Perillo2015 La Contemplazione, Principale Caratteristica Dell’Evangelista Giovanni Secondo Alberto Magno

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    «Quaestio», 15 (2015), 477-486 • 10.1484/J.QUAESTIO.5.108622

    Nella tradizione occidentale dell’esegesi al IV Vangelo l’immagine dell’aquila,utilizzata per rappresentare l’evangelista Giovanni, sottolinea per lo più l’ele-vazione dell’uomo al di là delle sue possibilità fino alla luce della verità divina.Quest’interpretazione, la cui origine risale ad Agostino1, è stata particolarmentesviluppata da Scoto Eriugena, per il quale Giovanni rappresenta il modello delteologo contemplativo che, come un’aquila, perviene alle più alte vette dellateologia, trascendendo, al di là di ogni possibilità umana e angelica, tutto ciòche è e ciò che non è, fino a raggiungere l’unità superessenziale e la distinzionesupersostanziale di Dio stesso2.

    L’Eriugena, però, non è l’unico a considerare centrale l’associazione aqui-la-Giovanni. Essa è dominante anche nel Prologo di Alberto Magno al suo com-mentario sul Vangelo di Giovanni. Chiaramente il tema dell’aquila si ritrova neicommenti al IV Vangelo coevi a quello albertino: è accennato nel Prologo diGuerrico3; è trattato fugacemente nel Prologo di Alessandro di Hales4; riceveuna considerazione più originale, anche se breve e marginale, nei Prologhi diGuglielmo d’Altona5 e di Bonaventura6; è presente nel Prologo di Tommaso7.All’interno di questa tradizione, il Prologo di Alberto, costruito su Ezechiele 17,3, si caratterizza per essere completamente centrato sul tema dell’aquila e sullasua simbologia. La divisio textus del versetto è strutturata in sei punti, dei quali

    1 Cf. AUGUSTINUS HIPPONENSIS, De consensu evangelistarum libri quattuor, 1, 6, 9, ed. Weihrich, p.10,ll. 11-14; 4, 11, 10, ed. Weihrich, p. 407, ll. 7-13; AUGUSTINUS HIPPONENSIS,  In Iohannis Evangelium.Tractatus CXXIV , 15, 1, ed. Willems, p. l50, ll. 1-3; 19, 5, ed. Willems, p. 190, ll. 37-42; 36, 1, ed.Willems, p.323, ll. 1-12.

    2 Cf. IOANNES SCOTUS ERIUGENA, Homilia super ‘In principio erat Verbum’ et Commentarius in Evange-lium Iohannis, ed. Jeauneau, pp. 3-5, ll. 1-20.

    3 Cf. GUERRICUS DE SANCTO QUINTINO, Postilla super Iohannem, ms. Basel, Univ. Bibl. B IV 21, f. 1ra.4 YOUNG 1990, pp. 22-23.5 BELLAMAH 2011, pp. 221-223.6 BONAVENTURA A BAGNEOREA, Commentarius in Evangelium S. Ioannis, ed. PP. Collegii A. S. Bona-

    ventura, p. 241.7 THOMAS DE AQUINO, Super Evangelium S. Ioannis lectura, ed. Cai, p. 3, n. 11.

    Graziano Perillo

    La contemplazione, principalecaratteristica dell’Evangelista Giovannisecondo Alberto Magno

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    il primo, «Aquila grandis», è a sua volta interpretato secondo sei caratteristichedell’aquila. Di queste le prime due, la vista acuta e il volo alto, sono connessecon la contemplazione, che costituisce di fatto la principale caratteristica dell’E-

    vangelista.Nell’interpretazione albertina Giovanni, come un’aquila che ha rivolto lo

    sguardo direttamente alla luce del sole senza esserne accecata, si è innalzatofino all’eternità divina ed ha vissuto tutte e tre le forme di visioni – corporale,immmaginativa, intellettuale – di cui parla il De Genesi ad litteram di Agostino.La contemplazione dell’eternità del Verbo è stata resa possibile, però, soltantocon la visione intellettiva grazie all’elevazione dell’intelletto di Giovanni da par-te di Dio. Giovanni ha descritto la realtà divina non per mezzo di creature visi-bili, quindi non per mezzo di uno specchio o in enigmi che nascondono i segreti

    divini, ma per mezzo della stessa luce divina, insegnando, così, a trascenderetutto: vestigia, specchio, enigma, per giungere per mezzo della contemplazionealla stessa luce incircoscritta di Dio. Giovanni è l’unica aquila che si ascoltavolare nel cielo della Trinità e di essa ha descritto le proprietà.

