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Pietra e Acciaio Settembre 2012

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PIETRA E ACCIAIO Quaderni dell’Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare

Comitato di redazionePier Giorgio Corino, Pietro Mongiano, Giorgio Ponzio

Per qualsiasi comunicazione: [email protected]

Sommario settembre 2012

Pier Giorgio Corino: Diario di un sergente della Fanteria Carrista

Davide Bagnaschino Il Vallo Alpino a GoutaMassimo Robotti Da Valcavera a Margherina. Trune e ricoveri al

colle del MuloGiorgio Ponzio: Il campo trincerato nella fortificazione moderna

II parte, un esempio: il campo del Lazzarà

I singoli autori sono i soli responsabili di quanto contenuto nel loro articoli. L’Associazione pergli studi di storia e architettura militare declina pertanto ogni responsabilità in merito, dichiaran-dosi fin da ora estranea a qualsiasi controversia che ne dovesse sorgere

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DIARIO DI UN SERGENTE DELLA FANTERIA CARRISTAdi Pier Giorgio Corino

I ricordi delle persone con lo scorrere degli anni si affievoliscono, spesso si modificano; un diarioconserva più fedelmente le memorie di quanto vissuto. La vita militare forse non era uno deimomenti più indicati per scrivere, ma nel corso degli eventi bellici per alcuni fu un’icona per pre-servare la propria identità; se tutto poi andava bene, il ritorno a casa. I diari, se conservati, finivanonel dimenticatoio. A distanza di anni, avere l’occasione di ritrovare un diario è come aprire una fine-stra sul passato, una miniera di informazioni e di particolari sulla quotidianità, dalle armi ai luoghi,la narrazione degli eventi, visti da chi a volte ne era uno degli attori. Sono talvolta ricordi diversidalla storia ufficiale, note anche crude, scomode, ma non sono da dimenticare.Sui gradini del monumento ai caduti francesi al Colle del Moncenisio, un tempo il fascio littorio chesi ergeva a fianco della vecchia frontiera, ho avuto anni or sono occasione di ascoltare dalla voce diun protagonosta, Domenico Fossati nel 1940 sergente della fanteria carrista, una vicenda dellaBattaglia delle Alpi. Nella stessa occasione ho avuta la fortuna di incontrare un altro reduce,Umberto Bove, nel 1940 sergente della 78a compagnia telegrafisti, checonservava una serie di fotografie scattate al Moncenisio nei giorni del conflitto. Tra queste i carridel 1° Fanteria Carrista.Tutto è accaduto poco distante, dove la strada incominciava a scendere verso la Maurienne. Gli annipassano, le persone non ci sono più, ma le pagine di un memoriale lasciato da Fossati su questa edaltre vicende conservano questi ricordi. Due stralci dal diario permettono di inquadrare un perso-naggio di tempra, una vita all’insegna della temerarietà degna di un romanzo, un uomo d’altri tempie di altri valori, con i suoi pregi e debolezze, ma soprattutto un coraggioso. Rimasto orfano ancoraragazzo, pur avendo la possibilità di entrare nel Real Collegio di Moncalieri, essendo nipote del car-dinale Maurilio Fossati, preferì partire per la Francia per iniziare una vita di diversa. Negli annidella Guerra di Spagna lo troviamo volontario nelle Brigate Internazionali, per poi, alla fine del con-flitto, rientrare in Francia. Ricevuta la cartolina precetto rientra in Italia riuscendo a celare la suapartecipazione alla Guerra di Spagna. Dopo i corsi d’istruzione viene destinato al 1° ReggimentoFanteria Carrista: 11 giugno 1940 la dichiarazione di guerra alla Francia, il 21 giugno con IV bat-taglione Fossati è al Moncenisio. Nel quadro del piano d’attacco, l’operazione “B”, sulla Maurienne si sarebbero dovute riversare lenostre forze provenienti dalla Valle della Dora. L’attacco si sarebbe sviluppato su tre colonne: alcentro superando le fortificazioni francesi del Moncenisio, sulla destra scendendo lungo il Ghiacciaiodel Rocciamelone sino a raggiungere la valle del’Arc e sulla sinistra dal Piccolo Moncenisio scenden-do su Bramans. Attuato lo sfondamento con l’appoggio di carri armati si sarebbero incalzate le trup-pe francesi scendendo su Modane. Un piano brillante, non c’è che dire, che si basava sul presuppostoche da parte francese, con ormai i tedeschi alle spalle, non ci sarebbe stata resistenza. Le informazio-ni raccolte li davano ormai completamente demotivati, pronti alla prima azione a ritirarsi: si credevache sarebbe stata una passeggiata.

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A partire dalle ore 12 del 21 giugno i cannoni delle batterie Paradiso e la Court, e delle altre batterieoccasionali iniziarono il tiro sul Forte Turra per poi spostarsi sulle opere di les Arcellins e di Revets.In contemporanea sul fianco destro dal Colle Chapeau la colonna comandata dal maggioreBoccalatte, formata dal battaglione alpino Susa e dal XI battaglione Camicie nere, iniziò adiscendere il ghiacciaio del Rocciamelone in direzione della Vallée du Ribon. Sul fianco sinistro dalPiccolo Moncenisio nel tardo pomeriggio cinque battaglioni della Cagliari ed il battaglione alpini ValCenischia, scendendo lungo il vallone d’Ambin, riuscirono a raggiungere Le Planey ed a La Villette.In serata il comando francese, nel timore di essere chiuso un una sacca, diede ordine di arretrare letruppe verso Modane; il Forte Turra, le opere di Revet e di les Arcellins rimasero isolate. Contro diloro già nel pomeriggio era stata avviata un’azione da parte della Brennero, ma il miraggio di una

Il centralino telefonico del

1° Corpod’Armata

Il sergente Bove all’opera con una stazionetelegrafica portatile Pio Pion.

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DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

L’ingresso dell’Albergo Bellavistadi Meana dove era installato nel

giugno 1940 il comando del1° Corpo d’Armata

guerra rapida di movi-mento si scontrò con laguerra di fortezza: controle ottocentesche canno-niere del Turra solo il tirodi demolizione di mortaio di obici di grosso cali-bro avrebbe avuto ragionedelle difese. Nel mentre itentativi di far passare icarri CL33 del IV batta-glione del 1° ReggimentoFanteria Carrista furonobloccati dai campi minati.Nel corso della notte alColle della Nunda duecompagnie della G.a.F.riuscirono con un colpo dimano ad occupare lepostazione francesi, gua-dagnandosi l'appellativodi "Lupi del Moncenisio".Mentre una compagniadel III battaglione del 64°fanteria infiltrandosi nellelinee francesi scese sino aLanslebourg, rimanendoperò isolata.Il 22 proseguì l’azionedella Brennero, ma senzaottenere risultati. Nelpomeriggio i Lupi delMoncenisio tornano nuo-vamente in azione e riu-scirono con un colpo dimano ad occupare l’operadi les Arcellins, ed a man-

DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

L’arrivo dei bersaglieri ciclistialla Gran Croce trasportati a bordo di autocarri OM Taurus

Una cucina da campo installata alla sommità delle Scale del Moncenisio.Da osservare all’estremità della sottostante piana di San Nicolao gli alla-gamenti effettuati per bloccarne il transito

Colonna di carri CL33 lanciafiamme del IV battaglione del 1° ReggimentoFanteria Carrista sulla Statale del Moncenisio all’uscita di Susa

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tenerne il possesso nonostante reiterati contrattacchi francesi. Il 63° reggimento Cagliari raggiunseed occupò Bramans, mentre la colonna del maggiore Boccalatte verso mezzogiorno entrò a Bessans.Stante l’impossibilità di utilizzare la strada del Moncenisio, furono avviati lavori per rendere agibi-le il colle del Piccolo Moncenisio e realizzare un percorso alternativo di accesso sulla valle dell’Arc.Il 23 proseguirono i bombardamenti del Paradiso e la Court sul Turra, ma ciò nonostante laBrennero non riuscì a guadagnare posizioni. Dal Piccolo Moncenisio proseguiva l’afflusso di trup-pe nella valle dell’Arc, che si spinsero sino agli avamposti della linea difensiva di Modane. Il giorno successivo la colonna Boccalatte giunse a Lanslebourg, incontrandosi con la compagnia

I carri veloci C.V. 3 modello 33 alla Gran Croce in attesa degli ordini

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DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

del 64° reggimento, ed in serata giunsero a Termignon. Nella stessa giornata all’Olgiata a Roma,a Villa Incisa della Rocchetta era stato firmato l’armistizio. All’1,35 del 25 giugno cessarono icombattimenti. Ma lasciamo al diario di Fossati narrarci l’azione della Fanteria Carrista,“Due giorni dopo partenza per Susa, il nostro settore di fronte sarà il Moncenisio. Susa è pienazeppa di soldati. Apprendo che ci sono state delle baruffe piuttosto serie fra alpini e camicie nereper il possesso di casermette che, così dicono, erano state approntate per l’Esercito e non per laMilizia. Qui a Susa ascoltiamo il discorso del Duce che termina con quella parola: Vinceremo, e

DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

I primi carri si avviano verso la frontiera

Immagine purtroppo mossa di un C.V. 3 con lanciafiamme munito di carrello per il trasporto del liquido infiammabile, mentre si sposta all’interno dell’Ospizio del Moncenisio

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subito dopo partiamo per ilnostro settore. Non vorreiessere polemico ma solodegli imbecilli potevanopensare ad un impiego dicarri armati su di un terre-no roccioso, immense pine-te, con un’unica strada aduna quota di quasi duemilametri.Ci appostiamo nelle vici-nanze del lago non lontanodall’albergo rifugio chebenché sia italiano vieneregolarmente saccheggia-to. Ferrero e Sella riescono

a procurarsi una più che rispettevole riserva di vino che, naturalmente, viene distribuita fra i mem-bri dell’antico “sodalizio” formatosi a Vercelli. Nevica continuamente. Essendo il 10 giugno indos-siamo già i pantaloni di tela da fatica. L’esercito italiano non disponeva di anti congelanti per iradiatori per cui ogni sera dobbiamo sdraiarci sotto i carri in mezzo alla fanghiglia mista a nevi-schio per vuotare i radiatori per poi riempirli nuovamente il mattino seguente. Dei francesi neppu-re l’ombra almeno nel nostro settore, sappiamo però che già ci sono stati scontri tra alpini e ber-saglieri da una parte e chasseur des Alpes dall’altra. Si parla anche di casi di congelamento, mafortunatamente non nei nostri reparti.Riusciamo a difenderci dal freddo meglio degli altri perché anziché piantare le tende in mezzo allaneve abbiamo trasformato i nostri SPA 38 e Dovunque in piccole camerate. Siamo stipati come gal-line, ma per lo meno non a contatto con il terreno.E’giunto al Moncenisio il Generale V. comandante l’intero settore. Nei giorni precedenti ci ha fattovisita il Principe di Piemonte comandante l’Armata del Po.

L’inizio di quella chepotremo chiamare l’offen-siva ha qualcosa di irreale,non riesco a credere aimiei occhi. Siamo schieratiin prossimità del lago, ilbattaglione Monti in testa,il nostro di rincalzo. Ilgenerale V. pronuncia undiscorso tanto vacuo quan-to retorico. Il terreno din-

23 giugno, l’arrivo alla Gran Croce dei primi caduti

I resti di uno dei carri saltati sulle mine

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DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

nanzi a noi è assolutamente impraticabile ai nostri mezzi. L’unica via che ci può permettere di var-care il confine è la strada del Moncenisio. Pensare che quest’unica via d’accesso non sia stataminata è semplicemente demenziale eppure nessuno sembra rendersene conto. Dove siano i fran-cesi non lo so, ma certamente dalle loro postazioni ci staranno osservando. Noi siamo lì fermiaccanto ai nostri carri attendendo non so cosa. Non un reparto che sia defilato al più che proba-bile tiro avversario. Mi sto chiedendo perchè ancora non abbiano aperto il fuoco su di un bersa-glio immobile così allettante. Forse pure loro sono indecisi ad iniziar una guerra così stupida einsensata.Questi e mille altri pensieri mi passano per la mente mentre assisto, spettatore-attore a questa car-nevalata che solo per merito dei francesi non si è ancora trasformata in una carneficina. Poche

DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

15 agosto 1940, l’innaugurazione alla Gran Croce del monumento ai cadutidella Battaglia delle Alpi.Il monumento fu eretto dietro iniziativa della 91a compagnia del 23° raggruppamento artiglieria,

con la collaborazione della 78a compagnia telegrafisti. I corpi dei caduti successivamente furono traslati; nel dopoguerra ilmonumento venne demolito, neglianni della formazione della diga su quest’area fu tracciata poi una strada

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salve ben aggiustate sulnostro magnifico schiera-mento a plotoni bene affian-cati e allineati e il primoreggimento carrista avrebbefinito di esistere.Sono talmente convinto dinon giungere a sera checominciando il secondopacchetto di Milit mi sonogià scolato la razione dicognac facente parte deiviveri di emergenza per i

quali esisteva la tassativa disposizione di non toccarli senza ordine superiore. Finalmente il gene-rale V. prende una decisione. Senza interpellare il comandante del reggimento né quello di bat-taglione impartisce direttamente l’ordine al primo carro che si trova vicino a lui: “Motori avan-ti”. Al malcapitato non resta che obbedire, mette in moto e si avvia sulla strada oltre il confine,avanza per circa duecento metri, poi com’era prevedibile incappa su di una mina e per i due car-risti la guerra termina prima di cominciare. Mi viene da piangere tanto la cosa è assurda.Guardo i miei uomini, sono semplicemente ammutoliti, uno vomita. Il generale imperterrito ordi-na al secondo carro di avanzare. I francesi continuano a non sparare.Il secondo carro sia pure con minor baldanza mette in moto e avanza, dopo circa duecento metrisegue la sorte del primo. Si odono delle urla, evidentemente il pilota o il capocarro è ancora vivo,però nulla si muove. Il generale ordina al terzo carro di avanzare. A questo punto come per la rot-tura di un malefico incantesimo il maggiore comandante del Monti ferma il carro che già stavaavviandosi e piantandosi sull’attenti davanti il generale dice: “Eccellenza questa volta andremonoi, io sarò il pilota e voi il capocarro”. C’è un silenzio di tomba, il generale borbotta prima qual-cosa di incomprensibile poi aggiunge: “ne riparleremo”. Sale sulla sua macchina e riparte versoSusa. Tanta è la collera e l’odio che c’è in me davanti un simile spettacolo di incompetenza evigliaccheria che senza ordine alcuno balzo sul mio carro e vado cercare di portare aiuto al secon-do carro, quello dal quale si levano lamenti. Cerco di seguire la sua pista e quando sono a tre oquattro metri dietro a lui balzo fuori e con il cavo lo prendo a rimorchio. Il mio timore è solamen-te che abbia la marcia bloccata o che il mio carro non sia in grado di rimorchiarlo. In quelmomento i francesi aprono il fuoco con l’artiglieria. Evidentemente i pezzi erano già in punteriaperché i colpi cadono vicinissimi. Fortunatamente per me non erano i primi che sentivo, aggan-cio velocemente il cavo e tento di buttarmi dentro il carro. In quel preciso momento una granatami scoppia vicinissima e sento un gran calore alla gamba, sono stato colpito da alcune schegge.Ora uscire non posso più, non potrei camminare, e rimanere lì significa morire, sfortunatamentela gamba colpita è quella che mi serve per l’acceleratore, vada come vuole devo tentare di farce-la, il cavo si tende e comincio a retrocedere. Il carro colpito mi segue, i francesi non sparano più.

