsciane di cui certamente esso non coglieva lo spessore. Eppure, queste osservazioni, quasi inconsapevolmente, racchiudevano una parte di verità, in particolare per la realtà napoletana (che Berti ben conosceva) quando si proponeva di valorizzare la presenza e le lotte degli operai meridionali. Infatti negli ultimi anni alcuni im­portanti contributi come quelli di Fatica e Toniolo, rispettivamente per il periodo precedente e seguente il primo conflitto bellico22, e quello di De Marco sugli anni trenta24, sia pure nella loro diversità di tendenza e spessore, ci hanno fornito l’immagine di una Napoli con un apparato industriale non indifferente, anche se precario e perciò non salvaguardato negli anni successivi. Ciò di fronte ad un sud certamente agricolo, ma con zone la cui struttura industriale è tanto preva­lente da non poter essere accomunate al resto del meridione25.In questo contesto ci pare più agevole e proficuo proporre lo studio di Napoli e del suo hinterland industriale, inserito in quello della più vasta area nazionale, nel tentativo di contribuire a porre fine a quel meridionalismo provinciale che tanto poco è servito a comprendere i reali problemi del Mezzogiorno.Se dunque questa ricerca si configura come storia sociale dell’antifascismo operaio napoletano bisogna considerare che, viceversa, gli studi esistenti hanno insistito prevalentemente su di un antifascismo «intellettuale». Ciò è dovuto, in misura notevole, al peso avuto dalla tradizione crociana nella realtà napoletana. L’im­portanza culturale del Croce e del suo « salotto » era stata ben messa in rilievo già nei « Quaderni dal carcere ». Gramsci aveva però sottolineato come quel

anche se non centrava in pieno la peculiarità delle zone industriali, Gramsci, se non altro, dava una indicazione nel senso dell’approfondimento della differenziazione.22 Giu se ppe berti, Sulla questione meridionale, in « Lo stato operaio », Parigi, 1931, n. 1.23 MICHELE FATICA, Origini del fascismo e del comuniSmo a Napoli. 1911-15, Firenze, La Nuova Italia, 1971; gianni toniolo, Politica economica fascista e industrializzazione del Mezzogiorno, relazione tenuta al convegno « Mezzogiorno e Fascismo », Napoli, 21-23 aprile 1976.24 paolo de marco, L ’industria napoletana dal fascismo alia ricostruzione, in « Archivio storico delle provincie napoletane », Terza Serie, voi. XI-XII, Napoli, 1974.25 m ichele fatica, Origini del fascismo e del comuniSmo a Napoli, cit., augusto de benedetti, La classe operaia a Napoli nel primo dopoguerra, Napoli, Guida, 1976.

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patrimonio culturale fosse esclusivamente rivolto alla « educazione delle classi dirigenti » 26, ed aveva rilevato, quale critica di fondo, che nel pensiero di Croce mancava una «parte ricostruttiva», delegata piuttosto ai politici. Gramsci definiva l’atteggiamento di Croce come una sorta di neomalthusianismo, scaturito da quella volontà di non impegnarsi a fondo tipica « di molti intellettuali per i quali pare che basti il dire», e concludeva affermando «ma l’anima non si salva per solo dire. Ci vogliono le opere e come! ».La nota dell’impegno, che è una costante del pensiero gramsciano, doveva alla fine essere quella decisiva perché molti giovani si allontanassero dalla influenza del Croce. Giorgio Amendola, Mario Palermo, Eugenio Reale, Manlio Rossi Doria, Emilio Sereni, Enzo Tagliacozzo, sono soltanto alcuni di coloro che, delusi dalla politica dell’attesismo, decisero di passare all’azione27 28. Ma l’influenza di Croce e delle sue concezioni rimase forte e si fece sentire, a livello storiografico sulle vicende napoletane, soprattutto nel dopoguerra. Il fascismo era stato, infine, un fenomeno anti-storico, una brutta malattia che aveva impedito all’Italia di per­petuare la sua tradizione liberale. L’unico carattere di quel periodo che andava ora recuperato era l’intenso lavoro operato dal Croce « per mantenere la parte migliore della cultura italiana immune dal fascismo » 2S. Mentre fu frustrata l’esigenza storica di avviare ricerche sull’attività clandestina di quei gruppi che avevano assegnato alla classe operaia il compito della direzione del paese. Inoltre, dobbiamo aggiungere che se altrove si è lamentata la presenza di una memoria­listica del movimento operaio, pur vasta in critico rapporto con gli storici, qui si è viceversa dovuto constatare la quasi totale assenza di essa29. Tali vuoti, che questa ricerca intende cominciare a colmare, hanno finito per favorire la defini­zione di Napoli come patria pressoché esclusiva dell’antifascismo intellettuale.

Il problema delle fonti

È noto quanto poco la storiografia ufficiale abbia affidato la ricostruzione delle vicende storiche alle testimonianze, preferendo piuttosto le fonti tradizionali, con­siderate più attendibili. Specie in questi ultimi anni molti studiosi hanno comin­ciato, però, a porsi domande sull’oggetto e sulla metodologia delle proprie ricerche.

26 Antonio gramsci, Il materialismo storico, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 301.27 Ma non fu cosi per tutti; Clemente Maglietta, ex funzionario comunista e dirigente clan­destino, cogliendo alcuni caratteri dell’azione crociana, ha affermato, per esempio, « Secondo me, Croce è uno degli uomini più perniciosi per l’antifascismo. Ha impedito a moltissimi giovani di orientarsi verso il socialismo: ne era un nemico feroce ed impiegava tutte le armi, dalle sotti­gliezze verbali, alle argomentazioni filosofiche e religiose. Perché lui, in realtà, era una specie di Papa, il papa laico, che si adoperava per distogliere i giovani; una quantità! Ed una gran parte di questi sono poi diventati fascisti » [T.r.A. da C. Maglietta il 13 aprile 76]. Più attenuato, ma non meno deciso e forse addolcito dal riconoscimento delle grandi doti umane e dalla enorme serietà di lavoro del Croce, il giudizio di G. Amendola: « Croce aveva un senso di quasi modestia di fronte ai giovani che facevano una attività cospirativa [...], era molto attento a questa nostra attività che egli, e ciò è molto educativo, non condannava apertamente... (ma) cercava invece di superare positivamente orientandoci verso lo studio. E tutto ciò con molta discrezione, senza mai pretendere di imporsi... Io respingevo questa tesi di dirottare verso lo studio energie che pensavo dovessero essere utilizzate verso l’azione politica, fosse il PCI oppure G.L. » [T.r.A. da G. Amendola il 12 dicembre 1977],28 italo de feo, Benedetto Croce e il suo mondo, Torino, ERI, 1966, p. 112.29 Le poche eccezioni sono costituite dalle memorie di Gaetano Marino conservate presso l’AICSR e parzialmente pubblicate su « Movimento operaio », 1954, n. 5; da quelle di salvatore cacciapuoti, Storia di un operaio napoletano, Roma, Editori Riuniti, 1971, e da quelle di Mario Palermo, Memorie di un comunista napoletano, Parma, Guanda, 1975.

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« C’è quasi da stupirsi — è stato notato — quanto spesso la storia sia stata scritta dal punto di vista di coloro che hanno l’incarico di dirigere la vita degli altri e quanto poco invece sulla base dell’esperienza di vita reale della gente » 30.È questo il motivo principale che ci spinge a ritenere indispensabile il ricorso alle fonti orali che, in relazione alla nostra ricerca, possono essere poste su due piani distinti; il primo è attinente alla integrazione delle fonti esistenti, il secondo evi­denzia la problematica della costruzione di nuove fonti, in mancanza cioè di fonti tradizionali.Per quanto riguarda il primo punto va rilevato che, per qualche tempo, si è voluto mantenere, da parte di taluni studiosi, una certa sufficienza di giudizio, poi deci­samente rientrata. In realtà, il salto rispetto alle fonti tradizionali non è qui, per qualità, eccessivamente rilevante. Si tratta, infatti, soltanto di arricchire i docu­menti a disposizione. Se è vero che qualche volta la testimonianza di un prota­gonista comporta inesattezze cronologiche e distorsioni di carattere valutativo, sottoponendo « l’informatore » a domande specifiche le cui risposte possono in gran parte essere verificate sui documenti o comunque sono ad essi strettamente legati, non solo si evitano i rischi di inattendibilità, ma soprattutto si acquisiscono nuovi elementi sulla mentalità dei protagonisti e su come essi rivivono oggi avve­nimenti remoti. Un esempio potrà chiarire meglio la metodologia adoperata.Tra i numerosi rapporti rinvenuti all’APC ve ne era uno particolarmente signi­ficativo ma in buona parte incomprensibile perché recante in cifre nomi di persone e di aree geografiche. Il dattiloscritto, datato maggio 1935, non recava alcuna firma ma soltanto il titolo Rapporto da Napoli31. L’autore, un ispettore inviato dal Centro di Parigi, si soffermava inizialmente sulle modalità del suo incontro con i compagni di Napoli, in particolare di quello indicato con « IV », operaio delle Officine meridionali, che gli aveva fornito notizie sulle prime lotte « legali » e sulla condizione operaia. Il rapporto proseguiva poi con la descrizione degli incontri con gli altri militanti di Napoli e con l’analisi dello stato dell’organizza­zione comunista napoletana.Sarebbe stato, ovviamente, di estremo interesse rintracciare qualcuno dei prota­gonisti di quegli episodi, per poi tentare di decifrare con il suo aiuto il contenuto del documento. Tra le varie testimonianze da noi precedentemente raccolte c’era quella di Ciro Picardi32, militante operaio clandestino, il quale aveva appunto

30 raphael sam u el , La storia della gente comune, in Storia orale, antologia a cura di L. Passerini, Torino, Rosenberg-Sellier, 1978, p. 99. Il dibattito sulla storia orale ha cominciato finalmente a svilupparsi anche in Italia. Primi contributi in questo senso sono da considerarsi oltre alia sopracitata antologia, il n. 35 (ma/ag. 1977) di « Quaderni storici », gli Atti del convegno su « Fonti orali. Antropologia e storia », tenuto a Bologna nel dicembre 1976, ora pubblicati da Angeli e la traduzione italiana di La tradition orale. Essai de methode historique di Jan Vansina (Roma, Ed. Officina, 1977).31 APC 1305/718, Rapporto da Napoli, 7 maggio 1935.32 Ciro Picardi (1900), operaio della Miani & Silvestri e delle Officine meridionali, pur avendo trascorso ben dodici anni al confino, ha legato il suo nome a due fasi importanti dell’attività clandestina napoletana: l’organizzazione di Sereni e Rossi-Doria, nel 1930, e la ripresa del 1934, che poi sarebbe sfociata nell’organizzazione Reale degli anni 1935-37. Nel dopoguerra, dopo aver fatto parte della Consulta nazionale, continuò a svolgere incarichi di partito. Tra l’altro riprese gli studi, diplomandosi maestro elementare ed incominciando ad insegnare. Si iscrisse pure all’università giungendo a pochi esami dalla laurea in lettere. Vive a Napoli. Ci sembra importante trascrivere qui il giudizio che di Picardi diede il funzionario autore del rapporto citato nel testo sia perché esso testimonia la precisione e la meticolosità con la quale gli ispettori svol­gevano il loro lavoro, sia perché è stato amichevolmente rifiutato da Picardi. Viceversa ci pare che colga perfettamente alcuni lati del suo carattere. « Si tratta veramente per me di un operaio onesto che fin dal 1914 vive e sente i bisogni della classe operaia del suo paese. Il suo difetto

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raccontato di aver incontrato nel 1935 un emissario comunista: si trattava di verificare se «IV » corrispondeva effettivamente a Picardi, se questi nel 1935 era occupato presso le Officine meridionali, se infine gli episodi ricordati e le persone citate erano a lui familiari. Il tentativo ebbe esito molto felice: Picardi non solo si riconobbe in « IV » ma addirittura seppe dare i nomi di molti altri militanti nominati nel rapporto ed arricchire di interessanti particolari gli episodi che aveva allora raccontato al funzionario del quale Picardi affermò di ricordare anche il nome. Si trattava, infatti, di un ex-operaio torinese, Gustavo Comollo33. Non fu difficile reperire il suo indirizzo ed inviargli una fotocopia del rapporto. Comollo rispose poco dopo, confermando la paternità dello scritto (di cui non immaginava fosse rimasta traccia) ed aggiungendo interessanti particolari sugli obiettivi che, con quella missione del 1935, il PCI intendeva raggiungere a Napoli.E veniamo adesso al secondo punto, quello concernente la costruzione di nuove fonti. Dall’esempio precedente si delineava la possibilità di utilizzare maggiormente anche la testimonianza di superstiti, protagonisti di episodi non verificabili sui documenti.Molto spesso gli storici del movimento operaio (e non solo essi) hanno fatto dipen­dere la scelta del tema di ricerca dalla disponibilità delle fonti esistenti, o meglio, di più facile e comoda consultazione. Ne è scaturita l’insistenza, a volte anche eccessiva, su alcuni temi non sempre di grande interesse, mentre sono rimasti poco studiati problemi la cui conoscenza avrebbe consentito di avere un quadro mag­giormente corrispondente alla realtà.Un esempio assai significativo di questo squilibrio nella produzione storiografica è dato senza dubbio dalla storia del movimento sindacale italiano. Essa ha regi­strato lacune notevoli34, dovute, in parte, ad un non facile reperimento di fonti specifiche ed in particolare ad un rapporto eccessivamente condizionato dalla storia politica dei partiti. Il contributo che in questo campo la storia orale potrebbe arrecare è ancora tutto da valutare, ma certo si presenta ricco e prezioso, forse più che altrove. Non ci interessa qui trattare specificamente questo aspetto, ma la circostanza andava sottolineata perché indice esemplare di una prospettiva di estremo interesse che l’oralità offre: alludiamo alla possibilità di rovesciare « il

guaribile consiste in ciò, che si preoccupa molto della forma del discorso più che del contenuto. Direi che (in) certi momenti è anche accademico, e ciò si spiega col fatto che lui ha acquistato conoscenza dell’economia politica e della teoria più che della pratica rivoluzionaria. È convinto che il nostro lavoro deve incominciare innanzitutto nelle fabbriche e lui si è preoccupato di avere qualche corrispondente, però, forse per soddisfare il suo bisogno di operaio che sa quello che vuole e sa discutere, si preoccupa molto degli intellettuali. Se devo giudicare da una questione che mi pose tante volte (— Che cosa devo far fare agli intellettuali? —) bisogna convenire che tra questi ha molte conoscenze », Ibid.33 Gustavo Comollo (1904), operaio meccanico torinese, già guardia rossa all’Ordine Nuovo, nel giugno del 1927 fu arrestato e denunziato al TS con l’accusa di essere un organizzatore della Cgl clandestina nella zona Piemonte-Liguria. Condannato a quattro anni, appena libero espatriò in Francia dove lavorò al Centro estero del Pei. In questo periodo fu per due anni alla scuola leninista di Mosca e poi fu inviato, nel 1935, in missione all’interno, in qualità di ispettore. Arrestato a Genova alla fine del giugno di quell’anno fu condannato al confino. Liberato nel 1943, fu comandante partigiano nel cuneense. Nel dopoguerra ricoprì incarichi nella federazione comunista torinese. Vive attualmente a Torino, dove è consigliere comunale del Pei.34 Si veda al proposito il saggio di Mario abrate, Lavoro e lavoratori nell’Italia contemporanea, Milano, Angeli, 1977; l’Introduzione di S. Zaninelli ed il programma di contributi sulla storia del movimento sindacale in Italia ivi illustrato. Al di là della impostazione, polemica nei con­fronti della storiografia dei partiti e riduttiva del ruolo che l’elemento ideologico ha avuto anche nella realtà sindacale, bisogna riconoscere che il vuoto esiste e che le considerazioni in merito sono da approfondire.