    1. L’interpretazione della contemplazione giovanneaalla luce di alcuni testi di Alberto

    Un’obiezione a quest’interpretazione potrebbe essere contenuta nello stessoVangelo, lì dove si legge in Gv 1, 18: «Deum nemo umquam vidit». Com’è pos-sibile che Giovanni abbia potuto volare nel cielo della Trinità, come ha potutotrascendere tutto per raggiungere la stessa luce incircoscritta della divinità senessuno ha mai potuto vedere Dio?

    L’opposizione fra visione e inaccessibilità divina ha originato, nel XIII seco-lo, delle tensioni culminate nel 1241 con la condanna di quanti sostenevano che«Divina essentia in se nec ab homine nec ab angelo videbitur»8. Gli elementi

    in questione, di provenienza diversa, appartenevano soprattutto alla tradizioneteologica greca, in particolare l’interpretazione di Dionigi, attraverso il filtro diScoto Eriugena, che conduceva ad una concezione della visione dell’essenzadivina mediata da teofanie, e l’esegesi di Crisostomo al versetto giovanneo 1, 18,che negava la possibilità della visione dell’essenza divina perfino alle gerarchieangeliche più elevate.

    Alberto ritorna spesso su questo problema: nel  De resurrectione; nella que-stione dedicata al raptus; nella Quaestio de visione dei in patria. Il tema della

    8 Chartularium Universitatis Parisiensis, ed. Denifle / Chatelain, tomus I, n. 128, p. 170 . Cf. DONDAINE 1952, pp. 60-130; DE CONTENSON 1962, pp. 409-444.

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    visione dell’essenza divina è affrontato anche nel commento alla Mystica Theolo- gia e alla Epistula quinta dello Ps.-Dionigi. Riferimenti sparsi possono ritrovarsiin altre opere, come  In IV Sententiarum e nella Summa theologiae. A questa

    lista si deve aggiungere anche l’esegesi di Alberto a Gv 1, 18 nel commentariosu Giovanni.

    In tutti questi testi Alberto non ha esitazioni: si deve sostenere che in patriasi avrà la visione di Dio senza alcuna realtà interposta tra Dio e il beato, percui i beati vedranno Dio come egli è. Tuttavia questa affermazione di principioè, di volta in volta, chiarita soprattutto in riferimento a due principali esigenze.La prima è la comprensione della visione dell’essenza divina da parte del beatoin modo che sia salvaguardata l’assoluta trascendenza dell’infinità divina. Laseconda è la spiegazione di come sia possibile la visione intellettuale di Dio nel

    rispetto del processo conoscitivo umano. Sono in gioco, dunque, una ben pre-cisa nozione della divinità, considerata in se stessa sempre oltre ogni possibilecomprensione umana, e una teoria della conoscenza che sia coerente con i suoiassunti fondamentali e, allo stesso tempo, presenti le condizioni teoretiche perla spiegazione della visione dell’essenza divina.

    Nel  De resurrectione Alberto distingue tra il “vedere Dio com’è” («videredeum, ut est») e vedere “che cosa è Dio” («videre quid est deus»). La distinzionetra l’«ut est» e il «quid est» indica che l’uomo vedrà l’essenza di Dio, ma nonpotrà comprendere i termini della sua definizione, quindi anche se vedrà Dio

    senza alcuna mediazione, la sua essenza gli resterà comunque ignota. Infatti,soltanto quando possiede la definizione, l’intelletto comprende veramente qual-cosa, perché ne abbraccia i limiti. Questa condizione è ovviamente impossibileper l’infinità divina, per cui l’intelletto umano non può comprendere Dio, benchépossa pervenire al suo essere9.

    Questa soluzione potrebbe sembrare intellettualistica10, ma a ben vedere ilprimato dato all’intelletto non esclude il coinvolgimento affettivo. Anzi nel  Deresurrectione, Alberto specifica che la verità nella visione non è soltanto intel-lettuale, ma anche affettiva, perché genera affetto quando è conosciuta11. Più

    chiaramente questo aspetto emerge nell’indagine sulla «dilectio» che derivadalla visione beatifica: la «dilectio» è la più perfetta delle virtù, perché essaperfeziona la volontà che è l’unica pura potenza libera dell’anima, più liberaanche dell’intelletto che dipende in un certo senso dal «phantasma»12.