Il Pincipe Umberto di Savoia davanti al centralino telefonico di Lanslebourg

DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

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Raggiungo il nostro schieramento, ho la mente intorpidita, perdo parecchio sangue, sento come inlontananza la voce del tenente Caterina che grida qualcosa come: “chi ti ha dato l’ordine, neriparleremo”. Ma non mi pare di scorgere animosità nel suo tono.Il buon amico Ferrero mi dice mentre mi depongono per terra sulla neve: “sempre fortunato,nonno, per te la guerra è finita”. Finalmente giunge un’ambulanza vengo caricato con altri feri-ti e avviato prima a Susa poi a Torino”.Venti giorni dopo fu dimesso dall’ospedale; poi la notizia della proposta di croce di guerra al valo-re, la nomina a sergente maggiore ed una settimana di arresti per aver eseguito un’azione senzaaverne ricevuto l’ordine.

Il sergente Bove in una delle cannoniere armate con pezzi da 75 del Forte della TurraLa conca del Moncenisio vista dalla sommità del Forte della Turranei giorni successivi all’armistizio

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DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

Il prosieguo della sua guerra è sempre su questa linea di condotta, permetteteci quindi di inse-rire una parte di diario che ci porta più lontano, in Africa, con la divisione Ariete, dove rice-vette il grado di aiutante di battaglia ed altre decorazioni al valore, tra cui una croce di guerratedesca di 1a classe consegnatagli dallo stesso generale Rommel.La sua guerra termina il 3 novembre 1942 a quota 33 di El Alamein, quando i tedeschi si sonogià ritirati lasciando le truppe italiane da sole davanti alla marea nemica. Gli ultimi tredici carriM13 superstiti del X battaglione sono schierati insieme a pochi cannoni da 47/32 dei bersaglie-ri, davanti ad un centinaio di carri inglesi. L’ultimo ordine ricevuto via radio dalla divisione era“...resistere fino all’ultimo difendersi anche con le mitragliatrici”. Mi vanto di dire che l’ordi-ne fu eseguito. Sta calando velocemente la sera, gli inglesi mantengono un fuoco infernale manon avanzano. Forse temono una di quelle manovre di cui il generale Rommel era famoso......E’ormai quasi buio, e le fiammate dei cannoni inglesi a poche centinaia di metri si staglia-no vivacissime, dal mio iposcopio ho una visuale molto limitata; ho lasciato il sottotenenteVeronesi in torretta e ho preso la guida del carro. Il fuoco attorno a me si intensifica in modoimpressionante e li per lì non riescono a rendermene ragione. La spiegazione l’avrò fra poco.Un colpo nemico di striscio mi asporta l’antenna della radio, un secondo mi trancia di nettola canna delle due mitragliatrici del marconista. Questi che le stava brandeggiando rimanecome fulminato. Un altro colpo mi cade vicinissimo in una buca al mio fianco dove è apposta-to un pezzo da 47/32 dei bersaglieri uccidendo tutti i serventi meno uno gravemente ferito aduna gamba. Il sottotenente Veronesi e il servente Scopellitti con un coraggio temerario balza-no fuori dal carro e vanno a cercare di portare aiuto a quel povero ragazzo la cui gamba destraè quasi staccata dal corpo. Trascinarlo dentro il carro è impossibile così lo issano sopra ilmotore. Veronesi balza nuovamente sul carro e mi grida: “voltati e vai indietro”, “non posso”gli rispondo “scopro il fianco nella virata, siamo fritti, offriamo troppo bersaglio”in quel men-tre mi arriva il terzo colpo che mi colpisce in pieno. Fortunatamente l’enorme mole di sacchet-ti di sabbia che ho sul frontale del carro non permette al colpo di penetrare dentro. “Ti ordi-no di ritirarti” mi urla ancora Veronesi, così devo obbedire. Il motore, ormai logoro perdeabbondantemente olio, non so se reggerà ancora per molto, arretro di qualche decina di metrima è un viaggiare alla cieca; decido quindi di giocare il tutto per tutto e di girarmi confidan-do anche che ormai è notte. Eseguo la manovra imballando al massimo il motore sperando chenon mi abbandoni proprio in quel momento e....... ho la spiegazione del perchè il tiro era con-centrato su di me: gli altri 12 carri ardevano come torce in linea di battaglia! Non avevanoarretrato di un metro!! Il mio era l’ultimo carro semiefficente che aveva fermato gli inglesi adEl Alamein!”Il giorno successivo gli ultimi scontri a piedi, la cattura e gli anni di prigionia.

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DIARIO DI GUERRA DI UN SERGENTE

DA VALCAVERA A MARGHERINATRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULOdi Massimo Robotti

Tra le valli Stura e Maira, a quote sempre superiori ai duemila metri, si distende una vastissima zonafacilmente praticabile, dominata dalla splendida ed imponente mole della Rocca La Meja (metri2.831 s.l.m.). Si tratta di un insieme di altipiani, di colli e di facili passaggi che tradizionalmente haassunto la generica denominazione di Colle del Mulo, dal nome di uno dei suddetti valichi. Situataa cavallo delle medie vallate di Stura e di Maira, nonché sul rovescio della testata della valle Grana,questa cruciale zona di transito assume, dal punto di vista geografico e strategico, una importanzanon dissimile da quella rivestita dagli altipiani dell’Assietta, tra le valli del Chisone e della DoraRiparia. Il considerevole numero dei passi, la loro agevole percorribilità, il loro inserimento nel con-testo di una rete stradale non propriamente carreggiabile, ma certo praticabile alle fanterie, investi-rono questa zona di una rilevanza militare straordinaria fin dall’inizio di quella secolare sfida cheoppose, lungo tutto l’arco della catena alpina occidentale, le sparute milizie sabaude agli esercitifrancesi invasori. In effetti il vitale snodo strategico costituito dagli altipiani del Mulo consentiva,a chi ne avesse detenuto il possesso, di controllare agevolmente i collegamenti tra alcune delle val-late alpine convergenti sulla pianura cuneese.Fu specialmente durante la Guerra di Successione d’Austria che si confermò appieno l’importanzastrategica della regione. Nel quadro delle complesse operazioni intraprese nell’estate del 1744 dal-l’armata gallo - ispana (al comando del principe di Conti) per invadere il Piemonte due colonnenemiche, avanzantesi l’una da colle Roburent – Gardetta, l’altra da Valle Maira – Colle del Preit,avevano potuto convergere sulla zona del Mulo, aggirando così le forti posizioni piemontesi delleBarricate (in valle Stura), e costringendo i difensori a ripiegare attraverso il vallone dell’Arma.

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Veniva così aperta la strada all’investimento prima del forte di Demonte e poi della stessa piazza-forte di Cuneo. Solo la strenua resistenza della città (quaranta giorni di assedio), prima e dopo labattaglia della Madonna dell’Olmo, costrinse l’esercito invasore a rinunciare ai suoi propositi ed aripassare le Alpi con gravi perdite (1).Allorché il giovane Regno d’Italia, nei suoi primi anni di vita unitaria, dovette elaborare una coe-rente strategia difensiva a tutela della propria indipendenza ed integrità territoriale, gli organi pre-posti alla pianificazione sembrarono non aver recepito appieno gli insegnamenti della storia. Nessunpiano che prevedesse di impiegare forti reparti di truppe mobili nelle zone montane, laddove ilnemico invasore sarebbe risultato più vulnerabile; nessun proposito di impegnare a fondo la difesanel cuore dei massicci montagnosi; nessun intendimento di difesa manovrata nelle vallate. La con-cezione strategica, assai velleitaria, ufficialmente adottata fu invece quella della cosiddetta “mano-vra per linee interne” (2).Nell’ambito di tale concetto strategico il principio chiave della difesa alpina restava sempre quello,settecentesco, del forte di sbarramento: ogni grande vallata, praticabile all’artiglieria, doveva essereintercettata da una robusta opera di fortificazione permanente, il cui ruolo era limitato al contrasto,anche solo per pochi giorni, dell’avanzata di una colonna francese. Lo scopo ultimo di tale manovradifensiva era in sostanza una azione meramente ritardatrice in funzione della copertura della mobili-tazione del nostro esercito, e volta a rompere il parallelismo logistico e tattico delle colonne nemiche.Queste ultime, ritardate dalla resistenza dei forti di sbarramento, si sarebbero presentate agli sbocchiin pianura non contemporaneamente, ma in tempi sfalsati, favorendo in tal modo l’azione risolutivadella massa del nostro esercito, ormai mobilitato e radunato davanti alle posizioni di sbocco.Questa impostazione venne sintetizzata per la prima volta in un documento ufficiale dallaCommissione Permanente per la Difesa Generale dello Stato (3). Tale organo collegiale, insediato sindal 1862 sotto la presidenza di SAR il principe Eugenio di Savoia - Carignano, e che riuniva i piùbei nomi della nostra élite intellettuale militare, aveva per compito quello di elaborare un pianoorganico di fortificazione del paese. I suoi lavori, protrattisi per svariate ragioni dal 1862 fino al1871, furono preceduti, accompagnati e seguiti da un intensissimo dibattito, che si sviluppò da unlato sulle colonne delle riviste militari e sulle pagine dei numerosissimi opuscoli e pamphlet dedi-cati ai grandi temi delle riforme militari allora in discussione (4), dall’altro, con più discrezione, nellerelazioni delle commissioni tecniche ed infine, con notevole entusiasmo, nelle aule parlamentari.Questo dibattito, che si protrasse per più di dieci anni, ed a cui presero parte le migliori intelligenzepolitiche e militari del paese (5), contribuì in misura notevole a determinare una importante trasfor-mazione nel concetto strategico, ed a rivalutare in maniera sostanziale il valore impeditivo che la

(1) Su queste vicende si può consultare il volume di Bartolomeo Giuliano, La campagna militare del 1744 sulle Alpi Occidentali e l’assediodi Cuneo. Cuneo, 1967. (2) Cfr. Edoardo Castellano, “Evoluzione della fortificazione permanente sulle alpi occidentali dall’epoca post - napoleonica al secondo con-flitto mondiale”, in Memorie Storiche Militari 1983, Roma, 1984, pp. 567-568.(3) Cfr. Commissione Permanente per la Difesa Generale dello Stato, Relazione a corredo del Piano Generale di Difesa dell’Italia, 2 agosto1871, passim.(4) Questa imponente produzione di studi è stata a suo tempo esaminata da Fortunato Minniti, “Esercito e Politica da Porta Pia alla TripliceAlleanza”, Storia Contemporanea, n. 3/1972 e 1/1973; il saggio è stato ristampato più volte, in particolare come capitolo I del volumeEsercito e Politica da Porta Pia alla Triplice Alleanza (Roma, Bonacci, 1984), che raccoglie vari saggi dello stesso Minniti su temi connessi airapporti tra militari e politici nel periodo umbertino.(5) Ricordiamo, tra l’altro, che molti generali, anche in servizio attivo, erano contemporaneamente deputati al Parlamento, e più spesso anco-ra senatori del Regno, partecipando piuttosto attivamente ai lavori parlamentari.21

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

catena alpina avrebbe potuto rappresentare nell’ambito della difesa della frontiera italo–francese.Tale variata concezione strategica si palesò ufficialmente la prima volta, in ambito tecnico - militare,durante le discussioni e le conclusioni della nuova Commissione per lo Studio della Difesa delloStato (6), mentre in ambito strettamente politico–governativo si ebbe formale notizia nelle dichiara-zioni rese alla Camera dei Deputati ed al Senato dal ministro della Guerra Emilio Ferrero nel 1882 (7).Il nuovo orientamento strategico, che veniva a delinearsi in sostanziale concomitanza con la stipu-la del trattato della Triplice Alleanza, prevedeva una difesa attiva ed energica dei massicci monta-gnosi, con l’impiego di numerosi reparti mobili che, appoggiandosi alle fortificazioni di sbarramen-to, erano destinati anche a sviluppare violente azioni controffensive. In tale mutato quadro, venivaevidentemente rivalutato il ruolo giocato da quelle regioni montagnose che, come gli altipianidell’Assietta e del Mulo, si sviluppano sui contrafforti che separano tra loro alcune delle più impor-tanti linee di operazioni alpine.Nel caso specifico, che qui ci interessa, del Colle del Mulo (o meglio del “nodo del Mulo”, comeveniva definito nei documenti militari), era chiaro che il possesso di quel vitale snodo di comuni-cazioni avrebbe permesso ad un esercito invasore di effettuare le seguenti manovre:• aggirare lo sbarramento di Vinadio e scendere su Demonte seguendo i sentieri in quota lungo la

direttrice Oronaye – Passo della Gardetta – Colle Margherina – Bandia – Valcavera – Vallonedell’Arma;

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

(6) Che svolse i suoi lavori durante sessioni sviluppatesi dal 1880 al 1883, sotto la presidenza dei generali Luigi Mezzacapo e GiuseppeSalvatore Pianell.(7) Cfr. Camera dei Deputati, Discussioni, Ferrero, 22 aprile 1882 e Camera dei Senatori, Discussioni, Ferrero, 29 giugno 1882, “…prevalseil concetto di non considerare le Alpi come un semplice ostacolo logistico,…ma come una zona di territorio a noi eccezionalmente favore-vole per esercitare una difesa attiva…” Emilio Ferrero (Cuneo 1819 - Firenze, 1887) , veterano di tutte le campane del Risorgimento, fuministro della Guerra dal 1881 al 1884.

I baraccamenti in una foto di fine ottocento, al momento del loro massimo sviluppo, con sullo sfondo il Becco Nero ed ilBecco Grande ed in mezzo la sella del Colle d’Ancoccia. SSC

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• scendere indisturbato sulla media valle Maira (priva di fortificazioni permanenti) attraverso ilcolle ed il vallone del Preit, oppure attraverso i colli del Mulo e d’Esischie ed il vallone diMarmora e sboccare in pianura a Dronero;

• scendere egualmente indisturbato in valle Grana (anch’essa non fortificata) attraverso i colli diValcavera e del Vallonetto e sboccare su Caraglio.

