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N. 39 - CULTURA MUSICA ARTE AMBIENTE SOCIETÀ - APRILE 2020 PENTAGRAMMI … PER L’ARTE VISIVA Manlio Chieppa #larteresiste. I mutamenti della storia: la mi- stificazione è finita (?), l’arte e la cultura salveranno il mondo...! L’Arte va per tour virtuali, così quella stagione.... de «la cultura adriatica» ne lo gran mar dell’essere. Il prezzo è elevatissimo, di migliaia di vite umane: una catastrofe planetaria, angosciante... come il suono lancinante di quelle sirene che quotidianamente s’insinua nell’eremo forzato, a incupire la mente...; e un po’ tutti noi, tentiamo di- strarci nel silenzio surreale...: personalmente, sforzandomi d’inseguire quelle immagini di stupori, strappate nelle incur- sioni per la Murgia..., e – rimemorandole – riproporle alle dimensioni di appropriati segmenti dipinti (più volte assem- blati e smembrati), per una storia futura...; a parte, di tanto in tanto, distaccarmi, incantato, dalle visioni che riempiono il piccolo schermo del pc, a mostrare le meraviglie d’Arte, ri- scoperte e mostrate a un pubblico eterogeneo: spettatore in- credulo per i Musei d’Italia, che dovrebbero, quando sarà, aprirsi gratuitamente! Cui in un dibattito generale – ricor- dando che l’arte è espressione della vita – sento affiancarmi a tutti i canali social per il mondo, nel microcosmo di una città, nell’attesa, come tutte, di un’alba, con una proposta culturale di conoscenza e di emozioni, spingendomi in una stagione ormai lontana: di oltre un decennio (maggio/giugno 2008). Quando chiamai a raccolta 24 colleghi sparsi per la Puglia. A rappresentare quella seconda generazione post bellica, per raggrumarla in un incontro espositivo, ospiti dapprima, nel cuore della Bari murattiana, nel palazzo neoclassico dei Ba- roni Ferrara, all’epoca Direzione Generale della Banca Meri- diana del Gruppo Veneto Banca, dissoltasi dopo un decennio. Poi accolti, con l’invito mossoci dagli infaticabili Piero Liuzzi, nel Palazzo della Corte della città di Noci, e ancora da Gianvito Mastroleo a Conversano, nel Castello Aragonese, mietendo interesse ed entusiasmi. Esaustivo fu il catalogo con due testi introduttivi, il primo di Raffaele Nigro, con una sua disamina storica di quel che si era sviluppato artistica- mente a Bari e dintorni nella seconda metà del secolo, ed una mia presentazione, «La cultura adriatica» ne lo gran mar dell’essere, dedicata alle 24 opere esposte; che qui – non po- tendo pubblicare tutte le illustrazioni – riporto succintamente. «Se non si fosse titolata avvedutamente Le radici del fu- turo, avrei voluto chiamarla Le impronte della memoria, que- sta mostra collettiva che segna un inaspettato ritorno di un coagulo di artisti pugliesi, dalla Daunia al Salento, passando per le Murge tarantine e la Terra di Bari. Venticinque firme, ormai datate nell’effervescenza della creatività, operanti in un arco di tempo infinito, che ha incanutito alcuni di loro ma non la coerenza delle loro idee, di quelle loro espressioni rin- vigorite; forse del tutto sconosciute alle nuove generazioni: per gli strani funambolismi esterofili di chi commistiona cul- tura con politica, e l’inclinazione “di un territorio come il nostro che – si sa – non ha molta dimestichezza con la civiltà della memoria” (ha riconosciuto recentemente Pietro Ma- rino!). Eppure tutti questi artisti hanno una loro storia, rimar- chevole, forse più nota e apprezzata oltre i confini del Gari- gliano, sentitamente emotiva di linguaggi inesauribili, mace- rati, analizzati e ricostruiti, mai desueti o dèja-vu (...). Arte Visiva che ripudia la figura sinistra dei mistificatori, bandisce la moda patologica del brutto, l’assuefazione all’orrido, la violenza fine a se stessa, o l’insulsaggine di un’estetica debo- lissima: che rientrano in una grande questione educativa (…). Perciò le opere qui esposte sono l’elaborazione di for- mule semantiche in grado di rappresentare eticamente il mondo istintuale dell’artista, il suo “sogno dell’Arte” (…). Tragitti che si ricreano e si materializzano in tracce, caratte- rizzando una “calligrafia” personale e riconoscibile sotto una luce rivelatrice di una Apulia straordinaria, dispensatrice di scenari naturali ed umani, originali (…). Si ritrovano così, in una sequenza espositiva, esempi e ri- cerche individuali, che, è innegabile, imprimeranno un diver- sificato impatto emotivo ed emblematico. Così quegli sguardi penetranti e irridenti, allusivi e mordaci, di un originale nuovo dipinto di Mario Colonna che, studiato, fa riflettere, o quello “scandaloso” di una raffigurazione spregiudicata- mente attuale e antica, grottesca e provocatoria, proposta cru- damente da Domenico Ventura. Personaggi, cronache e rac- Manlio Chieppa, «Ginestre spinose», 2010, cm. 39x46,5x3, t.m. pietra calcarea (continua a pagina 2)

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n. 39 - CULTURA mUsiCA ARTe AmbienTe soCieTà - ApRiLe 2020

PENTAGRAMMI … PER l’ARTE vIsIvAManlio Chieppa

#larteresiste. I mutamenti della storia: la mi-stificazione è finita (?), l’arte e la cultura salveranno il mondo...!

L’Arte va per tour virtuali, così quella stagione.... de «la cultura adriatica» ne lo gran mar dell’essere.

il prezzo è elevatissimo, di migliaia di vite umane: una catastrofe planetaria, angosciante... come il suono lancinante di quelle sirene che quotidianamente s’insinua nell’eremo forzato, a incupire la mente...; e un po’ tutti noi, tentiamo di-strarci nel silenzio surreale...: personalmente, sforzandomi d’inseguire quelle immagini di stupori, strappate nelle incur-sioni per la murgia..., e – rimemorandole – riproporle alle dimensioni di appropriati segmenti dipinti (più volte assem-blati e smembrati), per una storia futura...; a parte, di tanto in tanto, distaccarmi, incantato, dalle visioni che riempiono il piccolo schermo del pc, a mostrare le meraviglie d’Arte, ri-scoperte e mostrate a un pubblico eterogeneo: spettatore in-credulo per i musei d’italia, che dovrebbero, quando sarà, aprirsi gratuitamente! Cui in un dibattito generale – ricor-dando che l’arte è espressione della vita – sento affiancarmi a tutti i canali social per il mondo, nel microcosmo di una città, nell’attesa, come tutte, di un’alba, con una proposta culturale di conoscenza e di emozioni, spingendomi in una stagione ormai lontana: di oltre un decennio (maggio/giugno 2008). Quando chiamai a raccolta 24 colleghi sparsi per la puglia. A rappresentare quella seconda generazione post bellica, per raggrumarla in un incontro espositivo, ospiti dapprima, nel cuore della bari murattiana, nel palazzo neoclassico dei ba-roni Ferrara, all’epoca Direzione Generale della banca meri-diana del Gruppo Veneto banca, dissoltasi dopo un decennio. poi accolti, con l’invito mossoci dagli infaticabili piero Liuzzi, nel palazzo della Corte della città di noci, e ancora da Gianvito mastroleo a Conversano, nel Castello Aragonese, mietendo interesse ed entusiasmi. esaustivo fu il catalogo con due testi introduttivi, il primo di Raffaele nigro, con una sua disamina storica di quel che si era sviluppato artistica-mente a bari e dintorni nella seconda metà del secolo, ed una mia presentazione, «La cultura adriatica» ne lo gran mar dell’essere, dedicata alle 24 opere esposte; che qui – non po-tendo pubblicare tutte le illustrazioni – riporto succintamente.

