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Qualcuno ha defi nito la politica di Bossi, nei giorni
scorsi, come medievale, volendo così bollarla di un se-
gno negativo. Mi sono sentito off eso, come cittadino
prima ancora che come studioso, per tutto ciò che il
Medioevo è stato e ancora oggi rappresenta (non è
ancora oggi il nostro paesaggio architettonico un pa-
esaggio soprattutto medievale? Non ammiriamo san
Benedetto e san Francesco? Non ricordiamo alme-
no qualche verso di Dante?). Si deve invece dire che
l’equiparazione di Medioevo a barbarie, ad arretratezza,
a oscurantismo è storicamente sbagliata e storiografi -
camente impropria. È grande la civiltà classica, cioè la
civiltà pagana? Lo è certamente per i suoi pensatori, la
sua letteratura, il suo diritto, ma grandi sono stati anche
i suoi limiti, pari alla grandezza. Si pensi all’isolamento
e alla condanna di Socrate, indice di una svalutazione
totale della persona, di fronte alla morale della città, e
alla schiavitù che deriva. E così è grande il Medioevo,
pur con tutti i suoi limiti, e grande ogni epoca e insie-
me terribilmente limitata. Ci si deve allora chiedere da
dove derivi l’idea di un Medioevo oscuro e barbari-
co. Questa concezione viene certamente dal giudizio
dell’Umanesimo, che ha creduto di fare leva sui limiti
medievali per aff ermare la propria identità. L’Umane-
simo ha aff ermato un certo naturalismo contro il so-
prannaturalismo medievale, ha affi dato alla fi lologia il
compito di indagare ogni scibile; ha visto l’uomo come
capace, pur non negando la fede cristiana, di regolare
la sua vita e la sua storia, capace autonomamente di
stabilire la morale e di determinare la politica. L’altro
evento che ha dato origine all’epoca moderna è stata la
riforma di Lutero, la scissione nella tradizione cristiana,
la condanna di Roma e del papato. SEGUE A PAG 3...
ANNO 01 | N. 02 semestrale | OTTOBRE 2010
mQ
il medievista
GIUSEPPE SERGI
Il CISAM può curare
le malattie della storia?Mi sono occupato della presenza del medioevo nella cultura diff usa contemporanea in un libro recente (Antidoti all’abuso
della storia. Medioevo, medievisti, smentite, Napoli, Liguori, 2010). Riadattando al presente vari saggi dagli anni Settanta a oggi, ho
constatato che la qualità del ‘medioevo condiviso’ è purtroppo, nell’ultimo decennio, peggiorata... A PAG 2...
PERCHÉ IL MEDIOEVOIL MEDIOEVO È UN’ETÀ CHE SEMBRA CORRISPONDERE A QUALSIASI DOMANDAdi ENRICO MENESTÒ
IL MEDIOEVO? COMINCIA NEL DUEMILA.CLAUDIO LEONARDI
VERSO IL VERDETTOPER LA CANDIDATURAUNESCO A PAG 3
A NOVEMBRE IL CISAM È A UMBRIALIBRI A PAG 8
LEGGERE E SCRIVERENELL’ALTOMEDIOEVO A PAG 8
APPUNTAMENTI DEL CISAM
NEWS
«Il Medioevo inventa tutte le cose
con cui ancora stiamo facendo i
conti, le banche e la cambiale, l’or-
ganizzazione del latifondo, la struttura
dell’amministrazione e della politica
comunale, la lotta di classe e il pau-
perismo, la diatriba tra Stato e Chiesa,
l’università, il terrorismo mistico, il
processo indiziario, l’ospedale e il ve-
scovado, persino l’organizzazione tu-
ristica... compresa la guida Michelin»
(U. Eco). Se dunque il Medioevo è la
«nostra infanzia» (J. Le Goff ), è oggi
fi n troppo facile riferirsi e aspirare ad
essa, trasfi gurandola e sognandola, pur
nella consapevolezza dei vari giudizi
– spie di ansie e tormenti delle diverse
generazioni storiografi che – che via
via, dall’Umanesimo ai nostri giorni,
sono stati proposti sull’età di mezzo.
Superata l’idea di un Medioevo età
delle tenebre, si è presto scoperto un
Medioevo età della luce: e la barbarie
dei secoli bui si è così trasformata in
una tensione verso la libertà indivi-
duale prima che collettiva.
Tutti inseguiamo
l’idea del Medioevo
come specchio e alibi
del tempo presente
Ben oltre i limiti o le mistiche
metafore dei romantici, si assi-
ste oggi a un imponente revival
del Medioevo: letteratura, teatro
e musica, ma anche e soprattut-
to cinema, televisione, fumetti e
videogiochi continuano, infatti,
a riproporre un’età che diviene
una fi gura dai cento volti, che si
impone nel presente e si proietta
nel futuro.
È sotto gli occhi di tutti quanto
costante e approfondita sia or-
mai l’informazione sulla storio-
grafi a medievistica che off rono
i più grandi quotidiani italiani.
Ciò vuol dire che alcuni tra i
più acuti studiosi di quella storia
ritengono doveroso informare i
lettori sui risultati più signifi ca-
tivi della medievistica, non solo
perché molti sembrano inseguire
l’idea di riconoscersi nel Medio-
evo, specchio e alibi del tempo
presente. Il panorama delle cul-
ture attuali è dunque sempre più
intriso di Medioevo. Ma quale
Medioevo? La domanda è certa-
mente legittima, se si pensa che
accanto ad un cosiddetto Me-
dioevo rozzo, incolto, culla delle
corrusche origini germaniche
vive ed opera un Medioevo di
SEGUE A PAG 2...