Inutile ricercare nella Relazione del 1871, centrata unicamente sull’individuazione dei siti da fortifi-care, qualche accenno sia pure fuggevole all’importanza degli altipiani posti a cavallo delle grandidirettrici di invasione. Tuttavia è notevole che nei lavori preparatori della Commissione Permanente,che non vennero mai pubblicati, sia possibile rinvenire qualche interessante valutazione in merito. Inparticolare è il generale Valfrè, cui venne affidato lo studio della frontiera occidentale, che sottolineala necessità di proteggere il fianco settentrionale del forte di Vinadio con l’occupazione delle posi-zioni dominanti. Infatti l’infelice posizione strategica del forte lo rende passibile di aggiramenti danord “…Essenziale sarebbe comunque occupare con opere la posizione del Podio Superiore ed ilColle della Neraissa… ...converrà occupare il Colle del Mulo da cui si passa nella Valle di Maira edin quella di Grana: tale occupazione parrebbe poter anche aver luogo con un blockaus (8) o caser-ma forte o simile ricovero cui all’occorrenza si aggiungerebbero trinceramenti eventuali…” (9). E’questa la prima indicazione, per di più reperita in un documento ufficiale, tesa a suggerire la realiz-zazione di opere, sia pure solo occasionali o semipermanenti, al Colle del Mulo.Ma è negli studi a carattere non ufficiale, che arricchiscono i termini del vivo dibattito, che è possi-bile rinvenire autorevoli indicazioni sull’esigenza di occupare gli altipiani del Mulo. Una delle piùlucide menti del nostro stato maggiore, Giuseppe Perrucchetti, autore di una ponderosa analisi delteatro di guerra italo-francese, nell’esaminare approfonditamente la linea di operazioni della valleStura, sottolinea la vitale importanza dello snodo strategico del Mulo, cui afferiscono le direttrici cheper valle Stura, valle Grana e valle Maira possono permettere all’invasore di sboccare nella pianuracuneese. Dunque non solo per evitare l’aggiramento del forte di Vinadio, ma anche nel quadro di unastrategia complessiva, occorre “preparare opportunamente la difesa degli altipiani del Mulo” (10).Chi però intuisce più vividamente la molteplice valenza strategica degli altipiani del Mulo è un gio-vane capitano di Stato Maggiore, torinese, insegnante di storia militare alla Scuola di Guerra:Vittorio Emanuele Dabormida. In un famoso saggio pubblicato nel 1878 e dedicato allo studio della

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(8) Ricordiamo che nella seconda metà dell’ottocento con il termine blockhaus si intendeva un’opera con struttura in legname, talora par-zialmente interrata o ricoperta da pietrame, spesso con funzioni di ridotto interno di un’opera chiusa. Era di uso frequente come opera iso-lata in terreno montagnoso, ove risultava difficile erigere un manufatto in terra ed egualmente era poco probabile l’offesa dell’artiglierianemica. Benché la diffusione delle artiglierie rigate rendesse ormai anacronistica la costruzione di blockhaus, i manuali di fortificazione con-temporanei ne consideravano ancora normale l’utilizzo; cfr., p.es., il Trattato Elementare di Fortificazione (Modena, 1877) del capitano EnricoCosentino. Esempi concreti di realizzazione di blockhaus ancora a fine anni ’80 abbiamo nella zona di Bardonecchia; per la descrizione ditali opere si rinvia a Pier Giorgio Corino, La Piazza Militare di Bardonecchia, Torino, Edizioni del Capricorno, 2003.(9) Cfr. Commissione Permanente per la Difesa Generale dello Stato, Ispezione della 1a zona, Torino, dicembre 1865, a firma: LuogotenenteGenerale Valfrè. Perlustrazione della 1a zona del Territorio del Regno d’Italia, comprendente la cerchia delle Alpi verso Francia e Svizzera,gli Appennini, la Riviera da Ventimiglia a Genova e le colline del Monferrato, p. 30. D’altra parte, ancora prima della proclamazione del Regnod’Italia, i Mezzacapo, nei loro celebri studi, avevano messo in guardia sulla possibilità di aggirare sulla destra il forte di Vinadio attraversoil Colle del Mulo. Cfr. Luigi e Carlo Mezzacapo, Studi topografici e strategici su l’Italia, Milano, 1859, p. 353.(10) Giuseppe Perrucchetti, Teatro di Guerra Italo - Franco, Torino, 1878, pp. 68-72 e 75. L’autore è talmente impressionato dalla manovrafranco – ispana del 1744 attraverso l’alta valle Stura, da ricostruirla minutamente nel suo libro citato. Il Perrucchetti, considerato generalmen-te, sebbene non del tutto a ragione, il “padre” del corpo degli Alpini, fu indubbiamente uno dei nostri più brillanti ufficiali di stato maggiore,studioso specialista in particolare di geografia militare e di operazioni militari in montagna, insegnante alla Scuola di Guerra. Fu autore moltoprolifico; tra le sue opere principali, oltre a quella qui citata, si ricorda: La Difesa dello Stato, Torino, 1884. Per un profilo del Perrucchetti si puòvedere lo studio di Aldo Rasero: “Giuseppe Domenico Perrucchetti”, Studi Storico Militari 1984, Roma, 1985, pp. 477-519.

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frontiera occidentale (11), egli auspica che la difesa dei forti di sbarramento venga integrata da pre-disposizioni che permettano lo sviluppo di manovre controffensive di truppe mobili. L’occupazionedel Colle del Mulo permetterebbe al nemico di aggirare il forte di Vinadio, ma non è questo il soloné il più importante motivo per tenerlo saldamente nelle nostre mani. Infatti, finché il nodo del Muloresta in suo possesso, il difensore potrà agevolmente condurre operazioni controffensive contro ilfianco sinistro delle colonne nemiche discese dal Colle della Maddalena, e addirittura appoggiare lamilizia mobile della Valle Maira, qualora il nemico tentasse di farvi irruzione. Insomma, il possesso degli altipiani del Mulo risulta per Dabormida auspicabile e necessario sia dalpunto di vista della difesa passiva che, ancor più, da quello della difesa attiva e controffensiva. Chepoi la posizione del Mulo possa sembrare un po’ troppo esposta è vero, ma i difensori di essa, setagliati fuori da una delle vie di ritirata, conserverebbero pur sempre altre due linee di ripiegamen-to idonee a raggiungere gli sbocchi in pianura (12). Ma, ecco la conclusione dell’autore, per rende-re possibili le operazioni di un cospicuo corpo di truppa in una regione così elevata come quella delMulo, “…occorrerebbe che vi fossero preventivamente costruiti dei ricoveri per gli uomini e deimagazzini pei viveri e per le munizioni di guerra…” (13). Quanto al proposito, da taluni avanzato,di munire la zona con opere occasionali, il Dabormida ritiene sufficiente erigere trinceramenti, adopera delle milizie territoriali, solo dopo l’inizio delle ostilità.Il nostro prefigura dunque lucidamente, con qualche anno di anticipo, gli orientamenti strategici chesaranno propri del ministro Ferrero e che modificheranno radicalmente l’impostazione della nostrastrategia alpina. In questo senso si muovono, fin dagli inizi, i lavori della nuova Commissione per loStudio della Difesa dello Stato (14). Riunitasi per la prima volta nel 1880, le sessioni del 1881 furo-no interamente dedicate allo studio della frontiera italo - francese (15). Sotto la presidenza di LuigiMezzacapo, noto fautore della difesa attiva ad oltranza nelle regioni montagnose, la commissioneesamina i problemi connessi alla fortificazione della frontiera, alla mobilitazione e radunata del-l’esercito sul teatro di guerra nord-ovest, ed alle operazioni militari conseguenti. Nell’esame delfascio d’invasione costituito dalle valli Vermenagna, Gesso e Stura, la Commissione propone unaserie di interventi tesi a rafforzare lo sbarramento di Vinadio. Esamina quindi la convenienza di for-tificare anche la regione del Mulo, onde sottrarne il possesso all’invasore. La grande maggioranzadei commissari concorda sull’esigenza di occupare stabilmente la regione, nonostante le sue condi-

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(11) Cfr. V.E. Dabormida, La Difesa della nostra Frontiera Occidentale in relazione agli Ordinamenti Militari Odierni. Torino, 1878. IlDabormida (1842-1896), proveniente dall’arma di artiglieria, era uno dei più reputati ufficiali di stato maggiore. Oltre agli incarichi allaScuola di Guerra, prestò a lungo servizio presso l’ufficio del Capo di Stato Maggiore, generale Cosenz. Da tenente colonnello, tra la fine del1877 e l’inizio del 1878, insieme ad Albertone, svolse una importante missione a Berlino in occasione del perfezionamento della conven-zione militare con Germania ed Austria. Promosso maggior generale nel 1895 e finalmente posto al comando di una grande unità, fu invia-to in Africa l’anno successivo, ove morì ad Adua, alla testa della sua brigata.(12) In sostanza, almeno due su tre tra la valli Stura, Maira e Grana.(13) Cfr. Dabormida, op. cit., p. 159.(14) Ancor più di quella del 1862, la Commissione raggruppava il fior fiore delle nostre forze armate, ammiragli e generali di altissima pre-parazione professionale e morale, sovente anche parlamentari ed addirittura ex ministri della guerra. Nella composizione iniziale la com-missione era formata, oltre che dagli ammiragli Martini e Saint - Bon, da sei generali al comando di corpi d’armata (Luigi Mezzacapo, Pianell,Ricotti, Bruzzo, Cosenz, Carlo Mezzacapo), dal generale Bertolè-Viale, comandante il Corpo di Stato Maggiore, dal generale Longo, presi-dente del Comitato di Artiglieria e Genio. Nel corso delle sessioni successive intervennero anche nuovi commissari: tra di essi particolar-mente significativo il maggior generale Agostino Ricci, concordemente considerato uno dei migliori studiosi e conoscitori della frontieraitalo-francese. Rimasto a lungo nella Scuola di Guerra e nei corridoi dello Stato Maggiore (rivestì l’incarico di comandante in seconda delCorpo di Stato Maggiore), terminò la sua brillante carriera con due prestigiosi incarichi operativi alla sua frontiera prediletta: tenne il coman-do prima della Divisione Militare di Cuneo, poi del II Corpo d’Armata di Alessandria.(15) I verbali della commissione sono stati studiati per la prima volta da Fortunato Minniti nel saggio “Il secondo piano generale delle fortifi-cazioni. Studio e progetti (1880-1885)”, Memorie Storiche Militari 1980, Roma, 1981. Recentemente sono stati ampiamente esaminati nel-l’eccellente opera di . Mariano Gabriele:La Frontiera Nord - Occidentale dall’Unità alla Grande Guerra (1861-1915), Roma, AUSSME, 2005.

zioni climatiche ed ambientali non favorevoli. Non è infatti pensabile abbandonarla al nemico, pre-cludendoci la possibilità di azioni difensive e controffensive a largo raggio, anche verso le valliGrana e Maira, ed esponendo la difesa della valle Stura ad aggiramenti egualmente ad ampio raggio. Condivisa la determinazione di difendere gli altopiani del Mulo, si manifestò una differenza di orien-tamenti sulle modalità della loro occupazione. Alcuni commissari proposero di limitarsi ad opere chepermettessero all’occorrenza la difesa attiva della zona; altri, tra i quali il Mezzacapo stesso, propen-devano verso la realizzazione di vere e proprie opere di fortificazione permanente. Questa secondaopzione non intendeva certamente auspicare una difesa statica e passiva della zona, ma semplicemen-te mirava all’economia delle forze, per evitare di dover immobilizzare nella regione troppo numero-si reparti mobili. Fu proprio questa la tesi che prevalse in un primo tempo; tuttavia, in seguito, essen-dosi determinata nella commissione la opportunità di erigere un vero e proprio sbarramento multiploall’altezza di Borgo San Dalmazzo, che chiudesse contemporaneamente gli sbocchi delle valliVermenagna, Gesso e Stura, si stabilì di poter rinunciare in tal caso alla sistemazione del Colle delMulo con opere permanenti, ma si confermò la necessità di apprestare comunque la regione per unadifesa condotta da truppe mobili (16). Così fissate le deliberazioni della Commissione, il ministeronon perse tempo e fece mettere immediatamente allo studio la sistemazione difensiva.Nell’agosto del 1883 una commissione composta da un nutrito numero di ufficiali superiori di arti-glieria, del genio e degli alpini si recò a ispezionare la zona del Mulo, onde mettere a punto il pro-getto di insieme della sistemazione difensiva. Facevano parte della suddetta commissione, oltre acolonnelli e maggiori, anche i generali Pastore e Martini, responsabili, rispettivamente, del comandoterritoriale dell’artiglieria e del genio del I CA di Torino, il generale Verroggio, responsabile delle for-tezze, e addirittura il tenente generale conte Gustavo Mazé de la Roche, comandante del I CA ed exministro della Guerra (17). Gli alti ufficiali compirono le loro ispezioni al Colle del Mulo nella gior-nata del 26 agosto, rientrando poi a Demonte sotto una furiosa grandinata (18).Terminata la fase degli studi preliminari, si sarebbe dovuti passare a quella esecutiva dei lavori, maessa fu ritardata dalla scarsa disponibilità di fondi (19) e, probabilmente, anche da qualche incertez-

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(16) Cfr. M. Gabriele, op. cit. pagg. 395, 396,398, 440, 441. E’ curioso notare che i progetti per fortificare la zona di Borgo San Dalmazzo ela-borati sia dalla Commissione del 1862 , sia da quella del 1881, sia, infine, nel quadro del Vallo Alpino, nessuno fu reso mai operativo. (17) Apprendiamo tali notizie da una corrispondenza da Demonte del quotidiano cuneese La Sentinella delle Alpi (numero del 29-30 ago-sto 1883). L’autore dell’articolo auspica che dalle deliberazioni della commissione (pomposamente denomina “alta commissione militare perle opere di difesa del colle del Mulo”) scaturisca un orientamento favorevole alla realizzazione nella zona di strade, magazzini, ricoveri alservizio delle truppe mobili, più che di vere opere fortificate. Cogliamo l’occasione per anticipare che le fonti da noi utilizzate per la stesu-ra del presente studio non hanno potuto limitarsi a quelle consuete d’archivio, in quanto i documenti disponibili presso la ex sezione stac-cata di Cuneo della 1a Direzione del Genio Militare di Torino (abbreviata in SSC) sono risultati insufficienti a delineare un quadro accettabi-le; molte delle notizie e dei dati che forniremo derivano dunque anche dall’utilizzo di altre fonti d’epoca, quali memorie, resoconti, notiziedi stampa, oltreché dall’esame del terreno.(18) Non è inopportuno segnalare l’eccezionalità di una visita sul terreno da parte di un così qualificato e folto gruppo di ufficiali superiori. Perquanto possa sembrare incredibile, nella seconda metà dell’ottocento non era questa la prassi corrente presso il Regio Esercito; rare erano lericognizioni sul terreno da parte dei responsabili militari, che preferivano sovente un approccio più teorico e burocratico. Si vedano al proposi-to le pungenti allusioni del generale e senatore Bruzzo (G.B. Bruzzo, La Difesa dello Stato, Bologna, 1884, p. 14), nonché le critiche assai piùdirette ed esplicite del generale e deputato Antonio Araldi (nel ben noto volume Gli errori commessi in Italia nella difesa dello Stato, Bologna,1884, pp. 2-3; 40-41.). Notiamo però, segnalando il fatto come eccezione e traendo la notizia dallo studio di Guido Amoretti, I Comandi Militaridi Torino 1814-1971 (Torino, 1971) , come il Mazé de la Roche, assunto il comando del I CA, si dedicasse con vivo interesse a seguire lo stu-dio e l’esecuzione delle fortificazioni (fu anche membro della Commissione per lo Studio della Difesa dello Stato) e che egli “…amava assai iner-picarsi col suo passo ancor agile, benché già cinquantanovenne, sui pendii e sulle creste delle Alpi…” (cfr. G. Amoretti, op. cit. , pp. 63-64). Sinoti che nel 1883 il settore cuneese della frontiera alpina ricadeva ancora sotto la responsabilità del I CA di Torino. A partire 1° luglio 1884 siattivarono i nuovi comandi di divisione e di CA previsti dalla legge 1467 dell’ 8 luglio 1883, relativa alla circoscrizione territoriale militare delRegno. La legge prevedeva, tra l’altro, la costituzione di 4 nuove divisioni e 2 nuovi corpi d’armata. Nell’ambito di tale riorganizzazione, sivenne a creare la nuova divisione militare territoriale di Cuneo (IV), inserita alle dipendenze del nuovo corpo d’armata di Alessandria (II). La divi-sione di Cuneo aveva la responsabilità della frontiera alpina dal Monginevro (escluso) al colle di Tenda (incluso).(19) Nonostante la legge 832 del 30 giugno 1882 avesse stanziato per il quinquennio 1882-1886 19 milioni di lire destinati ai lavori per iforti di sbarramento e assimilati.