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rapporto fra scelta del campo di studio e disponibilità della documentazione » 35. Sulla possibilità per lo storico di costruire da se nuove fonti è noto l’utile contri­buto fornitoci da Paul Thompson36.L’esempio, legato alla nostra esperienza, che vogliamo citare sulla costruzione di nuove fonti si riferisce ad un periodo molto delicato dell’attività clandestina napo­letana. Dopo la «stagione di lotte» del 1930-31, chiusa da numerosi arresti, l’organizzazione attraversò un momento di forte crisi aggravato, dopo la prima­vera del 1932, dalla perdita del contatto col Centro. La ripresa avvenne nella prima metà del 1934 con il temporaneo ritorno dal confino di Picardi e l’attività intensa di alcuni militanti napoletani sfuggiti agli arresti degli anni precedenti; fu sugel- lata, alla fine dell’anno, dall’arrivo a Napoli di un ispettore del Centro: Luigi Guermandi37 38. Di tutta questa attività, dal 1932 al 1935 mancava ogni documen­tazione sia di fonte ACS, non essendo la polizia riuscita a venire a conoscenza dei movimenti, sia di fonte APC, per l’assenza del rapporto di Guermandi3S. L’unica possibilità di risalire alla ricostruzione di questo importante momento era legata dunque esclusivamente alla testimonianza dei protagonisti superstiti.Metodologicamente abbiamo proceduto prima con un ciclo di conversazioni singole e poi, dopo una prima elaborazione del materiale raccolto, si è proseguito con incontri a più voci per discutere ed eliminare possibilmente, o comunque com­prendere meglio, i contrasti e le differenti versioni affiorate sulle specifiche cir­costanze. Il risultato conseguito: a) la scoperta del modo in cui furono ripresi i contatti col Centro; b) una dettagliata ricostruzione dell’organizzazione a quadri­latero delle cellule39; c) interessanti episodi di vita clandestina. È uscito insomma un quadro molto ricco, abbastanza unitario e soprattutto credibile, pieno di sfu­mature e particolari che nessun documento storico ha mai fornito; un quadro ottenuto dall’approccio con fonti diverse che ci avevano consentito, per dirla con Evans, di porre domande alle fonti stesse per chiedere loro di spiegare meglio quante non ci era riuscito di capire prima40.

Qualche appunto per una ricostruzione dell’attività comunista

Quando il 29 gennaio 1921, una settimana dopo la conclusione del Congresso di Livorno, si costituì a Borgo Sant’Antonio Abate, in uno dei più popolari quartieri di Napoli, la sezione cittadina del Pcd’I i presenti non furono che trentacinque41. La lotta svolta nei mesi precedenti in seno al partito, tra la corrente massimalista e quella comunista intransigente, era stata molto accesa; le votazioni assembleari

35 A. CASANOVA, Sources historiques et réalité historique, in Aujourd’hui l ’histoire, Paris, Ed. Sociales, cit. da l . passerini, Storia orale, cit., p. XVI.36 PAUL THOMPSON, Problems of method in Orai History, in « Orai History », 1972, n. 1 ora in L. passerin i, Storia Orale, cit., pp. 31-68. Si veda anche, sempre di P. Thompson, Storia orale e storia della classe operaia, in « Quaderni storici », n. 35, cit.37 Luigi Guermandi (1900-1979), milanese, compì dal 1928 al 1934 tredici missioni clandestine in Italia. Per ulteriori informazioni biografiche si veda D.B., Voi. II, pp. 607-608.38 All’APC, nell’inventario dei 1934, è indicato un rapporto da Napoli, ma deve evidentemente far parte di quella documentazione che ancora si trova a Mosca negli archivi delI’I.C.39 La struttura organizzativa a quadrilatero era composta di quattro elementi (vertici). Uno odue erano legati al comitato federale, mentre ogni cellula collegata era a conoscenza soltanto dei membri del nucleo dal quale riceveva il materiale e di quello al quale, a sua volta, lo tra­smetteva. ' 140 George ewart evans, L ’uso delle fonti orali in storia, in L. passerini, Storia orale, cit., p. 4.41 ACS, PS 1921, b. 88/B, nota dalla Prefettura di Napoli del 30 gennaio 1921. Si veda anche « Il soviet » del 6 febbraio 1921.

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della sezione si erano risolte sempre a favore dell’ima o dell’altra con lo scarto di pochissimi voti. Sarebbe quindi stato lecito, da parte comunista, pensare che questo sostanziale equilibrio di forze avrebbe caratterizzato anche la fase suc­cessiva alla scissione, tanto più che Napoli esprimeva sia la personalità più auto­revole e rappresentativa, Bordiga, sia la frazione che meglio aveva lavorato su scala nazionale per la formazione del nuovo partito42.Viceversa nel 1921, a Napoli più che altrove, il Psi restò il partito nel quale ancora la gran parte del proletariato e delle masse popolari coscienti si riconoscevano. Ed anche la perdita del controllo della Cdl di Napoli, avvenuta a favore dei comunisti nel febbraio dello stesso anno, non incise nei rapporti di forza in modo particolare perché molte delle leghe più importanti, quali ad esempio la metal­lurgia e la tessile, rimasero dirette da elementi socialisti43.Ma in sostanza era scarsa la partecipazione alla vita dei partiti: comizi ed assemblee non riunivano che poche decine di militanti. Non vi è dubbio che il maggior contatto con le masse avvenne sul terreno sindacale. Indicazioni in questo senso ci giungono dalle agitazioni e dagli scioperi, prevalentemente difensivi, che per tutta la prima metà del 1921 furono numerosi44. Fino ad allora, la crescita continua del costo della vita aveva indotto la Cgdl ad aprire vertenze per aumenti salariali, che mantennero elevata la mobilitazione. L ’inversione di tendenza fu determinata dal sopraggiungere della crisi economica del 1921, che si configurò quale occasione « per una ristrutturazione produttiva, finanziaria e creditizia, che segue la sconvolgente esperienza bellica e si proietta decisamente verso il futuro » 45. Da questa crisi presero forza e si svilupparono anche i sindacati fascisti, che, guidati da Padovani, ottennero il loro primo grande successo al Porto, nella vertenza degli scaricatori di carbone, opponendosi violentemente alle cooperative socia­liste 46. Mentre cominciarono ad estendere la loro influenza al settore metallurgico soprattutto dopo la fallimentare conclusione dello sciopero nazionale dell’estate del 1922.Più in generale si può dire che a Napoli il fascismo aveva incontrato, nella sua ascesa, qualche ostacolo dovuto ai dissidi interni, ma si era comunque manifestato in forme non dissimili dalle altre città; come provano i fatti di Castellammare, gli assassini di Bertone, Spina, Derelitto e Perna, il «caso Misiano», le tensioni

42 La Federazione socialista di Napoli fu rappresentata a Livorno da 1031 voti, di cui 529 andarono agli unitari, 497 ai comunisti e solo 5 ai concentrazionisti. Alla fine del 1921 il Co­mitato provinciale comunista di Napoli aveva distribuito 396 tessere. Molti di meno furono coloro che si impegnarono in una militanza attiva.43 O. Pini era il segretario regionale della Fiot mentre E. Russo, segretario della Fiom. Enrico Russo (1895), seguace di Buozzi prima e di Serrati poi, aderì al Pcd’I nel 1924, ricoprendo, dopo lo scioglimento della Cgdl, incarichi di partito. Emigrò poi in Francia, Belgio, e Spagna, mili­tando nelle fila del Pei poi della Sinistra Internazionale e infine degli anarchici del Poum. Internato fino al 1943, dette poi vita all’esperienza dela Cgl meridionale. Nel 1947 aderì al Psli. Cfr. c. de marco, La costituzione della Cgl e la scissione di Montesanto (1943-44), in « Giovane critica », 1971, n. 27 e ACS, ACP, 4498.44 ASN, Questura Gabinetto, 1921, b. 789-790-801.43 A. stàderini, L'economia italiana dal 1918 al 1922, nel volume a cura di G. sabbatucci, La crisi italiana nel primo dopoguerra, Bari, Laterza, 1976, p. 122.46 Cfr. m ichele fatica, Appunti per una storia di Napoli nell’età del fascismo, (relazione tenuta al convegno su « Resistenza e Mezzogiorno », Salerno, dicembre 1975), ora in « Rivista di storia contemporanea », 1976, n. 2, pp. 389-390. Per una ricostruzione più dettagliata della situazione degli scaricatori dal dopoguerra al 1928, si veda AGP, 1925-1928, VI-5, fase. 8-14. Sull’opera di Aurelio Padovani, si vedano gli opposti giudizi sul personaggio di Raffaele colapietra in Napoli tra dopoguerra e fascismo, cit., e M. fatica, Appunti per una storia di Napoli nell'età del fascismo, cit. Si veda, infine, il recente contributo di franco catalano, Fascismo e piccola borghesia, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 197-203.

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create nei giorni delle elezioni del 1921 e 1924, i frequenti assalti alle sedi dei giornali di partiti e sindacati, le uccisioni di militanti comunisti e socialisti, più tardi, al tempo degli attentati a Mussolini, le ripetute devastazioni delle abitazioni degli antifascisti più noti47.« L’ondata anticomunista » del febbraio del 1923 determinò anche a Napoli un gran numero di arresti48. In quei giorni il PCd’I si diede una struttura praticamente clandestina, attraverso la costituzione dei cinque segretariati interregionali; nel Mezzogiorno agì il n. 5 con sede in Napoli e responsabile della Campania, Basi­licata, Calabria, Puglia e Sicilia49. Dal carteggio con il Centro risultano evidenti le difficoltà di azione politica in una fase di così intensa repressione, per cui mas­simo obiettivo era quello di raggiungere il maggior numero di contatti con le federazioni locali.D’altra parte, in questo stesso periodo, la situazione nelle fabbriche napoletane si presentava oltremodo complessa. Da una inchiesta condotta dal «Rom a», nel­l’agosto del 1923, risulta che i disoccupati erano quasi ventimila e che colpito in modo particolare era il settore metalmeccanico, il quale occupava solo un terzo degli addetti rispetto alla fine del conflitto. Tuttavia è possibile cogliere segni di ripresa nel corso del 1923 con la ristrutturazione delle Manifatture cotoniere me­ridionali e, nel 1924, con la riapertura dell’Uva50.Le elezioni politiche del 6 aprile 1924 registrarono a Napoli un’ascesa dei comu­nisti ed un calo dei due partiti socialisti; esiti confortati dal discreto successo che riscossero complessivamente le forze antifasciste51. In questo periodo, sono inte-

47 Si veda la ricostruzione dell’assalto fascista, nel gennaio del 1921, al comune di Castel­lammare, nel libro di A. barone, Piazza Spartaco, Roma, Editori Riuniti, 1974. Diodato Bertone, sindacalista di Torre Annunziata, fu ucciso il 25 febbraio 1921 per rappresaglia, in risposta al ferimento di un fascista, avvenuto tre giorni prima. .R. colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, cit., p. 148. Il ferroviere Giuseppe Spina fu ucciso da una squadracela fascista durante la manifestazione per il 1° maggio 1921, mentre, stava per cominciare il comizio in Piazza Mercato, cfr. v.r. colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, cit., p. 159. Niccolò Derelitto, giovane comunista siciliano, fu ucciso a Giugliano, nell’estate del 1922, durante un conflitto a fuoco con i fascisti. T.r.A. da L. Tarallo il 21 luglio 1978. Raffaele Perno, comunista di Barra, fu ucciso nell’autunno del 1924 dai fascisti locali, nel tentativo di frenare l’attività dell’opposizione. V. ACS, PS, 1924, b. 102. Su Misiano. Si veda franca pieroni bortolotti, P. Misiano, Roma, Editori Riuniti, 1972. Sulle violenze fasciste dei giorni delle elezioni, si vedano i quotidiani del­l’epoca nei giorni successivi dal 15 maggio 1921 al 6 aprile 1924. Citiamo soltanto la devastazione, il 5 maggio del 1921, della tipografia del « Soviet» e i continui tentativi di assalto alla Cdl a Vico Donnaregina dal 1921 al 1923. Per quanto riguarda le sedi del partito, ricordiamo le invasioni delle sezioni comuniste di Afragola e Barra avvenute rispettivamente il 9 aprile 1921 ed il 16 novembre 1922. Carlo Rossi (1912), militante clandestino del gruppo De Ambrosio-Cacciapuoti, ha ricordato come da bambino fu spettatore di più di una « esecuzione dimostrativa » nelle strade del suo quartiere, senza averne poi trovato traccia sulla stampa locale. T.r.A. da C. Rossi il 7 ottobre 1977.4S Sono arrestati e denunciati per gli stessi reati addebitati a Bordiga: il giornalista Ugo Arcuno, gli insegnanti Carlo Ciardiello, Hugo Girone, Giovanni Sanna e Ortensia Demeo moglie di Bordiga, gli impiegati Dante Faletto e Dante Checchia, lo spedizioniere Rodolfo Fobert, il sindacalista Giovanni Michelangeli, l’operaio Antonio Natangelo, l’avvocato Luigi Gigliotti, il tramviere Federico Mutarelli e il calzolaio Salvatore Mauriello. In tutto quattordici persone. V. ACS, PS, 1923, b. 69 B.45 All’ACS, PS è versato un interessantissimo fondo relativo agli A tti sequestrati al Partitocomunista dalla Questura di Milano 1920-1925 che contiene i carteggi dei segretari Interregionali con il Centro. V. Stefano m erli, Le origini della direzione gramsciana del Pcd'I, in Fronte Antifascista e politica di classe, Bari, De Donato, 1975. Dopo il V Congresso dellTnternazionale del giugno 1924 i segretari furono portati a sei ed in seguito ad otto.50 V. M. fatica, Appunti per una storia di Napoli nell’età del fascismo, cit., p. 408.51 I comunisti rispetto alle elezioni del 1921 passarono da 685 a 2856 voti (dall’1,15% al 4,59%); i socialisti, che nel 1921 avevano raggiunto con i riformisti il 26,98% ottennero, separati, rispet-