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ITALIA LANGOBARDORUM
altissima e raffi nata cultura; che
ad un Medioevo mistico e devoto
si contrappone un medioevo laico
e profano; che ad un Medioevo
pieno di superstizioni corrisponde
un Medioevo assolutamente razio-
nalista, e ad un Medioevo guer-
riero uno pacifi sta. Sono interessi
ed esigenze particolari a scegliere
e a riproporre oggi uno dei tanti
Medioevi. È proprio in una siff atta
operazione che il Medioevo viene
a costituire un alibi, un alibi che
non di rado si deteriora in equivo-
co. La scoperta del Medioevo – ha
detto qualcuno – è l’approdo ad
un’isola che non esiste, dove l’uo-
mo va a cercare – o rincorrendo i
miti dell’infanzia o per sfuggire dal
tempo attuale – altre dimensioni di
se stesso. Il Medioevo, del resto, è
un’età che sembra corrispondere
sempre a qualsiasi domanda. Per
una società come la nostra che ha
02 | Quale Medioevo
PERCHÉ IL MEDIOEVO
IL MEDIOEVO È IL PASSATO PROSSIMO E L’EREDITÀ ALLA QUALE TUTTI APPARTENIAMO.
fatto del protagonismo uno dei prin-
cipali punti di riferimento, la fi gura
del cavaliere medievale – ad esempio
– è un modello pieno di attrattiva e
irresistibile. Ma quel cavaliere, che è
non solo un protagonista ma anche
un emarginato come tanti eroi più o
meno attuali di fi lms western, ha un
codice d’onore, elemento che lo rende
ancora più aff ascinante agli occhi di un
mondo che i codici d’onore ha perdu-
to da un pezzo. Egli ha in sé – come
tutto il Medioevo – una vocazione
interiore intensa e talvolta muta: agire
in nome di un ideale che si rispecchia
nell’immagine di Dio.
L’idea di un Medioevo intriso di re-
ligiosità e di desiderio di Dio, sembra
essere il vestito fatto indossare a viva
forza ad alcune tensioni in realtà attua-
lissime. Lo dimostrano, almeno, l’in-
quietudine e il fascino che esercitano
sulla coscienza moderna le tante im-
magini dell’uomo medievale intento a
misurare le proprie azioni col metro di
un Dio presentissimo e inevitabile.
Si tratta, quasi, della nostalgia di
un’epoca che, persi i puntelli di ri-
ferimento delle ideologie, resta ca-
ratterizzata dalla provvisorietà e
dall’incertezza. “Condannato” all’au-
todeterminazione, l’uomo contem-
poraneo, sia pure forte del proprio
progresso, sembra smarrito, vittima di
se stesso, condannato a un’invincibile
angoscia esistenziale. Nel fondo oscu-
Il CISAM può curarele malattie della storia?
Mi sono occupato della presenza del
medioevo nella cultura diff usa con-
temporanea in un libro recente (An-
tidoti all’abuso della storia. Medioevo,
medievisti, smentite, Napoli, Liguori,
2010). Riadattando al presente vari
saggi dagli anni Settanta a oggi, ho
constatato che la qualità del ‘medio-
evo condiviso’ è purtroppo, nell’ulti-
mo decennio, peggiorata rispetto alla
stagione della prima importazione in
Italia dei messaggi storiografi ci della
rivista «Annales» e della signifi cativa
internazionalizzazione (anni Ottan-
ta, soprattutto) della cultura storica
italiana.
Il peggioramento è da ascrivere a una
nuova, decisa strumentalizzazione
della storia, dovuta a tre cause: 1) l’
«invenzione della tradizione» non più
da parte delle grandi nazioni dell’Ot-
tocento, ma da parte di un’Europa
delle piccole patrie impegnate a co-
struire, anche con la deliberata falsi-
fi cazione, nuovi edifi ci identitari; 2)
l’esplosione del marketing territo-
riale, al servizio del quale Assessorati
al Turismo e Pro Loco hanno fatto
nascere una pletora di sagre, rievoca-
ro di questa condizione pare attecchire
e germogliare con sempre maggiore
frequenza e rigoglio l’esigenza di un
rapporto con una certezza esterna, au-
tosuffi ciente, capace di smussare la spi-
golosità del relativismo culturale. Ed è
questa esigenza ansiosa che trova il suo
simmetrico ancestrale nella certezza
dell’uomo medievale di vivere immer-
so e confortato dalla Provvidenza divi-
na, appeso a uno qualunque dei punti
di circonferenza di un circolo chiuso
di cui Dio è centro, punto d’avvio e
punto d’arrivo. La certezza, cioè, agli
estremi possibili, del monaco che, ri-
fuggendo il mondo, cerca per tutta la
vita una più piena contemplazione di
Dio, e quella dell’eretico, che, nella
propria dissidente militanza dentro
il secolo, continua a cercare un Dio
giusto e meno “istituzionale”. D’altra
parte, i desideri, le tensioni, le paure,
le angosce e gli incubi del Medioe-
vo si originavano per le stesse ragioni
per cui nascono oggi. Ecco perché di
quel Medioevo pare quasi impossibile
liberarci. Il Medioevo siamo noi stessi.
Il Medioevo, dunque, non “prossimo
venturo”, né “presente alternativo”
e neppure “passato remoto”, come
sono invece altre età della storia uma-
na, ma – stando a una felicissima intu-
izione di Ovidio Capitani – “passato
prossimo”, con una sua grande eredità
alla quale tutti apparteniamo.
Enrico Menestò
zioni storiche, palii senza alcuna pre-
occupazione di aderenza ai modelli
(presunti) medievali delle manifesta-
zioni; 3) il successo di trasmissioni
televisive sedicenti culturali che, per
garantirsi spettatori, coltivano la di-
mensione esoterico-misterica (Voya-
ger) o procedono a ricostruzioni più
attente ai gusti di massa che alla cor-
rettezza dell’informazione (Quark,
History Channel ecc.).
Da tempo si sottolinea come il me-
dioevo sia un ‘altrove’ comodo, in
cui collocare tutto ciò che ci piace
immaginare del passato più oscuro e
più diverso dal presente: lo ha aff er-
mato con forza, ancora di recente, il
medievista statunitense Patrick Geary,
frequente ospite delle Settimane e dei
Congressi del Centro Italiano di Stu-
di sull’Alto Medioevo di Spoleto. Ma
è un tema su cui non avevano manca-
to di insistere prima Georges Duby e
poi Jacques Le Goff .
Una curiosa contraddizione si riscon-
tra nelle manifestazioni folkloriche
in costume ‘medievale’, rivitalizzate
rispetto a modelli tardivi ottocente-
schi oppure create dal nulla negli ul-
timi anni: applicando approssimativi
schemi di comodo, risulta almeno in
parte ‘di destra’ la spinta a organizzare
quelle manifestazioni, che vogliono
rispolverare tradizioni in chiave no-
stalgica; d’altra parte sono spesso ‘di
sinistra’ i contenuti, con frequenti
richiami a ribellioni popolari contro
lo strapotere e gli abusi dei signori
locali (come lo ius primae noctis, che i
medievisti sanno bene non essere mai
esistito).