    Il collegamento con i fantasmi ci introduce direttamente alla questione dellacomprensione dei processi conoscitivi coinvolti nella visione beatifica: come

    9 Cf. ALBERTUS MAGNUS,  De resurrectione tr. 4, q. 1, a. 9, § 1, ed. Kübel, p. 328, ll. 47-72.10 Cf. TROTTMANN 1995, pp. 283-336.11 Cf. ALBERTUS MAGNUS,  De resurrectione tr. 4, q. 1, a. 9, § 2, ed. Kübel, p. 330, ll. 32-39.12 Cf. ALBERTUS MAGNUS,  De resurrectione tr. 4, q. 1, a. 10, ad 4, ed. Kübel, p. 332, ll. 21-28.

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    è possibile avere una visione di una realtà di cui non si coglie la definizionedell’essenza?

    Nella Quaestio de visione dei in patria Alberto ha modo di sottolineare che

    tanto la conoscenza di alcuni intelligibili quanto la visione divina non sono ac-cessibili con la visione intellettuale naturale, ma soltanto per mezzo del lumedella fede, mentre la visione dell’essenza divina è possibile soltanto grazie allume della gloria. Ciò non significa che nella visione dell’essenza divina nonci sarà alcuna mediazione. Infatti, nella visione diretta di Dio è la stessa lucedivina a costituire una mediazione, la cui funzione non è quella della specie,perché ciò sarebbe impossibile, ma quella della luce che sostiene lo stessointelletto13.

    A livello interpretativo la luce divina corrisponde, per Alberto, alla teofania

    dionisiana. La visione di Dio per mezzo della luce divina indica che all’uomonon è accessibile la piena conoscenza dell’essenza divina, poiché Dio si rendeoggetto di conoscenza a se stesso e agli altri nell’atto del vedersi, senza che nulladi creato, neppure l’anima di Cristo, possa conoscerlo per quello che è.

    Un’altra tensione tra affermazioni bibliche su Dio, che coinvolge la rifles-sione sulla visione dell’essenza divina, costituisce il problema iniziale della Epistula quinta dello Ps.-Dionigi. Alcune affermazioni della Sacra Scrittura,infatti, sostengono che Dio è caligine ed abita in una nube, mentre altre che egliè luce. Tale tensione è, per Alberto, soltanto apparente, perché la caligine non

    indica Dio, ma il difetto del vedente che, non potendo capire tutto della divinità,è nella nube dell’ignoranza. Nel commento alla lettera il maestro tedesco chia-risce questa condizione sulla base della distinzione aristotelica degli Analytica Posteriora tra conoscenza «propter quid» e conoscenza «quia». Non c’è alcunapossibilità per l’intelletto creato di pervenire a una perfetta conoscenza di Dio:non si può conoscere il «quid» divino, in quanto Dio non ha un limite che possarenderlo definibile; non può essere conosciuto «propter quid», perché non hacausa; neppure può essere afferrato con una dimostrazione «quia determina-tum», perché non ha una causa remota e gli effetti non gli sono proporzionati.

    Tuttavia si dà una conoscenza di Dio che è definita da Alberto «quia confusum».Questo tipo di conoscenza è «in via» e «in patria», benché nei due stati di vitasi dia con differenti visioni14.

    Che cosa Alberto abbia inteso con «quia confusum» nel commento alla Epis-tula quinta può essere individuato lì dove scrive che il significato della luce,della bontà e di realtà simili si riferiscono a Dio soltanto secondo il «modumattribuendi», poiché queste in Dio si identificano con la semplicità dell’essenza

    13 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Quaestio de visione dei in patria, sol., ed. Fries, p. 98, l. 32, p. 99, l. 37.14 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Super Mysticam Theologiam et Epistulas, Epistula Quinta, ed. Simon, p. 495,

    ll. 33-43. Cf. anche Super Mysticam Theologiam, cap. 1, ed. Simon, p. 463, l. 76, p. 464, l. 3.

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    divina15. Il «quia confusum» indicherebbe così una conoscenza degli attributidivini che non afferra comunque la stessa essenza divina.

    In questo modo l’apofatismo dello Ps.-Dionigi non è spinto fino alle estreme

    conseguenze. Anzi per Alberto rimane una fondamentale fiducia nelle possibili-tà della filosofia di pervenire alla conoscenza di Dio, anche se la scienza divinadei filosofi è mescolata con molti errori a causa del limite della ragione umana16.La filosofia, che non può provare nulla contro la verità divina trasmessa dallafede, pur se non riesce a pervenire a questa stessa verità, tuttavia, consapevole dinon sapere tutto, riesce a provare alcune caratteristiche della divinità come, adesempio, che in Dio ci sono le perfezioni di tutti i generi e la somma semplicità,nonché che Dio è la sua azione17.