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ressanti i termini della battaglia contro Bordiga per il passaggio del partito a Gramsci. Alla Conferenza di Como la Federazione di Napoli ed il Segretario In­terregionale n. 5 votarono per la Sinistra. Nell’estate, al Congresso provinciale comunista organizzato al Vesuvio, si ebbe lo scontro storico fra i due leaders, per effetto del quale, nel gennaio del 1925, Bordiga fu nominato dal Centro segretario della Federazione napoletana e qualche mese dopo destituito, con la motivazione che gli eccessivi controlli polizieschi gli impedivano la libertà di azione52. Dopo la scoperta del Comitato d’Intesa (giugno 1925)53, la preoccupazione che Napoli potesse diventare la roccaforte deH’estremismo si fece grande: le migliori energie furono spese nel tentativo di portare Bordine nella federazione « ribelle » 54 Basti pensare che, dal 1924 il Segretario Interregionale, Girone, bordighiano, era stato affiancato prima e sostituito poi da Ennio Gnudi, membro del Cc ed uomo di fiducia di Gramsci, e che furono inviati periodicamente a sostenere la lotta contro le posizioni della Sinistra i quadri migliori: gli Interregionali Rosini e Lisa, l’ispet­tore Azzario, i sindacalisti Roveda, Marchioro e Nicola, i deputati Bendini e Alfani, i rappresentanti dei giovani Scaffidi e Dozza, i funzionari Peluso, Pianezza e Ama- desi55. A Lione la federazione di Napoli votò ancora per la Sinistra.

tivamente il 9,66% e il 5,90%. L’Opposizione Costituzionale raggiunse il 9,67% mentre i popolari si fermarono al 9% (contro 111,50% del 1921). Le due liste fasciste, quella nazionale e quella fiancheggiatrice del tricolore ebbero rispettivamente il 47,16% ed il 10,47% dei voti. Percentuali nostre sulla base dei dati forniti da R. colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, cit.52 Oltre al resoconto de « L’Unità » (9 ottobre 1924), ora parzialmente in a. gramsci, La co­struzione del partito comunista, Torino, Einaudi, 1974, p. 464, la testimonianza di G. Marino nelle sue citate memorie. Si veda pure il relativo rapporto della Questura di Napoli in ACS, PS, 1924, b. 102.53 V. Danilo montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia 1919-1970, Piacenza, Ed. Quaderni Piacentini, 1976, pp. 151-152 e bruno fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia, a cura di L. Cortesi, Torino, Tennerello, 1978.54 V. Giorgio galli, Storia del PCI, Milano, Bompiani, 1976, pp. 106-118.55 Hugo Girone (1897-1977). Professore di filosofia e avvocato, fu tra i più attivi dirigenti di base napoletani. Bordighiano, venne allontanato dall’incarico di segretario interregionale per il Mezzogiorno e trasferito a Roma in qualità di redattore de « L’Unità ». Espulso al tempo del Comitato d’Intesa per attività frazionista e subito riammesso in seguito a un ricorso all’IC, nel ’25, tornò a Napoli dove lavorò ancora insieme a Mancini fino all’arresto, avvenuto nel 1928. Nel 1946 il suo nome comparve nell’elenco degli informatori di polizia sulla « Gaz­zetta ufficiale ». Ennio Gnudi (1893-1949), eletto nel Cc al secondo congresso del Pcd’I, a Co­mo votò per Gramsci. Fu segretario interregionale per il Mezzogiorno sino alla fine del 1925. V. D.B., voi. II, pp. 512-514. Goffredo Rosini (1899), nel 1924 fu chiamato al Centro ed impiegato fino al settembre del ’25 (quando fu arrestato a Napoli) come segretario interregionale nonché responsabile del SRI. Emigrò poi in Russia, Francia e Brasile collaborando alla stampa antifa­scista. V. ACS, CPC, b. 4418. Athos Lisa (1890-1960), fu segretario interregionale per il Mezzo­giorno dalla fine del 1925 alla fine del 1926. V. D.B., voi. Ili, pp. 120-123 e A. lisa , Memorie, Milano, Feltrinelli, 1973. Isidoro Azzario (1883-1943), dirigente sindacale. V. D.B., voi. I, pp. 108-110. Dai rapporti di Bendini (APC 337) risulta essere stato incaricato di svolgere la relazione sul fallimento a Napoli dello sciopero legalitario del Io agosto 1922. Secondo G. Marino, fu a Napoli anche nel 1924 per condurre un’inchiesta sul partito napoletano. Giovanni Roveda (1894-1962), taschiano, segretario del sindacato del legno, fu arrestato a Napoli insieme a Rosini, nel settembre 1925. V. ACS, PS, 1925, b. 105 e D.B., voi. IV, pp. 419-421. Domenico Marchioro (1888-1964), terzino, fu a Napoli, come segnala Marino, il Io maggio 1925 per un comizio alla Miani e Silvestri. V. D.B., voi. Ili, pp. 308-309. Giovanni Nicola (1890-1971), terzino come Marchioro, si occupò per qualche tempo a Napoli di problemi sindacali. V. G. marino, Memorie, cit., e D.B., voi. Ili, pp. 675-677. Arturo Bendini (1891-1944), collaboratore dell’« Ordine nuovo », eletto alla Camera nel 1924, tenne i collegamenti con le sedi periferiche. A Napoli restò per qualche mese tra la fine del 1925 ed i primi del 1926 per riorganizzare la Federazione locale. Per notizie biografiche si veda D.B., voi. I, pp. 233-234. Gino A lfani (1866-1942), socialista, terzino, fu l’unico deputato campano eletto nella lista comunista, nel 1924, V. D.B., voi. I, pp. 32-36. Iffrido Scaffidi (1906), dirigente giovanile siciliano, fu inviato dal Centro di Milano nel 1924. L’anno seguente resse a Napoli per alcuni mesi il Segretariato interregionale giovanile. Durante il periodo fascista scontò circa sei anni tra confino e internamento. Nel dopoguerra

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Ma, in sostanza, la lotta politica fra il Centro e la Sinistra non assunse mai a Napoli connotazioni chiare. Infatti il Centro agì con molta cautela e discrezione, consapevole delle difficoltà di dirigere un partito ancora spostato su posizioni estreme, preferendo basare le sue critiche all’organizzazione napoletana più su questioni di « neutra disciplina » che su reali differenziazioni ideologiche. Così ben si comprende come dopo lo scioglimento disciplinare della federazione, nel 1924 e 1925, la riorganizzazione fosse ancora affidata anche ad elementi bordighiani.In questa luce resta da valutare il ruolo dei terzini56. Sono note le osservazioni di Colapietra, tendenti a collocare nel 1924 dopo il convegno del Vesuvio in cui vinse la Sinistra e Bordiga fu nominato Segretario della Federazione napoletana, la sconfìtta del bordighismo, ma con origini risalenti ad anni precedenti ed in particolare all’influenza dell’elezionista Misiano e della caratterizzazione sindacale del comuniSmo napoletano57. Ma anche Bordiga comprese l’importanza del pro­blema delle alleanze tanto che preferì gestire l’esperienza del Prometeo col terzino Michele Bianco e inoltre Enrico Russo ed Eugenio Mancini58, anch’essi terzini, fra gli incaricati della ricostituzione della federazione, negli anni successivi furono sicuramente più vicini al leader napoletano che non al Centro del partito.Le leggi eccezionali, entrate in vigore dopo l’ultimo attentato a Mussolini, non determinarono immediatamente l’arresto di ogni attività. La commissione pro­vinciale, nella sua prima seduta del novembre 1926 dispose il confino per una ventina di militanti di sinistra più noti ma non per questo più attivi. Furono colpiti, infatti, una dozzina di anarchici da qualche anno ormai praticamente fermi e qualche comunista fra cui Alfani, Bianco, Bordiga, Russo, Cecchi59.

tornò a Napoli dove fu anche consigliere provinciale. V. ACS, CPC, b. 4645. Giuseppe Dozza (1901-1974), segretario nazionale giovanile, dal 1923, alla Conferenza di Como si schierò col Centro. Fu arrestato a Napoli il 18 aprile 1926 mentre compiva una missione clandestina. V. D.B., voi. II, pp. 248-252 e l u ig i aebizzani, L ’attività politica ed antifascista di G. Dozza attraverso le carte di polizia (1915-45), estratto da « Bologna », documenti del Comune, settem­bre 1975. Edmondo Peluso (1882), pubblicista, fu utilizzato nel 1923 dal Centro per tenere colle­gamenti con le federazioni locali. Visse a Napoli, travestito da prete in totale clandestinità per alcuni mesi. T.r.A. da L. Tarallo, il 21 luglio 1978. Per ulteriori informazioni biografiche si veda D.B., voi. IV, pp. 75-77. Giuseppe Pianezza (1892-1964), ex operaio della Michelin di Torino, legato al gruppo dell’« Ordine nuovo », dopo un primo espatrio tornò in Italia nel 1925 destinato alla bolscevizzazione del partito in Campania e nel Mezzogiorno. V. D.B., voi. IV, pp. 118-121. Luigi Amadesi (1904), dirigente giovanile, fu per alcuni anni responsabile della sezione militare. Nel 1925 e nel 1926 fu in contatto con i dirigenti napoletani per svolgere questo delicato lavoro con lo pseudonimo di Enea. V. APC, 459 e D.B., voi. I, pp. 54-55.56 V. tommaso detti, Serrati e la formazione del PCI, Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 392-399.57 R. colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, cit.s* Michele Bianco (1895), dirigente lucano, socialista serratiano e poi comunista, si trasferì a Napoli nel 1922. Rimase molto legato a Bordiga. In una nota prefettizia dell’aprile 1926 (ACS, PS 1926, b. 109) si legge « In questi ultimi tempi il comunista Bordiga, dopo lo scioglimento della federazione e sezione napoletana, non avvicina nessuno e vede, nella sua abitazione, solo il Prof. Tarsia e l’avv. Bianco, e rifiuta di ricevere altri compagni di partito ». Per ulteriori notizie biografiche su Bianco si veda D.B., voi. I, pp. 292-293. Eugenio Mancini (1881) di origine calabrese, fratello del più noto deputato socialista Pietro, fu segretario regionale nel 1923 della frazione terzina. Dal 1924 svolse intensa attività nel Pcd’I. Arrestato nel 1928 e più volte inviato al confino, Mancini non rispettò le direttive comuniste e inoltrò domande di grazia, convinto che fosse l’unico modo per tornare a svolgere l’attività. Elemento di spicco nelle « quattro gior­nate », fu l’ispiratore principale della scissione di Montesanto. Rientrò poi nel PCI.59 Antonio Cecchi (1895), nativo di Scafati, si trasferì prima a Castellammare e poi a Napolie fu segretario delle rispettive Cdl. Bordighiano, svolse attività nel Pcd’I sino al 1926 quando fu inviato al confino. Rientrato a Napoli nel 1929, si dedicò all’insegnamento privato e alla professione forense. Inoltrò più di una richiesta a Mussolini per essere radiato dall’elenco dei sovversivi e per dimostrare il suo completo ravvedimento scrisse pure un libro in cui esaltava la dottrina fascista. Ma l’adesione al fascismo di Cecchi non fu sincera; nel 1941 ottenne la