Alcuni studiosi del medioevo si schie-
rano a favore del «meglio che niente»:
meglio cioè che del millennio medie-
vale si parli, anche se è un
medioevo inventato, perché
in ogni caso così si fa cultu-
ra, anche se bassa. Non sono
di questo avviso, sostengo
con convinzione il «meglio
niente». Il mio sogno è che
non solo il medioevo del-
la scuola, ma anche quello
della politica, delle sagre e
della televisione sviluppi
una divulgazione ben fat-
ta – semplice ma corretta
– del medioevo che il CI-
SAM di Spoleto sta insegnando da
oltre mezzo secolo: con aspetti anche
più originali, interessanti e sorpren-
denti rispetto alla vulgata dominante.
Per evitare quella che una prestigio-
sa rivista culturale (L’Indice) ha scelto
come titolo di un suo dibattito pub-
blico: La storia come malattia.
Giuseppe Sergi
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il medievista
Quale Medioevo | 03
ITALIA LANGOBARDORUM INSEGUENDO LE TRACCE BARBARICHE DELL’ITALIA ALTOMEDIOEVALEdi MASSIMILIANO BASSETTI
Il Medioevo? Comincia nel duemila
L’«Italia Langobardorum» ci riprova. Il 18
gennaio 2010, la “rete” di siti longobardi
che consorzia centri di prima importan-
za della civiltà dei Longobardi (Cividale
del Friuli, Brescia, Castelseprio, Spoleto,
Campello sul Clitunno, Benevento e
Monte Sant’Angelo) ha di nuovo de-
positato presso il Centro del Patrimonio
Mondiale di Parigi la propria candida-
tura (l’unica italiana) per l’inclusione
nella «World Heritage List - UNESCO»
2010 di un progetto di valorizzazione del
patrimonio monumentale italiano risa-
lente all’età longobarda. Dopo il giro a
vuoto della prima candidatura del 2009,
la Fondazione CISAM ha accettato ben
volentieri di collaborare con il consorzio
all’arricchimento e al consolidamento
del dossier scientifi co del progetto, nel
tentativo di mettere a regime le indica-
zioni con le quali l’ICOMOS lo aveva
“rimandato” a ulteriore valutazione. La
straordinaria validità del nuovo progetto,
dal titolo «I longobardi in Italia. I Cen-
tri del potere (568-774 d.C.)», è fuori di
discussione. Come pure fuori di discus-
sione è il fatto che i monumenti ora can-
didati a divenire patrimonio dell’UNE-
SCO rappresentino uno spettacolare
percorso culturale in grado di fornire
un’appagante e convincente rappresen-
tazione di quella civiltà longobarda.
I monumenti
di “Italia Langobardorum”
sono una spettacolare rappresentazione
della civiltà
longobarda.
È singolare come l’Umanesimo ab-
bia rifi utato il Medioevo e abbia cerca-
to le sue radici nell’antichità cristiana,
nei classici, così come il protestantesi-
mo nell’antichità cristiana. La nostra
Claudio Leonardi è morto il 21 maggio 2010. Gli avevo chiesto durante l’ultima
settimana di studi (aprile 2010), di poter ristampare in Quale Medioevo questo
articolo apparso sul quotidiano Avvenire del 5 settembre 1999 (ha dunque più di
dieci anni), con il quale inaugurava una sua rubrica intitolata Tempo di Mezzo.
Accettò. Ora ci restano la sua saggezza, la sua sterminata cultura, il suo insostitu-
ibile insegnamento, la sua piena umanità e la sua profonda spiritualità.
Enrico Menestò
È bene ricordare, però, come tale
immagine “monumentale” sia solo
la parte emersa di una ben più vasta
piattaforma culturale longobarda sulla
quale, per due secoli, avevano insisti-
to le due Langobardiae d’Italia: quella
Maior al Nord, quella Minor al Me-
ridione. Questa comune piattaforma
poté formarsi e consolidarsi grazie
ad alcune consapevoli scelte di poli-
tica culturale (come si direbbe oggi)
imposte, al primo stanziamento nella
Penisola, dal confronto con quanto
restava dell’organizzatissima macchi-
na amministrativa dei Romani.
È il caso, in primo luogo, del diritto
tradizionale longobardo, nato a nuo-
va vita a meno di ottant’anni dalla
“fondazione” del regno longobardo
in Italia, in una data fatidica. Il 22 no-
vembre del 643, nel suo palazzo di Pa-
via, il re dei longobardi Rotari (636-
652) promulgava l’Editto che ancora
ne porta il nome e che organizzava
in un sistema coerente il patrimo-
nio normativo della natio longobarda.
Era la prima codifi cazione scritta di
leggi trasmesse, sino ad allora, solo
oralmente, tramite uomini esperti,
dei veri e propri “codici viventi”, alla
cui memoria era affi dato il complesso
delle norme. Sono questi gli «antiqui
homines», di cui dice il capitolo 386
dell’Editto, che avevano supportato il
sovrano nel riesumare le «antiquae le-
ges patrum nostrorum, quae scriptae
non erant». Questa codifi cazione fece
di Rotari un re-codifi catore, secon-
do il modello romano-imperiale di
Giustiniano, mutuando, dunque, al-
cune almeno delle categorie di rega-
lità defi nite dalla secolare tradizione
cristiano-ellenistica. Un re, dunque,
che fece le leggi, ma anche (e più)
leggi che fecero il re. Per quanto ec-
epoca sembra avere perso proprio que-
ste radici. Bisogna chiedersi per quale
ragione, anche se le risposte potranno
essere problematiche.
In verità noi assistiamo alla fi ne della
grande epoca nata con l’Umanesimo
e il Protestantesimo. La civiltà fondata
sulla ragione che ha frantumato la ra-
gione. Che sia essa a regolare positiva-
mente la morale e la politica, in questa
fi ne di secolo, non è possibile aff ermare.
L’epoca moderna, come le altre epo-
che, ha generato anche i suoi mostri:
dopo il nazi-fascismo e il comunismo,
le due guerre mondiali, i genocidi in
molte parti del mondo, il nostro tempo
appare come un tempo diverso, senza
più radici, appunto, nell’epoca antica,
senza più fi ducia nella ragione, che ha
rintracciato forze nell’atomo e nella
cellula tali da travolgere e modifi care la
natura e da distruggere la storia.
