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DisclaimerLa parola adozione richiama a sé una vastità di questioni e un’articolazione di problematiche davvero impensabili ad un profano o a chi si accosta a tale campo di indagine senza una approfondita conoscenza dello stesso. Le variabili in gioco sono tantissime. Queste, intrecciandosi tra loro, danno vita ad un affascinante e ambiguo gioco di specchi che rende il panorama alquanto complesso di fronte ad ogni possibilità di interpretazione. «Sembra che si arrivi sempre un giorno dopo» per usare le parole di Jolanda Galli nel convegno tenuto a Reggio Emilia nel maggio 2002.È un’istanza ricca di risorse ma anche di rischi, che richiede un’attenzione costante e continua nel tempo: un percorso senza fine che va seguito con la stessa cura prima, durante e dopo, senza lasciare alcuna fase al caso. Non bisogna dimenticare che si tratta di un incontro tra persone che non si conoscono, che hanno idee, età, a volte culture e lingue diverse, e ciò può generare difficoltà di vario tipo. Un ambito che, oggi più che mai, è all’ordine del giorno. I tanti cambiamenti legislativi riflettono un incremento esponenziale delle richieste. La nuova legge (N°149 del 2001) ha approntato dei cambiamenti tali da paralizzare nel vero senso della parola le adozioni. Emerge l’esigenza di una cultura nuova che sappia riflettersi sulle modalità e sull’organizzazione dell’iter seguito dai servizi. Gli aspiranti genitori si trovano sempre più frequentemente di fronte alla sterilità. Per questo problema, che colpisce in linea generale tutti i paesi industrializzati occidentali, si possono fornire mille interpretazioni: l’innalzamento dell’età media di matrimonio e il procrastinare l’inizio della genitorialità anche per motivi economici sono solo alcune tra le tante ipotesi. I servizi sociali devono così affrontare una miriade di domande, eseguite da coppie a volte poco o male informate su che cosa significhi veramente adottare un bambino, quali siano tutti gli elementi implicati in questo percorso e le mille difficoltà che gravano come peso aggiuntivo sul compito già complesso di genitore. «Molte delle coppie che chiedono di adottare un bambino non hanno informazioni sull’adozione, sui bambini, sulle procedure e le difficoltà, nonostante sui mass media compaiano quasi quotidianamente notizie sui differenti aspetti dell’adozione» (Galli, 2001).Di fronte ad un tale incremento delle domande non fa da contraltare una disponibilità sufficiente di minori e quindi i tempi per ottenere un bambino si fanno molto lunghi, molte domande restano insoddisfatte, molte coppie si rivolgono a canali alternativi, a volte illegali, per raggiungere il loro scopo. Annamaria Dell’Antonio (2001) è consapevole delle tante problematiche che accompagnano questo campo d’indagine: «è idea diffusa che ottenere un’adozione sia difficile».I percorsi che occorre seguire per ottenere la tanto agognata “idoneità” sono poi molto lunghi, fatti di incontri con vari operatori e figure giudicanti, di domande e osservazioni per fornire una valutazione sulla propria capacità di essere genitore. Si tratta di un giudizio che si estende all’intera persona, a come si è. Non c’è da stupirsi se i servizi e i tribunali finiscano per assumere, nelle menti delle coppie, caratteristiche persecutorie e invasive. Di qui altre svariate difficoltà: da parte dei servizi nello svolgere il loro lavoro; da parte dei genitori nel vivere il percorso adottivo non tanto come una formazione, o comunque un periodo necessario prima di ottenere il bambino, ma come un momento di interminabile supplizio all’insegna della paranoia e dell’ansia. Morral Colajanni (1997) sostiene infatti che «i percorsi istituzionali non aiutano ad integrare ma […] propongono, causano e rinforzano aspetti persecutori e scissioni. [Le coppie che decidono di adottare sono poste] di fronte ad un giudizio esterno [che] solleva nel loro interno una sorta di crisi sulla capacità di essere genitori o meno».Un genitore naturale accetta
Citation preview
Università degli Studi di Parma
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Psicologia
PERCORSI DELL’ADOZIONEIL RAPPORTO CON IL BAMBINO REALE
NEL RACCONTO DEI GENITORI
Relatore:
Prof.ssa Maria Pia Arrigoni
Correlatori:
Prof. Gian Luca Barbieri
Prof.ssa Laura Fruggeri
Laureando:
Massimiliano Anzivino
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Anno accademico 2001-2002
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
3
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
«Le mamme adot t ive sono come
le ruote d i scorta de l la macchina:
devono essere de l la ste ssa misura
di que l le che partono
e si usano quando que l le a l t re
s i rompono»
(una bambina adot ta ta ) 1
1 In Galli, J. (2002).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
5
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
INDICE
Ringraziamenti 9
Presentazione 11
Il Progetto di ricerca 15
PARTE I : Aspetti teorici ed introduttivi 19
1.La teoria dell’attaccamento 21
Traumi infantili e attaccamento 25
“Base sicura” 28
“Holding” 29
“Contenimento” 31
2.Studi sull’adozione 33
Natura-cultura 34
Fattori di r ischio e fattori di protezione 37
“Patterns of adoption” 41
Disturbi legati all’adozione 48
Adolescenza 52
Meccanismi difensivi 54
3.Bambino immaginato, fantasticato e reale 57
Vuoto e spazio mentale 62
4.Aspetti specifici dell’adozione 65
Sterilità 66
Sessualità 71
Elaborazione del lutto 73
Rivelazione 76
6
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
5.Gruppi 81
Gruppo bioniano 82
Gruppo Balint 84
6.”Narrazione e psicoanalisi” 85
7
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
PARTE II : La ricerca sui Servizi Sociali di Carpi 87
1.Una fotografia dei Servizi Sociali di Carpi 89
Obiettivi della ricerca 90
Strumenti e procedimento 92
Le cartelle 93
L’iter dell’adozione 95
Risultati 97
Divisione degli argomenti 99
Come operano i Servizi 100
2.Legislazione 105
PARTE III : La ricerca sul gruppo del dopo adozione 109
1.Il gruppo del dopo adozione 111
2.Ricerca 115
3.“Questionari” 117
Strumento utilizzato 118
Ricerca sui genitori PMA 121
Consegna 128
Risultati 129
4.“Descrizioni” 149
Strumento utilizzato 150
Consegna 151
Griglia per analisi dei dati 152
Contributi narratologici 154
Risultati 173
5.Osservazioni conclusive 183
8
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Riferimenti bibliografici 189
Riferimenti legislativi 197
9
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Appendice I
A.Ricerca sui Servizi Sociali di Carpi III
B.“Questionari” XVII
C.“Descrizioni” XXI
10
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
11
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
RINGRAZIAMENTI
Ogni lavoro è sempre il frutto dell’opera di più persone, anche di chi
non ha partecipato attivamente alla stesura o alla progettazione dello
stesso. Come al soli to i ringraziamenti sono rivolti a tantissimi, dai
professori, agli esperti del settore, ai familiari e amici.
Un ringraziamento particolare va alla Professoressa Maria Pia Arrigoni
che ci ha seguito in questi due anni con grande attenzione e affetto,
dispensandoci consigli utili e sagge indicazioni. A lei i l r ingraziamento
più grande.
Vengono poi tutti coloro i quali hanno collaborato direttamente al
progetto, la Dottoressa Valeria Confetti e la Dottoressa Daria Vettori che
hanno proposto tale r icerca e che si sono sempre dimostrate disponibili
lungo tutto il percorso che ci ha condotto alla stesura finale del lavoro;
tutto lo staff dei Servizi Sociali di Carpi, in particolare la Dottoressa
Liana Balluga che ha curato la parte burocratica e amministrativa e
l’assistente sociale Lina Anticati con la quale abbiamo lavorato a stretto
contatto per diversi mesi. Non dimentico la Dottoressa Piergiuseppina
Fagandini che ha dimostrato grande professionalità e disponibili tà di
fronte alle mie mille domande.
Un sentito grazie va anche al Professor Gian Luca Barbieri , sempre
disponibile e attento dispensatore di utili consigli , e alla Professoressa
Laura Fruggeri in veste di correlatrice.
Un altro grande ringraziamento va alle due colleghe e compagne che mi
hanno accompagnato in questa avventura e con cui ho condiviso momenti
di sconforto e di euforia e che sono state la spinta più grande per
terminare il lavoro.
Non mi dimentico dei genitori che hanno partecipato con grande
disponibilità ed entusiasmo alla r icerca e che sono i veri protagonisti di
tutto questo lavoro.
Grazie anche alla mia famiglia e a tutte le persone che ruotano intorno
ad essa ed alla mia vita più intima e personale: in tanti modi diversi mi
sono stati tutti di grande aiuto.
Grazie a tutti .
12
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
13
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
PRESENTAZIONE
«Per la maggior parte de l le persone
i l dono più grande consi ste
ne l l ’e ssere t rovate e u t i l i zzate »
(Winnicot t , 1968) 1
La parola adozione richiama a sé una vastità di questioni e
un’articolazione di problematiche davvero impensabili ad un profano o a
chi si accosta a tale campo di indagine senza una approfondita
conoscenza dello stesso. Le variabili in gioco sono tantissime. Queste,
intrecciandosi tra loro, danno vita ad un affascinante e ambiguo gioco di
specchi che rende i l panorama alquanto complesso di fronte ad ogni
possibilità di interpretazione. «Sembra che si arrivi sempre un giorno
dopo» per usare le parole di Jolanda Galli nel convegno tenuto a Reggio
Emilia nel maggio 2002.
È un’istanza ricca di r isorse ma anche di r ischi, che richiede
un’attenzione costante e continua nel tempo: un percorso senza fine che
va seguito con la stessa cura prima, durante e dopo, senza lasciare alcuna
fase al caso. Non bisogna dimenticare che si tratta di un incontro tra
persone che non si conoscono, che hanno idee, età, a volte culture e
lingue diverse, e ciò può generare difficoltà di vario tipo.
Un ambito che, oggi più che mai, è all’ordine del giorno. I tanti
cambiamenti legislativi riflettono un incremento esponenziale delle
r ichieste. La nuova legge (N°149 del 2001) ha approntato dei
cambiamenti tali da paralizzare nel vero senso della parola le adozioni.
Emerge l’esigenza di una cultura nuova che sappia riflettersi sulle
modalità e sull’organizzazione dell’iter seguito dai servizi.
Gli aspiranti genitori si trovano sempre più frequentemente di fronte
alla sterili tà. Per questo problema, che colpisce in linea generale tutti i
paesi industrializzati occidentali , si possono fornire mille
interpretazioni: l’ innalzamento dell’età media di matrimonio e il
1 Confronti e contrasti nella comunicazione bambino-madre e madre-bambino.In Winnicott, D. H. (1987).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
procrastinare l’ inizio della genitorialità anche per motivi economici sono
solo alcune tra le tante ipotesi .
I servizi sociali devono così affrontare una miriade di domande, eseguite
da coppie a volte poco o male informate su che cosa significhi veramente
adottare un bambino, quali siano tutti gli elementi implicati in questo
percorso e le mille difficoltà che gravano come peso aggiuntivo sul
compito già complesso di genitore. «Molte delle coppie che chiedono di
adottare un bambino non hanno informazioni sull’adozione, sui bambini,
sulle procedure e le difficoltà, nonostante sui mass media compaiano
quasi quotidianamente notizie sui differenti aspetti dell’adozione »
(Galli , 2001).
Di fronte ad un tale incremento delle domande non fa da contraltare una
disponibilità sufficiente di minori e quindi i tempi per ottenere un
bambino si fanno molto lunghi, molte domande restano insoddisfatte,
molte coppie si r ivolgono a canali alternativi , a volte il legali, per
raggiungere il loro scopo.
Annamaria Dell’Antonio (2001) è consapevole delle tante
problematiche che accompagnano questo campo d’indagine: «è idea
diffusa che ottenere un’adozione sia difficile» .
I percorsi che occorre seguire per ottenere la tanto agognata “idoneità”
sono poi molto lunghi, fatti di incontri con vari operatori e f igure
giudicanti, di domande e osservazioni per fornire una valutazione sulla
propria capacità di essere genitore. Si tratta di un giudizio che si estende
all’ intera persona, a come si è. Non c’è da stupirsi se i servizi e i
tr ibunali f iniscano per assumere, nelle menti delle coppie, caratteristiche
persecutorie e invasive. Di qui altre svariate difficoltà: da parte dei
servizi nello svolgere il loro lavoro; da parte dei genitori nel vivere il
percorso adottivo non tanto come una formazione, o comunque un
periodo necessario prima di ottenere il bambino, ma come un momento di
interminabile supplizio all’insegna della paranoia e dell’ansia. Morral
Colajanni (1997) sostiene infatti che « i percorsi ist ituzionali non
aiutano ad integrare ma […] propongono, causano e rinforzano aspetti
persecutori e scissioni. [Le coppie che decidono di adottare sono poste]
15
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
di fronte ad un giudizio esterno [che] solleva nel loro interno una sorta
di crisi sulla capacità di essere genitori o meno» .
Un genitore naturale accetta come una conseguenza inevitabile e
normale i suoi errori nell’accudire il proprio figlio. Lo stesso non accade
per i genitori adottivi che devono prendere in carico un fallimento non
loro e tollerarne però tutte le conseguenze negative di cui non sono
responsabili . Naturalmente, oltre alle problematiche derivanti da
mancanze subite prima dell’adozione dal bambino, esistono anche
difficoltà legate all’adozione in sé.
L’adozione poggia le sue basi su una doppia mancanza: la mancanza di
un figlio per i genitori, la mancanza dei genitori per il bambino.
L’obiett ivo è chiaramente quello di colmare vicendevolmente tale doppia
mancanza favorendo una doppia nascita, quella della coppia che diventa
genitore e quella del bambino che diventa figlio e persona. «Adottare è
uno scegliersi e un camminare insieme» (Dell’Antonio, 2001). E ancora:
«Adottato e adottante sono individui che si sono scelt i e si scelgono per
istaurare vincoli che non esistono per linea biologica » (Morral
Colajanni, 1992).
Perché ciò si realizzi alla coppia è demandato il compito di trovare
dentro di sé delle risorse aggiuntive che consentano di elaborare la
mancanza biologica e la mancanza dell’esperienza di “pieno”.
L’esperienza di vuoto, f isico e mentale, costituisce, soprattutto per la
generatività materna, un limite doloroso; con l’adozione una donna può
trovare una modalità diversa e nuova di donarsi, trasmettendo al bimbo
adottato affetto, attenzioni, parole.
Per tutti questi fattori è indispensabile che la complessità dei percorsi
adottivi venga accompagnata e sostenuta dal lavoro di operatori
qualif icati , responsabili e coordinati nelle diverse aree di
professionalità. L’adozione ha bisogno di essere pensata, di r itrovare
propri spazi e tempi prima di gettarsi nella dinamica del fare. L’adozione
ha la necessità di essere “scoperta” per quello che è, nelle sue
caratterist iche, rischi e r isorse, al di là di opinioni precodificate e di
fuorvianti pregiudizi.
Questo sarà l’intento di tale lavoro diviso in tre parti .
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Nella prima vengono esposti alcuni aspetti teorici con particolare
riferimento alla teoria dell’attaccamento di Bowlby e ai contributi di
Winnicott e Bion; dopo di che si espongono gli studi che hanno indagato
l’ambito dell’adozione cercando di mettere in r isalto non solo gli aspetti
negativi, ma anche le molte risorse presenti; poi l’ indagine si sposta
sulla tematica del passaggio dal bambino immaginato/fantasticato al
bambino reale, esponendo anche alcuni spunti rispetto al concetto di
vuoto e di spazio mentale; vengono trattati successivamente alcuni
argomenti che abbiamo definito specifici dell’adozione, poiché in
letteratura costituiscono dei cardini del discorso, attraversando
trasversalmente molti dei contributi da noi analizzati; infine la parte
teorica ed intruduttiva si chiude con una descrizione dei gruppi, con
esplicito riferimento all’opera di Bion e Balint su tale strumento di
lavoro, e con la presentazione della prospettiva esposta nel l ibro
Narrazione e psicoanalis i di Arrigoni e Barbieri (1998).
La seconda parte costituisce la presentazione di una ricerca comune
eseguita in collaborazione con le colleghe Lisa Agosti e Silvia Govi.
Tale ricerca ha l’obiettivo di fornire una descrizione il più possibile
esaustiva del lavoro svolto dai Servizi Sociali di Carpi nel campo
dell’adozione.
La terza ed ultima parte costituisce una ricerca eseguita singolarmente
i cui protagonisti sono i genitori adottivi che hanno ottenuto il bambino
e partecipano ad un gruppo di incontro mensile e facoltativo. Sono stati
indagati i vissuti dei genitori in relazione al rapporto instaurato con il
f iglio adottivo uti lizzando due differenti strumenti: un “Questionario”
già impiegato per analizzare gli stessi vissuti nei genitori sottoposti a
procreazione medicalmente assistita, e una “Descrizione” , ovvero la
compilazione di una specie di diario in cui raccontare una giornata
trascorsa con il proprio bambino.
17
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
IL PROGETTO DI RICERCA
La proposta di effettuare una ricerca sull’adozione è stata avanzata nel
maggio 2001 da due psicologhe impegnate da diversi anni nel settore: la
Dottoressa Valeria Confetti e la Dottoressa Daria Vettori. Queste si sono
messe in contatto con l’Università di Parma, in particolare con la
Dottoressa Maria Pia Arrigoni, per fissare alcuni incontri in cui
discutere la loro idea e prospettarne la futura realizzazione sul campo.
A questi incontri hanno partecipato anche i tre studenti interessati ai
possibili sviluppi di tale area di ricerca in vista della stesura della tesi di
laurea. Gli incontri si sono tenuti alternativamente presso le aule
dell’Università di Psicologia di Parma e presso lo studio della Dottoressa
Confetti di Reggio Emilia. Ad essi hanno partecipato, in diversi
momenti, oltre alle già citate Dottoresse e ai tre studenti dell’Università
di Psicologia (Massimiliano Anzivino, Lisa Agosti e Silvia Govi), anche
alcuni esperti del settore o addetti ai lavori: i l Dottor Andrea Landini
(neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta), la Dottoressa Eugenia
Iacinti (operatrice dei Servizi Sociali che si occupano di adozione a
Parma), la Dottoressa Piergiuseppina Fagandini (neuropsichiatria
infantile esperta in neonatologia).
Si è trattato di discussioni aperte in cui ogni partecipante ha potuto
portare un proprio personale contributo alla tematica trattata. Al termine
di ogni discussione, di circa due ore, si t iravano le f ila del discorso
cercando di calarsi anche nella dimensione operativa della r icerca. Ci si
aggiornava poi all’incontro successivo con il compito di approfondire,
attraverso ulteriori r iflessioni personali o approfondimenti bibliografici ,
gli argomenti trattati ed emersi.
L’idea di base era quella di approfondire l’argomento dell’adozione,
tematica che a giudizio delle due psicologhe non aveva goduto,
soprattutto negli ultimi anni di incredibile boom delle r ichieste, di
un’adeguata rif lessione. La sensazione che si avverte nel settore è che
occorra rif lettere su ciò che sta accadendo oggi nel campo dell’adozione.
Essa nasconde mille insidie e problemi sempre nuovi. Quanto si avverte
18
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
a livello di sensazione necessita però di una sistematizzazione e qui si
inserisce il nostro lavoro.
Le due psicologhe hanno esposto la necessità di affiancare al loro
operato, difficile e sempre in via di sviluppo, uno spazio di riflessione
che possa aprire nuove porte e creare nuovi spunti di analisi , sia sul
piano teorico che su quello pratico-organizzativo. Nei servizi manca un
gruppo di rif lessione seria capace di confrontarsi su quello che viene
fatto per l’adozione. Non si r iesce a lasciare spazio al pensiero, a
prendere una giusta pausa per acquisire e metabolizzare gli elementi
complessi dell’adozione: la negazione prende tutti , genitori e operatori.
La direzione in cui incanalare tale approfondimento non era del tutto
chiara e gli incontri , tenutisi da maggio a novembre 2001 con cadenza
mensile, sono stati orientati ad una creazione successiva e per piccoli
passi di un piano di azione, alla r icerca anche dell’impostazione di tre
diversi argomenti per tre diverse tesi di laurea.
Si è puntato sullo sviluppo di una indagine sul campo, con un piano
sperimentale di t ipo non quantitativo. La ricerca quindi ha assunto nel
tempo i contorni di un’indagine esplorativa di carattere qualitativo.
I l punto di partenza è stato rintracciato in una analisi di archivio
presso i Servizi Sociali di Carpi (analisi comune ai tre studenti implicati
nel progetto), per ottenere un quadro un po’ più chiaro e numericamente
definito della dimensione dell’adozione a Carpi negli ult imi vent’anni
(vedremo successivamente tale indagine nel dettaglio).
Nei vari incontri l’ idea di fondo emersa, da cui si è parti t i e che ha
costituito il f i lo conduttore di tutto il percorso di r iflessione e ricerca, è
stata quella di fornire ai genitori adottivi implicati nell’analisi una sorta
di restituzione : lavorare sui genitori dando l’ idea di una restituzione che
sia di aiuto alla coppia parentale come agli operatori. Ricercare quali
sono state le principali difficoltà incontrate e come si sarebbe potuto
operare per alleviarle. Si è puntato molto sulla volontà di non
trasmettere un senso di inquisizione, bensì di aiuto. Questo concetto è
stato più volte sottolineato assumendo le sembianze di vero e proprio
obiettivo della ricerca.
19
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Altro concetto cardine emerso negli incontri è l’ intenzione di non
insistere con questionari pesanti e anagrafici o con richieste troppo
gravose a genitori che hanno già dovuto affrontare tutta una serie di
“esami”, i l più delle volte vissuti con forti componenti persecutorie.
Abbiamo quindi evitato di raccogliere tutte quelle notizie anagrafiche
che ci sarebbero state indispensabile per definire un campione.
Inoltre un altro aspetto non trascurabile, comunque collegato ai fattori
precedenti, è stato la diff icoltà di reperibilità sul territorio di genitori
adottivi disponibili a sottoporsi ad una ricerca, quantunque lo scopo di
base fosse quello di aiutare chi si troverà ad affrontare, dopo di loro, i l
faticoso percorso dell’adozione.
Nella tesi da me eseguita la scelta è caduta sul gruppo condotto dalla
Dottoressa Confetti: come vedremo in seguito si tratta di un gruppo con
caratterist iche tali da venire incontro agli assunti che abbiamo esposto
sopra: restituzione, r ichieste non inquisitorie, disponibili tà.
Per lo studio di tale gruppo sono stati utilizzati due tipi di strumenti: un
questionario util izzato nell’ambito della procreazione medicalmente
assistita (PMA) e che ben si adatta allo studio nel campo dell’adozione
(vedremo poi le caratteristiche dello strumento nel dettaglio); la
“Descrizione di una giornata con tuo figlio” , strumento simile a quello
util izzato dai Servizi Sociali di Carpi e modificato rispetto a quello di
ispirazione (vedremo poi i motivi).
Per quanto riguarda i dati anagrafici le richieste sono state delimitate
dalla volontà di mantenere l’anonimato e di rendere la consegna in tal
modo più leggera e meno simile a quelle effettuate con i servizi. Si è
giunti così al compromesso di r ichiedere solo tre indicatori oltre al nome
e cognome (comunque coperti da diritto di privacy): età, occupazione,
numero di f igli .
L’indagine ci ha dato la possibilità di tracciare una fotografia di tale
gruppo e di estrapolarne alcune caratteristiche che possono fungere da
spunto per studi successivi.
20
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
21
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
PARTE PRIMA :
ASPETTI TEORICI ED INTRODUTTIVI
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
23
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
1.
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Gli studi sull’attaccamento costituiscono un punto cardine di tutta la
psicologia e si connettono strettamente, e per ovvi motivi, alla tematica
dell’adozione. I l capostipite di questi studi in ambito psicologico è John
Bowlby, padre della teoria dell’attaccamento .
Essa ha come oggetto di interesse la propensione dell’uomo a str ingere
relazioni emotive intime con individui che si prendono cura di lui.
L’attaccamento è visto quindi come una componente basilare della natura
umana che estende i suoi effetti lungo il corso di tutta l’esistenza, alla
r icerca di protezione e sostegno. Tale ricerca viene considerata come una
caratterist ica fondamentale della salute mentale e di un efficace
funzionamento della personalità.
Bowlby ha sviluppato il suo apparato teorico come una variante della
teoria delle relazioni oggettuali . Essa ha incorporato concetti provenienti
dalla teoria dell’evoluzione, dall’etologia, dalla teoria del controllo e
dalla psicologia cognitiva. Bowlby insiste molto sul comportamento
osservabile piuttosto che concentrarsi sul mondo interno, e in questo è
molto evidente l’influenza della collaborazione con Hinde e degli scritt i
di Tinbergen, due massimi esponenti dell’etologia. Secondo Holmes
(1993) Bowlby ha basato la «[…] sua nuova teoria dell’attaccamento in
parte sulla scoperta dell’etologia e in parte sulla sua crit ica della
psicoanalisi» , f inendo per costruire un vero e proprio nuovo paradigma.
«La teoria dell’attaccamento […] diviene isolata dalla terraferma della
psicoanalisi, sviluppando in tal modo proprie idee e un proprio
linguaggio» . Oggi tali aree stanno comunque dando luogo ad un
avvicinamento e ad una certa sovrapposizione.
Partito dagli studi condotti da Lorentz sull’imprinting, Bowlby ha
sottolineato l’ importanza dell’attaccamento nello sviluppo del bambino
ad una figura di r iferimento e la necessità che tale attaccamento si
realizzi all’ interno di un periodo finestra nella fase iniziale della vita
24
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
umana. Lorentz (1935) 1 parla di schemi fissi d’azione che si esplicano
fin dai primi momenti di vita (notissima l’osservazione delle anatre
appena nate). Nelle teorizzazioni di tale autore si parla di periodo
critico , o meglio di periodo sensibile : «alcune esperienze hanno effetti
sul comportamento con maggior pregnanza durante un certo periodo
piuttosto che prima o dopo» (Attil i , 1995). Possiamo utilizzare questa
chiave di lettura rispetto alla carenza di cure materne nell’essere umano.
Se tali cure non vengono fornite adeguatamente nel primo anno di vita i l
bambino non riesce a sviluppare un legame di attaccamento, oppure ne
costruisce uno molto precario. Gli effetti di tale distorsione si
r ipercuotono sullo sviluppo affettivo e comportamentale successivo. I
danni sono più l imitati nel caso in cui le cure materne siano deficitarie
in un periodo successivo a quello critico. Le carenze precoci, e quindi i
conseguenti effett i negativi, possono però venire attenuati, o addirittura
superati , grazie a fattori contestuali favorevoli. Ad esempio figure
allevanti , che si pongono in alternativa a quelle che non sono state in
grado di fornire cure adeguate al bambino, possono configurarsi come
importanti fattori di protezione. Questo è un dato che va nettamente a
favore dell’adozione, nella convinzione che questa possa spezzare la
continuità di condizioni svantaggiose per lo sviluppo infantile.
Se però le cure materne non sono adeguate e non si dispone di una figura
sostitutiva che compensi tale mancanza, i l bambino e i l futuro adulto
sviluppano il cosiddetto carattere anaffettivo (Bowlby, 1951) 2 , ovvero
l’ incapacità di stabilire rapporti significativi con le altre persone.
Sempre Bowlby sostiene che l’attaccamento può realizzarsi all’ interno
di un periodo abbastanza lungo (circa due anni-due anni e mezzo), ma
mai oltre tale l imite: qualsiasi esperienza positiva oltre tale periodo
crit ico non sortirebbe alcun effetto. Alcuni autori (Tizard, 1977; Hodges
e Tizard, 1989) 3 sono totalmente in disaccordo con la tesi di Bowlby,
1 Lorentz, K. (1935). Der Kupman in der Umwelt des Vogels. Journal fur Ornithologie, 83, 137-213, 289-423. Citato da Schaffer, H.R. (1996). 2 Bowlby, J. (1951). Maternal care and mental health. Ginevra: Organizzazione Mondiale della Sanità. Citato da Schaffer, H.R. (1996).3 Tizard, B. (1977). Adoption: a second chance. London: Open Books;Hodges, J., Tizard, B. (1989). IQ and behavioral adjustment of ex-istitutional adolescents. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 30, 53-76.
25
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
affermando che non vi è relazione causale tra la mancanza di esperienza
di attaccamento nei primi due anni e mezzo di vita e il successivo
sviluppo del carattere anaffett ivo. Anzi, bambini adottati anche ad età
molto più avanzate (7, 8 o anche 16 anni) tendono a presentare buoni
rapporti con i genitori adottivi, carichi di affetto e indirizzati verso la
formazione di un solido legame di attaccamento. Non esiste quindi
conferma dell’ipotesi dell’esistenza del periodo critico entro il quale
debba avvenire l’attaccamento. «Non è mai troppo tardi» (Schaffer,
1996): nell’ambito dell’adozione questo è molto più che una
rassicurazione.
Tornando a Bowlby. Egli può essere definito un etologo-psicoanalista
vista la sua formazione e il taglio particolare dato ai suoi studi e alla sua
notissima teoria. Egli si stacca, lo abbiamo già accennato, dall’ottica
psicoanalitica (soprattutto da quella di ispirazione freudiana): è r iuscito
a dare la giusta importanza alle esperienze reali del bambino senza
considerare solo le sue esperienze interne. Secondo la sua teoria (1969,
1973, 1980) i legami di attaccamento che vengono a svilupparsi in età
infantile continuano ad essere presenti e ad emanare la loro grande
influenza sul comportamento anche in età adulta: «e davvero la tendenza
a trattare gli altri nello stesso modo in cui siamo stati trattati noi stessi
è profondamente radicata nella natura umana; e in nessun momento ciò
è più evidente che nei primi anni. Tutti i genitori per favore ne prendano
nota!» (Bowlby, 1988).
Si tratta di un vero e proprio schema che, una volta sviluppato, tende a
persistere nel tempo, andando comunque incontro a variazioni a seconda
della relazione che si viene a costituire con i genitori: lo schema di
attaccamento è dunque una proprietà della relazione.
Il legame che si instaura tra bambino e madre viene considerato come la
r isultante di un sistema pre-programmato di schemi comportamentali che
conosce i l suo sviluppo nei primi mesi di vita e ha lo scopo di consentire
al bambino di mantenere una stretta prossimità con la f igura materna
stessa. Tale comportamento ha, come postulato della teoria, la funzione
biologica di assicurare protezione. «[…] lo stare in stretta prossimità
Citati da Schaffer, H.R. (1996).
26
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
con o l’avere facile accesso a qualcuno che è probabile ti protegga è la
migliore di tutte le polizze di assicurazione possibili» (Bowlby, 1988).
Non a caso Holmes (1993) definisce la teoria dell’attaccamento, nella
sua essenza, come una teoria spaziale: «quando sono vicino a chi amo
mi sento bene, quando sono lontano sono ansioso, triste e solo» .
La situazione di attaccamento la ritroviamo non solo nei bambini, ma
in tutte le persone di qualunque età che si vengono a trovare in
situazioni di stress e di angoscia. «[…] in nessuna età della vita una
persona è invulnerabile di fronte alle possibili avversità e […] in
nessuna età della vita una persona è impermeabile a un’influenza
favorevole» (Bowlby, 1988).
Il t ipo di attaccamento che si viene a creare in un individuo dipende
strettamente dall’esperienza che questo ha avuto nella sua famiglia.
Anche il comportamento genitoriale segue linee pre-programmate a
seconda delle condizioni che si vengono a verificare. Le modalità
peculiari con cui si manifesta dipendono comunque dalle esperienze
vissute. L’attaccamento dipende dall’esperienza avuta dello stesso e dal
successivo formarsi di modelli operativi interni, di sé stessi e della
f igura di r iferimento, che indirizzano il comportamento.
«Il concetto di modello operativo interno è stato usato da Bowlby (1969)
per descrivere la rappresentazione mentale delle relazioni che
consentono al bambino di fare predizioni sul comportamento probabile
dei suoi genitori (o delle figure di attaccamento) così che possa sentirsi
sicuro sapendo che i l genitore sarà disponibile quando ne avrà bisogno »
(Byng-Hall, 1995).
Mary Ainworth effettuerà importanti studi che consentiranno di
collegare determinati sviluppi emotivi e comportamentali nel bambino
con determinate esperienze di cure materne. Secondo l’Autrice i bambini
che hanno avuto esperienze negative di cure materne, e quindi di
attaccamento, sentono di avere paura di attaccarsi a qualcuno. Essi
temono di subire un altro e a volte ennesimo rifiuto carico di rabbia e di
angoscia conseguenti. In questa sede, per motivi di spazio, non
tratteremo i diversi pattern di attaccamento derivanti dagli studi di
Bowlby e Ainsworth.
27
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Le idee di Bowlby non sono state r isparmiate da durissime critiche. Le
accuse riguardano l’eccessivo ruolo affidato alla figura materna e ai
singoli traumi vissuti dal bambino durante il periodo dell’ infanzia. Non
ha dato inoltre i l giusto peso agli altri rapporti interpersonali che il
bambino intrattiene con il padre, i fratelli e altre f igure significative.
Si tratta comunque di un contributo fondamentale per tutta la psicologia
e soprattutto per gli studi relativi ai primi momenti dello sviluppo
umano. L’adozione, con il suo bagaglio di sofferenza derivante da
esperienze precoci traumatiche, non può essere compresa appieno senza
la comprensione di tale teoria e dei concetti ad essa legati . Anzi, proprio
tali conoscenze hanno contribuito fortemente a porre maggior attenzione
e sensibil ità all’età infantile e alle problematiche di questa fase di
sviluppo.
28
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Traumi infantili e attaccamento
Molti studiosi si sono occupati degli effetti patologici derivanti da
prolungate istituzionalizzazioni o frequenti cambiamenti nella f igura di
attaccamento (soprattutto quella materna) a partire dai primi mesi di
vita: è stato così possibile studiare e valutare il significato e le
conseguenze dell’esperienza di abbandono nell’infanzia, accrescendo
l’ importanza attr ibuita alle componenti affettive oltre che a quelle
nutritive della relazione caregiver-bambino. Tali risultati sono ancora
più significativi se consideriamo che « f ino a poco tempo fa si sosteneva
che il bambino non soffriva se la separazione dalla madre avveniva
quando era molto piccolo» (Morral Colajanni, 1992).
Tra gli Autori che si sono occupati di tale tematica ricordiamo, oltre a
John Bowlby (1949, 1944), Lauretta Bender (Bender e Yarnell, 1941;
Bender, 1947), Dorothy Burlingham e Anna Freud (1942, 1944), William
Goldfarb (1943, 1955), David Levy (1937), Renè Spitz (1945, 1946,
1965) e Harlow (1959)
In particolare gli esperimenti di Harlow sul benessere da contatto sono
stati fondamentali per giungere alla scoperta dell’esistenza di una base
genetica autonoma nello sviluppo dell’attaccamento.
Spitz invece ha fornito importanti studi sulla deprivazione materna,
mettendo in evidenza la sofferenza che si attiva di fronte alla mancanza
di un rapporto di t ipo esclusivo: «[…] queste scoperte sono state così
frequentemente citate per mostrare i devastanti effetti che ha sullo
sviluppo la mancanza di un maternale precoce anche quando sono
esaudite le più evidenti esigenze fisiologiche (fame, sete, riparo) »
(Eagle, 1984). Lo stesso Spitz (1958) puntualizza come tale mancanza
può portare anche alle estreme conseguenze della morte nonostante
l’appagamento delle esigenze fisiche.
I bambini hanno bisogno di alcune condizioni di base per potersi
sviluppare e crescere. Queste condizioni non si possono fermare alla cura
del corpo, ma si devono necessariamente allargare al bisogno di amore,
elemento indispensabile per la crescita emotiva dell’essere umano.
Emerge da tutte queste ricerche come l’inadeguatezza di cure durante la
29
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
prima infanzia abbia una notevole influenza sullo sviluppo della
personalità del bambino. Il modo con cui i genitori (o comunque le
f igure parentali) trattano loro figlio determina fortemente lo sviluppo
dello schema di attaccamento di questo durante la prima, seconda
infanzia e adolescenza.
Nessuna madre però può essere considerata malevole, anche se
dispensatrice di cure non soddisfacenti. Le strategie comportamentali da
lei adottate dipendono dall’esperienza infantile vissuta dalle madri stesse
in passato. Alcune ricerche affermano che questa non è comunque la sola
variabile implicata nel determinare lo sti le genitoriale: la cultura di
appartenenza, ad esempio, impone dei comportamenti sociali particolari
anche per quanto riguarda l’attaccamento (K.E.Grossman e K.Grossman;
1981; Hinde, 1982) 1 .
L’esperienza dell’abbandono assume inoltre significati e pesi diversi a
seconda dell’età in cui avviene. É risaputo che un bambino abbandonato
ad un’età molto precoce (prima dei sei mesi di vita) ha effetti meno
devastanti di uno abbandonato in età avanzata, in quanto il primo ha
maggiori possibilità di sviluppare un attaccamento alternativo con altre
f igure di r iferimento rispetto al secondo. Resta i l fatto comunque che
ogni esperienza di abbandono, qualsiasi sia l’età in cui avviene, è un
evento profondamente traumatico per ogni essere umano. Nel bambino
tale trauma si può ripercuotere in difficoltà psicologiche di vario t ipo e
di apprendimento, angoscia di separazione, sentimento di lutto e di
perdita. «[…] l’esperienza di abbandono rimane dentro le persone e può
riemergere a diverse riprese: può essere all’ inizio della scuola,
all’asilo, i l giorno che per la prima volta vengono lasciati dai nonni per
andare al cinema. Possono essere tanti i momenti di abbandono, ma
l’importante è che la presenza rassicurante dei genitori, faccia capire
1 Grossman, K.E., Grossman, K. (1981). Parent-infant attachment relationships in Bielefeld: a research note. In K. Immelman, et al. (eds). Behavioral Development: The Bielefeld Interdisciplinary Project. Cambridge: Cambridge University;Hinde, R.A. (1982). Attachment: some conceptual and biological issues. In C.M. Parkes, J. Stevenson-Hinde (eds). The Place of Attachment in Human Behavior. London: Tavistock Institute Press. Citati da Attili, G.(1995).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
che non è un abbandono definitivo, ma che è un tipo di separatezza che è
anche un tempo di riunificazione» (Galli , 1997).
Nonostante la pesantezza della situazione di partenza emerge la
possibilità di scorgere una capacità di recupero. Tali bambini quindi
possono trarre grandi vantaggi dal miglioramento del loro ambiente di
vita e delle cure ricevute. È fondamentale sperimentare una figura di
attaccamento importante, stabile e qualitativamente adeguata.
Occorrono “cure materne abbastanza buone” (per dirla con Winnicott) ,
la mancanza delle quali impedisce ai bambini di realizzarsi anche solo
come bambini piccoli. Nell’aggettivo “materne” non vi è alcuna
intenzione di escludere altre figure importantissime come quella del
padre. Si vuole invece dare risalto alla funzione materna presente in chi
si prende cura del bambino, qualsiasi sia il suo sesso o grado di
parentela.
«Non è forse vero che la madre ha comunicato con il bambino? Essa ha
detto: “sono attendibile non perché io sia una macchina, ma perché so
ciò di cui hai bisogno e me ne preoccupo e voglio darti proprio quello di
cui hai bisogno. È questo ciò che chiamo amore a questo stadio del tuo
sviluppo”» (Winnicott, 1968) 1 .
Vediamo ora nel dettaglio tre concetti fondamentali per comprendere
l’adozione e le sue dinamiche, tre concetti appartenenti a tre autori
diversi: Bowlby, Winnicott e Bion. Stiamo parlando, r ispettivamente, del
concetto di “base sicura” e di quelli , che ad esso si avvicinano, di
“holding” e “containing” . Si tratta di aspetti molto vicini l’uno all’altro
e che possono essere visti come facenti parte di un’evoluzione
concettuale che va dal fisico al mentale: la “base sicura” di Bowlby è
l’espressione della concretezza di un oggetto di cui è necessaria la
presenza per garantire protezione e sicurezza; l’ “holding” di Winnicott
mantiene una componente fisica nell’ idea di tenere, ma si tratta di un
tenere che comincia a prefigurare degli aspetti interni; i l “contenimento”
di Bion è completamente mentale, fondandosi su di una elaborazione
psichica. Naturalmente, per motivi di spazio, sarò costretto a
1 Confronto e contrasti nella comunicazione bambino-madre e madre-bambino.In Winnicott, D.H. (1987).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
semplificare al massimo l’esposizione di argomenti che richiederebbero
ben più di un paragrafo per comprenderne a pieno tutte le sfumature ed
implicazioni. Per ulteriori approfondimenti r imandiamo ai testi dei
r ispettivi Autori citati in bibliografia.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“Base sicura”
La caratteristica principale dell’essere genitore è, secondo Bowlby,
quella di fornire una “base sicura” da cui un bambino, o un adolescente,
possa partire per affacciarsi sul mondo esterno e a cui possa ritornare
sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed
emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato. In sostanza
questo ruolo consiste nell’«essere disponibili , pronti a rispondere
quando chiamati in causa, per incoraggiare e dare assistenza, ma
intervenendo attivamente solo quando è chiaramente necessario »
(Bowlby, 1988).
Tale base sicura ha una grandissima influenza sulle componenti emotive
dello sviluppo del bambino. Quando un genitore accudisce il proprio
figlio lo fa con la funzione di contribuire alla sopravvivenza di questo, i l
quale a sua volta sviluppa attaccamento verso il genitore per ridurre il
r ischio di incorrere in pericoli.
La base sicura consente di acquisire quella sicurezza e quella f iducia
che permettono di andare alla scoperta del mondo esterno. Secondo
questa prospettiva, i problemi che spesso i bambini adottivi manifestano
nell’apprendimento scolastico possono essere interpretati come dovuti
all’ incapacità, o comunque difficoltà, ad interiorizzare la f igura di
r iferimento e quindi, a l ivello simbolico, una base sicura. Questo
impedisce loro di potersi lanciare verso la conoscenza della realtà
esterna sconosciuta, in questo caso delle nozioni scolastiche: è come se
il loro pensiero fosse bloccato da un’esigenza più forte.
Le esperienze precoci di abbandono mettono a dura prova la capacità dei
bambini di costruire e sperimentare una figura che possa fungere da base
sicura. I loro sforzi sembrano così concentrarsi sul controllo rispetto a
tale punto di r iferimento, con la paura costante di essere nuovamente
abbandonati.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“Holding”
Winnicott ha cominciato a studiare i bambini partendo dall’esperienza di
pediatra. La sua pratica di osservazione è stata organizzata, oltre che in
ambiente ospedaliero, anche e soprattutto negli isti tuti per bambini
sfollati negli anni della guerra, istituti in cui la maggior parte dei
bambini si presentavano come deprivati o delinquenti.
Egli si discosta da Freud in quanto considera e studia la coppia
bambino-madre quasi come un’unità psichica. «Non esiste l’entità
bambino: […] ogni volta che si trova un bambino si trovano cure
materne e senza cure materne non ci sarebbe un bambino» (Winnicott,
1965). Riconosce quindi la grande importanza che riveste i l contributo
della madre al benessere fisico ed emotivo del bambino attraverso
l’ identif icazione empatica con i bisogni di quest’ultimo. Utilizza a tal
proposito l’espressione “maternage abbastanza buono” , intendendo con
questa espressione qualcosa che è buono quanto basta, ma non “troppo”.
Winnicott parla di una “madre normalmente devota” nella quale ripone
grande fiducia circa le sue abilità e il suo intuito nel sentire e capire i
bisogni del f iglio. Essa ha i l compito di consentire al bambino di
sperimentare una fusione iniziale da cui via via occorre innestare un
processo di distanziamento e separazione tramite l’esposizione a
frustrazioni graduali. Ogni madre è in grado, semplicemente in quanto
madre, di fare delle cose e di farle bene. Essa è devota al compito di
accudire il proprio bambino. Questo permette al bambino di formare la
f iducia indispensabile perché possa evolversi e svilupparsi verso mete di
maggiore complessità. L’acquisizione di tale intuito da parte della madre
avviene grazie alla sua capacità di identif icazione nei confronti del
f iglio. Quest’ultimo parte da quello stato che possiamo definire di
fusione, in cui sente di essere una cosa sola insieme alla madre (una vera
e propria i l lusione di onnipotenza); poi, successivamente, r iesce a sentire
ed affermare la sua autonomia. All’inizio del rapporto col proprio figlio
la madre si trova avvinta da una grandissima e totale preoccupazione.
Questo stato ha una durata di qualche settimana, dopo il quale ha inizio
il processo di profonda identif icazione col bambino.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
I l termine “holding” , per Winnicott, estende il suo significato a tutto
quello che una madre è e fa nel periodo in cui si trova di fronte al suo
bambino appena nato. «La cosa principale è l’holding fisico che è la
base di tutti gli aspetti più complessi dell’holding e di ciò che fornisce
l’ambiente in generale» (Winnicott , 1965).