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za progettuale (20).Il ministero intendeva, almeno inizialmente, procedere a lavori in sostanziale economia, utilizzan-do al massimo la mano d’opera militare (21). Fu solo nel maggio 1886 che la Direzione Generale delGenio poté stanziare la considerevole somma di lire ottocentomila per procedere al completamentodella sistemazione dello sbarramento di Vinadio (22). Nel gennaio del 1887 tale somma venne ripar-tita in otto capitoli di spesa, riguardanti altrettante opere, o gruppi di opere, da realizzarsi. In parti-colare lire centocinquantamila furono destinate alla realizzazione di un certo numero di ricoverinella regione del Mulo.La Direzione del Genio di Cuneo (23) si mise tosto al lavoro, progettando la costruzione di una nutri-ta serie di gruppi di trune, i tipici ricoveri alpini delle Alpi Marittime e Cozie meridionali. Perchégli organi tecnici si siano orientati verso tale genere di costruzioni non sappiamo con esattezza, manon è difficile intuire che i motivi siano stati di ordine essenzialmente economico. All’epoca esiste-vano già nelle vallate esempi di trune civili, realizzate con materiali estremamente poveri, nonchéresti di più antiche trune di origine militare (24).Nella sua espressione più semplice la truna è un piccolo e primitivo ricovero alpino in pietrame asecco; ha pianta rettangolare e la sua struttura si compone di due piedritti, un muro di facciata, unmuro di fondo e una volta a tutta monta; l’estradosso è spianato a due pioventi con pietrame, e rico-perto generalmente con terra e zolle erbose. Su questo schema di base si innestarono ben prestoinnumerevoli varianti relative alla struttura stessa ed alle dimensioni, alla copertura, al pavimento ead altri particolari.Notiamo per intanto che i comandi del Genio si fecero probabilmente prendere da un eccessivoentusiasmo per questo tipo di costruzioni, che ben presto si moltiplicarono a centinaia, specialmen-te sui due versanti della valle Stura; non solo, come vedremo meglio, nella regione Mulo - Gardetta,ma anche sui passi che si affacciano sulla francese valle Tinée, ed in specie al Colle della Lombarda,sui contrafforti a sud di Vinadio, al Colle del Sabbione e altrove.La rapida moltiplicazione delle trune era favorita dal fatto che la loro costruzione risultava piutto-sto semplice e rapida; il materiale necessario (pietrame) era abitualmente rinvenibile con facilitànella zona stessa della costruzione. La realizzazione poteva venire affidata ad imprese civili, cosìcome alla manodopera militare. In quest’ultimo caso, solitamente, soldati del genio inquadravanosquadre ausiliarie composte da alpini o, più raramente, da fanteria di linea . Secondo una pubblica-

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(20) All’intelligence francese non era evidentemente sfuggita la nostra intenzione di realizzare qualcosa al Colle del Mulo. Nell’edizione 1884della classica opera del commandant A. Marga, Géographie Militaire, si legge una corretta descrizione della piazza di Vinadio, che, nota l’A.,può essere aggirata dal nord. “Al colle del Mulo si è progettato una specie di blockhaus, ma non se ne è ancora fatto nulla” (Marga, op. cit.,p. 224 del 2° volume). Al contrario, l’anonimo ufficiale autore di Fortification et Défense de la frontière franco-italienne (Paris, 1888), che siispira con tutta evidenza alla suddetta opera del Marga, dà addirittura come già costruito il blockhaus del Colle del Mulo. (21) Prassi assolutamente non utilizzata nell’ottocento per la realizzazione di opere vere e proprie di fortificazione e comunque di manu-fatti di una qualche importanza. (22) Cfr. Direzione del Genio Militare di Cuneo, Monografia delle opere di fortificazione di Vinadio, Cuneo, 8 luglio 1887. L’originale deldocumento si trova presso l’ISCAG di Roma, ma l’importante testo è stato meritoriamente pubblicato da M. Viglino Davico nel bel volume:Fortezze sulle Alpi, Cuneo, L’Arciere, 1989, pp. 258 sgg.(23) La citata legge 1467 del 1883 prevedeva anche l’aumento a 19 delle direzioni territoriali del Genio. Tra quelle di nuova costituzionefigurava anche la Direzione di Cuneo, attivata a far data dal 1° gennaio 1884. Il suo personale direttivo contava 1 colonnello direttore, 3capitani, 4 tenenti.(24) Pier Giorgio Corino ha dimostrato la preesistenza di trune (non necessariamente nell’aspetto attuale, che è di fine ottocento) sul sitodel Colle della Lombarda, pubblicando una carta topografica militare del 1843 che già riporta una truna ed i Baraccamenti della Lombarda.Cfr. Pier Giorgio Corino, Valle Stura Fortificata, Borgone di Susa, Melli, 1997, p. 119.

zione ufficiosa di fine Ottocento (25) ad una squadra composta da sei muratori e quaranta uomini difatica occorrevano da tre a dieci giorni, a seconda delle condizioni locali, per costruire una truna.In base ai compiti cui venivano destinate le trune potevano trovarsi isolate, ed allora assumevano lafunzione di osservatorio o di posto di vedetta, oppure raccolte in gruppi più o meno numerosi (dapoche unità fino alle ottanta della Gardetta), ed erano allora destinate a ricoverare per lungo temporeparti di truppe di varia consistenza. Esse vennero realizzate comunque sempre oltre i duemilametri di quota e permettevano, almeno in teoria, di accogliere reparti alpini anche in pieno inverno.Sovente le trune venivano costruite parzialmente interrate a mezza costa, con l’asse perpendicolare

alla falda del pendio montuoso. Si conseguiva in tal modo unmigliore occultamento e si contava di ottenere una più soddisfa-cente temperatura interna.Dal punto di vista della loro tipologia architettonica, le trune ven-nero realizzate sostanzialmente secondo due modelli costruttivi,che i documenti della Direzione del Genio di Cuneo denomina-no n. 1 e n. 2 (26), ma con una serie notevole di varianti ad alcu-ni particolari.Le trune del tipo n. 1 erano per lo più realizzate a mezza costa,con il muro di fondo parzialmente o totalmente interrato; presen-tavano un prospetto tipicamente triangolare, con la base largacirca metri 7,2. Volendo entrare più nel dettaglio, potremmo (27)

distinguere due sottotipi, il n. 1/a, con muro di fondo totalmenteinterrato, ed il n. 1/b, con il muro di fondo solo parzialmenteinterrato, e dotato dunque di una apertura per finestra; questosecondo sottotipo presentava un prospetto ancor più “schiaccia-to”, e largo più di dieci metri.Le trune del tipo n. 2 mostravano un prospetto pentagonale, conla base larga solo metri 6,2; solitamente erano realizzate su ter-reno compatto e raramente avevano interrato il muro di fondo,che però non presentava mai, salvo errore, apertura per finestra.Una variante presentava invece una apertura per finestra sullafacciata, immediatamente al di sopra della porta di ingresso (28).Le dimensioni del vano interno non erano fisse, ma non risulta-vano comunque in relazione alla predetta suddivisione tipologi-ca. Solitamente erano le seguenti: larghezza metri 3,00, lunghez-za metri 6,00 in entrambi i tipi di truna. La larghezza talvoltarisultava però inferiore, fino ad un minimo di metri 2,70. Non cirisultano invece significative variazioni nella lunghezza. La luce

(25) Cfr. Manuale per l’Ufficiale del Genio in Guerra, Roma, 1895, p. 80.(26) Non sappiamo se tale denominazione rivestisse carattere ufficiale.(27) Ma è una classificazione nostra, dunque arbitraria e discutibile.(28) Abbiamo rilevato tale variante solo alle trune del Colle del Sabbione, dunque al di fuoridella zona su cui verte il presente studio.

Tipologia delle trune del tipo numero 1e numero 2. SSC

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dell’apertura per l’ingresso era generalmente alta metri1,70 e larga metri 0,70-0,75; in qualche truna isolatarealizzata dagli alpini si trova un’altezza ridotta a metri1,45. Il pavimento si teneva solitamente più basso delpiano di campagna, per cui la volta raggiungeva altez-ze abbastanza considerevoli, circa metri 2,30-2,35 sulpavimento. I piedritti si facevano spessi per lo più metri1,10, con possibilità di arrivare fino a 1,40. La lunghez-za esterna delle trune variava in relazione al terreno diimpianto ed alla esigenza di occultamento: mediamen-te si aggirava comunque sugli otto metri. La capacitàdell’unico locale interno variava dai dieci ai ventiuomini, e ciò sia in relazione alle sue dimensioni sia infunzione delle sistemazione prevista per i soldati: laordinaria “paglia a terra” o quella, assai più rara, supagliericci. Il pavimento poteva essere lastricato o,assai più frequentemente, lasciato in terreno naturale.La struttura muraria, inizialmente in pietrame a secco,presentava talora modesti rinzaffi di malta o calce. Lamaggior varietà di soluzioni si riscontrava nella coper-tura: quella tipica era in terra e zolle erbose, ma nonmancano frequenti esempi di volte coperte da lastre diardesia o comunque di pietra, o da tavole di legno oinfine da lamiere zincate su assito. Nelle trune del Colle della Lombarda si sperimentò anche, conesito non soddisfacente, una copertura consistente in uno strato di dieci centimetri di calcestruzzo.Le trune potevano essere dotate o meno di sportelli per porte e finestre; solo nel primo caso vi sipotevano ricoverare stabilmente dei materiali.Il costo di realizzazione delle trune risultò molto variabile in relazione al terreno di impianto (neces-sità di sbancamenti, consistenza del terreno, presenza di rocce, distanza dalle cave, disponibilità distrade…..); se realizzate dalla mano d’opera militare esse costarono da 150 a 300 lire ciascuna;quelle costruite da ditte civili si attestarono sulle 400 – 550 lire.Il frenetico attivismo della Direzione del Genio di Cuneo portò al completamento, in breve volge-re di tempo, di svariate centinaia di trune in tutta la Valle Stura. Per limitarci alla sinistra orografi-ca della valle ed alla linea di operazioni che qui ci interessa, vennero realizzati i seguenti grandigruppi di trune, risalendo da est verso ovest, cioè verso la testata della valle: Valcavera (quaranta-sei trune); Bandia (quattro gruppi per un totale di trentotto trune); Margherina (venti trune);Servagno (nove trune); Gardetta (ottanta trune); Roburent (quarantadue trune).A questi consistenti gruppi occorre ancora aggiungere due trune al Monte Bodoira (a ovest diBandia; il Corino le considera come corpi di guardia dell’attiguo trinceramento) più due trune iso-late intorno a Valcavera: quella di Cima Test a nord, e quella di Passo Eguiette, a sud.

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Ricovero del tipo 2

Limitando l’analisi alla zona propriamente di nostro interesse, cioè quella gravitante intorno al nododel Mulo, prenderemo in esame i primi tre dei suddetti gruppi di trune. Per quanto possa sembrarestrano, dai documenti di archivio non è possibile stabilire con certezza una cronologia dei lavori direalizzazione; tuttavia, incrociando e confrontando i dati parziali di diversa provenienza è possibi-le affermare con ragionevole certezza che i grandi complessi di trune, iniziati non oltre il 1888, ven-nero ultimati entro il 1889, divenendo operativi certamente nel 1890; dopo tale data si costruironosolo più trune isolate, in prevalenza ad opera delle truppe alpine, e utilizzate come posti di vedetta.Risalendo da Demonte il lunghissimo vallone dell’Arma, pochi tornanti prima di raggiungere ilColle di Valcavera, ove termina il tracciato asfaltato, si osserva, sulla destra di chi sale, un ampiorispianato, ove è possibile rinvenire a quota 2.299, i resti delle Trune di Valcavera (29). Solo più duetrune si presentano in buone condizioni (stato di conservazione ‘A’) (30), tre versano in stato ‘C’ ele rimanenti quarantuno sono ridotte ad ammassi di pietrame, sovente leggibili solo dall’alto (stato‘D’). In sostanza resta ben poco da vedere ai nostri giorni, e, com’è naturale, ad ogni inverno chepassa la situazione peggiora.Le quarantasei trune originarie erano ordinate su più file, ed il complesso era stato integrato da alcu-ni edifici logistici allo scopo di incrementarne l’autonomia operativa: due cucine (per complessivi

(29) Nei documenti ufficialidell’epoca è più frequente iltoponimo Valcovera. Noiuseremo quello attuale diValcavera.(30) Per lo stato di conserva-zione attuale di trune e rico-veri, si vedano le tabellecontenute nell’appendice n.1

I ruderi dei Baraccamenti di Valcavera Lo sviluppo dei Baraccamenti di Valcaveraa fine Ottocento. SSC

I Baraccameni diValcavera

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sedici fornelli), una scuderia persedici cavalli ed un piccolomacello (unica costruzione adessere situata a sinistra della stra-da).Dall’esame dei ruderi, desumia-mo che le trune di Valcaveraappartenevano al tipo n. 2; nessu-na era dotata di imposta di porta,dunque esse non contenevano sta-bilmente materiali. Sette truneebbero il muro frontale rinzaffatodi calce, una sola aveva la coper-tura in zolle, tutte le altre si gio-varono di copertura in ardesie.Gli edifici logistici eranoanch’essi in muratura a secco consemplici rinzaffi in calce; le cuci-ne misuravano 6,50 x 5,40, lascuderia m. 11,10 x 9,10. Quantoalla cronologia di realizzazione,fermi restando i termini generaliesposti più sopra, non disponiamodi molti validi elementi.Apprendiamo tuttavia, da unaimportante fonte memorialistica(31) che nell’estate 1890 le trune di Valcavera erano operative.Come abbiamo già accennato, questo importante complesso venne integrato da due trune isolateposte su alture nettamente più elevate, con funzioni quindi di posti di vedetta e/o osservatori; si trat-ta della Truna di Cima di Test (nei pressi dell’omonima cima situata a nord di Valcavera, a quota2621) e della Truna di Passo Eguiette (sull’omonimo valico a sud di Valcavera, quota 2445) che per-metteva di sorvegliare il sentiero che, proveniente da Sambuco, raggiunge Valcavera e Bandia.Entrambe le trune, sorprendentemente ben conservate (stato ‘A’) appartenevano al tipo n. 2, con ilmuro di fondo libero; non disponiamo di elementi per una precisa datazione, e ci limitiamo quindia riferire che il Corino le dà entrambe per costruite nel 1890 (32).Ma il sito strategicamente più vitale era senz’altro quello costituito dalla vasta distesa pascoliva chesi estende intorno al colle della Bandia (quota 2408, comune di Sambuco), poco più di due chilo-

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(31) Cfr. David Menini, Operazioni Militari alla Frontiera Nord - Ovest. Memorie di escursioni alpine del 1890, Verona, 1891, p. 41. Il mag-giore Menini, caduto poi eroicamente ad Adua nel 1896, comandava allora il battaglione alpini Verona, del 6° reggimento. Nel volumetto quicitato rievoca le sue esperienze sulle montagne cuneesi nel 1890.(32) Cfr. Pier Giorgio Corino, Valle Stura Fortificata, cit., pp. 64 e 67.