La nostra è veramente un’epoca post-
moderna. Per questo il Medioevo
torna alla nostra esperienza come un
tempo che si può comprendere sen-
za pregiudizi. La classicità è stata una
grande epoca. Platone e Aristotele rap-
presentano una conquista perenne per
l’umanità. Ora bisogna aggiungere che
anche Tommaso d’Aquino e Bonaven-
tura da Bagnoregio rappresentano una
conquista perenne, essi sono la norma
della tradizione cristiana, il punto più
alto in cui la tradizione cattolica è stata
organizzata e trasmessa.
Non è il caso che il Medioevo, nono-
stante conservi volgarmente un signifi -
cato negativo, sia da qualche anno, per
così dire, di moda. Questo sentimento
corrisponde a un’esigenza di radica-
mento, che si rivolge al Medioevo per-
ché non può più ritrovare radici nella
civiltà <classica> (non esaltava Musso-
lini i colli fatali di Roma e il nazismo
non si rifaceva ai miti della Grecia?)
e tanto meno in quella moderna, che
è quella che ora abbiamo lasciato alle
spalle. Non si vuol dire con questo che
il Medioevo rappresenti senz’altro per
l’uomo d’oggi il punto di riferimen-
to con il passato: la nostra incertezza è
oggi troppo grande per avere certezze
storiche. Il cristiano tuttavia dovrebbe
sapere di poter trovare nel Medioevo
una grande civiltà che si è formata alla
luce della fede, senza negare la ragio-
ne, e dove è possibile ancora oggi, anzi
forse proprio oggi, trovare premesse e
stimoli a ripensare la propria ragione
d’essere e la propria civiltà. Non un ri-
torno al Medioevo, ma la piena accet-
tazione del Medioevo nella storia della
civiltà e quindi nella nostra consapevo-
lezza civile e culturale.
Claudio Leonardi
cezionale, quest’opera di raccolta e
di riscrittura giuridica fu soltanto il
momento iniziale di un diritto pro-
priamente longobardo, che avrebbe
goduto di ben più larga fortuna. Il
motore di questo successo, ben misu-
rabile nella pratica documentaria, va
rintracciato nella prolifi ca scuola di
diritto fi orita presso il palazzo rega-
le di Pavia. Proprio nel cuore dell’età
dei Carolingi (tramontato, dunque,
il regno longobardo nord-italiano),
questa scuola avrebbe dato il meglio
di sé, riuscendo ad armonizzare i di-
spositivi giuridici di tradizione lon-
gobarda e la normativa più recente
promossa dai capitolari franchi e ga-
rantendo all’Editto di Rotari il salva-
condotto per altri secoli d’applicazio-
ne. Il Liber Papiensis, con i suoi estesi
commentari del pieno XI secolo, la
Lex Walcausina e l’Expositio in Librum
Papiensem, avrebbe concesso al diritto
germanico in Italia una solidità e una
certezza d’applicazione ben superiore
allo stesso diritto romano. Ne è prova
il fatto che, sino alla prima metà del
XII secolo, ormai esauriti gli altri di-
ritti germanici che pure avevano avu-
to corso (almeno quelli alamanno, sa-
lico, burgundo), le professioni di legge
longobarda, da parte degli attori della
documentazione privata, avrebbero
persino sopravanzato in numero le
dichiarazioni di vivere secundum legem
romanam. Solo la scuola (e poi lo Stu-
dium) bolognese, tramite le proprie
poderose bocche da fuoco, capeggiate
da Irnerio, Pepo e Bulgaro, avrebbe,
da ultimo, fatto tabula rasa, attorno al
Codex Iustinianus e alla sua riscoperta.
Il diritto longobardo
ha rivaleggiato
fi no al XII secolo
con quello romano.Se, dunque, scrivere la legge fu il ge-
sto di autocoscienza capace di tra-
sformare la gelatinosa struttura tri-
bale longobarda in monarchia di tipo
romano-cristiano, scrivere la storia fu il
momento naturalmente conseguente
ad esso sullo scivoloso piano inclinato
dell’identità “nazionale” così inau-
gurato. Come Giordane per i Goti,
come Gregorio di Tours per i Franchi,
come Beda per gli Angli, così il coltis-
simo monaco Paolo Diacono provvi-
de alla costruzione di una storia per i
Longobardi: la Historia Langobardorum.
Come i suoi colleghi storiografi del-
la tribolata Europa barbarica, anche
Paolo si mostra portatore, per dirla
con Walter Benjamin, di una debole e
dolente forza messianica, attraverso la
quale egli ha tentato di corrispondere
alle attese di riscatto delle generazioni
precedenti. Perché, sennò, raccontare
la storia di un popolo che si sa scon-
fi tto? Certo, sul racconto di Paolo è
come stesa una patina grigia e greve.
Epperò, dinnanzi a quella sconfi tta,
dinnanzi alla superiorità culturale e
spirituale dei Franchi che avevano
schiacciato i Longobardi, Paolo ebbe
la forza di ripensare alla storia longo-
barda come al passaggio dalla barbarie
alla civiltà, dalla grandezza germanica
alla grandezza germanico-cristiana. È
questa prospettiva cristiana della Sto-
ria che rende accettabile la disfatta
longobarda, dignitosa almeno quan-
to l’ultimo re che per Paolo merita
di essere raccontato: Liutprando. Alla
consapevolezza della sconfi tta, Paolo
poteva, infatti, associare la convinzio-
ne che la storia sia guidata da Dio tra-
mite la saggezza dei suoi re. E la civil-
tà longobarda saprà trovare la propria
redenzione: il nuovo impero di Carlo,
che nasce nel momento in cui Paolo
muore, non è solo un impero ger-
manico, è un impero anche romano
proprio perché la nazione più romana
delle nazioni germaniche era quella
longobarda. L’Historia Langobardorum,
del resto, rifl ette appieno la fi gura di
Paolo, nella sua cifra interculturale e
internazionale. Friulano di nascita, a
Pavia per formarsi e formare, di pas-
saggio tra i dotti della corte di Carlo,
ad Aquisgrana, per i quali forse scrisse
la Storia dei Longobardi, a Beneven-
to e a Montecassino, infi ne, per rian-
nodare il fi lo di cui era portatore a
quello sfi lacciato degli ultimi legitti-
mi eredi della tradizione longobarda.