Winnicott utilizza anche il termine “handling” intendendo con esso il
modo con cui si tratta, si maneggia fisicamente qualcosa e il modo in cui
si fronteggia psicologicamente e praticamente una situazione. In questo
siamo vicini alle posizioni di Bowlby viste in precedenza, ma, come
afferma Holmes (1993): « i l compito principale dell’ambiente di
contenimento è, come l’attaccamento, la protezione, sebbene, in
contrasto con Bowlby, Winnicott lo descriva in termini esistenziali
piuttosto che etologici» .
Il momento in cui mettere in campo tali aspetti è molto delicato e spesso
le madri si allarmano al solo pensiero dell’ importanza di ciò che stanno
facendo. Rammentarglielo è del tutto deleterio secondo Winnicott: molto
meglio è che vengano lasciate in una situazione ist intiva, poiché la
consapevolezza di sé le porta a commettere degli errori.
Winnicott ha dedicato alcuni suoi contributi al tema specifico
dell’adozione 1 . Secondo l’Autore spesso, alla base della sofferenza dei
bambini, soprattutto quelli adottati , vi è « l’esperienza traumatica di non
essere stati tenuti abbastanza bene» . E in questo caso il termine tenere o
contenere ha un’eccezione ben più vasta del semplice tenere in braccio.
Tale compito non può essere assolutamente portato avanti da una madre
che non accetta o si vergogna di un’anomalia del f iglio.
Nell’adozione ci scontriamo con bambini che non sono stati tenuti
bene, e anzi sono stati proprio lasciati andare danneggiando le loro
sicurezze. Per questo al genitore adottivo è demandato il compito di
essere molto attento alle componenti di cura del bambino, in modo tale
che questi possa ricostruire dentro di sé la sensazione di essere tenuto e
accettato per quello che è. Spesso però l’adozione, soprattutto quella
internazionale, si accompagna ad una difficoltà da parte dei nuovi
1 Due bambini adottati; Le trappole dell’adozione; Figli adottivi e adolescenza.In Winnicott, D.H. (1996)
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
genitori di soddisfare tale necessità del bambino : « i l messaggio
proveniente dai genitori adottivi può […] essere ambiguo se non
contraddittorio: essi gli vogliono bene, ma non tanto per quello che è
[…] quanto piuttosto come potenziale bambino e adulto bianco »
(Dell’Antonio, 1994), come oggetto che si adatta ai propri desideri
indipendentemente dall’ identità f in lì costruita e dalle esperienze vissute
in precedenza.
Il bambino ha bisogno di essere “tenuto” nella sua totalità, con i suoi
difetti , le sue carenze, i l suo dolore: questo è i l compito più difficile di
chi si r ivolge all’adozione.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“Contenimento”
Sin dall’ inizio, lo abbiamo già detto, i l ruolo della madre è fondamentale
per lo sviluppo del bambino e della sua salute mentale. Essa fornisce un
ambiente facilitante tale da permettere l’evolversi dell’ individuo
secondo i propri processi di crescita naturali e le interazioni con
l’ambiente, e nel r ispetto del proprio bagaglio genetico.
Bion parla del concetto di “containing” attraverso una serie di aspetti
teorici di non semplice ed immediata comprensione: il modello
contenitore-contenuto , la relazione tra le “posizioni schizoparanoide” e
“depressiva” , i concetto di “reverie” , “funzione alfa” ed “elementi
beta” ed altr i ancora. Tratteremo solo alcuni di tali concetti per ragioni
di spazio ed economia del discorso.
La teoria di Bion non è semplice e nemmeno i suoi testi . I l suo
linguaggio unisce la psicoanalisi di matrice kleiniana con uno sforzo di
trasformare questo modello teorico in astratto, con delle sigle, delle
forme per generalizzare il discorso. Sembra un ibrido tra un l ibro di
psicoanalisi e uno di f isica.
Secondo lo psicoanalista inglese il bambino ha la profonda necessità di
disporre di un “contenitore” per i contenuti dei propri pensieri. Tale
contenitore ha la funzione di depurare tali pensieri dalle componenti
distrutt ive e di consentire lo sviluppo del pensiero del bambino.
Solitamente è la madre che si configura come contenitore ricettivo e
metabolizzatore delle emozioni del bambino e realizza la funzione di
“reverie” : «[…] la fonte psicologica che provvede al bisogno di amore e
di comprensione del bambino […] lo stato mentale aperto alla ricezione
di tutti gli “oggetti” provenienti dall’oggetto amato, quello stato cioè
capace di recepire le identificazioni proiettive del bambino» (Bion,
1962).
La madre si pone «[…] come un contenitore effettivo delle sensazioni del
lattante, e con la sua maturità riesce a trasformare con successo la fame
in soddisfazione, i l dolore in piacere, la solitudine in compagnia, la
paura di stare per morire in tranquillità. [È la] capacità della madre di
37
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
essere aperta alle proiezioni-necessità del bambino » (Grinberg, Sor e de
Bianchedi, 1991).
Nell’adozione è molto evidente come il pensiero sia in qualche modo
sospeso dalla mancanza di un contenimento adeguato. «[…] l’ insieme di
emozioni, di esperienze a cui le emozioni si collegano e di pensieri che
alla vita emotiva danno coesione e significato, si vengono a determinare
solo se è possibile l’ incontro con un’altra mente che contribuisca a
definirne i l significato» (Artoni Schlesinger, 1996). Secondo Ammaniti e
Stern (1995) è la madre ad essere in grado «di fornire una matrice
(Odgen, 1985) 1 , uno spazio contenitivo silenziosamente attivo, nel quale
possono realizzarsi l’esperienza psicologica e fisica [del bambino]»,
provvedendo ad uno spazio mentale in cui egli possa cominciare a
generare le sue esperienze.
Possiamo pensare ai tre soggetti di tale percorso (operatori, genitori e
bambini) come a tre elementi rappresentabili all’interno di cerchi
concentrici: gli operatori contengono le ansie e le paure dei genitori , i
quali a loro volta si prendono cura dei pensieri sofferenti del bambino.
La sensazione e l’esperienza dell’essere contenuti sono fondamentali per
contribuire alla formazione di quello che Bion chiama “ l’apparato per
pensare i pensieri” ovvero, semplificando al massimo, lo sviluppo del
pensiero derivante da una condizione di frustrazione e dalla conseguente
metabolizzazione di tale sofferenza che porta a tollerare tale
frustrazione. «La componente psichica – l’amore, la sicurezza,
l’angoscia - richiede, con quella somatica, un processo analogo alla
digestione» (Bion , 1962). Tale processo trova nella funzione contenente
e di “reverie” della madre le linee essenziali per i l suo sviluppo.
Nell’ambito dell’esperienza adottiva le problematiche aggiuntive
derivanti da tale condizione richiedono, a maggior ragione, la possibili tà
di disporre di un contenitore capace di accogliere e depurare le emozioni
dolorose del bambino da una parte e dei genitori dall’altra.
1 Odgen, T.H. (1985). On potential space. International Journal of Psycho-Analysis, 66, 129. Citato da Ammaniti, M., Stern, D.N. (1995).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
2.
STUDI SULL’ADOZIONE
Esiste la tendenza, nel campo degli studi sull’adozione, a studiare
solamente quegli aspetti che vengono considerati devianti, tralasciando
quelli cosiddetti normali. È come se si volesse andare a cercare per forza
qualcosa di patologico, qualcosa che non funziona. Un’analisi che va alla
r icerca delle problematiche e poco delle r isorse. Si tratta di un
pregiudizio che influenza fortemente la ricerca e l’opinione sociale circa
il concetto di adozione.
È un immaginario diffuso quello che vede l’adozione come una
situazione anomala e a rischio. A questo contribuiscono in buona parte i
commenti mass mediatici che spesso presentano l’adozione come la
spiegazione per un doloroso fatto di cronaca inducendo ad infauste,
quanto inopportune, generalizzazioni. Oggi però l’adozione è divenuta
una realtà molto diffusa che assume proporzioni raffrontabili a quelle
della nascita naturale e della procreazione medicalmente assistita.
Proprio questa sua maggiore visibilità sociale spinge per ottenere un
riconoscimento rispetto al dirit to di vivere una genitorialità “normale”. I
genitori adottivi , inoltre, non possiedono un modello proprio di
genitorialità, ma prendono in presti to quello dei genitori naturali a cui
cercano di uniformarsi, ma che inevitabilmente finisce per presentare
delle scollature rispetto al loro particolare percorso.
Interessante a tal proposito è il contributo di Lucilla Castelfranchi
(1992), la quale r itiene sia importante eliminare l’equiparazione tra
genitorialità adottiva e naturale, in una prospettiva che guarda alle
differenze per comprendere tutte le specificità dei percorsi
dell’adozione. Un grande obiettivo sarebbe quello di riuscire a fare
r iferimento ai genitori adottivi non in quanto tali , ma come adulti che si
apprestano a vivere o stanno vivendo un’esperienza di genitorialità, che
manifestano il bellissimo proposito di prendersi cura di un bambino che
ha bisogno di una famiglia.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Non è un compito facile, soprattutto perché i contesti sociale ed
ist ituzionale tendono a muoversi secondo linee di pregiudizio verso tale
tipo di genitorialità e questo tende ad influenzare inevitabilmente non
solo chi si occupa e chi vive nell’adozione, ma anche chi, come
noi, cerca di studiare tale campo di indagine.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Natura-cultura
L’ambito dell’adozione è stato molto indagato rispetto alla possibilità di
effettuare studi interessanti sull’influenza relativa delle componenti
genetiche ed ereditarie sull’ individuo. A tal proposito è interessante
quanto affermano Emiliani e Molinari (1995) rispetto all’infanzia: «ogni
civiltà ha dovuto affrontare nell’educazione l’ impegno verso i bambini e
questo argomento è stato investi to in modo ricorrente e privilegiato
dall’antinomia classica natura-cultura, innato-acquisito che domina
incontrastata tutti gli scenari culturali, storici e politici» .
Molto uti lizzato è l’approccio consistente nello studio di bambini
cresciuti con genitori non naturali f in dalla tenera età, messi a confronto
con le caratteristiche psicologiche sia di questi (genitori adottivi) che
dei genitori biologici. Tale modalità di studio ci consente di verificare
l’ influenza dei fattori genetici isolandola da quella degli effetti
ambientali . Se i risultati indicano somiglianze con i genitori naturali ,
queste vengono interpretate come una prova di influenza genetica. Al
contrario, la somiglianza con i genitori adottivi va a favore
dell’ influenza dei fattori ambientali . «Babies born to one set of parents
and raised by another tell us a lot about the relative influence of genes
and the environment. […] The interaction beetween genes and
environment is believed to be both subtle and complex» (Howe, 1998).
I bambini adottati sono più simili ai genitori biologici ( influenza
predominante dei geni) o ai genitori adottivi (e in questo caso
l’ influenza predominante è quella ambientale)?
La credenza predominante nel ventesimo secolo è quella che dà maggior
importanza alle componenti ambientali , anche se occorre porre
attenzione alle alte correlazioni che legano figli e genitori naturali
r ispetto ad alcune variabili , come ad esempio peso e malattie.
L’ambiente sociale creato inizialmente dai genitori adottivi ha una forte
influenza sui bambini, i quali assumono caratteristiche più simili a
quelle dei loro genitori adottivi r ispetto a quelle dei genitori naturali ,
benché le loro caratteristiche ereditarie continuino a giocare un ruolo
importante anche dopo l’abbinamento.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Si tratta di studi di non semplice realizzazione che presentano, come
tutt i gli esperimenti sull’argomento, alcune l imitazioni e difficoltà che
ne riducono la generalizzazione dei risultati: i genitori biologici non
sono sempre rintracciabili e disponibili ; i bambini spesso vengono
accoppiati a genitori adottivi che presentano caratteristiche simili a
quelle dei genitori naturali .
Alcuni studi (Horn, 1983) 1 sono stati effettuati attr ibuendo grande
attenzione all’ intelligenza e agli effetti che hanno su di essa le
componenti biologiche ed ambientali . I l r isultato che emerge dalla
maggioranza di tali studi indica come la correlazione tra QI (quoziente
intellettivo) di bambini adottati e QI dei loro genitori biologici sia
significativamente superiore a quella tra i primi e i genitori adottivi.
Tale dato può essere interpretato come l’influenza dei fattori genetici
ereditari sull’intell igenza. Ma allo stesso tempo, all’interno degli stessi
studi, si r iscontra che il QI medio dei bambini è più simile a quello dei
genitori adottivi , soprattutto se il QI della madre naturale è basso.
È opinione diffusa che la possibilità di vivere in un ambiente
privilegiato e r icco di st imoli possa essere un fattore determinante
nell’ innalzamento del QI. In questo caso l’ interpretazione cadrebbe a
favore dell’influenza di fattori ambientali .
Un altro aspetto molto studiato è quello relativo alla personalità.
Alcuni studi (Lohelin, Horn e Willerman, 1981; 1989) 2 hanno messo in
evidenza la mancanza di somiglianza tra persone che vivono insieme,
indipendentemente dal grado di parentela genetica. Ciò porta
all’ interpretazione che i tratti di personalità non subiscono grosse
influenze nella loro formazione né di t ipo ereditario né di t ipo
ambientale. Altri studi invece (Mednick, Moffit t e Stack, 1987) 3
1 Horn, J.N. (1983). The Texas adoption project: adopted children and their intellectual resemblance to biological and adoptive parents. Child Development, 54, 268-275. Citato da Schaffer, H.R. (1996). 2 Loehlin, J.C., Horn, J.M., Willerman, L. (1981). Personality resemblance in adoptive families. Behavior Genetics, 11, 309-330;Loehlin, J.C., Horn, J.M., Willerman, L. (1989). Modeling IQ change: evidence from Texas adoption project. Child Development, 60, 993-1004. Citato da Schaffer, H.R. (1996).3 Mednick, S.A., Moffit, T.E., Stack, S. (1987). The causes of crime: new biological approaches. New York: Cambridge University Press. Citato da Schaffer, H.R. (1996).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
propendono per il versante dell’ influenza genetica, soprattutto riguardo
lo sviluppo di atteggiamenti criminali.
Lo stesso discorso vale per alcuni tratti quali l’estroversione e i l
nevroticismo (Henderson, 1982).
Tutta questa varietà di studi e r icerche può venire raggruppata sotto
l’etichetta comune di “genetica del comportamento” o “genetica
comportamentale”. Si tratta di un fi lone di r icerca che si occupa dello
studio dei tratti e dei comportamenti nel tentativo di capire quanto i geni
ne influenzino l’espressione. Nel far questo non nega però l’ importanza
del ruolo dell’ambiente. Ogni comportamento o tratto non è mai
determinato da un solo gene, ma sempre da molti geni che agiscono
insieme all’ interno di ambienti diversi. Geni e ambiente sono legati da
un rapporto di correlazione reatt iva: i geni causano lo sviluppo
dell’ambiente e a sua volta l’ambiente generato dai geni influenza lo
sviluppo individuale.
Lo sviluppo individuale poi viene determinato in minima parte dalle
esperienze condivise (famiglia), mentre lo è in massima parte da quelle
non condivise (scuola, amici…) (Plomin et al. , 1990) 1 . La vita in
famiglia quindi non è la sola responsabile dello sviluppo del bambino e
dei suoi eventuali problemi, rendendo ancora più difficile stabilire cosa
va imputato ai geni e cosa all’ambiente.
Abbiamo rapidamente effettuato un excurcus all’interno della
letteratura che ha utilizzato l’adozione come oggetto di indagine nella
diatriba natura-cultura. La sensazione è quella di un panorama di studi e
di risultati molto complesso e contraddittorio. Non ci sono dati certi in
una direzione o in un’altra e questo aspetto risulterà una costante anche
negli studi che andremo ad analizzare successivamente. La
contraddittorietà di tali r isultati rende quantomeno discutibile
l’esplicitazione di giudizi molto rigidi e definitivi rispetto all’adozione e
r ispetto a chi ne è protagonista. Abbiamo così optato per un
1 Plomin,R., Chipuer, H.M., Loehlin, J. C. (1990). Behavioral genetics and personality. In L.A. Pervin (a cura di) Handbook of Personality: Theory and Research. New York: Guilford Press, 225-243. Citato da Pervin, L.A., John, O.P. (1997).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
atteggiamento molto cauto nell’esplicitazione di pareri conclusivi,
lasciando aperte alcune domande.
Vediamo quindi ora come l’adozione viene inquadrata e indagata dalla
letteratura corrente.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Fattori di rischio e fattori di protezione
«Cosa ne pensi de l fa t to d i essere sta ta adot ta ta? »
«Cosa ne penso de l fat to che c i s iamo adot ta t i ! »
(una bambina adot ta ta ) 1
Gabriella Merguici (2001) usa un’immagine molto forte per descrivere
un minore abbandonato. Afferma infatti che la personalità di questo può
essere definita «“a forma di gruviera”, con tanti buchi, alcuni dei quali ,
i più piccoli, si sarebbero potuti chiudere, altri ridurre, mentre i più
grandi sarebbero rimasti tali nonostante le cure affettuose e le
attenzioni dei nuovi genitori» . La stessa Merguici, all’ interno del
medesimo contributo, traccia poi un’altra bell issima immagine del
genitore adottivo: «un esperto restauratore preparato al “recupero e
alla manutenzione” di quell’opera d’arte incompiuta che è la
personalità del bambino» .
In queste due immagini possiamo ritrovare l’essenza dei concetti di
r ischio e protezione. Da una parte abbiamo un minore che ha subito una
grave perdita che lo espone alla possibilità di avere dei “buchi” troppo
grandi da rimarginare per poter affrontare la vita. Dall’altra i genitori
adottivi che si dedicano con amore alla cura di un oggetto prezioso,
cercando di limitare quei danni che il tempo ha cagionato.
Jolanda Galli , esperta professionista del settore da molti anni, dedica
grande attenzione all’argomento dei fall imenti adottivi. La sua ottica
però non vuole assolutamente porsi come pessimistica e giudicante.
Possiamo vederla come un approccio di t ipo preventivo ( «siamo
consapevoli che i l rischio di fallimento è insito nell’adozione ma
pensiamo anche che questo si possa in molti casi prevenire») , teso alla
messa in luce di precise problematiche spesso taciute. «[…] la scarsa
attenzione posta allo studio psicosociale delle coppie, le modalità
collusive con gli adulti richiedenti l’adozione, oppure la scarsa
attenzione posta alla specificità di questo lavoro, anche per la
svalutazione dello stesso da parte del sistema giuridico, che non sempre
tiene conto delle controindicazioni all’adozione provenienti dal lavoro
1 In Dell’Antonio, A. (2001).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
svolto dallo psicologo e dall’assistente sociale, partecipano attivamente
a creare condizioni favorenti i l fall imento, piuttosto che il buon esito
dell’adozione» (Galli , 2001).
Alle coppie è demandato il compito di essere preparate a gestire dei dati
di realtà: quanto più sarà approfondito il lavoro, non solo durante
l’ indagine socio-psicologica, ma anche prima di essa, maggiori saranno
le probabilità di successo. I l punto principale è cercare di rallentare il
processo, aprire una riflessione nella coppia che sembra bloccata nel
pensiero a causa delle sofferenze provate.
L’esperienza clinica dell’adozione ha consentito di identif icare quali
sono quei fattori di r ischio che esistono prima ancora che l’adozione si
compia, quelli cioè che risiedono nella storia personale di ogni partner,
nella coppia e nel bambino. Quando parliamo di r ischio ci r iferiamo ad
un concetto alquanto complesso, che si si tua al confine tra normalità e
patologia e definisce quegli eventi o comportamenti che possono, ma non
necessariamente lo faranno, dare il via ad un percorso evolutivo non
adattativo. Gli esiti di qualsiasi percorso sono sempre connotati da una
certa imprevedibilità ed incertezza per il futuro, dovuti all’interazione di
diversi fattori variabili in base a situazioni e contesti . Così l’esperienza
dell’adozione, prima di essere considerata solamente un indicatore di
r ischio, andrebbe attentamente considerata rispetto ad una complessità di
fattori. Primo fra tutti l’interazione tra r ischi e r isorse, queste ultime
spesso trascurate nell’ indagine sull’adozione. La capacità di attivare tali
fattori spesso è i l primo passo verso il superamento di una situazione di
difficoltà, anche se l’esito finale è sempre frutto di una serie di processi
complessi e interattivi che coinvolgono diverse componenti. Le coppie
non vanno valutate solamente rispetto a ciò che non funziona. Occorre
dedicare uno spazio anche e soprattutto alle potenzialità che risiedono in
esse.
Per esporre meglio tale concetto ci rifacciamo ad un contributo di
Francescato, Cagnetti e Grego (1996) sulle famiglie r icostituite. In tale
campo, affermano le Autrici, vi è la tendenza a concentrarsi sui problemi
che esistono all’ interno di tali famiglie. Si ignorano totalmente quei
potenziali aspetti positivi comunque esistenti, innestando un processo di
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
profezia autodeterminantesi: «se i membri della famiglia ricostituita si
aspettano solo problemi e difficoltà, allora questi si verif icheranno. Se
invece i potenziali positivi vengono identif icati , le aspettative saranno
presumibilmente più positive» .
I l discorso può essere ampliato all’ambito dell’adozione, molto spesso
inquadrata secondo un modello di deficit invece che di potenziali r isorse.
Tali potenzialità sono l’aggancio per poter innestare un processo di
elaborazione interiore e per prepararsi all’adozione.
I l rapporto che si verrà ad instaurare con gli operatori è fondamentale
per valorizzarne le risorse e circoscriverne i l imiti: «se la coppia si
sentirà accolta, sarà ben più disposta a costruire quello spazio
necessario per accogliere ed elaborare la propria sofferenza »
(D’Andrea, 1999).
Anche Jolanda Galli , durante la sua relazione al convegno “Alla scoperta
delle radici” , tenuto a Carpi nel 1997, afferma: «[…] se non si utilizza
il tempo che i servizi pubblici mettono a disposizione delle persone che
vogliono affrontare l’esperienza dell’adozione per pensare, per
rif lettere, per interrogarsi e soprattutto per comprendere quelli che sono
i propri l imiti e le proprie risorse, per non fare il passo più lungo della
gamba, può accadere di buttare dalla finestra una potenzialità che è
quella di fare una buona adozione» . Si apre qui l’idea di una
collaborazione profonda e di reciproca fiducia tra genitori ed operatori,
obiettivo che fino ad oggi è ancora lontano dal concretizzarsi.
Adottare significa riuscire a trovare una coppia capace di garantire
«una comprensione empatica e facilitante di un processo riparatorio
interno al dramma vissuto, per garantire […] un futuro privo di ulteriori
traumi» (Morral Colajanni, 1997).
L’operatore che si accosta alla conoscenza della coppia deve adoperarsi
per cogliere quali sono le r isorse reali che essa può mettere in campo.
Nel fare ciò occorrerebbe esimersi dall’ancorarsi ad un modello ideale di
famiglia perfetta, modello che per vari motivi non può essere ricalcato
dalla nuova famiglia adottiva, ma non per tale ragione quest’ultima ha
minore dignità della prima.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Lanza e Sabatello (1996) affermano che l’arrivo di un bambino porta
sempre con sé una serie di cambiamenti che sovvertono la dinamica e gli
equilibri interni ed esterni della coppia. Questa va così incontro alla
r ichiesta di un notevole sforzo nel tentativo di r icostruire un nuovo
equilibrio psicoemotivo: compito non semplice, soprattutto per la coppia
adottiva, considerando quanto essa sia spesso già molto provata
emotivamente dalle vicende che hanno condotto finalmente alla
genitorialità. È risaputo che l’ ingresso di un nuovo membro all’interno
della famiglia ne aumenta inevitabilmente la complessità e ne richiede
un delicato processo di adattamento. Si tratta di un adattamento che
Wilma Binda (1987) considera incastonato di aspetti di gratificazione e
aree di difficoltà, sia sul versante organizzativo che su quello
relazionale.
Afferma Alessandra Santona durate i l seminario formativo “La
preparazione della coppia all’adozione internazionale” , tenutosi a
Montecatini tra ottobre e novembre 2001, che « le figure genitoriali
interiorizzate hanno una trama di rappresentazioni e reazioni che
costituiscono un codice che ha in sé aspetti di vincolo e di risorse » . La
formazione della coppia e le dinamiche che questa deve attraversare nel
suo sviluppo sono importanti aspetti da prendere in considerazione nel
processo dell’adozione.
Annamaria Dell’Antonio (2001) riassume bene il fulcro del nostro
discorso affermando che « l’adozione viene presentata come una cosa
bellissima, ma le difficoltà ci sono» . Affrontarle con equilibrio e
preparazione è la sfida più grande che si propone chi vive a stretto
contatto con essa.
Ora passiamo a proporre una rassegna di contributi che tendono a
proporre una visione dell’adozione di t ipo negativo. Pare che, secondo la
maggioranza degli Autori citati , la parola adozione non possa essere
considerata separatamente da aggettivi prettamente negativi: difficile,
problematica, rischiosa. Inoltre l’impressione che abbiamo ricevuto da
tale r icerca bibliografica è la presenza di giudizi molto forti e pesanti
r ispetto alla condizione di genitorialità adottiva, giudizi che a volte
assumono la consistenza di sentenze e verità inconfutabili .
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“Patterns of adoption”
David Howe (1998) ha fornito un interessante contributo circa il campo
dell’adozione e nel suo libro “Pattern of Adoption” ne analizza vari
aspetti .
Parlare di adozione comporta tante domande. Howe si chiede se
l’adozione possa essere considerata una forma soddisfacente di
genitorialità sostitutiva; se i bambini adottati siano a rischio di disturbi
psicologici più gravi r ispetto ai figli naturali ; se si possa rilevare un
miglioramento rispetto ai bambini che restano in famiglie
economicamente e socialmente svantaggiate. Il fulcro della sua analisi
r iguarda la messa in evidenza dei fattori da prendere in considerazione
quando si valuta l’ impatto dell’esperienza dell’adozione sui bambini,
nella consapevolezza della scarsità di studi e di ricerca in tale campo.
Quando parliamo di adozione occorre proporre una distinzione
preliminare. Utilizzando macrocategorie a scopo esplicativo, esistono
due tipi fondamentali di adozione: quella che riguarda bambini “piccoli”
(adottati prima dei sei mesi d’età) e quella che invece ha come
protagonisti bambini più “grandi” (dopo i sei mesi di età).
Secondo uno studio di Seglow (1972) 1 i l 90% dei bambini vengono
adottati prima del terzo mese di vita. Questo dato ha come implicazioni
il fatto che esiste una molti tudine di bambini “grandi” che ha scarsissime
probabilità di trovare una famiglia disposta a prendersi cura di loro.
I genitori adottivi provengono solitamente da classi sociali agiate o
comunque medie, anche se in proposito ci sono studi discordanti
(Hoopes, 1970) 2 che affermano invece come solo il 31,8% appartenga
alla classe media, mentre ben il restante 68,2% a classi inferiori.
Le madri che danno il loro bambino in adozione sono più giovani
r ispetto ai genitori adottivi, oltre che rispetto alle donne che vivono da
sole con il loro figlio; hanno più probabili tà di vivere in condizioni
1 Seglow, J., Pringle, M.K., Wedge, P. (1972). Growing Up Adopted. Windsor: NFER.Citato da Howe, D. (1998).2 Hoopes, J. , Sherman, E., Lawder, E., Andrews, R., Lower, K. (1970). A Follow-up Study of Adoption (Vol.II): Post-placement Functioning of Adopted Children. New York: Child Welfare League of America.Citato da Howe, D. (1998).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
povere; sono meno istruite; i l 71% non ha marito e i l 18% è sposata non
con il papà naturale del loro figlio (Seglow, 1972).
Per quanto riguarda lo sviluppo fisico dei bambini adottivi, questi
hanno più probabilità di essere affetti dalla sindrome alcolica fetale, dal
virus dell’AIDS, di soffrire di difficoltà di apprendimento, di presentarsi
goffi e scoordinati e con un basso peso corporeo (Seglow, 1972). Tutti
questi fattori negativi alla nascita però non sono irreversibili . Anzi
possono essere compensati e dar luogo ad un perfetto sviluppo fisico.
Questo spiega perché i bambini adottati presentano comunque,
nonostante le precarie condizioni di partenza, uno sviluppo fisico buono.
Essi realizzano il loro sviluppo fisico potenziale che era stato rallentato
da difficoltà iniziali .
Per quanto concerne lo sviluppo delle capacità cognitive anche in
quest’ambito troviamo in letteratura varie difficoltà ai danni dei bambini
che vengono adottati , soprattutto per quanto concerne lo sviluppo del QI
(Plomin e DeFries, 1985) 1 . Anche in questo caso però essi possono
raggiungere il loro pieno potenziale cognitivo se adeguatamente seguiti
(Wachs, 1992) 2 .
Rispetto allo sviluppo socio-emozionale la serie di problematiche
presentata da tali bambini sembra non attenuarsi o r isolversi nonostante
l’adozione e i miglioramenti che tale condizione comporta sotto vari
aspetti . I bambini adottivi quindi presentano problemi scolastici, ostili tà,
dipendenza, ansia, poca popolarità, aggressività, depressione,
comportamento disadattivo, difficoltà nelle relazioni coi pari. Inoltre in
età adulta presentano una maggiore instabilità lavorativa, gravidanze
precoci, difficoltà nelle relazioni intime, bassa autostima, problemi di
personalità, abuso di sostanze (Witmer, 1963; Raynor, 1980) 3 .
1 Plomin, R., DeFries, J. (1985). Origins of Individual Differences in Infancy: The Colorado Adoption Project. New York: Academic Press.Citato da Howe, D. (1998). 2 Wachs, T.D. (1992). The Nature of Nurture. Newbury Park: Sage, CA. Citato da Howe, D. (1998).3 Witmer, H.L., Herzog, E., Weinstein, E., Sullivan, M. (1963). Independent Adoptions. New York: Russel Sage Foundation;Raynor, L. (1980). The Adopted Child Comes of Age. London: Allen & Unwin.Citato da Howe, D. (1998).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Studi clinici sulla salute mentale dei bambini adottati evidenziano
come questi abbiano più incontri con personale che si occupa di salute
mentale (Brodzinsky, 1987) 1 . Questo dato può essere dovuto a vari
fattori: i genitori adottivi sono più inclini ad inviare i propri figli a
servizi di igiene mentale oltre ad avere maggiori r isorse economiche e
culturali per poterlo fare. D’altro canto i bambini adottivi , secondo
l’Autore, hanno effett ivamente maggiori problemi di comportamento che
giustificano tali interventi, quindi presentano maggiori r ischi di disturbi
socio-emozionali. Se i bambini però sono adottati prima dei sei mesi di
età (“piccoli”) hanno minori probabilità di avere problemi di
comportamento disadattivo e problemi psichiatrici (Bohman e
Sigvardsson, 1990) 2 .
È stato indagato il l ivello di soddisfazione dei genitori adottivi
(Raynor, 1980), tema che si presume sia legato, secondo una relazione
inversa, alle problematiche presentate dai bambini adottati . Tali studi
hanno fatto emergere alti l ivelli di soddisfazione. Ben l’85% si dichiara
molto soddisfatta. D’altra parte esiste un 5% di genitori che al contrario
si dichiara molto insoddisfatta e i l dato interessante e che questi hanno
adottato tutti bambini maschi ( i bambini maschi adottati sono
maggiormente a rischio di disadattamento emotivo rispetto alle femmine,
e presentano un rapporto di contatto coi servizi di salute mentale di 3 a
1). I l giudizio di soddisfazione dipende in grandissima parte da quanto i
genitori hanno vissuto l’esperienza dell’adozione come veloce e
semplice.
Alcuni studi si sono preoccupati di scoprire quali siano i fattori che
contribuiscono al successo di un’adozione. L’area indagata con maggiore
attenzione è quella relativa alle caratteristiche di chi adotta, e in questo
caso un modello che viene spesso utilizzato è quello che vede il bambino
1 Brodzinsky, D.M. (1987). Adjustment to adoption: a psychosocial perspective. Clinical Psychological Review, 7, 25-47. Citato da Howe, D. (1998).2 Bohaman, M., Sigvardsson, S. (1990). Outcome in adoption: lessons from longitudinal studies. In D. Brodzinsky, M.Schechter (eds). The Psychology of Adoption. New York: Oxford University Press. Citato da Howe, D. (1998).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
come un recipiente passivo e prodotto finale di appropriate o non
appropriate pratiche educative.
All’interno di tale area sono state indagate cinque caratteristiche: lo
status socio-economico, le caratteristiche fisiche, le capacità genitoriali ,
la composizione della famiglia adottiva, le modalità con cui viene
affrontato il significato dell’adozione.
Status socio-economico: i genitori adottivi tendono ad appartenere a
classi sociali agiate (anche se in precedenza abbiamo citato studi
discordanti in tal senso) e questo fattore contribuisce fortemente
nell’aiutare il bambino ad adattarsi nella scuola e nella vita in generale
(Raynor, 1980). Alcuni studi (Kornitzer, 1968; Jafee e Fanshel, 1970) 1
sono in disaccordo con tale r isultato e affermano come, più che la classe
sociale, sia importante la qualità dello stile genitoriale.
Caratterist iche fisiche dei genitori adottivi: essi tendono ad avere
un’età media più alta r ispetto ai genitori naturali (30 anni contro 19) e
questo dato riguarda soprattutto le madri (Fergusson, 1995) 2 . Essi hanno
poi maggiori probabili tà di incorrere in problemi di salute (Seglow,
1972). Questi dati però non possono essere considerati dei buoni
predittori del l ivello di adattamento del bambino, come può esserlo
invece i l fatto che molto spesso tali genitori hanno alle spalle un
maggior numero di anni di matrimonio (McWhinnie, 1967) 3 .
Evidentemente la stabilità familiare costituisce una risorsa importante
per il bambino, il quale può trarre da esso un giovamento che si r if lette
su altre aree della sua vita.
Stile e qualità genitoriale: questi aspetti si traducono nel modo con cui
vengono trattati i bambini, nella sensazione che si ha circa l’adozione,
nei problemi legati all’inferti l i tà e nella relazioni tra i coniugi (Seglow,
1 Kornitzer, M. (1968). Adopted Children and Family Life. London: Putman;Jafee, B., Fanshel, D. (1970). How They Fared in Adoption: A Follow-up Study. New York: Columbia University Press.Citato da Howe, D. (1998).2 Fergusson, D.M., Linskey, M., Horwood, L.J. (1995). The adolescent outcomes of adoption: a 16 year longitudinal study. Journal of Child Psychology & Psychiatry, 36 (4), 597-616.Citato da Howe, D. (1998).3 McWhinnie, A.M. (1967). Adpted Children: How They Grow Up. London: Routledge & Kegan Paul.Citato da Howe, D. (1998).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
1972). La relazione tra questi fattori e il buon adattamento del bambino
è tutto fuorché lineare e causale. Infatti le difficoltà temperamentali dei
bambini possono causare una genitorialità povera (Maurer, 1980) 1 .
Rispetto a questa variabile è importante considerare le caratteristiche del
matrimonio in quanto la qualità della relazione tra i partners influenza
grandemente il clima emotivo e sociale della famiglia oltre che i l modo
di relazionarsi coi figli . Viene molto enfatizzato dalla letteratura il fatto
che il matrimonio sia stabile, felice e soddisfacente per entrambi i
partners (McWhinnie, 1967).
Le attitudini e abilità di chi adotta hanno implicazioni importanti. Ciò
che il genitore dice, fa, pensa e sente influenza molto lo sviluppo del
bambino. La genitorialità dovrebbe essere responsiva, emozionalmente
sicura, accettante, con disciplina coerente, incoraggiante, concedere
libertà di sviluppo secondo le proprie linee, entusiasta dell’adozione,
dispensatrice di amore per il bimbo, con strategie di reciprocità (Wachs,
1992). I l tutto indirizzato verso la realizzazione di un attaccamento
sicuro, un’alta autostima e una buona competenza nel problem solving.
Composizione del nucleo familiare: le due variabili fondamentali in
questo caso sono le dimensioni della famiglia e la presenza di eventuali
altr i fratelli al suo interno. In genere le famiglie adottive tendono ad
essere di piccole dimensioni ( la maggioranza ha un bambino e al
massimo due), al contrario dalle famiglie da cui provengono gli
adottandi (Seglow, 1972). I l fatto di essere figli unici aumenta la
probabilità di avere problemi di adattamento (soprattutto nei maschi)
(Bohman, 1970) 2 , ma, d’altro canto, la presenza di figli naturali in
famiglia porta i bambini adottati a vedere in modo negativo l’adozione
(Hoopes, 1970). Quindi possiamo affermare che avere fratell i è un
fattore sia di r ischio che di protezione per i f igli adottati .
Affrontare il significato dell’adozione: i genitori adottivi devono
necessariamente convivere con molte difficoltà, molte delle quali
1 Maurer, R., Cadoret, R., Colleen, C. (1980). Cluster analysis of childhood temperament data on adoptees. American Journal of Orthopsychiatry, 50, 522-534.Citato da Howe, D. (1998).2 Bohman, M. (1970). Adopted Children and Their Family. Stockholm: Proprius Press.Citato da Howe, D. (1998).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
aggiuntive rispetto al compito di genitore naturale (Kirk, 1964) 1 : devono
interagire con molte persone per avere i l bambino, non sono certi del
loro status di genitori nell’adozione anche dopo aver avuto il bimbo, non
sono certi del t ipo di relazione che stabiliscono col il bambino,
affrontano molti conflit t i a causa della continua tensione che si viene a
creare tra i processi di integrazione e differenziazione (paradosso
dell’adozione), devono integrare all’interno del sistema familiare un
nuovo membro che ne va ad alterare gli equilibri, affrontano il problema
della r ivelazione dell’adozione.
Di fronte a queste difficoltà, secondo la classificazione di Kirk, i
genitori adottivi possono rigettare le differenze r ispetto alla genitoriali tà
normale, simulando di essere una famiglia normale. Questo però l i porta
a chiudersi in sé stessi proprio perché sentono la differenza come un
handicap e questa, nel lungo periodo, creerà delle problematiche nel
bambino a cui non è stata data la possibilità di r if lettere sull’adozione.
Oppure possono accettare le diversità r iconoscendo che ci sono delle
differenza tra la famiglia attuale e quella di provenienza. Ciò è di grande
aiuto per la costruzione dell’identità dei bambini.
La terza via consiste nell’accettare le differenze addirit tura insistendo
su di esse , accentuandole (Brodzinsky, 1987). I bambini adottati qui non
vengono visti come parte integrante della vita familiare, ma come
totalmente alieni da essa. Questa opzione crea nei bambini sensazioni di
negazione, abbandono, problemi di identif icazione, scarsa competenza
sociale.
Esiste anche una quarta modalità di porsi consistente nel distinguere
poco le dif ferenze (Kaye, 1990) 2 . Queste non vengono rifiutate, ma i
genitori non sentono tali differenze come un problema nelle relazioni
familiari .
I bambini adottivi necessitano, per poter sviluppare un forte senso di
sé, di costruire e sentire un grande senso di appartenenza. Perché ciò
1 Kirk, H.D. (1964). Shared Fate: A Theory of Adoption and Mental Health.New York: Free Press.Citato da Howe, D. (1998).2 Kaye, K. (1990). Acknowledgement or rejecton of differences? In: D.Brodzinsy, M. Schechter (eds). The Psychology of Adoption. New York: Oxford University Press.Citato da Howe, D. (1998).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
possa realizzarsi occorre apertura, onestà e accettazione delle differenze
alla base della comunicazione familiare.
Brodzinsky (1987; 1990) 1 espone il “modello di stress e coping
nell’adattamento dell’adozione” rifacendosi e adattandolo ai lavori di
Erikson sullo sviluppo psicosociale (1963) 2 . Secondo tale modello i
bambini adottati hanno gli stessi compiti di sviluppo dei non adottati più
alcuni peculiari dell’adozione. Il successo in questi compiti extra
r ichiede responsabilità, empatia, accettazione, f lessibilità nei genitori
adottivi per far sì che i bambini capiscano cosa significhi adozione per
loro e per gli altri . In questo modo potranno capire chi sono ai loro occhi
e a quelli delle persone che li circondano. Il successo in questi compiti
extra f inisce per migliorare la propria autostima e sicurezza, due
importanti fattori di protezione.
Nelle persone adottate può esistere un elemento di insicurezza nelle
relazioni con gli altr i: si tratta della paura di essere abbandonati.
Rispetto a tale aspetto possono reagire con due modalità differenti: in
modo internalizzato chiudendosi in sé stessi, oppure in modo
esternalizzato con forme di comportamento oppositivo (Bagley, 1993) 3 .
Compito dei genitori adottivi, di fronte a queste manifestazioni di
difficoltà, è capire ed accettare tali emozioni per far sentire i f igli sicuri.
I genitori che adottano però tendono a divenire ipercoinvolti ,
iperprotettivi , possessivi: tutti aggettivi che tendono a ricevere una
connotazione negativa. Maggiore è il calore e l’accettazione, migliore
sarà l’adattamento dei bimbi.
Tutta questa lunga dissertazione e r ivisitazione di parte della
letteratura raccolta da Howe ci offre uno spunto di r iflessione rispetto al
significato di tali dati . Pare che dietro all’ impostazione seguita da tali
indagini si erga un modello culturale e pedagogico molto rigido e che
ragiona per vecchi luoghi comuni. L’idea di adozione come istituto
1 Brodzinsky, D. (1990). A stress and coping model of adoption adjustment. In: D.Brodzinsy, M. Schechter (eds). The Psychology of Adoption. New York: Oxford University Press.Citato da Howe, D. (1998).2 Erikson, E. H. (1963). Childhood and Society, 2nd edn. New York: Norton.Citato da Howe, D. (1998).3 Bagley, C. (1993). International and Transracial Adoptions. Aldershot: Avebury.Citato da Howe, D. (1998).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
negativo è stata f inora il leit-motiv di buona parte dei contributi citati .
Non è difficile capire come il concetto di adozione venga visto rispetto
ad un modello di genitorialità normale.
Tali studi hanno poi la pretesa di porsi come elementi indicativi del
comportamento che i genitori adottanti dovrebbero tenere, come
portatori di una verità acquisita e al di sopra delle parti . La rigidità di
alcune affermazioni ci porta più vicini ad un atteggiamento dogmatico e
assolutistico che ad indagini di t ipo meramente conoscitivo.
Forse, più che studiare l’adozione rispetto al nostro modello di
genitorialità-tipo, dovremmo sforzarci di guardare all’adozione come una
genitorialità differente che presenta caratteristiche specifiche che non
traggono giovamento da alcun tipo di confronto con la cosiddetta
normalità, se non giudizi svalutanti.
Un genitore adottivo è sottoposto a carichi di stress aggiuntivi per ovvie
ragioni che approfondiremo strada facendo nel corso di questo lavoro.
Ma affermare che il legame genitoriale si viene a creare attraverso
maggiori difficoltà, non ci consente di chiamare in causa le categorie
della patologia o di poter interpretare ogni comportamento come la
manifestazione di un percorso distorto.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Disturbi legati all’adozione
L’adozione, lo abbiamo già visto, viene considerata portatrice di una
serie di problematiche aggiuntive rispetto ad uno sviluppo normale, sia
nei bambini che nei genitori. Per quanto riguarda i primi questi devono
fare i conti con il dolore di passate esperienze di abbandono o di
deprivazione, se non di maltrattamento. I secondi hanno l’ incombenza di
assumere i l ruolo parentale (nella maggioranza dei casi un ruolo nuovo)
e di rispondere alle esigenze di riparazione del f iglio. «Impegnarsi a
fare i genitori significa […] mirare in alto. Inoltre, poiché fare i l
genitore con successo è una chiave di volta per la salute mentale delle
nuove generazioni, abbiamo bisogno di sapere tutto il possibile riguardo
alle molteplici condizioni sociali e psicologiche che influenzano in senso
posit ivo o negativo lo sviluppo di tale processo» (Bowlby, 1988).
Le esperienze sfavorevoli che vengono vissute nel rapporto coi
genitori durante l’infanzia hanno un impatto decisivo nel determinare i
disturbi cognitivi nel bambino. Ancor di più quando le esperienze di
separazione si r ipropongono riattivando situazioni di stress psicologico.
I l bambino può perdere fiducia negli adulti e in se stesso rispetto alle
proprie capacità di costruire legami affettivi e quindi manifestare
angoscia e comportamenti antisociali .