«se non si fosse titolata avvedutamente Le radici del fu-turo, avrei voluto chiamarla Le impronte della memoria, que-sta mostra collettiva che segna un inaspettato ritorno di un coagulo di artisti pugliesi, dalla Daunia al salento, passando per le murge tarantine e la Terra di bari. Venticinque firme, ormai datate nell’effervescenza della creatività, operanti in un arco di tempo infinito, che ha incanutito alcuni di loro ma non la coerenza delle loro idee, di quelle loro espressioni rin-

vigorite; forse del tutto sconosciute alle nuove generazioni: per gli strani funambolismi esterofili di chi commistiona cul-tura con politica, e l’inclinazione “di un territorio come il nostro che – si sa – non ha molta dimestichezza con la civiltà della memoria” (ha riconosciuto recentemente pietro ma-rino!). eppure tutti questi artisti hanno una loro storia, rimar-chevole, forse più nota e apprezzata oltre i confini del Gari-gliano, sentitamente emotiva di linguaggi inesauribili, mace-rati, analizzati e ricostruiti, mai desueti o dèja-vu (...). Arte Visiva che ripudia la figura sinistra dei mistificatori, bandisce la moda patologica del brutto, l’assuefazione all’orrido, la violenza fine a se stessa, o l’insulsaggine di un’estetica debo-lissima: che rientrano in una grande questione educativa (…). perciò le opere qui esposte sono l’elaborazione di for-mule semantiche in grado di rappresentare eticamente il mondo istintuale dell’artista, il suo “sogno dell’Arte” (…). Tragitti che si ricreano e si materializzano in tracce, caratte-rizzando una “calligrafia” personale e riconoscibile sotto una luce rivelatrice di una Apulia straordinaria, dispensatrice di scenari naturali ed umani, originali (…).

si ritrovano così, in una sequenza espositiva, esempi e ri-cerche individuali, che, è innegabile, imprimeranno un diver-sificato impatto emotivo ed emblematico. Così quegli sguardi penetranti e irridenti, allusivi e mordaci, di un originale nuovo dipinto di mario Colonna che, studiato, fa riflettere, o quello “scandaloso” di una raffigurazione spregiudicata-mente attuale e antica, grottesca e provocatoria, proposta cru-damente da Domenico Ventura. personaggi, cronache e rac-

Manlio Chieppa, «Ginestre spinose», 2010, cm. 39x46,5x3, t.m. pietra calcarea

(continua a pagina 2)

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conti innumerevoli, silenziosi o gridati, illuminanti e sofferti, osservando i tron-chi d’olivo di Tony prayer, piagati ed estirpati dalla madre terra che li accolse per millenni, accostabili a quella ten-sione crescente di violente spatolate di calce stratificata che nicola Tullo im-prime al suo paesaggio graffiante con un albero fossile, tormentato ed ar-caico, terragno. Verificabili con un ac-cento più poetico nei reperti che si aprono al tempo che fu, con quelle “fi-nestre” che Franco Valente recupera e ri-adatta con versatile inventiva. Le percezioni oniriche o i bagliori di corto-circuiti di Antonio Laurelli assumono, invece, un vigore pittorico audace e di-rompente di vibrazioni incandescenti. ossia, gestualità indiziarie che ripor-tano indietro, alle “forme primarie” di michele Depalma e al suo sogno di li-bertà, con geometrie limpide e prete-stuose, fugaci, inseguendo teoremi irri-solvibili, ma non per questo inconcilia-bili con il temperamento contemplativo che strugge michele paloscia, allorché spazia lo sguardo lontano su un mare d’olio infiammato al tramonto da uno squarcio di luce. il resto è poesia, mito, candore, sogno e magia: infatti, i “luo-ghi desueti” che intende beppe Desario sono intimistici, popolandosi di entità nascoste fra le pieghe della tradizione popolare, con l’orizzonte che si perde nell’infinito crepuscolo. Così la fanta-sia e il passato trovano momenti con-templativi inseguendo nostalgie, quando matteo masiello, sfogliando gli appunti del suo taccuino, s’aggira per altri siti, rivivendo viaggi, e fasci-nosi scenari affollati di personaggi, quasi pirandelliani, “ricordando Val-

dés”. Diversamente suggestive sono invece le architetture rurali di antiche torri medioevali nelle calde notti d’ago-sto viste da Adolfo Grassi, come pagine di libri d’infanzia, assieme allo stupore di un “Angelo” avvolto in un peplo bot-ticelliano dai mille ricami e dalle tante allegorie, che solo michele Damiani riesce a sognare e tradurre in pennellate leggere e trasparenti. per cui l’idealiz-zazione dell’adolescente, ritratta da Re-nato nosek, dalle acerbe delicate fat-tezze, ritrova una sua intima atmosfera nel dubbio sottile di un’attesa che ap-passiona. Di contro, alla mitologia o alla narrazione letteraria, s’ispirano in diversi: la ricerca e i convincimenti neomanieristici di Leo morelli lo por-tano a ritrarre in tutta la sua perfida av-venenza l’infernale “persefone” nei giardini degli elisi, laddove il rito or-giastico di un bacco straripante ed eb-bro viene sapientemente raffigurato in una scenografica solare tela da Giorgio esposito. stilisticamente, il bronzo ra-mato di spedicato, con la sua “nascita di Venere”, si distingue per una stilizza-zione progettuale concettualmente mo-derna, nonostante gli elementi classici che la compongono. Così come esce dagli stereotipi iconografici il gruppo scultoreo in cemento di “orfeo ed euri-dice”, traslati come due teatranti prima del loro distacco definitivo, del mae-stro pietro Guida, dalla ineccepibile carica umana, per una solida espressiva volumetria al limite di un’occulta so-

lennità. Che, viceversa, esplode, intri-gante e raffinata, quasi misteriosa, con i velari di marcello Gennari (in pietra leccese), aerei e avvolgenti figure in volo e giochi di volteggi infantili; ov-vero nei nudi plastici, di una purezza formale irresistibilmente seducente e maliziosa, di due eleganti “Adole-scenti”, quasi ad altezza naturale, in terracotta patinata di Giuseppe sama-relli. e poi ancora, con la stessa mate-

peRioDiCo on-Line

«penTAGRAmmi» – Anno VReg. Tribunale di bari n. 1963

del 14/04/2016AdRIANA dE sERIo

direttore responsabileRedazione: via melo, 48 – 70121 bari

Tel. 3478972205email: [email protected] Editoriale

direttore scientificodoNATo FoRENzA

Grafica e impaginazione: la MatriceVia Trevisani, 196/a – 70122 bari

Tel. [email protected]

(continua a pagina 4)

(dalla pagina 1)

Adolfo Grassi, «In pieno agosto», 1997, cm. 90x60, olio

Antonio Laurelli, «Le Ali», 2006, cm. 160x104, olio su tavola

Mario Colonna, «Scoperta della classicità», 2008, cm. 156x105, pa-stello e ril. in gesso

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Arte Contemporanea in Puglia: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo....

Cala il sipario su quelle rappresentazioni mitiche, fantastiche e surreali di Matteo MasielloManlio Chieppa

È decisamente la stagione dei commiati, dei congedi ine-luttabili, del distacco, con l’ultimo saluto..., che genera sin-cera commozione, e quel certo senso di pacato smarrimento e sommesso rimpianto, con l’affollarsi di pensieri e ricordi.... È il 29 marzo, nel pieno di questa reclusione forzata, e il Quotidiano online «da bitonto», sua città adottiva (era nato a palo del Colle il 30 novembre 1933), annuncia la morte, la sera prima, dell’Amico pittore matteo masiello, pubblicando l’immagine di una sua splendida «Deposizione», che ricorda tanto, nelle espressioni dolenti e grinzose, i volti dei pittori fiamminghi del ’300/’400/’500. e la mente va...., cercando il suo sguardo altero, giammai sorridente, severo e fulminante; non so se scontento (sofferente) e malinconico (tranne in pre-senza della sua magda), serrando fra le labbra quel perenne mezzo toscano, o lontano nei pensieri più reconditi..., inse-guendo forse qualche suo personaggio, tratto dal suo tac-cuino di «viaggi», apparso fluttuante e paludato, ironico, in

una maschera ambiguamente festosa, a volte grottesca, di quel certo espressionismo tedesco, ch’ebbe in Grosz, forse, il massimo esponente. in verità, matteo l’ho conosciuto, uma-namente, anni dopo. Giacché, la prima volta, attraverso le sue opere. intorno alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, quando interrompendo il mio girovagare, scendendo a bari, mi aggiravo fra le gallerie, invitato a spedire le mie corrispon-denze sulle mostre (affinché la puglia avesse una risonanza nazionale!), al Miliardo, settimanale per l’italia, di Attualità Artistiche, Letterarie, politiche e scientifiche e all’amico di-rettore del periodico ArteRama, mario portalupi, nonché cri-tico d’arte, caporedattore della pagina culturale del quoti-diano (del tardo pomeriggio) La Notte, di milano. Quella prima mostra, la ricordo, fu una «personale» (lui ci teneva a dire, di un «autodidatta», laureato in economia, dirigente mi-nisteriale) presso la Galleria Le Muse di Vito Daniele. Un impatto giocoso di una lunga interminabile favola, come