Tra scrivere la legge
e scrivere la storia c’è
un minimo comune
denominatore...
scrivere.Tra scrivere la legge e scrivere la storia
c’è, da ultimo, un minimo comune
denominatore per niente scontato e
della massima importanza: scrivere. I
Longobardi delle origini dovevano
trovarsi in una condizione di sostan-
ziale estraneità al mondo della scrit-
tura. L’impatto con la cultura romana,
che aveva assegnato alla scrittura la
funzione di pressoché esclusivo mez-
zo di comunicazione, valse ai Lon-
gobardi una di quelle scelte cultura-
li alle quali si accennava in avvio di
discorso. Prima attraverso il ricorso
a scriventi locali, poi con l’articolar-
si di un’educazione grafi ca primaria
ed elementare diff usa almeno tra gli
strati superiori dei nuovi dominato-
ri – via via più compromessi con le
strutture ecclesiastiche – anche pres-
so i Longobardi la scrittura divenne
una componente vitale del discorso
amministrativo, sociale, economi-
co e culturale. Quale scrittura, però?
Naturalmente la scrittura usuale di-
sponibile agli scriventi dell’ammini-
strazione provinciale dell’età tardo-
imperiale in Italia: la corsiva nuova. E
sin qui, tutto normale: lo stesso mec-
canismo di conversione alla scrittura,
innestato su questo tipo grafi co, si era
già felicemente compiuto in Gallia,
presso i Franchi della dinastia mero-
vingica, e nella penisola iberica, con
i Visigoti. Di nuovo, semmai, nel più
attardato percorso dei Longobardi, va
rilevato il carattere assai distinto della
corsiva che da quell’innesco sarebbe
derivata (oggi la chiamiamo «bene-
ventana»), e la capacità che essa ebbe
di porsi come privilegiato indicatore
di una specifi ca cultura territoriale.
La scrittura in vigore nei territori
di tradizione longobarda (principal-
mente quelli italomeridionali, ma con
sconfi namenti in alcune roccaforti di
sicuro marchio longobardo, come
Nonantola) si era specializzata così da
interpretare e manifestare al meglio la
diversità – culturale e politica, se non
più quella etnica – rispetto ai Franchi
dell’impero carolingio, che usavano
un’altra scrittura: la carolina. In altri
termini, scrivere in beneventana era
un gesto simbolicamente importante
per manifestare con orgoglio la pro-
pria cultura di riferimento, in opposi-
zione a quella dominante.
Che questo abbinamento tra una
scrittura e un territorio (e, natural-
mente, tra una scrittura e una cultura),
non sia solo una lettura di noi mo-
derni è provato dalla consapevolezza
che se ne ebbe nel passato prossimo
alla civiltà longobarda. Angelo Poli-
ziano, Biondo Flavio, Giovan Battista
Palatino non esitavano, in riferimen-
to a scritture vagamente assimilabili a
quella che diciamo oggi beneventana,
a usare il nome di «litterae langobar-
dae», così manifestando un’associa-
zione per loro evidentissima.
“Buon vento”, insomma, alla can-
didatura di «Italia Langobardorum».
E che il prestigioso itinerario mo-
numentale possa, infi ne, alimentare
una rinnovata curiosità per gli aspetti
meno spettacolari (ma, come visto,
non meno importanti) della nostra
«Italia dei Longobardi».
Massimiliano Bassetti
04 | Quale Medioevo
TORNARE,
AVANTI!di ROBERTO LEONI
L’educazione delle gio-vani generazioni è in-dubbiamente uno dei compiti fondamentali di ogni società, un diritto dovere che è garanzia di positivo sviluppo cul-turale, scientifi co e tec-nologico, etico, innanzi tutto.
“L’azione educativa
è progettazione
del futuro”L’azione educativa è progettazione
del futuro, come spiega il Suchodolski
nella sua fondamentale opera Trattato
di Pedagogia.
Per questo l’azione educativa, che
comprende in larga parte il momento
istruttivo ma non si ferma solo a que-
sto, è svolta cercando sempre di guar-
dare in avanti e, proprio per questo, la
Scuola è soggetta ad una permanente
azione, intrinseca a se stessa, di ade-
guamento allo sviluppo socio cultu-
rale, all’accrescersi e rinnovarsi delle
conoscenze; per questo i Governi
dicono di voler investire nell’educa-
zione e nella Scuola, che comprende
anche l’Università - pur essendo que-
sta scuola in senso atipico.
Nel Nostro Paese, ma non solo in
Italia, si susseguono, dal Dopoguerra
in poi, i tentativi di riforma, alla ri-
cerca dell’adeguamento della Scuola
all’evolvere della società.
Diciamo tentativi di riforma perché
in realtà nessuno, anche per la breve
durata dei governi della così detta
Prima repubblica e per le aporie in-
terne alla Seconda, ha potuto porre
in atto un quadro complessivo e stra-
tegico di sistema scolastico che so-
stituisse quello posto in atto dall’im-
pianto napoleonico, rivisitato, in Italia,
dal Gentile. Tentando di rincorrere il
nuovo abbiamo avuto ed abbiamo in-
terventi settoriali, pannicelli caldi al
sistema, che hanno oscillato fra il mo-
dello centralistico e quello autonomo,
proprio questo dei Paesi anglosassoni.
Tutto ciò ci ha portati ad inseguire il
nuovo, però ogni giorno c’è il nuovo,
facendo della Scuola una perenne in-
seguitrice di aste senza bandiere, per
dirla con Dante.
Come corollario abbiamo avuto il
trasformarsi della scuola in un conte-
nitore sociale - scarsamente produtti-
vo nonostante l’aumento del numero
dei docenti, la così detta autonomia
scolastica (che in realtà è più uno
slogan che un fatto), il crescere della
spesa… - l’abbassarsi complessivo del
livello qualitativo e la collocazione
del nostro sistema e dei suoi risultati
agli ultimi posti delle classifi che in-
ternazionali.
La scuola non
può più essere
un contenitore
sociale scarsamente
produttivoOggi, forse per la prima volta da de-
cenni, è in atto un tentativo di porre
uno freno alla dequalifi cazione del si-
stema innescata dalla demagogia del
’68 e proseguita con una orizzonta-
lizzazione dequalifi cante, che ha por-
tato ai preoccupanti risultati odierni.
Come si può dirigere
il sistema scolastico
senza esser stati
docenti e dirigenti?
Cioè senza conoscere
dal suo interno
la Scuola stessa? Tuttavia credo che vada detto che la
benemerita azione posta in atto dal
ministro Gelmini necessiti di alcune
integrazioni, che vanno dall’avere una
struttura di conduzione ministeria-
le adeguata - come si può dirigere
il sistema scolastico senza esser stati
docenti e dirigenti? Cioè senza cono-
scere dal suo interno la Scuola stessa?