I primi anni di vita poi sono fondamentali per quanto riguarda lo
sviluppo adeguato e sano di molte funzioni cognitive e comunicative,
prima fra tutte lo sviluppo del linguaggio. In questa prospettiva è di
primaria importanza che i l bambino possa disporre di una buona qualità
di cure da parte del caregiver. Facendo riferimento alle categorie di
Thomas e Chess (1977) 1 , esistono prove valide secondo le quali cure
materne premurose e sensibili portano anche il bambino “difficile” a
svilupparsi bene (Sameroff e Chandler, 1975) 2 . D’altro canto un bambino
1 Thomas, A., Chess, S. (1977). Temperament and development. New York: Bremner/Mazel.Citato da Schaffer, H.R. (1996).2 Sameroff, A.J., Chandler, M.A. (1975). Reproductive risk and the continuance of caretaking causality. In F.D. Horowitz, et al. (eds). Review of Child Development Research, vol.4. Chicago: University of Chicago Press.Citato da Bowlby, J. (1988).
57
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“facile” può essere condotto ad uno sviluppo disturbato se incontra cure
insensibili (Sroufe, 1983) 3 .
Tra i genitori adottivi, come del resto tra i genitori normali, esistono
naturalmente coppie più abili di altre nel rapporto coi bambini. Le
agenzie d’adozione, però, selezionano, preparano e approvano solo quei
genitori che appaiono migliori nel crescere i bambini. L’aspettativa che
ne conviene è che i bambini adottivi avranno pochissimi problemi.
Purtroppo non è così. Questo perché l’adozione (sia per chi adotta che
per chi viene adottato) è un fatto emozionalmente non neutro che deriva
da esperienza di forti lutt i . Inoltre il temperamento e il comportamento
dei bambini influenzano la qualità di cure genitoriali r icevute.
Tizard (1977) afferma che le coppie senza figli e i bambini senza
genitori hanno più probabili tà di soffrire di problemi inerenti i l dare e il
r icevere affetto e i l mantenere relazioni durature. Quindi l’adozione,
date queste premesse, appare come una soluzione alle necessità
emozionali di entrambe le parti , evitando però che tale incontro divenga
solamente un atto compensatorio e r iparatore del dolore fin lì provato.
Abbiamo riscontrato in letteratura come i bambini adottati debbano
fare i conti con due turbative essenziali: l’angoscia di separazione e il
lutto. La capacità di elaborare tali sofferenze viene considerata,
soprattutto dagli operatori del settore, alla base del buon esito
dell’adozione.
Un dato che ritorna spesso è quello secondo cui i bambini adottivi
incontrano molti problemi a scuola: difficoltà di concentrazione, di
apprendimento, di comportamento. Questi possono essere determinati dal
dover affrontare un passaggio difficile da una situazione di dipendenza
ad una di autonomia, dalla protezione alla responsabilità. Le capacità
simboliche necessarie per effettuare tale passaggio sembrano esser
insufficienti nel bambino adottivo, incapace di mantenere dentro di sé il
legame parentale, base sicura da cui partire per dare avvio
all’apprendimento. Resta l’angoscia dell’abbandono che paralizza i l
3 Sroufe, L.A. (1983). Infant-caregiver attachment and patterns of adaptation in pre-school: the roots of maladaptation and competence. In M. Perlmutter (eds). Minnesota Symposium in Child Psychology, vol.16. Minneapolis: University of Minnesota Press. Citato da Bowlby, J. (1988).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
pensiero sovraccaricandolo e non lasciando così spazio creativo per la
conoscenza.
Bowlby afferma che le minacce di abbandono hanno gli stessi esiti
patologici delle separazioni reali . Spesso queste vengono usate come
un’arma molto potente con lo scopo di controllare i l comportamento del
bambino stesso. Inevitabilmente questi finirà per conformarsi ai desideri
dei genitori, senza possibilità di realizzarsi per quello che realmente
prova ed è.
«[…] alla base di alcuni disturbi psicopatologici quali i cosiddetti
deficit di attenzione accompagnati da iperattività, i l disturbo oppositivo-
provocatorio, disturbi dell’apprendimento, frequentemente diagnosticati
dai clinici in bambini adottati , [vi è] la riattivazione del trauma
dell’abbandono nel sentimento di perdita della continuità relazionale »
(Viero, 2001).
Tutte queste problematiche, a cui abbiamo brevemente accennato, ci
r icordano quanto, per essere preparati ad affrontare lo spinoso campo
dell’adozione, occorra una preparazione vastissima: in materia di dirit to,
di sviluppo emotivo, di clinica. Occorre che ci si addentri al suo interno
guidati da operatori qualificati capaci di effettuare analisi adeguate del
singolo caso, in modo da evitare insuccessi prevedibili: i “fallimenti
adottivi” (per citare il t i tolo del l ibro di Jolanda Galli pubblicato nel
2001).
In base agli studi fatti e all’esperienza degli operatori , esiste accordo sul
fatto che l’adozione sia una buona cosa e che molto spesso vada incontro
ad esiti favorevoli . Winnicott (1954) 1 però afferma che «un’adozione
fall ita è di soli to disastrosa per il bambino, al punto che sarebbe stato
meglio per lui che non si fosse nemmeno tentato» .
È bene inoltre non trascurare la percezione che hanno i genitori del
f iglio adottivo. Chiaramente percepirne le differenze rispetto ad un
figlio naturale è doloroso e può formare una barriera nei suoi confronti .
È molto più soddisfacente e semplice vederli come simili . Ciò però
1 Le trappole dell’adozione.In Winnicott, D.H. (1996).
59
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
nasconde alcuni pericoli da non sottovalutare, come la creazione di
aspettative che possono venire frustrate.
Alcuni studi hanno indicato l’esistenza di variabili fondamentali nel
contribuire alla creazione di un buon adattamento dopo l’abbinamento
con il nuovo figlio adottivo: la soddisfazione nel ruolo di genitore,
l’accettazione del ruolo di f iglio adottivo, i l calore emotivo nei confronti
del bambino, la compatibili tà tra genitori nel prendere le decisioni e la
soddisfazione rispetto al matrimonio, i l parlare dell’adozione (Berry,
1992) 1 .
È opinione diffusa che molti problemi possano essere evitati se si
r ivela al bambino la verità circa il fatto di essere adottato, soprattutto se
ciò gli viene detto in età precoce. Le semplici informazioni non sono di
per sé sufficienti. I bambini adottati hanno bisogno di poter fare
affidamento su persone che li sostengano nella ricerca della verità e che
siano comprensivi verso la necessità di vivere le emozioni legate alla
loro origine. Rispetto a tale tema, però, si sono creati anche molti
malintesi, come vedremo più avanti .
Altro aspetto da prendere in considerazione è la possibili tà che i l
bambino adottato possa disporre di una buona stabilità familiare, tale da
consentire la creazione di quella base sicura da cui partire per esplorare
il mondo e conoscere se stesso.
Durante l’adolescenza i f igli adottivi si differenziano da quelli
naturali . Essi vivono questo periodo della loro vita con maggiore
tensione rendendosi goffi e impacciati . Sono ragazzi che necessitano di
maggiore attenzione e maggiori spiegazioni. Nel prossimo paragrafo
tratteremo questo tema in modo più dettagliato.
Molta attenzione va dedicata all’evitare di rintracciare le cause dei
disturbi di un bambino adottato sempre e soltanto nelle proprie origini
ed esperienze passate. Il bimbo sente molto profondamente i sentimenti e
lo stato d’animo dei suoi nuovi genitori e può soffrire di tale situazione
indipendentemente dal dolore provato per l’abbandono e per le
esperienze precedenti l’adozione.
1 Berry, M. (1992). Contributors to adjustment problems od adoptees: a review of the longitudinal research. Child and Adolescent Social Work Journal, 9, 525-540.Citato da Howe, D. (1998).
60
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Secondo Lanza e Sabatello (1996) i bambini adottivi tendono ad essere
segnalati e seguiti dai servizi psichiatrici con frequenza maggiore
rispetto agli altri (come abbiamo già visto nei paragrafi precedenti) .
Questo dato però va valutato con cautela, in quanto i bambini adottivi
vengono segnalati anche quando i loro problemi non sono così
significativi da giustif icarne l’ intervento dello specialista. «[È] come se
fosse per loro facilitata la strada del ricorso alle isti tuzioni » .
L’adozione viene quindi spesso inquadrata come un fattore di r ischio che
merita un’attenzione particolare.
Gli stessi Autori sottolineano comunque i grandi successi ottenuti
dall’ istanza dell’adozione. Molte f igure genitoriali sostitutive infatti
sono riuscite ad aiutare i bambini a svolgere il proprio filo della vita,
all’ insegna di quell’amore indispensabile per vivere. Questo ci pare il
contributo più grande che i genitori adottivi possano dare e i l punto di
partenza da cui cominciare ad inquadrare i l tema dell’adozione.
61
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Adolescenza
L’età adolescenziale è per molti esseri umani «un periodo della vita che
ha molti aspetti di discontinuità» (Ammaniti e Stern, 1985). Si tratta di
un periodo di crisi dovuto a vari fattori come i cambiamenti f isici, le
trasformazioni sessuali, l’oscillazione degli stati d’animo, solo per
citarne alcuni. Tali sconvolgimenti, che hanno inizio nella pubertà,
sembrano non trovare nell’adottato un apparato psichico in grado di
tollerare l’ impatto di tale metamorfosi.
Per un giovane adottato poi a queste problematiche e compiti di sviluppo
se ne aggiungono altr i caratteristici della sua condizione. «Sono
dell’avviso che sebbene nell’infanzia adottiva […] i problemi siano già
suff icientemente consistenti, con l’arrivo dell’adolescenza, tendono
notevolmente ad amplificarsi»(Galli , 2001).
Il pensiero di essere figlio di una madre sconosciuta e di una terra
lontana può diventare insopportabile. Ai genitori è demandato i l compito
di essere pazienti e comprensivi rispetto a un momento di passaggio
molto complesso nella vita dei loro figli adottivi.
L’adolescenza è considerata un evento critico all’ interno del ciclo di
vita familiare. «L’ingresso di un membro della famiglia nell’adolescenza
è uno di tali eventi critici, un momento particolare di “crisi” potenziale
per l’equilibrio familiare: le modalità abituali di funzionamento sino a
quel momento sperimentate risultano infatti inadeguate ed occorre
operare una riorganizzazione, tramite l’attivazione di nuovi processi di
adattamento» (Zani, 1993). La qualità di tale adattamento è strettamente
legata a quella delle relazioni all’ interno della famiglia, specie quelle
che intercorrono tra genitori e f igli . Proprio qui emerge quella che
Fausta Ferraro (1996) considera la complessità delle funzioni genitoriali ,
ovvero «[…] la capacità di mantenere uno sguardo di accompagnamento
a distanza» .
Il processo di trasformazione si articola in una dialett ica tra autonomia e
dipendenza, compito sempre più difficile dati i cambiamenti sociali
odierni e carico di ambivalenze e di componenti dinamiche.
62
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Per quanto riguarda i l caso specifico dei genitori adottivi « la
problematica adolescenziale diventa […] acuta e gli stessi genitori ne
vengono coinvolti perché, nella necessità di ridefinire il rapporto con lui
(il bambino) essi devono ripensare il loro ruolo genitoriale e ciò fa sì
che si ripresentino in loro, soprattutto se non sono state
convenientemente elaborate e risolte, le problematiche connesse con i
sensi di inadeguatezza ad esso e con il t imore di perdere l’affetto del
f iglio che avevano caratterizzato il momento della loro scelta di
adottare» (Dell’Antonio, 1994).
Si presentano difficoltà nel confrontarsi con le proprie ansie e nel
r idefinire i reciproci rapporti . Perché l’adolescente adottato possa essere
in grado di affrontare i compiti di sviluppo legati a questa fase della vita
ha la necessità di recuperare una dimensione personale data dal r icordo
delle esperienze precedenti l’adozione e, nel caso di adozione
internazionale, del paese di origine.
Occorre stabilire un dialogo all’ interno della famiglia, «[…] un percorso
che partendo da realtà personali diverse permetta di elaborare obiett ivi ,
sti l i di vita ed anche valori da tutt i condivisi e riconosciuti come
“propri”» (Dell’Antonio, 1994). Da questa base diventa più agevole per
il neoadolescente incamminarsi verso la costruzione di una propria
autonomia ed identità. «[…] le diverse “proposte identitarie” con cui il
minore entra in contatto, nel corso del suo processo di socializzazione,
tendono a scontrarsi e sovrapporsi con un impatto violento che provoca
vari e differenti terremoti identitari» (Harrison, 2001).
Durante l’adolescenza, infine, acquisisce grande importanza il gruppo
dei pari . I coetanei infatti rappresentano un importante attore sociale che
contribuisce alla ricerca dei processi identitari , grazie all’offerta di un
forte senso di appartenenza al gruppo e di differenziazione rispetto al
mondo adulto. I ragazzi adottati possono avere difficoltà ad inserirsi in
un gruppo di coetanei per vari motivi: a causa di discriminazioni r ispetto
alla condizione adottiva, oppure per le difficoltà a mettere in atto il
processo di separazione dalle figure genitoriali . Non ci sono comunque
dati che affermino che i ragazzi adottati non possano usufruire
dell’appoggio di questo gruppo di socializzazione. Come non ci sono dati
63
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
certi e inoppugnabili che asseriscano che solo l’adolescenza adottiva
vada considerata un’istanza a r ischio, quando siamo circondati da esempi
di adolescenti coinvolti in veri e propri drammi familiari che
appartengono alla categoria dei f igli cosiddetti normali.
64
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Meccanismi difensivi
L’adozione viene considerata un’esperienza con forti componenti
traumatiche. Come in tutte gli eventi della vita che hanno a che fare con
situazioni complesse e dolorose, anche in essa chi vi è coinvolto mette in
gioco una serie di difese psicologiche. Quando parliamo di difesa
psicologica facciamo riferimento ad un’ «operazione psichica […] messa
in atto per ridurre o sopprimere ogni turbativa che possa mettere in
pericolo l’ integrità dell’Io e il suo equilibrio interno» (Galimberti ,
1999) . L’individuo riesce così a mantenere un equilibrio emotivo di
fronte alle tante turbative incontrate durante la propria esistenza.
«L’Io è vittorioso quando le sue misure difensive raggiungono lo scopo,
quando cioè esse gli permettono di arginare l’angoscia e la sofferenza e
gli assicurano, grazie ad una trasformazione degli ist inti , una certa
gratificazione anche in circostanze difficili , stabilendo così, nella
misura del possibile, un accordo armonico tra Es, Super-Io e le forze del
mondo esterno» (Freud, A. , 1936).
La psicoanalisi si è occupata molto di questi temi ed ha indicato diversi
t ipi di meccanismi difensivi che presentano notevoli differenze l’uno
dall’altro.
Nell’ambito dell’adozione emergono maggiormente alcuni tipi di
difese, anche se in linea generale tutte vengono in qualche modo
chiamate in causa. Carmen Morral Colajanni (1992) sostiene che le
famiglie coinvolte in una adozione problematica presentano difese
estremamente rigide in cui il bambino è depositario di una conflittuali tà
non risolta.
Purtroppo i genitori che si avvicinano pieni di speranze all’adozione
possono andare incontro ad una serie di problematiche molto ardue e di
lunga durata. Si dice che l’adozione è per sempre, che non si può
stabilirne a priori una fine. E spesso questo lungo percorso non si
conclude con l’agognata acquisizione di un bambino.
I servizi, secondo Morral Colajanni (1997), vengono demonizzati e visti
come in possesso della potenza e della creatività, contro una coppia
depositaria dell’impotenza. «Il percorso istituzionale […] propone
65
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
modelli di difesa molto primitivi e persecutori. Sarebbe auspicabile che
già dal primo momento si incontrasse un clima preparatorio,
trasformativo, di ri flessione ed elaborazione con il conseguente
arricchimento del mondo interno» .
I servizi divengono così un contenitore istituzionale facile oggetto della
proiezione di vissuti di t ipo persecutorio da parte della coppia.
A questa serie di difficoltà vanno poi aggiunti quei traumi che possono
aver portato alla decisione di adottare: un esempio tra tutti la steri li tà,
argomento molto difficile da affrontare e accettare. Si tratta di un lutto
che richiede molta forza per essere elaborato, e che spesso non conosce
un suo pieno superamento. Di fronte a tale situazione i genitori possono
esibire un senso di onnipotenza nel tentativo di annullare il l imite
procreativo. A tale onnipotenza può subentrare un opposto senso di
impotenza dovuto alle reali difficoltà in cui versa la coppia. Diviene
quindi importante accettare il l imite imposto dalla sterili tà.
L’elaborazione del lutto viene considerata, in ambito psicologico, una
componente chiave dell’esperienza dei genitori adottivi, che si trovano
costrett i a r inunciare all’ idea di poter procreare, di avere un figlio
proprio, di divenire un genitore naturale e “normale” come tutti gli altr i .
Altre difese estremamente rigide possono essere messe in campo dalla
coppia rispetto alla capacità di elaborare l’aspetto della rivelazione e del
passato del bambino. Si tende a negare tale passato, a “destorificare” il
minore negandone le sofferenze passate e i legami con i genitori naturali
e con la sua terra.
Si idealizza un bambino perfetto che venga a compensare la sofferenza
dei genitori, i quali a loro volta possono spostare su di lui alcune
sensazioni spiacevoli secondo il meccanismo dell’ identif icazione
proiettiva. Si può avvertire anche una certa difficoltà da parte del
bambino e dei genitori nell’integrare gli aspetti buoni e catt ivi di sé e
dell’altro secondo un meccanismo di scissione.
L’adozione quindi si viene ad inquadrare come una situazione di
trauma su trauma, una serie di difficoltà a livello psichico (e pratico)
che ne rendono difficoltosa la realizzazione. La mente umana però è
dotata della capacità di r iparazione, un meccanismo in grado di donare
66
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
valenze posit ive ad esperienze angoscianti. Così l’adozione passa da una
condizione di lutto ad una disponibilità ad accogliere. Adottare come
prendersi cura attivando la funzione genitoriale, passando dall’attenzione
all’oggetto, come elemento da riparare. alla funzione riparatrice della
mente collegata alle esperienze emotive.
67
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
68
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
3.
BAMBINO IMMAGINATO, FANTASTICATO E
REALE
Ogni coppia genitoriale, qualsiasi sia la modalità con cui lo diventa,
costruisce delle aspettative riguardo all’idea del futuro figlio, crea
un’immagine del bambino. «Entrambi [i genitori] durante la gravidanza
sviluppano attese ed elaborano fantasie sul loro bambino, derivate a
loro volta dalle esperienze delle proprie relazioni passate, in cui
vengono integrate anche alcune eventuali percezioni reali » (Ammaniti e
Stern, 1995). In tal modo essi costruiscono una fantasia del bambino.
In psicoanalisi quando si parla di fantasia si fa r iferimento ad un
elemento che si trova in stretta relazione con la realtà che partecipa alla
sua organizzazione. Quando parliamo di realtà intendiamo una realtà
esterna ed oggettiva. Essa è distinta da quella interna definita «realtà
psichica, regno di immagini, sentimenti, pensieri, che occupano
metaforicamente uno spazio interno al soggetto» (Ammaniti e Stern,
1995).
L’idea di bambino nasce all’interno di uno spazio mentale
emotivamente molto forte in cui la rappresentazione dello stesso
bambino può essere più o meno flessibile. La letteratura su tale
argomento pone l’accento sul fatto che maggiore è tale f lessibilità,
migliore sarà l’adeguamento dei genitori al momento del contatto col
bambino reale, ovvero quello che esiste nella concretezza della
quotidianità. Come afferma Gandione (1998) aver desiderato, pensato,
immaginato il bambino «è necessario per poter entrare in contatto con
lui, ma il bambino della fantasia deve potersi integrare con il bambino
reale perché questo possa essere riconosciuto» .
I l bambino viene solitamente immaginato, come afferma Castelfranchi
(1992), nelle fattezze di «un neonato sano e bello che somigli alla
propria immagine idealizzata» : quello che viene chiamato bambino
immaginato. I l termine immaginato non è però correttissimo in
riferimento ai genitori adottivi, poiché questi ult imi non hanno alcuna
69
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
esperienza su cui basare le immagini del bambino, come accade per i
genitori naturali . Questi ultimi, rispetto ai genitori adottivi, possono
disporre di un processo biologico che agevola notevolmente la r iduzione
della distanza tra ciò che si immagina e ciò che si manifesta nel mondo
concreto: l’esperienza della gravidanza concede ai genitori di effettuare
un graduale passaggio di conoscenza dal bambino immaginario della
gestazione a quello reale della nascita. Inoltre la possibilità di ottenere
una prima immagine del bambino attraverso l’ecografia è un altro
elemento che facil ita tale processo (Gagliardi et al. , 1985; Di Cagno et
al. , 1986; Todros et al . , 1988) 1 .
Per fare riferimento allo stesso passaggio nella coppia adottiva sarebbe
più idoneo utilizzare l’espressione “bambino fantasticato” . Si tratta
della costruzione di un’immagine che non può fare affidamento su alcun
dato esperienziale diretto e che per questa ragione ci pare più adeguata a
descrivere l’immagine creata da questi genitori durante i l periodo
dell’attesa. La letteratura sull’argomento però insiste sull’espressione
bambino immaginato o immaginario quindi, per evitare confusioni
terminologiche, continueremo ad utilizzare questi termini.
Nell’adozione, specie quella motivata da problemi di sterili tà, può
succedere che i genitori entrino in competizione con le capacità dei
genitori biologici: non a caso i l r icorrente desiderio e l’aspettativa di
ottenere l’abbinamento con un bambino neonato rif lettono in parte la
volontà di rendere la propria esperienza genitoriale simile a quella
naturale. Questo porta, come affermano Lanza e Sabatello (1996), ad
opporre alla procreazione corporea una procreazione solo mentale che
appare come la «realizzazione di un’onnipotenza di pensiero» .
1 Gagliardi, L., Todros, T., Sanfelici, C., Di Cagno, L., Rigardetto, R. Bondonio, L., Gandione, M., Butano, C., Randaccio, S., Tacconis, M.L. (1985). La donna e i movimenti fetali: bilancio psicologico dell’impatto ecografico. Bologna: Monduzzi;Di Cagno, L., Rigardetto, R., Bondonio, L., Gandione, M. (1986). La relation mère-foetus: une comparaison entre le bébé “senti” et le bébé “vu” sur l’écran de l’echographie. II° Congrès international, 21-25 Juillet 1986, Paris (France), Association International de psychiatrie de l’enfant et de l’adolescent et des professions associèes. Paris: Expansion Scientifique Française;Todros, T., Sanfelici, C., Rigardetto, R., Bondonio, L., Gandione, M., Panettoni, G.L. (1988). Quantitative evaluation of foetal motor activity: longitudinal study. Boll.Soc.It.Biol.Sper., 9, 845-851.Citati da Gandione, M. (1998).
70
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Winnicott, come abbiamo visto in precedenza, ha sottolineato come
l’onnipotenza sia una condizione di partenza da cui parte lo sviluppo del
pensiero e che ha origine dallo stato di fusione iniziale tra mamma e
bambino. Nelle coppie di genitori naturali la separatezza è una
condizione che si crea a partire da un legame fusionale. Nell’adozione
invece si parte da una distanza e da questa si cerca di stabilire un legame
stretto e, successivamente, una relazione profonda in cui dare spazio al
r iconoscimento dell’altro.
Secondo Santona (2001) il bambino immaginato può essere investito
della funzione riparativa rispetto alla storia personale dei singoli membri
della coppia e della coppia stessa. Tale bambino assume le sembianze del
f iglio del bisogno, chiamato a lenire le difficoltà interne dei coniugi,
invece che un figlio del desiderio, frutto di affettività maggiormente
integrate ed elaborate.
La coppia, soprattutto la donna, f in dall’inizio della ricerca del
concepimento, porta già dentro di sé l’immagine del bambino. Anche
l’esperienza traumatica della sterili tà non può impedire l’esistenza di
tale immagine, ma solo la sua assenza (Santona, 2001): «L’immagine del
bambino prende, allora, forma nella coppia sterile in due direzioni: una
di mancanza, nel reale, e l’altra di presenza, nell’immaginario » . E
ancora: « l’elaborazione permette la gestazione di uno spazio altro dove
può essere presente il bambino reale» .
In una ricerca eseguita in Veneto (AA.VV., 2001) è emersa la
difficoltà da parte dei genitori adottivi ad ammettere di aver costruito
un’immagine interiore del bambino prima del suo arrivo. Tale difficoltà
è dovuta, secondo gli Autori, a due fattori principali: la presenza
concreta del bambino reale che toglie spazio alla rappresentazione di
quello immaginato e la r itrosia a r iconoscere i meccanismi proiettivi a
cui è legata tale produzione della mente. I genitori tendono inoltre a non
trovare, qualora ne accettino la passata esistenza, differenze tra il
bambino immaginato e quello reale, attivando processi di negazione e
r imozione di fronte a tale vissuto.
Gli stessi Autori sottolineano come « la capacità di elaborare la
diversità tra i l bambino reale e quest’ult imo ( i l bambino immaginato)
71
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
produce conseguenze significative per il futuro equilibrio delle
relazioni» . All’interno di tale elaborazione rientrano la capacità di
r iconoscere le proprie aspettative rispetto al bambino e al suo futuro
inserimento nel nuovo contesto familiare e sociale.
Avere accesso a questo processo di “digestione” è impresa ardua: per
tale ragione la coppia potrebbe avere bisogno di essere accompagnata in
tale processo da operatori che la aiutino ad accettare e tollerare la
discrepanza che frequentemente esiste tra le due dimensioni, quella
immaginata e quella reale. Facendo ciò i genitori possono arrivare a
sentirsi comunque legittimati nell’aver prodotto una fantasia del loro
bambino benché ciò li esponga a possibili delusioni nel confronto con la
realtà concreta. Ma è proprio grazie a tale elaborazione che la coppia si
apre verso l’accettazione di «quel bambino in carne ed ossa che la
realtà propone» .
I l t ipo di immagine costruito può avere delle ripercussioni sul rapporto
tra genitore e bambino. Broussard (1984) 1 ha realizzato degli studi in cui
emerge che gli esit i evolutivi dei bambini sono correlabili alla
rappresentazione che la madre possiede del proprio bambino ad un mese
di età e della relazione con cui essa si rapportava idealmente a lui. Non
si tratta quindi di un aspetto trascurabile in quanto va ad inserirsi
profondamente nella concretezza del rapporto genitore-figlio.
Francesco Viero (2001) indica nella frustrazione e nel dolore derivante
dalla mancata congruenza tra i l “figlio reale” e i l “figlio del desiderio”
degli aspetti centrali per quanto riguarda i fallimenti adottivi. L’aspetto
fondamentale dell’adozione, e della scelta della coppia idonea ad essa,
non è la mancanza di problemi al suo interno, bensì la capacità di farvi
fronte, di affrontare le difficoltà che esistono e che la vita proporrà. Il
bambino adottato rappresenta lo sconosciuto, l’estraneo, una situazione
di incertezza soprattutto rispetto ad un passato che non appartiene alla
coppia adottiva. Se ne deduce quanto sia insidioso affrontare il bambino
reale, portatore di un carico emotivo ed esperienziale spesso molto
pesante anche per genitori assai motivati e ben preparati a tale incontro.
1 Broussard, E.R. (1984). The Pittspburgh firstborns at age nineteen years. In J.D. Galeson, R. Tyson (a cura di). Frontiers of infant psychiatry. New York: Basic Books.Citato da Ammaniti, M., Stern, D.N. (1995).
72
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Rossana Dalla Stella (2001) parla del futuro genitore che, venuto a
contatto con il bambino vero, assegna a quest’ultimo la r inascita di un
fantasma contenuto nei recessi della mente e che coincide con il f iglio
idealizzato.
All’inizio, durante le prime fasi di incontro col bambino, i genitori
adottivi possono sentirsi ansiosi e incerti , t imorosi di non essere
accettati e di non riuscire a sviluppare e a far nascere un attaccamento
immediato. Inoltre i genitori possono essere perplessi dal fatto che il
loro desiderio di affetto immediato non venga esaudito e anzi vi sia una
certa difficoltà nel comprendere il comportamento del bambino.
La somiglianza fisica è un aspetto che aiuta molto nell’ identificazione e
nel r iconoscimento del proprio figlio. Tale dato manca nell’adozione,
soprattutto in quella internazionale, ed è una fonte aggiuntiva di
preoccupazione e disagio. Spesso i genitori cercano di superare tale
differenza, con la speranza di una casuale somiglianza fisica. Si cerca
così di diminuire l’estraneità del bambino che entra nella famiglia.
Dal punto di vista del bambino l’adozione viene a supplire ad
un’esperienza di perdita molto forte. La mancanza di cure adeguate nei
primi periodi di vita crea incertezza e ansia e questa si può ripercuotere
sulla nuova famiglia. Ai nuovi genitori è demandato il compito di
accogliere ed accettare i l bambino per come si presenta, per quello che è
ed è stato e cercare di garantire intorno a lui una certa continuità e
stabili tà. I l bambino imparerà così a lasciarsi alle spalle la mamma della
pancia , quella a cui deve la vita, per legarsi ai genitori del cuore, quelli
a cui deve l’origine dei suoi affetti .
La diversità fisica resterà un aspetto ineliminabile nel bambino, un
elemento che ricorda la sua origine. Gli operatori del settore battono
molto su questo punto invitando i genitori a fare in modo che
l’elaborazione della diversità sia continua e permanente.
Per tutti questi fattori divenire genitori adottivi si configura come un
percorso difficile, come del resto lo è qualsiasi t ipo di genitorialità. I l
passaggio dal bambino immaginato a quello reale viene considerato dalla
letteratura e dagli operatori un elemento molto importante per poter
affrontare al meglio il compito genitoriale. A tal proposito alcuni
73
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
strumenti sono stati approntati per valutare questo processo all’interno
dell’ indagine socio-psicologica con i genitori adottivi.
La ricerca che esporremo all’interno della parte III di questo lavoro
cercherà di mettere a fuoco tali elementi, soprattutto attraverso lo
strumento denominato “Descrizioni” .
74
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Vuoto e spazio mentale
L’adozione viene definita una “filiazione mentale” che comporta,
secondo Lanza e Sabatello (1996), una situazione di “vuoto di origine”
agli esordi della vita del bambino, e una di “vuoto in it inere” nella vita
della coppia: una doppia deprivazione che va alla ricerca di r iparazione.
Questo è un aspetto fondamentale che segna, insieme alla mancanza di
procreazione come atto psicofisico, una differenza con la genitorialità
biologica.
Danielle Quinodoz (1996) ha elaborato un concetto molto interessante
attraverso l’analisi di una paziente adottata. Questa, adottata all’età di
sei mesi, presenta la fantasia di non essere mai esistita prima
dell’adozione («I was born when I was six mounth old» , afferma la
ragazza in seduta), con una nascita che si può far r isalire al momento in
cui ha incominciato ad essere pensata. Il periodo precedente l’adozione
assume i connotati e l’aspetto di un vuoto-oggettuale (“ hole-object”) ,
creato dalla paziente per difendersi dalla sofferenza psichica e dagli
ist inti aggressivi verso l’oggetto stesso (in questo caso i genitori
naturali) . Sembra manchi nel suo mondo interno una rappresentazione
dei propri genitori biologici .
Tale concetto ci aiuta a comprendere quali sensazioni può provare un
individuo che deve confrontarsi ogni giorno con un passato indefinito e
con una nascita misteriosa e sconosciuta. Tale individuo può sentire di
essere nato dal niente e avere la sensazione di cadere nel vuoto. I l vuoto
è anche la conseguenza di una infinità di fantasie e di affetti che la
persona non è in grado di organizzare e a cui non riesce ad attr ibuire un
senso.
Un figlio adottivo incontra difficoltà aggiuntive rispetto ad un figlio
naturale nella costruzione della propria identità, poiché al suo interno
deve integrare le immagini dei genitori attuali con quelle fantasticate dei
genitori naturali . Come vedremo in seguito nel paragrafo dedicato
all’elaborazione del lutto, in questo processo è importante la
partecipazione di chi accompagna il bambino.
75
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
L’importanza della “rivelazione” delle proprie origini e radici appare
quindi in tutta la sua grandezza e pregnanza. Questo tema però sembra
essere trattato come la panacea di tutti i mali, tanto da far passare l’ idea
che la rivelazione sia sufficiente per “chiudere” i buchi e r isolvere tutti i
problemi. Riempire tali mancanze può avere invece l’effetto opposto,
facendo emergere la convinzione che tali buchi non esistano o non
possano essere percepiti e pensati . La rivelazione assume un senso se
inserita in un processo di costruzione e ristrutturazione del rapporto con
i nuovi genitori, un processo che sappia integrare il passato e il presente
della storia del bambino e dei genitori adottivi .
Un individuo adottato, però, non può essere considerato solamente per
la dimensione di vuoto che lo accompagna a causa di vicende personali
di cui peraltro non è responsabile. Egli ha a disposizione un potenziale
spazio mentale all’interno del quale poter costruire nuove immagini e
nuovi legami capaci di r icostruire un nuovo equilibrio nella propria vita.
Qui i l lavoro e il ruolo dei genitori adottivi diviene fondamentale a
partire da un’accettazione incondizionata del bimbo, con la sua storia, la
sua cultura, la sua persona compresa nella totali tà.
Per i genitori non si tratta certo di un compito semplice. Le
problematiche che tali coppie hanno dovuto affrontare sono comunque in
agguato e possono creare qualche intoppo. Anche i genitori adottivi
conservano dentro di sé un vuoto che non è stato colmato. Il termine
colmare però può essere fuorviante. Quello che intendiamo è la capacità
di sperimentare l’esperienza del vuoto senza volerne rintracciare una
soluzione, ma sentir la, aprirsi verso questa per dare modo al pensiero di
emergere in tutta la sua potenzialità creativa. Bion afferma che il
pensiero nasce proprio dall’esperienza del non oggetto e dalla
frustrazione conseguente. «La tolleranza della frustrazione [è] di grande
importanza nel processo di formazione dei pensieri e della capacità di
pensare» (Grinberg, Sor e de Bianchedi, 1991).
Tornando allo specifico dell’adozione, Santona (2001) afferma che «si
deve poter trasformare una rappresentazione di vuoto, che può far
divenire infertile la mente della coppia, impedendogli di fantasticare un
figlio nato da altri o di farlo solo come surrogato di quello mai nato » . I l
76
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
vuoto non richiede di essere colmato, bensì di essere pensato e
trasformato. Quindi «[…] ogni deprivazione che chieda di essere
colmata ad ogni costo è ritenuta pericolosa per l’equilibrio adottivo, in
quanto può portare l’adulto all’uso del bambino come evitamento
dell’elaborazione» (Castelfranchi, 1992).
Anche la discrepanza che si avverte tra i l bambino immaginato e
quello reale può dare vita ad un senso di perdita, di mancanza, di lutto.
Tale stato, per quanto possa apparire negativo, «è necessario perché i l
bambino possa essere percepito nella sua realtà, unicità e separatezza »
(Gandione, 1998), innescando un forte bisogno di conoscersi
reciprocamente. In tal modo il bambino viene pensato, ovvero può
disporre di qualcuno che lo tiene nella sua mente, che capisce e dà
significato alla sua persona, che gli concede la possibil ità di dare avvio
alla sua capacità di pensiero.
In questo paragrafo abbiamo cercato di trasmettere quanto più
possibile una visione positiva del concetto di vuoto, visto più nelle sue
componenti di potenzialità che in quelle di mancanza. I l termine “vuoto”
richiama immagini di dolore e sofferenza; ma sono i sentimenti che
accompagnano il contatto con la realtà e la conoscenza.
I l nostro tentativo è stato ripensare l’adozione come un percorso di
conoscenza e di costruzione di un legame non solo affettivo, ma anche
mentale con i nuovi genitori, un legame che possa in qualche misura
sostituire il momento della nascita naturale. Il bambino per diventare
figlio ha la necessità di essere concepito e partorito dalla mente della
madre e r iconosciuto nelle proprie caratteristiche ed emozioni, in modo
da poter sentire di appartenere veramente e completamente alla nuova
famiglia come figlio e di avere la possibilità di vivere.
77
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
4.
ASPETTI SPECIFICI DELL’ADOZIONE
Finora abbiamo delineato un quadro abbastanza articolato, e a volte
contraddittorio, di contributi r iguardanti l’adozione. Intorno a tali
argomenti possiamo rintracciare alcuni temi principali che ritornano
spesso in tutti i discorsi ad essa legati e che attraversano trasversalmente
la letteratura dedicata all’adozione
Ne abbiamo scelt i quattro. A nostro parere costituiscono le tematiche
che, secondo gli Autori, sono centrali e più di altre fanno emergere con
maggiore nitidezza i contorni definitori dell’adozione, i suoi significati e
le sue mille implicazioni.
L’analisi della letteratura ci ha così portato a scegliere l’argomento
della sterili tà, uno dei fattori principali che spinge alla scelta adottiva;
la sessualità come tema di indagine che si connette a quello
dell’ infertil i tà e che può avere implicazioni anche nella scelta di
affidarsi alla procreazione medicalmente assistita; l’elaborazione del
lutto come tematica centrale che viene sottolineata con forza dagli
operatori come il punto nodale di tutto il percorso adottivo; la
r ivelazione, aspetto considerato essenziale per lo stabilirsi di un rapporto
di fiducia e di condivisione con i nuovi genitori, anche se occorre fare
molta attenzione per non trasformare tale momento nella soluzione di
tutt i i mali.
Analizziamo ora nel dettaglio ognuno di tali aspetti cercando di
tracciarne un quadro completo rispetto a ciò che offre la letteratura a
r iguardo e, allo stesso tempo, proporre una visione critica di tali
contributi.
78
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Sterilità’
«Nessun bambino nasce da l la panc ia de l la mamma,
tu t t i i bambini nascono da un aereo»
(un bambino adot ta to) 1
Le coppie che propendono per la domanda di adozione spesso presentano
un problema relativo alla procreazione. Tra questi la sterili tà è
sicuramente il principale e, soprattutto negli ultimi anni, è divenuta una
problematica in via di espansione. Questo è un dato che in letteratura
viene più volte ribadito senza però dimenticare la presenza di altri t ipi di
motivazione che avvicinano alla scelta adottiva.
La sterili tà è una problematica grave. Essa viene acutizzata dalla
stigmatizzazione che incontra rispetto alle sue componenti di privazione
e diversità.
Si può distinguere tra sterili tà e infertil i tà: la prima definita come
impossibili tà definit iva al concepimento, la seconda come incapacità di
r iuscire a portare a termine una gravidanza (AA.VV., 1991) 2 .
Secondo Farri Monaco e Peila Castellani (1994) il problema steril i tà (o
comunque difficoltà procreative in genere) riguarda un’ampia
percentuale della popolazione (15-20%): un dato che mostra chiaramente
quanto il fenomeno sia ampio e degno di attenzione, soprattutto nelle
società occidentali .
In campo sanitario una coppia viene definita sterile dopo due anni di
tentativi di fecondazione fallit i . Le cause sono ascrivibili tanto al
partner maschile che a quello femminile, mentre in passato dominava la
credenza di maggiori se non complete responsabilità a carico della
donna. Esistono anche casi di sterili tà cosiddetta di coppia: in questo
caso entrambi i coniugi sono portatori del problema, oppure non sono
stati individuati fattori certi di steri li tà ( steril ità sine causa) .
Frequentemente le coppie che intendono affrontare tale problematica
si dedicano molto attivamente a tentativi di procreazione assistita
1 In Dell’Antonio, A. (1994).2 AA.VV. (1991). Libro bianco sulla riproduzione assistita. Palermo: SIFES.Citato da Farri Monaco, M., Peila Castellani, P. (1994).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
(PMA). Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento massiccio del
r icorso a tali tecniche di fecondazione artificiale. Tale dato sembra
esplicitare, a parere di alcuni Autori (Farri Monaco e Peila Castellani,
1994), la necessità di diventare genitori biologici a tutti i costi . I l l imite
viene avvertito come intollerabile e al medico viene demandato il
compito messianico di fornire una soluzione a tale dolore.
In una ricerca Americana dell’American Fertil i ty Society, (AA.VV.,
1991) è stata stabilita la percentuale di successo delle tecniche di
r iproduzione artificiale. Su 100 donne solo il 13% riesce a dare inizio ad
una gravidanza, ma ancora meno sono quelle che riescono a portarla a
termine con successo: il 7,8%. Pare che venga sempre più a galla un
bisogno di superare i l imiti inaccettabili , di poter dominare l’esistente.
L’onnipotenza non lascia spazio all’ insuccesso tanto da trasformarsi, nel
nostro caso specifico, in vero e proprio accanimento terapeutico.
Quando le coppie che hanno tentato la via della procreazione
medicalmente assistita giungono alla r ichiesta di adozione hanno alle
spalle una serie, a volte consistente, di tentativi infruttuosi che hanno
portato speranze e delusioni. Questo fatto genera un lutto all’ interno
della coppia che richiede, secondo le modalità seguite dai servizi che si
occupano di adozione, una adeguata elaborazione.
Quando parliamo di “lutto” intendiamo un’esperienza strettamente
legata alla vita e all’esistenza. Essa non si r iferisce solo alla morte, ma è
riconducibile ad ogni si tuazione di mancanza sul piano affettivo. Così
anche l’ impossibili tà a procreare può scatenare un’esperienza di lutto. La
possiamo vedere come una morte particolare riguardante una parte del
proprio sé e del desiderio di continuità generazionale. Inoltre, come
afferma Dalla Stella (2000), « i l sogno di dare alla luce un figlio, se da
una parte proietta certamente la coppia nel futuro, verso l’ immortalità
generazionale, dall’altra si radica nel passato individuale e sociale » .
Quindi, oltre ad una dimensione di proiezione futura, esiste, nella ricerca
della genitorialità, anche un forte ancoraggio alle proprie radici che si
manifesta nella ricerca di somiglianze fisiche nel bambino, anche se si
tratta di un bambino adottato.
80
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Siamo di fronte a sentimenti molto forti che necessitano di una profonda
e lunga elaborazione mentale. Senza di essa la scelta adottiva sembra non
potersi esimere da spiacevoli fallimenti .
In una ricerca condotta in Veneto da Bonato, Lissandrini e Mirandola
(1995) emergono alcuni aspetti interessanti che possiamo aggiungere alla
nostra trattazione.
Gli Autori hanno studiato 232 schede (e quindi 232 coppie) esaminando
la f il iazione, le esperienze di aborto spontaneo e provocato, i percorsi
che portano alla scoperta della steril i tà e i conseguenti atteggiamenti
verso l’adozione, la sfera sessuale e le difficoltà a volte ad esse
implicate. Tutte le coppie che hanno costi tuito il campione sono state
giudicate dal Tribunale dei Minori idonee all’adozione. Circa il 73%
delle coppie non ha mai vissuto l’esperienza di iniziare una gravidanza.
I l 21% ha affrontato l’esperienza della perdita del bambino durante la
gravidanza con una media di circa 2 aborti per coppia. Solo una piccola
minoranza di coppie è riuscita ad avere figli biologici (6%).
Le coppie steril i tendono, al momento dell’abbinamento col bambino
adottivo, ad essere meno deluse delle coppie non steril i . Forse, secondo
gli Autori , i l fatto di non avere altre alternative per divenire genitore
non permette di avere verso il bambino quei sentimenti di delusione che
può invece provare con maggiore libertà chi ha la possibili tà di avere un
figlio naturale.
Emerge inoltre che le coppie sterili manifestano maggiori capacità
r iparative rispetto alle non sterili (a meno che non abbiamo elaborato
adeguatamente la propria condizione di sterili tà) .
La sterili tà quindi sembra costituire un parametro da tenere in grande
considerazione per garantire un buon esito del percorso adottivo. Non
esistono prove del fatto che genitori sterili non possano rivestire
adeguatamente il ruolo genitoriale. La condizione sine qua non pare
essere la possibili tà di elaborare il lutto derivante dalla scoperta di non
poter avere figli .
Nel percorso di acquisizione della genitorialità biologica i l periodo della
gravidanza può essere considerato un periodo provvidenziale. In esso
infatti la donna e futura madre può trovare il tempo per effettuare quel
81
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
graduale cambiamento che la porta da un tipo particolare di
egocentrismo ad un altro. Lo stesso processo riguarda i padri o le
persone che decidono di diventare genitori attraverso l’adozione. In
quest’ultimo caso il genitore acquista consapevolezza dell’idea di
adottare e si mette al lavoro in attesa del momento in cui il bambino
viene a materializzarsi.
Si sostiene possa essere di fondamentale importanza quindi un periodo
di preparazione, sia quando la genitorialità viene acquisita naturalmente
tramite la gravidanza, sia quando questa giunge attraverso l’adozione.
Chiaramente la possibil ità che ha una madre biologica di stabilire una
profondità di rapporto col proprio figlio è molto grande. Pensiamo solo
all’esperienza dell’allattamento che costituisce un mezzo di
comunicazione molto profondo, una vera e propria “ canzone senza
parole” , per usare un’espressione di Winnicott (1957) 1 , un nutrimento
del corpo ma anche del cuore e della mente.