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Se gli altri partiti, compreso quello socialista ormai privato del vitale apporto dei terzini, avevano progressivamente diminuito il proprio impegno, il partito comu­nista napoletano aveva viceversa moltiplicato gli sforzi, assai sostenuto dal Centro, sulla scia della sconfitta della Sinistra al Congresso di Lione. La parola d’ordine « tutto continua come prima » non teneva conto, però, del mutamento prodottosi in seno al regime e finiva per favorire la repressione antifascista60. L ’apparato clandestino, tuttavia, era rimasto praticamente intatto e ciò, consentendo di man­tenere gli indispensabili legami con le masse nelle singole situazioni locali, aveva autorizzato quell’ingenuo ottimismo.Il primo centro interno organizzato da Camilla Ravera presso Genova61, mantenne per alcuni mesi regolari contatti con il Mezzogiorno ed in particolare con l’orga­nizzazione di Napoli. La relazione sull’apparato clandestino presentata nella riu­nione del Cc a Basilea il 3 marzo 1927, riferiva sulla attività di quindici uffici. « Nel quindici le organizzazioni erano deboli: i collegamenti funzionavano con Napoli, Salerno, Foggia, Reggio Calabria, Catania, Palermo, Marsala ». Gli iscritti risultavano 390, di cui 120 a Napoli e 50 a Salerno62, mentre venivano diffuse circa mille copie de « L ’Unità » nella sola Napoli. L’Ufficio XV diretto da An­tonio Sanna, Enrico Minio e Vittorio Poccecai ebbe però breve vita; l’occasionale arresto del responsabile dell’organizzazione di Salerno, Caracciolo, ne provocò la scoperta63. Dopo tre mesi di pedinamenti la polizia giunse all’arresto dei principali dirigenti64. Da allora i contatti con Napoli fecero capo ad Eugenio Mancini. Un nuovo emissario, Salvatore Capogrossi fu inviato alla fine del 1927, ma anche lui fu scoperto e arrestato nel gennaio del 1928 65. Dopo qualche mese caddero anche Mancini e Girone66La situazione nelle fabbriche era andata sempre peggiorando per l’azione dei sindacati fascisti che cercavano di togliere gli ultimi spazi agli operai. Si lavorava però per la creazione delle sezioni sindacali nelle officine e la Cgdl promise il suo appoggio, conscia dell’importanza di Napoli nella realtà meridionale67. I contatti si fecero, tuttavia, sempre più labili; essi rimasero legati alla vita dei vari centri interni che si susseguirono dal 1927 con mezzi sempre più ristretti. Ed anche quando si riusciva ad organizzare qualche viaggio all’interno non sempre si aveva

sospirata radiazione ma l’anno prima era stato uno dei promotori del gruppo antifascista « Spar­taco ». Nel 1943 fu con gli scissionisti di Montesanto. È morto nei primi anni del dopoguerra. V. ACS, CPC, ad nomen.“ G. AMENDOLA, Storia del PCI, cit., pp. 121-122.61 camilla ravera, Diario di trent’anni, Roma, Editori Riuniti, 1973.62 c. ravera, op. cit., p. 302.63 Antonio Sanna (1879-1973), terzino, entrò nel PCI nel 1924. Arrestato a Napoli nel 1927, fu condannato a dodici anni di carcere. V. D.B., voi. IV, pp. 499-501. Enrico Minio (1906-1973), responsabile dell’organizzazione clandestina della Fgci, fu condannato a dodici anni dal TS. V. D.B., voi. Ili, pp. 474-75. Vittorio Poccecai (1896), marittimo istriano, Segretario interre­gionale per il Mezzogiorno nel 1927, fu condannato a dodici anni di carcere. Domenico Caracciolo (1899), fu arrestato perché trovato in possesso di un apparecchio litografico. In carcere ebbe l’imprudenza di incaricare della ripresa dei contatti un suo « vecchio compagno » in realtà spia della polizia, messo lì opportunamente. Di qui l’origine dei pedinamenti che portarono, in breve, all’arresto dei gruppi di Napoli e Salerno. V. ACS, PP, b. 98.64 II processo avvenne nell’ottobre del 1928, i condannati furono sette con pene varianti dai sette ai dodici anni. V. A. dal pont-a. leonetti-f . maiello-l . zocchi, Aula IV , Milano, La Pietra, 1976, pp. 106-107.45 Salvatore Capogrossi (1902), contadino di Genzano, fu arrestato a Torre Annunziata econdannato dal TS a dieci anni di carcere.66 ACS, PS, 1929, 10, 22. Rapporto dell’alto commissario per la provincia di Napoli del19 agosto 1928.“ APC 677/12.

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la possibilità di collegarsi ai militanti che agivano nelle organizzazioni di base. Nel 1929, ad esempio, venne costituito il comitato per il Lazio e per il Mezzo­giorno, diretto da Ghita (Barbara Seidenfeld)68 ma i suoi rapporti e il bollettino che stampava, molto spesso erano redatti con notizie desunte dai giornali. Nello stesso 1929 Ghita fu a Napoli, ma non riuscì ad entrare in contatto con l’orga­nizzazione napoletana che si stava costituendo. Il legame sarà invece stabilito tramite Nicola Potenza69, amico di Sereni e Rossi-Doria. Soltanto dopo due viaggi a Parigi dei due giovani intellettuali napoletani, Ghita, riuscirà a collegarsi con loro a Napoli, nel febbraio 193070.La nuova organizzazione napoletana era stata costituita ad opera di un gruppo di giovani intellettuali quali Emilio e Xenia71 Sereni, Manlio Rossi Doria e la fidanzata Irene, Giorgio Amendola, Eugenio Reale e da alcuni operai della disciolta sezione comunista di Portici. Fin dal 1929 fu avviato un interessante lavoro tra gli operai delle più importanti fabbriche e si arrivò, in breve, alla costituzione di una dozzina di cellule di officina. Neppure i numerosi arresti, avvenuti nel settembre 1930 per l’incauta inclusione di un informatore della polizia nella cellula dell’Uva, riuscirono ad arrestare l’attività. Gennaro Rippa72 e Giorgio Amendola provvidero con Eugenio Reale a ricucire le fila dell’organizzazione e ad estendere anzi la sua sfera di influenza. Furono invece le « cadute » del giugno- luglio del 1931 a porre fine alla significativa «stagione di lotte» napoletana.Dopo gli arresti del 1931 (fra cui anche quello di Eugenio Reale) il Centro riuscì ancora a mantenere il contatto con l’organizzazione dei giovani, ma il funzionario giovanile arrivato a Napoli73 si convinse che vi erano delle spie e che la polizia non eseguisse altri arresti soltanto per venire a conoscenza, attraverso pedina­menti, dell’attività di altre cellule. La direttiva fu quindi quella di sospendere il lavoro, i quadri migliori vennero chiamati all’estero e fu rinviata a tempi più tranquilli la ripresa dei contatti.Nella primavera del 1932 il Centro riuscì ad inviare a Napoli un nuovo funzio­nario. Il quadro della situazione era completamente mutato, così come appare dal rapporto stilato da Giovanni Premoli (Frantz)74. Basti dire che il comitato federale risultava costituito da quattro intellettuali, di cui addirittura tre simpa-

“ Barbara Seidenfeld, moglie di P. Tresso, fece parte con la sorella Serena, nel 1927, dell’Uf­ficio clandestino di Genova. Da allora compì varie missioni all’interno, fino al maggio del 1930.Dopo questa data fu esclusa dall’apparato avendo aderito alle posizioni antisvoltiste.69 Nicola Potenza (1903), siciliano, studente a Roma, ex terzino, divenne il responsabile del gruppo universitario comunista romano. Espatriò in Francia nel 1929 e svolse, per oltre dieci anni una intensa attività, prevalentemente giornalistica. Nel 1939, in seguito a dissensi col Pei, tornò in Italia. Lo ritroviamo nel 1944 alla redazione romana de « L’Unità ». V. ACS, CPC 4098.70 Si veda il rapporto di Ghita del febbraio 1930 in APC 877/51-63.71 Xenia Sereni, moglie di Emilio, svolse una coraggiosa opera di sostegno all’attività delmarito. È autrice di un libro di memorie assai interessante (/ giorni della nostra vita, Roma, Ed. di Cultura Sociale, 1956).72 Gennaro Rippa (1904), tornitore, entrò nel partito comunista nel 1929 e fu subito tra gli organizzatori più attivi delle cellule clandestine. Arrestato nel 1931, fu condannato ad otto anni. Liberato nel 1933, in seguito all’amnistia del decennale, riprese l’attività nonostante la sorve­glianza cui fu sottoposto. Partigiano delle « quattro giornate, fu membro del comitato federale del Pei fino al 1952, quando « volontariamente » si dimise « per far posto ai giovani ». Si è dedicato con molto impegno alla raccolta di testimonianze dei suoi compagni. Vive attualmente a Napoli.73 Si tratta di Marino Mazzetti, che giunse a Napoli nel luglio del 1931. V. D.B., voi. Ili, pp. 392-394. Nell’autunno dello stesso anno espatrieranno clandestinamente per raggiungere il Centro di Parigi Clemente Maglietta, Alessandro (Sacha) Wigdorcik, Luigi Mazzella, Giuliano e Maria Vittoria Bonfante.74 APC 1068/31-33. Giovanni Premoli (1897-1937), contadino cremonese, lavorò nell’apparato

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tizzanti e che, in tutto, ruotavano attorno al partito solo 22-24 persone. Il rap­porto con gli operai era sporadico; Frantz scrive che essi non volevano più lavorare per il partito perché completamente scoraggiati. Ai «Bacini e Scali», ad esem­pio, nel momento migliore si era riusciti a collegare quaranta militanti: nerestavano ora soltanto cinque. Non si ha notizia di ulteriori ispezioni nei mesi successivi; la ristrettezza dei mezzi, la difficoltà di reperire ispettori e funzionari, le continue ondate di arresti, favorirono un ripensamento e determinarono un periodo di stasi. Poco dopo, l’ascesa al potere di Hitler ebbe l’effetto di uno schiaffo sonoro e doloroso che scosse l’ambiente antifascista di Parigi. Fu certamente uno degli elementi decisivi per il varo, dopo i primi timidi approcci, della politica dei fronti popolari.Contemporaneamente in Italia gli effetti della grande crisi si erano avvertiti in ritardo, nel 1931 e nel 1932, ma non con minore intensità. Ne avevano fatto le spese principalmente gli operai, in termini di disoccupazione e riduzione dei salari. La ripresa economica tardava a venire e, non si è molto lontani dal vero nel sostenere che, quando essa avvenne, fu direttamente legata alla politica del riarmo che di lì a poco avrebbe caratterizzato il neo-imperialismo italiano. L’intervento, tra il 1933 e il 1936, dello stato nell’economia in quasi tutti i paesi del mondo fu certo una diretta conseguenza del « ciclone del 1929 » 75. A tali contingenze si adeguò pure il fascismo con la creazione, alla fine del 1931, dell’Imi e, all’inizio del 1933, deH’Iri, nel tentativo di assistere e sostenere la diffusa crisi delle industrie e la crescente difficoltà delle banche.Intanto il Pei aveva potuto riorganizzarsi, come si è già accennato, dall’inizio del 1934; dopo il nuovo arresto di Picardi nel 1935 era stato Eugenio Reale, pur sorvegliato, a prendere in mano le redini76. Di ritorno dal carcere, nell’autunno del ’34, Reale si troverà a gestire, nei mesi successivi e per più di un anno, una intricata situazione in seno al partito. Ognuno cercava di farsi passare come unico rappresentante della Centrale e, nello stesso tempo, piovevano accuse reciproche e si alimentavano diffidenze. Ma di fronte al suo nome ed alla sua autorità indi­scussa si misero tutti d’accordo. « Il Comandante » come lo denomina Spano nei suoi rapporti al Centro, riprese i contatti con i vecchi militanti del 1930-31, no­minò un comitato federale di cinque membri (dal quale si autoescluse), ognuno dei quali era responsabile di una zona territoriale. Ogni zona comprendeva cellule di officina e cellule di strada. Nacquero fogli locali che si aggiunsero a « L ’Unità » ed a « Lo Stato operaio » che per vie diverse arrivavano dall’estero e che venivano diffusi e discussi periodicamente. Così, nel giro di pochi mesi, Reale riuscì a mettere in piedi un organismo clandestino assai efficiente, composto di circa duecento militanti ed altrettanti simpatizzanti. Yelio Spano non mancò di sotto- lineare, nei suoi rapporti al partito, che si trattava però di una organizzazione totalmente accentrata nelle mani di una sola persona, l’assenza della quale avrebbe compromesso seriamente tutta l’attività. Per questo motivo le direttive centrali successive furono in direzione di un decentramento di responsabilità che però di fatto sarà parzialmente possibile soltanto con la chiamata a Parigi di Reale, avve­nuta nel novembre del 1937.La delusione per la scarsa reazione della classe operaia alla propaganda per la guerra di Etiopia, nonché la mancanza di una informazione precisa sulla linea

clandestino del Pei. Dopo alcune missioni in Italia, fu inviato in Spagna dove morì in combat­timento. V. ACS, CPC.7i Valerio castronovo, La storia economica, in La storia d'Italia, voi. IV, Torino, Einaudi, 1975. 76 Su Eugenio Reale si veda D.B., voi. IV, pp. 307-308.

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politica in seguito all’assenza di funzionari del Centro fece sorgere una tendenza ad azioni terroristiche individuali sul tipo di quelle tentate da GL. Lo stesso Spano, alcuni mesi dopo, in uno dei suoi rapporti, aveva apertamente espresso la preoc­cupazione per le possibili « deviazioni » 77 che invece non si verificarono, fatta esclusione per un progettato colpo, nei primi giorni del 1936, diretto ad imposses­sarsi della stazione radio per lanciare al popolo italiano un appello. L’operazione, studiata nei minimi particolari, fu bloccata da Eugenio Reale il quale, sebbene attratto come gli altri dalla spettacolarità della iniziativa ne impedì l’attuazione « mettendone in luce gli immensi pericoli » 78.Eppure gli arresti con invio al Tribunale speciale anche in questi anni non man- racono: nel gennaio del 1936 il gruppo di Castellammare79 collegato all’organiz­zazione Reale; nell’ottobre 1937 in gruppo di comunisti di San Giorgio a Cre­m ano80, nel giugno del 1938 l’operaio Alfredo Gagliardi dei «Bacini e Scali» napoletani81; alla fine del 1938 il gruppo Cacciapuoti, Rossi e Antonio De Am­brosio il quale, assolto in questo processo, fu poi implicato in un altro con Ugo De F eo82. Più numerosi ancora furono i provvedimenti di confino, di ammoni­zione e di diffida. È necessario però, vincere la tentazione di misurare il volume e l’efficacia dell’azione clandestina esclusivamente sulla base degli arresti e quindi dei processi del Tribunale speciale o dei provvedimenti di polizia. Neppure la mancanza di una indagine specifica deve indurre a soffermarsi su analisi di questo tipo di cui sono fin troppo evidenti i limiti. Basti una considerazione al riguardo. L’organizzazione Reale che sopravvisse, come accennato, anche dopo questi arresti, coinvolse in quattro anni almeno cinquecento comunisti (stima molto prudente).