    La condizione di caligine nella quale si trova la conoscenza umana non è

    dunque un impedimento a conoscere qualcosa della divinità. Dio, infatti, pur senon comunica con le creature nel genere, nella specie o nell’analogia, tuttaviacomunica con un’analogia di imitazione, con la quale alcune cose lo imitano perquanto è possibile18. In questo senso nei confronti delle cose più manifeste dellanatura, il nostro intelletto è come una nottola rivolta verso il sole19. L’immaginedella nottola nel commento alla Mystica Theologia è una citazione implicita diAristotele20, ripresa da Alberto anche nella sua interpretazione della Metaphys-ica aristotelica in relazione alla metafora dell’aquila, usata per rappresentarela fiducia nelle possibilità umane di pervenire alle realtà divine21: l’intelletto,

    infatti, con lo studio si eleva attraverso i vari gradi della luce fino alla fonte stes-sa, dove raggiunge la massima felicità. Nel commentario su Giovanni il discorsosulla felicità è sviluppato nell’esegesi di «Haec est autem vita aeterna ut cogno-scant te solum verum Deum», dove Alberto ha modo di dire che la conoscenzadel vero Dio è la felicità intesa anche dai filosofi. La visione divina, per quantosi possa avere nella vita terrena, è vita di grazia, mentre è causa della gloria infuturo, quando sarà perfetta22. Questa visione, nel commentario su Giovanni, èchiarita dal commento al versetto 1, 18.

    15 ALBERTUS MAGNUS, Super Mysticam Theologiam et Epistulas, Epistula quinta, ed. Simon, p. 496,ll. 73-80.

    16 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Super Mysticam Theologiam et Epistulas, Super Mysticam Theologiam, cap.1, ed. Simon, p. 457, ll. 7-11.

    17 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Super Mysticam Theologiam et Epistulas, Epistula septima, ed. Simon, p.505, ll. 30-40.

    18 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Super Mysticam Theologiam et Epistulas, Super Mysticam Theologiam, cap.1, ed. Simon, p. 459, ll. 27-31.

    19 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Super Mysticam Theologiam et Epistulas, Super Mysticam Theologiam, cap.1, ed. Simon, p. 456, ll. 56-58.

    20 Cf. ARIST., M etaphysica, II, 1, 993b9-11.21 Cf. STEEL 2001, pp. 19-26.22 ALBERTUS MAGNUS,  Enarrationes in Joannem, 17, 3, ed. Borgnet, p. 606a: «Vel dicatur: ‘Verum

    Deum’, quia ipse est veritas ipsa in qua stat viva cognitio intellectus [...] Haec autem cognitio est alta

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    2. Giovanni-Aquila nel Commentario

    L’esegesi del versetto Gv. 1, 18 riprende i classici argomenti di Crisostomo e

    Dionigi, per i quali nessuno può vedere l’essenza di Dio. La risposta chiarisce laperfezione della visione secondo l’intelletto e si articola in tre punti corrispon-denti alla distinzione della visione: da parte dell’intelletto, dalla parte di ciò incui si vede Dio, e dalla parte del modo di vedere.

    Al primo punto Alberto classifica diversi livelli di intelletto da quello purodel primo uomo, passando per l’intelletto ottenebrato dal peccato, a quello illu-minato con lo studio e la grazia, per giungere a quello elevato alle teofanie divinecon la virtù di Dio, come è successo a Mosè e all’intelletto conforme alla lucedella gloria, che si sperimenta nel raptus e nella visione beatifica. A quest’ultimo

    livello si vede Dio così com’è23.Il percorso delinea una serie di fasi dalla caduta alla redenzione. Quest’ulti-

    ma è possibile già con lo studio che, con l’abito della grazia, conduce a vedere laluce divina per mezzo di mediazioni a lei conformi. A questo livello si potrebbecollocare la filosofia, e ancor più la teologia, ma verosimilmente il riferimentoallo studio, associato all’esercizio della grazia, lascia intendere un cammino spi-rituale tipicamente domenicano, per il quale lo studio assolve un ruolo orientatoverso la visione divina.