Lo spazio dell’attesa è uno spazio sia f isico che mentale in cui avviene
una trasformazione, in cui si immagina e si crea l’idea del proprio
bambino. E questo vale sia per la genitorialità naturale che per quella
adottiva. La gravidanza facilita la creazione di tale spazio trasformativo
grazie alle trasformazioni ormonali che avvengono nel corpo e, di
conseguenza, nella mente delle madri. È utile r icordare poi quale
significato rivesta per la coppia madre-bambino la fase intrauterina,
soprattutto a livello emozionale. Nell’adozione la mancanza di tale
esperienza necessita di essere compensata attraverso un ripensamento e
un’elaborazione del dolore legato a tale assenza. A tal proposito abbiamo
già esposto il concetto di vuoto con tutte le implicazioni che esso
comporta. Inoltre il genitore adottivo dovrà confrontarsi con le
esperienze passate del bambino che ha condiviso la fase intrauterina con
un'altra madre. Ed è proprio entro questi l imiti e tali difficoltà che la
genitorialità adottiva trova la sua forza e la sua originali tà, dotandosi
della cultura per “colmare” il vuoto di un figlio proprio. La difficoltà sta
nel dover «articolare un passaggio dal fuori al dentro, anziché dal
1 Il contributo della psicoanalisi all’ostetricia.In Winnicott, D.H. (1987).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
dentro al fuori così come avviene partendo dall’esperienza stessa della
gravidanza. […] di fronte si ha un bambino già separato nel corpo, che si
muove da subito in un altro spazio generazionale» (Dalla Stella, 2000).
Di fronte al desiderio frustrato di non poter realizzare la gravidanza
biologicamente, la coppia sembra rifugiarsi nell’azione più che nella
r iflessione, affidandosi alle mani del medico per ottenere il f iglio tanto
desiderato. Allo stesso modo anche l’adozione assume spesso i connotati
dell’agire prima ancora di aver meditato ed elaborato a fondo la scelta
adottiva. La frustrazione e la sua intollerabili tà generano fretta.
Sappiamo che oggi la decisione di avere il primo figlio è stata
posticipata di molti anni per vari motivi, non da ultimo quello
economico-occupazionale. Questo ha determinato come conseguenza un
aumento delle difficoltà di concepimento nel momento in cui f inalmente
avviene la fatidica decisione. Per quanto concerne l’adozione la
letteratura mostra come spesso nei servizi ci si trovi di fronte a coppie
che iniziano una gravidanza subito dopo la presentazione della domanda
di adozione, al termine dello studio di coppia, dopo l’ottenimento
dell’ idoneità, dopo l’abbinamento con il bambino. Lo stesso dato è stato
riscontrato all’interno dello studio sui Servizi Sociali di Carpi. È come
se tutti questi eventi e l’adozione in generale costi tuissero dei veri e
propri fattori di “sblocco psicologico” (Galli , 2001).
Le gravidanze interrotte possono essere collegate ad un difetto
nell’elaborazione della propria identità di genere e identità corporea. I l
tutto si ipotizza possa farsi risalire a problematiche emotive
nell’ infanzia. Oppure i fattori chiamati in causa possono essere riferiti
alla confli ttualità latente e non consapevole esistente tra i coniugi. In
questi casi, dopo la separazione, i l rapporto con un partner diverso può
portare una gravidanza inaspettata.
Gli operatori , impegnati nella consultazione per valutare l’ idoneità
all’adozione, notano come la coppia neghi con forza i l dolore collegato
alla sterili tà. Anzi spesso sembra proprio mancare addirittura di
consapevolezza. I l dolore viene riferito alla mancanza del f iglio e non
alla sterili tà. Pochi sono quelli che si sono rivolti a psicologi, al
contrario tutti raccontano storie di vita scandite da svariate e
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
interminabili visite mediche. Non a caso nel momento in cui sono
invitati dagli operatori a rif lettere sulla mancanza e sul lutto procreativo
si sentono smarriti e molto stupiti .
Dalla consultazione risulta sovente come la sterili tà f isica si accompagni
a quella mentale: la coppia infatti non solo non riesce ad esprimere
emozioni, ma non riesce neppure a pensare, immaginare, simbolizzare i l
f iglio e l’essere genitore. Lo strumento del “Diario di cinque anni
dopo” , come vedremo successivamente, va ad agire proprio su queste
componenti deficitarie, cercando di scoprirle e, se possibile, attivarle.
Quando le coppie vengono giudicate non idonee all’adozione vivono
molto negativamente tale decisione del tr ibunale. Esse si sentono
giudicate incapaci per la seconda volta, incapaci come genitori biologici
ed ora anche come genitori adottivi. Di fronte a tale rifiuto spesso si
attivano meccanismi di difesa volti al controllo e alla negazione della
sofferenza e del fall imento.
Le procedure di valutazione sono vissute in modo molto negativo dai
genitori adottivi e forse a ragione. Questi ultimi per difendersi attaccano
gli operatori , accusandoli di adoperarsi in modo persecutorio e selettivo.
Anche nel caso in cui si verif ichi l’abbinamento a volte si possono
riscontrare segnali di disagio, sia riguardo le procedure di valutazione,
che vengono vissute in modo intrusivo, sia r iguardo l’adozione stessa.
Creare uno spirito di collaborazione e di ascolto reciproco potrebbe
facilitare il percorso adottivo e limitare al massimo tali vissuti negativi,
aiutando la coppia ad innestare un processo di r iflessione riguardante la
scelta adottiva e, nel caso trattato specificatamente in questo paragrafo,
la sterili tà.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Sessualità’
Sappiamo che i 3/4 delle coppie che giungono all’adozione hanno dovuto
affrontare il problema della sterili tà e quindi lunghe trafile medico-
terapeutiche che hanno condotto a scindere nell’atto sessuale le
componenti della procreazione da quelle della r icerca di piacere. Queste
ultime, di conseguenza, vengono molto penalizzate (Bonato, Lissandrini
e Mirandola, 1995). Gli insuccessi nei tentativi di procreazione assistita
portano ad associare i fallimenti e le conseguenti frustrazioni all’atto
sessuale che ne risulta ancor di più sminuito.
L’area sessuale diventa oggetto di profonde modificazioni nella
relazione di coppia dopo la perdita della sua finalità procreativa.
D’Andrea (1999) sostiene che la coppia deve riscoprire la sessualità
come un valore di reciproco scambio affettivo e di piacere per evitare
che la sterili tà biologica si trasformi nella “morte del desiderio” .
Esistono anche casi di coppie non sterili che dietro la r ichiesta
dell’adozione nascondono problemi nei rapporti sessuali, f ino
all’estremo dei cosiddetti matrimoni “bianchi”. È innegabile che in
questo caso occorra una profonda riflessione perché i l bambino non si
tramuti nella soluzione del problema di coppia. Jolanda Galli , nel corso
del Convegno tenuto a Reggio Emilia nel Maggio 2002, ha sottolineato
come a volte, dietro ad una presunta sterili tà, si nasconda una scarsità, o
addiri ttura la mancanza, di rapporti sessuali.
Da tali considerazioni si evince come l’aspetto della sessualità sia
alquanto spinoso e molto spesso venga trascurato dalle coppie, ma anche
dagli operatori che temono di creare sofferenze aggiuntive e inutili .
Del resto si potrebbe aprire un interminabile dibattito in merito al diri tto
che si arrogano gli operatori di trattare argomenti tanto personali e
intimi. Oppure, ancora peggio, di formulare giudizi circa l’adeguatezza o
meno della vita sessuale della coppia.
Bonato, Lissandrini e Mirandola (1995) parlano nel loro studio di una
percentuale pari al 15% di coppie che manifestano difficoltà sessuali
medie o gravi. Spesso tale dato emerge in associazione a racconti relativi
alla sterili tà e ai tentativi di fecondazione assistita.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Si tratta, secondo gli Autori , di un settore di indagine che, per quanto
problematico, e forse proprio per questo motivo, andrebbe approfondito.
Occorrono le dovute cautele e la dovuta preparazione, ma la difese e le
resistenze sono ri tenute più dannose dello sforzo di comunicare aspetti
delicati della propria vita intima. Si sostiene inoltre che lo studio della
sessualità sia legato ad aspetti imprescindibili per chi deve dare una
valutazione dell’ idoneità all’adozione: lo sviluppo della personalità, lo
sviluppo delle capacità genitoriali , la capacità r iparativa verso il
bambino sono considerati tutti aspetti che non possono essere conosciuti
se non vengono affrontati i vissuti e le esperienze sessuali. I l solo fatto
di spiegare il collegamento tra adozione e sessualità può costituire già
una buona motivazione a parlarne di più e con meno remore.
L’importante è non giungere ad estremi di intrusività tali da scatenare
ulteriori reazioni difensive delle coppie.
Per molte coppie i colloqui per l’adozione possono essere importanti
indicatori di difficoltà di relazione da affrontare con attenzione. Tali
colloqui sono tesi alla creazione di spazi di r if lessione e confronto sia
con l’operatore che con il partner stesso allo scopo di «ridare vita alle
fantasie, al desiderio e alle aspirazioni [in modo da permettere] alla
coppia di ricostruire quello spazio di intimità, incontro, progettualità,
che l’ostacolo dell’ infertili tà aveva “congelato”» (D’Andrea, 1999).
Evidentemente gli incontri con lo psicologo sono ritenuti importanti non
solo dal punto di vista valutativo, ma terapeutico, se si pensa che siano
capaci di trasformare la relazione di coppia. Tornano così gli
interrogativi riguardo i pregiudizi che accompagnano gli aspiranti
genitori adottivi . Perché mai tali genitori debbono essere considerati
portatori di problematiche a vari l ivelli? Per quale motivo essi devono
dimostrare e acquisire la patente di buoni genitori, mentre a nessun
genitore naturale viene fatta una simile r ichiesta?
Si tratta di domande che non conoscono una risposta soddisfacente che
metta d’accordo tutte le forze chiamate in causa: genitori , bambini ed
ist ituzioni.
La nostra idea è di r iconoscere l’ importanza del lavoro dei servizi che
operano per garantire al bambino la sistemazione migliore possibile, ma
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
i l monito è quello di non lasciare che tale obiettivo porti a
comportamenti inquisitori tali da intaccare la dignità personale di chi
viene sottoposto a tali indagini.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Elaborazione del lutto
«L’origine de i bambini ha luogo
quando sono pensat i»
(Winnicot t , 1966) 1 .
La lunghezza delle procedure che separano la coppia dal f iglio adottivo
viene considerata come un momento indispensabile per poter utilizzare
l’esperienza della mancanza come una spinta all’elaborazione dei
pensieri. Perché ciò accada è indispensabile che i lutti , sperimentati e
tuttora sentit i dalla coppia e dal bambino, possano essere affrontati e non
considerati come tabù, né tanto meno come presenze incombenti del
passato: si tratta di esperienze di cui si può parlare.
Può succedere che il vissuto legato alla sterili tà faccia riferimento ad
una sensazione riguardante l’“essere privati” piuttosto che la
“mancanza” (Santona, 2001). Questo rende più complesso i l lavoro di
accettazione che sta alla base dell’elaborazione di una perdita.
Adottare è una gravidanza affettiva, molto faticosa, sentita come
interminabile e diversa, ma che va vissuta come tale.
L’adozione è l’ incontro tra due perdite. Genitori e bambini possono
sviluppare una proficua relazione se riescono nel difficile compito di
identif icarsi l’uno nella sofferenza dell’altro.
I bambini adottivi hanno bisogno di elaborare il lutto e in questo sono
simili ai loro nuovi genitori, anche se si tratta di lutti differenti;
comunque aumentano lo stress emotivo e di conseguenza la vulnerabilità
di fronte ai problemi.
Può succedere che i genitori, dinanzi a tale dolore, si rifugino
nell’adozione per tamponare la propria sofferenza. Così facendo possono
confondere lo scopo principale dell’adozione, consistente nel cercare la
famiglia per il bambino e non il bambino per la famiglia (Merguici,
2001). Tale inconveniente è ancor più palese nel caso dell’adozione
internazionale vista come più rapida, sicura e maggiormente rassicurante
1 L’inizio dell’individuo.In Winnicott, D.H. (1987).
88
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
nel « taglio netto e definitivo del cordone ombelicale» tra bambino,
genitori naturali e terra di origine.
Annamaria Dell’Antonio (1994) afferma che l’adozione va vista come un
incontro tra persone con problemi non risolti che possono realizzare una
storia comune se sono in grado di capire le esigenze e il lutto dell’altro.
I l trauma vissuto rappresenta il non contenimento, la non contenibilità.
Si tratta cioè di quei contenuti che la mente non è stata in grado di
contenere: l’abbandono, i successivi soggiorni in istituti non adeguati, i
passaggi da un istituto all’altro o da una famiglia affidataria all’altra.
Per questo si fa appello, come proposto dal modello bioniano (1962),
alla funzione di “reverie” dei genitori: si tratta di quella capacità che
consente al genitore adottivo di vivere una sorta di gravidanza mentale e
permette al bambino di trovare finalmente un adeguato contenitore per
tutt i questi eventi dolorosi. Si va così verso la creazione di un legame
mentale tra genitore e f iglio.
Secondo Rossana Dalla Stella (2000) lo psicologo che si relaziona con
la coppia aspirante all’adozione deve misurarsi con un lutto procreativo
ancora in atto. Un lutto non ancora risolto in una adeguata elaborazione.
Pare che la coppia non voglia r inunciare «a quel figlio sognato che solo
il corpo poteva fabbricare» (Dalla Stella, 2000).
L’elaborazione del lutto consente di effettuare quel delicato e
fondamentale passaggio dal bambino immaginario, frutto del desiderio
dei genitori, al bambino reale, quello che entrerà in rapporto con la
famiglia. In questo modo si può dare avvio ad un processo di reciproca
conoscenza e passare dalla diade alla triade, costruendo uno spazio fisico
e mentale per un terzo membro della famiglia.
Risulta però difficile per la coppia trovare tale spazio di rif lessione.
Antonio D’Andrea (1999) afferma che la coppia tende a spingersi sulla
strada del fare e dell’agire, piuttosto che su quella dell’attesa riflessiva e
del pensiero.
Claudia Artoni Schlesinger (1996) conclude il suo contributo con una
splendida frase, facendo riferimento al concetto già visto di “hole-
object” (vuoto dell’oggetto) di Quinodoz (1996), ovvero la mancanza di
rappresentazioni dei genitori naturali avvertita da alcuni f igli adottivi.
89
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Scrive la Schlesinger: « i l buco nero di cui parlano gli astrofisici non è
affatto vuoto, ma è pieno di elementi così f i t tamente imbricati da non
permettere i l passaggio della luce. [L’obiettivo] è tentare di mandare un
po’ di luce in quella direzione, nella speranza che qualche particolare,
anche se apparentemente piccolo, si i l lumini».
Abbiamo visto tutta una serie di contributi derivanti da vari Autori
circa il tema dell’elaborazione del lutto. Si tratta di un tema centrale
all’ interno dell’adozione tanto che anche in paragrafi dedicati ad altr i
argomenti emerge l’ importanza di creare uno spazio di rif lessione. Tale
spazio riguarda i genitori, i bambini e anche gli operatori che entrano in
contatto con questi .
L’esperienza di perdita accompagna il bambino abbandonato e
trascurato; i genitori sono alle prese con la sterili tà e il
r idimensionamento del desiderio di un bambino proprio. Devono
confrontarsi con il difficile percorso adottivo, disseminato di
complessità e a volte dolorosi fallimenti; gli operatori dei servizi
possono veder frustrati lunghi mesi di lavoro di fronte alla restituzione
di un bambino.
L’idea di fondo è quella che un problema, per essere superato, non
ammette scorciatoie: r ichiede di essere affrontato e pensato in tutte le
sue componenti. Elaborare il lutto diventa così un’espressione che si
avvicina molto al concetto di vuoto, a ciò che abbiamo visto essere una
risposta a tale condizione. L’essere umano, di fronte al dolore di una
perdita, tende a dimenticare piuttosto che ripensare al trauma subito.
Crediamo quindi che tali aspetti meritino la grande attenzione che viene
loro dedicata, nel tentativo di far emergere le potenzialità positive insite
in tutte le situazioni dolorose e di crisi . La possibilità di far nascere da
una situazione traumatica un solido legame mentale ed affettivo sta alla
base della creazione di una storia familiare in cui tale trauma viene
integrato. L’obiettivo è i l r iconoscimento della storia presente e della
realtà di quel nucleo relazionale.
90
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Rivelazione
«Sapere da dove si v iene ,
permet te d i a f f rontare megl io
i l proge t to che guarda verso i l fu turo,
verso i l “dove si va”»
(Gal l i , 1995)
«Un ponte non si può cost rui re
se non partendo contemporaneamente
da due punt i d i appoggio,
che si saldano ne l punto di incontro»
( I l cost rut tore d i pont i ) 1 .
Quello della r ivelazione è un tema che nasconde molte insidie e che non
si può circoscrivere ad un preciso momento temporale: la r ivelazione è
per sempre, perché non ne esiste una sola, bensì ce ne sono tante.
Tale tematica un tempo veniva relegata ai margini, nella ferma
convinzione della bontà della scelta di propendere verso i l si lenzio circa
le vere origini del bambino. Oggi però, per tutta una serie di motivi, non
ultima una differente preparazione dei genitori e degli operatori , i l
quadro si è rovesciato e le differenze non possono più essere nascoste o
dimenticate. I l tempo passato non può più rimanere un «“tempo
congelato”, con tutti i connotati negativi e di rigidità e di paura che
questo comporta» (D’Andrea, 2000).
Perché ci sia r ivelazione, secondo Francesco Viero (2002) 2 , occorre
essere prima in contatto con le proprie verità. Se c’è chiarezza interna
rispetto ad esse, le difficoltà nell’accogliere quelle del bambino vengono
di molto ridimensionate. I l bambino adottivo ha bisogno di nutrirsi di
una mente fertile. È compito degli adulti fornirgliene una cominciando
dall’acconsentire ad ascoltare le tante domande che pone e si pone il
bambino. Anche le r isposte che vengono date vanno viste non nell’ottica
di un colmare, di una rendere sazi, ma di un rimanere in attesa, dando
spazio al pensiero.
1 In D’Andrea, A. (2000).2 In Galli, J. (2002).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
I bambini adottati vivono uno stato di ambivalenza: da una parte si
sentono legati ai genitori naturali che gli hanno dato la vita, ma che poi
li hanno abbandonati; dall’altra condividono la loro quotidianità con i
genitori adottivi che sono estranei alla loro origine e spesso alla loro
cultura, ma a cui devono tantissimo. Purtroppo la relazione che
intrattengono oggi con i loro nuovi genitori adottivi può trovare
difficoltà a raggiungere la profondità relazionale primitiva e naturale.
Così, una volta cresciuti , tali figli adottivi possono sentire il bisogno di
andare alla ricerca delle proprie origini e tale r icerca può assumere le
sembianze di un tormento fino alla sua realizzazione. «La necessità di
appartenere, strettamente legata al senso di identità, è presente
nell’essere umano per tutta la vita» (Santona, 2001).
È fondamentale conoscere la storia del bambino precedente
all’adozione. Da essa dipenderanno molte delle sue vicende future. I l
poter conoscere tali esperienze precoci, che hanno creato e creano
tutt’ora difficoltà allo sviluppo emotivo del bambino, consente di
prevedere quali saranno le r ichieste a cui dovranno rispondere i nuovi
genitori adottivi: se semplicemente dovranno accudire i loro bambini,
oppure dovranno curarli r ivestendo un ruolo quasi “terapeutico”.
L’adozione infatt i può assumere le sembianze di una terapia e per i
genitori adottivi è molto importante aiutare i loro figli , forse più di
quanto lo è per i genitori naturali .
«[…] quando si consegna un bambino a due genitori non si offre loro un
simpatico diversivo, si altera tutta la loro vita. Se tutto va bene,
passeranno i prossimi venticinque anni cercando di risolvere il problema
che gli abbiamo proposto. Se poi invece le cose non vanno […] , l i
avremo avviati sul difficile cammino della delusione e della tolleranza
alla frustrazione» (Winnicott , 1953) 1 .
La rivelazione dell’adozione: spesso essa viene considerata con
pericolosa superficialità da parte della coppia ignorando le inevitabili
difficoltà che tale disattenzione porterà in futuro. Rivelare sembra
1 Due bambini adottati.In Winnicott, D.H. (1996).
92
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
connotarsi sacralmente come la confessione di un segreto gelosamente
tenuto nascosto fino ad allora.
Alcuni Autori r itengono che il silenzio riguardo alla realtà adottiva del
bambino sia frutto di una negazione e nasconda un conflitto irr isolto tra
l’ istanza biologica e quella mentale. «Il f iglio adottivo ha due origini,
quella biologica legata alla procreazione, e quella affettiva legata
all’adozione. Certamente quest’ultima prevale sull’altra, perché il
riconoscimento e il cammino di ogni essere umano avvengono nella
relazione affettiva e nella condivisione, e non nella semplice origine
biologica» (Farri Monaco e Peila Castellani, 1994).
I genitori mostrano di trovarsi in grande imbarazzo e difficoltà
nell’affrontare tale argomento e sono molto incerti circa le modalità con
cui comunicare tale informazione: quando? come? Si vengono a creare
degli ostacoli insidiosi alla comunicazione.
Spesso i bambini capiscono tutto ancor prima che i genitori gliene
abbiano parlato e si siano accorti di tale consapevolezza. Anche per
questo prolungati tabù e bugie sull’adozione possono nascondere pericoli
per la relazione genitore-figlio.
«Il problema è i l mistero, la conseguente mistura di fantasia e di realtà,
e il peso delle emozioni potenziali di amore, di rabbia, di orrore e di
disgusto, che sono sempre in agguato ma che non possono mai essere
vissute. Se l’emozione non viene vissuta, non ce la si può lasciare alle
spalle» (Winnicott, 1955) 1 .
Non esistono regole precodificate o più giuste di altre per r ivelare
l’adozione. Forse l’essere autentici e sinceri, sia nelle parole come nello
sti le di vita, è la strada più semplice da seguire. L’autenticità è un fatto
fondamentale per vitalizzare i l funzionamento mentale.
L’adulto deve porre al centro il bisogno del bambino e cercare di mettere
ordine dentro di lui , contenerne le angosce non solo con le parole, ma
anche col gioco, con la dimensione del fare, soprattutto quando il
bambino non è ancora in grado di ascoltare.
1 Figli adottivi e adolescenza.In Winnicott, D.H. (1996).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Parlare ai bambini in età scolare della loro adozione va bene, ma non
hanno le capacità cognitive per capire tutte le connotazioni e
implicazioni dell’essere adottati . Inoltre l’impatto di venire a
conoscenza della vera natura del loro lutto può portare problemi di
comportamento, emozionali , cambiamenti atti tudinali, senso di perdita.
Artoni Schlesinger (1996) sostiene che il r ivelare le notizie reali sul
passato del bambino può costituire un evento traumatico. L’Autrice, più
che alla rivelazione di fatti concreti , pone grande attenzione alle origini
intese come stato mentale, grazie al quale il bambino può riconoscere di
appartenere ad un proprio contesto ambientale le cui radici risalgono
fino ai momenti precedenti la nascita. «[…] quello che succede al
bambino adottivo è la perdita dello scrigno della sua memoria, la
perdita del testimone della sua prima vita, di colei o coloro con cui
sarebbe possibile condividere vissuti e riconoscere pensieri comuni » per
poter andare alla scoperta di ciò che sentono dentro, ma a cui non sanno
dare un nome.
I l f iglio adottivo, per usare un’espressione di D’Andrea (1999), si
trova posto in mezzo « tra la faglia biologica e quella adottiva» : una
posizione che può attivare purtroppo uno stato di crisi d’identità. Per
r isolvere tale stato di incertezza ha bisogno che « i genitori adottivi
sappiano riconoscere e accogliere come ricchezze le tre doti di cui il
bambino è portatore: il suo corpo, il suo nome, la sua storia» .
È terribile per un bambino adottato giungere a conoscere da altr i la
verità circa l’essere stati adottati . Per lui , infatti , la persona di cui nutre
una profonda fiducia diventa un traditore: si sente ingannato e questo è
l’aspetto più doloroso. Più della scoperta fatta.
Tutti noi abbiamo costruito un romanzo della nostra vita: lo stesso
deve fare i l bambino adottato. Perché ciò accada, egli ha bisogno di
essere guidato, che qualcuno, usando le parole di Jolanda Galli (2002),
gli fornisca « i l f i lo per infi lare le perline della collana» . Nel compiere
tale operazione l’adulto deve considerare non le proprie esigenze e i
propri tempi, bensì quelli del bambino: deve sapersi fare forza quando è
restio a parlare e saper altresì aspettare quando i tempi non sono maturi.
L’aspetto fondamentale è parlare insieme con il f iglio, a qualunque età,
94
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
cogliendo tutte le occasioni che si presentano quotidianamente,
ascoltando ed interrogandosi insieme a lui.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
5.
GRUPPI
Diversi Autori hanno osservato come i genitori adottivi mostrino il
desiderio di avere un confronto con altr i genitori che hanno affrontato il
loro stesso percorso (Castelfranchi, 1992; Farri Monaco e Peila
Castellani, 1994). Da tale necessità nasce la proposta di formare gruppi
di genitori adottivi che, al termine del percorso, sentono il bisogno di
mantenere un contatto con gli operatori ed altre famiglie. I l gruppo viene
quindi ad inquadrarsi come un “contenitore” al quale possono rivolgersi
le coppie e le famiglie che lo ritengono opportuno. Questo servizio
rientra nell’ottica dell’accompagnamento a lungo termine delle famiglie
adottive. I gruppi, soprattutto quando sono misti , cioè formati da
genitori in attesa del bambino e genitori che hanno ottenuto
l’abbinamento col minore, hanno grandi potenziali tà nel r idurre l’ansia e
la paura, nell’aiutare a capire ciò che l i aspetterà nel prossimo futuro,
nel contribuire ad un prezioso arricchimento.
Come possiamo definire un gruppo? Usando le parole di Galimberti
(1992) lo possiamo considerare «un insieme di individui che
interagiscono tra loro influenzandosi reciprocamente e che condividono,
più o meno consapevolmente, interessi, scopi, caratteristiche e norme
comportamentali» .
Nel nostro studio abbiamo usufruito della collaborazione di un gruppo
formato da una ventina di genitori giunti al compimento del percorso
adottivo. Questo gruppo viene condotto dalla Dottoressa Valeria Confetti
a Carpi una volta al mese e segue una impostazione a metà strada tra il
gruppo di tipo Bioniano e quello tipo Balint.
Vediamo brevemente il significato di tali termini.
97
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Gruppo bioniano
Wilfred Bion è stato un autore che ha lasciato un’impronta importante
all’ interno della psicoanalisi e della psicologia in generale. La maggior
parte delle sue idee nascono dall’attività svolta con i gruppi: egli infatti
ha lavorato a lungo servendosi di tale strumento.
Bion è convinto che « l’essere umano [sia] un animale gregario. Non
può evitare di essere membro di un gruppo, anche in quei casi in cui
l’appartenenza al gruppo consiste nel comportarsi in modo da dare la
sensazione di non appartenere ad alcun gruppo » . E ancora: «nessun
individuo, per quanto isolato, può essere marginale rispetto a un
gruppo» (Grinberg, Sor e de Bianchedi, 1991).
Durante questa esperienza, che lo terrà impegnato per parecchi anni e
che ne segnerà tutto il pensiero successivo, Bion formula alcune ipotesi
che sono divenute dei capisaldi per il lavoro con i gruppi. C’è la
consapevolezza dell’esistenza di molte forze in interazione all’interno di
essi: l’ interesse di Bion viene subito catturato dal clima emotivo che si
sviluppa all’interno dei gruppi e da come tale contesto condizioni il
comportamento dei membri partecipanti. Bion osserva come i membri,
che si r itrovano per realizzare uno scopo ben preciso e determinato,
appaiano dedicarsi a comportamenti e a pratiche che, al contrario, non
sembrano dirette al raggiungimento di tale obiettivo. La grande carica
emotiva, venutasi a creare all’interno del gruppo, influenza
massimamente i partecipanti , indirizzandone inconsapevolmente
l’attività, e tende ad influenzare il terapeuta stesso. Si ha la netta
impressione che il gruppo funzioni come un tutto, come un’unità
indipendente dagli apporti individuali e, proprio attraverso
l’osservazione del gruppo stesso (e non dei suoi singoli membri), si
apportano nuovi significati alle situazioni emergenti. Molto
sinteticamente emerge un dato di fatto, ovvero «quando varie persone si
riuniscono per svolgere un compito, si possono individuare due tipi di
tendenza: una diretta alla realizzazione del compito, l’altra che sembra
opporsi ad esso» (Grinberg, Sor e de Bianchedi, 1991). Nel gruppo
esistono due forze che si equilibrano: la tendenza a compiere qualcosa, a
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
raggiungere un risultato prefisso, e la difficoltà che il gruppo funzioni
come un gruppo di lavoro. Tutte le volte che si crea un gruppo c’è una
grande serie di forze inconsce che si incontrano ( “assunti di base” ) ,
ovvero delle linee, delle forze che ostacolano il lavoro. Quindi da un
lato la forza, dall’altro la resistenza.
Bion arricchisce la sua analisi di molti concetti teorici come
“mentalità di gruppo” , “cultura di gruppo” , “assunti di base” , “gruppo
in assunto di base” , “gruppo di lavoro” , “cambiamento catastrofico” ,
“mistico” ed altr i ancora. Per motivi di spazio però non verranno trattati
all’ interno di questo lavoro e r imandiamo alla bibliografia per ulteriori
approfondimenti.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Gruppo Balint
Per quanto riguarda la definizione “gruppo tipo Balint” ci r iferiamo
all’opera dello psicoanalista ungherese agli inizi del secolo scorso.
Balint è convinto della necessità di una comprensione olistica del
malato, ovvero comprenderne le caratteristiche nella totalità aldilà di
approcci settoriali che separano psichico ed organico. Per questo auspica
una formazione di medici volta a sviluppare la sensibil ità per gli aspetti
interpersonali della terapia. A tal fine crea dei gruppi di formazione la
cui caratteristica di base è la mancanza di distinzione tra chi insegna e
chi apprende: esiste solo una messa in comune di esperienze diverse.
Ogni componente porta un caso al gruppo e questo si confronta tramite
gli apporti di ognuno alle problematiche emergenti. I l conduttore del
gruppo rimane un po’ in disparte, ovvero evita di dare consigli e
rassicurazioni, si astiene dal direzionare le dinamiche del discorso pur
r imanendo molto att ivo in ambito interpretativo.
Questo t ipo di approccio al lavoro di gruppo proposto da Balint ha in
sé vari aspetti positivi: i partecipanti sono più maturi poiché
maggiormente consapevoli di sé, c’è maggiore attenzione verso i bisogni
dell’altro e si ha maggior r iguardo nel considerare gli effetti
inconsapevoli delle proprie azioni.
Ogni componente del gruppo giunge gradatamente a r iconoscere e
controllare gli aspetti emotivi della comunicazione grazie ad un’attenta
analisi dei propri bisogni e resistenze.
«Ogni misconoscimento di sé si trasforma in opacità nella comprensione
dell’altro» (Vegetti Finzi, 1986).
Le idee di Balint hanno trovato grandi consensi, soprattutto in I talia
dove operano tutt’oggi vari gruppi di formazione che seguono questo
tipo di orientamento.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
6.
“NARRAZIONE E PSICOANALISI”
Paola Marion (2000) afferma che oggi il tema riguardante la narrazione
si trova in un momento particolarmente fecondo all’ interno del vasto
panorama psicoanalitico italiano. Cita a tal proposito tre interessanti
contributi di recente pubblicazione: Raccontami una storia di Dina
Vallino (1998), La psicoanalisi come letteratura e terapia di Antonino
Ferro (1999) e Narrazione e psicoanalisi di Arrigoni e Barbieri (1998).
La nostra analisi si concentrerà sui contributi offerti da quest’ultima
opera, la quale offre molti spunti di r if lessione per il lavoro che verrà
presentato successivamente.
Dietro i racconti dell’adozione si nascondono informazioni profonde
sul comportamento e sullo sviluppo umano: le modalità con cui le
persone si raccontano sono indicatori di vari aspetti relativi alla loro
esistenza: possono offrire informazioni ed emozioni che altrimenti non
trapelerebbero.
I l concetto di “narrazione” ha in sé una forte componente dinamica: è
un concetto pragmatico che include non solo l’azione, ma anche gli
aspetti contestuali (quando parliamo dal “narrato” invece si fa
r iferimento alle componenti lessicali , semantiche e sintattiche di un
testo). Inoltre si tratta di un concetto che comprende in sé la conoscenza
nel senso di narrare inteso come far conoscere.
Le persone narrano e si narrano storie per dare un significato alla
propria vita e queste storie diventano il punto di ancoraggio per ogni
nuova situazione o avvenimento dell’esistenza.
Maria Pia Arrigoni e Gian Luca Barbieri hanno realizzato un’analisi
attenta e interessante circa la possibili tà di utilizzare le categorie della
narrazione in ambito psicoanalitico, nella considerazione di quanto sia
«continua […] l’opera di tessitura e ritessitura narrativa che si sviluppa
in analisi» (Ferro, 1998).
Il l ibro sviluppa il concetto di narrazione, muovendosi tra i concetti di
emittente e destinatario, comunicazione dialogica, l ingua e parola,
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
narrazione orale contrapposta e confrontata con quella scrit ta, tempo e
personaggi; definisce inoltre come narrazione e interpretazione si
collocano all’interno della psicoanalisi .
Gli strumenti uti lizzati sono quelli della semiologia e della narratologia,
soprattutto quanto è stato indagato e teorizzato da quest’ultima corrente
di studio negli ultimi anni. Queste concettualizzazioni sono di grande
aiuto al lavoro dello psicoanalista, specie nell’ambito del lavoro clinico,
alla scoperta di strade alternative per la r icerca di ulteriori significati .
Esse possono fornire «uno sguardo dall’esterno, da un’altra angolatura
rispetto a quella della relazione terapeutica, che offre strumenti per una
rif lessione sull’atteggiamento mentale del paziente» (Ferro, 1998).
Come vedremo in seguito nella nostra r icerca abbiamo utilizzato molte
delle intuizioni tratte da tale libro, soprattutto per quanto riguarda
l’analisi dello strumento delle “Descrizioni” , in cui ci siamo serviti
abbondantemente delle categorie d’analisi della narratologia che
descriveremo successivamente nel dettaglio.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
SECONDA PARTE :
LA RICERCA SUI SERVIZI SOCIALI DI
CARPI
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
1.
UNA FOTOGRAFIA DEI SERVIZI SOCIALI DI
CARPI
La ricerca che andiamo a presentare ha lo scopo di fornire un’immagine,
i l più dettagliata possibile, dei Servizi Sociali di Carpi in merito al
lavoro svolto nel campo dell’adozione dal 1975 al 2001. Si tratta di una
realtà certamente di piccole dimensioni, ma che nel corso degli anni ha
saputo rif lettere sul suo operato apportando innovazioni e nuovi spunti
di rif lessione all’ interno del percorso adottivo. Questa stessa ricerca si
configura come un’opportunità per i Servizi Sociali di Carpi di
approfondire tematiche e verificare il proprio lavoro sotto vari aspetti .
La situazione riscontrata a Carpi non è generalizzabile al contesto
italiano, essendo una città con caratterist iche socioeconomiche non
rappresentative della situazione nazionale. Essa però ci può essere di
grande aiuto, configurandosi come una guida rispetto a diversi aspetti
dell’ambito dell’adozione: come operano i servizi, com’è strutturato
l’ iter dell’adozione, quali metodologie vengono util izzate per la
valutazione dei genitori.
Tale indagine ha costituito un punto di partenza importante per il
nostro progetto, aiutandoci ad acquisire dei dati numerici ed una
maggiore dimestichezza con tutto ciò che riguarda tale ambito di studio.
Si tratta del punto di partenza da cui avranno origine tre diverse tesi di
laurea, come avremo modo di approfondire in seguito.
106
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Obiettivi della ricerca
Per delineare gli obiettivi della nostra ricerca comune presentiamo la
lettera originale consegnata ai Servizi Sociali di Carpi per richiedere la
disponibilità a cominciare un progetto di collaborazione con
l’Università di Parma. Gli obiettivi si sono poi via via chiariti e meglio
definiti durante il lavoro svolto sul campo.
Spettabili Servizi Sociali del comune di Carpi,
l’Università di Parma, in collaborazione con altri professionisti
dell’area psicologica (Dott. Daria Vettori , Dott . Valeria Confetti , Dott .
Andrea Landini) è interessata ad aprire un percorso di ricerca sul tema
dell’adozione.
Tale ricerca è ancora in fase di studio e come primo approccio ci pare
necessario eseguire una ricerca di archivio rispetto ai dati disponibili
sulle famiglie che hanno usufruito del vostro servizio di adozione negli
ultimi vent’anni.
Per questo motivo vorremmo aprire con voi una collaborazione.
Vi saremmo grati se voleste metterci a disposizione la documentazione
disponibile riguardo alle famiglie e ai bambini da queste adottate.
Vorremmo servirci dello spoglio delle cartelle e di quanto altro
materiale è disponibile presso il vostro servizio per eseguire una
raccolta anonima di informazioni: sesso, età di adozione, provenienza,
caratteristiche dei genitori e quanto altro ancora emerge dalle cartelle.
Naturalmente l’Università di Parma si farà garante di un uso corretto
dei dati e rispettoso della privacy dei soggetti da cui gli stessi dati
derivano direttamente.
I l lavoro verrà effettuato da alcuni studenti iscritt i all’ult imo anno del
Corso di Laurea in Psicologia presso l’Università di Parma. I
nominativi ed eventuali informazioni vi verranno comunicati al momento
del contatto col vostro servizio.
Vi inviamo quindi, come da voi espressamente richiesto tramite la Dott.
Daria Vettori, un progetto di fattibili tà della ricerca.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Riassumiamo in alcuni punti gli obiettivi che tale ricognizione si
propone:
- come primo obiettivo ci proponiamo di eseguire un’attenta ricerca
bibliografica;
- il nostro secondo obiettivo si prefigge di raccogliere la vostra
testimonianza riguardo la formulazione e la concretizzazione del
vostro progetto sull’adozione;
- il terzo obiett ivo riguarda l’analisi approfondita delle cartelle;
- come quarto infine ci proponiamo di individuare le possibili
ricadute della nostra indagine sull’organizzazione del servizio e
proporre eventuali indicazioni per ulteriori ricerche.
Speriamo di essere stati sufficientemente esaurienti e chiari
nell’esposizione di questo progetto e siamo a vostra disposizione per
ulteriori chiarimenti.
Vi ringraziamo fin d’ora per la vostra gentile disponibilità.
Cordiali saluti
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Strumenti e procedimento
Dopo aver ottenuto il consenso, il gruppo di ricerca ha incontrato, presso
lo stabile dei Servizi Sociali di Carpi, i principali responsabili del
settore adozione del servizio: l’assistente sociale Lina Anticati , la
responsabile del settore amministrativo Dottoressa Liana Balluga, la
psicologa Dottoressa Cinzia Sgarbi. Sono state esposte nuovamente le
linee essenziali del nostro progetto di r icerca, ovvero il tentativo di
tracciare un quadro numericamente completo delle adozioni seguite dai
Servizi Sociali di Carpi negli ultimi vent’anni, e da questo poi trarre
util i indicazioni per tracciare nuove proposte di approfondimento.
Lo strumento scelto a questo scopo è stato lo spoglio delle cartelle: gli
studenti incaricati avevano libero accesso agli schedari contenenti tutte
le cartelle di ogni singola coppia. Questi schedari e le cartelle in esse
contenuti venivano, attraverso lo spoglio sistematico di ogni loro parte,
ordinati in ordine cronologico sia rispetto all’anno della richiesta di
adozione sia rispetto ai vari documenti componenti ogni singola cartella.
I l tutto sotto la supervisione dell’assistente sociale che, in tutte le annate
da noi prese in esame (dal 1975 al 2001 comprese), è stata sempre
presente e ha seguito personalmente ogni caso insieme a varie psicologhe
succedutesi negli anni.
Attraverso questo spoglio sistematico e r iordinamento siamo stati in
grado di capire alcuni aspetti fondamentali:
- quali documenti compongono una cartella;
- qual è il percorso burocratico, legislativo e sociale che ogni coppia
deve seguire per adottare;
- come le cartelle sono cambiate negli anni a seguito di cambiamenti
sociali e legislativi e nell’organizzazione del servizio stesso;
- dati numerici precisi circa numero di r ichieste, numero di
adozioni, numero, sesso e nazionalità dei bambini adottati ;
- quali strumenti sono stati inseriti e quali abolit i nel corso degli
anni.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Tutti questi dati ci forniscono sia le dimensioni del lavoro svolto dai
Servizi Sociali di Carpi che quelle del fenomeno adozione.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Le cartelle
Lo spoglio delle cartelle ci ha permesso di entrare in contatto con un
mondo di cui non sospettavamo l’esistenza: un mondo molto complesso e
articolato che ci ha portato alla conclusione che ogni cartella costi tuisca
un universo a sé stante. Per questo motivo diviene difficile qualsiasi
lavoro di categorizzazione e di inquadramento numerico.
Oltre ai documenti che tra poco andrò a descrivere, in ogni cartella
compaiono elementi molto singolari e caratteristici di ogni storia, come
cartoline, biglietti di ringraziamento, articoli di giornale: aspetti che
hanno l’effetto di condurre verso l’ interiorità di un processo che
coinvolge profondamente l’emotività sia dei genitori che degli operatori.
La difficoltà di questo lavoro di ricerca quindi è stata acuita da questo
tipo di complessità, certamente una fonte di arricchimento, ma che, sui
grandi numeri, f inisce per creare una sorta di confusione da gestire con
grande attenzione.
Le cartelle sono essenzialmente composte da un’ossatura di base
costituita dai seguenti documenti:
- la prima richiesta (i genitori chiedono al Tribunale dei Minori e,
dopo il 1983, ai Servizi Sociali , di poter cominciare l’indagine
socio-psicologica per avere un bambino in adozione);
- una relazione (dopo una serie di incontri , che possono occupare un
periodo variabile di durata che si aggira intorno ai 4-6 mesi,
l’assistente sociale e lo psicologo stilano una relazione in cui
emergono tutti gli aspetti significativi tratti dai colloqui. Tale
relazione viene inviata al Tribunale dei Minori che decide
sull’idoneità dei genitori ad adottare);
- un decreto di idoneità all’adozione (fornito dal Tribunale dei
Minori);
- un documento riguardante l’accoppiamento di un minore alla
coppia dichiarata idonea (si tratta dell’affido cosiddetto pre-
adottivo, una specie di periodo di prova che ha la durata di circa
un anno in cui il minore e la coppia vivono insieme);
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
- una relazione al termine dell’affido pre-adottivo (l’assistente
sociale e la psicologa stilano un’altra relazione, del tutto simile
alla prima, in cui tracciano la si tuazione attuale r ispetto al
rapporto col bambino);
- un decreto di adozione (il bambino diviene a tutti gli effetti f iglio
della coppia attraverso questo documento emanato dal Tribunale
dei Minori) .
Questi sono i documenti di base che si rintracciano in quella che
possiamo definire una cartella tipo, ma non mancano cartelle in cui
compare solo una prima richiesta ( i genitori hanno rinunciato, oppure
hanno avuto un figlio naturalmente o attraverso la procreazione
medicalmente assistita) , oppure cartelle che si fermano al decreto di
idoneità (non è stato possibile trovare un bambino per l’eventuale
abbinamento con la coppia), oppure ancora cartelle con documenti
relativi all’adozione internazionale (ad esempio i documenti
dell’associazione interpellata, i documenti provenienti dall’estero).
La varietà e la variabilità sono all’ordine del giorno in ogni cartella e
per questo l’assistente sociale Lina Anticati ci è stata di fondamentale
aiuto per orientarci in questo mare di informazioni.
Per quanto riguarda l’evoluzione negli anni abbiamo potuto constatate
come siano stati introdotti via via nuovi strumenti per arricchire la
conoscenza della coppia da parte degli esperti :
- “Diario di una giornata di 5 anni dopo” (descrizione di una
giornata immaginata dalla coppia tra 5 anni: tale strumento ci sarà
di ispirazione per la creazione del nostro strumento definito
“Descrizioni”);
- questionario 1 (strumento appositamente costruito ed usato dai
Servizi Sociali di Carpi in sostituzione del questionario proposto
dal Tribunale dei Minori);
- “lettera ai genitori naturali” (i genitori immaginano di scrivere
un’ipotetica lettera ai genitori naturali del bambino).
1 Si tratta di un questionario diverso da quello che verrà utilizzato nel corso della ricerca sui genitori adottivi esposta nella parte III di questo lavoro.