77 Scrive Spano: « Questa tendenza si era affermata durante alcune settimane come vera e propria corrente che non era, però, per fortuna, né localizzata né estesa alle organizzazioni di base; questo stesso fatto e la rapidità con la quale la tendenza terroristica è stata liquidata da una lotta politica condotta a fondo dai migliori elementi, dimostra che la deviazione, per quanto grave, non era molto profonda. APC 1385/58. Velio Spano (1905-1964), sarà a Napoli più volte nel 1936 in veste di funzionario. Per le notizie biografiche si veda Antonello mattone, Velio Spano, vita di un rivoluzionario di professione, Cagliari, Ed. Della Torre, 1978.7! APC 1385/58, Rapporto cit.75 A Castellammare furono rinvenuti volantini propagandistici contro il fascismo e Mussolini, seguirono sei denunce al TS con pene varianti tra i cinque e gli otto anni. V. a. dal pont, A. LEONETTI, F. MAIELLO, L. ZOCCHI, Aula IV, CÌt., p. 312.80 II segretario del fascio locale « si nasconde con un’abile mossa dietro un albero — dice la sentenza — e sorprende tre individui in atteggiamento sospetto ». Di qui partirono le indagini che si risolsero con un processo a nove antifascisti, di cui sei condannati con pene tra gli uno ed i quattro anni. V. A. dal pont, a. leonetti, f . maiello, l. zocchi, Aula IV, cit., p. 350.81 Alfredo Gagliardi (1899), fu arrestato con l’accusa di aver svolto opera di sabotaggio du­rante la costruzione di una nave da guerra. Fu condannato a sei anni. V. a. dal pont, a. leonetti, f . maiello, l . zocchi, Aula IV, cit., p. 371.82 Durante la tradizionale festa di Piedigrotta furono lanciati numerosi volantini antifascisti. Le indagini portarono all’arresto di molti comunisti, otto dei quali condannati dal TS con pene tra i quattro ed i venti anni. V. a. dal pont, a. leonetti, f . maiello, l . zocchi, Aula IV, cit., p. 358. Salvatore Cacciapuoti (1910), operaio del Silurificio italiano, poi delia Cisa Viscosa, intorno alla metà degli anni trenta entrò in contatto con l’organizzazione clandestina diretta da De Am­brosio. Arrestato alla fine del 1938, fu condannato dal TS a nove anni e quattro mesi di carcere. Liberato, partecipò alle « quattro giornate » e fu, nel dopoguerra tra i principali riorganizzatori della federazione comunista napoletana di cui fu segretario ininterrottamente per dieci anni. Attualmente vive a Roma ed è segretario della Commissione centrale di controllo. V. ACS, CPC. Carlo Rossi (1912), artista, militante del gruppo De Ambrosio-Cacciapuoti, fu arrestato nel 1938 e condannato a vent’anni di carcere. Uscito nel 1943, fu inviato dal Pei in Jugoslavia e, dal 1954 per molti anni, fu responsabile della Fiom napoletana. V. ACS, CPC. Antonio De A m ­brosio (1901), avvocato e pittore, svolse intensa attività durante gli anni venti e trenta. Dal 1937, dopo l’espatrio di Reale, diresse l’organizzazione napoletana fino all’arresto. È morto alcuni anni fa. V. ACS, CPC. Ugo De Feo (1903), ragioniere, direttore delle Ceramiche di Vietri sul mare. È morto a Roma pochi anni fa.

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Ebbene, se noi andiamo a sommare il numero dei processati al Tribunale speciale dal 1935 al 1939; arriviamo a contarne soltanto 31 di cui 9 assolti.Con la firma, nell’estate del 1939, del Patto russo-sovietico, si ebbe quale imme­diata conseguenza politica il forzato smantellamento del Centro estero di Parigi che per oltre dieci armi aveva costituito la base di partenza per ogni lavoro all’interno.Gli eventi che portarono, nel volgere di pochi mesi, allo scoppio della guerra e poi all’intervento italiano, furono caratterizzati nel napoletano da una intensa fase di preparazione bellica e relativa riconversione dell’apparato industriale. Con­seguentemente anche il livello della disoccupazione, pur mantenendosi consistente, si ridusse progressivamente fino al 1943, in seguito anche alle chiamate alle arm i83.Il censimento demografico del 1936, pur riportando un elevato numero di artigiani, aveva già indicato la tendenza, poi accresciuta negli anni successivi, di un raffor­zamento del settore pesante nei confronti delle piccole e medie imprese84; per cui appare comprensibile come le industrie produttrici di beni di consumo si trovassero ad attraversare una crisi sempre maggiore.Lo sviluppo dei settori dediti alla produzione bellica comportava modificazioni notevoli anche sul piano delle prospettive politiche. Molte piccole officine furono protagoniste di bruschi ampliamenti: è il caso de « La precisa », produttrice di spolette per cannoni, che moltiplicò per otto nel giro di pochi mesi il numero dei suoi addetti (da 250 a 2.000), non rimase certo isolato85. Questo fenomeno, con l’accesso al lavoro di un gran numero di nuovi operai dei quali non sempre si poteva accertare la «sincera fede fascista», finì per rompere equilibri ormai stabili da anni, consentendo maggiori possibilità di propaganda politica. Inoltre l’Etiopia aveva cominciato a rivelarsi infinitamente meno utilizzabile, in termini occupazionali, per quelle migliaia di meridionali e napoletani che solo qualche anno prima ne avevano con entusiasmo salutato la conquista. Cosicché la pro­spettiva di una nuova guerra, portatrice di morte e di miseria, non appariva piace­vole alla stragrande maggioranza della popolazione86.Su queste basi fu ripresa l’azione politica anche dopo la fine dei contatti col Centro. La consuetudine ormai consolidata di provvedere autonomamente alla pubblicazione di materiale stampato localmente, aveva reso meno traumatico il distacco87. D’altra parte, la presenza di gruppi organizzati e non collegati col Centro era una costante dell’ambiente napoletano. In particolare godeva di una certa considerazione il gruppo di tendenza trotschista che faceva capo ad Eugenio Mancini e, tra gli anni trenta e quaranta, un gruppetto di bordighiani riuniti attorno all’ex braccio destro di Bordiga, Ludovico Tarsia88 e ad Antonio Cecchi. In questo periodo cominciò pure a farsi sentire in città la presenza di forze anti-

83 Nel dicembre del 1941 sono segnalati 40.853 disoccupati che si riducono a 20.837 nel maggio del 1943 su un totale nazionale di 93.000. V. Nicola galleeano, La disgregazione delle basi di massa del fascismo nel mezzogiorno e il ruolo delle masse contadine in aa.w ., Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-1944, Milano, Feltrinelli, 1974.84 aa.w ., L ’economia di Napoli sul piano dell’Impero, Napoli, 1937. Si vedano il saggio di p. conca (Rassegna di forze, valori ed energie) e quello di G. gambardella (Realtà e possibilità dell'industria napoletana).85 T.r.A. da G. Rippa, ottobre 1976.86 Sergio lambiase-giovan b. nazzaro, Napoli 1940-45, Milano, Longanesi, 1978.87 Per sopperire all’irregolare afflusso della stampa clandestina veniva riprodotto tutto quanto era possibile: pagine de « La madre » di Gorkj, articoli dell’Ic, ecc.88 Ludovico Tarsia (1876), noto chirurgo e docente universitario, aveva aderito sin dal 1914 alla frazione intransigente di Bordiga. Al suo fianco, nel primo dopoguerra si distinse nella costruzione del Pcd’I e a Livorno fu eletto nel Cc. Con l’avvento del fascismo, per sfuggire alla persecuzione poliziesca, chiese ed ottenne, in considerazione del suo prestigio professionale, il

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fasciste non comuniste legate alla esperienza di R. Zangrandi, come il gruppo di Rocco D’Ambra89, oppure i giellisti. Va detto però, che tutti questi gruppi sparsi erano poco introdotti nell’ambiente operaio; si è sempre rimproverato a Mancini, per esempio, di aver avuto come propria base strategica il caffè Gambrinus ed agli altri ex-bordighiani di « aver molto parlato e poco agito » 90.Contatti con il Centro furono ripresi soltanto nel 1941, quando Umberto Massola riuscì appunto a ricostruire il Centro interno a Milano, ma non si hanno notizie precise di collegamenti con Napoli ed anche le testimonianze a disposizione ten­dono a scartare questa ipotesi91. Qualcosa di più ci dice, viceversa Mario Palermo nelle sue memorie sui tentativi compiuti insieme a Vincenzo La Rocca92 un incontro con Ciocchiatti a Firenze nel 1941, un altro a Roma nel 1942 tramite Corrado Graziadei93. Tra il marzo e l’aprile del 1943 fu infine ricostituito il comitato federale e pochi mesi dopo finalmente si giunse anche al contatto con il Centro che inviò ad agosto il funzionario romano Marcello Marroni.Si è già detto che le prospettive oscure di una guerra certo non allettavano nes­suno; si può aggiungere che l’entusiasmo all’annuncio, assai propagandato dalla stampa94, fu piuttosto di élite e di maniera. Si pensi che soltanto quarantotto ore dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Napoli subiva il primo bombardamento e che, essi saliranno a 105 in tre anni con oltre ventiduemila m orti95.L’opposizione alla guerra fu espressa nei modi più vari: dai biglietti posti dagli operai nelle casse di munizioni in partenza per il fronte96, alle scritte murali97, alla propaganda orale nelle fabbriche. Esemplare l’attività svolta nel 1941 e nel

passaporto per andare in Brasile, a dirigere una casa di salute. Rientrò a Napoli nel 1938. V. ACS, CPC 5307.69 Rocco D ’Ambra, avvocato, organizzò a Napoli il gruppo di Piazza Augusteo che svolseuna discreta attività soprattutto tra i giovani intellettuali. Si veda la sua interessante testimo­nianza in pasquale schiano, La Resistenza nel napoletano, Napoli, CESP, 1965, pp. 153-156.90 Ecco come Maglietta valuta l’attività di questi gruppi: « In realtà, non rappresentavano un serio pericolo, non importava a nessuno che Mancini e Villone parlassero male del fascismo al Gambrinus [...] Gli stessi Cecchi e compagni che parlavano di rivoluzione ad ogni angolo di strada, sono vissuti; cioè il fascismo non ha creato loro molti problemi ». T.r.A. da Clemente Maglietta, ottobre 1976.91 V. p. speiano, Storia del PCI, voi. IV, cit. e Umberto massola, Memorie 1939-1941, Roma, Ed. Riuniti, 1972. Rippa, anzi, lo esclude invece decisamente. V. G. rippa , Primavera 1943: anche a Napoli si sciopera, in La Campania dal fascismo alla Repubblica, a cura di Patrizia Salvetti, Napoli, ESI, 1977, p. 23292 M. Palermo, Memorie di un comunista napoletano, cit., pp. 149-150. Vincenzo La Rocca (1894-1969), fu un utile recapito per i funzionari clandestini. Scrisse nel 1931 e nel 1933 due saggi (La crisi economica mondiale e Prospettive mondiali) nei quali astutamente inserì interi brani tratti da risoluzioni di Congressi dell’Ic. Fu questo uno dei primi tentativi di utilizzazione delle strutture fasciste. Nel dopoguerra La Rocca fu eletto più volte deputato. Per ulteriori notizie biografiche si veda Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1975, voi. Ili, ad nomen.93 Corrado Graziadei (1893-1960), nato a Sparani (Ce), fu, dal 1922 al 1926, segretario della Federazione comunista di Caserta. Nel 1937 fu inviato al confino e nel 1940 cominciò i tentativi di riorganizzazione del Pei in Terra di Lavoro. Fu tra i fondatori de « II proletario » e nel dopoguerra, membro della Consulta nazionale e parlamentare. V. D.B., voi. II, pp. 583-584.94 Si veda, ad esempio, l’articolo apparso su « Il corriere di Napoli » ITI giugno 1940 dal titolo, Patriottismo ed entusiasmo di Napoli guerriera, ora in La Campania, cit., pp. 159-160.95 aldo de jaco, Le quattro giornate di Napoli, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 17-18. Il lavoro fu pubblicato per la prima volta nel 1956 con il titolo La città insorge.% V. G. rastelli, Intervista a Gregorio Pedone, ex operaio nella fabbrica d ’armi di Torre Annunziata, in La Campania, cit., pp. 191-192.97 Fu l’intensa attività del gruppo Spartaco; costituito da Libero Villone ed Anteo Roccia (A. Cecchi) sin dall’ottobre del 1940 con l’obiettivo di propagandare l’opposizione alla guerra. V. A. roccia, L ’attività nel gruppo Spartaco contro il fascismo e la guerra durante il periodo

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1942 nello stabilimento Industrie meccaniche ed aereonautiche, dove un gruppo affiatato di antifascisti condusse una accesa propaganda contro la guerra e contro Mussolini: « Nel reparto elettricisti vige la regola di salutare sputando sul quadro del duce dicendo — Alla faccia di questo fetente e puzzolente! — » 98.La vita quotidiana fu totalmente stravolta; i continui bombardamenti, gli allarmi, la carenza di generi alimentari, le chiamate alle armi, insieme alle ingenti distru­zioni che si contarono a fine guerra, sarebbero risultati elementi determinanti per la caduta del fascismo.In questo senso resta ancora da approfondire la significativa esperienza de « Il proletario » giornale comunista sorto nell’estate 1942 a Santa Maria Capua Vetere per iniziativa di Corrado Graziadei e Paolo R icci" e poi diffuso anche a Napoli a partire dal gennaio 1943 10°. Luigi Cortesi ha sottolineato come questo foglio non soltanto fosse fondamentale per la direzione delle lotte operaie napoletane e campane, ma « fu addirittura il primo giornale comunista che apparve in Italia dopo la caduta del regime fascista in data 26 luglio (« L’Unità » potè uscire infatti, a Milano, soltanto il 27 luglio) » 1M.Gli scioperi del giugno 1943 con la decisa volontà di lotta manifestata in quei giorni, danno una idea delle condizioni in cui erano costretti a lavorare nelle fabbriche: bassi salari, ritmi produttivi elevati, ambiente di lavoro pessimo, mac­chinari non efficienti. La pretesa di non pagare le ore trascorse nei ricoveri fu l’elemento scatenante l’agitazione che coinvolse le più importanti fabbriche: la Navalmeccanica, le Officine meccaniche e fonderie, la Precisa, l’Ansaldo e qualche altra minore. Fermato il lavoro fu organizzato un corteo nella zona industriale che vide la compatta partecipazione di alcune centinaia di operai. Gli scioperi diedero i loro frutti e fu subito ripristinata la vecchia consuetudine 102.Si arriva così alle « quattro giornate » : una prima fugace analisi sui protagonisti di quelle giornate rileva come essi siano in gran parte gli stessi uomini che abbiamo incontrato nell’attività clandestina durante tutto il ventennio. Certo la rivolta non fu preparata, ma quando essa scoppiò fu diretta da quei gruppi di comunisti « orto­dossi » e non, e da quegli altri antifascisti in genere, che avevano cominciato o intensificato la loro attività con gli anni di guerra103.

mussoliniano e fino all’armistizio, in « Il pensiero marxista », 3 giugno, 10 giugno, 2 luglio, 27 lu­glio 1944, ora parzialmente in La Campania, cit., pp. 187-190 e 264-266.98 V. A. DAL PONT, A. LEONETTI, F . MAIELLO, L. ZOCCHI, Aula IV , CÌt., p. 482.99 Paolo Ricci (1908), pittore, si avvicinò al comuniSmo con il gruppo di A. De Ambrosio.100 c. eippa , Primavera 1943, cit., pp. 232-33. Si veda anche P. ricci, La torrida estate del 1943, in Le quattro giornate di Napoli (a cura di Giovanni Artieri), Napoli, Marotta, 1963, pp. 201-245.101 L. cortesi, Introduzione a La Campania, cit., pp. 14-15.102 Si veda il testo dell’intervista a G. Rippa effettuata il 14 aprile 1978 a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, ora in AICSR.103 A differenza di tutte le vicende del periodo fascista, alla liberazione di Napoli è stato riservato, in sede storiografica, un trattamento particolare e alcune decine di pubblicazioni spe­cifiche Io confermano. Si deve rilevare tuttavia che mai attenzione fu più « distratta » essendo stato affrontato l’argomento nel totale distacco delle vicende storiche degli anni precedenti che, invece, ne costituiscono in buona parte i presupposti. Cosicché la storiografia su « le quattro giornate » ha finito per affermare la tesi dell’insurrezione popolare come episodio a se stante, folcloristico ed occasionale. Non si vuole qui negare che sia esistito in quella occasione l’elemento folcloristico (gli scugnizzi con le armi in mano, ecc.) quanto piuttosto che esso alla fine fu quello determinante. Era forse solo l’aspetto che più si prestava ad essere recuperato sul piano propa­gandistico e pubblicitario (foto, retorica, ecc.). Per una bibliografia particolareggiata su « le quattro giornate » si veda La Campania, cit.