- ad una impostazione culturale che,
pur accettando le necessità di adegua-
mento economico e riduzione della
spesa, pur puntando alla reale quali-
fi cazione dei docenti e dei dirigenti,
pur ricercando l’adeguamento co-
stante all’evolvere della società, non si
limiti all’effi centismo economicistico
tecnologico - bocconiano, per dirla
con un termine esemplifi cativo an-
che se non esaustivo.
Chi non sa da
dove viene non sa
neppure dove andareAdeguamento culturale che, anche
qui in una parola non esaustiva, deve
esser di tipo storicista: crediamo che si
sbagli nel pensare che facendo studia-
re l’attuale, il Novecento, si risolva il
problema dell’incombente ignoranza
prossima ventura.
La vera sfi da è operare una rivolu-
zione copernicana capace di porre in
atto una sintesi a priori culturale che
dia fi nalmente luogo ad un umanesi-
mo degno di questo nome.
Per ottenere questo risultato è ne-
cessario aff ondare la formazione dei
cittadini, dei docenti in primis, nelle
radici culturali ed etiche che ci ca-
ratterizzano e che sole possono darci
identità e, quindi, capacità di crescita.
Per andare avanti
bisogna esser capaci
di tornare
alle radici autentiche
e profonde della
nostra civiltà.
Chi non sa da dove viene non sa nep-
pure dove andare, cammina, cammina,
per trovarsi sempre allo stesso posto.
Per andare avanti bisogna esser capa-
ci di tornare alle radici autentiche e
profonde della nostra civiltà, quelle
che ci hanno dato la possibilità dello
sviluppo sin qui raggiunto e che, sole,
potranno darci garanzia di sviluppo,
radici che ci vengono da duemila
anni di storia: radici cristiane.
Senza avremo inevitabilmente l’im-
barbarimento del relativismo, che, da
soli, né l’inglese, né l’informatica, né
internet, potranno evitarci.
Più storia nella
scuola almeno come
qualità
di insegnamento
Per questo gli studi storici anziché
ridotti dovranno esser approfonditi,
non tanto nella quantità delle ore
quanto nella qualità dell’insegna-
mento!
Roberto Leoni
Ministero della Pubblica Istruzione
Gabinetto del Ministro
Dirigente Tecnico Consigliere
Quale Medioevo | 05co
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LA CASSA DI RISPARMIODI SPOLETO: UNA BANCA PER IL TERRITORIO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONEdi ANTONIO ALUNNI Presidente
La costituzione della Cassa di Rispar-
mio di Spoleto risale al 1836, epoca in
cui, nello Stato Pontifi cio, preesiste-
va soltanto una Cassa di Risparmio,
quella di Roma.
Il Nostro Istituto
ha improntato la
propria fi losofi a alla
conoscenza dei valori
della collettività.Da allora, il Nostro Istituto ha im-
prontato la propria fi losofi a alla co-
noscenza dei valori della collettività
in cui opera, anche in vista del per-
seguimento del massimo benessere
della collettività, intesa nel senso più
ampio ed esteso cui è solita ispirarsi la
cultura anglosassone (si pensi ai ter-
mini shareolders o stakeolders).
In tale ottica, la Cassa di Risparmio
di Spoleto opera con la massima at-
tenzione alle imprese ed allo sviluppo
dei servizi e dell’innovazione, ferma
restando la sua originaria “vocazione”
alla valorizzazione del risparmio.
Tutto ciò senza tralasciare un fon-
damentale spirito di apertura verso
l’esterno, che l’ha condotta, alla fi ne
degli anni ’80, ad ottenere l’impor-
tante primato di essere la prima Cassa
ad essere partecipata da una grande
banca quale è stata la Cassa di Ri-
sparmio delle Province Lombarde,
Cariplo.
la Cassa si pregia
di essere partecipata
dal più grande
gruppo bancario
italiano,
Intesa SanpaoloAttualmente la Cassa, in virtù della
sua natura composita, ha uno status
del tutto originale e caratteristico:
essa, in primo luogo, si pregia di esse-
re partecipata dal più grande gruppo
bancario italiano, Intesa Sanpaolo, che
con le sue competenze professionali
le conferisce grandi potenzialità ope-
rative e commerciali; al tempo stesso,
la presenza della Fondazione Carispo
Quale Medioevo è lieto di dar voce alla Cassa di Risparmio di Spoleto autorevole interprete del credito nel territorio.
unitamente all’ingresso di oltre mille
soci privati, garantiscono il radica-
mento territoriale e l’aff ezione dei
clienti.
Una formula, questa, che spetta al ma-
nagement ed ai dipendenti della Cassa
di saper valorizzare.
Ciò, ovviamente, senza dimenticare le
origini, la tradizione e la storia ed è
proprio quest’ultima ad essere cele-
brata nel volume intitolato La Cassa
di Risparmio di Spoleto, arricchito del
contributo di illustri ed appassionati
studiosi ed edito proprio dalla fonda-
zione CISAM, volume che ripercorre
i quasi duecento anni di storia della
Cassa.
Una storia che, possiamo aff erma-
re con sicurezza, nel permeare di sé
il tessuto sociale ed imprenditoriale
dell’intera regione Umbria, ci con-
sente di guardare al futuro con la con-
sapevolezza delle Nostre tradizioni e
dei Nostri valori.
È sulla base di questi valori che la
Cassa intende continuare il suo cam-
mino, con una sempre maggiore
apertura alle esigenze del mercato
non soltanto locale, ma anche e so-
prattutto globale.
Sulla base dei valori
del proprio territorio
la Cassa intende
continuerà a guardare
alle esigenze del
mercato locale e
soprattutto globale.Sotto questa prospettiva, la Carispo
continuerà ad avvalersi della colla-
borazione di apposite Strutture del
Gruppo, quali il Mediocredito Italia-
no per le operazioni di lungo termi-
ne, il Leasint per il Leasing, la Banca
Infrastrutture Innovazione e Sviluppo
(BIIS) per fi nanziare le opere pubbli-
che, la Banca Prossima per il settore
del non-profi t, l’Agriventure per il
supporto dei settori agroalimentare,
agroindustriale ed agroenergetico.