    In maniera significativa, Alberto non collega la figura di Mosè al raptus24. Già

    nel commento alla Mystica Theologia aveva sottolineato che Mosè non aveva vi-sto Dio, bensì sue teofanie, raggiungendo un alto livello di contemplazione senzavivere un raptus25. Il rapito, invece, è posto a un livello superiore: egli ha fattoesperienza della visione beatifica, ha visto la divinità senza alcuna mediazionee ha raggiunto la sostanza divina con la mente, anche se non ne comprende il«quid est», perché non può comprendere l’infinità divina26.

    Siamo così condotti a collegare il raptus  alla figura di Giovanni. La con-nessione è implicita già nello stesso Prologo, quando si legge che Giovanni havissuto le tre visioni con le quali Paolo, rapito al terzo cielo, ha visto le realtà

    divine27. L’attribuzione a Giovanni del raptus in forma implicita si ritrova neltrentunesimo capitolo del Moralia in Job, quando Gregorio Magno attribuisce le

    admiratione, firma veritate, pura eo quod nullum habet contrarium. Et talis cognitio sive theoria, sivecontemplatio, felicitas est, etiam secundum Philosophos. Haec ergo visio quantum hic haberi potest, estvita gratiae, et causa gloriae in futuro».

    23 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Enarrationes in Joannem, 1, 18, ed. Borgnet, p. 54b-55a.24 Su questo tema cf. FAES DE MOTTONI 2007, pp. 17-48.25 ALBERTUS MAGNUS, Super Mysticam Theologiam et Epistulas, Super Mysticam Theologiam, cap. 1,

    ed. Simon, p. 464, ll. 26-29.26 ALBERTUS MAGNUS, Enarrationes in Joannem, 1, 18, ed. Borgnet, p. 55b.27 ALBERTUS MAGNUS, Enarrationes in Joannem, Prologus, ed. Borgnet, p. 2.

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    caratteristiche dell’aquila prima a Giovanni e successivamente a Paolo, creandodi fatto una connessione tra l’aquila, Giovanni, Paolo e un’esperienza limitedella divinità28, mentre un collegamento più stretto si ritrova nel Omelia  In

     principio di Scoto Eriugena29 e, in dipendenza con l’Eriugena, nel Tractatus de sancto Iohanne Evangelista di Vincenzo di Beauvais. In quest’ultimo Giovanniè l’uomo deificato, l’uomo oltre l’uomo, colui che ha visto intimamente la veritàoltre tutti i cieli. Egli, nella causa di tutte le cose, ha ascoltato l’unica parola perla quale tutte le cose sono state fatte e l’ha comunicata agli uomini per quantogli è stato consentito dirla30.

    Alcuni aspetti della deificazione di Giovanni si ritrovano anche in Alberto,soprattutto con la citazione di due strofe della sequenza liturgica Verbum dei deonatum, con la quale Alberto esprime l’idea di Giovanni quale uomo oltre l’uomo:

    «Tam implenda quam impletanumqum uidit tot secreta

    purus homo purius.

    Volat auis sine metaquo nec uates nec propheta

    euolauit altius»31.

    Ma non è soltanto questo aspetto che Alberto condivide con Vincenzo di Beau-

    vais: c’è quello della carità e, in un certo senso, la convinzione che la dottrinadi Giovanni superi ogni filosofia umana32. Tuttavia, tra i due autori c’è una dif-ferenza: per spiegare la superiorità della dottrina di Giovanni, Vincenzo sceglieuna serie di testi tratti dalla tradizione esegetica che evidenziano la semplicitàe l’ignoranza del pescatore, che disorienta i sapienti, mentre per Alberto, Gio-vanni è un maestro reso edotto dal Maestro per eccellenza33.

    28 GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Iob, 31, 47, ed. Adriaen, p. 1615, l. 28, p. 1616, l. 79.29 IOANNES SCOTUS ERIUGENA, Homilia super ‘In principio erat Verbum’ et Commentarius in Evangelium

     Iohannis, ed. Jeauneau, p. 9, ll. 4-11.30 Cf. VINCENTIUS BELLOVACENSIS, Tractatus de sancto Iohanne evangelista, cap. XIIII, ed. Basel 1481,

    f. 246rb.31 Sulla sequenza in connessione con il culto di san Giovanni nel convento Paradise di Soest, cf.