s’addentrasse curioso sotto il tendone circolare del mondo circense, affollato di clown, suonatori di trombe e clarini, sal-timbanchi e funamboli, un pò naif. in una cromìa accesa e prevalente di rossi e aranci, mentre poi vi era un distacco, tematicamente brusco, quando s’inoltrava nell’impegno ci-vile, i moti sindacali e l’occupazione delle fabbriche, lo scio-pero, i cortei, le bandiere..., illividendo persino la tavolozza, sotto cieli plumbei e sguardi truci, in una pennellata pastosa e densa, mai più esercitata. Una parentesi di vita, di una ricerca tecnica e tematica che lo soddisfacesse....; perché poi, negli anni, prevalse quel suo modo personalissimo d’impostare cattivanti scenografiche allegorie labirintiche: visioni da so-gnatore, a inseguire il simbolismo narrativo dei classici di tutti i tempi e la mitologia onirica. in una rivisitazione mo-derna tra fiabe orientali e storie sacrali, avvenimenti occasio-nali e personaggi, del passato e dell’attualità, trasfigurati, in una folla straripante, «omaggi» a Grosz, Kafka, borges, bra-dley, sciascia..., nudi o abbigliati e fasciati da pepli e costumi damascati e di velluto, turbanti e cloche, mantiglie, sciarpe e

merletti, quanto abiti borghesi. in percorsi complessi e tra-sgressivi, dissacranti e affascinanti, nel mistero di una inter-pretazione, che ti costringeva a indagare la «chiave» della rappresentazione, individuandola magari in un particolare, in un gesto, seppur statico, o in una espressione visuale: allusiva e sorniona, attonita e sfuggente, pensosa e ilare, enigmatica e spudorata, intrigante e beffarda; giocando con i colori, le luci, le ombre. in un disegno lineare e piatto, senza volumi, ap-punto, come le tavole dei trecenteschi, dei gotici..., deside-rando distinguersi fuori tempo, per offrire l’immagine di una pittura postmoderna, colta, dei citazionisti e del nuovo ma-nierismo; che avesse un suo spessore filosofico, tutt’altro che banale come potesse apparire in molte delle sue visioni di baldorie, ma profondo e penetrabile, da rigenerarlo con tanta passionalità. Che lo portarono ad esporre, apprezzato, in di-

(continua a pagina 4)

Matteo Masiello (foto di Vincenzo Sannicandro)

Matteo Masiello, «I racconti della luna», 1992, cm. 113 x 133, olio su tela

Matteo Masiello, «Storia di San Nicola. Il miracolo del grano», 1990, cm. 100 x 80, olio

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verse istituzioni pubbliche tra la Russia e la Romania, la svizzera, la spagna, la Grecia, il portogallo, la Cina e israele. Quella stessa vocazione che dedicò a organizzare nel lontano 2009 (con gli auspici di due illuminati sindaci, ni-cola pice e Raffaele Valla), la Civica Galleria d’Arte Contemporanea, allo-cata nel bel Torrione Angioino di bi-tonto.

Coinvolgendo una trentina di artisti pugliesi, in una cospicua donazione «modale», assieme a una «raccolta» di sue opere.... ma questa, dopo meno di un lustro, si tramutò in una triste storia: di delusioni e miserie delle nostre isti-tuzioni pubbliche, con un epilogo inim-

maginabile, ch’ebbe ad amareggiarlo non poco (e io assieme a Lui), ritirando le sue e mie opere; sottraendole a un bailamme di inadeguatezze e inadem-pienze, rivolte a privilegiare (quando si aprivano i battenti) una pseudo «cul-tura», di un populismo becero d’intrat-tenimenti giovanili e chiassosi a so-vrapporsi alle opere, ben lungi dall’es-sere un museo di tradizione1. Tant’è, una quarantina di sue tele hanno arric-chito le Collezioni di palazzo beltrani in quel di Trani, dove rimarranno a te-stimoniare il passaggio di un poeta so-gnatore, un Amico sincero, che ci man-cherà! perché in fondo, come diceva Charles bukowski, «la differenza fra l’arte e la vita, è che l’arte è più soppor-tabile», e la vita, ahinoi!, è quella che ci riserva, in questa parte del microcosmo «meridionale» italo-europeo di talune

realtà (!), quel grado di civiltà dell’igno-ranza istituzionale, che, come Tu stesso, matteo, ne convenivi, ci annega, nel mare personalistico della traco-tanza!

1 Fa specie constatarlo, soprattutto, sapendo bitonto dai trascorsi culturali straordinari, con personalità che l’hanno resa grande e rinomata; per li-mitarci, dall’’800 in qua, esemplari: l’arch. Luigi Castellucci «(1798-1877, mio trisavolo), rappresentativo dell’ar-chitettura neoclassica in puglia, con una selva di esimi allievi, irriguardosa-mente disconosciuto dal sito Comu-nale, di essere stato l’Autore del Teatro Traetta, originariamente Ferdinandeo!» e, per le Arti Figurative, gli esponenti del novecento Gaetano spinelli e Francesco speranza.

ria, ma in tutt’altra rappresentazione, la statuaria robusta e fiabesca, mitologica e graffiante, di Roberto montemurro, dai leggendari destrieri con “Guerrieri” e “Cavalieri” anche marini, a cui si af-fiancano i legni in noce, dalle forme conchiuse e rotondeggianti, ludiche e ironiche, dell’imprevedibile michele Di pinto, con un “Ciclista” esultante all’arrivo, e la coppia di due “nudi”. ma la magia è anche epica, fascino suggestivo, eroismo sacrale, perciò gli attori si vestono da paladini quando mimmo Fiorelli sorprende con un’ico-nografia impressionante per la durezza e la spigolosità segnica, che si dramma-

tizza di un colore bluastro con il suo “santo col dragone”. naturalmente l’itinerario è variegato di aure intimiste, con punte narrative che raccolgono tutta l’atmosfera di sottili vibrazioni, come il silenzio di uno studio: quello di benito Gallo maresca, affollato dai mille oggetti inanimati e palpitanti di una civiltà agreste indimenticata, sotto la coltre opalescente degli anni; diver-samente dall’euforia che irrompe pre-potente in una stanza assolata, come la vede Franco Rutigliano al “Risveglio” mattutino, con il chiacchiericcio spen-sierato di due giovanissime discinte a fare toilette. Che chiudono piacevol-

mente la panoramica riassuntiva delle presenze di questo primo incontro (...)».

e qui concludo, con il sentirmi sin-ceramente rammaricato per gli Amici, nel frattempo avventuratisi per i Campi Elisi della beatitudine: mimmo Fio-relli, Leo morelli, michele Depalma, Renato nosek e matteo masiello, che – son certo – distogliendosi dal fitto colloquiare, guardandomi dall’Alto, si rallegreranno con me per averli ricor-dati; finché verrà il giorno che m’appa-rirà quel «tristo mietitore»... e tutti as-sieme, ricostituendo la brigata, ci fa-remo compagnia.

Michele Di Pinto, «Il Ciclista», 2008, legno di noce

Pietro Guida, «Orfeo e Euridice», 2006, cm.45x35x25, cemento

Roberto Montemurro, «Cavaliere Rosso», 2007, cm. 50 x 43, terra-cotta policroma

(dalla pagina 2)Pentagrammi ... per l’Arte visiva

(dalla pagina 3)Cala il sipario sulle rappresentazioni...

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Itinerari tra dolmen e la conoscenza segreta di Federico IIFelice Laudadio

Una grande lastra di pietra, posta orizzontalmente su due lastre verticali e conficcata nel suolo, a for-mare una «cella», collegata all’esterno da un corri-doio scoperto (dromos), che può proseguire per al-cuni metri. i più attenti ritroveranno in questa asciutta descrizione l’immagine di un dolmen, nella sua forma più semplice. si tratta delle caratteristiche costruzioni megalitiche realizzate dall’uomo nell’età del bronzo (dal 30mila al 10mila avanti Cristo), con la funzione di sepolcro-altare e che derivano il nome da un termine bretone, che significa «tavola di pie-tra». se ne incontrano ben cinque in agro di bisce-glie, tra i più significativi manufatti del genere in europa, come si legge in una guida turistica d’antan, un libricino del pubblicista biscegliese mario Co-smai, pubblicato nel 1999 da Levante editori (88 pa-gine) e uscito dal sempre generoso archivio-cornuco-pia della casa editrice barese.