112
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Si tratta comunque di cambiamenti non sistematici, ovvero non vi è un
momento cardine che funge da punto di partenza per l’util izzo di tale
nuova metodologia. Si trovano infatti cartelle in cui compaiono tali
novità in anni diversi e cartelle che nello stesso anno sono diverse in
questo senso.
Un’altra importante novità apportata negli ult imi anni riguarda la
notazione della partecipazione o meno al gruppo dell’anno di affido
preadottivo seguito dalla Dottoressa Daria Vettori.
Molte coppie che hanno partecipato a tale gruppo hanno poi proseguito
l’esperienza con la Dottoressa Confetti (gruppo post-affido), a
dimostrazione del fatto che l’esperienza ha avuto esiti positivi
suscitando l’intenzione di continuarla anche al di fuori dell’i ter adottivo
obbligatorio.
113
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
L’iter dell’adozione
L’iter dell’adozione costi tuisce un percorso alquanto complesso sia per
chi lo deve affrontare che per chi lo deve gestire.
In esso si intrecciano molti soggetti che vanno dal giudice del Tribunale
dei Minori agli operatori dei servizi sociali , da chi gestisce le
associazioni a tutta una serie di addetti ai lavori che rendono
sicuramente difficile riuscire a destreggiarsi senza problemi all’ interno
di tale “matassa”.
Negli anni poi le leggi sull’adozione sono state oggetto di costanti
cambiamenti a volte anche radicali e questo di certo non ha semplificato
le cose: ancora oggi, a quasi un anno di distanza dall’approvazione della
nuova legge (n°149, 2001), i servizi e gli operatori stessi si trovano in
grandi difficoltà nel cercare di gestire questi nuovi cambiamenti. È
facile immaginare quindi quali problematiche si trovino di fronte i
genitori che giungono carichi di speranze ai servizi per poi dover
affrontare un lungo percorso ad ostacoli. Inoltre essi sono messi di
fronte al fatto che molto difficilmente, alla f ine di tutto, potranno veder
soddisfatte le proprie aspettative.
I tempi poi sono decisamente lunghi e non potrebbe essere altr imenti
data la delicatezza della questione e la ormai cronica difficoltà nel
soddisfare le crescenti domande di adozione.
Molto spesso le coppie si trovano spiazzate di fronte a tali difficoltà e
lasciano a metà il cammino intrapreso.
L’adozione, oggi più che mai, si identif ica sempre più con l’adozione
internazionale e questo porta ulteriori pesi da affrontare, sia di t ipo
emotivo, ma anche e soprattutto di t ipo economico: pensiamo che per un
bambino bianco neonato, afferma Jolanda Galli (2001), si pagano fino a
100-150 milioni di vecchie lire e che addirittura, nel momento in cui si
va a prendere i l bambino, occorre una guardia del corpo personale!
I percorsi seguiti dall’adozione internazionale non sono omologabili tra
loro. Ogni storia sembra a sé nelle modalità di incontro, abbinamento,
burocrazia…
114
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
L’operatore ha anche i l compito, attraverso la sua presenza, di
assicurare il r icordo dell’adozione per contrastare le forti tendenze alla
idealizzazione e per aiutare la coppia ad avviare il processo di
trasformazione del proprio desiderio di genitoriali tà nella scelta di
essere genitori.
Nel tempo abbiamo notato come i colloqui si siano evoluti
modificando anche gli obiettivi: « i colloqui di consultazione hanno
subito […] negli ultimi anni profonde trasformazioni: da selett ivi stanno
diventando incontri di maturazione. […] Questo percorso in qualche
modo, può essere anche autonomo dalle finalità per cui è richiesto;
rimane comunque un percorso di crescita» (D’Andrea, 2000).
115
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Risultati
Lo scopo di questa r icerca è eminentemente esplorativo, un’indagine di
t ipo qualitativo che mira all’esplorazione del vasto campo dell’adozione
per poter formulare ipotesi che possano eventualmente essere sviluppate
in seguito.
Come abbiamo già visto siamo partiti da una ricerca d’archivio: si
tratta di «una ricerca eseguita su dati che i l ricercatore non ha
contribuito a raccogliere e in cui il ricercatore stesso esamina e sceglie
i dati per l’analisi» (McBurney, 1994).
I l materiale è stato fornito dai Servizi Sociali di Carpi (Modena): si
tratta delle cartelle raccolte a partire dall’anno 1975 fino all’anno 2001
in cui sono presenti le indagini socio-psicologiche sui singoli casi
(coppia) che hanno fatto richiesta di adozione.
Il lavoro svolto è stato di ordinamento del materiale di ogni cartella
(ordinamento cronologico di tutti i documenti in cartella). Sono state poi
identif icate alcune variabili per costruire una griglia in cui sono stati
inseriti i dati delle cartelle.
Se ne è r icavata una fotografia del lavoro svolto dai Servizi Sociali di
Carpi in più di vent’anni di attività nel campo dell’adozione. I r isultati
sono esposti nelle tabelle e nei grafici inserit i in Appendice.
Vediamo in modo sintetico gli elementi salienti emersi da questa
indagine preliminare 1 :
-156 coppie adottanti (solo 12 di queste sono state r igettate);
-99 bambini adottati (nessuno di questi è stato resti tuito);
-16 bambini maschi, 18 femmine italiani; 44 maschi, 21 femmine
stranieri;
-27 bambini provenienti dal Brasile, 13 dalla Russia, 9 dall’India, 3 dal
Perù e dal Messico, 2 dalla Romania e dalla Colombia, 1 dalle Filippine,
dal Cile, dalla Polonia, dal Marocco, dall’Argentina;
-i bambini sono stati adottati tra 1 mese e 12 anni di vita, con picchi tra
1 mese e 6 mesi (18) e tra 1 e 2 anni (17);
1 I risultati vengono esposti in modo più dettagliato in Appendice.
116
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
-nel corso degli anni si è assistito ad un consistente aumento delle
r ichieste, specie di adozioni internazionali, con picchi negli anni ’90
(1996).
Dallo spoglio delle cartelle sono state tratte altre informazioni util i :
-49 coppie hanno scrit to il “Diario di una giornata di 5 anni dopo” ;
-19 coppie hanno scrit to la “Lettera ai genitori naturali” dei loro figli
adottati;
-13 coppie hanno compilato il questionario proposto dal Tribunale dei
Minori e 16 il questionario proposto dai Servizi Sociali di Carpi;
-46 coppie hanno seguito gli incontri di gruppo con la Dott. Vettori
(anno di affido preadottivo)
-10 coppie si incontrano nel gruppo seguito dalla Dott. Confetti (post-
adozione)
Partendo da tali dati è stato possibile avere una panoramica più
dettagliata del fenomeno adozione a Carpi e si sono così individuate
alcune possibili aree di indagine da trattare con maggiore attenzione.
117
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Divisione degli argomenti
In base a tali r isultati , che abbiamo brevemente esposto, sono state
individuate tre possibili aree di indagine:
1 Indagine di confronto tra la realtà dei Servizi Sociali di Carpi e il
territorio regionale e/o nazionale in merito alla pratica dell’adozione.
Particolare attenzione viene rivolta ai cambiamenti legislativi e ad
eventuali differenze statistiche significative.
2 Indagine sul contenuto delle relazioni di f ine indagine socio-
psicologica (ex istruttoria): ricerca dei cri teri d’idoneità, dei
cambiamenti evolutivi delle relazioni e delle correlazioni tra le
caratterist iche del genitore e del bambino richiesto.
3 Indagine sul gruppo seguito dalla Dott. Valeria Confetti (post
adozione) con somministrazione di alcuni strumenti di indagine.
Ognuno di questi argomenti viene sviluppato da uno studente diverso. Il
presente lavoro si centra sul punto 3.
118
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Come operano i servizi
Abbiamo scelto i Servizi Sociali di Carpi per vari motivi. I Servizi stessi
si sono dichiarati interessati ad una verifica del loro operato. Essi inoltre
costituiscono un esempio significativo del modo di operare in Emilia
Romagna nel campo dell’adozione.
La disponibilità alla collaborazione è dimostrata dal fatto che i Servizi
Sociali di Carpi ci hanno dato la possibilità di disporre della
supervisione dell’assistente sociale che ha seguito personalmente tutte le
coppie che hanno fatto domanda di adozione a Carpi dal 1975 ad oggi.
L’assistente sociale è un operatore di r iferimento sia durante che dopo
la conclusione dell’ iter adottivo. La sua è una presenza rassicurante:
r isponde a molte domande e colma tutta una serie di dubbi e perplessità
r iguardo l’iter adottivo. Favorisce così l’orientamento della coppia che
sente di muoversi in una dimensione meno sconosciuta.
I l lavoro dell’assistente sociale e dello psicologo, che nell’adozione si
trovano fianco a f ianco, non viene mai scisso, ma si fonda su una
interdisciplinarietà arricchente e chiarificatrice.
Per tali motivi risulta evidente quanto possa essere stato importante, per
il buon esito della nostra ricerca, poter usufruire dei consigli e della
guida di una tale figura professionale con un così ampio bagaglio di
esperienza.
I l r icorso ai servizi è reso indispensabile dalle leggi in vigore in
merito all’adozione. Ad essi infatti è demandato i l compito di effettuare
una conoscenza della coppia richiedente, fissare degli incontri con
questa in modo da informarla sull’adozione e allo stesso tempo valutarne
l’ idoneità all’abbinamento con un bambino. Da sempre tale pratica
valutativa è oggetto di grandi polemiche e spesso malintesi . Abbiamo già
accennato a tali aspetti nella prima parte di questo lavoro.
I servizi costituiscono l’anello di congiunzione tra le coppie aspiranti e
il contesto ist ituzionale che sancirà i l soddisfacimento o meno di tali
aspirazioni. Molto spesso il suo ruolo viene svalutato, se non reso
addiri ttura inutile, dal r icorso da parte della coppia, in caso di
valutazione negativa, ad altr i servizi o addirit tura a canali alternativi.
119
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Inoltre le decisioni prese dal Tribunale dei Minori a volte non
rispecchiano l’esito dei colloqui e la relazione stilata dal servizio.
Si tratta quindi di un ruolo delicato che cerca di unire al compito
valutativo una funzione di contenimento per le ansie e le paure dei
genitori. I servizi devono essere in grado di fornire informazioni precise
e delineare un quadro completo di cosa significa adottare, in tutti i suoi
r isvolti . I l compito che gli operatori si prefiggono è quello di
trasformare una prassi burocratica in un percorso conoscitivo e di
crescita parallela dei vari attori implicati . Alla coppia viene offerta una
serie di colloqui per conoscere l’adozione e conoscere sé stessi
attraverso il dialogo e l’ascolto. Gli operatori r itengono che sia
importante condurre i genitori a riconoscere dentro di loro i propri
sentimenti e ad acquisire la capacità di “pensare i pensieri” per usare un
termine caro a Bion (1962). In tal modo possono elaborare il loro dolore
e determinarne nuovi significati . Possono trasformare i l “tempo
dell’attesa in tempo della vita” (D’Andrea, 2000) per rendersi
disponibili ad accogliere un figlio. Perché ciò avvenga è necessario che
la coppia senta di essere accolta e rassicurata.
Le aspettative che i genitori si sono costruite rispetto al loro bambino
adottivo sono un oggetto importante della consultazione. L’operatore ha
il compito di assicurarsi che tali prefigurazioni siano flessibili per
potersi adattare alla realtà ed evitare spiacevoli delusioni. Spesso infatti
si è di fronte ad aspettative molto vicine all’idealizzazione e per questo
molto vulnerabili una volta messe a confronto col bambino reale.
Le coppie durante la consultazione tendono a fornire di sé un’immagine
molto posit iva nella convinzione che questo sarà decisivo per ottenere
l’ idoneità. D’Andrea (2000) parla a tal proposito dell’ambivalenza del
“dover apparire” . Per questa ragione l’operatore deve essere molto
attento a cogliere quei segnali nascosti che possono essere indicatori di
difficoltà: disposizione dei coniugi nella stanza, sguardi reciproci.
I l momento della consultazione inerente la r iflessione sulla sterili tà è
uno dei passaggi più difficili dell’iter adottivo. La coppia è molto restia
a parlare di tale argomento, perché carico di una sofferenza già lasciata
alle spalle nella speranza di ottenere un figlio con l’adozione. Si tratta
120
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
invece di una riflessione ri tenuta indispensabile per poter creare quello
spazio creativo in cui andrà accolto il bambino.
Oggi più che mai, dato il sempre maggior sbilanciamento tra r ichieste
di adozione e bambini dichiarati adottabili , ai servizi è demandato il
compito di mettere in moto negli aspiranti genitori adottivi un processo
di rif lessione, di pausa rif lessiva in cui metabolizzare appieno gli
elementi di base della loro scelta e le conseguenze di questa sulla loro
vita. Proprio a questo proposito Jolanda Galli , durante il Convegno
tenuto a Reggio Emilia nel maggio 2002, ha esposto un’interessante
metodologia di lavoro basata su un lavoro di gruppo con le coppie
aspiranti l’adozione.
Se questi genitori mantengono inalterata la loro decisione di adottare,
i servizi stilano la relazione in cui emerge la valutazione della coppia.
Spetta al Tribunale dei Minori pronunciarsi in merito all’ idoneità di
questa all’adozione. La scelta r icade su quella coppia che tra tante
dimostra di avere i requisiti migliori e più adeguati r ispetto alle
necessità del minore da adottare. Per questa ragione coppie che risultano
idonee possono non vedere accolta la loro domanda per diversi anni o,
nella peggiore delle ipotesi, addirittura mai, perché altre coppie sono
state r itenute meglio in sintonia con i bisogni del minore in questione.
Una volta effettuato l’abbinamento tra il minore e la coppia si dispone
un periodo di prova definito “anno di affido preadottivo” sul quale i
servizi sociali sono chiamati ad un’opera di supervisione.
Esistono anche le situazioni definite “affidamento a r ischio giuridico” in
cui la famiglia di origine non è d’accordo sullo stato di adottabilità del
proprio figlio, ma il Tribunale dei Minori decide, nell’interesse del
bambino, di affidarlo ad un’altra famiglia. La durata di tale affido è però
imprevedibile, come è imprevedibile l’esito di tale controversia. Per la
coppia adottiva tale situazione si connota con forti componenti di
incertezza rispetto al futuro.
Nel caso di minori adottati ad un’età avanzata i l periodo di affido
preadottivo può essere prolungato per favorire l’adattamento in una
situazione molto complessa.
121
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Per quanto riguarda l’adozione internazionale, partita in I talia intorno
alla f ine degli anni settanta, possiamo constatare una crescita vertiginosa
del r icorso a tale isti tuto. Una nuova consapevolezza socio-culturale ha
portato le coppie intenzionate ad adottare a muoversi in direzione
dell’estero in un’ottica di solidarietà transculturale. All’inizio si è
trattato quindi di adozioni legate più a prospettive aperte al dramma
della sofferenza dell’infanzia mondiale che non alla mancanza di un
figlio proprio.
Presto i l quadro muta drasticamente e le motivazioni si fanno molto
diverse. Le richieste aumentano enormemente non supportate da un
numero equivalente di bambini adottabili e da adeguate riflessioni
personali sull’adozione. Emergono fenomeni inquietanti come il
commercio di bambini sotto l’ottica dell’appropriazione più che
dell’apertura ad accogliere.
I l bambino straniero che viene adottato soffre della perdita dei propri
genitori e a questa deve aggiungere anche quella della sua terra. Un
completo sradicamento alle radici che va a minare la sua “identità
etnica” e comporta, quasi inevitabilmente, l’assimilazione passiva della
nuova cultura. Annamaria Dell’Antonio (1994) afferma a tal proposito
come le differenze riscontrate da tali bambini nel nuovo ambiente non
riguardino solo l’etnia e la razza, ma anche e soprattutto la provenienza
da culture in cui la concezione dell’allevamento di un bambino è
diametralmente opposta rispetto a quella tipica del paese dei genitori
adottivi. I bambini adottati inoltre possono sentirsi come un oggetto di
possesso in questo passaggio da un paese all’altro, senza la possibili tà di
decidere nulla o di sapere con precisione cosa sta succedendo nella loro
vita.
La disponibilità all’adozione internazionale oggi sembra esser un
espediente per aumentare le probabilità di successo più che una scelta
consapevole e meditata a fondo. Non stupisce quindi il fatto che i
genitori si trovino in grosse difficoltà una volta di fronte ad un bambino
appartenente ad un’altra cultura che ne ha già in parte forgiato la
personalità e l’identità. «[…] l’allevamento di un bambino di un’altra
razza -o anche solo di un’altra etnia- è compito più arduo
122
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
dell’allevamento di un bambino appartenente fin dalla nascita alla
cultura di chi lo cura, anche in rapporto ad una non sempre facile
accettazione delle persone di colore nell’ambiente in cui i l bambino
viene immesso» (Dell’Antonio, 1994).
In questo paragrafo abbiamo delineato le modalità operative dei servizi
che si occupano di adozione. Analizzando la letteratura abbiamo
constatato come molto spesso gli psicologi, o comunque gli operatori,
util izzino uno sti le normativo proprio della giurisprudenza nel descrivere
ciò che a loro avviso i genitori “devono” fare. Forse tale atteggiamento,
che non riguarda solamente il campo dell’adozione, è in parte dovuto
alle r ichieste stesse di chi si rivolge alle figure professionali nella
speranza di ottenere una risposta alla domanda “cosa devo fare?”. È
indicativo come la maggior parte delle indicazioni rivolte, nel nostro
caso, ai genitori adottivi si pongano come specie di postulati . Si ha
l’ impressione che le coppie vengano considerate non in grado di pensare
autonomamente, come se avessero la necessità di affidarsi a qualcuno
che le sappia guidare e consigliare. Questo non accade per i genitori
naturali , benché spesso le indicazioni siano riferibili anche al loro
specifico compito genitoriale. L’impressione è che i genitori naturali ,
per il solo fatto di aver concepito naturalmente il bambino, siano ri tenuti
capaci di far crescere loro figlio nel modo migliore. Per i genitori
adottivi invece la loro incapacità procreativa sembra rif lettersi, secondo
gli operatori , nell’ incapacità di accudire il bambino se non attraverso
una costante “supervisione”.
123
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
124
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
2.
LEGISLAZIONE
L’adozione è un campo strettamente legato sia ai cambiamenti delle leggi
che e a quelli socio-culturali . I l lavoro sull’adozione ha portato a
r ilevare tali mutamenti e a proporre norme legislative più adeguate
all’evolversi di tale ambito.
Nel 1942 la legislazione tutelava gli interessi degli adulti che,
impossibili tati ad avere figli naturali , vedevano messa in crisi la
continuazione del proprio patrimonio e del nome di famiglia.
Nel 1967 (legge n° 431) viene introdotta l’“adozione speciale” che
sancisce i l passaggio dalla tutela principale dell’adulto a quella del
minore e dei suoi bisogni.
La legge n° 184, che vedremo più oltre, è il completamento di questo
percorso con la trasformazione dell’“adozione speciale” in “adozione
normale”: si delinea cioè un unico istituto giuridico per poter dare una
famiglia al minore che ne è privo.
Ricordiamo che il minore è il protagonista dell’adozione e gli sforzi
della legislazione sono tesi a limitare i casi in cui il minore ne diviene
invece la vittima.
Per quanto riguarda i l panorama odierno le leggi principali , ovvero le
linee guida che hanno segnato il passo nel campo dell’adozione negli
ultimi anni, sono essenzialmente 4:
1 Legge 4 maggio 1983, n° 184: “Disciplina dell’adozione e
dell’affidamento dei minori”
2 Legge 31 dicembre 1998, n° 476: “Ratifica ed esecuzione della
convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sui diritt i dei minori”
3 Legge 1 dicembre 1999 n° 492: “Regolamento per la costituzione,
organizzazione e funzionamento della commissione per le adozioni
internazionali”
125
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
4 Legge 28 marzo 2001, n° 149: “ Modifiche alla legge 4 maggio
1983 n° 184”.
Vediamo brevemente quali sono i punti salienti di ognuna di esse
analizzandole nel dettaglio:
1 La legge n° 184 del 1983 si riferisce soprattutto all’adozione
nazionale italiana. Dopo un ampio dibattito socio-politico-
culturale, i l minore viene considerato soggetto di diritt i e
all’adulto è demandato il compito della sua formazione
psicoaffettiva.
Sancisce 5 punti:
- la coppia deve essere unita in matrimonio da almeno tre anni;
- la differenza di età tra chi adotta e chi viene adottato deve
essere superiore a 18 anni ma non superare i 40 (anche se sono
ammesse delle deroghe);
- la coppia che si propone per l’adozione deve possedere le
capacità di fornire educazione, istruzione e mantenimento dei
minori che adotteranno;
- la domanda per l’adozione deve essere presentata dalla coppia
stessa al Tribunale per i Minori (la domanda decade dopo 2 anni e
si possono presentare più domande anche a tribunali diversi). I l
Tribunale avrà l’incarico di effettuare l’abbinamento coppia-
bambino e di vigilare sul buon andamento del periodo di affido
preadottivo. (Dal 1989 la coppia fa domanda di idoneità
direttamente ai servizi sociali rivolgendosi al Tribunale dei Minori
solo al termine dell’indagine socio-psicologica);
- si passa da “un diritto sui minori” ad “un diritto per i minori”:
la famiglia viene riconosciuta come dirit to fondamentale per il
minore ed è quindi fondamentale far sì che i minori che ne sono
privi possano trovare una famiglia che si occupi di loro e possa
quindi garantirgli un ambiente familiare idoneo alla crescita.
2 La legge n° 476 del 1998 è di fondamentale importanza per quanto
riguarda le adozioni internazionali che divengono maggiormente
126
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
controllate e regolamentate. Si tratta dell’adattamento
dell’ordinamento alla Convenzione de L’Aja del 1993 che
“scommette” su un’ibrida privatizzazione operativa tramite “enti
autorizzati”. Vediamone i punti salienti:
- per adottare all’estero occorre passare obbligatoriamente dalle
autorità preposte dei paesi di provenienza dei minori, dagli enti
autorizzati e dall’autorità centrale;
- si tutela maggiormente l’interesse e i dirit t i del minore
straniero nel tentativo di sostenere i diri tt i dell’infanzia già
all’ interno del paese di provenienza (principio di sussidiarietà);
- i l bambino adottato all’estero ha necessità di un sostegno
maggiore dovuto alle difficoltà aggiuntive derivanti dalle sue
origini;
- viene richiesta la disponibilità della coppia all’adozione
internazionale. Le esperienze precedenti del minore straniero non
possono essere cancellate, ma anzi la coppia deve favorirne
l’elaborazione. Per questo motivo la coppia stessa ha necessità di
r icevere un’adeguata preparazione e sostegno da parte degli enti
locali;
- viene bandita ogni forma di “fai da te” nelle modalità di
adozione
- gli enti autorizzati hanno il compito di mettersi in contatto con
le autorità centrali straniere e di curare le procedure di adozione;
- le coppie adottanti possono avvalersi di alcune agevolazioni:
·astensione obbligatoria dal lavoro per i 3 mesi successivi
all’entrata in I talia del minore straniero,
·congedo dal lavoro per il periodo di permanenza nel paese
straniero,
·assenza dal lavoro fino al raggiungimento dei 6 anni di età da
parte del minore;
- i l bambino è visto come un soggetto altro dalla coppia: è un
individuo con propri interessi , dotato di una propria individualità
che i genitori devono accettare e r ispettare costruendo verso di lui
un dialogo di confronto;
127
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
- i servizi sociali non hanno solo un compito di controllo, ma
devono offrire la possibilità di riflessione e crescita all’interno del
percorso dell’adozione svolto dalla coppia;
- la relazione stilata dai servizi sociali va inviata al Tribunale
dei Minori entro 4 mesi dalla data di r ichiesta presentata dalla
coppia.
3 La legge n° 492 del 1999 è un’estensione della legge appena
esposta (n° 476 del 1998), in quanto vengono definiti i compiti e
le funzioni della commissione per le adozioni internazionali.
Tale commissione:
- ha sede presso la presidenza del Consiglio dei Ministri a
Roma;
- rappresenta l’autorità centrale i taliana in materia di adozione;
- è preposta alla raccolta di dati e statist iche sull’adozione
internazionale
- fornisce un elenco delle caratteristiche necessarie agli enti
autorizzati per poter operare (periodicamente viene fornito
l’elenco ufficiale degli enti r iconosciuti dallo Stato).
4 La legge n° 149 del 2001 pone l’accento sulla priorità della
disciplina dell’adozione: il diri tto del minore a una famiglia. Tale
legge prevede alcuni punti fondamentali :
- i l minore ha diri tto ad essere educato all’ interno della propria
famiglia e di ottenere condizioni di vita migliori se la famiglia non
fosse in grado di offrirgliele. L’adozione viene quindi vista come
soluzione estrema conseguente ad una accertata e irreparabile
condizione di abbandono;
- r imane intatto e anzi viene rafforzato il principio di
sussidiarietà (vedi sopra legge n° 476, 1998);
- i l minore ha diritto non solo ad essere educato e mantenuto
dalla propria famiglia di origine, ma anche di crescere al suo
interno; lo stato di adattabilità del minore non può derivare da una
semplice condizione di povertà della famiglia di origine. Per poter
128
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
effettuare tale dichiarazione occorre l’accertamento della
mancanza sia dell’assistenza materiale che di quella morale da
parte della famiglia stessa. Questa inoltre può avvalersi di appositi
interventi di sostegno;
- la differenza di età tra genitori adottivi e minore da adottare va
dai 18 ai 45 anni (sono però ammesse delle deroghe);
- per valutare la stabilità del rapporto di coppia non è più
necessario che i coniugi siano sposati da 3 anni. È sufficiente che
la coppia abbia convissuto per almeno 3 anni prima del matrimonio
che rimane comunque un vincolo;
- la domanda di idoneità decade dopo 3 anni dopo la
presentazione della stessa (può essere rinnovata);
- i l minore ha il dirit to di essere informato circa la sua
condizione di adottato e la coppia ha i l dovere di informarlo nei
modi e nei termini che ritiene più opportuni;
- l’adottato che giunge all’età di 25 anni ha il diritto di accedere
ad informazioni riguardanti la propria origine ed identità, i l nome
dei genitori biologici (a meno che questi non abbiamo espresso i l
volere di non essere riconosciuti) .
129
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
PARTE TERZA :
LA RICERCA SUL GRUPPO DEL DOPO
ADOZIONE
130
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
131
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
1.
IL GRUPPO DEL DOPO ADOZIONE
L’esperienza dell’i ter adottivo porta alcuni genitori a sentire la necessità
di non interrompere il rapporto con gli operatori. Di qui la proposta di
formare dei gruppi di discussione anche dopo l’anno di affido
preadottivo. I l nostro lavoro si concentra su quest’area.
I l gruppo in questione si incontra in modo facoltativo e partecipano a
tali incontri solo genitori che hanno avuto il bambino, quelli cioè che,
dopo l’anno di affido pre-adottivo, hanno ricevuto il decreto legislativo
che attesta che il bambino è effettivamente loro figlio. I bambini di tali
coppie, nel momento in cui hanno avuto inizio gli incontri di gruppo,
presentavano un’età variabile tra 1 e 3 anni, salvo alcune eccezioni.
Si tratta di un gruppo numeroso formato da una decina di coppie. Il fatto
che partecipino anche gli uomini ci fa capire come l’adozione faccia
scattare una modalità genitoriale differente: i padri sono una presenza
attiva (parlano dei loro bambini e delle sensazioni che provano verso di
loro, si lamentano dei rapporti della madre col bambino). È un gruppo
abbastanza stabile (prosegue da circa due anni) anche se possono entrare
coppie nuove.
Gli incontri vengono tenuti a Carpi una volta al mese, i l sabato
pomeriggio, e sono organizzati con discussioni su argomenti svariati
portati dagli stessi partecipanti i quali si dispongono in cerchio insieme
all’operatore che conduce l’ incontro. I l concetto di fondo è che ognuno
porta al gruppo le proprie problematiche.
La conduzione del gruppo è un misto tra il gruppo tipo Balint e
l’ impostazione bioniana come abbiamo esposto sopra.
L’operatore interviene (per mettere in moto un processo di mediazione)
quando sente delle aggressività sottostanti nel gruppo. Quando ci sono
dei si lenzi comunicativi lascia spazio alla formazione di pensieri
mantenendo tale condizione.
All’inizio di ogni incontro l’operatore propone un riassunto per tenere il
f i lo tra i vari incontri .
132
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Il conduttore del gruppo non ha i l ruolo di insegnante o di risolutore dei
problemi delle famiglie. Egli si pone come una figura che cerca di
favorire il costi tuirsi nell’adulto della capacità emotiva di ascolto del
bambino per comprenderne i bisogni. Tale consapevolezza viene
raggiunta da ogni partecipante partendo dalla r ivisitazione dei propri
vissuti interiori.
All’inizio i l gruppo non accetta tale ruolo dell’operatore a cui demanda
funzioni differenti: si nota soprattutto una dipendenza marcata dal suo
sapere. La difficoltà nel pensare e la confusione possono poi r iversarsi in
una espulsione-negazione di ogni problema. Sta al conduttore essere
capace di contenere tali sentimenti e dare un senso a quanto accade
all’ interno del gruppo.
Questo processo permette l’emergere di emozioni e pensieri, f ino ad
allora nascosti , tramite i l dialogo e il confronto. I l gruppo si orienta così
verso quello che Bion definisce il “gruppo di lavoro”, grazie allo
sviluppo di un “apparato per pensare i pensieri” .
I l gruppo apre spazi di confronto che agiscono e si riflettono sul
rapporto genitore-figlio.
«All’inizio ero molto diffidente, mi domandavo come avrei fatto a
parlare di me davanti a persone sconosciute … chissà cosa avrebbero
pensato, come mi avrebbero giudicato … poi lentamente ho preso
fiducia, l’ansia che avevo dentro diminuiva, ero quasi più libera e
sicura» .
«Sento che il confronto è servito … le mie ansie, confrontate con quelle
di altre madri, mi hanno fatto capire che bisogna pensare a lungo prima
di agire e di affrontare i problemi» (un genitore adottivo) 1 .
Tramite un’intervista alla Dottoressa Confetti , conduttrice del gruppo,
è stato possibile estrapolare alcuni aspetti che meritano attenzione
emersi durante gli incontri mensili .
Si nota nei componenti del gruppo una grande euforia per il fatto di aver
avuto il bambino, ma anche una certa preoccupazione: emerge il
1 In Farri Monaco, M., Peila Castellani, P. (1994).
133
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
desiderio di dimostrare al gruppo di essere capaci di assumere il ruolo
genitoriale (soprattutto nell’attaccamento). Questo fatto può essere
ricondotto all’ impossibilità della coppia di creare il proprio bambino e
quindi di non avere potuto usufruire di tale evento per scandire il
passaggio all’adultità.
I bambini adottati mostrano alcuni comportamenti che possono far
propendere verso l’esistenza di alcuni processi disintegrativi e di un
attaccamento indifferenziato (non solo verso i genitori adottivi) .
I discorsi che vengono affrontati nel gruppo vertono spesso sull’ identità
individuale: pare che sentano di essere dei genitori diversi.
Essi sentono il bisogno di conquistare l’ identità di genitore nei confronti
dei genitori naturali del bambino e dei loro stessi genitori (nonni).
Questi ultimi mostrano di essere molto perplessi durante l‘ iter adottivo,
ma, dopo l’arrivo del bambino, appaiono più liberi e questo potrebbe
essere dovuto al fatto che non vivono la conflit tualità presente nei
genitori adottivi . Sono più distaccati anche se diventano ipercritici verso
i loro figli .
I genitori mostrano di faticare ad accettare la diversità della genitorialità
e la sofferenza del bambino. Non si sentono molto sicuri nel ruolo
genitoriale e tendono ad enfatizzare l’aspetto educativo.
Difficilmente i membri parlano delle difficoltà di l inguaggio. Hanno una
comunicazione primordiale coi loro bimbi, fatta di segni, come si fa di
soli to coi bambini molto piccoli: sembra ci sia paura di non capirsi.
I l fatto che i genitori adottivi sentano la necessità di confrontarsi con
altr i che hanno vissuto le stesse esperienze è una dimostrazione lampante
del fatto che questi non abbiano l’intenzione di restare ancorati ad una
fase della loro vita. Essi anzi dimostrano tutte le intenzioni di proseguire
verso un percorso di evoluzione familiare.
La formazione di tali gruppi negli ultimi anni può essere un esempio di
collaborazione tra genitori ed operatori e la forte motivazione dei
partecipanti dimostra come possano aprirsi percorsi di condivisione volti
a spezzare l’ idea di conflittualità insita nel rapporto con le istituzioni.
134
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
135
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
2.
RICERCA
La nostra ricerca viene inquadrata come un’indagine qualitativa di t ipo
esplorativo allo scopo di formulare delle ipotesi che possano venire
sviluppate in seguito da ricerche successive. Si tratta cioè di una
osservazione preliminare che mira a fornire un ritratto del gruppo post-
adozione e che si presenta come aperta a svariate direzioni di indagine.
Date le sue caratterist iche, tale ricerca può fornire principalmente dei
r isultati di tendenza tali da far emergere alcune considerazioni validabili
in future ricerche.
I protagonisti di tale r icerca sono i genitori che, attraverso i
“Questionari” e le “Descrizioni” , raccontano la storia dello sviluppo del
loro bambino e del rapporto che con esso hanno instaurato. Si tratta
quindi di strumenti che si focalizzano sul vissuto genitoriale r ispetto
all’ incontro con il bambino reale.
Dallo spoglio delle cartelle eseguito nell’indagine presso i Servizi
Sociali di Carpi sono emersi alcuni strumenti interessanti. Ad alcuni
genitori adottivi , durante il percorso dell’indagine socio-psicologica (ex
istruttoria), sono stati somministrati strumenti innovativi con lo scopo di
approfondire il loro vissuto rispetto al bambino tanto desiderato e ai
cambiamenti che tale scelta comporta per la loro vita personale e di
coppia.
Lo strumento che più ci ha colpito è quello definito “Diario di una
giornata di 5 anni dopo” . Ai genitori viene chiesto di immaginare e
quindi descrivere in forma scritta una giornata trascorsa insieme al tanto
agognato figlio proiettandosi nel futuro. Tale proiezione consente di
verificare le caratteristiche del bambino immaginato e lo spazio che ad
esso viene dedicato nel corso della descrizione.
Avendo a disposizione un gruppo di genitori che hanno ottenuto il
bambino, abbiamo optato per una scelta differente. Lo strumento di
ispirazione rimane quello che abbiamo appena esposto, ma la descrizione
viene riferita ad eventi realmente vissuti e in un momento molto vicino
136
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
nel tempo. Questo proprio per far emergere l’altra componente
fondamentale nella costruzione del rapporto genitore-figlio: i l bambino
reale. Tutti i genitori devono fare i conti, al momento della nascita o
dell’abbinamento, con il bambino nella sua realtà e concretezza. Questo
viene posto di fronte a loro e alle fantasie che, f ino a quel momento,
avevano cullato su tale evento e sul bambino stesso: il fatidico passaggio
dal bambino “immaginario” a quello “reale” .
L’utilizzo delle “Descrizioni” costi tuisce solo una parte del nostro
lavoro. Abbiamo optato anche per l’uso di un questionario costruito da
Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998) per indagare i genitori
sottopostisi alla procreazione medicalmente assistita. Anche in questo
caso emerge con chiarezza come i genitori si rapportano con il bambino
che hanno concretamente dinanzi agli occhi.
L’idea di base di tutta questa r icerca è proprio quella di andare ad
indagare tutte quelle componenti che vengono esplicitate dai genitori
nel momento in cui si rapportano con il bambino in “carne ed ossa”. Tale
aspetto è tanto più significativo nei genitori adottivi che per diverse
ragioni, che abbiamo esposto in precedenza, hanno costruito nella loro
mente un’idea molto pregnante e particolare del bambino immaginario.
Vediamo ora nel dettaglio la r icerca articolata nelle sue due diverse
parti e corrispondenti strumenti.
137
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
3.
“QUESTIONARI”
Presentiamo in questa sezione il questionario util izzato nell’ indagine con
i genitori del gruppo del dopo adozione . Vedremo le caratteristiche di
tale strumento e la ricerca che con esso è stata eseguita da Fagandini,
Bevolo, Landini e Vaccari (1998) sui genitori che si sono serviti della
procreazione medicalmente assistita (PMA). Dedicheremo poi spazio alle
modalità di consegna del materiale e ai r isultati ottenuti attraverso
questa prima fase della r icerca.
138
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Strumento utilizzato
Lo strumento utilizzato, lo abbiamo già accennato, è un questionario
costruito da Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998), Autori della
r icerca che ha come oggetto un confronto tra genitori PMA e genitori
naturali . Nella costruzione gli Autori hanno preso spunto da uno
strumento già utilizzato da Palacio Espasa e Knaeur (1996) 1 e da Robert-
Tissot (1989) 2 per uno studio sui vissuti materni, rielaborandolo e
adattandolo allo scopo della r icerca. Tale nuovo questionario è formato
da 11 domande miste (aperte-chiuse), mirate all’esplicitazione di alcuni
punti considerati significativi ed è stato proposto ad entrambi i genitori.
Questo questionario non ha pretese di analisi statist ica, ma costituisce
comunque uno strumento capace di cogliere delle importanti dinamiche
nei genitori adottivi.
Innanzitutto l’ idea di base da cui si è partit i (e che accomuna anche il
nostro successivo lavoro che a questo si è ispirato) è il fatto di avere
necessità di conoscere i soggetti , ma nella consapevolezza che questi si
presentano, al momento dell’ indagine, già ampiamente frustrati da
diverse problematiche, una fra tutte la steril i tà. I l questionario quindi
deve garantire una certa delicatezza, ponendo le domande in termini
posit ivi, alla ricerca non della patologia, ma delle r isorse dei genitori. Si
tratta comunque di un questionario molto aperto che lascia quindi ampio
spazio all’emergere degli aspetti positivi .
Anche la lunghezza del questionario (molto breve, solo 11 rapide
domande) è sempre orientata allo stesso obiettivo.
Nella ricerca di Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998) ci si è
dotati anche di un altro questionario, molto più approfondito che noi non
analizzeremo per motivi di spazio ed economia del discorso.
1 Palacio Espasa, F. , Knauer, D. (1996). Le Development de la Vie Fantasmatique et des Identifications du Bebè dans la Clinique de Psychoterapies Mères-Enfant. Psychotèrapies, 3, 13-21.Citato da La Sala, G.B. (a cura di)(1998).2 Robert-Tissot, C. et al. (1989). Le questionnaire Symptom Check List. In S. Lebovici, P. Mazet, J.P. Visier (eds) (1989). L’Evaluation des Interaction Précoces entre le Bébé et ses Partenaires. Genéve: Edition Eshel.Citato da La Sala, G.B. (a cura di)(1998).
139
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
L’idea di base rimane comunque, sia per la prima che per la seconda
parte, quella di somministrare uno strumento semplice, aperto, a scopo
conoscitivo.
Gli Autori sono partiti da una specie di pregiudizio secondo il quale i
genitori PMA presentano caratteristiche diverse dagli altri genitori
cosiddetti “normali”. Si tratta di un’ipotesi di partenza di cui questa
r icerca ha il compito di verificare la portata esplicativa. Grande
attenzione, è stato ribadito più volte, viene dedicata alla sola differenza
e non alla patologia. Questo è un punto che la nostra r icerca condivide,
come già espresso nel corso dell’analisi della letteratura nella prima
parte di questo lavoro.
Vediamo nel dettaglio le domande.
Innanzitutto su un piano più generale possiamo constatare come la
tendenza sia stata quella di proporre prima elementi posit ivi r ispetto a
quelli negativi. Questo fatto è ben evidente nei primi due quesit i in cui
prima si chiede “cosa piace” e poi “cosa non piace” del bambino. Lo
stesso avviene nella domanda n°5 proponendo di esplicitare i “desideri”
prima delle “paure”.
Nella terza domanda, quella relativa alle emozioni provate nei
confronti del figlio, viene usato il termine “più forti” che non indica
emozioni né in termini particolarmente positivi né particolarmente
negativi e anzi si presta molto all’ interpretazione dei singoli soggetti . È
un termine più ampio e largo da cui possono emergere elementi molto
significativi.
La quarta domanda è stata proposta allo scopo di verificare la
domanda precedente, specie nell’eventualità in cui i genitori non siano
stati in grado di trovare le parole dell’emozione. In questo modo si
aiutano i genitori a riflettere di più sui loro sentimenti: è un’occasione
di elaborazione.
La domanda relativa ai desideri e alle paure ( quinta domanda) è
importante per valutare se questi elementi sono più centrati sul bambino
o sui soggetti come genitori e per capire verso quali categorie si
muovono principalmente.
140
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
La sesta domanda ha lo scopo di verificare se i genitori ammettono le
difficoltà del rapporto. Tale ammissione si manifesta attraverso i l
r icorso ad una doppia preferenza che consideri non solo la soddisfazione,
ma anche le componenti di fatica insite nella gestione del bambino.
La settima domanda si r iferisce alla precedente ed è interessante per
verificare le componenti immaginative dei soggetti .
La domanda n°8 è stata proposta per porre in evidenza la memoria
semantica. L’idea è che i genitori abbiano difficoltà a r icordare; però, se
gli viene concessa la possibilità di scrivere, e r iescono a far r iemergere
qualcosa dalla memoria, si tratta spesso di elementi significativi.
Nella nona domanda si cerca di verificare in che modo i soggetti si
percepiscono come genitori e quali sono gli aspetti problematici della
relazione. I l questionario di partenza a cui gli Autori si sono ispirati
(Palacio Espasa e Knauer, 1996; Robert-Tissot, 1989) è centrato solo
sull’analisi delle madri, mentre nella ricerca che stiamo analizzando è
rivolto ad entrambi i partner.
Le ultime due domande sono state aggiunte dal gruppo di ricerca
specificatamente per i genitori PMA. La decima nello specifico è stata
posta appositamente in modo ambiguo per verificare quale impatto aveva
la parola “nascita” sui genitori.
Nell’analizzare la ricerca sui genitori PMA ci siamo serviti , oltre che
dei contributi della letteratura, anche dell’aiuto personale della
Dottoressa Fagandini e di alcuni suoi collaboratori che mi hanno chiarito
molti dubbi e fornito alcuni elementi utili all’analisi non citati nelle
pubblicazioni esistenti della ricerca.
141
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Ricerca sui genitori PMA
Lo scopo di tale r icerca è quello di effettuare un confronto per
r intracciare eventuali differenze tra genitori che hanno concepito un
figlio in modo naturale e genitori che invece hanno fatto ricorso alla
procreazione medicalmente assistita (PMA). Le differenze vengono
ricercate r ispetto a come i soggetti riferiscono soggettivamente la loro
esperienza genitoriale. La nostra analisi si concentrerà sul “questionario
PMA”, ovvero su una serie di domande che indagano come i genitori
considerano la loro relazione con il bambino da un punto di vista
cognitivo ed affettivo. I protagonisti della r icerca sono quindi i genitori
che raccontano tramite il questionario loro stessi, i loro bambini, e i l
rapporto che hanno creato con questi . Gli Autori si chiedono se sia
possibile per i genitori PMA riuscire a passare dal bambino ideale a
quello reale r iuscendo a pensare il legame con lui.
I soggetti sono stati divisi in due gruppi: uno formato dai genitori
PMA1 e uno costituito da genitori naturali 2 . Entrambi i gruppi sono stati
scelti in base all’età dei bambini che varia tra 0 e 5 anni.
Analizzando le caratteristiche demografiche del gruppo balza subito agli
occhi la differenza relativa all’età di entrambi i genitori nei due gruppi,
con i genitori PMA più anziani di circa 3 anni (età media: 34,8 anni
contro 31,5 anni) . Del resto è risaputo che le famiglie che ricorrono alla
PMA si trovano di fronte ad un iter diagnostico e medico che può
ritardare di alcuni anni il concepimento rispetto ai genitori naturali .
Questo aspetto può far r iflettere sull’esperienza del tempo che permette
di recuperare una dimensione di progetto della coppia e che spinge verso
la condivisione.
In entrambi i gruppi la percentuale di risposta ai questionari distr ibuiti si
è aggirata intorno al 50%.
L’idea di partenza è stata quella di non definire subito in modo
psicopatologico gli eventi traumatici evidenziati dai genitori PMA, bensì
1 Coppie (72 soggetti) che hanno avuto un bambino attraverso la procreazione medicalmente assistita presso il Centro per la Sterilità della Divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’Arcispedale S.Maria Nuova di Reggio Emilia tra il 1992 e il 1996.2 Coppie (82 soggetti) che fanno riferimento a cinque pediatri del distretto di Reggio Emilia e che hanno concepito in modo naturale un bambino tra il 1993 e il 1997.