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Militanti e dirigenti di base a Napoli. Primi risultati di ricerca

È stata in questi ultimi tempi da più parti affermata una crisi della ragione storica che, secondo taluni, sarebbe piuttosto crisi degli storici e secondo altri solo di alcuni storici e cioè quelli di sinistra 104. E per quanto concerne in particolare la storia del movimento operaio durante il fascismo si è detto che non soddisfa più lo studio basato sull’attenzione esclusiva ai punti alti delle lotte. Di più si potrebbe dire che forse è proprio questo il motivo per cui ancora non conosciamo a fondo i comportamenti operai nel ventennio, avendo la maggior parte delle ricerche in materia privilegiato, appunto, i momenti caldi o, in mancanza di essi, categorie come l’estraneità della classe al fascismo.In effetti la storia del movimento operaio oltre che storia delle lotte è anche storia della condizione operaia, la quale scaturisce dall’analisi di una serie di livelli (sa­lario, orario, libertà di organizzazione e di sciopero, ambiente di lavoro, ritmo di produzione, ecc.). Sono questi livelli che possono condurre alla lotta; per cui compito dello storico non è solo di ricostruire l’azione, ma anche e soprattutto di indicarne le ragioni o l’assenza attraverso una indagine puntuale.In questo senso il ricorso alla storia locale, inquadrato in una tematica sociale può, attraverso il recupero del polo della soggettività, cominciare a dare qualche prima risposta.Abbiamo già detto dei limiti di una storia dei partiti di stampo verticista, riassunta in termini di contrapposizione o successione di due o più leaders (Bordiga-Gramsci; Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer, ecc.). Ya detto però che è altrettanto rischioso non considerare le impronte lasciate dai capi storici in quelle organizzazioni in cui questo fatto ha avuto rilevanza. Ciò significa che se appare poco proficuo risolvere la storia del Pei in una serie di rapporti tra i suoi capi, è certo meno inutile, viceversa, studiare il rapporto bordighismo-gramscismo, verificando a livello di base come e quanto venisse vissuto e per liberarlo eventualmente da ciò che vi è stato sopra costruito in modo artificiale.È fuor di dubbio che sotto la direzione di Bordiga furono instaurati all’interno del partito uno stile ed un metodo di vita che rimarranno a lungo caratteristiche di fondo: rigida disciplina ed intransigenza ma con ampi spazi di democrazia interna, presenza politica nelle lotte ed una sorta di ingenuo e quasi naturale idealismo. E che nel periodo di conduzione gramsciano alcune di queste caratteristiche si rafforzarono (tenacia, disciplina e presenza nelle lotte) ed altre si attenuarono (intransigenza, democrazia interna, idealismo). Quest’ultimo aspetto andrebbe ap­profondito: se è vero che va scomparendo l’idealismo dei bordighiani come pos­sono essere definiti la tenacia e il volontarismo dei militanti gramsciani? Ciò spiega perché, a partire dal 1925-26, comincia un processo di integrazione, ma più di sosti­tuzione, di quadri comunisti che troverà compiuta realizzazione negli anni della « svolta ». Spartiacque indicativo fu, più che il novembre 1926 (entrata in vigore delle leggi eccezionali), la metà del 1928, data corrispondente all’arresto degli ultimi due organizzatori comunisti della vecchia tradizione, Eugenio Mancini ed Hugo Gi­rone, le cui pur assai differenti vicende politiche confermano l’opportunità di tale pe- riodizzazione. Contemporaneamente comincia a svilupparsi la nuova tradizione com- 10

10) Ci riferiamo al dibattito sviluppatosi su questo tema al seminario di studi organizzato dall’Insmli e dagli Istituti associati a Rimini (25, 26 e 27 giugno 1979) ed in particolare agli interventi di De Luna, Galierano, Santomassimo ed ancora al citato saggio di o. d’agostino, n. gallerano e R. monteleone, Riflessioni su « storia nazionale e storia locale », presentato come relazione base, ora in « Italia contemporanea », n. 133, ottobre-dicembre 1978.

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posta prevalentemente da quadri molto giovani o che comunque non avevano avuto posizioni di rilievo negli anni precedenti. Anzi la gran parte di essi diviene comunista quando ormai il partito era nell’illegalità, saldando la propria volontà di opposizione al regime con l’immagine del Pei quale unica organizzazione disposta ad accettare lo scontro anche su di un terreno clandestino.L’individuazione di queste due distinte tradizioni di militanti comunisti aiuta ad interpretare alcuni momenti della storia del movimento operaio napoletano. È noto, ad esempio, l’atteggiamento più che diffidente di Bordiga verso l’azione comunista clandestina, ritenuta poco produttiva in considerazione dell’elevato prezzo (in ter­mini di arresti ed anni di carcere), che induceva a pagare. È pure assodato che assai scarsi e puramente occasionali furono i contatti che Bordiga ebbe in quegli anni con i suoi vecchi compagni. Eppure, se andiamo a vedere in che modo da essi fu vissuto il periodo fascista, possiamo ritrovare quello stesso atteggiamento di sufficienza che per alcuni, filtrato attraverso una raggiunta indifferenza nei confronti del momento politico, significò anche una, sia pure formale, adesione al fascismo.L’altra tradizione, che assai sommariamente definiamo gramsciana, è presente in modo abbastanza netto nel periodo 1928-1943, più per le impronte lasciate in essa da Gramsci che per il grado di consapevolezza dei singoli militanti. Terracini ha infatti ricordato nella sua recente Intervista sul comuniSmo difficile (Bari, La- terza, 1978, pp. 104-105) che Gramsci al momento della morte era ormai di­menticato.Su tali basi assai più chiara risulta, per esempio, l’esperienza della « scissione di Montesanto » che fu vissuta dai comunisti napoletani tra l’ottobre e il dicembre 1934, appena dopo la liberazione di Napoli. Interpretata finora prevalentemente come scontro fra due linee politiche, essa appare piuttosto come un contrasto tra due diverse mentalità e tradizioni, determinato da un sostanziale attrito politico tra i leaders dei due gruppi. Interessanti ci paiono in proposito le osservazioni fatte da Maurizio Valenzi:

« [...] secondo me il dissenso tra loro è esploso sulla base di un elemento preciso: le origini diverse di questi gruppi ed in particolare di chi ne è alla testa. Da un lato c’è Cacciapuoti il quale ha fatto cinque anni di carcere ed è stato con Pajetta, Scoccimarro ed altri, poi c’è Maglietta che ha fatto la guerra di Spagna, conosce a fondo i problemi del Fronte popolare francese, è stato al campo del Yernet con Longo e quindi ha una certa forma­zione; poi c’è Picardi che è stato per molti anni al confino dove ha frequentato dirigenti del partito come Secchia. Quindi questi compagni, male o bene, direttamente o indiret­tamente, hanno mantenuto un contatto con il Pei... L’altro gruppo invece... ha elaborato per conto suo la linea ancora sostanzialmente bordighiana, integrata da letture di Trotskij in modo particolare » los.

Queste affermazioni di Valenzi inducono a chiederci quale fosse la composizione sociale dei due gruppi e se è accettabile la schematica contrapposizione che emerge tra i militanti attivi nella clandestinità, legati al partito ed agli operai e — dal­l’altro lato — gli intellettuali filobordighiani un po’ chiassosi e parolai. Collate­ralmente alla scissione di Montesanto vi fu una vicenda di maggior rilievo e cioè la ricostituzione della Cgl meridionale, legata in qualche modo alla tradizione bordighiana ed opera di Enrico Russo, la quale fu per alcuni mesi il punto di maggior riferimento e di aggregazione operaia. Tanto è vero che lo stesso Togliatti appena giunto a Napoli, prima di dare inizio alla lotta contro questo nuovo orga- 105

105 Conversando con M. Valenzi a cura di Nicola De Ianni in « Bollettino ICSR », n. 0, giugno 1978, pp. 11-12.

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nismo sindacale, tentò invano una intesa con Russo 106. Più in generale e guar­dando cioè l’intero arco cronologico 1921-43, ci pare di poter accettare l’affer­mazione di Valenzi solo per quel periodo clandestino già individuato, nel quale la tradizione bordighiana, usando una espressione poco felice ma calzante, entrò in letargo.La nascita del Pcd’I coincise con l’allontanamento da Napoli di Bordiga ed il compito di dirigere l’organizzazione napoletana restò così affidato ai suoi più stretti collaboratori, in maggioranza intellettuali. La base viceversa era composta preva­lentemente da operai di piccole fabbriche e da artigiani. C’erano anche numerosi impiegati, ma complessivamente la caratterizzazione del partito era fortemente proletaria, per l’estrazione sociale di gran parte dei suoi componenti. Inoltre dirigenti di base e militanti si suddividevano schematicamente nelle due classi: operai ed intellettuali. Gli intellettuali, rifiutata la propria condizione, si conside­ravano al servizio della classe operaia e del partito « organo » di essa. A tale pro­posito, assai interessante in questa fase, è il confronto fra gli intellettuali comunisti e quelli socialisti. Questi ultimi mantenevano con la base un certo distacco e venivano considerati più personaggi rappresentativi che compagni di lotta. In questo senso lo stile comunista rappresentò una rottura violenta e ciò appare evidente anche nel giudizio che alcuni militanti di quella tradizione danno, per esempio, ancor oggi dell’uomo Bordiga: « Un uomo eccezionale; della sua persona non gliene importava niente... Il suo astensionismo? Nel corrotto ambiente napo­letano in cui guadagnare la medaglietta di deputato era la meta, colpiva trovare un uomo che faceva politica in quel modo, infrangendo le vecchie abitudini » 107 ed ancora « [Bordiga] parlava sempre senza appunti, con una dizione gradevole e velocissima, fino al punto che lo definimmo la macchinetta parlante: era quello che si suol dire un trascinatore » 108.Quello con gli operai era il rapporto più curato. Per tutto il 1921 e parte del 1922 ebbe vita intensa l’Istituto di cultura proletaria, fondato a Torino e poi in tutte le principali città italiane. Tale organismo voleva essere una sorta di scuola operaia permanente che, attraverso regolari conferenze settimanali tenute da intellettuali comunisti o dirigenti di altre città, si proponeva di elevare il livello culturale ed ancor più quello teorico109 * III. Esso aveva evidenti motivazioni propagandistiche e, consentendo l’accesso oltre che agli iscritti « a tutti gli organizzati, alle loro famiglie

106 V. c. de marco, La costituzione della Confederazione generale del lavoro e la scissione di Montesano (1943-1944), in « Giovane critica », 1971, n. 27. Si veda anche la documentata tesi di laurea di andrea d’angelo, I comunisti a Napoli e la scissione di Montesanto, Facoltà di Let­tere, Anno Accademico 1977-78.™ T.r.A. da M. Mastropaolo il 19 settembre 1978. Mario Mastropaolo (1901), aderì nel 1921 al Pcd’I, si occupò della redazione del « Soviet » e ricoprì contemporaneamente cariche direttive in seno alla sezione comunista napoletana. Nel 1924, laureatosi in medicina, lasciò Napoli per prestare servizio militare. Al ritorno cercò per qualche anno di lavorare ma, esasperato dalle continue persecuzioni poliziesche, chiese, nel 1930, di espatriare per raggiungere in Brasile il suo vecchio compagno bordighiano Ludovico Tarsia, direttore di una clinica. Farà ritorno in Italia solo nel 1946, senza più occuparsi attivamente di politica. Attualmente vive a Napoli dove esercita la professione medica.108 MICHELE PERSICO, Napoli, Bordiga e il bordighismo, in Ricordi di un militante comunista, dattiloscritto inviatoci da M. Persico come contributo sulla sua esperienza politica napoletana. Michele Persico (1905), è stato uno dei quadri migliori dalle origini e nella clandestinità. Ormaida molti anni vive ad Orbassano (To) dove è stato anche consigliere comunale comunista.105 Elenchiamo il relatore e il tema di alcune conferenze; Prof. G. Sanna, Il Manifesto dei comunisti (lettura e commento), 2 lezioni; Prof. L. Tarsia, Il riformismo e la sua funzione contro­rivoluzionaria', U. Arcuno, La Russia (I parte); M. Mastropaolo, La Russia (II parte); A. Cecchi, La dittatura del proletariato-, A. Cecchi, I sindacati nella rivoluzione', G. Buono, Lo statuto dellaIII Internazionale.