È un volumetto che già da lontano sembra prove-nire dall’altro millennio, sebbene la pubblicazione stessa abbia alle spalle appena vent’anni. La grafica in genere, i caratteri tipografici, l’impaginazione, le fotografie in opaco bianco-nero costituiscono un in-sieme datato, un prodotto «di una volta», una cosa antica. All’insieme retrò sfugge del resto la sola co-pertina, che riproduce a colori una bella immagine dell’esterno della chiesa di santa margherita, con le tombe della famiglia Falconi sormontate da baldac-chini romanici (uno elegante e classico, l’altro più bizzarro e orientaleggiante). il titolo reca, a caratteri rossi, «bisceglie turistica».

Vediamo come Cosmai presenta i dolmen bisce-gliesi, dopo aver riassunto efficacemente la storia, i personaggi, l’architettura religiosa e civile della cit-tadina sull’Adriatico, che deve il nome alla deforma-zione del latino popolare biscilia, quercia, dagli al-beri che abbondavano in zona.

in puglia sorgono una ventina di dolmen, ma quelli di bisceglie costituiscono il complesso più impor-tante. Vennero edificati in luoghi elevati e, dall’orien-tamento rigorosamente a levante, si ritengono dedi-cati al culto del sole. Qui sono grandi e suggestivi, commenta Cosmai, che restringe alla bretagna, in europa, e al nordafrica, persia e india, la presenza di queste testimonianze eneolitiche.

il dolmen dei paladini è un grosso manufatto ora privo di corridoio, vi è stato rinvenuto quale unico reperto un frammento di vaso, che doveva contenere materiale colorante, in uso nei riti.

Quello di Albarosa, sulla via per Ruvo, è un tipico tumulus-dolmen sepolcrale. È collocato in una «spec-chia» – nelle campagne biscegliesi sono una ventina, probabilmente tutti collegati a un dolmen – cumuli di pietre posti artificialmente dai popoli dolmenici, per nascondere o preservare le tombe. numerosi i resti

custoditi, tra i quali resti di ossa umane. nel dolmen della Chianca, il più grande e ben con-

servato d’europa, rinvenuto nel 1909, sono stati ri-trovati molti reperti, compresi gli scheletri interi di adulti e bambini, nell’ampia cella, alta nel punto più elevato ben metri 1,80.

monchi e meno ben tenuti, possono essere visitati anche i dolmen di Frisari e di Giano, maltrattati pur-troppo dal tempo e manomessi dai discendenti degli edificatori, per appropriarsi delle pietre che li com-ponevano e utilizzarle per altri scopi.

Vandali inconsapevoli ma pur sempre dolmenicidi i biscegliesi dei secoli post neolitici. Del resto, per rispettare se non anche valorizzare adeguatamente il patrimonio che il tempo ci ha affidato, occorre man-tenere un grande legame affettivo con il passato op-pure comprendere e fare propria l’eredità culturale di chi ci ha preceduti, compito questo dello studio o, se vogliamo, della scuola. e qui ha giocato un ruolo fondamentale, negli ultimi secoli, prima la riscoperta del valore della produzione artistico-architettonica degli antichi greci e latini, attutata dal neoclassici-smo, poi la riscoperta della conoscenza di quei secoli ad opera del romanticismo europeo, che ha mante-nuto una salda base ideologica e didattica tra i cultori delle lettere classiche in ambiente germanico. È cu-rioso che un popolo tanto cinico durante i conflitti si distingua per il rispetto e la ricerca di quanto realiz-zato prima di noi.

non sembra perciò inadeguato trovare, sempre tra i prodotti storici di casa Levante, una pubblicazione totalmente in lingua tedesca, – d’altra parte la guida di bisceglie, di cui sopra, propone anche testi in in-glese, francese e tedesco – un gran libro illustrato, «Das geheimnis des stauferkönigs: der letzte der pharaonen» (ottobre 1999, 256 pagine, 167 imma-gini a colori), fuori collana e a firma di Vincenzo Dell’Aere, Giuseppe Farina e peter J. osborne.

sotto il titolo «il segreto dell’imperatore svevo: l’ultimo dei faraoni», un itinerario affascinante, sto-rico, artistico, architettonico, esoterico, nel mondo di Federico ii di svevia, Stupor Mundi, Puer Apuliae. Visite alle chiese e conventi di tutta europa e un pas-saggio nell’atmosfera misteriosa dei rituali di inizia-zione degli ordini monastico-cavallereschi medioe-vali. Cosa c’è all’interno di Castel del monte? Quale è stato il dono prezioso del sultano, che il padre e il nonno avevano cercato invano in Terra santa? per quale ragione è tanto diffuso in puglia il culto della madonna nera?

perché templari e cavalieri teutonici sorveglia-vano i santuari e che cosa volevano «proteggere»? Dov’è morto lo svevo? nel solstizio d’estate del 1240, gli ordini più potenti dell’epoca scelsero l’im-peratore come Grande maestro e gli giurarono eterna fedeltà. il sovrano aveva raggiunto la «conoscenza segreta».

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pag. 6 / Aprile 2020 Pentagrammi

Telemaco, Eucaride e Covid-19 al vaglio di Jacques-louis david e Alessandro Argentina

Gianni Cavalli

Viviamo in una società strana in cui talune persone redigono articoli affermando: «secondo lo storico si-gnor X, in un certo periodo, vi furono avvenimenti»; e sembra quasi che lo storico abbia fatto loro una speciale telefonata per renderli partecipi di cose accadute. non sarebbe più facile, anche eticamente più corretto, citare la fonte cartacea da cui si è «co-piata» la notizia? Anche questo si deve attribuire al coronavirus?

per fortuna vi sono persone coerenti e corrette, come l’arti-sta Alessandro Argentina, nato a brindisi nel 1968 e stabilitosi a Francavilla Fontana, dove al momento risiede. scrittore, cul-tore delle immagini d’epoca; pittore impegnato a rivalutare un periodo fecondo della nostra arte, manierismo Cinquecente-sco, rivisitato secondo canoni moderni; valente restauratore di opere d’arte in legno e cartape-sta, oltre che di dipinti ad olio, sua grande passione. Artista completo non per definizione di maniera, ma per meriti sul campo. Argentina è il classico uomo che tutte le donne vorrebbero, anche come marito (certo, è un individuo dall’aspetto gradevole, ma questo non basta!), dal momento che non sa cosa sia la noia e non passa la vita a desiderare cose impossibili, ma cerca di realizzare tangibilmente i suoi sogni, con concretezza e amore viscerale verso ogni espressione della vita. Alessandro, alcuni giorni fa, mi ha inviato su whatsapp un quadro con la scritta «Telemaco ed Eucaride», un olio su tela cm. 100x100, che non dimentichi facil-mente, avvinto da una sinfonia di colori. Ho chiamato Argentina sul cellulare per capire il perché di questa te-matica ispirazione e lui candidamente mi ha confessato di aver avuto come riferimento (quello che dicevo prima a proposito di eticamente corretto) un quadro del noto pittore francese Jacques-Louis David (1748, parigi - 1825, bruxelles), dal titolo «L’arrivederci di Telemaco ed Eucaride». io conoscevo l’artista David perché anni fa, in uno scritto sulla «Rivoluzione francese», mi ero imbattuto nel pittore, considerato amico di Robespierre e figura di primo piano nella Rivoluzione. Totale esti-matore di napo leone (al Louvre giganteggia una «Inco-ronazione di Napoleone» – 6,21x9,79 metri), alla ca-duta del nativo di Ajaccio, fu accusato e condannato come regicida, ma grazie a qualche «aiutino» (gli amici sono sempre una grande opportunità ieri, oggi e dopo-domani!), riuscì a giungere a bruxelles, dove realizzò

una stupenda opera, «Marat assassinato» (cm. 162x128), nota nel mondo per un «brutale» realismo di immagini. Tutto ciò premesso non riuscivo a capire per-ché David avesse realizzato un quadro con Telemaco ed eucaride. La sua ispirazione non trovava riscontro nei miei appunti mitologici e nozioni storiche. Ho pensato di rivolgermi a Francesco De martino, appena suffi-ciente come amico, ma efficientissimo come «pozzo di

scienza» (definizione di una sua allieva, la professoressa Dorella Cianci). La sua è stata una ge-niale, intuitiva illuminazione: «Gianni, probabilmente vi è un romanzo di Fénelon, “Le avven-ture di Telemaco”, in cui può es-sere descritto l’episodio». Con baldanza, non ho detto arro-ganza, ho fatto presente a Fran-cesco che Fénelon Francois de salignac de la mothe, scrittore e teologo francese, era famoso per una tradizionale opera pedago-gica, «L’educazione delle fan-ciulle», in cui la donna era «con-siderata» poco, per usare un eufemismo («L’uomo si agita, Dio lo conduce», Fénelon). poi, in parte ripresomi e rinsavito, ho chiesto: «Francesco, ma se-

condo te in che epoca è vissuto?»; «penso i primi anni del ’600», la risposta. il dubbio atroce che avesse, come quasi sempre, ragione, mi ha portato a rapida consulta-zione cartacea. Fénelon, nato nel 1651, ha pubblicato nel 1699 un romanzo dal titolo «Le avventure di Tele-maco», una critica neppure troppo velata alla politica belligerante di Luigi XiV. prima di approfondire bene la trama ho chiamato Francesco per informarlo che la sua intuizione era esatta, rendendolo molto contento, direi euforico, eccitato, ottimista, lui che è depresso da quando lo conosco e, sono parole del santo Delio, è «af-flitto da clinomania» (per la serie, «l’amicizia è l’am-pliamento dell’io», Aristotele).