Trune di Valcavera

Truna d’Eguiette

metri ad ovest delle trune di Valcavera. Sui dolci pendii erbosi alle pendici del Becco Grande, alladestra della strada proveniente da Demonte, la Direzione del Genio di Cuneo curò la realizzazionedi quattro gruppi di trune, per un totale di 38 ricoveri. Difficile precisare con esattezza la data dellacostruzione; i due più autorevoli studiosi delle fortificazioni alpine, Pier Giorgio Corino e MauroMinola datano l’insieme del baraccamento (cioè le trune più i ricoveri, di cui si parlerà più avanti)come risalente al 1887-1889 (33), ma noi abbiamo ragione di ritenere anzitutto che i ricoveri sianodi costruzione posteriore, e che le stesse trune siano state realizzate in almeno due tranches.Da notizie di stampa apprendiamo infatti che nell’estate del 1888 erano in corso i lavori di costru-zione delle trune, da ultimarsi probabilmente nella stagione successiva (34) ; mentre in un reportagedi una esercitazione dell’artiglieria da montagna risalente agli anni 1888 o 1889 un ufficiale raccon-ta da un lato di aver dormito nelle trune di Bandia, dall’altro di aver osservato operai lavorare atti-vamente ad altre trune nella medesima località (35). Ne possiamo dedurre che nel 1888-89 almenoun primo gruppo di trune, il più antico, era già operativo, mentre il secondo risultava ancora in viadi completamento. Il primo gruppo realizzato era quello situato più ad ovest (lo indicheremo convenzionalmente comegruppo I) e risulta oggi quasi interamente scomparso (ne vedremo più avanti il motivo). Era com-

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(33) Cfr. Pier Giorgio Corino, op. cit., p. 68; Mauro Minola, Dario Gariglio, Le Fortezze delle Alpi Occidentali. Vol. II: Dal Monginevro al Mare,Cuneo, L’Arciere, 1995, p. 77.(34) Cfr. La Sentinella delle Alpi, 28-29 settembre 1888 e 11-12 ottobre 1888.(35) Cfr. Pier Angelo Menzio, Alpinismo Militare, Torino, 1892, pp. 137 e 139.

Il maggiore dei quattro gruppi di trune esistenti allaBandia a fine Ottocento, in primo piano le cucine. SSC

I ruderi della cucina delle trune della Bandia

I resti delle trune della Bandia

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

posto da ventidue trune disposte su tre file di sei ciascuna e una fila di quattro leggermente distac-cata, più vicina alla strada. Pur non essendo in possesso di documentazione decisiva, riteniamo chetutte le trune I fossero del tipo n. 1, con copertura standard in terra e piote erbose; allo stato attualela stragrande maggioranza di esse versano nello stato ‘D’, solo una si può catalogare ‘C’, mentre dialcune restano solo labili tracce degli scavi di fondazione. Nei pressi del gruppo si trovava ancheuna cucina, attualmente in rovina (stato ‘D’).Un secondo gruppo (II) di due sole trune si trovava più a monte, verso il Colle di Ancoccia; eranodel tipo n. 2 con muro di fondo parzialmente interrato e copertura in terra e piote erbose; lo statoattuale è ‘C’ per la 1/II e ‘A’ per la 2/II: quest’ultima è certamente la meglio conservata di Bandia,probabilmente utilizzata a lungo dai pastori e mantenuta in buone condizioni.Un poco più ad est ecco il gruppo nell’insieme meglio conservato, il n. III, giunto a noi sostanzial-mente ben leggibile, anche se nessuna truna rimane nello stato ‘A’. Si componeva di due file di cin-que trune, perfettamente allineate. Viste dalla strada, sembrano quasi simili a tane scavate nel ver-deggiante pendio. Erano tutte del tipo n. 2, con copertura in terra e piote erbose. Discretamente con-servate le volte, mentre mancano tutti i muri di fondo. Stato di conservazione odierno:‘B’: le nume-ro 1-2-3-4-5-7-9-10/III; ‘C’: le numero 6-8/III. Anche qui troviamo una piccola cucina nelle imme-diate vicinanze: era una costruzione piuttosto robusta, con copertura in lose; stato attuale ‘B’.Infine un ultimo gruppo di trune (IV) si trovava immediatamente a lato della strada, subito alle spal-le del posteriore ricovero - caserma; tre erano perfettamente allineate e una quarta, distaccata, piùvicina alla strada; erano tutte del tipo n. 1. Allastato odierno, la situazione è la seguente: la1/IV e la 2/IV completamente scomparse, consolo labili tracce dello scavo; la 3/IV: stato ‘B’;la 4/IV: stato ‘C’.Circa 1500 metri ad nord ovest di Bandia, perpermettere la sorveglianza e la difesa del vici-no Colle di Margherina nei confronti delle pro-venienze dal Colle del Preit, venne realizzatoun ulteriore e nutrito insieme di trune, denomi-nato Trune di Margherina (q. 2458, comune diCanosio). Quanto alla loro datazione, in man-canza di probanti documenti di archivio, rile-viamo da fonti memorialistiche che le truneerano operative nell’estate del 1890 (36).Anche sul loro numero permane qualche incer-tezza; si rilevano infatti discordanze nei docu-menti di archivio e l’esame sul terreno deiruderi non è decisivo, in quanto ben pocorimane di leggibile ai giorni nostri. Tuttavia,

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

(36) Cfr. David Menini, op. cit. , p. 47.

I ruderi delle Trune della Margherina

Pianta delle trune e del baraccamento della Margherina. SSC

incrociando i dati che ci provengono dallo studio delle rovine, dai documenti più attendibili e, spe-cialmente, dall’esame della foto satellitare, possiamo ragionevolmente concludere che in origine letrune fossero venti (37), disposte nel modo seguente: una fila di cinque ed una seconda di otto allespalle del più recente ricovero (di cui si parlerà più oltre), leggermente più ad ovest; due file di tredi fianco al ricovero; una isolata dietro il ricovero.Erano tutte del tipo n. 2, con copertura in terra e zolle erbose, tutte prive di imposta di porta. Comeconsuetudine per i gruppi numerosi di trune, nei pressi venne anche realizzata una cucina, costitui-ta da una baracca di medie dimensioni, con struttura in muratura di pietrame e malta di cemento;essa disponeva di due vani per complessivi otto fornelli. Lo stato di conservazione attuale è deplorevole: le trune vanno dalla assoluta sparizione di ogni trac-cia allo stato ‘D’ o al massimo ‘C’, mentre la cucina versa in stato ‘C’.Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo, la costruzione dei grandi complessi ditrune era ormai terminata ed esse venivano massicciamente occupate dalle truppe in esercitazione(38). Ben presto, tuttavia, fu chiaro ai comandi che la costruzione delle numerosissime trune nonpoteva risolvere del tutto il problema di rendere praticabili per lunghi periodi a consistenti repartidi truppa le zone montane strategicamente rilevanti. La percezione di questa insufficienza determi-nò quindi nel pensiero delle nostre autorità militari una repentina e drastica modificazione di orien-tamento in rapporto ai ricoveri alpini. Tale evoluzione si venne attuando per due ordini di motivi,uno prettamente tecnico - costruttivo, l’altro più squisitamente militare. Esaminiamo separatamen-te le due questioni.Dal punto di vista tecnico si vennero rapidamente evidenziando i limiti costruttivi delle trune ed illoro scarso rendimento qualitativo. Al loro apparire, in verità, esse avevano suscitato considerevo-le interesse negli ambienti militari, sia italiani che stranieri. In particolare in Francia si assisteva conuna certa preoccupazione al moltiplicarsi delle trune, che apparentemente rendevano presidiabilianche in pieno inverno zone strategiche di alta montagna; il giornale parigino Le Siècle, in un arti-colo del 1890 sulle truppe alpine italiane, descrive la realizzazione delle trune che, “relativementtrès comfortables“, permettono agli alpini di mantenere in ogni stagione il controllo dei passi alpe-stri, e non trascura di invitare il governo francese a imitare la nostra iniziativa.In realtà la situazione non si presentava così soddisfacente. Anzitutto la presunta semplicità ed eco-nomicità di costruzione delle trune si rivelò aleatoria alla prova dei fatti; la loro reale capacità ope-rativa era piuttosto scarsa (i venti uomini paglia a terra rappresentavano un valore solo teorico) percui occorrevano numerose trune per accogliere un consistente reparto di truppa, e ciò rappresenta-va un notevole spreco di materiale (che peraltro solitamente non mancava), di spazio e specialmen-te di mano d’opera. Si aggiunga che la realizzazione delle volte risultava piuttosto difficoltosa siaper la scarsezza di materiali idonei che per la ridotta capacità dei soldati addetti. Ma l’aspetto più sconfortante derivava dalla intrinseca debolezza della muratura a secco, che, uni-tamente all’inadeguatezza della mano d’opera militare e, talora, alla scarsa idoneità dei materiali edelle tecniche costruttive, rendeva le trune assai poco solide e bisognose di frequenti e costosi inter-

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(37) Anche il Corino , op. cit., p. 72, parla di “una ventina di trune”.(38) Sempre dalla già citata Sentinella delle Alpi apprendiamo che nel luglio del 1891 le trune di Valcavera ospitarono non solo gli alpini delbtg. Verona, ma anche i fanti dei reggimenti 81° e 82° (Brigata Torino, allora di guarnigione a Cuneo, al comando del maggior generaleTonini). Ritroviamo gli stessi reparti di fanteria nell’estate 1894 alle trune di Bandia (81° rgt.) ed a quelle di Gardetta (82° rgt.).

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

venti di manutenzione. Espedienti volti a migliorarne la solidità, come l’utilizzo nella copertura dimateriali differenti da quelli originari (lastre di ardesia, tavolati, lamiere zincate, anche calcestruz-zo) e l’uso di intonacature e rinzaffi in malta o calce nei muri frontali e laterali non valsero a miglio-rarne sostanzialmente il rendimento. Prive spesso di sportelli per porte e finestre, durante l’invernoesse si riempivano completamente di neve e risultavano in sostanza inabitabili. Ma anche in estate esse si presentavano come assai poco comode ed igieniche, inadatte ad un sog-giorno prolungato. A causa dell’incessante azione degli agenti atmosferici (acqua, neve, vento, gelo,disgelo…) molte trune risultavano inabitabili per la persistente umidità, che diminuiva solo nelcuore dell’estate, allorché le truppe potevano comunque attendarsi… (39). Nel breve volgere dipochi anni molte trune si ridussero a ruderi cadenti ed altre, assai lesionate, furono utilizzabili solopiù come magazzini.Tutta una serie di documenti ufficiali d’epoca (purtroppo non tutti datati, ma risalenti al periodo1895-1912) che abbiamo reperito in SSC, e che vengono citati in calce al presente articolo, ci testi-monia direttamente o indirettamente la profonda insoddisfazione dei comandi militari circa la riu-scita delle trune. I difetti riscontrati sono quelli che già abbiamo evidenziato: specialmente scarsaabilità tecnica delle truppe addette alla costruzione e inidoneità delle soluzioni adottate per la coper-tura. Il risultato è che sia le trune del tipo n. 1 sia quelle del n. 2 risultano difettose, sempre umidee nel complesso danno una pessima prova di sé. Unica e molto parziale eccezione viene riscontra-ta in alcuni esemplari realizzati alla Gardetta, per i quali la copertura ottenuta con lamiere zincatesu assito e le migliorie consistenti in rinzaffi, pavimento e porte valgono un giudizio moderatamen-te positivo. Ma nell’insieme la situazione è sconsolante. Dall’esame di un documento ufficiale della Direzionedel Genio di Cuneo, che risale con tutta probabilità al 1895, risulta chiaramente che al momentodella sua compilazione alcune trune erano già state addirittura demolite ! Ciò non deve stupire, inquanto le cattive qualità delle trune erano ormai di dominio pubblico negli anni novanta, e se netrova eco non solo nelle pubblicazioni specializzate, ma perfino nella stampa quotidiana.Nell’agosto del 1897 il corrispondente da Demonte de La Sentinella delle Alpi si reca a piedi allaBandia, per far visita ad un amico, sottufficiale del genio che vi si trova distaccato. Ne esce ungustoso reportage in cui l’autore, certamente valendosi di notizie riferitegli dall’amico militare,descrive gli edifici realizzati (dei quali parleremo più oltre) e sottolinea i noti difetti delle trune,destinate, afferma, ad essere demolite e sostituite da ricoveri in muratura. Osserva sulla destra duegruppi di trune “…parte ancora in buon stato (il gruppo III), parte già sgombre e contrassegnatein bianco, cioè prossime a venire demolite (il gruppo I)” (40) .Dunque i comandi, già pochi anni dopo la realizzazione dei primi gruppi di trune, decisero di non

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TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

(39) Interessanti a questo proposito le testimonianze tratte dai due libri di memorie che abbiamo già citato: il maggiore Menini racconta chenel luglio 1890 il suo reparto fu costretto ad attendarsi presso il lago di Roburent, in quanto le trune ivi esistenti erano in gran parte ingom-bre di neve (e ciò in piena estate!). Durante la notte, a causa di un improvviso peggioramento del tempo, con pioggia, grandine e neve: “…sidovette per forza cercar riparo sotto le trune meno occupate dalla neve, sfidando uno stillicidio da purgatorio e la probabilità di rimanervisepolti…”. Cfr. David Menini, op. cit., p. 32. Invece l’allievo ufficiale Menzio dorme nelle trune di Bandia in condizioni ambientali meno estre-me, e trova che la loro “costruzione è molto commendevole, perché esse offrono un riparo abbastanza sicuro e comodo nell’imperversaredella bufera e nelle gelide notti”…tuttavia anch’egli deve rilevare che : “…quando si sta lì dentro stipati come le acciughe, l’aria diventa tostopesante e malsana…” Cfr. Pier Angelo Menzio, op. cit., pp. 139-140.(40) Cfr. La Sentinella delle Alpi, “Una gita a Bandia”, numero del 10-11 agosto 1897. Alla demolizione delle trune si accenna ancora piùvolte in articoli apparsi successivamente.