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ed a chi sarà munito di apposito invito », rappresentava, di fatto, l’istanza di mag­gior apertura verso l’esterno.Altro legame tipico era quello tra gli operai ed i giovani, inquadrati (è proprio il caso di dirlo) nella federazione giovanile. Il partito comunista aveva prestato anche sul piano nazionale molta attenzione ai giovani ed infatti la nascita della Fgci significò in molte città la sospensione dell’attività della Fgsi. A Napoli il 1921 e il 1922 furono gli anni di passaggio dall’una all’altra federazione; succes­sivamente i giovani socialisti scomparvero dalla scena, mentre la Fgci andò am­pliando il proprio raggio d’azione giungendo, nel 1925 e per alcuni mesi, ad avere perfino una sede clandestina uo.Ciò nonostante non si può dire che i giovani comunisti avessero una attività auto­noma: la loro azione era piuttosto strumentale a quella degli adulti ed in parti­colare a quella della Cdl. Essi avevano la loro maggiore funzione nell’opera di servizio d’ordine prestata a manifestazioni o assemblee e, man mano che gli spazi andavano riducendosi, i giovani garantirono anche lo svolgimento di comizi vo­lanti, riunioni e convegni clandestini. E qui il discorso si sposta sul piano mi­litare. Come è noto il Pcd’I dopo aver rifiutato l’appoggio agli Arditi del popolo tentò di organizzare autonomamente squadre comuniste. Questo tipo di concor­renza a Napoli fu ancora più accesa perché i socialisti si fecero invece carico di incoraggiare la costituzione di gruppi di arditi. L’addestramento delle squadre comuniste durò soltanto alcuni mesi, tra il 1921 e il 1922, coinvolgendo poche decine di militanti e non raggiungendo mai livelli molto elevati. Basti dire che, contrariamente da quanto potesse intuirsi dal battagliero linguaggio tipico di quei primi anni, esso fu praticamente senza alcuna arma e le lezioni, di frequenza bisettimanale, avevano per argomento l’uso alternativo delle bandiere (o meglio delle aste di esse) e si risolvevano, in fin dei conti, in una preparazione ginnico- atletica. Il questore del resto, controllava assai da vicino questa attività tramite informatori ben infiltrati, ma non ritenne mai opportuno intervenire. Parlando di quegli addestramenti con qualcuno dei militanti di allora, emergono due motivi ricorrentim. Innanzitutto c’è in ognuno un senso di soddisfazione e grande esal­tazione nel ricordare quegli episodi che ci vengono restituiti piuttosto amplificati. Questo atteggiamento è indubbiamente legato all’esito finale che ha avuto quella lotta e cioè alla caduta del fascismo. Se infatti proviamo ad immaginare una discussione sugli scontri con i fascisti proiettata nel periodo in cui avvenivano, gli accenti e le espressioni sarebbero sicuramente diversi. In secondo luogo quasi tutti, e qui è opportuno precisare che si tratta in maggioranza di comunisti, parlano di Arditi del popolo e non di squadre comuniste. E ciò non rappresenta naturalmente il prodotto di un atto di indisciplina di allora, ma un chiarissimo esempio di sovrapposizione dovuta al significato che per gli antifascisti ha succes­sivamente assunto l’esperienza degli Arditi del popolo. Quella che nel 1921 fu una frattura appare oggi completamente dimenticata e queste rievocazioni rap­presentano quindi la storia per come si sarebbe voluto che fosse andata e cioè sul piano di una sostanziale unità antifascista m .Anche il momento del trapasso dall’una all’altra tradizione esige una precisa focalizzazione. Sappiamo che la lotta di tendenza si inasprì verso la secondà metà 110 111 112

110 ACS, PS, 1925, b. 105 e ASN, Questura Gabinetto, b. 942.111 Le considerazioni che seguono scaturiscono dalla riflessione sulle interviste a D. Atripaidi, A. Colonna, A. Noblcr, M. Persico, L. Tarallo, L. Villani.112 È chiaro come in queste circostanze sia possibile cogliere la potenziale positività del rapporto fonte scritta/fonte orale. Una attendibile fonte scritta ci ha infatti permesso di ricostruire preli-

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del 1925, in coincidenza con l’inizio della discussione precongressuale. Merito di Gramsci fu senz’altro quello di individuare il legame di fondo che univa i militanti all’organizzazione, cosa che consentì, tra l’altro, di accrescere il numero degli iscritti nel biennio 1924-25 e cioè: l’unità del partito sotto la guida dell’In­ternazionale. Questo stesso aspetto fu invece sottovalutato da Bordiga, soprattutto per il suo dissenso con Mosca, e ne determinò la sconfitta politica. Cosicché per quanto concerne il Comitato d’intesa, in quella situazione era molto difficile per la Sinistra convincere i militanti che l’iniziativa non aveva mire frazioniste oppure spiegare che un lavoro scissionista forse anche più accentuato, era stato condotto già dal Comintern due anni prima, quando aveva destituito d’autorità l’esecutivo nominato al Congresso di Roma. Chiediamoci allora in che modo fu vissuta nel partito la battaglia tra il Centro e la Sinistra. Ebbene, rispetto alla documenta­zione conservata presso l’ACS e l’APC, il quadro uscito dalle testimonianze di militanti di base « gramsciani » è molto differente. Il dissenso di natura politica viene ridotto ai minimi termini e l’intera questione risulta in complesso fortemente personalizzata:

« D) Quando ci fu a Napoli il passaggio del partito da Bordiga a Gramsci?R) Avvenne nel 1925. Oppure, mi pare, dopo il delitto M atteotti. Si, dopo il delitto M atteotti a Napoli diventammo tu tti gramsciani.D) Ci furono discussioni tra voi?R) Si, ci furono molti dibattiti. Anzi ci deve essere una lettera firmata da me e da Persiani in cui ci schierammo contro Stalin fin da allora.D) M a quindi a favore di Bordiga?R) Eh... sì... a favore di Bordiga.D) E quando?R) Mah... ai primi del 1924.D) Il cambiamento a cosa si può attribuire?R) Al settarismo che non mi piaceva e che cominciai a non tollerare più.D) E come si manifestava questo settarismo nell’azione politica quotidiana?R) Si manifestava con le decisioni di Bordiga. Lui era contrario all’entrata di nuovi membri, era contro le cellule. In questo Gramsci vinse.D) Nel momento in cui affiorava un disaccordo Bordiga come si comportava?R) Era testardissimo, autoritario e... vincente. Con gli avversari non era leale, se poteva arrivare al pettegolezzo lo faceva subito. Parlava per esempio di Gramsci come di un piccolo borghese e diceva — si è fatto comprare dai russi; è bastato mettergli una donna davanti — » 113.

Si può notare chiaramente come la vittoria di Gramsci venga dapprima datata ed anticipata con sicurezza (e qui c’è la componente pregiudiziale) e poi sia con­traddittoriamente rievocato l’invio al Centro di una lettera contro la bolscevizza­zione che non poteva non essere che di chiara ispirazione bordighiana e certa­mente successiva al 1924. È naturalmente superfluo sottolineare l’assoluta buona fede dell’intervistato il quale non nascondeva, in fondo, una certa simpatia per Bordiga. Bisogna invece sottolineare che questo tipo di distorsione sono una caratteristica di fondo della tradizione che abbiamo definito gramsciana e che, soprattutto in campo storiografico, esse hanno portato a quelle deformazioni della storia del Pei che per prime furono denunciate da Angelo Tasca m. A tale pro­posito è di grande rilievo la testimonianza quasi totalmente inedita dell’operaio G. Marino 115. Questi lavorò nel dopoguerra molti anni a raccogliere il materiale

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m iliarm ente certi fa tti, m entre quella orale di recuperare il significato delle conseguenti sovrap­posizioni.113 T .r.A . da L. T arallo il 21 luglio 1978.114 Si tra t ta degli articoli pubblicati su « Il m ondo » nel 1953, raccolti in volume da L. Cortesi,I primi dieci anni del PCI, introduzione, B ari, L aterza, 1971.115 G. Marino (1891-1967), operaio fonditore socialista, aderì nel 1921 al P cd’I. T ra i respon­sabili delia sezione napoletana della Fiom fino allo scioglimento, si occupò anche del Soccorso

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per scrivere quelle che lui modestamente chiamò Memorie di un comunista napoletano ma che viceversa volevano essere forse il primo tentativo di fare una storia locale del Pei. Si tratta di un dattiloscritto di quasi quattrocento cartelle pieno di imprecisioni cronologiche e concettuali, di lacune e forzature, tuttavia interessantissimo quale esemplare manifestazione della mentalità di questa tradi­zione. Marino, negli anni della lotta con la Sinistra, fu tra i più sensibili all’in­fluenza del Centro lavorando a stretto contatto con l’Interregionale Gnudi. È straordinario rilevare come in queste pagine sia bandito, per metodo, qualunque tentativo di ricostruire i motivi di dissenso politico: l’opposizione bordighiana direttamente viene negata (si tacciono perfino i nomi di dirigenti come Girone che fu per ben due anni Segretario interregionale) mentre poi indirettamente la si afferma per esaltare la vittoria di Gramsci.Gli aspetti di questa mentalità possono essere verificati oltre che attraverso le lotte tra Centro e Sinistra anche sull’atteggiamento nei confronti del fascismo. Illuminante il caso di Federico Santacroce, un ferroviere che fu il leader incon­trastato della gioventù comunista napoletana fino al 1923. Licenziato dalle FFSS, si allontano progressivamente dal partito fino a diventare, sul finire degli anni venti, fiduciario del sindacato fascista carta e stampa116. È inutile dire che San­tacroce non è mai nominato nelle memorie di Marino, non solo, ma che tutti i militanti con i quali abbiamo parlato hanno rimosso a tal punto l’uomo Santacroce e la sua vicenda da arrivare a sostenere convinti che egli fu segretario della Fgci ma solo per pochissimo tempo perché passò subito al fascismo. Anche qui non si può parlare di tendenziosità ma solo di sovrapposizione.Per tornare a Marino si può dire che come militante della vecchia guardia rimase abbastanza lontano dall’attività di quei gruppi clandestini che proprio con il suo impegno politico aveva indirettamente contribuito a far sviluppare. Questa affinità di tradizione contraddetta tuttavia da una differenza generazionale viene affer­mata molto bene da G. Rippa quando scrive: « Io che appartengo alla generazione successiva alla sua ho deboli ricordi di quei grandi avvenimenti che, particolar­mente a Napoli, hanno entusiasmato e infervorato le masse e che, pur soffocati dal fascismo, hanno lasciato tracce indelebili » ed ancora quando scorge in queste pagine « l’indicazione precisa per una organizzazione pur razionale atta ad affron­tare il fascismo e raggiungere obiettivi più avanzati e concreti » 117. In realtà è su questa base che si salda il legame tra le due generazioni omogenee perché negli anni successivi al Congresso di Lione e fino alla metà del 1928 il lavoro clandestino svolto non presenta ancora tutte le caratteristiche « gramsciane », è molto forzato dall’esterno e vi sono dirigenti non napoletani (come è dimostrato dagli arresti di questi anni); mentre gli unici dirigenti locali sono quelli, come abbiamo già rilevato, che avevano mantenuto un certo distacco nei confronti del consolidato gruppo dirigente.Grande rilievo assume pertanto la formazione di quel gruppo clandestino che abbiamo definito svoltista che creerà le premesse di una presenza ininterrotta fino al 1943. È però opportuno precisare che considerare il nuovo partito clan­destino napoletano come frutto della « svolta » non appare molto convincente. Innanzitutto perché questo gruppo aveva cominciato a formarsi quasi due anni prima; anzi sappiamo che questa circostanza fu anche utilizzata da Togliatti per

rosso. Sorvegliato assiduamente nella clandestinità, potè riprendere l’azione politica solo nel 1943 come segretario di sezione e membro del comitato federale.116 ACS, CPC.117 c. marino, Memorie, cit., V. l’introduzione di G. Rippa, p. 1.

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dimostrare la necessità e la validità della nuova lineaU8. In secondo luogo va rilevato che il primo funzionario inviato dal Centro a prendere contatto con il nuovo organismo fu Ghita che sarà espulsa insieme al suo compagno Pietro Tresso proprio perché contraria alla «svolta». Si è quindi piuttosto tentati di concordare con Secchia sul fatto che effettivamente alcune organizzazioni locali, e Napoli tra queste, precedettero e giustificarono l’esigenza della « svolta » 118 119.A partire da questi anni va creandosi tra militanti e partito un rapporto molto particolare che inciderà sulla vita e le vicende degli anni successivi. In esso è grandemente esaltato il vincolo di carattere fideista: il partito viene idealizzato, affermato come l’unico strumento capace di sconfiggere il fascismo e realizzare il processo rivoluzionario. « Bisognava lottare contro il padrone, contro tutti i padroni, contro il fascismo, ma come? Ci voleva una grande forza, un partito combattivo e quale poteva essere se non il partito comunista? Ma dov’era? Biso­gnava cercarlo! » I2°. Ed una volta trovato, per il militante clandestino il partito diveniva il motivo della propria esistenza:

« D) Se tu fossi riuscito ad espatriare evitando l’arresto cosa sarebbe cambiato?R) Se espatriavo cambiavano le cose ma poi sempre mi avrebbero ripreso perché non è che uno espatriava per sempre. Bisognava rientrare perché proprio in quel periodo era necessario svolgere una attività continua. N on si diceva — Va bene, abbiamo fatto un lavoro ed ora basta! — » 121.

È questo certamente uno dei momenti nei quali appare che « le organizzazioni politiche hanno uno spessore, una corposità, e una dimensione più vasta di quanto esprima semplicemente la linea » 122.Le numerose cellule che furono costituite nelle principali fabbriche napoletane, al di là del programma politico teso a favorire con l’azione dei militanti la crisi capitalistica mondiale, rappresentano di fatto, l’unica concreta possibilità per il partito, di mantenere un contatto con la classe operaia. Allo stesso tempo la formazione delle cellule consentì di affermare sempre più la presenza del partito.

Noi non abbiamo cominciato il lavoro da zero. Abbiamo avuto dei contatti personali, tanto per cominciare, ma c’era già una base di antifascismo nella classe operaia: quindi agivamo su di un terreno fertile, avevamo attorno una schiera di operai con i quali si è sempre parlato anche quando non c’era l’organizzazione. Perché l’operaio è sempre pressato nel lavoro: questa è la lotta di classe. C’era un ambiente antifascista per tutto quel ba­gaglio di oppressione, di sofferenze, di sfruttam ento, e noi già conoscevamo, più o meno, il pensiero di tanti operai. Ognuno di noi aveva una certa sfera di influenza ed a nostra volta eravamo influenzati da altri reciprocamente. Quindi, con questi operai, che poi erano amici coi quali si andava a cinema, si facevano gite, andavamo al bagno, c’era un contatto continuo. Quando ho preso contatto con Sereni già sapevo che altre persone avrebbero aderito 123.