142
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
cercare di capire quali sono le differenze tra una genitorialità di questo
tipo ed una “normale”. Si tratta quindi di una ricerca a scopo conoscitivo
e non psicodiagnostico.
«[…] i bambini nati con PMA non sono bambini speciali [mentre] i
genitori che hanno utilizzato la PMA a Reggio Emilia possono essere
considerati speciali , ma non in termini di “diversità”, inadeguatezza, o
addirittura patologia, piuttosto, speciali per la maggiore complessità e
forse profondità della loro esperienza genitoriale» . Questa è l’ipotesi di
lavoro formulata da Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari (1998), ed è la
stessa che muove l’ indagine coi genitori adottivi.
Brevemente vediamo quali sono stati i r isultati emersi nella r icerca sui
genitori PMA.
I padri PMA sembrano rispondere in modo più assoluto rispetto ai
genitori naturali alle domande riguardanti cosa piace e non piace del loro
bambino (domande n°1 e 2) . Mentre i padri naturali r ispondono in modo
più variabile, i padri PMA rispondono frequentemente usando le
espressioni “tutto” o “niente”.
Le madri naturali tendono ad enfatizzare la piacevolezza delle
caratterist iche emotive rispetto a tutt i gli altr i gruppi. Per quanto
riguarda le madri PMA esse forniscono, in modo simile ai padri, r isposte
più assolute r ispetto ai genitori naturali , alle domande riguardanti cosa
piace e non piace del loro bambino.
I genitori PMA sembra abbiano la tendenza a vedere i loro bambini in
modo più generalizzato, evitando i dettagli individuali e ponendo meno
attenzione alle caratteristiche negative. Il bambino sembra essere
apprezzato maggiormente per la sua stessa esistenza che risolve sia il
desiderio di avere un figlio sia la paura di non raggiungere tale
obiettivo. Pare esserci una certa difficoltà nei genitori PMA a pensare il
loro bambino reale anche negli aspetti più piacevoli del rapporto con lui.
Analizzando la parte dedicata alle emozioni suscitate dal bambino
(domande n°3 e 4) , vediamo come tali domande ci aiutino ad analizzare
più in profondità il processo di costruzione del legame genitore-figlio.
143
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Considerando i dati generali comuni ai due gruppi (genitori PMA e
naturali) è da notare la differenza nelle emozioni indicate
prevalentemente al primo, secondo e terzo posto.
L’emozione 1 in prevalenza vede la comparsa dei sentimenti di Amore ,
Tenerezza in entrambi i gruppi, sia nelle madri che nei padri .
L’emozione 2 quelli di Tenerezza , Dolcezza , Gioia sempre in entrambi i
gruppi e in entrambi i coniugi.
L’emozione 3 invece non ha fornito possibilità di r ilevare risposte
prevalenti: Felicità , Simpatia , Curiosità , Rabbia , Pazienza , Paura
mostrano l’emergere di sentimenti difficili e ambivalenti .
C’è una tendenza verso l’aumento di “varietà” nella descrizione delle
emozioni procedendo verso la terza posizione.
I papà PMA tendono ad esprimere emozioni maggiormente diversificate
r ispetto alle mamme PMA e ai padri naturali . L’ipotesi proposta dagli
Autori è che i papà PMA tendano a «“problematizzare” di più con un
coinvolgimento emotivo profondo e complesso, che non esce dalle altre
domande. Forse l’iniziale maggiore difficoltà a ri-conoscere il bambino
reale e sé come padre, se affrontata e non negata, può aprire spazi
emotivi in più. Sembra che la gestazione mentale più lunga per questi
papà abbia risvegliato anche emozioni e sentimenti più variegati » .
Facendo un’analisi delle parole-emozioni espresse solo nei singoli gruppi
(mamme e papà PMA/mamme e papà naturali) compaiono le
rappresentazioni emotive tipiche per ogni gruppo genitoriale.
L’emozione 1: per le mamme PMA Adorazione e Nascita , per i papà
PMA Nascita . Per le mamme naturali Protezione e per i papà Orgoglio .
I l r iferimento alla parola-evento globale Nascita sottolinea la presenza di
emozioni magiche legate a tale momento. Anche Adorazione pare un
sentimento molto idealizzato. I controlli esprimono emozioni più vicine
ai consueti ruoli materno e paterno.
L’emozione 2: Meraviglia , Entusiasmo , Commozione nelle madri PMA;
Commozione nei padri PMA; Orgoglio nelle madri naturali; Orgoglio ,
Responsabilità , Dolore e panico nei padri naturali . I genitori PMA
“cominciano a trovare le parole” per descrivere le emozioni provate. La
Commozione accomuna le madri e i padri PMA mettendo in evidenza le
144
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
componenti quasi di incredulità, di raggiungimento di un evento a lungo
sognato e f inalmente realizzato. Da notare come i papà naturali
aggiungano oltre all’Orgoglio un altro sentimento t ipico del ruolo
paterno ovvero la Responsabilità e inoltre cit ino un sentimento difficile
come Dolore e panico , aspetto che non ritroviamo negli altr i gruppi.
L’emozione 3: Entusiasmo , Senso di colpa per le madri PMA; Donarsi ,
Bellezza , Senso di Competizione per i padri PMA; Allegria , Ostinazione
per le madri naturali; Speranza , Curiosità per i padri naturali . Per la
prima volta compaiono nei PMA sentimenti difficili e tutti i gruppi sono
diversi, non ci sono cioè sovrapposizioni nelle risposte.
L’analisi di queste parole-emozioni è molto complessa e articolata. Gli
Autori pensano che l’esperienza della genitoriali tà per i genitori PMA
sia un evento nuovo tale da togliere le parole per poterlo definire. I
genitori PMA si trovano poi in difficoltà nel riconoscersi nelle categorie
tradizionalmente legate al ruolo materno e paterno e socialmente
condivise. Tali differenze possono essere dovute ad esperienze critiche
che richiedono un tipo di elaborazione particolare. I l percorso dei
genitori PMA appare quindi più complesso, ma anche più profondo.
Analizzando la domanda riguardante i desideri e le paure rispetto al
bambino (n°5) , vediamo che i padri PMA tendono ad essere più
preoccupati degli eventi r iguardanti le relazioni all’ interno della vita
familiare e meno di quelli relativi a pericoli f isici o sociali provenienti
dall’esterno della famiglia come accade per i genitori naturali . Questo
potrebbe essere, secondo gli Autori, un indicatore della paura di essere
inadeguati come genitori: sembra che la loro attenzione si focalizzi
maggiormente su eventuali difetti nell’abilità genitoriale ad interagire
con il figlio rispetto a quella di difenderlo dai pericoli esterni.
Le madri PMA mostrano di avere maggiori preoccupazioni per i pericoli
f isici e sociali rispetto ai padri PMA. In generale tutte le mamme, PMA e
naturali , manifestano maggiori preoccupazioni r ispetto ai padri in tale
categoria. Le mamme PMA inoltre differiscono dal gruppo di controllo
circa i loro desideri per il futuro del bambino, ma tale differenza non è
particolarmente forte. Esse mostrano desideri per i loro bambini rispetto
all’ intelligenza, all’indipendenza, all’autorealizzazione facendo poco
145
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
riferimento alla felicità e alle buone relazioni interpersonali così come le
madri naturali . Sembra che le madri PMA abbiamo un desiderio più forte
r iguardo all’elasticità e all’autonomia del bambino e lascino un po’ in
disparte il loro bisogno di offrire un supporto parentale. L’ipotesi in
questo caso potrebbe essere che queste madri abbiano un’immagine di sé
in cui la possibilità di essere un genitore fragile, debole e non
completamente capace deve venire esaminata e verificata molto più
spesso di quanto accada per i genitori naturali .
I l desiderio relativo alla salute è quello maggiormente presente in tutti i
gruppi.
Per quanto concerne la domanda n°8, relativa al r icordo di eventuali
avvenimenti significativi nel rapporto con il bambino, si riscontrano
maggiori differenze tra madri e padri che non tra i due diversi gruppi.
Si registra comunque una sorta di difficoltà a r icordare (50% del
campione). Gli Autori ipotizzano quindi che « la difficoltà ad
individuare i l bambino reale e la propria funzione genitoriale sia una
caratteristica propria dei primi anni di vita del bambino per tutti i
genitori» . Soprattutto i padri sono quelli che manifestano maggiori
difficoltà a ricordare e se lo fanno tendono ad avere ricordi più felici
r ispetto alle mamme. In questo caso gli Autori ipotizzano che
l’ idealizzazione per i padri si prolunghi maggiormente. Tali ricordi
posit ivi inoltre sono collegati a tappe della crescita, al momento della
r icongiunzione al ritorno dal lavoro, nei momenti di assenza della madre
rendendo manifesta l’esistenza di un legame che si connota però solo in
termini sostitutivi r ispetto al ruolo materno.
Le mamme virano verso ricordi più “difficili” concentrandosi
prevalentemente sul processo di attaccamento-separazione e accettando
gli aspetti ambivalenti del legame con il f iglio. I r icordi felici delle
madri sono strettamente legati all’esperienza fisica dell’allattamento al
seno.
Le mamme PMA tendono a ricordare e raccontare un minor numero di
r icordi felici r ispetto alle mamme normali. Gli Autori hanno interpretato
tale dato ipotizzando che « forse per le mamme PMA è più difficile
permettersi un “sospiro di sollievo”, lasciarsi andare alla
146
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
consapevolezza di un reale legame felice; quasi per un effetto di
“incredulità” di fronte al loro bambino reale, rimangono più legate
all’ idealizzazione e allo stupore» .
Passando alle ultime due domande ( n°10 e 11) , i padri naturali
r iportano una maggior propensione a parlare ai bambini della loro
nascita. Per dare significato a questo dato è stata estrapolato il modo con
cui i padri hanno interpretato la parola “nascita”. È stato scoperto che
più spesso i padri PMA rispondevano come se la “nascita”
corrispondesse al “concepimento” piuttosto che alla “gravidanza” e al
“parto” e più specificatamente sembrano fare riferimento alle circostanze
in cui sono implicate le procedure di fecondazione artificiale. Tale dato
può essere interpretato in termini di preoccupazione rispetto
all’ infertil i tà e come l’emergere di un valore aggiuntivo del ruolo
genitoriale nella storia del bambino.
I genitori naturali interpretano la parola “nascita” come il momento in
cui è venuto alla luce il bambino.
Le madri PMA affermano di non aver detto niente al loro bambino circa
la sua nascita più frequentemente rispetto alle madri controllo; esse
comunque non differiscono significativamente dalle madri controllo
nelle intenzioni di fare ciò. Come per i padri PMA, e addirittura con una
percentuale ancora più alta, l’ interpretazione del termine “nascita” usata
dalle madri PMA si riferisce al concepimento. Tale aspetto è ancor più
significativo considerando che tali genitori hanno avuto un’esperienza di
gravidanza e di parto diretta. I l focus rimane sul concepimento che ha
avuto successo attraverso un aiuto medico esterno. Sembra che il loro
contributo alla procreazione resti secondario o addirit tura
potenzialmente pericoloso per l’ integrità del bambino. L’ipotesi in
questo caso riguarda la possibili tà che i genitori PMA, anche dopo la
nascita del bambino, non abbiano ancora risolto l’evento critico della
scoperta della sterili tà. Tale evento potrebbe rimanere un trauma che
influenza e condiziona attivamente il loro modo di vedere sé stessi come
genitori “difettosi”. Questo è ancora più significativo considerando che
tali genitori manifestano abili tà genitoriali simili a quelle dei genitori
naturali e che i loro bambini manifestano uno sviluppo normale. Secondo
147
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
La Sala, Landini, Fagandini e Bevolo (2001) pare che per i genitori PMA
la gravidanza non si configuri come uno spazio di attesa e creazione del
bambino, ma piuttosto come un «“tunnel da attraversare per arrivare
finalmente al bambino”» , un tempo segnato dal rischio di perderlo. E
questo forse a causa di componenti mediche intrusive che vanno a
risvegliare sentimenti di t imore e fragilità r ispetto alla procreazione.
Vedremo come tali aspetti possano venire traslati nel campo
dell’adozione a proposito dei vissuti suscitati nei genitori dall’ iter
adottivo.
Nella domanda n°11 , r iguardante l’intenzione di parlare con il
bambino nel caso ciò non fosse stato fatto, i genitori PMA tendono a
procrastinare nel tempo tale evento, oppure non hanno intenzione di
farlo neppure in futuro. Questo ultimo aspetto è molto evidente nei padri
PMA. I genitori naturali non hanno invece problemi nel manifestare
l’ intenzione di parlare con il bambino della sua nascita.
Nella PMA i genitori vivono una gravidanza che ha conosciuto una
gestazione mentale molto più prolungata rispetto a quella che
sperimentano i genitori “normali”. Per essi esistono due nascite: oltre
alla nascita del bambino esiste la prima nascita che è quella del
concepimento che sancisce la loro capacità procreativa.
Le domande di cui non abbiamo approfondito i contributi delle
r isposte da esse suscitate (n°6 ,7 ,9) , secondo l’analisi degli Autori , non
hanno portato all’evidenziazione di differenze particolari tra i due
gruppi. Rispetto alle variabili prese in considerazione da tali quesiti i
genitori PMA e i genitori naturali sono considerati simili .
Gli Autori pensavano inizialmente che l’obiettivo principale dei
genitori PMA fosse tentare di superare l’ostacolo biologico e quindi
poter procreare come gli altr i genitori. Fatta tale premessa si è ipotizzata
una certa difficoltà da parte dei genitori PMA a confrontarsi
emozionalmente con il bambino reale rendendo più rischioso il processo
di elaborazione che conduce alla genitoriali tà. Si è però abbandonata tale
prospettiva propendendo per l’esistenza di un tipo di genitorialità
diversa e più profonda nelle sue componenti di complessità, specie nel
rapporto con il bambino. Tale complessità può essere una risorsa che
148
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
promuove una visione più sott ile e discriminata delle relazioni familiari
e dei suoi problemi. Potrebbe però anche essere una possibile fonte di
distorsione nella valutazione delle qualità di queste stesse relazioni,
manifestando una tendenza all’idealizzazione e la presenza di un
“segreto familiare” riguardante la nascita del bambino.
«[…] ogni nascita, PMA o “naturale” che sia, rappresenta l’incontro
con l’unicità del soggetto, i l bambino reale, una dimensione biologica e
psichica non conoscibile a priori» . […] «La PMA pone maggiormente in
evidenza gli interrogativi propri di tutte le nascite, cioè tutte le
diff icoltà di un padre e di una madre a soggettivare la venuta al mondo
di un bambino, il bambino reale, i l reale in quanto inconoscibile da ri-
conoscere»(Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari, 1998). Si tratta quindi
di un percorso comune ad ogni t ipo di genitoriali tà e in cui le difficoltà
fanno parte di un processo “normale” che può esplicarsi secondo
modalità differenti a seconda della specificità dell’esperienza genitoriale
vissuta.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Consegna
La consegna dei “Questionari” , in quanto a tempi, luoghi e modalità,
r ispecchia quella dello strumento delle “Descrizioni” . Rimandiamo
quindi al paragrafo dedicato a tale argomento per le indicazioni
dettagliate.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Risultati
I soggetti sono genitori adottivi che partecipano ad un gruppo di
discussione, condotto dalla Dottoressa Confetti , sul tema della relazione
genitori-figli .
Cominciamo l’analisi con l’esplicitazione di percentuali e frequenze
relative alla composizione del gruppo.
Questo è formato da 20 persone (10 coppie eterosessuali) , con età media
al momento della compilazione del materiale della ricerca di 41,7 anni
(42,7 per i padri; 40,7 per le madri).
I l range d’età va dai 36 ai 49 anni (37-49 per i padri; 36-49 per le
madri).
L’età media è nettamente più alta r ispetto a quella sia dei genitori
naturali che a quella dei genitori PMA. Occorre però considerare che i
r iferimenti anagrafici a nostra disposizione sono riferiti al momento
della compilazione del materiale di ricerca. Questo gruppo di genitori
adottivi, nel momento della nostra r icerca, ha avuto l’abbinamento con il
bambino da circa tre anni che andrebbero così sottratti dal calcolo della
media per avere una stima più precisa. Rimane comunque una cospicua
differenza di età. Questo dato è facilmente spiegabile considerando le
lunghe trafile che i genitori adottivi devono affrontare per avere un
bambino, come abbiamo visto nelle prima parte di questa tesi. Come per
i genitori PMA tale dato può essere considerato come la spinta per
trovare insieme, madre e padre, un progetto di coppia da condividere.
Tale aspetto nei genitori adottivi è ancor più enfatizzato visto i l
maggiore dilatamento temporale nell’acquisizione della genitorialità e la
mancanza dell’esperienza della gravidanza. Si vede comunque come, già
in questo primo dato, si delinei una particolarità: la data di inizio della
genitorialità non corrisponde alla data della nascita del bambino. E i
genitori adottivi vengono accomunati non in base all’età del bambino,
come è successo per i gruppi precedenti, ma in base all’arrivo del
bambino nella famiglia, cioè alla “nascita” della coppia come genitori.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Le occupazioni svolte sono tra le più diverse. Servendoci di una
divisione macroscopica secondo due categorie lavorative i l 60% fa parte
dei lavoratori dipendenti e il 40% degli autonomi.
La stragrande maggioranza (80%) delle coppie ha un solo figlio
(adottivo), 2 coppie hanno 2 figli (1 coppia entrambi adottivi, l’altra 1
adottivo e 1 naturale). I bambini sono quindi 12 (8 maschi e 4 femmine)
ed hanno un’età che varia dai 3 ai 5 anni, fatta eccezione per un caso in
cui la bambina ha già 11 anni. Anche in questo caso si tratta di dati
r iferiti al momento della r icerca e a cui occorre sottrarre 3 anni per
ottenere la situazione al momento dell’abbinamento.
La percentuale di risposta al questionario è stata del 100%: si tratta di
un dato molto significativo, indice di una forte motivazione presente
all’ interno del gruppo ad approfondire le tematiche dell’adozione e a
scoprire nuovi aspetti della propria esperienza genitoriale.
Analizzando i questionari compilati dai genitori adottivi abbiamo tratto
alcuni dati interessanti. L’uso di tale t ipo di strumento rende difficile
adottare un’ottica quantitativa in quanto ogni questionario si presenta
ricco di dati e sollecita in continuazione nuove domande e diverse
possibilità di lettura dei dati stessi. Nostra intenzione è quella di dare
una visione la più completa possibile dei genitori adottivi che hanno
partecipato alla nostra indagine per conoscere questo tipo alternativo di
genitorialità. Per fare ciò ci siamo proposti di mettere da parte, per
quanto possibile, qualsiasi t ipo di pregiudizio nei confronti
dell’adozione.
Innanzitutto, per quanto riguarda l’apprezzamento relativamente alle
caratterist iche del bambino (domanda n°1) , è stata rinvenuta una
differenza fondamentale. Mentre i genitori PMA avevano delineato
aspetti inquadrabili in tre categorie ( Tutto , Caratteristiche cognitive ,
Caratteristiche emotive) , i genitori adottivi hanno evidenziato un’altra
categoria totalmente nuova ovvero quella delle Caratteristiche fisiche :
“Quel faccino di color ambrato, con due occhioni grandi che sembrano due
perle, un sorriso stupendo…” (M1),
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“Mi piace i l sorriso di A. …” (M2),
“I suoi occhioni neri” (M3), (P3),
“Il sorriso, gl i occhi , i l colore del la pel le, le mani …” (P2),
“La bellezza …” (P4).
A volte si tratta di lunghi elenchi di caratteristiche del bambino in cui
vengono menzionati attr ibuti fisici insieme ad altr i aspetti :
“La faccia, la sua dolcezza, la sua ingenui tà …” (M4),
“La dolcezza/ l ’al legria/ la svel tezza nel l ’apprendere le cose/ Il suo viso e i
suoi capell i …” (M6).
È un dato interessante in quanto si tratta di aspetti che piacciono, che
vengono cioè molto valorizzati e a cui i genitori PMA non avevano fatto
alcun riferimento. (I genitori PMA hanno dato risposte più generali ,
mentre i genitori naturali hanno sottolineato le caratteristiche emotive).
Può darsi che l’aspetto fisico dei bambini adottivi, aspetto che molto
spesso è totalmente differente da quello dei nuovi genitori, sia
percettivamente ed emotivamente più pregnante per i genitori adottivi
che ne enfatizzano le componenti di bellezza. È significativo che anche
un elemento come il colore della pelle, che comunemente viene
considerato una preoccupazione, venga qui invece inserito all’interno
delle caratterist iche piacevoli.
Un altro aspetto da prendere in considerazione riguarda l’emergere,
all’ interno della categoria delle Caratteristiche cognitive , di molte
caratterist iche che possiamo definire caratteriali , soprattutto quelle
legate alla vivacità, all’essere solare ed energico.
“… la sua al legria, la sua spensieratezza” (M1),
“Il carattere al legro. Al suo risveglio è sempre sorridente e “pronto” al
gioco …” (M5),
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“La vivaci tà, la spontaneità e l ’energia che sprigiona in tut ta la giornata
con tanta voglia di imparare” (M9),
“… i l suo carattere solare e gioioso” (M10),
“…la gioia e l ’al legria che sa trasmettere” (P1),
“Il suo carattere sempre al legro, mai tr is te, mai serio, mai musone, sempre
voglia di ridere, di giocare” (P5),
“… la gioia e l ’entusiasmo che vedo in lei” (P10).
Si enfatizzano molto anche le caratteristiche emotive e in particolare la
dolcezza:
“… il carattere forte, dolce, af fet tuoso, coccolone” (M8),
“… l’af fet to che sa dimostrare” (P6).
In questo caso si può ipotizzare in questi genitori un’attenzione
particolare verso quelle componenti che più di altre sono
costituzionalmente presenti nell’individuo e che si configurano come
aspetti molto piacevoli.
Emiliani e Molinari (1995) affermano che dai discorsi delle madri
naturali (soggetti della loro indagine) emerge l’ idea diffusa del carattere
inteso come dato oggettivo visibile f in dalla nascita e stabile nel tempo.
Tale idea, presente anche nei genitori adottivi, può essere una via per
entrare in rapporto con l’alterità del bambino, segnata, in questo caso, da
caratterist iche positive ed accattivanti. Anche la grande gioia per essere
riusciti a raggiungere la genitorialità potrebbe spingere ad apprezzare
tutto ciò che riguarda il bambino in una sorta di atteggiamento
riconoscente. La risposta di un padre a questa domanda ( n°1) è molto
significativa in tal senso:
“Mi piace i l fat to che mi essere un papà” (P1).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Mi sembra che compaia in questa frase il desiderio profondo di
genitorialità che finalmente è giunto a suo compimento grazie all’arrivo
di un bambino “già nato”, quindi dotato di una sua individualità.
Per quanto concerne ciò che non piace ai genitori adottivi (domanda
n°2) non abbiamo rintracciato grosse differenze rispetto alle categorie di
analisi r invenute nei genitori PMA, eccetto una. Se manteniamo le stesse
categorie: Niente , Caratteristiche fisiche , Caparbietà/ostinazione , Scoppi
d’ira/collera , Altre caratteristiche del carattere, vediamo come le
Caratteristiche fisiche r ientrino per i genitori PMA (anche se in modo
trascurabile) tra le caratteristiche che non piacciono. Più marcata è la
percentuale di genitori naturali che nomina tali caratteristiche. I genitori
adottivi non indicano in questa risposta le caratteristiche fisiche, che,
come abbiamo visto, sono considerate in senso positivo.
Grande spazio è invece dedicato all’elencazione delle caratterist iche
legate alla testardaggine, all’ insistenza, ad atteggiamenti violenti e di
sfida o comunque ad aspetti che rendono difficile la gestione del
bambino:
“A vol te è molto insis tente e testardo. Quando fa dei giochi con al tr i
bambini vuol decidere sempre lui lasciando poco spazio agli al tr i” (M1),
“… a vol te picchia gl i al tr i bambini” (M2),
“La sua insistenza, i l parlare troppo, i l volersi sentire sempre al centro
del l’at tenzione” (M4),
“La testardaggine che dimostra, nonostante i r improveri , a cont inuare cert i
at teggiamenti sbagliat i e di s f ida nei nostri confronti” (M5),
“Le sf ide che mi lancia/ la testardaggine” (M6),
“L’iperatt ivi tà, i l disinteresse al rispet to del le regole” (M7).
Si assiste ad una specie di dato costante che accompagna la maggioranza
dei questionari. Vediamo così gli stessi aspetti menzionati dai padri:
“… l’ot tusi tà nel voler essere lei a decidere cosa fare” (P1),
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“Le botte, i piant i senza spiegazione” (P2),
“È testardo a vol te non sempre” (P3),
“La sua insistenza” (P4).
La difficoltà nella gestione di tale aspetto viene anche sottolineata con
forza:
“La testardaggine, soprattut to questo” (P6),
“A volte quando gli s i nega qualcosa che vuole o vuole fare ha degl i
at tacchi di rabbia di cui non so darmi ragione” (P9).
Tale dato compare con frequenza anche nelle r isposte dei genitori
naturali e PMA, soprattutto per le madri di tutt i questi gruppi. Ciò può
essere dovuto al fatto che le madri trascorrono più tempo insieme ai
bambini e quindi si espongano maggiormente a loro comportamenti
negativi, i quali sembrano costituire una specificità generazionale
piuttosto che essere legata ad una particolare modalità genitoriale. Anche
se pare esserci una maggiore enfasi su questi aspetti da parte dei genitori
adottivi.
All’interno di un singolo questionario a questa domanda abbiamo
rintracciato una risposta significativa:
“Se fosse nato da me non era di certo così . È come lo avrei voluto al legro
tenace socievole ed una sf ida continua” (M9).
Non l’abbiamo inclusa all’ interno di alcuna categoria e la nostra
proposta è che sia inseribile all’ interno di una categoria a parte
definibile Caratteristiche emotive della relazione . Può darsi che
eseguendo un’indagine con un campione più ampio tale categoria possa
essere maggiormente espressa. Si nota in tale r isposta una sorta di
autosvalutazione in merito alle proprie capacità procreative denunciate
come difettose o non in grado di generare i l corrispettivo dei propri
desideri e un riconoscimento di qualità proprie del bambino.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Da notare come i genitori adottivi si differenzino molto rispetto ai
genitori PMA nell’uso delle categorie generali “ tutto” e “niente”,
util izzandole pochissimo. Mostrano quindi un atteggiamento meno
assoluto e più attento agli aspetti particolari del loro bambino.
Non abbiamo riscontrato particolari diversità tra padri e madri adottivi.
Si potrebbe ipotizzare che tale mancanza di differenze sia dovuta ad un
percorso simmetrico dei coniugi nell’acquisizione della genitorialità,
cosa che invece non avviene né nei genitori PMA né in quelli naturali
che vivono percorsi differenti dovuti all’esperienza femminile della
gravidanza e del parto.
Per quanto riguarda i l t ipo di emozioni suscitate dal bambino
(domanda n°3) abbiamo util izzato due macrocategorie: emozioni positive
e negative . Vi è prevalenza di emozioni positive soprattutto Amore ,
Tenerezza e Gioia ed altre che a queste si r ichiamano come Felicità e
Dolcezza .
Emergono però anche emozioni negative soprattutto nelle madri che
presentano anche un rapporto fisso nelle risposte: le prime due risposte
r iguardano emozioni positive, la terza una negativa:
-Amore (con i l bisogno di abbracciarlo)
-Tenerezza
-Rabbia
(M4)
-Fel ici tà
-Dolcezza
-Rabbia
(M6)
-Dolcezza
-Soddisfazione
-Ansia-paura
(M8)
Quest’aspetto si r itrova anche nei genitori PMA ed è stato un punto
preso in considerazione nella costruzione dello strumento. Nei padri tale
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
rapporto viene mantenuto solamente in una minoranza di casi e sono solo
3 i padri che parlano anche di emozioni negative:
-Fel ici tà
-Desiderio di proteggerl i
-Rabbia/vergogna
(P2).
Questo fatto potrebbe essere dovuto alla maggiore quantità di tempo
trascorsa dalle madri con i figli , che può permettere di sperimentare un
rapporto più completo all’ interno del quale esprimere anche componenti
ambivalenti.
Per i padri forse il non poter disporre di tale tipo di esperienza tende a
precludere la possibili tà di inquadrare il loro rapporto anche in termini
di difficoltà che potrebbero legarsi al poco tempo passato insieme.
Tra le emozioni negative quella che compare maggiormente è la Rabbia,
mentre ve ne sono diverse relative a preoccupazioni di vario tipo come la
Paura , la Preoccupazione , l’Ansia .
Da notare che 2 padri e 2 madri non si sono espressi in termini di
emozioni servendosi invece di r isposte che fanno riferimento ad
avvenimenti:
-Quando la vedo dormire nel suo let t ino
-Quando dice Mamma t i vogl io bene
-Quando c’è qualcosa che non va farle le coccole
(M1)
o ad aspetti del bambino che suscitano emozioni:
-La sua al legria
-Il suo sorriso
-Essere socievole
(M3)
-La sua al legria
-Il suo carattere
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
-La sua vogl ia di creare e di costruire
(P3)
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
-Rivedere foto f i lmini ecc.
-Quando lo tosiamo si evidenzia i suoi trat t i
-I suoi sguardi molto profondi
(P4)
Ricordiamo che questa domanda chiedeva: “Quali sono le tre emozioni
più forti che le suscita i l suo bambino?” . Mi sembra significativo il fatto
che questi genitori non abbiano espresso i propri sentimenti in termini di
emozioni bensì utilizzando aspetti concreti ed esempi da cui si può
dedurre il t ipo di emozione. Da sottolineare che durante la consegna del
materiale alcuni genitori avevano espresso alcuni dubbi r ispetto a tale
domanda chiedendo chiarimenti , ma nonostante ciò alcuni si siano
comunque espressi in un modo diverso. La lettura di questo dato
potrebbe andare verso l’esistenza di una certa difficoltà incontrata nel
r intracciare ed esplicitare le proprie emozioni r ispetto al rapporto col
bambino.
Rispetto alle posizioni delle emozioni notiamo come quelle
maggiormente citate al primo posto siano Amore , Gioia e Felicità . Da
notare che in questa posizione non compare alcuna emozione con
caratterist iche “negative” (si tratta di un termine fuorviante che fa però
riferimento alle macrocategorie scelte per l’analisi) .
In seconda posizione prevale la Tenerezza e cominciano a comparire
emozioni negative come Paura e Apprensione .
Nella terza infine prevale nettamente la Rabbia e vi è comunque un netto
aumento delle emozioni negative, anche se rimangono molti genitori che
citano emozioni positive. Si assiste quindi ad una tendenza verso la
varietà e l’ambivalenza nell’espressione delle emozioni (come nei
genitori PMA e in minor misura in quelli naturali) .
Anche qui non si notano particolari differenze tra madri e padri adottivi
che manifestano le stesse tendenze di r isposta.
Nei genitori PMA si riscontra l’espressione di emozioni più diversificate
nei padri r ispetto alle madri, indice di un probabile coinvolgimento
emotivo più profondo e di una rif lessione interiore più partecipe. Si
160
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
mantiene comunque quella differenza legata allo specifico dei ruoli
materno e paterno rinvenuta nei genitori naturali .
Nella domanda n°5 abbiamo indagato i desideri e le paure dei genitori
per i loro bambini.
Nei desideri abbiamo utilizzato le stesse categorie d’analisi usate nella
r icerca sui genitori PMA ovvero Protezione dai pericoli , Salute ,
Autonomia , Intelligenza , Felicità , Moralità, Socievolezza ,
Autorealizzazione e Altro . Le punte più alte si trovano rispetto alla
Salute , al la Felicità (specie la Serenità e la Sensazione di essere amati) e
la Socievolezza (particolarmente un Buon rapporto con gli altr i e Buon
rapporto con la famiglia). L’aspetto legato alla Salute è comune a tutte
le categorie genitoriali (adottiva, PMA, naturale), mentre quello della
Socievolezza è più enfatizzato nei genitori adottivi. Forse essi temono
più degli altr i genitori che i figli possano avere dei problemi proprio a
causa della condizione adottiva:
“Che impari a giocare con i bambini …” (M5),
“Che abbiano un rapporto sereno con gl i al tri” (P2),
“Che si trovasse di più a suo agio anche al di fuori del l ’ambiente
famil iare, in mezzo al la gente …” (P5),
“Che si integrino bene nel la società” (P7).
Oppure i desideri sono relativi al bisogno di colmare la situazione di
carenza e abbandono precedente l’adozione:
“Vorrei r iuscire a darle quel le opportunità che non avrebbe potuto avere là
dove è nata” (P1),
“Che si avverino tut t i i suoi sogni” (M1),
“Che si senta sempre amato e “protet to” da noi , e che non tema più un
eventuale abbandono” (M5),
“Desidererei che ricevessero da tut t i l ’amore di cui necessi tano” (M7).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Oppure temono che non riescano ad apprezzare la nuova famiglia e a
vivere felici all’ interno di essa:
“Amare la sua famiglia” (M3),
“Un buon rapporto con la sua famiglia” (P5),
“Una famigl ia sempre unita come siamo noi” (P10).
E a questo riguardo emergono dei dubbi r ispetto alla propria funzione
genitoriale:
“Che quando sarà grande riesca a vedermi come una buona madre” (M6),
“Che capisca quanto bene gl i vogliamo” (M9),
“Che vedano nei loro geni tori sempre un punto di r i ferimento” (P7).
Si potrebbe vedere in questo tipo di risposte l’emergere di una paura
rispetto al non essere riconosciuti dal figlio come buoni genitori o il non
riuscire ad esplicare al meglio il proprio ruolo genitoriale. Sembra
riaffiorare l’idea di una genitoriali tà che viene messa alla prova
continuamente e in questo forse si sentono i riflessi dei pregiudizi
sociali e della lunghezza e delle componenti valutative dell’iter adottivo
affrontato.
Nelle paure abbiamo trovato un insieme di r isposte che non rientra nelle
categorie valide per i genitori PMA ( Danni f isici o sociali , Malattie e
Altro) . Si tratta di un gruppo di risposte piuttosto consistente che noi
abbiamo deciso di raggruppare sotto la categoria Conseguenze
dell’adozione . Si tratta infatti di aspetti molto diversi tra loro e dei più
svariati t ipi che sono inerenti l’adozione come l’elaborazione del lutto:
“Paura che non riescano ad elaborare l’abbandono” (M2),
“La paura che un giorno possa riaf f iorare i l r icordo di un passato non
fel ice” (M7).
Il peso dell’essere adottato:
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“Ho paura che sof fra quando da grande capirà, veramente, cosa signif ica
essere stato adottato” (M5),
“La paura che un giorno possano sentire i l peso di essere f igl i adottat i”
(M7),
“Che gl i venga fat to pesare l ’essere un bimbo adottato” (P5),
“Qualche frase che possa ferir la det ta da persone “ignoranti” in s i tuazioni
part icolari” (P10),
“Le forme di razzismo nei suoi confronti” (M1).
Il sentirsi diverso dagli altr i:
“Ho paura che si senta un po’ diverso dagli al tr i bambini” (M5).
Possibili problemi psicologici dovuti al suo passato o alla sua condizione
adottiva:
“Che nella sua adolescenza viva un momento cri t ico a causa del l’adozione”
(M4),
“Che i l loro passato possa in futuro creare problemi psicologici” (P7).
Il desiderio di conoscere le sue origini:
“Paura che un giorno non ci r iconosca più come genitori e che voglia
cercare le sue origini (so che sicuramente lo aiuterò ma mi fa paura)” (M9),
“Quando comincerà a fare domande precise sul le sue origini spero di dare
tut te r isposte soddisfacent i per lui” (P9).
Ed altr i ancora:
“Che un giorno la madre naturale me lo port i via” (M6).
Si può ipotizzare che tale dato sia ancora una volta un residuo
dell’esperienza dell’ iter adottivo lungo il quale i genitori sono stati
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
messi in guardia (a volte in modo eccessivo) sulle possibil i difficoltà del
f iglio derivanti dalla sua condizione adottiva. Oppure si possono
chiamare in causa i pregiudizi socioculturali legati a tale condizione, con
i t imori di esclusione o dell’emergere di sentimenti di diversità.
Per le restanti r isposte torna ancora una grande preoccupazione per le
malattie che è speculare ai tanti desideri di salute.
Abbiamo visto come i genitori PMA tendano ad avere minori
preoccupazioni r ispetto a pericoli provenienti dall’esterno. Al contrario i
genitori adottivi mostrano di essere più preoccupati proprio per ciò che
può minacciare il bambino all’esterno. In questo caso, oltre alla paura di
discriminazioni da parte dell’ambiente sociale attuale, troviamo anche i l
t imore per le sofferenze inferte dall’ambiente povero e degradato da cui
il bambino proviene. Sembra affiorare il t imore che l’ intervento dei
genitori non sia sufficientemente salvifico e che i l danno sia
irreversibile. L’ambiente familiare viene così caricato da questi genitori
di una responsabilità protettiva anche maggiore.
Rispetto ai Danni f isici o sociali le preoccupazioni possono venire divise
in due tronconi: quello che è comune a tutti i bambini ( incidenti , droga,
pedofil ia, brutti incontri…) e quelli invece legati alla condizione
adottiva (non essere accettato da altr i a scuola, razzismo). Per quanto
riguarda risposte come “adolescenza” e “apprendimento scolastico” sono
riferite alla condizione adottiva dalle affermazioni dei genitori stessi,
che temono particolari difficoltà dovute all’adozione.
Si avverte inoltre un senso di precarietà, insicurezza e di minaccia
proveniente dall’ambiente esterno che si può ripercuotere all’ interno del
nucleo familiare.
Un padre ha espresso le sue paure utilizzando la categoria Niente , mai
comparsa nei genitori PMA e naturali .
Nella domanda n°6 , quella relativa alla valutazione del rapporto con il
bambino, vediamo la netta prevalenza di un vissuto di grande
soddisfazione: 14 genitori su 20 affermano che il rapporto con il f iglio è
molto soddisfacente . Di questi però solo 6 affermano anche l’esistenza di
una componente di fatica. Nessun genitore afferma che i l suo rapporto
con il figlio sia solamente faticoso o molto faticoso se non accompagnato
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
ad una valutazione positiva molto soddisfacente o abbastanza
soddisfacente . Questo può essere indice di grande gioia per aver ottenuto
il bambino; una gioia così forte che può occultare quelle componenti
“negative” presenti in ogni rapporto interpersonale, specie quello tra
genitore e figlio. Oppure potrebbe trattarsi del r if lesso di componenti
valutative del ruolo genitoriale r iattivate dalla consegna del questionario
da parte di un futuro psicologo all’interno del gruppo post-adozione.
Più della metà del gruppo (12 soggetti) asserisce (domanda n°7) di
avere immaginato i l loro rapporto con il bambino proprio come lo stanno
vivendo ora. I restanti genitori affermano invece di non averlo
immaginato così, fornendo, in sporadici casi, spiegazioni circa tali
difficoltà. Esiste una corrispondenza fra le r isposte del nostro gruppo e
quelle dei genitori PMA e naturali indagati in precedenza.
La successiva domanda (n°8) si riferisce al ricordo di un avvenimento
ritenuto particolarmente significativo nella costruzione del rapporto con
il bambino.
Il dato più saliente, sempre facendo un confronto con la ricerca sui
genitori PMA, è i l fatto che i genitori adottivi non mostrino (tranne un
soggetto) alcuna difficoltà a r icordare. Tale difficoltà r iguarda ben il
50% dei soggetti appartenenti sia al gruppo dei genitori PMA che quello
dei genitori naturali (Fagandini, Bevolo, Landini e Vaccari, 1998).
Si potrebbe ipotizzare che i genitori adottivi, ottenendo il bambino non
immediatamente dopo la sua nascita, ma spesso in un periodo successivo,
non subiscano quel meccanismo di amnesia che riguarda, secondo gli
Autori, i primi momenti della genitorialità, e soprattutto l’esperienza
confusiva e traumatica del parto.
Non è da sottovalutare l’esperienza formativa e di r if lessione vissuta
negli incontri di gruppo che può aver notevolmente facil itato l’emergere
di tali r icordi.
I dati più significativi sembrano però forniti da affermazioni relative
alla nascita della consapevolezza di essere genitori: questo avviene in
momenti diversi da quello dell’arrivo del bambino, e in r iferimento a
particolari si tuazioni relazionali . Tali momenti sono molto significativi
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
per il genitore adottivo che li designa come una specie di seconda
nascita: della famiglia, del genitore, del figlio:
“La prima grossa l i t igata perché ci ha aiutat i a s tabil ire i ruol i: genitori-
f igl io” (M8).
Soprattutto nel momento di espressione dei sentimenti di amore o
manifestazioni di affetto del bambino verso i genitori: si ha
l’ impressione che questo evento venga considerato come l’inizio del loro
rapporto:
“… quando per la prima volta mi ha det to «t i vogl io bene»” (M9),
“Un pomeriggio (quando aveva circa 3 anni) ho sgridato i f igl i dei vicini
perché lanciavano oggett i (pesant i) ol tre la s iepe nel nostro giardino
rischiando di colpirlo. L’ho preso in braccio mentre l i sgridavo e lui tut to
fel ice mi ha det to: «Mamma, mi è piaciuto, l i sgridi un al tro pochino? » .
Secondo me da quel giorno si è senti to ancora più protet to” (M5),
“Una sera mentre s tavo addormentando la mia bambina tra una coccola e
l ’al tra lei mi ha stret to forte e mi ha det to t i vogl io tanto bene. Per me è stata
una cosa molto emozionante” (M10),
“… Mi ha messo un braccio intorno al col lo e, senza dire nulla, mi ha
stret to forte. Mi sono emozionato per i l suo ringraziamento” (P5),
“… Quando mi vide scendere dal pulman mi corse incontro con un
abbraccio e bacio. … La cosa mi aveva commosso” (P10).
Oppure ancora è emblematica la frase di un padre che sottolinea
l’ importanza del momento in cui il bambino per la prima volta lo ha
chiamato papà:
“La prima vol ta che ri ferendosi a me ha det to a chi ci s tava intorno
«QUESTO È IL MIO PAPÀ»” (P9).
166
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Sembra che i genitori avvertano una sorta di difficoltà a r iconoscersi
come tali . Si ha l’ impressione che essi attendano una sorta di conferma,
un segno che sancisca un riconoscimento esterno.
I padri adottivi tendono a riferire si tuazioni relative al r icongiungimento
dopo il lavoro o a difficoltà che si sono risolte consolidando il rapporto:
“Nei primi due mesi C. non mi considerava molto, così con pazienza ho
dovuto meri tarmi la sua f iducia, ci sono al la f ine r iusci to” (P6).
Tali vissuti si avvicinano molto a quelli descritt i dalle madri adottive,
cosa che invece non accadeva nel confronto tra i padri e le madri PMA.
Anche questo può essere un indice di un percorso genitoriale molto più
simile tra i coniugi rispetto alla nascita a seguito di una gravidanza.
Nella domanda n°9 si chiede ai genitori cosa cambierebbero nel loro
rapporto con il bambino.
La madri adottive prevalentemente (6 su 10) r ispondono che non
vorrebbero cambiare nulla, considerando il rapporto attuale già molto
posit ivo.
“In questo momento non vorrei cambiare niente” (M1),
“Non ho un rapporto ideale nel la mia mente a cui per forza far ri ferimento.
Per ora mi piace così , s i cresce insieme e non sappiamo dove ci porterà”
(M4),
“Niente perché malgrado i momenti di rabbia, è un rapporto chiaro e
l impido con tut te le component i di un rapporto di madre e f igl io (per
adesso)” (M6).
Le restanti madri gradirebbero avere più tempo da trascorrere con il
f iglio oppure riuscire ad essere più severe:
“Vorrei avere ancora più tempo e sempre di più” (M3),
“Devo essere più severa” (M2).
167
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
I padri adottivi manifestano una minore tendenza a r ispondere in modo
assoluto e solo in 3 casi si esprimono affermando di non voler cambiare
nulla nel rapporto:
“Trovo di f f ici le voler cambiare qualcosa, va bene così ” (P9).
La maggior parte delle r isposte si focalizza sul proponimento di
migliorare tale rapporto attraverso, anche qui, una quantità maggiore di
tempo passato insieme e una maggiore severità e inoltre cercando di
partecipare di più al gioco e al dialogo con il bambino:
“Vorrei passare più tempo con loro. Vorrei parlargli di più e meglio.
Vorrei avere più pazienza” (P2),
“Vorrei che mi ascoltasse di più, che fosse più ubbidiente, che mi facesse
partecipare di più ai suoi giochi …. Vorrei essere più paziente ed
arrabbiarmi di meno” (P5),
“Vederla e potere stare insieme a lei qualche ora in più …” (P10).