insistere con le continue, costose e sostanzialmente inutili riparazioni, e provvidero a demolire deci-samente i manufatti più pericolanti, onde evitare incidenti . Le trune più malridotte vennero pertan-to progressivamente contrassegnate, sgomberate dalle truppe ed infine demolite.Una decisiva conferma di questo orientamento ci viene dall’analisi di alcune delle splendide fotod’epoca pubblicate per la prima volta dal Corino, relative a trune e ricoveri della Valle Stura comedovevano apparire nei primissimi anni del ‘900 (41). Alle pagg. 68-69 osserviamo una visione diinsieme della Bandia: le trune del gruppo III e IV appaiono in buone condizioni, discrete quelle delII, mentre quelle del I gruppo versano in uno stato di totale devastazione, inspiegabile con il sem-plice logorio degli agenti atmosferici; evidentemente la foto venne scattata quando già le trune delgruppo I erano state in gran parte abbattute. Lo stesso ragionamento vale per le trune di Margherinache appaiono nella foto di pag. 72: il desolato cumulo di rovine che appare alla spalle del baracca-mento non può che risultare dall’abbattimento, almeno parziale, delle trune. A Valcavera la situazione non era migliore: che le trune fossero crollate spontaneamente o che l’au-torità militare ne avesse ordinato una selettiva demolizione, lo spettacolo da esse offerto era avvi-lente; nell’estate del 1912 lo scrittore torinese Bernardo Chiara, in villeggiatura a Demonte, sale allaBandia; benché poco interessato a questioni militari, nel passare accanto alle trune di Valcavera nonpuò fare a meno di osservarne le precarie condizioni: “...siamo passo passo saliti alle trune, chesono case di pietra costrutte con gran dispendio, anni addietro, dall’Amministrazione Militare.Essendo abbandonate, ora si diroccano; alcune sono già mezzo smantellate; e fra poco quel villag-gio deserto non sarà più che un mucchio di macerie, che si confonderanno coi detriti delle roccesoprastanti…“ (42).

D’altra parte, se vogliamo esaminare la situazione numerica delle trune negli anni a cavallo delsecolo, le cifre che possiamo riscontrare sui documenti SSC sono eloquenti. Nelle relazioni le trunevengono sostanzialmente classificate in quattro categorie: in buon stato, utilizzabili solo comemagazzino, cadute, da abbattersi.A Valcavera, delle quarantasei trune originarie ne restano, nei primi anni del ‘900, 25 operative: 11servono da magazzino, 5 sono cadute e 5 da abbattere; alla Bandia restano operative solo le 10 trunedel III gruppo, tutte le altre sono cadute o demolite; a Margherina delle 20 trune ne restano solo tre,e pochi anni dopo un elenco le considera ormai tutte fuori servizio, cadute o demolite; alla Gardetta,come abbiamo visto, la situazione è un po’ meno scoraggiante: delle ottanta trune ne sopravvivonooperative una quarantina, circa venti servono ancora da magazzino, le rimanenti sono crollate o daabbattersi; le 2 trune di Monte Bodoira, in consegna al 2° reggimento alpini, sono definite “diroc-cate” nel 1912, e se ne caldeggia la radiazione.Insomma l’esame degli aspetti tecnico - costruttivi non poteva che orientare i nostri comandi versorealizzazioni diverse e alternative alle trune, cioè verso ricoveri alpini magari meno economici nelcosto iniziale di costruzione, ma certamente più solidi, più grandi, di migliore abitabilità e menosoggetti a costosi interventi di manutenzione.Tuttavia occorre rilevare che non furono solo gli evidenti limiti costruttivi delle trune a determina-

35(41) Cfr. Pier Giorgio Corino, op. cit., passim. Gli originali, su lastra di vetro, si trovavano nell’archivio della SSC.(42) Cfr. Bernardo Chiara, Sessanta giorni in montagna, Torino, 1913, p. 204.

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

re il mutato orientamento che si delineòintorno al 1890 in relazione ai ricoverialpini. Infatti tra la fine degli anni ‘80 el’inizio del decennio successivo semprepiù frequentemente si svolgevano nellealte valli esercitazioni militari piuttostocomplesse, con l’impiego abituale direparti molto numerosi, non solo ditruppe alpine, ma anche di fanteria dilinea, di artiglieria da campagna, delgenio e persino di cavalleria. Dette esercitazioni non facevano chesimulare le manovre che si sarebberosviluppate nel caso di una guerra controla Francia. In tale eventualità, i reggi-menti alpini già stanziati nelle valli delcuneese (43) avrebbero ricevuto consi-stenti rinforzi di battaglioni appartenentia reggimenti normalmente di guarnigio-ne sulle alpi centro - orientali. E’ cosìche fin dall’estate del 1890 vediamomanovrare nelle valli del Gesso e dellaStura, i battaglioni Tirano, Edolo eVestone del 5° reggimento (Milano), ed ibattaglioni Verona, Vicenza e Bassanodel 6° reggimento (Verona).A queste forze, agguerrite e discreta-mente numerose, occorreva poi aggiun-gere i reggimenti di fanteria destinatiall’impiego nelle Alpi Marittime, appar-tenenti al II Corpo d’Armata diAlessandria, ed in particolare allaDivisione Militare di Cuneo. Se i grandi complessi di trune(Valcavera, Bandia, Margherina,Gardetta, Roburent) potevano indubbia-

(43) Che erano già allora i due classici 1° (battaglioniCeva, Mondovì, Pieve di Teco) e 2° reggimento (batta-glioni Borgo San Dalmazzo, Dronero, Saluzzo). Talidenominazioni dei battaglioni risalivano al 1886.

Il Baraccamento della Margherina a fine Ottocento. SSC

Pianta del baraccamento della Margherina. SSC

l ruderi del baraccamento con sullo sfondo Roc la Meja

mente accogliere reparti anche di una certa consistenza per brevissimi periodi, era però chiaro cheuna presenza massiccia, e specialmente protratta nel tempo, di grossi reparti avrebbe richiesto benaltre strutture di appoggio logistico. In particolare magazzini, depositi, infermerie, macelli, scude-rie, comandi, uffici e simili (44) .Le autorità militari si orientarono dunque verso la realizzazione di ricoveri di questi tipo che inizial-mente affiancassero e a lungo termine sostituissero completamente i grandi gruppi di trune. Quanto alla struttura dei nuovi edifici si abbandonò ben presto l’idea della muratura a secco, peradottare la assai più solida muratura ordinaria con l’utilizzo, generalmente, di buona pietra grigiaassai abbondante nella regione del Mulo.La zona prescelta fu quella, strategicamente irrinunciabile, del pianoro della Bandia. Vi si costrui-rono nel corso degli anni numerosi edifici, fino a completare un vero e proprio villaggio militareche, al momento della sua massima espansione (1910) contava le seguenti strutture (oltre ovviamen-te alle trune superstiti): una grande caserma - ricovero (che chiameremo convenzionalmenteRicovero G); una secondo ricovero di dimensioni più ridotte (Ricovero N) un macello (45); unainfermeria, due scuderie, due palazzine comando ( una di 1° e una di 2° ordine), dette anche palaz-zine ufficiali, un magazzino viveri, una ghiacciaia, una cucina (in aggiunta alle due già elencate conle trune), tre fontane e due latrine ufficiali.Un ulteriore grande ricovero venne eretto nelle immediate vicinanze delle Trune di Margherina(Ricovero o Baraccamento di Margherina o d’Ancoccia) (46). Vedremo più oltre le caratteristichedi questi edifici.Per intanto osserviamo che fino a tutto il 1890 nessuna fonte o testimonianza ci permette di dareper iniziata la realizzazione dei ricoveri. La prima indicazione cronologica che abbiamo rinvenu-to è una fonte di stampa risalente all’autunno del 1891, che dà per costruiti durante l’estate alcuniedifici alla Bandia. Da una serie di indizi possiamo desumere che i primi fabbricati realizzati furo-no, sulla sinistra della strada proveniente da Valcavera, due scuderie, una cucina, un magazzinoviveri. Negli anni immediatamente seguenti, durante le brevi stagioni lavorative, seguirono ilmacello, l’infermeria e le due palazzine per ufficiali (47). Da ultimo, meno urgente in quanto letrune, pur con tutti i loro limiti, permettevano comunque di accantonare le truppe almeno nel perio-do estivo, venne costruito il grande ricovero a due piani, vera e propria caserma alpina, sulla destradella strada di accesso. Notizie di stampa danno questa opera realizzata nel 1899 (48). Il ricovero

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(44) Nel 1890 dipendevano dalla Divisione Militare di Cuneo (generale Agostino Ricci) le brigate di fanteria Torino (di guarnigione a Cuneo),con i reggimenti 81° e 82°, e Marche (di stanza a Fossano ed Alba), con i reggimenti 55° e 56° ; inoltre due squadroni di cavalleria del reg-gimento Saluzzo e una brigata su tre batterie dell’11° rgt. artiglieria.I piani di operazione nonché le teorie sulle guerra in montagna che proprio in quegli anni venivano faticosamente elaborati, prevedevanoinfatti l’utilizzo esclusivo dei reparti alpini solo per la copertura e per alcuni particolari tipi di missioni; alle altre ordinarie operazioni avreb-bero dovuto partecipare reparti di fanteria di linea, di bersaglieri, di artiglieria da campagna (preferita ove possibile a quella da montagna)e financo drappelli di cavalleria, oltre che del genio. Da qui l’importanza di far manovrare ogni anno una cospicua frazione dell’esercito dicampagna nelle zone alpestri. Cfr. p. es. il volumetto Appunti sulla Guerra di Montagna, Torino, 1891 del colonnello Claudio Massonat (l’au-tore aveva a lungo comandato un battaglione del 2° rgt. alpini ed era, nel 1891, al comando dell’82° rgt. fanteria in Cuneo; aveva ai suoiordini l’allora giovanissimo tenente Eugenio De Rossi, autore di un noto libro di memorie), nonché il più organico Guerra in Montagna, Roma,1902, del capitano Vincenzo Rossi.(45) La frequente presenza di macelli nei baraccamenti deriva dalla convenienza di macellare (e panificare) nelle immediate vicinanze delletruppe operanti, onde diminuire l’onere logistico dei trasporti in quota.(46) Per la nomenclatura di questo tipo di edifici si veda il dettaglio nell’appendice n. 2.(47) Queste ultime erano sicuramente completate nell’estate del 1896: infatti sappiamo che nel luglio di quell’anno una cinquantina di allie-vi della Scuola di Guerra vi soggiornarono nel corso di una visita al nodo del Mulo.(48) Cfr. La Sentinella delle Alpi, 20-21 ottobre 1899

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

N (che non appare ancora sulla foto pubblicata dal Corino, op. cit., pp. 68-69) venne realizzato inepoca più tarda, purtroppo non precisabile con esattezza ma certamente entro il 1910; esso si posi-zionava sulla destra della strada di accesso, proprio in faccia alle scuderie. Per quanto riguarda ilRicovero Margherina nessun documento di archivio ci permette di datarne con esattezza la costru-zione; tuttavia una bella iscrizione scolpita su un blocco di pietra della facciata riporta inequivo-cabilmente l’anno 1894.La realizzazione delle strade di accesso venne intrapresa solo dopo l’ultimazione dei gruppi ditrune, probabilmente quando si delineò l’orientamento favorevole ai grandi ricoveri in muratura.Da un documento in nostro possesso desumiamo che nell’agosto del 1891 si dette inizio all’iterburocratico necessario all’espropriazione dei terreni interessati alla costruzione del tronco di stra-da carreggiabile tra il Colle di Valcavera e la Bandia. Chiarito così il quadro storico-cronologico forniamo ancora qualche ragguaglio costruttivo (49). Ilproblema principale da risolvere nella costruzione di ricoveri nella zona alpina, dopo la scelta irri-nunciabile della muratura ordinaria, restava comunque quello della copertura del tetto, che dove-va risultare al tempo stessorobusta e resistente agliagenti atmosferici, maanche di semplice ed eco-nomica realizzazione. Siabbandonarono ben prestole coperture fatte con volte,mentre l’utilizzo del legna-me non dette buona prova.Si sperimentarono le piùsvariate soluzioni (terra,ardesie, laterizi, lamieremetalliche…) finché vennegeneralizzata l’adozionedella copertura “allaHausler”, detta anche“copertura piana”. Talesoluzione dette risultati tal-mente soddisfacenti da

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

.(49) Alcune notizie tecniche di grandeinteresse riguardanti le trune ed i rico-veri di montagna abbiamo rinvenutonell’articolo “Ricoveri Militari Alpini” delcapitano del Genio Casali, in Rivista diArtiglieria e Genio, 1896, n. III, pp. 439sgg., nonché nel volumetto Ricoveri diMontagna, Torino, 1923 del tenentecolonnello del Genio Giovanni Ferreri.