in questo romanzo il protagonista Telemaco (colui che combatte lontano), figlio di Ulisse eroe dell’odis-sea, intraprende un viaggio sotto la guida del suo istitu-tore mentore, per visitare paesi lontani e comprendere se sono amministrati nell’interesse del popolo (la storia è vecchia) o dei governanti. Telemaco è giovane e, come avviene quando si viaggia molto, conosce tante ragazze e una di queste, la ninfa eucaride, desta il suo interesse. i due ragazzi si innamorano (anche questa storia è vecchia) e diventano amanti. ma Telemaco, chiamato dal dovere, deve partire (storia vecchia?) e mette al corrente la sua giovanissima compagna (questa storia sembra attuale!) che devono lasciarsi. proprio

Alessandro Argentina, «Telemaco ed Eu-caride», cm. 100x100, olio su tela

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nell’isola di Calipso, in una grotta, avviene il distacco e la ninfa ab-braccia il suo eroe per convincerlo a restare, poggiando la sua testa sulla spalla muscolosa del figlio di pene-lope (onestamente non so se nel ro-manzo penelope riveste ancora il ruolo di madre; infatti i romanzieri godono di «carta bianca»).

La tela di David è esposta al Getty Center di Los Angeles, con data esecuzione 1818 (for-mato cm. 88,3x103,2; anche su questi numeri ci sarebbero tante cose da dire, ma mi limiterò a prenderle in esame solo in avve-nire, con uno scritto a parte).

Dopo alcune riflessioni (a volte anch’io medito) reputo di aver percepito il motivo per cui il pittore David si sia ispirato, per la sua opera «L’arrivederci di Telemaco ed Eucaride», al ro-manzo di Fénelon «Le avventure di Telemaco». David nel suo pe-riodo «rivoluzionario» aveva conosciuto un letterato-giornali-sta, con idee simili alle sue, di nome marc-Antoine Jullien de paris (parigi, 1775-1848), il quale dovette interrompere gli studi a navarra per «colpa» della Rivoluzione francese. Jullien, divenuto membro dei Giacobini, anni dopo accompagnò napoleone in egitto e successiva-mente, acquistata fama e prestigio, fu nominato segretario particolare del Governo del generale Cham-pionnet nel 1799, e nel 1803 ot-tenne, pensate un poco, la Legione d’onore. nonostante queste bene-merenze il giornalista-letterato fu arrestato nel 1813 per l’opposizione all’impero. Questa fu la molla, a mio modesto parere, che fece scat-tare l’intuizione in David di servirsi del romanzo di Fénelon, critico verso il sistema al potere, per espri-mere solidarietà all’amico Jullien e contestare, in proprio per la parte di sua pertinenza, l’operato di coloro che erano al potere. non dimenti-chiamo che nel 1818, data in cui esegue l’opera, David era già ripa-rato a bruxelles per salvare la pelle; morirà sette anni dopo senza poter tornare a rivedere la sua amata pa-rigi. pensate, il pittore David nasce nel 1748, il suo amico Jullien muore esattamente nel 1848, precisamente

un secolo dopo. sono coincidenze che il sottoscritto, ancora sotto l’in-flusso delle predizioni di nostrada-mus frequentate ultimamente, non può ignorare.

Cosa ha spinto Argentina a dipin-gere l’olio «Telemaco ed eucaride», dando una propria interpretazione dell’opera di David? Vediamo di as-segnare un ruolo ad ogni protagoni-

sta in questa storia, in modo da ri-spettare, se non fedelmente, almeno a grandi tratti il pensiero del mio amico Alessandro. il Covid-19 può ben essere rappresentato dai proci (dal latino procus, pretendente), quei signori che, pur essendo prin-cipi di itaca, credendo morto Ulisse, da perfetti parassiti (la scelta di un riscontro in questo caso potrebbe spaziare Urbi et orbi, per cui «so-prassediamo») si installarono nel suo palazzo, aspirando alla mano di penelope. penelope è l’italia, digni-tosa, generosa, devota, credente, at-taccata alla tradizione, fedele nei secoli, con i suoi Carabinieri. Tele-maco è la Cina che, pur di conqui-stare il mondo, si avventura per «una via della seta» contagiando ogni paese in cui fa tappa, dimenti-cando che la madre italia-penelope non si lascia mai sola, tenuto nel de-bito conto con quanto affetto sono stati accolti in italia i suoi fratelli, dove hanno appreso il nostro ge-niale modo di produrre e lo hanno

riprodotto su ampia scala a casa loro; con immediato realizzo econo-mico e senza troppi, sacrosanti, ri-spetti sindacali. Ulisse non può che essere la Germania, fredda e calco-latrice, che segue, con misurato e saccente «qualunquismo», l’evol-versi della situazione, pronta, nel momento della resa dei conti, a sfruttare, a proprio vantaggio, ogni

piccolo cambiamento di situa-zione (da non trascurare che non è la signora Angela merkel a in-dossare i panni della «prepo-tente», ma un popolo tedesco da sempre, senza fare riferimento a «Deutschland uber alles», tradi-zionalista-nazionalista). euca-ride si riflette nella seducente Francia di macron, la quale si concede col contagocce e non nasconde di negoziare con la Cina-Telemaco, ma si ferma, in attesa degli eventi, per recitare una parte consona al proprio modo di «darsi»; mi concedo a piccole dosi per fare la parte della sedotta e abbandonata: macron è abilissimo nell’appa-rire come un «bidonato» dagli eventi e dalla storia, invece è un valente professionista del poker (le cui carte, sembra, siano «di-stribuite» dalla moglie). La parte

di mentore, il precettore che accom-pagna Telemaco-Cina, si addice all’inghilterra, sempre pronta a pontificare, a specchiarsi, a far da sola, in virtù di una superiorità fi-sica, a volte nemmeno manifestata sulla carta, che è nel DnA degli in-glesi: maestri perchè fedeli alla Re-gina da sempre («God save the Queen»; non tutti sanno che è previ-sto, in caso di erede maschio, un King, per sostituire Queen; immagi-narsi Carlo, sua Altezza Reale il principe del Galles, King…, ri-chiede un notevole «humor britan-nico»). Chiaramente non mi per-metto di dire cattivi maestri, ma un buon insegnante dovrebbe far pre-sente a tutti che la «mamma è sem-pre la mamma»; penso siano gli unici a non sapere che «Dio, non potendo essere in ogni luogo, creò le madri». in attesa della repri-menda da parte della Chiesa catto-lica, preciso che quest’ultima deve

Alessandro Argentina al lavoro nel suo studio

(continua a pagina 8)

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comunque accettare che, dalle parti delle bianche scogliere di Dover, prevalga la religione anglicana.

A voler essere proprio pedanti, la parte di eumeo, il guardiano dei porci che omero inserisce nella sua opera come esempio di fedeltà al padrone, e che accoglie con prodi-galità il mendicante, ignorando che sotto quelle spoglie si nasconde il padrone da lui venerato, si addice alla spagna.

Quella spagna laboriosa, impos-sibile da non amare, che si può identificare nelle mani di eumeo, che, mentre parla con il mendicante Ulisse, continua a lavorare il cuoio per completare i sandali.

eumeo, nella sua assoluta devo-zione al padrone Ulisse-Germania, non dimentica di far presente che ha cercato di difendere gli interessi di penelope-italia, anzi ci tiene a pre-cisare che i rapporti sono stati sem-pre buoni.

A questo punto risulta evidente che il nemico da battere è il Corona-virus-proci, per cui remare con fina-lità di intenti, tutti insieme, non lo dice la storia, che spesso ha sba-gliato interpretazioni, ma quella

saggezza (la nostra vecchia, cara amabile europa) che non può igno-rare che Aristofane – commedio-grafo greco, 450 (?) a.C. – nelle Ve-spe fa impersonare, ai pungiglioni di questi insetti, proprio i giudici popolari dei tribunali ateniesi, spesso chiamati a dirimere i legami e i contrasti tra padre e figlio.