L’ultimo aspetto indagato dal questionario (domande n°10 e 11) è
quello relativo alla r ivelazione della nascita del bambino e alle modalità
con cui ciò è stato fatto. Notiamo subito come la stragrande maggioranza
del gruppo (15 coppie su 20) ha già detto al bambino la verità circa la
sua condizione di bambino adottivo. Tra i cinque che invece non l’hanno
fatto una coppia ha adottato una bambina grande che già era a
conoscenza di tutto:
“… era già grande e lei sapeva già tut to” (P8).
Mentre un’altra coppia ha adottato una bambina molto piccola che, a loro
giudizio, non è ancora in grado di comprendere appieno tali significati :
“Vista l ’età non ancora. St iamo iniziando adesso” (P10).
Solo in un caso i due coniugi differiscono rispetto a tale r isposta: si
tratta però di un padre che afferma di aver trattato poco l’argomento
168
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
lasciando maggiormente l’incombenza alla moglie, ma nella
consapevolezza comunque che si tratta di un suo limite:
“Poco, spesso ci pensa la madre, è un mio l imite e me ne dispiace” (P6).
L’orientamento predominante è quello quindi di essere sinceri e aperti
verso il bambino, forse anche sotto la spinta della nuova legge e delle
indicazioni degli operatori.
Rispetto alle modalità utilizzate per la r ivelazione ne predominano
principalmente due: la prima è l’utilizzo di favole, cartoni animati,
f i lmini, foto che raccontano l’adozione o la storia del bambino. La
seconda, utilizzata soprattutto dalle madri, è il r iferimento alla pancia di
un’altra mamma che non poteva tenere il bambino.
L’utilizzo del termine “pancia” sembrerebbe un esempio di oggetto
parziale che è utile ad evitare l’ immagine di una persona intera con una
propria identità, storia, affett i , esistenza da cui deriva la nascita del
bambino: una persona intera con cui mettersi a confronto, con cui
paragonarsi. I l r icorso all’oggetto parziale risulterebbe essere una difesa
a cui genitori adottivi farebbero ricorso (ben 7 sui 15 che hanno fatto la
r ivelazione):
“Ho spiegato a mia f igl ia R. che lei è nata in India dal la pancia di un’al tra
Mamma” (M1),
“… Che è nata a Mosca, dal la pancia di un’al tra mamma.Che la cicogna ha
sbagliato s trada.…” (M4).
La paura del confronto con la mamma naturale è evidente nella risposta
di una mamma che utilizza l’espressione “bella signora” per indicare la
madre naturale del bambino e poi la svaluta affermando che questa non
era brava a fare la mamma come invece si sente lei:
“… Gli ho dato spiegazioni: che io non riuscivo ad avere bimbi con la
pancia ma mi sent ivo una buona mamma e la bel la s ignora che ha fat to
nascere lui non era brava a fare la mamma così lo ha portato in una scuola
insieme ad al tr i bambini che aspet tavano la mamma.…” (M6).
169
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
A volte questa rivelazione assume i connotati di una storia personale,
una specie di favola, dai contenuti dolorosi:
“…A 3 anni gl i ho spiegato che i bimbi crescono nella pancina del le
mamme ma, s iccome la mia era un po’ rot ta, ho dovuto farlo crescere nel la
mia mente e nel mio cuore per un po’ di tempo f inché non ho potuto
raggiungerlo. Lui sembra soddisfat to di questa sua storia e adesso quando gli
racconto favole a volte mi dice: «Adesso mi racconti la mia storia?»…” (M5).
Ancora un madre fa r iferimento alla pancia di un’altra mamma, ma mette
il termine tra virgolette come se si trattasse di un modo di dire o di una
frase fatta:
“… in diverse occasioni sono stat i loro ad introdurre l’argomento del la
loro provenienza da un al tro paese, da un’al tra “pancia”, da un’altra
mamma” (M7).
I due padri che parlano della pancia uti lizzano le medesime modalità
scelte dalle madri:
“… R. sa che è nata in India dal la pancia di un’al tra Mamma con l’aiuto di
un al tro Papà…” (P1),
“… Raccontando che è nato dalla pancia di una signora che quando è stato
i l momento di diventare mamma non ce l’ha fat ta e che l i ha portat i in una
grande casa con tanti bimbi e con del le tate che si prendevano cura di lui . … ”
(P9).
Donald Winnicott, in un suo contributo sull’adozione, utilizza parole
molto simili:
«Vi sarete domandati quando questo ragazzo abbia saputo di essere
stato adottato: penso che la cosa avvenne quando aveva circa tre anni:
gli era stato detto […] come nascono i bambini. La mamma gli aveva
detto: “Sai, tu vieni dalla pancia di un’altra mamma, non dalla mia. Io
170
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
t i ho preso con me perché la tua vera mamma non poteva occuparsi di
te» (Winnicott, 1953) 1 .
L’altra modalità (util izzo di foto, filmini, f iabe, cartoni animati…) può
essere dovuta a consigli degli operatori o comunque al fatto di legarsi a
tutta una serie di attività in cui i bambini trascorrono buona parte del
loro tempo, specie i cartoni animati e le favole:
“…Attraverso alcuni cartoni animati (Dumbo, Bianca e Bernie, ecc. ) e
tramite foto e le casset te di quando siamo andati a prenderlo.” (M4),
“Le racconto una favola che assomiglia un po’ al la sua storia …” (M10),
“… inizialmente riguardando foto, f i lm ecc. Anche con cartoni t ipo Dumbo
ed al tr i” (P4),
“… All’inizio era come una f iaba poi un po’ al la volta si è arricchita di più
part icolari . Ora molte volte la chiede lui” (P5).
In alcune risposte si enfatizza l’esito positivo di tale processo di
r ivelazione, semplice e lontano dall’incorrere in problemi di alcun tipo:
“… raccontando in modo semplice la veri tà” (M9),
“All’inizio era come un gioco poi man mano che lui cresceva ha capito di
che cosa si trat ta senza traumi” (P3).
Emergono anche frasi molto crude che evidenziano la precarietà della
situazione in cui viveva il bambino:
“… dicendo loro che sono nati in un posto dove non c’era da mangiare e
dove nessuno poteva occuparsi di loro” (M7).
Per fare un confronto con la r icerca sui genitori PMA rispetto
all’ interpretazione data al termine “nascita”, possiamo constatare come,
nella maggioranza dei casi , si faccia riferimento alla nascita biologica
1 Due bambini adottati.In Winnicott, D.H. (1987).
171
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
del bambino attraverso l’utilizzo, come abbiamo visto, della pancia di
un’altra mamma. Emerge però un aspetto interessante. Accanto a questa
nascita naturale se ne accosta un’altra, quella del viaggio per andare a
prendere i l bambino e della nascita della famiglia a partire da quel
momento:
“Mamma e Papà, che desideravano tanto un bambino, hanno preso l’aereo
per andarl i a prendere” (M2),
“… Abbiamo iniziato quasi subi to a raccontargl i la sua storia di come
eravamo andati a prenderlo …” (P5).
Sembra che i genitori adottivi siano consapevoli dell’esistenza di una
storia personale del bambino in cui si colloca l’evento nascita, ma che
vogliano anche enfatizzare quella che per loro è stata la vera nascita del
bambino, ovvero i l suo ingresso nella loro vita. Si tratta evidentemente
di un evento emozionalmente molto forte che riveste un significato
particolare per i genitori adottivi:
“… Gli ho spiegato che l’abbiamo tanto desiderato e tanto aspet tato che
f inalmente quel giorno i l nostro sogno si è avverato!…” (M5).
Così essi, nonostante abbiano la piena consapevolezza dell’ importanza
del passato del bambino, tendono a mettere tale esperienza un po’ in
secondo piano e, soprattutto, a fare r isaltare l’importanza positiva di
“una nuova vita” che possono condividere con il bambino.
Abbiamo tracciato un’immagine di genitorialità adottiva secondo gli
spunti fornitici dal questionario PMA. Si è ottenuta un’immagine di
genitori in parte differente da quella che possiamo definire “normale”. Si
tratta di un’immagine che presenta caratteristiche proprie che denotano
l’esistenza di un particolare it inerario di crescita. Tale diversità
crediamo possa essere vista come l’espressione di un’esperienza
relazionale molto complessa. Sappiamo infatti che l’adozione, per le sue
caratterist iche, richiede ai genitori una tempistica molto lunga in cui si
può dare spazio alla rif lessione e alla elaborazione di vari contenuti e
situazioni. Uno tra questi è certamente il proprio ruolo genitoriale e la
172
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
propria identità come genitore che può così configurarsi con componenti
molto profonde ed emotivamente diversificate r ispetto ad altr i t ipi di
genitorialità, specie nei padri adottivi.
I dati , lo abbiamo sottolineato più volte, indicano l’esistenza di possibil i
tendenze che non possono essere generalizzate data l’esiguità del
campione. Essi però forniscono una fotografia abbastanza dettagliata del
gruppo del dopo-adozione.
Abbiamo riscontrato alcuni dati che possono essere visti come segni di
difficoltà spesso esplicitate chiaramente.
Nell’ambito affettivo:
“…Ho avuto paura! Mi sono resa conto del la loro fragi l i tà” (M2),
“Ero ancora in una fase in cui la mia gelosia verso di lui era forte, . . .e lui
ha preferi to andare in braccio ad una mia amica piut tosto che a me. Ho avuto
bisogno di tante conferme per capire che sono io la sua mamma” (M4),
“All’inizio per ovvi motivi non si r iusciva ad avere un buon rapporto poi
pian piano con un po’ di serenità tut to è passato” (P3),
“La paura che si legasse ad al tri” (P4).
E in quello educativo:
“… Il più del le volte sembra non ascoltarmi neanche” (M5).
Non abbiamo riscontrato però ulteriori indicatori di sofferenza che non
fossero legati, come abbiamo visto, alle difficoltà incontrate all’inizio
di un rapporto nuovo e speciale come quello con un bambino adottivo.
Tali sensazioni possono essere legate alla complessità delle emozioni e
possono produrre una maggiore consapevolezza da parte dei genitori e
ulteriori r isorse da spendere nella relazione con il bambino.
In questo percorso l’esperienza del gruppo può avere contribuito a
sviluppare una maggiore consapevolezza delle difficoltà e delle
responsabilità proprie di tale rapporto, ma ha contribuito anche alla loro
elaborazione.
173
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
I genitori del gruppo post-adozione hanno manifestato il desiderio di
eseguire un incontro di restituzione al termine della r icerca. Questo ci fa
supporre che la possibilità di essere informati sui r isultati di un’indagine
che li r iguarda può rassicurarli sulle proprie capacità e funzioni
genitoriali e metterli al riparo dalla sensazione di vulnerabili tà rispetto
alla propria funzione genitoriale.
D’altra parte questo desiderio sembra essere la naturale conseguenza
dell’atteggiamento comunicativo con il quale i genitori hanno accettato,
affrontato e compilato il questionario. Esso è r isultato un’occasione per
confrontare e pensare l’esperienza della genitorialità, e ha permesso
l’emergere della r icchezza della funzione genitoriale, attraverso un
bisogno di raccontarsi che ci ha fatto riflettere su quanto la narrazione
possa essere considerata uno strumento capace di innescare
l’elaborazione di vissuti molto profondi.
174
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
4.
“DESCRIZIONI”
Presentiamo in questa sezione il secondo strumento uti lizzato nel corso
dell’ indagine con i genitori del gruppo del dopo-adozione : le
“Descrizioni” . Vedremo successivamente a quale strumento esso si ispira
e dedicheremo ampio spazio all’esplicitazione delle sue caratteristiche e
delle modalità di consegna del materiale.
Verrà poi presentata la griglia di analisi costruita appositamente per
estrapolare dati significativi da tali racconti e presenteremo un rapido
excursus riguardante i contributi narratologici che ne hanno ispirato la
creazione.
Infine passeremo in rassegna i r isultati ottenuti proponendo alcune
chiavi di lettura.
175
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Strumento utilizzato
L’idea di somministrare le “Descrizioni” è nata dall’osservazione di uno
strumento molto simile per caratterist iche che è stato più volte usato dai
Servizi Sociali di Carpi durante l’ indagine socio-psicologica, ovvero il
“Diario di una giornata di 5 anni dopo” .
Mauro Favaloro (1990) lo definisce “Diario Futuro Commentato”
(DFC): «A ciascuno dei coniugi viene fornito un foglio di quelli
util izzati dal Servizio per compilare le cartelle e che opportunamente
riportano la dicitura “diario”. La coppia viene invitata a scrivere una
pagina di diario che si collocherà ad esattamente cinque anni nel futuro.
[…] si tratta di una normale pagina di diario nella quale si può scrivere
quello che accade durante la giornata, i propri pensieri e le proprie
rif lessioni» . La compilazione di tale strumento è personale, quindi ogni
coniuge compila separatamente le pagine del diario.
Nel nostro strumento abbiamo scelto di rinunciare alla componente di
proiezione nel futuro e quindi alla componente immaginativa, mentre è
r imasta intatta quella relazionale-affettiva.
È uno strumento aperto che fornisce molte informazioni e per questo
motivo diviene difficile analizzarlo: abbiamo però optato per questo t ipo
di analisi poiché l’altro strumento della nostra r icerca (il
“Questionario”) affronta alcune tematiche dell’adozione con domande e
possibilità di r isposta più mirate.
Naturalmente, trattandosi di uno strumento molto aperto che lascia ampia
possibilità di r isposta, non è possibile aspettarsi un’analisi di t ipo
quantitativo-statist ico. Lo scopo è quello di far emergere tutta la
r icchezza possibile dell’esperienza dei genitori adottivi per ottenere il
maggior numero di informazioni e per lasciare libertà di r isposta ai
genitori.
Le tipologie di r isposta sono le più svariate: si va dalle poche righe in
stampatello, alle quattro pagine scritte al computer (solo considerando
un criterio molto macroscopico e di immediata percezione come la
lunghezza degli elaborati) .
176
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Non si è trattato di un compito agevole e molti genitori si sono
confrontati con la Dottoressa Confetti , al momento della restituzione del
materiale, circa le difficoltà incontrate.
Evidentemente tale indagine è andata a toccare degli aspetti molto
delicati , specie da un punto di vista emotivo, dei genitori adottivi che
non a caso hanno manifestato un’iniziale diffidenza, ma anche grande
interesse per i risultati di tale r icerca.
177
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Consegna
La consegna è stata eseguita direttamente al gruppo durante una giornata
di incontro mensile, precisamente il giorno 13 aprile 2002 a Carpi. I l
gruppo era già stato preventivamente informato dalla Dottoressa Confetti
della r icerca e dell’ incontro fissato con il sottoscritto.
La consegna è consistita nella distribuzione del materiale all’interno di
alcune buste. Ogni busta conteneva il materiale per un singolo
componente della coppia e recava all’esterno un’etichetta che
identif icava il destinatario (per il papà , per la mamma) .
In ogni busta erano presenti:
-un foglio di presentazione della ricerca;
-un foglio per le notizie anagrafiche (nome, cognome, età, occupazione,
numero figli) ;
-un documento per la garanzia del diri tto di privacy;
-il “Questionario” (vedi sopra);
-un foglio bianco con l’ intestazione: “Descrivi una giornata con tuo
figlio” (che noi abbiamo definito “Descrizione”) .
Ogni singolo documento è stato analizzato chiarendo lo scopo e le
caratterist iche di ognuno.
Sono state poi date r isposte ai vari quesiti proposti dai genitori a seguito
di questa presentazione.
È stata inoltre ribadita la disponibilità ad una consulenza di t ipo
telefonico in caso di dubbi durante la compilazione del materiale (cosa
di cui nessuno si è servito).
Si è prestata attenzione ad eventuali difficoltà e si è sottolineata la
necessità di eseguire la consegna separatamente e non in coppia.
I genitori avevano un mese di tempo per compilare il materiale per poi
r iconsegnarlo nell’ incontro fissato per il mese di maggio.
178
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Griglia per analisi dei dati
Data la complessità e la vasti tà dei dati ottenuti abbiamo dovuto
ricorrere ad una griglia di analisi che ci consentisse di raggruppare per
categorie l’ infinita mole di informazioni.
Ho elaborato questa griglia sulla base di alcuni suggerimenti del
professor Gian Luca Barbieri seguendo delle categorie narratologiche e
semiologiche e le indicazioni di vari Autori 1 .
La griglia si divide in tre macrocategorie di analisi:
1-ANALISI TEMATICA (di cosa si parla?)
2-ANALISI STRUTTURALE (come se ne parla?)
3-ANALISI LINGUISTICA (con quali parole?)
Ognuna di esse poi è costituita da varie sottocategorie:
1 A -personaggi
B -contesto (spazio e tempo)
C -eccezionalità/ricorsività di cellule narrative
2 A -disposizioni dei fatt i (collegamenti cronologici, logici,
causali)
B -ellissi
C - f lashback/anticipazioni
1 Apriamo una piccola parentesi riguardo la costruzione della griglia di analisi. All’interno di questa inizialmente è stato inserito il modello di Giancarlo Lai (1993; 1995). Si tratta di un modello, pensato ed utilizzato nell’ambito della terapia psicoanalitica, che cerca di rintracciare il motivo narrativo del racconto del soggetto per poter poi restituire allo stesso quanto è stato colto dal suo interlocutore. Il punto centrale del modello è che «non si va mai al di sotto della superficie testuale, non si cerca nessuna verità nascosta: tutto è già contenuto nel testo orale del paziente» (Arrigoni e Barbieri, 1998). Lai si affida quindi ad un mero spoglio lessico-grammaticale, alla ricerca di statistiche circa la frequenza di pronomi, tempi, verbi nel tentativo di rintracciare una corrispondenza che connetta tali elementi ai motivi narrati. Si tratta di un’analisi linguistica attenta e rigorosa della conversazione psicoanalitica registrata su nastro magnetico (nel nostro caso di un contenuto testuale) alla ricerca di quelle componenti lessicali suscettibili di aprire uno spiraglio nell’interiorità del soggetto in questione. Grazie alla registrazione e trascrizione il tutto può essere letteralmente sezionato tenendo conto solo del livello grammaticale-testuale e tralasciando invece le componenti extratestuali, personali e interpersonali: interessa solo la parola in sé, la parola che rimanda solo a se stessa. Abbiamo analizzato le “Descrizioni” servendoci di tale strumento, ma i risultati non sono stati soddisfacenti. Ci è sembrato un po’ eccessivo e del tutto non produttivo effettuare un conteggio numerico di frequenze rispetto all’uso di verbi o di pronomi all’interno di racconti spesso molto brevi. Lai si serve di queste procedure all’interno della sua pratica psicoanalitica in più incontri con lo stesso paziente. Attraverso la conoscenza reciproca che si viene a creare durante i colloqui riesce ad ottenere delle informazioni aggiuntive che lo aiutano ad interpretare meglio quanto ha estrapolato dal nastro magnetico. Possibilità che a noi è per ovvi motivi preclusa. La decisione è stata quindi quella di spostare maggiormente il nostro focus su altri elementi di carattere più prettamente semiologico-narratologico e meno legati all’ambito psicoterapeutico.
179
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
D -dimensioni testuali
E -destinatario
F - focalizzazione
3 A -sti le
B -distanza narrativa (discorso diretto/indiretto/diretto
l ibero/indiretto libero)
C -nomi/ruoli
D - forme impersonali
E - tempi verbali
F -maiuscole
G -data e firma dell’autore
H -correzioni
I -parentesi
Al termine di questo t ipo di analisi i l nostro proponimento è stato
quello di individuare le costanti, le zone di intersezione che emergono
dallo spoglio accurato delle “Descrizioni” .
180
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Contributi narratologici
« I l sogge t to de l romanzo, i l luogo,
l ’ in terval lo cronologico,
la f requenza e la forza degl i accent i drammat ic i ,
la personal i tà e l ’ ideale de i protagonist i ,
l ’ampiezza e la natura de l conf l i t to ,
in una parola ,
la v i sione de l mondo de l l ’autore
conferi scono al racconto i l suo andamento spec i f i co »
(Bourneuf e Ouel le t , 1972) .
« I l Tasso scriveva che l ’opera le t t eraria
non è un eserc i to , non una c i t tà , ma un universo,
dove la re lazione f ra gl i e lement i è d inamica e genera v i ta »
(Cor t i , 1976) .
«L’opera d’arte è in e f f e t t i
un’organizzazione unica e i rripe t ibi le ;
spesso le si s ta davant i indugiando»
(Cor t i , 1976) .
Occorrono alcune precisazioni preliminari r ispetto ai concetti che ci
hanno aiutato nello stilare la griglia di analisi delle “Descrizioni” e che
quindi saranno d’aiuto per capire le direzioni del nostro lavoro.
Divideremo tale trattazione in alcuni argomenti principali: tratteremo
quindi del concetto di testo, dell’articolazione tra le caratteristiche di
autore, narratore e personaggi, della dinamica che intercorre tra mittente
e destinatario di un’opera. Ci soffermeremo poi sui concetti narratologici
di discorso, st ile, punto di vista e focalizzazione, tempi e spazi e infine
le concatenazioni tra fabula e intreccio.
181
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Testo
Segre (1985) presenta quelle che a suo parere sono le operazioni che con
maggior util i tà si possono applicare ad un testo. Nel nostro caso, dato
l’oggetto di interesse di questo studio, per testo intendiamo un testo
scritto, anche se tale termine ha una pluralità di rimandi e di impieghi
che spaziano dalla composizione scritta ad ogni genere di enunciato
verbale. I l termine testo può designare anche un dipinto, una danza, una
rappresentazione scenica, un fi lm, una scultura (per spingersi agli
estremi significati) .
Designa un oggetto di comunicazione in cui le parole che lo compongono
sono viste come un tessuto (dal latino “textus”, tessuto). Ogni testo può
essere visto come una successione di strati o livelli : morfologico,
fonologico, sintattico, lessicale, simbolico, enunciativo, prosodico,
metrico.
L’analisi di Segre prende spunto dalle idee di vari autori che si sono
interessati all’ambito della comunicazione e della narratologia:
Jacobson, Benveniste, De Saussure, Hjelmslev, solo per citarne alcuni.
L’assioma di partenza è che « la letteratura è una forma di
comunicazione» (Segre, 1985).
Secondo Austin (1962) 1 in ogni enunciato occorre considerare tre
diversi aspetti che si realizzano contemporaneamente: l’atto locutivo
(atto linguistico in senso proprio), l’atto i l locutivo (atto che produce
mutamenti nei rapporti tra gli interlocutori) e l’atto perlocutivo (atto non
esplicitato l inguisticamente che cerca di influenzare l’ interlocutore).
I l testo letterario costituisce un tipo di si tuazione che, a differenza della
comunicazione dialogica o colloquio, è poco legata alla situazione
immediata di emissione e quindi, più che sulle caratteristiche
perlocutive, si concentra maggiormente su quelle locutive. Viene
comunque lasciato uno spazio sottile agli aspetti perlocutivi le cui
potenziali tà non vengono sviluppate ed esaurite subito, bensì assumono
una portata il l imitata.
1 Austin, J.L. (1962). How to do Things with Words. London: Oxford University Press. Citato da Segre, C. (1985).
182
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
«La nostra esperienza del mondo, che si attua almeno in parte per il
tramite di testi , scritti e orali, tende a trasformare in testo qualunque
conoscenza, perché ogni conoscenza raggiunge la razionalità solo
mediante la verbalizzazione» (Segre, 1985).
183
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Autore, narratore e personaggi
In ambito letterario occorre distinguere nettamente il fatto che chi parla
nel racconto, i l cosiddetto narratore , non corrisponde a chi scrive nella
vita reale, ovvero a colui che possiamo identif icare con lo scrittore . Si
tratta di ruoli che richiedono di essere tenuti ben separati .
I rapporti che si istaurano reciprocamente tra queste f igure, e tra
quest’ultime, i personaggi della storia e il lettore, sono un aspetto
cruciale in ambito narratologico. Essi costituiscono uno strumento
applicabile anche al nostro ambito di interesse. Si tratta di giochi di
reciproca identif icazione e distacco che possono fornire molte
informazioni interessanti: dipende dalla distanza che viene creata tra
questi attraverso la scelta del t ipo di discorso, argomento che
approfondiremo meglio in seguito.
Arrigoni e Barbieri (1998) fanno riferimento alla r icerca di quelle
quantità variabili di inconscio che emergono all’ interno dei racconti , dei
personaggi, soprattutto di quelli meno coinvolti con l’ identità dell’autore
e che quindi subiscono una minore censura da parte dell’autore stesso.
«Parola dell’autore, parola del narratore e parola del personaggio si
alternano e si intrecciano, rendendo a volte problematico individuare
chi è l’emittente del messaggio in quel preciso momento, e che rapporto
esiste tra i tre piani discorsivi» .
I l narratore, a seconda di dove va a posizionarsi all’ interno della
narrazione, assume caratteristiche differenti: può essere un narratore
omodiegetico o eterodiegetico in base alla sua posizione rispetto alla
storia; oppure ancora intradiegetico o extradiegetico in base al suo
livello narrativo.
Questi concetti si allacciano molto da vicino alla tematica della
focalizzazione , ovvero della prospettiva narrativa che il narratore adotta
nella sua narrazione. La focalizzazione, come vedremo in seguito più
dettagliatamente, può essere di diversi t ipi e sarà un punto fondamentale
nella nostra analisi , una chiave di lettura che ci fornirà interessanti
spunti di rif lessione.
184
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
I l narratore, all’ interno della narrazione, può assolvere a funzioni di
vario tipo: da quella narrativa (che riguarda il narratore in quanto tale),
a quella di regia (r iferita alla messa in atto, da parte del narratore, di un
discorso metanarrativo tale da far r isaltare l’organizzazione interna del
testo); da quella di comunicazione (centrata sulla relazione narratore-
narratario) a quella testimoniale (relativa al rapporto affettivo tra il
narratore e la sua storia). Per finire la funzione ideologica (commenti
didattici ed esplicativi alla storia da parte del narratore).
I formalisti russi, tra i quali r icordiamo Sklovskij, Ejchembaum,
Tynjanov, Tomasevskij, hanno individuato le cosiddette “funzioni” ,
ovvero i ruoli fissi dei personaggi presenti nei racconti. Si tratta dei
ruoli attanziali r ivestiti dai personaggi i quali possono essere distinti in
alcune t ipologie a seconda degli approcci util izzati .
Secondo gli approcci “psicologisti” la dimensione del romanzo si
identif ica con quella della realtà del mondo reale: i l personaggio nel
testo viene visto come una persona reale, dotata di psicologia e carattere
propri, che entra in rapporto con altr i personaggi “reali”.
Secondo i formalisti russi invece il testo si discosta fortemente dal
mondo, è una realtà in sé: i personaggi sono subordinati alla narrazione,
al testo, ai meccanismi letterari.
Esiste poi un terzo approccio che si interessa all’ interazione testo-
lettore: i l personaggio viene visto in questo caso in modo dinamico e
pragmatico.
Riassumendo: ogni approccio propone una differente concezione del
personaggio, r ispettivamente come specchio della realtà, pura funzione
narrativa e riflesso dell’interazione testo-lettore. In quest’ultima
prospettiva è interessante la distinzione di Hamon (1972) 1 di tre
categorie di personaggi: referenziali (storici, sociali) , commutatori (spie
della presenza dell’autore nel testo) e anaforici (con funzione
organizzativa e di coesione del testo).
I l personaggio romanzesco può svolgere differenti funzioni all’interno
del racconto. Da elemento di decoro, a vero agente della storia, da
1 Hamon, p. (1972). Pour un statut sémiologique du personnage. Littérature, 6, 86-111. Citato da Bouneuf, R., Ouellet, R. (1972).
185
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
portavoce dell’autore ad essere umano fitt izio dotato di percezioni,
sentimenti, modi di esistere.
Souriau (1962) 1 distingue 6 tipi di forze o funzioni relative ai
personaggi:
-il protagonista ( la forza tematica, i l personaggio che dà all’azione il suo
primo impulso dinamico);
- l’antagonista ( la forza oppositrice, un ostacolo, un impedimento per il
protagonista);
- l’oggetto (la rappresentazione del valore, lo scopo a cui si tende oppure
l’oggetto temuto);
-il destinatore (l’arbitro che dirige l’azione: alla f ine del racconto decide
da che parte far pendere la bilancia);
- il destinatario (il beneficiario dell’azione, può eventualmente ottenere
l’oggetto anche se non è necessariamente il protagonista);
- l’aiutante (un aiuto o un impulso ad una nuova forza).
Queste sei funzioni non sempre si r itrovano all’interno dei personaggi di
ogni racconto. Alcune forze possono poi passare lungo il corso della
narrazione da un personaggio all’altro, oppure coabitare all’interno di
uno solo.
Ciò che a noi interessa nell’analisi di un romanzo sono i rapporti che
si vengono a creare e ad intrecciare, tramite gesti e parole, tra i
personaggi. Tali rapporti costituiscono un modo con cui il personaggio ci
parla di sé e degli altri a cui si relaziona.
Vi è un’interessante distinzione tra mimesi e diegesi (showing e telling):
nel caso della mimesi l’autore finisce per annullarsi nei personaggi
parlando con parole che escono dalle loro bocche; nella diegesi invece
l’autore gestisce egli stesso direttamente la narrazione, anche se la
diegesi pura non si realizza praticamente mai.
Nei testi è facile r invenire un alternarsi dei due tipi di enunciati ,
attraverso l’utilizzo di precise posizioni rispetto alla materia o tramite
l’uso della tecnica del romanzo epistolare.
1 Souriau, E. (1962). Grands problèmes de l’esthétique théatrale. Paris : CDU. Citato da Bouneuf, R., Ouellet, R. (1972).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
La distanza che si viene a creare tra autore, materia trattata e la
posizione da cui si descrivono i fatti è determinata dall’asse che
congiunge narratore e personaggio. Si parla in questo caso di punto di
vista che può presentarsi in vari modi come vedremo successivamente.
Il rapporto interpsicologico che si istaura tra autore e personaggio è per
alcuni aspetti simile a quello che caratterizza la relazione tra medico e
paziente in ambito psicoanalitico (Arrigoni e Barbieri, 1998).
Nel mettere in scena i personaggi della storia l’autore può servirsi di
due differenti tecniche di imitazione poetica formalizzate da Aristotele.
La prima viene definita diretta: i fatt i si svolgono davanti ai nostri occhi
per il tramite degli attori; la seconda invece è quella narrativa: in questo
caso il tramite è costituito dal narratore. Molti critici anglosassoni hanno
ripreso e approfondito tale distinzione per poi applicarla all’analisi del
romanzo. I termini uti lizzati corrispondono rispettivamente a scena
(scene) e riassunto (summary) .
Per completare la gamma dei procedimenti narrativi a disposizione dello
scrittore occorre aggiungere la descrizione . A cosa serve la descrizione?
Essa può innanzitutto essere deputata a stabilire il r i tmo del racconto:
può creare distensione dopo l’azione, oppure partecipare alla creazione
della suspense, oppure ancora costituire una sorta di “ouverture” per
presentare i l tono dell’opera, può assumere valore simbolico attraverso
le pause ricorrenti nel testo che creano una sorta di complicità r itmica.
Inoltre, e forse è quella più evidente, essa fa vedere, si assurge a
funzione pittorica.
187
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Mittente e destinatario
Anche per quanto riguarda il lettore occorre fare delle distinzioni
preliminari di importanza non secondaria (Eco, 1979). Possiamo avere un
lettore reale , ovvero chi legge realmente la storia, detto anche lettore
empirico, un lettore ideale (auspicato dall’autore), virtuale (che
potrebbe leggere i l romanzo) o f i t t izio (che entra all’ interno del
racconto).
Si può parlare anche di narratario , i l corrispettivo del narratore: non si
tratta di un individuo reale, ma di un essere di carta, un’istanza
discorsiva interna alla storia.
«L’opera contiene in se stessa l’immagine del lettore a cui è destinata »
(Corti , 1976). I l r iferimento al destinatario-lettore è d’obbligo.
Marion (2000) afferma che lo scrivere è un gesto che va verso l’altro e
per questo ha bisogno di un riconoscimento.
«Il versante comunicativo della scrittura risulta evidente se pensiamo a
quanto l’atto dello scrivere è sempre (dentro di noi) rivolto a un
interlocutore, i l “lettore immaginario”, destinatario del nostro atto
creativo» . E continua Marion: « l’ idea di comunicare è […]
inevitabilmente legata all’idea, sia pure globale e indistinta, di un
mondo esterno con il quale entriamo in contatto e che può suscitare un
sistema complesso di emozioni e di ansietà non sempre facili da
sostenere» .
Mittente e destinatario appartengono a tempi differenti che escludono
la loro possibile compresenza all’interno della comunicazione letteraria.
Si parla infatti di una comunicazione a senso unico caratterizzata anche
da un contatto molto lieve e da un contesto che spesso è ignoto al
lettore. Inoltre la mancanza di segnali paralinguistici quali gesti , tono
della voce, prossemica, mimica facciale, e la diversità di codice che si
crea tra chi scrive e chi legge, pongono ulteriori difficoltà.
Come contraltare abbiamo anche degli elementi nettamente positivi: la
possibilità di r ileggere più e più volte a piacimento consente di ottenere
una migliore comprensione del messaggio, non si creano vuoti di
188
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
attenzione ed è possibile effettuare verifiche su altre fonti dello stesso
autore.
L’autore è il mittente del messaggio ed è un elemento imprescindibile
della comunicazione letteraria essendone il creatore e i l garante della
funzione comunicativa. Egli inoltre, per assumere tale funzione, deve
porsi in modo particolare rispetto al destinatario: l’autore quindi è,
ancor prima che scrit tore, vera e propria autorità nella sue valenze di
promotore e garante.
Dall’altra parte abbiamo il lettore che non va confuso con il destinatario.
A questi è lasciata ampia l ibertà in quanto non esiste alcuna lettura che
possa «emarginare la libertà di immaginazione» (Segre, 1985).
Si tratta comunque di due figure, l’autore e il lettore, difficilmente
definibili e circoscrivibili all’ interno di categorie precise. Ad esempio
spesso ci si trova di fronte non all’autore reale, storico, ma a quello che
si rivela nell’opera. Lo stesso dicasi per i l lettore. Si parla in questi casi
di autore e lettore implicit i che corrispondono rispettivamente al
destinatore e al vero destinatario.
Ogni discorso va considerato come un messaggio che passa da un
mittente ad un destinatario tramite un codice comune che consenta il
passaggio delle informazioni. I due soggetti mantengono le proprie
individualità indipendentemente dalle variazioni possibil i di contesto e
contatto. I condizionamenti culturali si inseriscono nella possibilità da
parte dell’emittente di formulare messaggi e in quella del destinatario di
comprenderli .
L’autore implicito viene anche definito costruttore dell’opera. Egli
trasforma in procedimento artistico le emozioni, gli avvenimenti, le idee
personali.
I l lettore, durante la lettura dell’opera, non può esimersi dal costruirsi
un’immagine di tale scrivente, qualunque sia il modo con cui questi si
presenta.
Il destinatario può avere rapporti con l’emittente, con l’opera e con altr i
destinatari. I l destinatario costruisce un nuovo tipo di rapporto con
l’opera in quanto finisce per partecipare allo sforzo creativo dell’artista.
Con l’opera però non intrattiene mai un rapporto lineare: al suo interno
189
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
finiscono per mescolarsi relazioni che si r ifanno a diversi l ivelli :
semiologico, storico, psicologico, socio-culturale ed altr i ancora. Quindi
le nostre letture non si possono mai definire autonome, ma risultano
sempre pesantemente condizionate. Ogni testo finisce per essere un
insieme di molti testi date le innumerevoli forme di decodificazione o
destrutturazione che si verificano ad ogni lettura.
La dinamica del testo non è mai sola: ad essa si accompagna sempre
quella della lettura che pone il problema delle modalità di costruzione
dell’ immagine dell’opera all’interno della mente del destinatario.
Ricordiamo però che la competenza del destinatario può essere anche
molto diversa da quella dell’emittente e che i codici di entrambi possono
variare in modo significativo. Quindi, per essere in grado di decodificare
un messaggio, non è sufficiente la sola competenza linguistica, ma
diviene indispensabile anche quella circostanziale: essere cioè in grado
di fare presupposizioni.
La lettura non può mai essere una lettura neutra, in quanta questa è
sempre condizionata e preceduta da un’ipotesi di interpretazione, anche
se magari inconsapevole. Vari Autori hanno dato un contributo a tale
aspetto:
« la lettura stessa […] è già impegno interpretativo, perché la
trasformazione che essa opera dei significanti in segni risulta da uno
scontro tra codici di emissione e codici di ricezione, da una scelta tra
valori possibil i dei segni che non può limitarsi strettamente alla
denotazione» (Segre, 1985). E continua lo stesso Segre: « la
realizzazione del testo è […] in uno stato di continua potenzialità. I l
testo resta materia scrittoria attraversata da righe di scrit tura, inerti
f inché non vengano lette. Il testo prende a significare, e a comunicare,
solo per l’ intervento del lettore»
«L’universo dei destinatari di un’opera letteraria è il precipitato di
incessanti e spesso incontrollabili relazioni col testo» (Corti , 1976).
«Il testo è una macchina pigra che esige dal lettore un fiero lavoro
cooperativo per riempire spazi di non-detto o di già detto rimasti per
190
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
così dire in bianco, allora il testo altro non è che una macchina
presupposizionale» (Eco, 1979).
I l testo è caratterizzato dal fatto di presentare al suo interno una
grande complessità resa ancora più grande dalla mole di non-detto, cioè
di non manifesto in superficie, nell’espressione. Tale complessità
costituisce i l fulcro del lavoro del destinatario a cui viene chiesta una
cooperazione attiva e cosciente. «Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a
funzionare» (Eco, 1979).
Ogni testo ha bisogno per esistere di postulare i l proprio destinatario, sia
per poter comunicare, sia per poter esprimere tutte le proprie
potenziali tà.
I l testo viene costruito proprio in base all’ idea di “Lettore Modello”
(Eco, 1979) che l’autore si è costruito. Allo stesso tempo il “Lettore
Modello” viene costruito man mano che procede la stesura del testo.
I l narratore è una voce (“un essere di carta”). Quando l’autore scrive un
romanzo affida ad una voce il compito di raccontare la storia.
Non è sempre facile individuare il narratore, ma in ogni caso esiste in
ogni romanziere un narratore da non identif icare mai con l’autore. Ci
possono anzi essere casi in cui l’autore si distacca completamente dal
narratore.
Si può distinguere un narratore interno (personaggio della storia) da un
narratore esterno (non partecipa alla storia che racconta). Esiste poi un
narratore di primo grado (quello che racconta la storia direttamente) e un
narratore si secondo grado (quello che, come personaggio, racconta
all’ interno del racconto).
Al narratore corrisponde il narratario, ovvero alla voce che racconta la
storia corrisponde il destinatario di tale voce.
Ogni volta che si crea una storia letteraria si costruisce, come abbiamo
visto nel paragrafo precedente, un rapporto complesso tra autore-
narratore-personaggio. Si realizza un gioco di specchi, una serie di
rapporti complessi.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
192
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Discorso
Interessanti sono i diversi modi con cui vengono fatti parlare i
personaggi messi in scena dal narratore: le cosiddette «voci materiali
che attraversano il racconto» (Arrigoni e Barbieri, 1998). Abbiamo:
-un discorso diretto ( le parole del personaggio vengono riportate
fedelmente);
-un discorso indiretto ( i l narratore filtra le parole del personaggio
attraverso la sua voce);
-un discorso indiretto libero ( i l narratore coglie e r iporta in terza
persona anche le intenzioni e i pensieri del personaggio);
-un discorso diretto libero ( le voci del narratore e del personaggio si
sovrappongono perfettamente).
Per fare un esempio per ogni tipo di discorso abbiamo rispettivamente:
-Carlo pensa: ho freddo
-Carlo pensa che ha freddo
-Carlo aveva freddo
-Ho freddo
La scelta consente di stabilire una determinata distanza dal
personaggio che si r iduce man mano che si passa dal discorso diretto a
quello indiretto, indiretto libero e diretto libero. Sono indicatori
importanti della presenza a vari l ivelli dell’autore e della sua
interiorità.
Le parole assumono un differente significato a seconda del t ipo di
contesto in cui vengono pronunciate, a seconda del tipo di discorso
util izzato, del t ipo di formazione e concatenamento delle parole stesse e
delle frasi.
Analizzando nello specifico il discorso indiretto libero vediamo come
questo sia caratterizzato da contenuti di discorsi e pensieri non introdotti
da segni esplicit i , ma gestito invece dal narratore. Quest’ult imo
manifesta chiaramente il fatto che non si tratta di pensieri suoi, bensì del
personaggio di cui sta parlando in quel momento. Esso è caratterizzato
dalla mancanza dei verba dicendi (come succede nel discorso indiretto) e
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
dal fatto che l’autore degli enunciati non viene indicato col pronome io,
ma con quello di terza persona (come succede nel discorso diretto).
La scelta del t ipo di discorso non costituisce un meccanico passaggio
da una forma all’altra o una scelta causale. Essa nasconde ed implica
fortemente un determinato orientamento del mezzo di espressione
linguistica utilizzato: è come se il discorso disponesse di leggi proprie.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Stile
Un’altra distinzione interessante è quella che risale a De Saussure
(1916) 1 : langue e parole , ovvero codice e messaggio . Anche questo
concetto si collega alla distanza narratore-personaggio e in questo caso
parliamo di scarto dalla norma.
«La parole, nel momento in cui nasce dalla langue, la usa, la distorce,
la ricrea. Nello spazio che separa le due sfere del codice e del
messaggio, della lingua e dello stile, si materializza uno scarto che
sfugge al controllo della razionalità dell’autore, e che permette al suo
preconscio o al suo inconscio di lasciare tracce che aspettano di essere
colte e interpretate» (Arrigoni e Barbieri, 1998).
La distanza tra codice e messaggio si manifesta attraverso lo stile
util izzato dall’autore nella narrazione.
Tutti gli autori che si occupano di linguaggio fanno uso di tale
distinzione. Abbiamo quindi una langue definita lingua di comunicazione
come isti tuto sociale. Implica la volontà di comunicare, di farsi capire,
di usare un codice condiviso. È una comunicazione condivisa.
E poi la parole , ovvero l’aspetto individuale della langue:
appropriandosene la si attualizza. È quello che usiamo quando parliamo.
Non si dà l’una senza l’altra. Una dà per scontato che esista l’altra,
altr imenti entrambe non esisterebbero.
All’interno di un romanzo, o comunque all’ interno dei generi letterari,
è difficile, se non impossibile, fornire una definizione precisa e unitaria
dello stile uti lizzato.
«L’autore non comunica soltanto riflessioni e sentimenti propri, ma
inventa un mondo, con situazioni e personaggi, riferisce direttamente o
indirettamente discorsi» (Segre, 1985). Incontriamo così nei vari testi
una contaminazione continua di stil i gestit i dal narratore. Bachtin
(1963) 2 parla a questo proposito di “testo sti l isticamente pezzato” , che
11 De Saussure, F. (1916). Corso di linguistica generale. Bari: Laterza. Citato da Volli, U. (1994).2 Bachtin, M.M. (1963). Problemy poetiki Dostoevskogo. Moskva: Sovetskij Pisatel’. Citato da Segre, C. (1985).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
varia in base alla persona che sta parlando e all’orizzonte visivo da cui
si guardano fatt i e luoghi.
Infine un romanzo può essere composto in due modi: orizzontalmente ,
in quanto successione di episodi nei quali si esplica una serie di eventi
r iguardanti vari personaggi, motivi e temi che possono in diversi modi
intersecarsi e trasformarsi; verticalmente , in cui ogni episodio organizza
gli elementi appena visti in proporzioni e ordini variabili .
La scelta dell’una o dell’altra modalità non è casuale e lascia trasparire,
come del resto anche rispetto allo sti le impiegato, le intenzioni
comunicative del messaggio di chi scrive.
196
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Punto di vista e focalizzazione
Henry James (1947) 1 ha proposto alcune idee in merito al concetto di
punto di vista. Chi scrive, a suo parere, deve cercare di i l ludere chi
legge della presenza di un processo reale. Questo può avvenire
inquadrando i fatt i ora nella coscienza di un personaggio, ora in quella
di un altro. A suo avviso occorre cioè evitare la neutrali tà del narratore
che conosce tutto (onnisciente) molto usato nell’epopea classica.
Abbiamo quattro diversi modi di vedere e raccontare la storia. Può
esserci:
-un narratore omodiegetico: presente come personaggio nella storia;
-un narratore eterodiegetico: assente dalla storia;
-un narratore intradiegetico: che analizza gli avvenimenti dall’ interno;
-un narratore extradiegetico: che analizza gli avvenimenti dall’esterno.