06 | Quale Medioevo
Il Nostro istituto, inoltre, continuerà
ad intrattenere profi cui rapporti di
collaborazione con le Cooperative di
Garanzia operanti sul territorio, le As-
sociazioni di categoria e tutte le Isti-
tuzioni locali, nell’ottica di raff orzare
gli interventi di supporto all’econo-
mia locale.
Quanto ai clienti privati, la Cassa
continuerà ad off rire un qualifi cato
servizio di Private Banking che con-
sente di cogliere le migliori opportu-
nità del mercato.
Tutto ciò dimostra come la Carispo
sia in grado di soddisfare le esigenze
imprenditoriali e commerciali così
come le esigenze dei privati, dan-
do anche la possibilità alla propria
clientela di accedere ad un articolato
ventaglio di servizi, con particolare
riguardo al Sistema dei Pagamenti,
alla operatività con l’Estero, al fi nan-
ziamento degli impianti fotovoltaici,
alla consulenza fornita al Desk per le
energie rinnovabili.
In defi nitiva, la Cassa di Risparmio di
Spoleto aspira ad essere per la propria
clientela un partner ideale, in grado di
costruire modelli di off erta, di stimo-
lare la domanda, di coprire fi nanzia-
riamente idee e progetti. Ciò anche
grazie e soprattutto alla ricerca ed
all’impegno profuso dai suoi azioni-
sti, managers e dipendenti, che hanno
fatto della Cassa un Brand riconosci-
bile ed unico.
la Cassa di Risparmio
di Spoleto aspira
ad essere un partner
ideale per elaborare
modelli di off erta,
per stimolare
la domanda
e per coprire
fi nanziariamente
idee e progetti.
www.carispo.it
Quale Medioevo | 07
14 novembre, PerugiaUmbrialibri 2010
La fi era «Umbrialibri 2010» si presenta,
come ogni anno, ricca di iniziative
che, dal 10 al 14 Novembre prossimi,
animeranno prestigiosi palazzi, antiche
chiese e sale pubbliche della città
di Perugia. La manifestazione, posta
sotto l’egida dalla Regione Umbria,
propone anche una mostra-mercato
dell’editoria umbra, irrinunciabile
per chi voglia tastare il polso della
vitalità culturale di questa regione.
La Fondazione CISAM parteciperà a
Umbrialibri proponendo una tavola
rotonda, a chiusura e suggello della
manifestazione, che insisterà attorno
al tema Il medioevo oggi; ne parleranno,
ciascuno dalla propria suggestiva e
autorevole prospettiva disciplinare, i
proff . Franco Cardini, Tullio Gregory
ed Enrico Menestò.
9-11 dicembre, TerniConvegno: San Valentino e il suo culto tra medioevo ed età contemporanea: uno status quaestionis
In collaborazione con la Diocesi
di Terni, Narni e Amelia, dodici
studiosi di profi lo internazionale
prenderanno in esame l’impalpabile
fi gura storica, letteraria e agiografi ca
del santo
presule della
città, il cui
carisma
ne spinse
la fama
ben oltre
i confi ni
dell’Impero.
Senza
tralasciare gli
aspetti archeologici, antropologici,
religiosi, nonché sociologici, si
tenterà di ricostruire e mettere in
prospettiva moderna questa decisiva
presenza religiosa del territorio
umbro.
28 aprile-4 maggio 2011
LIX Settimana di Studi
Scrivere e leggere nell’alto medioevo:
questo è il coinvolgente titolo della
Settimana di studi spoletina che,
come ormai da quasi sessant’anni,
detiene una forza attrattiva per i
maggiori studiosi del medioevo
di ogni parte del mondo. Durante
le 35 lezioni che riempiranno le
giornate di studio si indagheranno
gli aspetti più rilevanti delle pratiche
di scrittura e di lettura in Occidente
e nel mondo bizantino, attraverso
l’esame di libri, documenti, iscrizioni
monumentali, sigilli e monete. Sarà
l’occasione per verifi care, una volta
di più, l’assertivo ammonimento
di un grande storico della lettura:
«Non esiste testo a prescindere dal
supporto che permette di leggerlo
e non esiste comprensione di uno
scritto, qualunque esso sia, che non
dipenda in parte dalle forme in cui
raggiunge il suo lettore»
(R. Chartier)
08 | Quale Medioevo
LE EDIZIONI DELLA FONDAZIONE CISAM
Quale Medioevo
Direttore responsabile: Erika Monticone
Hanno collaborato: Antonio Alunni, Massimiliano Bassetti, Francesca Bernardini, Claudio Leonardi, Roberto Leoni, Enrico Menestò, Giuseppe Sergi.
Art direction: Elisabetta Severini
Consulenza Marketing: Etheria Consulting
Edizioni Fondazione «Centro italianodi studi sull’alto medioevo»
SPOLETOP.ZZA DELLA LIBERTÀ, [email protected]
www.cisam.org
CONSIGLIO SCIENTIFICO DELLA FONDAZIONE CISAMOvidio Capitani (presidente onorario), Enrico Menestò (presidente), Letizia Ermini Pani (vice presidente), Ermanno Arslan, Paolo Cammarosano, Antonio Carile, Guglielmo Cavallo, Giuseppe Cremascoli, Tullio Gregory, Paolo Grossi, Claudio Leonardi, Carlo Alberto Mastrelli, Massimo Montanari, Antonio Padoa Schioppa, Adriano Peroni, Giuseppe Sergi.Copyright © 2010 per la Fondazione CISAMRegistrazione del Tribunale di Spoleto n. 2/2010 del 25 marzo 2010
BRUNO ANDREOLLI, PAOLA GALETTI,TIZIANA LAZZARI, MASSIMO MON-TANARI (CUR.)Il medioevo di Vito FumagalliSpoleto 2010, pp. X-346
(Miscellanea, 16)
Gli allievi di Vito Fumagalli, uno tra
i più illustri medievisti italiani, riper-
corrono, come per proporre un’ana-
lisi critica degli studi del loro comu-
ne maestro, i temi principali che egli
ha aff rontato in numerosi e fecondi
contributi off erti alla ricerca sul me-
dioevo. Quattro i temi individuati, fra
loro diversi, ma strettamente integrati;
per evocarli si è scelta la suggestiva
soluzione di fare ricorso a espressioni
tratte dalla storiografi a fumagalliana:
Terra e società, La Pietra viva, il Regno
Italico, Atteggiamenti mentali e stili di
vita. Un intensa raccolta di studi, in-
somma, per ricordare il maestro a 10
anni dalla sua scomparsa.
al 18 maggio del 2008, presso l’Uni-
versità “Gabriele d’Annunzio” di
Chieti e il comune di S. Salvo (Ch). È
il secondo di una serie di incontri de-
dicati allo studio delle strutture mo-
nastiche medievali: il primo si è te-
nuto a Tergu (SS) nel settembre 2006.