I ruderi dei Baraccamenti di Bandia

Planimetria dei Baraccamenti di Bandia con le diverse destinazioni d’uso. SSC

essere scelta quasi sistematicamente non solo per la realizzazione di nuovi edifici, ma anche permodificare strutture già esistenti e dotate di coperture giudicate difettose (50).Gli edifici più recenti della Bandia, segnatamente il grande Ricovero G e le due palazzine ufficiali,vennero realizzati con questa tecnica. Si trattava di tetti con falde pochissimo inclinate (da qui ladenominazione di “tetto piano”), in cui sull’armatura veniva disposto uno strato di tavole. Su taletavolato veniva disteso un manto impermeabile, ricoperto poi da uno strato di sabbia fine, di terravegetale e di ghiaietta. Il suddetto manto constava di quattro strati impermeabili di uno speciale car-toncino, brevettato in Germania; su ogni strato veniva spalmato a caldo un materiale bituminosodetto “Holzcement”. Tra l’assito ed il manto si interponeva ancora uno strato di feltro bituminato inrotoli.I comandi si mostrarono estremamente soddisfatti dei risultati di questa soluzione costruttiva, la cuiesecuzione poteva esser condotta anche da truppa poco esperta; il sistema, oltre a dare subito buonaprova di sé, comportò anche notevoli economie nelle spese generali di costruzione. Infatti veniva-no eliminati i sottotetti; diminuivano la cubatura muraria, l’elevazione degli edifici e l’estensionedelle falde dei tetti; si guadagnava in stabilità in quanto venivano eliminate le spinte sui muri peri-metrali e si migliorava notevolmente l’efficacia del riscaldamento. Per contro la neve non potevascaricarsi da sé dalle falde del tetto, e vi permaneva fino allo scioglimento; dunque occorreva rin-forzare le armature della copertura.Veniamo ora a fornire qualche notizia sui singoli edifici, cominciando dall’isolato Baraccamento diMargherina. Come si può ancora osservare negli imponenti ruderi (stato di conservazione ‘B’), eraun fabbricato di notevoli dimensioni (circa 45 metri per 4,5), realizzato in muratura di pietrame,malta e calce, con abbondanti rinforzi in bella pietra da taglio. Ai due lati dell’andito si aprivanosimmetricamente due camerate per truppa ed una camera per ufficiali su ciascun lato. L’edificiopoteva così ospitare in tutto 6 ufficiali e 150 uomini “paglia a terra”. Qualche attenzione merital’aspetto estetico. Colpisce ancor oggi, nell’osservare i ruderi di un semplice baraccamento, pocopiù di una tettoia chiusa, la cura del particolare estetico e addirittura, nei limiti del consentito, laricerca del bello che il progettista tentò di esprimere pur nella povertà dei materiali a disposizione.I lunghissimi prospetti del ricovero sono infatti segnati da numerose ed eleganti lesene in pietra dataglio, e risulta singolare l’effetto cromatico dato dalla tonalità particolarmente scura del materialeutilizzato. Qualche dubbio permane sul tipo di copertura, in quanto i documenti di archivio sonodiscordi su questo punto. E’ probabile che il ricovero presentasse inizialmente un tetto ad una solafalda, molto inclinata, con copertura di ardesia su assito di tavole, e pavimento in tavolato; in tempisuccessivi sarebbe stata realizzata una copertura “alla Hausler”.Questo tipo di ricovero fu giudicato nel complesso soddisfacente, anche se qualche critico rilevòche la larghezza dei vani interni risultava esagerata per ricoverare una sola fila di uomini paglia aterra, ma insufficiente per alloggiarvene due.E veniamo finalmente alla Bandia. L’odierno visitatore si trova davanti a un consistente numero diedifici in differenti stati di conservazione: alcuni completamente crollati, altri in condizioni assai

39(50) A puro titolo di esempio ricordiamo i tre ricoveri nella zona del Colle di Tenda: Perla, Boaira e Croce di Malabera; costruiti con tecnichetradizionali, nei primi anni del ‘900 vennero rifatti con demolizione della copertura originaria e realizzazione di coperture piane alla Hausler.

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

migliori, privi naturalmente della copertura,ma con muri perimetrali e tramezzi che sfida-no orgogliosamente il trascorrere del tempo. Diciamo subito, senza nulla togliere alla soli-dità delle costruzioni originarie, che gli edifi-ci più importanti e meglio conservati debbo-no in parte la loro buona salute al fatto cheessi vennero utilizzati anche in epoca fasci-sta, e beneficiarono quindi di interventi dimanutenzione e rifacimento di cui sonoabbastanza evidenti le tracce.Ma ciò che fa l’originalità dei ricoveri dellaBandia e ne marca la differenza rispetto adaltre realizzazioni analoghe sta nel fatto cheessi, piuttosto numerosi (le costruzioni prin-cipali sono in tutto tredici), vennero realizza-ti in un insieme compatto, allineati con rigo-re sui due lati della strada di accesso, costi-tuendo così una sorta di pittoresco villaggiomilitare. Per tutte le costruzioni la strutturaera in muratura di pietrame, con frequentirinforzi in pietra da taglio. La materia prima(pietra grigia) era piuttosto abbondante negliimmediati paraggi.Elenchiamo gli edifici nell’ordine in cui li siincontra provenendo da est (Demonte oCastelmagno), iniziando ad esaminare quel-li disposti a sinistra della strada.Il primo ricovero che si presenta è il macel-lo; di esso non conosciamo il tipo di coper-tura; non appaiono tracce di importanti rifa-cimenti moderni, tuttavia lo stato di conser-vazione è abbastanza buono (stato ‘C’).Proseguendo oltre si incontrano le due scu-derie, stato di conservazione ‘C’; si tratta didue piccoli edifici gemelli, affiancati lungoil lato minore; la copertura era quella tradi-zionale con tetto a due falde.Completamente ruderata appare invece l’in-fermeria (stato ‘D’), dotata in origine di

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

I ruderi delle scuderie

Il magazzino

Il ricovero G

copertura piana. Segue la piccolacucina ufficiali, anch’essa ridottaallo stato ‘D’, coperta con tettotradizionale a due falde. Più oltresi incontra in buone condizioni(stato ‘B’) il magazzino (era pro-babilmente un magazzino viveri),robusta costruzione di mediedimensioni coperta con tetto tra-dizionale a due falde. Le due realizzazioni seguentisono tra le meglio conservate ditutto il complesso (entrambe instato ‘B’): si incontra anzitutto laPalazzina n. 2, adibita probabil-mente a sede degli uffici delcomando. Si tratta di una robustacostruzione su due piani, concopertura “alla Hausler”; essavenne progettata e realizzata conqualche minima concessione araffinatezze estetiche: in partico-lare si notano ancor oggi le fine-stre contornate da orlature di

mattoncini rossi al primo piano, da piccoliconci di pietra da taglio al piano terreno. Più oltre si trova la Palazzina n. 1, probabilmente destina-ta ad alloggio ufficiali; benché di struttura leggermente diversa dalla precedente, valgono per essale medesime considerazioni, tranne per il fatto di presentarsi leggermente meno conservata. Nellesue immediate vicinanze si trovava anche una latrina ufficiali in muratura (visibile sulla foto SSCpubblicata dal Corino), di cui non è rimasta alcuna traccia.L’ultimo edificio che si incontra sulla sinistra della strada non ha nulla a che vedere con le realiz-zazioni ottocentesche: si tratta infatti di un’opera fortificata del Vallo Alpino, in calcestruzzo,mascherata con le fattezze di un antico baraccamento in pietra (51).Ritornando idealmente all’inizio del villaggio, e guardando verso il lato destro della strada, si osser-vano anzitutto i resti del ricovero N, ultimo edificio ad essere costruito nei primi anni del secolo;stranamente venne realizzato con copertura convenzionale a due falde molto inclinate, ed è giuntoa noi in mediocri condizioni (stato ‘C’); non appaiono tracce di rifacimenti moderni.Poco più avanti si incontra il fabbricato di gran lunga più importante, probabilmente la stessa ragiond’essere del complesso: è il grande ricovero - caserma a due piani (ricovero G), con un avancorpo

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La palazzina ufficiali

Il Ruderi del ricovero N

(51) Si tratta dell‘opera 310 del Vallo Alpino, armata con due mitragliatrici ed un cannone anticarro.

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

sul fianco orientale un poco più basso e piùstretto, in gran parte crollato. Il ricoverovero e proprio appare invece in ottimo stato(‘B’), anche grazie a manutenzioni e rifaci-menti effettuati in epoca fascista. Dotato inorigine di copertura piana, presenta unarobusta struttura in muratura di pietrame,rinforzata in alcuni punti da bella pietra dataglio. Le riquadrature di porte e finestresono egualmente in pietra da taglio, concuriosi e gradevoli effetti cromatici. Alle spalle del ricovero si trova, in condi-zioni sorprendentemente buone, una pic-cola costruzione seminterrata, simile strut-turalmente ad una truna, ma in muraturacon malta anziché a secco: era la ghiaccia-ia del baraccamento, ancora praticamenteperfetta, tranne per il muro di facciata, chemanca del tutto. Come già accennato ilcomplesso disponeva anche di tre fontane,di cui due erano posizionate all’ingressoest (una a destra ed una a sinistra della stra-da), mentre la terza si trovava più avanti asinistra, nello spazio compreso tra le duepalazzine comando.I baraccamenti della Bandia vissero il loro periodo di splendore tra la metà degli anni ’90 ed il 1910circa; nel corso dell’estate gli edifici venivano occupati a turno dalle truppe in esercitazione, segna-tamente gli alpini dei nostri reggimenti 1° e 2°, quelli lombardi del 5° ed i veneti del 6°, i battaglio-ni di fanteria della Divisione Militare di Cuneo, prima delle brigate Torino e Marche, più tardi dellaCuneo, della Napoli e della Siena (52). I battaglioni effettuavano i tiri di guerra, compivano marceed escursioni, simulavano manovre belliche ai vari livelli. I corrispondenti dei giornali davano soli-tamente vasta eco a queste esercitazioni militari, recandosi spesso al seguito delle truppe e soggior-nando essi stessi alla Bandia, ove giungevano persino comitive di curiosi e di “touristi”. E certamente la vista del pianoro della Bandia doveva costituire uno spettacolo affascinante e pit-toresco: le stradine tra le trune ed i ricoveri vivacizzate dalle multicolori uniformi dell’epoca, glianimati attendamenti dei cantinieri e dei fornitori borghesi di viveri, il viavai incessante di ufficia-li e soldati, di carriaggi e di salmerie, di cannoni e di cavalli…Per tutti gli anni ’90 e nei primi anni del ‘900 ogni estate almeno una compagnia zappatori del

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Il macello

La ghiacciaia

(52) Nel 1900 giunse a Cuneo, per comandarvi la brigata Siena, il generale Alberto Pollio, futuro capo di Stato Maggiore dell’Esercito.(53) Di solito appartenente al 2° reggimento . Negli anni ’90 il Regio Esercito disponeva di quattro reggimenti genio; il 2° rgt. comprende-va in tutto 20 compagnie, suddivise nelle specialità zappatori (12 compagnie), zappatori - minatori (6 compagnie), treno.

genio (53) lavorò alacremente nella zona, attendendo alla riparazione (e poi alla demolizione…)delle trune, alla costruzione dei ricoveri ed alla realizzazione ed al miglioramento della rete strada-le. In particolare la strada che da Bandia raggiunge Margherina, e si prolunga poi per Servagno eGardetta, venne costruita in svariate tranches e terminata nel 1904. Ad essa si affiancava una lineatelefonica che collegava la Gardetta da un lato con Demonte e dall’altro con Bersezio.Benché perfettamente abitabili durante tutto l’arco dell’anno, i ricoveri venivano occupati sistema-ticamente solo nella bella stagione. Durante il lunghissimo inverno essi venivano comunque rag-giunti da frequenti ricognizioni effettuate specialmente dalle truppe alpine, che verificavano lo statodegli edifici e delle dotazioni (54).Ma dopo il 1910 circa l’auspicato miglioramento delle relazioni con la Francia rende meno aspra latensione politico - militare ai confini: si manovra e ci si addestra sempre, è naturale, su entrambi ilati della frontiera, ma l’intensità cala; i comandi non vivono più nel timore di una improvvisa inva-sione francese e la frequenza delle esercitazioni nelle zone di frontiera va man mano diradandosi .I forti si conservano presidiati ed armati, ricoveri e baraccamenti sono mantenuti in efficienza,certo, ma non vengono più occupati con la stessa frequenza ed intensità di prima. Nell’agosto 1912 Bernardo Chiara sale da Demonte, ove villeggia, fino al nodo del Mulo: passaaccanto alle trune di Valcavera, che trova abbandonate e diroccate, poi raggiunge il baraccamentodella Bandia, i cui edifici giudica solidi e resistenti. Ma non vede più l’animazione di pochi anniprima: il villaggio militare è vuoto, esso gli appare “deserto e silenzioso…un paese morto, dove nonsi trova un’anima vivente”, così come in abbandono gli si presentano le costruzioni dellaMargherina (55).Una seconda giovinezza vivranno solo alcuni edifici in epoca fascista, quando tutta la regione vienepesantemente militarizzata con la costruzione di numerose opere di fortificazione e di appoggiologistico del Vallo Alpino.Poi, con la fine del conflitto, discende l’oblio: i vecchi edifici vengono completamente abbandona-ti e si diroccano lentamente. Nel secondo dopoguerra, in realtà, si svolgono ancora nella zonaBandia – Gardetta delle attività militari: è l’ultima stagione “con le stellette” del nodo del Mulo, chesi consuma con le frequenti esercitazioni delle truppe alpine ed in particolare i tiri dell’artiglieria. Ma gli antichi ricoveri sono ormai dimenticati e assistono, muti testimoni, alle ultime attività adde-strative delle truppe da montagna. Sulle loro pietre i graffiti narrano la storia di generazioni di sol-dati che per cinquant’anni hanno presidiato il “Nodo del Mulo”, questo anfiteatro d’alta quota agliestremi confini del regno. Nelle iscrizioni i nomi, le date, le classi, le compagnie, i battaglioni, i reg-gimenti con i loro fasti….tutto perduto nelle nebbie del tempo. Ormai da anni le armi tacciono, e la natura si è riappropriata di questo sito meraviglioso ai piedidella Meja, di questo verdeggiante pianoro dal quale, per usare le parole di Bernardo Chiara, “…siha la vista di uno dei più grandiosi panorami alpini……ond’io abbracciavo, con un solo giro d’oc-chio, il quadro sublime delle Alpi Marittime…”

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(54) Ciò non poteva impedire, tuttavia, qualche furto ai danni dell’Amministrazione Militare. Nel maggio del 1903, alla riapertura dei rico-veri dopo la stagione invernale, si scoprì che ignoti ladri, penetrati nel magazzino viveri della Bandia , avevano scoperchiato tre casse e ruba-to 65 chilogrammi di zucchero, 12 chilogrammi di caffè e….uno scalpello. Notiamo che in Francia, a partire dalla stagione 1892-93, i barac-camenti d’alt quota venivano presidiati in permanenza; durante l’inverno restavano distaccamenti di volontari di 15-30 uomini.(55) Cfr. Bernardo Chiara, op. cit., pp. 204-205.

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

DOCUMENTAZIONE DI ARCHIVIO:Archivio della Sezione Staccata di Cuneo della 1^ Direzione del Genio Militare di Torino (SSC)

(L’ufficio è ormai chiuso da alcuni anni e la documentazione in esso custodita è stata trasferita a Torino).

- Album dei Ricoveri di Alta Montagna costruiti alla Regione del Mulo e sui contrafforti a mezzodì di Vinadio dalla

Direzione del Genio Militare di Cuneo s.d. (ma probabilmente 1895);

- Elenco dei ricoveri e trune in alta montagna, s.d.;

- Comando 2° reggimento alpini: Elenco di proposta delle varianti da apportarsi allo specchio dei ricoveri in consegna

al suddetto Reggimento. Cuneo, 14 maggio 1912;

- Comando della Divisione Militare di Cuneo: Specchio indicante le persone incaricate della custodia delle chiavi dei

Ricoveri Alpini nel territorio della Divisione. Cuneo, 13 novembre 1903;

- Fondo “Disegni”, Canosio, cartt. n. 1, 2, 13; Demonte, cart. n. 3; Sambuco, cartt. n. 1, 8;

- Fondo “Fortificazioni e strade”, raccoglitore “Canosio”, cartella n. 309; raccoglitore “Demonte”, cartella n. 321.

- Carte e disegni diversi

- Fotografie d’epoca, di cui alcune su lastra in vetro originale.

APPENDICE N. 1

CLASSIFICAZIONE DEI RUDERI

Lo stato di conservazione attuale di trune e ricoveri ottocenteschi è estremamente vario, e permette di classificare quan-

to resta dei manufatti in differenti categorie.