Aristofane ci regala una frase che sembra un inno al rispetto reci-proco: «il saggio impara molte cose dai suoi nemici».

Questo pensiero, pronunciato venticinque secoli fa, dovrebbe fare arrossire di vergogna tutti i popoli europei che contribuirono anni fa al massacro di una Grecia colpevole solo di aver bisogno di aiuto. Un aiuto che fu elargito come elemo-sina.

se l’europa deve e dovrà essere quella magnifica entità pensata dai nostri nobili padri, nessuno può o potrà ergersi a maramaldo di altri fratelli, ma si dovrà sempre trovare, insieme, la forza per sconfiggere il «male-coronavirus», nello speci-fico; quel male che, sono certo, verrà sconfitto dall’intelligenza del Vecchio Continente che ha avuto il coraggio e l’ardire di andare alla ri-cerca del nuovo mondo.

per l’armonia del mondo è ne-cessario che ognuno reciti il ruolo che la storia e le circostanze esi-gono, come un buon pater familias che ama, indistintamente, tutti i suoi figli e indica loro la strada migliore per vivere, lavorando, dignitosa-mente. Chi sbaglia pagherà le con-seguenze, ma la legge deve essere uguale per tutti, e le attenuanti vanno verificate caso per caso. sull’armonia del mondo vi è una frase di Foscolo, che non brillava certo per l’ottimismo, meritevole di essere sbandierata come monito da tutti gli stati dell’europa: «L’uni-verso si controbilancia. Le nazioni si divorano, perchè una non po-trebbe sussistere senza i cadaveri dell’altra».

Ugo Foscolo morì nel 1827 a Londra, era nato a Zante in Grecia, e in due secoli vi sono state tante «sciagure» naturali o provocate dall’avidità dell’uomo che dovreb-bero fungere da ottimo deterrente per oggi, domani e dopodomani.

ora, se qualcuno osa sperare che Alessandro Argentina convochi una conferenza stampa per precisare che la mia interpretazione va oltre il suo pensiero, sappia che Alessandro fa suo il motto: «Semper fidelis».

Donato Forenza

Tutte le celebrazioni della 50a edizione della Gior-nata mondiale della Terra, Earth Day 2020, si sono svolte in dirette streaming, a causa del lockdown in-dotto dalla pandemia Covid-19. importanti incontri, straordinari seminari internazionali, dibattiti, musica: creative modalità per riflettere sulla salvaguardia del pianeta e delle sue risorse. La Giornata della Terra, pro-clamata dall’onu nel 1970, avrebbe dovuto svolgersi il 22 aprile, con manifestazioni in 193 paesi, organizzate da 75.000 soggetti aderenti, ma ha dovuto «spostarsi» su internet. L’italia ha aperto le celebrazioni mondiali, dedicandole a papa Francesco, nel quinto anniversario dell’enciclica Laudato sì. il tema fondamentale della Giornata è stato il riscaldamento globale. È un problema rilevante, che l’umanità affronta ormai da alcuni anni, in simbiosi planetaria. su internet hanno effettuato gli interventi noti personaggi, tra i quali barack obama, Leonardo Di Caprio, Greta Thunberg, il potsdam insti-tute, il ministro sergio Costa, e altri referenti di vari or-ganismi internazionali.

Anche il national Geographic ha dedicato una mara-tona scientifica. Fra i protagonisti, si annoverano il

mondo dell’industria, con enel Green power, Global product innovation di Levi strauss & Co, bmW italia, e alcuni docenti universitari. La ricerca e la scienza evi-denziano, da qualche decennio, che la notevole crisi ambientale e climatica che si sta verificando è correlata con i sistemi di produzione e consumo spesso antiecolo-gici, che seguono ritmi inconciliabili con gli ecosistemi e la sostenibilità del pianeta. L’equilibrio ambientale è caratterizzato da cicli naturali secolari. Va ribadito che i sistemi dell’innovazione possono essere validi stru-menti principali di positivi cambiamenti, ponendo l’Uomo quale fulcro centrale della protezione dell’am-biente, non solo dal punto di vista tecnologico, ma an-che nelle dimensioni sociali ed economiche; è necessa-rio orientare le risorse verso lo sviluppo sostenibile, mediante nuovi algoritmi di innovazione, fornendo esempi concreti di sostenibilità, best practice, eccel-lenze made in italy e produzione di energia da fonti rin-novabili. occorrono programmi per valorizzare vivacità culturale e imprenditoriale. Le istituzioni, inoltre, de-vono implementare nuove modalità di interazione, di comunicazione e di lavoro. La fase di crisi può e deve sollecitare preziosi processi di rigenerazione, rinnova-mento e sostenibilità, per salvare il nostro pianeta.

Earth Day 2020 – 50a Giornata Mondiale della Terra

(dalla pagina 7)

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Ricordo di Franco ScaramuzziVittorio Marzi

«La vita è come un racconto: ciò che conta non è la sua lunghezza, ma la sua importanza. Anche vecchi e canuti combattiamo» (Lucio Anneo seneca, De Otio, De tranquil-litate animi).

Una carriera accademica prestigiosa, quella di Franco scaramuzzi (1926-2020), professore emerito e medaglia d’oro dell’Università di Firenze. Dal 1986 al 2014 è stato il tredicesimo presidente nella storia della prestigiosa Acca-demia dei Georgofili, divenendone in seguito presidente onorario. L’Accademia, fondata nel 1753, ha festeggiato nel 2003, con una solenne cerimonia, 250 anni di vita, in-tensamente dedicata al progresso dell’agricoltura, come nelle sue parole. «Un quarto di millennio, pieno di grandi eventi e di importanti innovazioni che hanno lasciato segni profondi, rimane ora alle nostre spalle. Consapevole delle nuove sfide che sono all’orizzonte, sempre più complesse, l’Accademia celebra questo anniversario come ul-teriore punto di partenza con reiterato impegno, cercando di rinnovarsi ed adeguare gli strumenti, i metodi di la-voro e la propria organizzazione».

Franco scaramuzzi è stato insignito di medaglia d’oro, nel 1983, dal presi-dente della Repubblica italiana, quale «benemerito per la scuola e la Cul-tura»; e nel 1998 ha ricevuto l’impor-tante onorificenza dell’ordine al me-rito della Repubblica italiana, «Cava-liere di Gran Croce». per molti anni è stato presidente del Comitato nazio-nale per le scienze Agrarie del CnR.

per ben 12 anni, dal 1979 al 1991, è stato magnifico Rettore dell’Ateneo di Firenze. L’elezione avvenne in un momento di grande disagio politico e di continui moti studenteschi. era arri-vato alla nomina senza compromessi, libero di muoversi e con immenso coraggio nel ristabilire l’ordine, anche attra-verso provvedimenti impopolari.

Franco scaramuzzi, di antica famiglia barese, giovanis-simo conseguì, nel 1948, la laurea in scienze Agrarie, con il massimo dei voti e la lode, nella facoltà di scienze agrarie dell’Università di bari, con una tesi sperimentale sulla flora infestante le colture agrarie, e dignità di stampa della tesi nel Nuovo Giornale Botanico Italiano, un riconoscimento all’impegno di giovane e promettente studioso. subito, gli fu proposta una borsa di studio del ministero dell’Agricol-tura e Foreste per frequentare l’istituto di Coltivazioni arbo-ree di Firenze, sotto la guida del prof. Alessandro morettini. Fortemente impegnato nella ricerca scientifica, nel 1954 scaramuzzi, a 28 anni, conseguì la libera docenza in Colti-vazioni arboree, e nel 1959, a soli 33 anni, il «giovane pro-fessore» divenne ordinario.

La sua attività scientifica è stata dedicata soprattutto al

miglioramento genetico e alla propagazione delle specie le-gnose da frutto, con particolare riguardo a temi di studio della biologia appli-cata. Ha pubbli-cato oltre 200 la-vori e ha parteci-pato, quale rela-tore, a numerosi congressi scien-tifici in italia e all’estero. Ha visitato e compiuto soggiorni di studio presso numerose istituzioni e Centri di ricerca in

tutti i paesi europei, nonché in Ame-rica (Canada, stati Uniti, America La-tina), in Australia, in numerosi paesi dell’Africa (nord, centro e sud) e dell’Asia (medio oriente, india, indo-cina, Giappone, Cina). membro di nu-merose Accademie italiane e straniere, tra le quali l’Accademia delle scienze Agrarie dell’Unione sovietica (e oggi della Russia), è stato presidente Gene-rale e successivamente presidente onorario della società orticola ita-liana, così come dell’Accademia ita-liana della Vite e del Vino. nel 1986 è stato presidente dell’international so-ciety for Horticultural sciences (isHs), della quale, massima istitu-zione mondiale del suo settore disci-plinare, è stato «Honorary member». L’Università di bucarest gli ha confe-rito la Laurea Honoris Causa.