Tali convegni, fondamentali per uno
approfondimento diretto circa gli
aspetti che riguardano la nascita e lo
sviluppo dei contesti monastici be-
nedettini, sorti nel primo medioevo,
contribuiscono a chiarire e defi nire
le problematiche inerenti le attività
progettuali e tecniche necessarie alle
“grandi opere” architettoniche che
ancora oggi impreziosiscono i nostri
panorami. I contributi di questo II
convegno si soff ermano puntualmen-
te sia sulle modalità di reperimento
sia sulla lavorazione delle materie
prime, senza trascurare le necessarie
puntate dedicate alla decorazione.
monografi ci, il Del Punta si è sentito
pronto con questo suo lavoro, nono-
stante l’ancor giovane età, a cimen-
tarsi con un tema di ampio respiro,
che tuttavia ha avuto la misura e la
prudenza di non aff rontare mediante
lo strumento di quella che ordina-
riamente si defi nisce una “sintesi or-
ganica”, bensì attraverso una serie di
monografi e […]: la guerra sula mare,
i suoi aspetti tecnici, i suoi legami
con la pirateria e il commercio, la ti-
pologia urbana e la relativa struttura
sociale, la memoria civica, il rapporto
infi ne tra mercatura e potere».
Con queste “istruzioni per l’uso”
Franco Cardini, introducendo l’opera,
ne raccomanda caldamente la lettura
e immette al cuore di questo lavoro
dedicato a una aff ascinante ricostru-
zione storica della Toscana costiera
d’età pieno-medievale.
ballon d’essai che sarebbe stato conti-
nuato lungo tutto il Quattrocento. Il
“diario” segue, come in presa diret-
ta, l’evolversi quasi quotidiano della
politica veneziana attraverso alcune
fonti di prima mano: lettere di mer-
canti, dispacci di ambasciatori veneti
e larga parte della documentazione
che giungeva alle autorità pubbliche
veneziane. L’editore ha concretizzato
in questa poderosa opera una ricerca
durata oltre dieci anni, al cui centro si
ravvisa un’intensa attività di indagini
condotta in collaborazione con i più
prestigiosi istituti accademici interna-
zionali.
MARIO SENSI
«Mulieres in ecclesia» storie di monache e bizzoche.(tomi II)
Spoleto 2010, pp. XX-1342
(Uomini e Mondi medievali, 21)
Sin dal secolo XIII le donne che si
votavano a esperienze di profon-
da spiritualità, pur conservando una
condizione laicale, venivano chiamate
bizzoche (ovvero pinzochere, incar-
cerate, recluse, cellane). Era, quella
delle bizzoche, una vita ascetica di
solitudine e penitenza, il cui fascino,
ancora oggi, non cessa di contagiare
uomini e donne alla ricerca di un
rapporto intimo, privatissimo e assai
personale con Dio.
L’autore aff ronta il tema della gestio-
ne sociale della reclusione, sia maschi-
le sia femminile, nell’Italia centrale,
facendo della presente opera una ide-
ale prosecuzione del volume Storie di
bizzoche tra Umbria e Marche (Roma,
1995). Tramite le numerose e intense
ricerche d’archivio si tracciano così
anche le origini dei tanti monasteri
di cui è costellata l’Italia centrale, al-
cuni dei quali arrivati ai nostri giorni.
DANTE ALIGHIERI
Monarchia. Testo introduzione traduzione e commentoa cura di Gustavo Vinay.
A sessant’anni dalla prima comparsa dell’edi-
zione della Monarchia curata da Gustavo
Vinay, il CISAM ne ripropone anastatica-
mente le pagine con la scoperta intenzione
di riproporre un’opera centrale per la defi -
nizione del pensiero dantesco e della società
medievale in genere, ma utilisima anche per
i «disagi e le inquietezze» di un’epoca come
la nostra. La vexata quaestio circa il dissidio tra
potere spirituale e potere temporale trova so-
luzione, nella rifl essione di Dante (in questo
erede di una lunga tradizione patristica che
rimonta ad Ambrogio), nella comune unicità
della sorgente di quelle due forme di potere:
Dio. La presente ristampa anastatica consente
anche, inaugurando la collana «La Memoria
del Medioevo», di sottolineare a vantaggio
di una più ampia platea l’acribia e l’acume
intellettuale, l’erudizione e il genio creativo
di uno dei maggiori medievisti del secolo
scorso: Gustavo Vinay. (La Memoria del Me-
dioevo, 1).
APPUNTAMENTI DELLA FONDAZIONE CISAM
SAVE THE DATE
di Francesca Bernardini
di FRANCESCA BERNARDINI
Tratto da Repubblica.it
“VIVIAMO UN MEDIOEVO SENZA ORIZZONTE”.
LE ULTIME PAROLE FAMOSE SUL MEDIOEVOMalgrado Quale Medioevo voglia essere un antitodo ai luoghi comuni sul Medioevo, questi continuano...
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ntribu
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MARIA CARLA SOMMA (CUR.)Cantieri e maestranze nell’Italia medievale. Atti del Convegno di studio (Chieti - San Salvo, 16-18 maggio 2008) (De re monastica, II)Spoleto 2010, pp. X-616 ill.(Incontri di Studio, 7)
Il volume contiene gli atti del II Conve-
gno di De re monastica tenutosi dal 16
IGNAZIO DEL PUNTA
Guerrieri, crociati, mercanti. I toscani in Levante in età pieno-medievale (secoli XI-XIII)Spoleto 2010, pp. XXXIV-478(Uomini e Mondi medievali, 20)
«Provvisto di una solida formazione
nell’àmbito della storia commerciale
e bancaria toscana, garantita da or-
mai quasi un decennio di buoni saggi
ANDREA NANETTI (CUR)
Il Codice Morosini. Il mondo visto da Venezia (1094-1433) (tomi IV)Spoleto 2010, pp. LXII-2274 ill.(Quaderni della rivista di Bizantinistica, 10)
Sempre rimasta sotto l’epigrafe di cro-
nicha de Veniexia, l’opera cronachisti-
ca del Morosini si mostra oggi come
una sorta di diario “aperto”, come un