Le prime e le ultime due categorie si possono incrociare fornendo varie
tipologie di narratore:
1-omodiegetico-intradiegetico: l’eroe racconta la sua storia
2-omodiegetico-extradiegetico: un testimone racconta la storia
dell’autore
3-eterodiegetico-intradiegetico: l’autore onnisciente racconta la storia
4-eterodiegetico-extradiegetico: l’autore racconta la storia dall’esterno.
Dopo il concetto di punto vista affrontiamo quello di prospettiva
narrativa, ovvero il rapporto che intercorre tra la quantità di
informazione di cui è in possesso il singolo personaggio e quella di cui
invece usufruisce il narratore. Esiste comunque una certa
sovrapposizione con il concetto di punto di vista e spesso i due termini
vengono confusi e util izzati come sinonimi.
Quando facciamo riferimento alla prospettiva narrativa parliamo di
focalizzazione ovvero, per dirlo con Genette (1972), « i l luogo o la
persona nella cui prospettiva o campo di visione la narrazione è
condotta» .
1 James, H. (1947). The art of novel. Trad.it. in A. Lombardo (a cura di)(1956). Le prefazioni. Venezia: Neri Pozza. Citato da Segre, C. (1985).
197
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Il punto di vista non si r iferisce solamente all’istituzione di personaggi o
modi, ma riguarda anche e soprattutto continui cambiamenti nella
focalizzazione operata dall’autore nel testo. Questi non può esimersi
dall’avvicinarsi di volta in volta ai vari personaggi e, così facendo,
limita la sua visuale a quella del personaggio stesso. Ciò avviene anche
nei casi in cui il testo parta con l’ intenzione di dotarsi di un narratore
onnisciente e imparziale. Si viene a creare quindi un meccanismo
continuo di avvicinamento-distanziamento rispetto ai personaggi: da una
parte l’autore lascia alle sue creature un’apparente piena autonomia di
parola e movimento, dall’altra vuole entrare nella storia per esplicitare
le proprie adesioni e dissensi.
I l discorso è per ovvie ragioni legato strettamente alla situazione in cui
avviene la sua emissione: si tratta del lato pragmatico della
comunicazione.
Tale situazione può subire messe a fuoco di vario genere a seconda della
distanza prescelta.
Genette ha condotto un’attenta analisi relativa al problema del “punto
di vista”. Si tratta di una problematica riferita alle tecniche narrative che
è stata molto studiata già a partire dalla f ine del diciannovesimo secolo.
Purtroppo però tali studi hanno portato a tentativi di classificazione che
manifestano una confusione di termini tra “modo” e “voce” . Ovvero non
vi è chiarezza nella distinzione tra il problema del punto di vista
propriamente detto, della prospettiva, di chi vede e il problema
dell’ identità del narratore, di chi parla: si tratta evidentemente di
questioni alquanto differenti che andrebbero tenute ben distinte.
Parlando quindi del “modo” Genette distingue tre t ipi di focalizzazione
rifacendosi alla terminologia già utilizzata da Jean Pouillon (1946) 1 :
parla di focalizzazione zero (visione alle spalle) , interna (visione con) ed
esterna (visione dal di fuori).
-zero/alle spalle : l’autore non si pone all’ interno dei personaggi, ma
cerca di distaccarsi da questi per cercare di considerarne obiettivamente
gli aspetti interiori (non per vederlo dal di fuori) . È usata in generale dai
1 Pouillon, J. (1945). Temps et roman. Paris: Gallimard. Citato da Bourneuf, R., Ouellet, R. (1972).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
romanzieri dell’800, specie da Balzac e Manzoni. Il narratore sa tutto:
conosce i l passato, i l presente e il futuro dei personaggi, i loro pensieri.
Addirittura ne sa anche di più dei personaggi;
- interna/con : scelta di un solo personaggio che costi tuisce il centro del
racconto e dai cui occhi vediamo gli altr i . Si tratta di un narratore che
vede e sente gli avvenimenti narrati con gli occhi e i sentimenti di un
personaggio e che quindi conosce solamente ciò che conosce quel
determinato personaggio. Tale focalizzazione può essere di tre tipi: f issa
(tutto è visto da un solo personaggio), variabile (ci sono più personaggi
che diventano di volta in volta focali) e multipla ( lo stesso avvenimento
è visto successivamente con gli occhi di più personaggi);
-esterna/dal di fuori : si coglie nello stesso tempo il comportamento
osservabile, l’aspetto fisico del personaggio e il suo ambiente di vita.
Questi sono considerati i r ivelatori dell’interiorità psicologica del
personaggio. I l narratore descrive solo ciò che vede e null’altro e ha una
conoscenza inferiore a quella dei personaggi. È una focalizzazione tipica
dei racconti di Hemingway.
Ristringendo l’analisi possiamo riassumere e concludere affermando
l’esistenza di due diverse posizioni occupabili dal narratore: quella nella
storia oppure quella fuori dalla stessa.
«[…] la vanità di qualsiasi giudizio di valore espresso a priori su questo
o quel modo di narrazione. Ciò che chiamiamo onniscienza o il realismo
soggettivo non sono in sé tecniche inferiori o superiori , ma i soli mezzi
di rendere due dif ferenti visioni del mondo» (Bourneuf e Ouellet, 1972).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Tempi e spazi
Un romanzo può accogliere al suo interno narrazioni r iguardanti
avventure, descrizioni, r if lessioni personali… il tutto scegliendo un
ritmo proprio, estremamente libero oppure seguendo un’organizzazione
rigorosa.
Weinrich (1964) 1 apre una discussione circa l’util izzo dei tempi
verbali. Egli distingue tempi narrativi ( imperfetto, passato remoto,
trapassato prossimo, condizionale) e tempi commentativi (presente,
passato prossimo, futuro). L’alternarsi di tali verbi lungo il testo serve
per distinguere le parti diegetiche da quelle descrit tive.
La scelta dei tempi quindi è un indicatore dell’atteggiamento dello
scrittore rispetto alla materia narrata.
Di fronte ad un romanzo occorre considerare tre diversi tempi: i l
tempo dell’avventura (riferita alla storia raccontata), della scrittura
(riferita all’intreccio) e della lettura .
È utile anche distinguere due tecniche narrative che consentono di
eseguire dei salt i temporali all’ interno del racconto: prolessi e analessi .
La prima è un’anticipazione di un avvenimento successivo al momento
della storia in cui ci si trova. La seconda, al contrario, è una
retrospezione, evocazione successiva ad un avvenimento anteriore a quel
momento. Tali tecniche saranno riprese rispetto alla distinzione tra
fabula ed intreccio.
Un’altra tecnica che può essere impiegata dal narratore è l’ ellissi
ovvero l’eliminazioni di qualcosa. Si tratta, a livello narrativo, di un
vero e proprio “salto” rispetto ad alcuni momenti della storia che non
vengono narrati . Ad esempio un personaggio si addormenta e si sveglia
la mattina dopo: in questo caso l’ellissi r iguarda tutto ciò che è accaduto
durante la notte. L’ellissi può anche essere di t ipo grammaticale e in
questo caso si tralasciano non avvenimenti, ma porzioni di frasi come il
soggetto o il verbo.
1 Weinrich, H. (1965). Tempus. Le funzioni dei tempi nel testo. Bologna: Il Mulino, 1978. Citato da Segre, C. (1985).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Per quanto riguarda poi i t ipi di collegamenti che legano le
proposizioni di un testo, e di conseguenza le vicende narrate, possiamo
distinguere due tipi di collegamenti: abbiamo i collegamenti cronologici
in cui il legame tra gli avvenimenti viene fatto in base alla loro
successione normale nel tempo; e poi i collegamenti logici , in questo
caso i legami prescindono dal tempo e vengono costruiti sulla base dei
loro rapporti di significato o su altri aspetti che li collegano.
La dimensione temporale costituisce un asse d’analisi da non
sottovalutare e da cui l’atto linguistico non può assolutamente
prescindere in alcun modo.
L’elemento spazio presente nei racconti non può essere assolutamente
considerato un elemento accessorio. Anzi, al contrario, esso riveste una
molteplicità di significati e a volte, spinto alle sue estreme conseguenze,
può costi tuire addirittura il fulcro dell’opera. Abbiamo già visto gli
svariati significati della descrizione che nasconde differenti funzioni
narrative.
201
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Fabula e intreccio
Secondo Segre (1985) con il termine fabula intendiamo «un insieme di
motivi nel loro logico rapporto causale-temporale» , mentre con quello
di intreccio si designa « l’ insieme degli stessi motivi nelle successione e
nel rapporto in cui sono presentati nell’opera» .
I l procedimento di cominciare a narrare i fatti di un racconto partendo in
medias res è molto antico, risalente alla tradizione letteraria più antica.
Consiste nel narrare i fatt i non seguendo l’ordine puramente cronologico,
ma cominciando da un punto centrale per poi comunicare gli avvenimenti
iniziali mano a mano che la narrazione prosegue tramite f lashback. Si dà
inizio al racconto quando l’azione ha già preso il via. Nel corso della
narrazione si tornerà per fini esplicativi all’epoca anteriore in cui sono
avvenuti i fatti precedenti non ancora raccontati , ma spesso dati per
scontati . I l r iferimento alle tecniche sopra esposte di prolessi e analessi
è abbastanza esplicito.
La differenza tra fabula e intreccio è stata ampiamente indagata dai
formalisti russi ( la critica anglosassone uti lizza i termini equivalenti di
plot e story) . Per intreccio intendono l’esposizione degli avvenimenti
narrati nell’ordine in cui sono proposti nel testo; per fabula invece fanno
riferimento all’esposizione degli stessi accadimenti ma in ordine
cronologico e logico, è una sorta di r iordinamento dell’intreccio che
tende a ricostituire quei nessi spezzati nella narrazione.
E ancora: l’ intreccio è la storia come viene effettivamente raccontata nel
testo, con anticipazioni e flash-back, descrizioni e rif lessioni; la fabula
costituisce lo schema cardine della narrazione, i l corso ordinato
temporalmente degli eventi, la logica delle azioni dei personaggi e non
(oggetti inanimati, idee…).
Oltre ad essere una forma di r iordinamento però la fabula è un vero e
proprio atto di individuazione del valore funzionale delle azioni e quindi
di costruzione del modello narrativo grazie ai concetti di ordine, durata e
frequenza (le tre manifestazioni fondamentali della temporalità) . L’uso
di questi espedienti fa parte dei poteri di cui il narratore si investe nella
stesura del racconto.
202
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Quando si parla di intreccio non ci si r iferisce tanto ai personaggi quanto
alla concatenazione degli episodi e al montaggio della struttura
narrativa.
Scholes e Kellog (1966) 1 distinguono il termine storia da quello di
intreccio in modo diverso: il primo è più generale e distingue personaggi
e azione; il secondo è più specifico e fa riferimento alla sola azione.
L’intreccio è una concatenazione di fatti che poggia le sue fondamenta
su una tensione interna tra tali fatti . Essa esiste f in dall’ inizio della
narrazione, va mantenuta durante lo sviluppo e conclusa tramite una
soluzione nell’epilogo.
Al romanziere è demandato i l compito di decidere di quale forza e
intensità dotare tale tensione a seconda degli obiettivi estetici del
narratore.
L’intreccio ha lo scopo di preparare le attese del “Lettore Modello” a
l ivello della fabula, costruendo situazioni di attesa nelle vicende del
personaggio.
La scelta di qualunque tipo di intreccio, e quindi di determinati spazi e
tempi narrativi , comporta sempre ed inevitabilmente la r inuncia ad un
altro tipo di intreccio. Tale scelta fa parte della cosiddetta competenza
artistica. La competenza dell’artista ha come contraltare quella dei
destinatari i quali sono così in grado di comprendere l’ intreccio e magari
prevederne l’evoluzione. La fabula può essere considerata la struttura
profonda del racconto, mentre l’intreccio può essere visto come la
macrostruttura dell’opera stessa. «[…] ogni fabula possa essere
squartata e diversamente ricomposta, per cui ogni intreccio e di
conseguenza ogni racconto su di esso costruito è potenzialmente nella
coscienza di chi lo idea intercambiabile con altri» (Corti , 1976).
1 Scholes, R., Kellog, R. (1966). La natura della narrativa. Bologna: Il Mulino, 1970. Citato da Bourneuf, R., Ouellet, R. (1972).
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Risultati
Dall’analisi delle “Descrizioni” , servendoci della griglia esposta sopra e
delle indicazioni tratte dai contributi narratologici presentati , abbiamo
tratto alcuni aspetti ed elementi che ora andiamo a presentare.
Seguendo gli elementi inseriti nella griglia cominciamo con l’indagare la
parte relativa all’analisi tematica con le sottocategorie corrispondenti.
Partiamo con l’analisi dei personaggi. Quelli che vengono scelt i nelle
descrizioni sono pressoché in tutt i i casi membri della famiglia. Dal
nucleo familiare r istretto si fanno rapide menzioni di parenti o di
persone che gravitano intorno alla vita del bambino. I l protagonista
principale r isulta essere il bambino anche se non sempre si r iesce a
r icavarne un’immagine articolata e chiara. Appare più una figura
costante, ma quasi invisibile, come se fosse tenuta nascosta.
Indagando le caratteristiche dello spazio e del tempo (ciò che noi
abbiamo definito contesto) r isalta come in parecchie “Descrizioni” si
faccia molto riferimento ai momenti trascorsi nel “lettone”, sia al
r isveglio che al momento di coricarsi. Si tratta di momenti molto dolci e
di grande tranquillità che non a caso costituiscono le due forme di
equilibrio dei diari, quella di partenza e quella f inale. Torna spesso
anche la descrizione di spazi aperti solitamente coperti attraverso una
passeggiata o un giro in bicicletta. Per lo più gli spazi descritti sono
quelli casalinghi con le attività connesse ai vari ambienti della casa.
Il concetto di tempo, come abbiamo visto, è molto scandito, spesso
evidenziato e utilizzato quasi come il t i tolo di una porzione di testo. Si
tratta nella maggior parte di casi di un tempo lineare che comprende
tutta la giornata focalizzandosi sui momenti più significativi come i
pasti , i preparativi della mattina e della sera.
Le giornate descritte seguono poi due modalità ben distinte. Abbiamo
cioè “Descrizioni” che fanno riferimento a giornate “eccezionali” (week-
end, festività di vario tipo) ed altre che invece si rifanno ad una giornata
“standard”, per intenderci una classica giornata lavorativa
infrasettimanale. Su 19 descrizioni disponibili risulta molto omogenea la
204
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
distribuzioni dei due tipi di narrazione: 9 descrivono una tipica giornata
lavorativa, 10 una giornata di festa, solitamente il sabato o la domenica.
È interessante notare come la consegna sia molto libera e si presti a
svariati usi e interpretazioni da parte dei genitori. Essi sono liberi di
decidere se fare riferimento ad un tipo o all’altro di giornata e la loro
scelta è significativa. Optare per un giorno di festa o per una domenica
potrebbe essere un primo indicatore di idealizzazione, tutto va bene,
tutto è bellissimo e perfetto, oppure nascondere la paura del giudizio
altrui r ispetto magari al poco tempo trascorso con il bambino. La
consegna è stata effettuata dal sottoscritto in veste di futuro psicologo e
questo può avere riattivato nei genitori quelle dinamiche persecutorie e
valutative vissute durante l’ indagine socio-psicologica per l’ottenimento
del bambino. Visualizzare una giornata di festa, nei suoi connotati di
gioia, euforia e comunione familiare, sicuramente è molto più
rassicurante e fornisce un’immagine più positiva di genitore e di armonia
familiare r ispetto alle difficoltà che si incontrano durante il lavoro e la
vita quotidiana. D’altro canto potrebbe trattarsi anche di una scelta
mirata per poter fornire una descrizione più ricca aumentando in tali
frangenti la quantità di tempo trascorsa con il bambino.
I racconti poi presentano una grande differenza che possiamo
sintetizzare in due categorie. Ci sono genitori che dedicano un ampio
spazio a tutte le difficoltà che devono affrontare durante la giornata. Si
tratta spesso di elenchi lunghi, vissuti con stanchezza e nella speranza
continua di una piena risoluzione, specie per alcuni problemi specifici
del bambino.
Altre descrizioni invece appaiono totalmente solari e posit ive, senza il
minimo riferimento ad alcun tipo di problematica. Ogni momento della
giornata appare in tutta la sua gioia e naturalezza. La contrapposizione
tra le due tipologie di descrizioni è evidente e possono venire proposte
varie ipotesi esplicative. Innanzitutto la variabilità nel carattere dei
bambini, e nella percezione della fatica nei genitori. È però opinione
diffusa che il compito di genitore, naturale come adottivo, r ichieda un
carico di stress notevole e un mutamento delle abitudini precedenti
spesso drastico che si ripercuote su tutta l’organizzazione della vita
205
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
familiare. Un’altra spiegazione può rintracciarsi nel desiderio di non
voler far trasparire elementi che rimandano ad un qualche tipo di
difficoltà nella gestione del bambino. Un’altra ancora può essere dovuta
ad un meccanismo di idealizzazione che non consente di r iconoscere gli
aspetti faticosi ma ineliminabili dell’essere genitore.
Sottolineiamo come, nella maggior parte delle “Descrizioni” che
appartengono alla prima tipologia, la parte dedicata all’elencazione delle
difficoltà incontrate ha spesso come contraltare l’esternazione di un
grande sentimento di gioia e soddisfazione che ripaga ampiamente dei
sacrifici fatti . Gli abbracci e le manifestazioni di affetto sono elementi
che tornano nei racconti dei genitori e che spesso vengono identificati
come il momento clou della giornata, seppur nella sua brevità:
“i cinque minuti d’oro” (M5),
“al r isveglio è i l tr ionfo del la dolcezza nei nostri confronti” (P6).
Vediamo ora gli elementi legati all’analisi strutturale .
La struttura dei diari segue uno schema abbastanza standard: si parte
con la rottura di un equilibrio (solitamente il r isveglio del mattino), vi è
poi tutta una serie di eventi ed azioni svolte che sfociano nuovamente in
un’altra rottura che giunge infine ad una forma di riequilibrio tendente
al l ieto fine.
L’aspetto strutturale viene a volte evidenziato dal r icorso ad indicatori
di una lista di punti (-) , come se si trattasse di una scaletta da seguire o
di appunti da ricordare.
I collegamenti esistenti tra le proposizioni che compongono i testi
sono in stragrande maggioranza collegamenti di t ipo cronologico, con
grande enfasi affidata alla scansione temporale della giornata. I
collegamenti logici vengono utilizzati quando si vogliono precisare dei
punti o delle si tuazioni personali.
A volte la narrazione tende poi a configurarsi come una narrazione di
t ipo indiziario: sembra che i genitori vogliano seminare qua e là degli
indizi, delle informazioni che poi non vengono raccolte.
206
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Alcuni genitori fanno uso della tecnica dell’ell issi omettendo porzioni
anche significative di racconto:
“Cena. Dopocena si gioca un po’” (P6).
Questo potrebbe essere un indicatore del tentativo di mettere in gioco il
destinatario del loro racconto, i l lettore che, come vedremo in seguito,
può venire ipotizzato in modo molto diverso da genitore a genitore.
Non abbiamo rinvenuto alcun tipo di analessi o prolessi e quindi
l’ intreccio proposto corrisponde sempre alla fabula. Emergono solo
sporadiche sospensioni del racconto dovute ad alcune descrizioni che
fungono da spiegazione per alcuni elementi significativi della vita
familiare.
Alcune “Descrizioni” sono molto prolisse, andando ad occupare tutte
le quattro facciate consegnate (anche se non vi è stata un’esplicita
indicazione riguardo la lunghezza del racconto e neppure una l imitazione
trattandosi semplicemente di ordinari fogli bianchi in formato A4); altre
sono estremamente sintetiche con racconti di poche righe a volte scritt i
anche in stampatello. In quest’ult imo caso possiamo ipotizzare
l’emergere di una certa difficoltà nell’esplicitare sentimenti e situazioni
che a questi sono strettamente collegati. Si tratta di racconti sintetici,
r idotti al massimo che contengono indicazioni spesso arbitrarie, non
richieste e che non sono molto legate al resto delle proposizioni scelte:
“Il maschio frequenta una scuola di calcio. La femmina una di judo” (P7).
Da sottolineare come la lunghezza dei testi sia spesso simile tra i due
coniugi.
Per quanto riguarda i l destinatario di tali descrizioni abbiamo
individuato tre tipi diversi di ipotetici lettori: un operatore/psicologo, un
genitore, sé stessi.
Abbiamo visto come alcuni racconti siano estremamente concisi, quasi si
avesse timore di esprimere qualcosa o di descrivere determinate
situazioni. Oppure abbiamo osservato descrizioni in cui è completamente
assente un riferimento a qualunque tipo di difficoltà nella vita in
207
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
famiglia con l’arrivo del bambino. Potremmo interpretare tale dato come
il t imore di un’ennesima valutazione da parte di un operatore, ruolo che
nelle menti dei genitori i l sottoscritto probabilmente ha esercitato.
Altre “Descrizioni” ci appaiono destinate ad altr i genitori, a persone che
possono condividere con loro le difficoltà e le gioie dell’essere genitore.
Altri ancora invece mi paiono delle rif lessioni personali, come fare il
punto della situazione, t irare le somme. Spesso i giudizi conclusivi che
riassumono un po’ lo stato d’animo dei genitori paiono rivolti più a loro
stessi che a qualcun altro. Si tratta in questo caso di una scrittura direi
r iflessiva, per fermarsi un attimo a pensare interrompendo i r itmi
frenetici imposti dalla giornata fuori e dentro la famiglia. Anche il t ipo
di lessico util izzato ci fornisce indicazioni rispetto al destinatario con
toni più o meno formali e ricercati a seconda che i l r iferimento sia ad un
ipotetico operatore o genitore.
L’aspetto più interessante di tutta la nostra analisi riguarda
sicuramente la focalizzazione. Come abbiamo già visto si tratta della
prospettiva da cui viene effettuata la narrazione che può essere di tre
tipi: zero , interna ed esterna . I genitori che hanno eseguito la consegna
mostrano una focalizzazione che possiamo definire di t ipo “misto”. Essi
non propendono né per l’uno né per l’altro tipo di focalizzazione bensì
passano da una all’altra manifestando forse una sorta di meccanismo
difensivo. In partenza tendono ad utilizzare una focalizzazione zero
ponendosi come narratori onniscienti. Poi passano ad una focalizzazione
di t ipo esterno con descrizioni che assomigliano molto ad un referto, a
volte con interpretazioni dei sentimenti, mescolata ad una
focalizzazione interna, simile a quella onnisciente ma con più cautela.
L’impressione è che tali soggetti mettano in atto delle difese perché
restii a mettersi in gioco in prima persona e ad andare a fondo nel
descrivere le emozioni del bambino. L’onniscenza verrebbe abbandonata
come per t imore di andare in quel modo a toccare delle verità difficili da
gestire, anche solo sulla carta.
«Il narratore mira ad una focalizzazione zero perché vuole avere i l
controllo totale della materia narrativa, ma sembra fermarsi un po’
prima, evidentemente perché ciò che sta indagando può nascondere
208
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
qualche aspetto inquietante che preferisce lasciare nascosto. Ed allora
ecco trovare la soluzione “in corner” della focalizzazione interna o più
spesso di quella, più rassicurante, esterna» (Barbieri, 2002,
comunicazione personale).
I l fatto che alcune descrizioni abbiano l’aspetto di una specie di
programmazione della giornata di un vil laggio turistico, con orari
scanditi r ispetto a determinate impegni ed azioni, è un altro indicatore
del tentativo di ottenere un senso di controllo sulla situazione.
Infine trattiamo la parte dedicata all’analisi l inguistica .
Ci ha colpito l’uso molto frequente di avverbi di tempo come “sempre”
e “mai” che hanno evidenti componenti estreme:
“è sempre fel ice” (P1),
“il mio bimbo è sempre al legro… la giornata comincia sempre bene” (M3).
Spesso tali avverbi si accompagnano a descrizioni idill iache che
rimandano a immagine di pace e tranquillità:
“tutto sembra speciale…in cui tut t i sono fel ici…è bello scambiarsi una
stret ta di mano” (P1),
“siamo tanto fel ici” (M3).
Per quanto riguarda i l t ipo di discorso utilizzato abbiamo visto che ne
esistono quattro tipologie: diretto , indiretto , indiretto libero , diretto
libero .
L’uso di quello diretto garantisce una maggiore distanza dalla persona di
cui si sta parlando e dalla situazione specifica con i connotati affettivi
che questa implica. I l discorso indiretto coinvolge maggiormente i
sentimenti dell’altro, ne riserva una spazio più ampio. Abbiamo notato
nel nostro gruppo di analisi come spesso il discorso diretto sia
accompagnato da un commento. Questo garantisce al genitore ancora una
volta una sorta di controllo.
209
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Alcuni genitori lasciano spazio alle parole del bambino, spesso con frasi
infantili che ne amplificano gli aspetti di tenerezza:
“Mamma, lat te!…Mamma, via lacci…Io primo… È mia maglia bel la” (M2),
“Sì tata…Atte!! …Io biciclet ta papà… mamma mil la” (P2),
“Mammiii i i ina… Te l ’avevo det to che tornavo!! … Non ce l ’ho!…Non mi
serve!” (M5),
“Quando hai mangiato la pappa t i vengo a prendere… hai visto che sono
venuto a prendert i” (ripetendo le parole del padre) (P5),
“Perché io devo andare a let to e tu e papà state in casa a guardare la
televisione” (M6).
Per quanto riguarda l’uso dei nomi e dei ruoli vediamo spesso l’enfasi
posta sui termini mamma e papà.
Spesso i genitori parlano di sé stessi facendo riferimento a dei modelli .
Si tratta di modelli che possiamo definire “ibridi” e che risalgono spesso
al mondo delle favole e dei cartoni animati. Sembra che i genitori
vogliano cercare visioni alternative per definirsi e a cui fare r iferimento,
e in questo tentativo finiscano per travalicare nel mondo del fantastico e
dell’ immaginato. Tali modelli sembrano possedere caratteristiche
rassicuranti:
“dice che io sono come Mufasa cioè i l padre del leoncino” (M5),
“riesci ad arrampicart i sugl i alberi come Mogli” (M2),
“come nel la s toria di Cenerentola ” (P1).
Per quanto riguarda il modo con cui si fa r iferimento al bambino
compare spesso il pronome personale di terza persona lui/lei:
“lui non è mai musone neanche appena sveglio… lo vado a riprendere e lui
mi corre incontro fel ice” (M5).
210
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
I coniugi tendono a riferirsi l’un l’altro con il termine moglie e marito:
“lo sveglio io mentre mia moglie… quel lo che speriamo io e mia moglie ”
(P5).
Ci si riferisce ai bambini, nella stragrande maggioranza dei casi, oltre
che con il pronome di terza persona (lui/lei) , anche con il termine
“bimbo”/”bambino”. Solamente in quattro descrizioni, tutte eseguite da
padri, compare l’indicazione del ruolo di figlio (P1, P8, P9, P10). Solo
7 genitori utilizzano il nome proprio del bambino (P1, M2, P2, P3, P4,
P5, P9) e anche in questo caso c’è una netta prevalenza da parte dei
padri.
In alcuni casi l’altro coniuge non trova spazio non essendo nemmeno
nominato o dato implicitamente per scontato (M3, P3, M4, P7, M8, P8).
Nelle restanti “Descrizioni” invece si fa r iferimento al partner
util izzando perlopiù i termini di ruolo mamma e papà. Da notare che solo
i padri fanno riferimento alle madri con il termine “mia moglie” (P1, P2,
P4, P5) mentre non avviene lo stesso a ruoli inverti ti fatta eccezione per
un caso (M5): le madri cioè tendono ad enfatizzare maggiormente
l’aspetto paterno più che quello coniugale.
Abbiamo rinvenuto l’uti lizzo di molte forme impersonali:
“si sa che i bambini amano… si fa un po’ merenda, s i gioca, o s i esce se
c’è i l sole” (M4),
“si fa la doccia, ci si r i lassa un poco e dopo ci si prepara per la cena”
(P4),
“si va tut t i sul let tone” (M6),
“si decide cosa fare e spesso tut t i insieme ci si muove” (P6),
“si parte per la scuola… si pranza al le… si va tut t i e tre nel nostro
negozio” (M8),
“si prova a riaddormentarsi… si esce insieme… tutto quel lo che si ha
voglia di fare” (M9),
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“si sta bene… si sa” (P1).
Tali frasi potrebbero fungere da “deresponsabilizzatori” e garantire la
sensazione di essere appoggiati da un pensiero condiviso.
Frasi impersonali tornano nelle chiusure dei racconti quando si
esprimono giudizi che spesso sono fortemente connotati emotivamente:
“anche se non si fa niente di part icolare stare tut t i e tre insieme è
importante” (M9),
“le giornate con F. sono molte piene e si arriva al la sera anche stanchi , ma
riconosco che si trat ta di una stanchezza carica di fel ici tà” (P4).
Troviamo anche conclusioni che non trattano di momenti particolari e
manifestano la difficoltà nell’esprimere i sentimenti:
“mi dispiace non trasmettere tut t i quei momenti pieni di emozioni e fel ici tà
che comunque si creano anche in una normale quotidiani tà” (P6).
Oppure ancora si manifestano speranze per miglioramenti futuri r ispetto
alle problematiche legate al bambino e ai ritmi della vita:
“con la speranza che ci siano dei passi in avant i” (M5),
“Questo almeno è quel lo che speriamo” (P6).
Torna quindi la necessità di sentirsi uguali agli altr i , di r ientrare
all’ interno di una genitorialità cosiddetta normale.
A volte al posto di frasi impersonali i genitori si servono di frasi che
hanno per soggetto un oggetto o un’azione ottenendo lo stesso risultato:
“Colazione tranquil la…Una videocasset ta al giorno è concessa” (M9),
“cominciano i giochi… la doccia è un al tro momento molto bel lo…il r i torno
a casa per preparare” (P9),
“viene l’idea… l’accoglienza è calorosa… qualcuno guarda l ’ora ” (P1),
212
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
“i l lat te viene bevuto tut to… la vogl ia di cambiarsi i l pannolino e di
vest irsi non c’è … quattro occhi tr is t i tr is t i che mi guardano” (M2).
Analizzando il t ipo di utilizzo dei tempi verbali eseguito dai genitori
non abbiamo riscontrato particolari aspetti significativi, con azioni
descritte perlopiù al tempo presente. Tale scelta, oltre ad essere molto
frequente in una narrazione, può essere dovuta al fatto che i genitori
descrivano una situazione che viene a ripetersi nel tempo, un modello di
giornata, sia essa lavorativa o di festa, che non ha una collocazione
temporale definita.
Per quanto riguarda l’uti lizzo delle lettere maiuscole non abbiamo
rinvenuto nessuna tendenza significativa. Solo all’ interno di una
“Descrizione” (P1) vi è l’uso quasi sistematico della lettera maiuscola
per indicare nomi e ruoli corrispondenti, ma anche in quel caso non ci
sembra un indicatore significativo.
Alcune “Descrizioni” presentano la firma dell’autore. Nell’inserire
tale aspetto all’ interno della griglia abbiamo ipotizzato che la firma
potesse essere un indicatore uti le rispetto ad alcuni fattori: ad esempio la
responsabilità, i l r iconoscimento dell’autore del racconto. Le sole
quattro firme rinvenute però non permettono di trarre alcuna conclusione
in merito a tale scelta. È significativo però i l caso di una “Descrizione”
(M3) in cui la madre si f irma non con il proprio nome, ma con il ruolo
da lei assunto, ovvero “La mamma”. Sarebbe interessante poter
verificare se con un campione più numeroso tale dato compare con
maggiore frequenza. Esso potrebbe essere un indicatore del desiderio di
r iconoscimento genitoriale come abbiamo visto rispetto all’uso dei nomi
e dei ruoli.
Abbiamo esaminato anche le correzioni che sono state apportate alle
“Descrizioni” dagli stessi genitori . Esse potevano fungere da indicatori
di possibil i difficoltà nell’esplicitare emozioni o argomenti. Ne abbiamo
rinvenute pochissime anche perché alcuni genitori si sono serviti di altri
fogli che hanno elaborato al computer impedendo la verifica di eventuali
correzioni. Anche questa ipotesi quindi non ha dato i frutti sperati
r isultando le correzioni un aspetto irri levante.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Abbiamo constatato poi la presenza di svariate frasi parentetiche e
anche di frasi esplicitamente messe tra parentesi:
“(grandi risate)…(questo invece devo lavarlo io tra tant i brontolamenti)”
(M2).
Queste possono essere lette come un meccanismo difensivo che permette
di controllare le emozioni oppure come un altro espediente uti lizzato dai
genitori per fornire ulteriori specificazioni alla narrazione.
Alcune parti delle “Descrizioni” sono dedicate alla spiegazione di alcuni
elementi familiari o di caratteristiche specifiche dei bambini, cosa che
non viene assolutamente richiesta dalla consegna. Traspare quindi il
tentativo di porsi come narratore con funzione di regia, come un
mediatore che possa portare alla luce alcuni elementi importanti, che
possa spiegare.
214
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
215
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
5.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
«Com’è st rano vero?
Sembra che i problemi a vol te
fanno incont ra re l e pe rsone»
(Mart ina) 1
La nostra indagine ha cercato di fornire un’immagine della genitorialità
adottiva attraverso le r isposte e le narrazioni dei genitori del gruppo del
dopo-adozione.
Abbiamo già più volte inquadrato la nostra r icerca come un’indagine
qualitativa di t ipo esplorativo e a tal proposito le parole di Guariento
(1995) ci sembrano riassumere al meglio i l nostro proposito: «obiettivo
dell’ indagine non è stato affermare delle certezze o fare delle
conclusioni categoriche, quanto piuttosto sollevare dubbi, proporre degli
interrogativi , aprire spazi per studi futuri. Con il suggerimento di
avvicinarsi alla materia senza ipotesi rigidamente precostituite, di cui
cercare conferma nei dati , ma di saper attendere ed osservare, con
critica curiosità, quanto dai dati emerge» .
Analizzando la letteratura sull’argomento abbiamo constatato come
l’adozione sia accompagnata da una visione critica che intravede in tale
ist ituto un fattore di rischio per tutti i soggetti implicati . Vari Autori si
esprimono con toni forti e con frasi molto nette dal carattere quasi
normativo, sottolineando non tanto chi sono i genitori adottivi, ma ciò
che dovrebbero fare per essere buoni genitori. I l confronto con la
normalità sembra essere un destino ineludibile per i genitori adottivi e
purtroppo, a volte, anche frustrante.
Ho cercato di porre tutta la mia analisi da un altro punto di vista, più
aperto verso la differenza e la specificità dell’esperienza genitoriale
vissuta attraverso l’adozione.
La somministrazione del “Questionario” ci ha fornito informazioni
che abbiamo potuto confrontare con quelle fornite dai genitori naturali e
1 In D’Andrea, A. (2000).
216
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
dai genitori PMA. Le differenze che abbiamo riscontrato ci sono parse il
frutto di esperienze particolari ed emotivamente molto forti . Esperienze
che trovano punti di contatto con quelle tipiche degli altri t ipi di
genitorialità, ma che portano con sé un bagaglio di vissuti in certi aspetti
diversi.
L’esperienza della gravidanza è certamente un elemento cruciale, a cui i
genitori adottivi non possono accedere. «Tutti sappiamo quanto è
gratificante, anche per gli adulti , l’esperienza quasi fusionale, f isica,
tatt ile, corporea con un neonato, quanto attraverso contatto e sguardi
“viaggi” la maggior parte della comunicazione non verbale; come tutto
questo concorra allo stabilirsi di un’intesa, una complicità, base
fondamentale per una conoscenza reciproca e profonda; come queste
precoci esperienze affett ive siano ritenute essenziali per una relazione di
attaccamento» (D’Andrea, 2000). I l percorso di genitori adottivi ha
inizio in un punto differente della vita del bambino, quando questo è già
un’entità a sé stante, che ha già oltrepassato quei delicati momenti
fusionali che si realizzano nei primi momenti della vita, con i primi
contatti e l’allattamento.
Tutto è posticipato e assume significati diversi . Così il primo sorriso,
che per un genitore naturale è un segno della crescita del bambino, per
un genitore adottivo diventa il segno di un moto affettivo e di un
riconoscimento a sé stesso come genitore.
È questo uno dei punti che ci ha maggiormente colpito: come gli atti del
bambino assumessero, nelle parole dei genitori, i l valore di att i di
legittimazione della propria funzione genitoriale:
“Quando avevano tre mesi , abbiamo lasciato i bimbi sol i con i nonni per la
prima volta … A. ha pianto per due ore consecutive e si è calmato solo
quando sono ri tornata e l ’ho abbracciato. Mi sono senti ta veramente la sua
mamma” (M2).
Una genitoriali tà che si costruisce giorno per giorno, attraverso incontri
prima incerti e poi sempre più ravvicinati , tesi al superamento di quella
quota di estraneità creata dal “vuoto” delle origini. Uno spazio in cui i
217
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
soggetti non si conoscevano e che rimane patrimonio privato e in qualche
misura misterioso.
Il lavoro mentale richiesto ai genitori adottivi sia dai servizi ai quali si
r ivolgono, sia dalla si tuazione-adozione, rende questo tipo di
genitorialità più complessa, r icca e profonda. Questo dato si riscontra
soprattutto nei padri adottivi che dimostrano maggiori propensioni alla
r iflessione e conseguenti elaborazioni rispetto alle emozioni provate e al
proprio ruolo genitoriale.
Attraverso la compilazione dello strumento delle “Descrizioni”
abbiamo rinvenuto anche qualche elemento che può essere letto come
indicatore di un disagio nei genitori adottivi. Essi sembrano enfatizzare
l’aspetto del controllo, i l desiderio di mantenere sotto la propria capacità
di gestione molti degli aspetti legati al loro ruolo genitoriale e al
rapporto con il bambino. Può trattarsi di ansie legate al contesto
socioculturale nel quale viviamo che tende a svalorizzare la genitoriali tà
adottiva e alla lunghezza e a volte durezza dell’ iter adottivo. Ma è anche
possibile che si tratti della difficoltà di stare di fronte al vuoto, con un
atteggiamento di r ispetto e di disponibili tà, sapendo che possono solo
dare un contributo alla sua trasformazione nella mente del bambino,
attraverso la “tolleranza del dubbio”.
Essi inoltre appaiono in difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni
nella stesura delle “Descrizioni” , come se si andassero a riatt ivare dei
condensati affett ivi difficili da gestire.
I l fulcro della nostra analisi , come evidenziato dal t i tolo del lavoro, è
stato il tentativo di valutare come si pongono i soggetti r ispetto al
bambino, il loro rapporto genitore-figlio specie nel passaggio
dall’ immaginazione alla realtà.
Abbiamo visto come sia considerato un passo essenziale che i genitori
adottivi giungano al r iconoscimento del bambino reale rinunciando
all’onnipotenza immaginativa. La coppia, per assumere il ruolo di
genitore, ha bisogno di immaginare il bambino indirizzandosi verso un
vero e proprio concepimento mentale. Questo non può essere pensato
semplicemente come un prolungamento del sé privo di potenzialità
autonome.
218
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Credo che tale gruppo di genitori abbia a lungo elaborato tale passaggio,
sia durante la fase dell’ indagine socio-psicologica, sia durante gli
incontri di gruppo. Mi è parso di constatare una certa capacità di
pensarsi e di pensare i l proprio bambino negli aspetti felici come in
quelli di difficoltà.
Nei “Questionari” infatti compaiono spesso risposte che fanno
riferimento all’ambivalenza del rapporto con il bambino e molte
domande hanno suscitato vissuti riferi ti ad emozioni “negative” vicino a
quelle posit ive.
Nelle “Descrizioni” poi più volte abbiamo trovato proposizioni che si
concentrano sulle difficoltà nell’organizzare la vita quotidiana intorno al
nuovo membro della famiglia. L’idealizzazione è emersa a tratt i , ma non
con modalità tali da far propendere per l’ ipotesi di una difesa
eccessivamente rigida.
219
Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Credo che per i genitori adottivi r imanga fondamentale il periodo
trascorso nell’attesa del bambino, soprattutto i l rapporto con gli
operatori e con l’ iter dell’adozione che indicano le difficoltà incontrate
in generale nel rapporto con il bambino, specie quello adottivo.
Molto spesso l’i ter adottivo appare come connotato da eccessivo rigore e
sospetto nei confronti dei richiedenti. C’è in questi ultimi la netta
impressione che gli operatori che hanno il compito di giudicarne
l’ idoneità siano affetti da una serie di pregiudizi nei loro confronti.
Pare che il desiderio di avere un figlio e divenire genitori venga tanto
apprezzato nella coppia “normale” quanto colpevolizzato in quella
sterile. Per questo la coppia adottante viene sottoposta ad un vero e
proprio processo.
Forse si dimentica e non si pone la giusta attenzione sul fatto che i
bambini adottivi derivano da coppie biologiche che non sono state in
grado di prendersene cura. Ma allora perché questi genitori non
subiscono le inquisizioni che devono patire i genitori adottivi? Questa è
la domanda ricorrente di chi si r ivolge ai servizi per realizzare il
desiderio di avere un bambino.
Tilde Giani Gallino (1994), nella presentazione al l ibro “Il Figlio del
desiderio” , afferma che oggi è molto difficile distinguere nettamente
genitori naturali e adottivi poiché i bambini non nascono più per caso,
ma sono consapevolmente desiderati . «Tutti i genitori sono oggigiorno
“adottanti”, in quanto tutti hanno deciso in maniera cosciente di
dedicare il loro impegno alla crescita di un bambino » . E ancora Giani
Gallino chiude il suo intervento con una domanda molto accattivante:
«come possiamo decidere quali debbano essere i criteri validi per i
genitori adottivi, se ancora nessuno conosce a fondo, o ha formulato, i
parametri corrett i da richiedere ai genitori biologici? » . Una risposta
forse può venire dai contributi psicoanalit ici che identificano alcuni
parametri fondamentali del compito genitoriale: dare amore e speranza,
contenere le sofferenze e sostenere lo sviluppo del bambino.
Se vogliamo cercare di comprendere l’adozione e i suoi problemi
abbiamo la necessità di familiarizzare con le storie umane nella loro
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
infinita varietà. In quanto un’adozione ben riuscita non è né più né meno
di una normale storia umana.
Questo non significa però che l’adozione possa essere equiparata alla
normalità. Esiste sempre qualcosa al suo interno di diverso sia per i
genitori che per i bambini che vi sono implicati . Ci piace pensare che
questa diversità sia qualcosa di speciale e che come tale possa finalmente
essere valorizzata e vista come una ricchezza, come un elemento
particolare della complessità del generare.
Pensiamo che il compito primario dei genitori adottivi sia quello di
r iuscire ad autolegitt imarsi come genitori , sganciandosi dall’aggettivo
“adottivi”: questo sembra essere i l passo determinate per potersi sentire
genitori a pieno titolo e adoperarsi come tali . Concepire il bambino come
“mio figlio” richiede il passaggio attraverso una fase intima che come
tale va salvaguardata. I due tipi di genitorialità analizzate r ispetto a
quella normale (PMA e adottiva) mostrano come spesso tale intimità
venga in qualche maniera violata dalla intrusività medica, burocratica,
valutativa. Diviene così difficile far nascere nella propria mente i l
bambino come una parte di sé e come manifestazione della propria
capacità creativa, che genera attraverso gli affetti e le relazioni umane.
Non esistono ricette semplici per essere dei buoni genitori adottivi,
come non esistono manuali per essere genitore naturale. Si tratta di
scelte importanti, in entrambi i casi difficili e delicate. Credo che i l
punto di partenza da cui i genitori possano muovere sia la
consapevolezza di essersi posti con la genitoriali tà una meta molto
ambiziosa che richiederà loro dei sacrifici.
Penso che questo sia un buon punto di partenza: la consapevolezza delle
difficoltà, che accompagnano da sempre la realizzazione di ogni impresa
umana, e della necessità di mettersi in gioco, aprendosi all’altro e al
mondo con il cuore e con la mente. E in questo caso mi sembra non
esistano delle categorie, ma solo i genitori e i loro figli .
In conclusione ci sembra sia possibile per ora solo “cercare di capire”:
è questo lo spunto che ci sentiamo di fornire ai tecnici che affrontano
l’adozione, perché pensiamo che questo sia l’atteggiamento mentale che
può essere trasmesso e rinforzato anche nei genitori.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
Del resto l’esperienza dell’adozione è ancora lontana dal permettere di
trarre conclusioni definitive e certe. Siamo solo all’ inizio di un lungo
processo conoscitivo. È un fenomeno in continuo mutamento ed in
grande espansione e proprio per questo richiede un’attenzione particolare
e la capacità di saper attendere, di rimanere in attesa. Non abbiamo
portato quindi dati definitivi, ma una serie di rif lessioni da cui partire
per conoscere meglio il fenomeno adozione.
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
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Percorsi dell’adozioneIl rapporto con il bambino reale nel racconto dei genitori
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