Franco scaramuzzi ha diretto per molti anni la «Rivista dell’ortoflorofrutticoltura italiana» (oggi «Advances in Horticultural science»). in qualità di presidente (1986-2014) dell’Accademia dei Georgofili, storica istituzione fiorentina che da oltre 250 anni pro-muove studi e ricerche per l’evoluzione dell’agricoltura, Franco scaramuzzi è stato infaticabile. nel suo lungo pe-riodo alla guida di questa rilevante istituzione, egli ha messo in risalto le sue capacità manageriali, ha fatto circolare le proprie idee, strenuo difensore del mondo agricolo. Da Fi-renze ha saputo inviare, a livello internazionale, il messag-gio augurale inciso sullo stendardo: «Prosperitati Publicae Augendae».

per una maggiore capillarità dell’attività dei Georgofili sul territorio nazionale e a livello internazionale, l’Accade-mia ha provveduto a realizzare, in italia, sette apposite se-zioni.

Franco Scaramuzzi (1926-2020)

Franco Scaramuzzi, brillante stu-dente a Bari

(continua a pagina 10)

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nel corso di un’esistenza così in-tensa il prof. scaramuzzi trovava le occasioni per tornare a bari e rivi-vere i momenti della sua giovinezza. pertanto, in occasione del suo no-vantesimo compleanno venne orga-nizzato, nell’aprile 2017, un incon-tro nel salone degli Affreschi dell’Ateneo barese, nel cui contesto gli furono consegnati il sigillo d’ar-gento, quale prestigioso ex-allievo dell’Università di bari, e la perga-mena di socio onorario dell’Acca-demia pugliese delle scienze.

Con la scomparsa del professore scaramuzzi, l’agricoltura italiana perde uno dei suoi massimi esperti, un uomo caratterizzato da una incre-dibile lungimiranza, che con il suo grande impegno e la sua sconfinata passione ha onorato la cultura e la scienza del nostro paese, tanto da essere insignito di una medaglia d’oro dal presidente della Repub-blica e da essere nominato Cavaliere di Gran Croce della Repubblica ita-liana. scaramuzzi è stato scienziato, intellettuale e profondo conoscitore dell’agricoltura. Fino all’ultimo ha dimostrato per il settore primario una straordinaria dedizione, donan-doci una visione sempre innovativa e proiettata verso il futuro. La comu-nità scientifica ha perso con Lui un punto di riferimento importante e prezioso.

(dalla pagina 9)

CoNsERvAToRIo dI MUsICA «N. PICCINNI» dI BARI

L’attività didattica sconfigge l’emergenzaAdriana De Serio

il Conservatorio di musica «n. piccinni» di bari impegna, da sempre, risorse a favore dei propri studenti, soprattutto se in condizioni di disagio socio-economico. Computer, tablet, ed eventuali accessori funzionali, rappresentano attualmente, in relazione alle esigenze di distanziamento sociale, mezzi indispensabili per assolvere gli impegni formativi; tali stru-menti informatici devono presentare, quindi, peculiari carat-teristiche di idoneità per efficienza e sicurezza, in relazione agli standards ottimali richiesti per l’effettuazione di un’effi-cace attività di didattica a distanza, particolarmente specifica in riferimento al settore musicale.

in ossequio alle disposizioni di legge relative all’emer-genza Covid-19, il Conservatorio di musica di bari, istituto di Alta Formazione musicale, ha istituito una procedura finaliz-zata all’erogazione di contributi straordinari, destinati agli al-

lievi, per l’acquisto o il potenziamento di strumentazione hard ware, software e accessoria, per agevolare la fruizione e la pratica della didattica a distanza. possono richiedere l’asse-gnazione del contributo gli studenti in possesso dei seguenti requisiti: iscrizione e frequenza a corsi di previgente ordina-mento, accademici, propedeutici, preaccademici, attivati presso il Conservatorio barese; situazione economica equiva-lente (isee) del nucleo familiare di appartenenza, presentata con l’iscrizione all’a.a. 2019/2020 e in corso di validità. Ai fini dell’assegnazione dei contributi agli allievi il Conservato-rio stilerà apposita graduatoria, con assegnazione di punteggi determinati secondo modalità di calcolo reddituale isee, pubblicate sul sito web del Conservatorio. Le domande di par-tecipazione alla selezione vanno redatte su apposito modulo allegato al bando, pubblicato sul sito web del Conservatorio barese, e inviate entro e non oltre il 15 maggio, all’indirizzo e secondo le modalità pubblicate sul medesimo sito.

Franco Scaramuzzi, sempre gio-vane e grande Professore a Firenze

Davis, California, agosto 1986. Il prof. H.B. Tukey, Presidente uscente della ISHS, passa le con-segne al nuovo Presidente Scara-muzzi.

Sezioni dell’Accademia dei Geor-gofili in Italia

Da sinistra: Prof. Vittorio Marzi, Presidente Accademia dei Georgo-fili Sezione Sud Est; Prof. Franco Scaramuzzi; Prof. Eugenio Scan-dale, Presidente Accademia Pu-gliese delle Scienze

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Pentagrammi pag. 11 / Aprile 2020

Sostenibilità e Pianificazione ecologica del Sistema PaesaggioDonato Forenza

La Gestione sostenibile (Ges) dei sistemi ambientali, paesaggistici e territoriali, può essere implementata attra-verso la programmazione ecologica ed economica di ambiti del territorio. i sistemi metropolitani, gli ecosistemi urbani e naturali, le foreste e il territorio rurale, costituiscono un con-tinuum di equilibri bioecologici, la cui sostenibilità e ge-stione conservativa e innovativa è indispensabile per la pro-tezione dell’ingegneria del paesaggio e Tutela della biodi-versità (Forenza, 2014). La Gestione sostenibile può essere fondata sulle complesse normative del Diritto e sulle leggi dell’ecologia e dell’economia, in connessione con la pro-gettazione Ambientale integrata (pAi). L’attuazione della sostenibilità può essere realizzata mediante strumenti di pia-nificazione che prevedano, in primis, la Conservazione della natura e assicurino, anche con l’ausilio virtuoso di una nuova Legislazione ambientale, gli equilibri bioecologici degli ecosistemi urbani, territoriali e forestali, in armonia con le poliedriche dinamiche sociali ed economiche del si-stema Ambiente / paesaggio / Territorio [s(ApT)]. in tale contesto sintagmatico, in rapida evoluzione, è opportuno analizzare epistemologicamente gli assiomi della Carta Co-stituzionale italiana, le normative europee e i principi mon-diali dello sviluppo sostenibile, per formulare approcci er-meneutici alle differenti formule di gestione (locale e glo-cale) delle molteplici attività nel nostro straordinario paese. L’italia è ricca di biodiversità ed è caratterizzata da arte, bellezza e paesaggi eccezionali, che offrono testimonianze mondiali, con ben 55 siti UnesCo. per sancire gli equilibri olistici del sistema [s(ApT)] e per la formulazione di siner-gia delle interazioni uomo / ambiente / vegetazione / paesag-gio, tra gli elementi fondamentali della Ges, nella pianifica-zione ambientale territoriale, è opportuno analizzare alcuni fattori interconnessi, con i quali è possibile creare matrici di algoritmi multiobiettivo: - il sistema «territorio», in rela-zione alle sue dimensioni biogeografiche, paesaggistiche e culturali, correlate con le condizioni sociali ed economiche e i piani industriali; - il sistema ambientale e paesaggistico agricolo e forestale, il mosaico habitat-vegetazione e la su-scettibilità alla Valorizzazione sostenibile, in sinergia con i sistemi di produzione sostenibile (sipso); - il sistema Uomo, quale rilevante presenza di fonte di Cultura del terri-torio e di scambi multifunzionali di energia, derivanti dalle sue molteplici attività, e il grado di protezione integrata del Territorio (prinTer) e del sistema salute; - i sistemi innova-tivi industriali e metodi utili per l’organizzazione funzionale, la Ges, la Difesa ambientale, con produzione industriale, agricola e forestale; - il sistema di tutela della salute e di si-mulazione di rischi e danni ambientali derivanti da calamità naturali e antropiche, i criteri spazio-temporali di previsione e Gestione Ambientale, in osmosi con servizi dell’emer-genza, solidarietà ed economia circolare.