    HAMBURGER 2008. Hamburger ha posto il testo della sequenza in relazione ad una tradizione che andrebbeda Giovanni Scoto Eriugena a Meister Eckhart, tuttavia ha trascurato nella sua ricostruzione di prenderein esame il Prologo di Alberto (cf. HAMBURGER 2005, pp. 473-537).

    32 Cf. VINCENTIUS BELLOVACENSIS, Tractatus de sancto Iohanne evangelista, cap. XVII, ed. Basel 1481,f. 245ra. ALBERTUS MAGNUS, Enarrationes in Joannem, Prologus, ed. Borgnet, p. 10.

    33 ALBERTUS MAGNUS, Enarrationes in Joannem, 21, 21, ed. Borgnet, p. 717b: «Hic ergo est discipulusille summi Magistri disciplinis institutus et perfectus [...]. Et sic a Magistro veritatis cognoscens veritatem,auctoritate Magistri describit».

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    3. La contemplazione, vertice del percorso formativodel predicatore

    Già nel suo Prologo e nel commento al Prologo di Girolamo, Alberto riconoscein Giovanni un dottore, un predicatore e uno scrittore34. L’interpretazione siritrova anche in altri commentari al IV Vangelo, tuttavia in quello albertino essaè particolarmente rafforzata da alcuni elementi, come ad esempio l’importanzadata allo studio, la condizione di predicatore, lo status di maestro, la contempla-zione, elementi che convergono nel tracciare l’identità dell’evangelista, pur seesegeticamente connessi ad altri personaggi del racconto evangelico.

    Le considerazioni più rilevanti sono desunte dal capitolo finale del Vange-lo di Giovanni, in cui la narrazione evangelica presenta Pietro, Tommaso detto

    Didimo, Natanaele e i figli di Zebedeo intenti a pescare sul mare di Tiberiade.L’occasione è data dalla Glossa interlinearis che specifica la rete della pesca diGv. 21, 6 come quella dei predicatori35. Bonaventura nel suo commentario si li-mita a registrare l’interpretazione, Tommaso offre osservazioni più ampie, mentreAlberto sviluppa un’estesa esegesi mistica di grande intensità. Ad ogni elementodella pericope corrispondono alcune caratteristiche di coloro che assumono l’in-carico della predicazione: l’obbedienza; il chiarimento dei dubbiosi; la conoscen-za magistrale della sacra parola; lo zelo nell’ufficio; il dono della grazia e dellavirtù che rende degni dell’ufficio; la lotta contro i vizi per la fortezza delle virtù;

    la purezza della contemplazione; l’ottemperanza ai due precetti della carità.Per Alberto questi aspetti, dall’obbedienza fino alla contemplazione, sono le

    caratteristiche che ogni predicatore deve avere36. In questo modo si traccianole linee per una spiritualità tipicamente domenicana, o se si vuole, albertina,che descrive una figura di frate domenicano obbediente, maestro e dottore nellasacra parola, zelante nella virtù, predicatore, contemplativo, che osserva i dueprecetti fondamentali. Le caratteristiche attribuite da Alberto ai singoli prota-gonisti della pericope possono, però, a ben vedere, ritrovarsi tutte soltanto inGiovanni. È lui, di fatto, il modello di frate predicatore.

    Bibliografia

    Fonti

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    35 Cf. Glossa super Iohannem, c. 21, in Biblia latina cum Glossa ordinaria, ed. Rush, p. 269c.36 Cf. ALBERTUS MAGNUS, Enarrationes in Joannem, 21, 2, ed. Borgnet, p. 699b.

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  • 8/19/2019 Perillo2015 La Contemplazione, Principale Caratteristica Dell’Evangelista Giovanni Secondo Alberto Magno

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    Abstract: In the Prologue to the Commentary on St. John, Albert the Great uses the imageof an eagle to describe the main feature of the Evangelist, that’s the contemplation. As aneagle John flew into the sky of Trinity going beyond creatural limitation and living a expe-rience, that can be interpreted like a raptus. For better understanding the contemplationof John, some texts are very important: De resurrectione; Quaestio de visione dei in patria;Quaestio de raptu, in which the german teacher explains in what sense the human intellectcan know the divine infinity. About this problem it’s significant the distinction between“quid est” and “ut est” in God. The article closes showing how John represents a model

    of a dominican friar in some texts of the Commentary.

    Key words: Albert the Great; Contemplation; Raptus; Commentary on St. John; Humanknowledge of divine infinity.

    Graziano PERILLO Pontificia Università SalesianaPiazza dell’Ateneo Salesiano, 1

    00139 [email protected]