Le parole di Rippa conducono al confronto con la realtà fascista, tema impor­tantissimo eppure trascurato, forse perché in contrasto con la forma retorica che spesso ha caratterizzato la ricostruzione delle vicende antifasciste. Il fascismo fu per molti anni la realtà con la quale chiunque doveva misurarsi nella vita di tutti i giorni. Ed era una realtà oppressiva, totalitaria, che imponeva, nello stesso

118 V. Giorgio amendola, U n a r c h iv is ta n e lla r iv o lu z io n e , in C o m u n is m o , a n t i fa s c is m o , R e s is te n z a , R om a, Editori R iuniti, 1967, p. 129.119 Si vedano anche le valutazioni critiche di e . ragionieri, I l P a r t i to d e lla s v o l ta e la p o lit ic a d i m a ss a , cit., pp. 164-177.190 G. rippa , II c o n tr ib u to d e i c o m u n is t i a lla lo t ta a n tifa s c is ta , dattiloscritto presso AICSR.121 T .r.A . da G. R ippa novem bre 1978.122 D. m o n ta m i, S a g g io su lla p o lit ic a c o m u n is ta , Piacenza, Ed. Q uaderni Piacentini, 1976, p. 18.123 T .r.A . da G. R ippa, aprile 1976.

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tempo una serie di istanze partecipative alle quali era assai difficile sottrarsi a meno di una pressoché totale emarginazione. Quando, ad esempio, abbiamo chiesto a Rippa se era iscritto al sindacato fascista egli ci ha risposto di no perché operaio di una officina privata. Non potevano evitarlo altri suoi compagni che lavoravano in posti pubblici. Lo stesso Rippa afferma però di essere stato iscritto al dopolavoro anche se si affretta ad aggiungere « più che altro per avere riduzioni a cinema e a teatro » 124 Si capisce perché diventano significative anche le pause ed assumono tutt’altro rilievo anche le forme di difesa operaia contro i ritmi o lo sfruttamento che pur senza essere organizzate erano poi abbastanza diffuse :

Gli operai ed anche le donne, soprattutto, usavano, come dire, un sistema di sabotaggio. Per rallentare il ritm o di lavoro guastavano un po’ l ’attrezzatura e allora si fermavano perché non andava più bene: era un trucco che funzionava. Chiamavano il capo dicendo — Eh qui non funziona! — e via dieci minuti, mezz’ora. N aturalm ente era un metodo che non si poteva usare ogni momento perché sarebbero stati smascherati. C’è sempre stata questa ostilità: loro a sfruttare e gli operai a non farsi sfruttare! » 125.

Ci pare proficuo porre l’accento sulle difficoltà incontrate in questi anni da molti antifascisti combattuti tra il rifiuto ideale del fascismo e l’accettazione forzata di esso. « Conducevamo una vita mortificante. Io, per esempio sono avvocato nel settore dei trasporti perché non ho potuto scegliere la professione liberamente. Dovevo lavorare ma il mio lavoro risultava ufficialmente di un altro avvocato... Ho sofferto tanto! Mi sostennero l’idea e le miti pretese materiali » 126.Le vicende napoletane di questi anni sono assai ricche di simili esperienze umane sulle quali, del resto, è difficile sorvolare perché si conoscono meglio i soggetti di una storia «da vicino». Negli anni che vanno dal 1921 al 1943 non è difficile individuare alcuni momenti critici nel rapporto tra militante ed organizzazione e verificare che, quasi sempre, essi sono conseguenze di manovre repressive del potere. Lo sbocco pratico di queste crisi poteva avere risvolti diversi ma si sostanziava, per esempio dopo un arresto, nella collaborazione anche parziale con gli organi di polizia. È noto che l’attività clandestina aveva regole rigidissime per le quali, una volta caduti, bisognava negare tutto, anche l’evidenza, per togliere alla polizia ogni possibilità di indagine ulteriore. Era molto difficile mantenere questa linea difensiva e soprattutto dopo le prime ammissioni. Così non era raro che qualche arrestato confermasse alcuni sospetti della polizia dando modo di estendere la retata. In qualche caso si andava anche oltre: ne subivano le spese gli elementi indecisi o impauriti. In questo caso la polizia era abilissima e posse­deva tecniche raffinate, basate su sottili ricatti per costringere, dopo un lavoro di persuasione che poteva durare anche anni, quel soggetto a fornire una collabo- razione completa, a divenire, in sostanza un informatore127.La capacità di aggregazione e la reale forza del regime fascista costituirono nella seconda metà degli anni trenta, il punto di partenza per un’analisi che avrebbe apportato profonde modificazioni alla linea comunista. Si svolse infatti anche a Napoli, nelle forme che la clandestinità consentiva, un interessantissimo dibattito sulla necessità di dedicare maggiore attenzione alle organizzazioni del regime,

124 T .r.A . da G. R ippa, maggio 1977.125 Ib id .126 I I fa s c is m o e l ’a n t i fa s c is m o n e lla N a p o li d e g li a n n i v e n t i e tr e n ta . C o n v e r s a n d o c o n P. S c h ia n o , a cura di N . De Ianni, in « Bollettino ICSR », n. 1, m arzo 1979, p. 24.127 Ci è sem brato utile ten tare di ricostru ire i m eccanism i del servizio fiduciario della Polizia politica per rendere più attendibile, attraverso l’acquisizione di m aggiori strum enti di analisi critica, tali fonti conservate nell’ACS in gran quantità. P er alcuni di questi problem i si veda l ’utile saggio di p. casucci, L ’o r g a n iz z a z io n e d e i s e r v iz i d i p o liz ia d o p o l ’a p p r o v a z io n e d e l T U d e lla le g g e d i P S d e l 1926 , in « Rassegna degli archivi di S tato », 1976, n. 1, pp. 82-114.

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soprattutto a quelle sindacali, e di creare un legame più saldo con le forze socia­liste. Come si doveva applicare, insomma, la politica del Fronte popolare alla situazione napoletana? Si manifestò apertamente lo scontro tra la « vecchia guardia» rappresentata da Reale e dai militanti del 1930-31 ed i «giovani», rappresentati da Clemente Maglietta. Vediamo come questi riassumeva i termini della questione scrivendo a Parigi:

« Noi vedevamo le cose soprattutto dal lato organizzativo e trovavamo che la nostra orga­nizzazione tradizionale rappresentava un ostacolo formidabile ad una politica di questo genere. Escogitammo allora questo sistema. M entre il partito resta quale è oggi, la fede­razione giovanile la trasformiamo integralmente nelle organizzazioni fasciste, in modo che il nostro apparato corrisponda esattam ente a quello fascista. È evidente che in questo progetto si affermava implicitamente che tale organizzazione dovesse fare un lavoro fascista e dovesse essere diretta da elementi fascisti r...l Gli adulti erano contrari perché non vede­vano 1’esistenza di organizzazioni antifasciste che fossero la base di un fronte unico » 12S.

In realtà, non si trattava tanto di un dissenso sulla linea politica quanto piuttosto di una difficoltà di recepire ed attuare un modo nuovo di fare politica. Le auto­critiche di Di Vittorio su « Lo stato operaio », le conseguenze del VII Congresso dell’Internazionale, gli appelli alla riconciliazione del popolo italiano erano stati certo un duro colpo per il militante della « svolta »; una analoga diffidenza aveva destato le proposte di Magliettam. Questi aveva potuto, all’estero prima ed in carcere poi, divenire più sensibile ai mutamenti tattici, eppure, in quanto « quadro svoltista » non poteva fare a meno di scrivere con imbarazzo: « Confesso che avevo ancora in me una quantità di riserve che mi impedivano di impostare in modo completamente libero la nuova politica » 13°.La figura più tipica di questi anni trenta fu il funzionario. Già nel 1923, con la creazione dei Segretari interregionali, si era definito il ruolo di un dirigente con la funzione di collegare le organizzazioni locali con il Centro, a partire dalla « svolta » il funzionario assume funzioni ancora più importanti, più rilevanti perché viene identificato con il partito, investito di una autorità indiscutibile e atteso sempre con grande fede. Dal 1930 al 1939 giunsero a Napoli numerosi funzionari e di molti è possibile valutare il lavoro in base alle relazioni oggi conservate all’APC. Esiste una nota di fondo comune quasi a tutti relativa alla difficoltà di svolgere effettivamente la loro funzione dirigente. Era infatti molto diffìcile tradurre in azione concreta l’indicazione politica di cui essi erano por­tatori. Cosicché spesso avveniva che i dirigenti di base con i quali i funzionari avevano contatto non sempre concordavano sulle valutazioni e quando provavano a far presente alcune peculiarità della situazione subivano il peso del prestigio e dell’autorità di cui godeva il rappresentante del partito. Se a questo si aggiunge che frequentemente il funzionario in missione non aveva spiccate capacità diret­tive, perché anche la sua formazione, prima molto seguita attraverso le scuole di Mosca e di Parigi, diventò con gli anni meno accurata, si comprende come spesso si creasse un divario eccessivo tra l’emissario del partito e il dirigente locale. 128 129 *

128 Si veda il rapporto inviato da M aglietta (Pisacane) al centro prim a del suo secondo espatrio nell’o ttobre 1936, in A PC , 1412/12-15.129 Di V ittorio com pì una profonda autocritica sul lavoro sindacale svolto dalla Cgl clandestina dal 1930 in poi, facendo rilevare quanto poco realistiche erano quelle parole d ’ordine come: l’aum ento dei salari se non si riusciva ad im pedirne la riduzione, oppure com e la soppressione dei con tratti di lavoro se non si era nem m eno capaci di farli rispettare. V. nicoletti (Di Vittorio), I l la v o r o d i m a ss a d e l P C I d a l V I a l V I I c o n g re s so , in « Lo sta to operaio », Parigi, maggio-giugno, 1935. Si veda anche m ichele pistillo , G . D i V i t to r io 1924 -44 , R om a, E ditori R iuniti, 1975, pp. 153-155. P e r la s a lv e z z a d e l l ’I ta l ia , r ic o n c i l ia z io n e d e l p o p o lo i ta lia n o , in « Lo stato operaio », Parigi, agosto 1936.180 A PC, 1412, cit.

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Del resto una organizzazione clandestina necessariamente centralizzata poteva ovviamente fidarsi dei funzionari che inviava e molto di meno essa poteva fidarsi dei rappresentanti periferici. Di qui alcuni errori nella gestione dell’attività clan­destina che ci appaiono oggi persino incomprensibili.Nell’estate del 1931, dopo la seconda ondata di arresti, come ricordato Marino Mazzetti (Mattia) fece espatriare cinque dei superstiti, i quali passata « la bufera », avrebbero potuto pian piano riorganizzare il gruppo, proprio come era avvenuto l’anno prima dopo gli arresti di Sereni e Rossi-Doria. Il Centro preferì allora, privilegiare il suo organico clandestino a danno dell’organismo locale, oppure il funzionario, di fronte ad una direttiva di partito, preoccupato per la situazione creatasi, pensò di evitare altri arresti, però di fatto compromettendo il lavoro di oltre due anni. Lo stesso Mazzetti ad una nostra domanda circa le impressioni provate nel rileggere quel rapporto al Centro 131 132 133 ha risposto: « La prima impres­sione è quella della mia abissale ignoranza. Segue la documentata constatazione dell’assunzione di un impegno immensamente superiore alle mie possibilità reali. Non mi facevano difetto l’entusiasmo, la fede, la fiducia nel partito, la dedizione, lo spirito di sacrificio, la volontà di battermi, ma in quanto a preparazione quella relazione dimostra quanto fossimo mal ridotti! » !32. Al di là della eccessiva mo­destia di cui Mazzetti si fa scudo, qui non si vuol tanto sottolineare la imprepa­razione del singolo funzionario quanto le condizioni in cui era costretto a svolgere la sua funzione. E tanto per fare un altro esempio, Velio Spano, che pure dimo­strerà in seguito tutte le sue qualità di dirigente comunista, con le critiche all’orga­nizzazione di Eugenio Reale ne favorì l’espatrio a Parigi, senza porsi sufficiente- mente il problema del vuoto che si sarebbe conseguentemente creato.Negli ultimi anni, il Centro aveva accentuato il suo interesse ad essere dettaglia­tamente informato, tramite gli emissari clandestini, sull’orientamento dei militanti di base circa i processi di Mosca e la politica sovietica. Grillo (Amerigo Ciocchiatti), tra il 1938 ed il 1939 fu tre volte a Napoli: i suoi rapporti danno utili notizie. Egli trascorse, per esempio, col militante Michele Persico una giornata intera

allo scopo di esaminare la sua biografia ed il suo orientamento politico, ed aggiunse, più che parlar io, lo feci parlare. Soprattutto per quanto riguarda i processi di Mosca le sue affermazioni furono categoriche di condanna dei banditi trotkisti e di approvazione per la giustizia sovietica. Lo stuzzicai per sapere se lui aveva dei dubbi, delle riserve da fare, sia in un senso o nell’altro che riguardassero la giustizia sovietica ed i vari processi. A ciò lui rispose ancora categoricamente di no 134.

Tali posizioni inducono oggi a riflettere; i militanti e gli stessi funzionari erano chiamati a discutere o esprimere giudizi sulla base di informazioni parziali, in pratica sulla circostanza che vi fossero in Russia dei dirigenti i quali, tradita la rivoluzione, tentavano di impedirne la ulteriore marcia. L ’Unione Sovietica era allora considerata il faro della rivoluzione mondiale e nessuno era disposto a condannare un atteggiamento duro, teso ad impedire che quella luce fosse spenta. Eppure Antonio De Ambrosio ed Ugo De Feo, che abbiamo visto sostituire Reale, non avevano mancato in alcune occasioni di esprimere a Grillo forti perplessità su quelle vicende. L’arresto di entrambi evitò probabilmente la nascita di un « caso », ma quel dissenso restò comunque denso di significati a dimostrare come rimanessero ancora, nelle situazioni locali, volontà e capacità di discussione.

NICOLA DE IANNI

131 A PC /979/131-132.132 D a una lettera inviataci da M arino M azzetti in data 11 aprile 1978.133 A PC , 1511/11-25 e 28-32.133 A PC, 1511/14.