Le conseguenze e gli squilibri bioecologici e abiotici di azioni deleterie inferte sui territori sovente si traducono in processi insostenibili; siccità, povertà, epidemie, incendi e inquinamenti, uso improprio del suolo, si registrano anche in città, negli ecosistemi forestali e nelle Foreste Urbane.

Tali eventi causano gap di catene trofiche e di sistemi com-plessi, deficit funzionale dei servizi ecosistemici Ambien-tali (seAm) e di produzione industriale ed energetica. La Gestione Forestale sostenibile deve essere implementata senza dilazione. Gli impatti derivanti da attività antropiche correlate con i processi di valorizzazione urbana, agricola, rurale e forestale, non devono causare o indurre effetti antie-cologici sui sistemi [s(ApT)]. La Cultura dell’interdiscipli-narietà è fondamentale nella redazione di piani e strumenti urbanistici, dei piani del Verde Urbano e Foreste Urbane, di Gestione territoriale, di Cultura del paesaggio, nei piani di Assestamento forestale, nei piani industriali. La pianifica-zione delle Aree protette e dei parchi naturali deve essere correlata con la Ges e criteri polidimensionali di Conserva-zione della natura, in simbiosi con fruibilità sociale ed eco-nomica, mediante progetti integrati di Cultura del migliora-mento della Qualità della Vita. L’innesco di processi che determinano disastri idrogeologici, erosione e desertifica-zione, a causa dei cambiamenti climatici, deve essere scien-tificamente monitorato e registrato. La fenomenologia degli incendi agricoli e forestali determina perdite cospicue per i valori paesaggistici dei sistemi sociali ed economici di vaste aree. Vari meccanismi necrotici si sviluppano con rapidità quando concorre la pressione antropica, correlata con l’uso turistico-ricreativo non pianificato da programmi di sosteni-bilità di carry capacity di habitat. Va osservato che agenti nocivi, dissodamenti, inquinamenti diffusi, tagli irrazionali non conformi alla selvicoltura, carenze di cognizioni ecolo-giche nella pianificazione urbana, nella progettazione inte-grata del paesaggio, delle infrastrutture, e nell’industria, pos-sono assumere dimensioni calamitose in situazioni diacroni-che decennali. sono esempi: l’abbandono di zone montane, di vasti territori sottratti ad aree naturali e rurali, per dar luogo a costruzioni antiecologiche e/o contrastanti la Legi-slazione ambientale, l’Urbanistica e la scienza del paesag-gio. il territorio montano e collinare, che in italia rappresenta circa l’82%, deve sempre essere valorizzato e protetto quale bene ambientale prezioso; tale assioma è anche sancito nella Costituzione (art.44). il sistema della pianificazione della conservazione e della protezione, fondate su ricerca scienti-fica e sviluppo ecologico, deve convergere su forme di Ges, compatibili con la continuità della Qualità della Vita, anche nei piccoli comuni e borghi. in tale ottica, ingegneria della protezione e ecologia del paesaggio, in connubio con inge-gneria naturalistica, Architettura del paesaggio, economia rurale e forestale, possono fornire valide soluzioni a molti problemi, correlate con la sociologia montana, l’etica am-bientale, l’Agricoltura biologica e la solidarietà generazio-nale, in osservanza dello sviluppo sostenibile. Di ogni eco-sistema è opportuno conoscere la resilienza e la pianifica-zione del Life Cycle Assestment, nell’ambito della Gestione integrata sostenibile. nel contesto assiomatico della sosteni-bilità, la corretta manutenzione deve basarsi anche sulle co-noscenze e sui fattori che possono ledere le difese naturali, con rischio di distruzione. sono inderogabili la Cultura di pianificazione, Conservazione della natura e delle sue ri-sorse, interconnesse con la Cultura della Tutela della biodi-versità, bellezza e Arte.

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In attesa della fine della pandemia covid-19

la poesia di Joseph Tusiani Domenico Roscino

siamo ancora agli «arresti domiciliari» nelle nostre case, in attesa almeno dell’attenuazione dell’onda lunga del peri-coloso bubbone coronavirus-19 e della conseguente grande crisi che stiamo vivendo in ogni settore, dal sa-nitario a quello socio-culturale e turi-stico e, soprattutto nel nostro territo-rio, a quello agricolo-produttivo, oltre che in quello economico-finanziario. infatti, al di là delle varie restrizioni governative e comunali, ampiamente osservate dall’intera comunità, evi-dentemente in ricordo dei gravissimi danni e lutti provocati dalle tre stori-che tragiche epidemie di peste (1528,1656 e specialmente quella del 1690-92, che ridusse la popolazione conversanese da 18.000 a 4.000 abi-tanti, e della quale hanno parlato gli storici locali, fra cui Vito L’Abbate, autore del volume «La peste in Terra di bari, 1690-92. Cronaca e documenti», schena editore). oggi, ritornando all’epidemia in atto, in particolare nel vasto territorio conversanese e in quello cir-costante, da Rutigliano a bitonto, il settore agricolo è in forte difficoltà, condizionato seriamente dal covid-19: da un lato si avverte la necessità di approvvigionare i mercati di prodotti nostrani, d’altro canto le aziende lamentano la difficoltà, attualmente diventata vera emergenza, di trovare manodopera da mobilitare nei campi per la stagionale rac-colta di frutta e verdura fresca, essenziali e molto richieste, per le tavole casalinghe. insomma – come rivela papa Fran-cesco nelle sue quotidiane invocazioni – «questo inesora-bile virus ha cambiato per sempre la nostra vita, per cui oggi dobbiamo avere uno sguardo più lungo, non es-sere miopi, per guardare lontano e im-maginare un nuovo orizzonte econo-mico-sociale». pertanto, oggi, siamo portati a pensare che il problema fon-damentale non è tanto di superare la pandemia, poichè con gli antivirali e l’annunciato «vaccino» vi riusciremo, bensì avere la coscienza di entrare in un nuovo mondo. infatti, stiamo attra-versando un lungo tunnel, in fondo al quale appare una fievole luce, che apre i cuori alla grande speranza.

purtroppo, proprio nello stesso pe-riodo, era il sabato santo scorso, si è spenta una grande luce, quella irra-diata da un nostro conterraneo pu-gliese, nativo di san marco in Lamis, l’estroso poeta-scrittore e professore universitario Joseph Tusiani. Un

grande personaggio, che tutti riconoscono quale ambascia-tore della nostra puglia nel mondo e, soprattutto, nella grande America, dove, partito con la madre nel 1947 per conoscere il padre, emigrato negli UsA prima che egli ve-

nisse al mondo, è rimasto per oltre set-tant’anni, apprezzato e onorato come docente nei vari Atenei newyorkesi e, in particolar modo, quale latinista tra i più illustri del mondo e valentissimo traduttore, dall’italiano in inglese, dei grandi nostri poeti e scrittori, fra cui Dante, boccaccio, machiavelli, mi-chelangelo, Alfieri, pascoli, Leopardi, ecc. Dotato di una mente raffinata, il prof. Tusiani era diventato l’orgoglio di tutti i pugliesi, (anche per la sua ammirata vena poetica in dialetto gar-ganico), e soprattutto dei Lions del Club di san marco in Lamis, che fre-quentava sistematicamente quando tornava al suo nido natio, tanto da ri-

cevere l’onorificenza più ambita conferitagli quale Amico di Melvin Jones (Jones fu fondatore del Lionismo interna-zionale). e proprio in questa veste chi scrive (Lions Officer Direttore Archivio Storico Distrettuale) l’ha conosciuto e frequentato, ospite del proprio Club in occasione e nel ri-cordo delle vittime dell’atto terroristico dell’11 settembre 2001, allorché ci fece dono della sua poesia «Le Torri Ge-melle», in inglese e tradotta dal suo grande amico ed esti-matore, preside Raffaele Cera, Lions past Governatore Di-strettuale, e con essa una sua produzione letteraria, «La Padula», toponimo inerente alla zona più antica, medioe-vale, di san marco in Lamis, quando egli, fanciullino, ve-deva le cose con candore e innocenza!

Copertina del volume «La peste in Terra di Bari, 1690-92. Cronaca e documenti», di Vito L’Abbate

Joseph Tusiani

Copertina del volume «La Padula. Poesie in dialetto garganico», di Jo-seph Tusiani (a cura di Antonio Motta)