1. TRUNE:

A.- Truna sostanzialmente integra, o perché conservatasi tale oppure in quanto soggetta a lavori nel corso del tempo da

parte di militari o di pastori. Presenta sostanzialmente completi i piedritti, il muro di fondo, la volta e la facciata, que-

st’ultima almeno parzialmente;

B.- Truna abbastanza ben conservata, con muro di fondo, piedritti e volta sostanzialmente completi, ma, a differenza

della precedente, con la facciata crollata o in gran parte deteriorata;

C. - Truna con facciata e volta crollata; restano in piedi solo spezzoni dei piedritti e/o facciata e in loco permane gran

parte del pietrame utilizzato per la costruzione; resta comunque leggibile;

D - Truna sostanzialmente scomparsa: resta solo visibile la traccia dello scavo di fondazione e (non sempre) qualche

caotico mucchio di pietre. Talora non facilmente leggibile.

2. RICOVERI E COSTRUZIONI VARIE:

A - Edificio sostanzialmente integro, o perché conservatosi tale oppure in quanto soggetto nel corso del tempo a lavo-

ri da parte di militari o civili (pastori….etc.). Presenta sostanzialmente completi i piedritti, i prospetti e la copertura

(almeno parzialmente);

B. - Edificio che conserva in gran parte integri i muri perimetrali e (in tutto od in parte) i tramezzi, non la copertura;

C - Manufatto che presenta solo più spezzoni dei muri perimetrali;

D - Edificio ridotto a totale rovina, con mucchi informi di pietrame intorno ai resti dello scavo di fondazione.

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

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APPENDICE N.2

NOMENCLATURA RELATIVA AI RICOVERI ALPINI

La terminologia relativa ai ricoveri di montagna utilizzata nei manuali di fortificazione, nei documenti ministeriali ed

in quelli delle direzioni del Genio è tutt’altro che univoca; sovente accade che termini differenti vengano usati nello

stesso significato, e che il medesimo appellativo venga utilizzato per indicare realtà talora differenti tra loro, generan-

do così una anarchia terminologica non facile da dipanare. Stando alle classiche definizioni da manuale per ricovero si

intende un edificio, sito all’interno di un’opera o di una cinta fortificata, idoneo ad alloggiarne, in tutto od in parte, il

presidio. I ricoveri comprendono dunque locali disparati quali corpi di guardia, uffici, camerate, alloggi ufficiali, cuci-

ne, mense, infermerie, latrine, scuderie… Tuttavia per estensione il termine indica anche genericamente un edificio iso-

lato destinato a ospitare personale.

Il baraccamento è più specificamente un ricovero per truppe realizzato in terreno montuoso, ove il personale si trove-

rebbe esposto alle intemperie qualora si attendasse. In sostanza si tratta di un surrogato di quella che è la caserma nelle

piazzeforti di pianura. Il termine truna è quello meno suscettibile di utilizzi anomali: si tratta di un piccolo ricovero

alpino, realizzato in muratura a secco ed avente le caratteristiche descritte nell’articolo. Ciò non toglie che in qualche

documento una truna venga definita genericamente ricovero, o più spesso ricovero - truna. Se alcune trune (da due fino

a svariate decine) si trovano a costituire un insieme organico (anche se non sempre omogeneo), il complesso assume

normalmente la denominazione di Trune di… . Per analogia con quanto sopra esposto, si trova però anche l’espressio-

ne Ricoveri di…oppure Ricoveri - trune di…

Quanto a Baraccamento, alcuni manuali considerano tale termine come sinonimo di ricovero alpino, altri come sinoni-

mo di ricovero truppe tout-court, dando adito a possibili confusioni. Si aggiunga che qualche documento della Direzione

del Genio di Cuneo (che abbreviamo in DGC) indica come baracca - ricovero gli edifici per truppa più spartani, in pra-

tica delle semplici tettoie chiuse, mentre altri definiscono decisamente caserme i ricoveri per personale più grandi e

strutturati, i quali ultimi si trovano ancora denominati caserme – ricovero in carte non provenienti dalla DGC.

Ad esempio l’edificio della Margherina è definito nei documenti DGC indifferentemente talora ricovero, talora barac-

camento, e talaltra ancora baracca - ricovero .In alcuni documenti (non di origine DGC) è chiamato genericamente

Baraccamento di …qualunque edificio isolato o insieme di costruzioni, comprese le trune [!], destinato ad accogliere

solo uomini o uomini e materiali. Qualche complicazione ulteriore nasce quando tali termini vengono utilizzati al plu-

rale. Normalmente, per Ricoveri di…si dovrebbe intendere un insieme disomogeneo di costruzioni in muratura (quin-

di diverse dalle trune) destinate ad ospitare personale ed eventualmente animali ed a consentirne l’attività bellica. Ma

abbiamo già visto che talora l’espressione indica anche un semplice gruppo di trune. La DCG utilizza spesso l’espres-

sione Baraccamenti di… per indicare un insieme di trune integrato da edifici logistici in muratura più o meno impor-

tanti. In questo senso si trova p.es. Baraccamenti di Valcovera, per intendere le trune più gli edifici logistici, e

Baraccamenti di Margherina, ad indicare il gruppo di trune unitamente al ricovero ed alla cucina. Tuttavia, a parziale

smentita di tale enunciazione, troviamo anche il più generico Ricoveri della Gardetta, ad indicare il complesso delle

trune e degli edifici logistici in muratura. Insomma, l’anarchia è completa, ed anche noi nell’articolo ci siamo ad essa

conformati, utilizzando i termini in modo non sempre univoco….

Ricordiamo infine che alcuni fra i più importanti baraccamenti o ricoveri della valle Stura vennero intitolati a militari

originari della zona e distintisi in qualche evento bellico o circostanza pericolosa; ciò avvenne comunque in tempi deci-

samente posteriori alla costruzione. Ad esempio i Baraccamenti della Bandia vennero intitolati al colonnello Filippo

Armand, nativo di Argentera e messosi in luce nel corso della guerra italo - turca.45

TRUNE E RICOVERI AL COLLE DEL MULO

IL VALLO ALPINO A GOUTAdi Davide Bagnaschino

Gouta e l’adiacente zona di Marta sono molto note, nel ponente ligure, per le piacevoli passeggia-te nei boschi, il Sentiero degli Alpini, i paesaggi dolomitici dei Monti Toraggio e Pietravecchia, lafauna endemica e per le opere militari che, insieme a qualche leggenda, attirano ogni anno miglia-ia di escursionisti, curiosi e appassionati di storia. Le strutture più conosciute sono ovviamente quel-le del Balcone di Marta, mentre alcune opere adiacenti sono interessanti ma difficilmente raggiun-gibili in quanto incastonate in pareti rocciose. A Gouta, invece, quello che più colpisce è la densitàdi centri di resistenza e ricoveri in caverna unita alla facilità di accesso: se ne incontrano infatti apochi passi uno dall’altro e sono disposti lungo i sentieri che, paralleli alla strada militare, taglianoil bosco in direzione Est – Ovest.

IL V SETTORE DI COPERTURA G.A.F.Il V Settore Media Roja copriva il fronte da Testa d’Alpe sino a Cima di Marta e si snodava su unpaesaggio che alterna boschi e dolci pendii a falesie e zone rocciose. Scopo del settore era impedire ogni infiltrazione proveniente dai diversi sentieri che da Breil, Sorgee Fontan, salivano sino ad alcuni colli situati in cresta.Il settore era suddiviso nei sottosettori V/A Muratone e V/B Marta e comprendeva tredici capisaldicon cinquantatre opere, due batterie in caverna, cinque ricoveri per appostamenti allo scoperto, sedi-ci ricoveri per truppe di contrattacco, una dozzina di caserme, una polveriera e diversi ricoveri diartiglieria. La sistemazione difensiva si snodava su due linee parallele: la prima linea correva lungoil crinale da Testa d’Alpe all’Arpetta, Monte Simonasso, Monte Lega, Toraggio sino al Balcone di

PIETRA E ACCIAIO - SETTEMBRE 2012

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Marta (dove il settore si saldava con il II Settore Alta Roja); la seconda linea (più precisamente unabretella di raddoppio), in posizione arretrata, doveva fermare eventuali sfondamenti e si snodava neiboschi tra Testa d’Alpe e Monte Lega, sbarrando i valloni dei Grugni e di Genseo e la cresta traMonte Giardino e Scarassan. Particolarità di questa seconda linea era lo sbarramento anticarro diScarassan, composto da due muri di cemento alle estremità e una serie di tombini nei quali, all’oc-correnza, si poteva infilare una triplice serie di putrelle che dovevano fermare eventuali mezzicorazzati nemici.In questo settore le opere sono quasi tutte in discrete condizioni (ovviamente prive di impianti e ser-ramenti), in quanto nel dopoguerra solo alcune sono state oggetto di recupero delle putrelle e coraz-zature; quelle più importanti sono le due batterie in caverna poste a protezione della Posizione diResistenza: la 604a Batteria Sempre Pronta del Monte Lega e la 605a Batteria Sempre Pronta delBalcone di Marta. Anche altre opere della zona sono peraltro interessanti e facilmente accessibili: inparticolare sono da segnalare quelle del Monte Simonasso (opere 11, 12, 12 bis e 14 bis) e dell’Arpetta(opere 13, 14, 15 e 16), che appartengono al Sottosettore V/A Muratone. I centri 11 e 12 (collegati daun lungo cunicolo), 13 e 14 sono tra i più estesi della zona e inoltre (insieme con il centro 12 bis, for-mato da un grosso monoblocco in calcestruzzo, e il centro 10, demolito nel 1947), sono le unicheopere della Media e Alta Roja equipaggiate con casematte metalliche e osservatorio corazzato (1).

IL SOTTOSETTORE V/A MURATONELa dorsale compresa tra Testa d’Alpe e il Monte Toraggio, spesso semplicemente indicata comeGouta (dall’omonimo monte), costituisce il Sottosettore V/B Muratone; essa possiede una tra lemaggiori densità di opere fortificate di tutte le Alpi. Su un fronte di soli otto chilometri, infatti, sicontano in totale cinquantotto opere, raggruppate in dieci capisaldi: una batteria in caverna, venticentri di resistenza e sedici ricoveri sulla Posizione di Resistenza della prima linea, diciassette cen-tri di fuoco e un ricovero nella bretella di raddoppio. A queste opere vere e proprie vanno poiaggiunte le molte caserme e batterie allo scoperto, ubicate a ridosso della prima linea e sulle posi-zioni retrostanti.I motivi di questo elevato numero di costruzioni sono molteplici: in primo luogo la Posizione diResistenza a stretto contatto con la frontiera, con il confine a pochi metri da alcune opere; poi lecaratteristiche della zona, con dolci pendii, fitti boschi e numerosi sentieri che facilitavano l’acces-so alla dorsale da parte delle fanterie francesi e che, nel contempo, le celavano all’osservazione deidifensori; infine la presenza, ai lati della zona, di tratti dalla difficile percorribilità che rendevano ipassi Muratone, Saorgio, Pegairole e dell’Arpetta passaggi da utilizzare obbligatoriamente in casodi offensiva francese, con gli importanti sentieri provenienti da Saorge e Breil.La sistemazione difensiva del Muratone (dal nome del colle di maggiore importanza) doveva quin-di sbarrare questi passi e contemporaneamente impedire l’aggiramento delle posizioni situate dalmare all’Abegliotto e di quelle della Marta, poste ai lati opposti della zona.Il controllo dei diversi colli e dei vari sentieri era svolto prima di tutto dai centri di resistenza, posi-

(1) Nella Bassa Roja diverse opere avevano queste corazzature –tutte recuperate nel 1947- mentre un osservatorio in torretta era posizio-nato a Monte Pozzo.13

IL VALLO ALPINO A GOUTA

zionati senza interruzione lungo il fronte, quindi dalla Batteria in Caverna del Monte Lega, che pro-teggeva gli stessi centri, infine dalle diverse batterie in posizione arretrata (da 75/27, 100/17 e149/35); queste ultime avevano anche possibilità di fuoco sul margine anteriore della posizione, suipercorsi di avvicinamento alla zona.La Posizione di Resistenza della prima linea correva dal Monte Forquin (dove il V Settore si salda-va con quello della Bassa Roja) a Testa d’Alpe, alla Punta dell’Arpetta, a Punta Comune per poipassare alle pendici Nord del Monte Simonasso, sul Monte Battolino, Colle Scarassan, per poi svi-lupparsi sui costoni Nord del Monte Lega, sino al Toraggio, dove la linea si saldava con l’attiguoSottosettore V/B Marta. Sempre partendo da Ovest, da Testa d’Alpe partiva poi la bretella di raddoppio, posta dietro allaprima linea e che ne avrebbe dovuto bloccare eventuali sfondamenti, che proseguiva nel fondoval-le a Campogerao, risaliva a Monte Gouta, scendeva nel vallone a Genseo e infine saliva sulle pen-dici Sud del Monte Lega, dove si ricollegava alla prima linea.La parte dal Forquin sino all’Arpetta non era fortificata, mentre sulle pendici del Toraggio si trova-vano solo dei ricoveri; ciò a causa della natura aspra del terreno, infatti, su queste porzioni di fron-te, i versanti Ovest erano formati fa pareti rocciose e non vi erano sentieri.La maggior parte delle opere si sviluppa in caverna; tuttavia, sulla prima linea, solo il centro di resi-stenza 5 ha le feritoie ricavate in roccia, mentre, le altre opere, hanno grossi malloppi in calcestruz-zo necessari per proteggere le armi ubicate su un terreno in dolce pendio; due opere, il centro 12 bise il ricovero 13 bis, sono invece ricavate in grandi monoblocchi di calcestruzzo in parte infossatinel terreno. In zone pianeggianti o in leggero declivio, esposte ai tiri nemici, vengono poi utilizza-te le casematte metalliche in quattro parti, con resistenza ai grossi calibri. Queste corazzature sonodi piccole dimensioni (all’interno vi è lo spazio minimo indispensabile per due serventi), con strut-tura a pozzo, acciaio di spessore variabile da 20 a 10 cm e sono divise in elementi per facilità di tra-sporto e montaggio; al termine della costruzione risultano completamente annegate nel cemento delmalloppo (a sua volta profondamente interrato) e ne resta visibile solo la feritoia. Hanno il vantag-gio di risultare poco emergenti dal terreno, mentre i blocchi interamente in calcestruzzo per mitra-gliatrici in casamatta sarebbero stati troppo visibili e parimenti costosi per l’enorme volume dicemento necessario. Così la Batteria del Monte Lega, ovviamente in caverna, ha grossi blocchi perproteggere le postazioni dei cannoni; i centri 11/12, 13 e 14, con un lungo sviluppo di cunicoli,hanno casematte metalliche, grossi blocchi per gli ingressi e le postazioni.Denominatore comune delle opere di Gouta è la particolare e curata rifinitura delle parti in muratu-ra e alcune soluzioni tecniche uniche, forse dovute alla ditta appaltatrice o ai progettisti e agli uffi-ciali del Genio Militare che dirigevano i lavori. Le feritoie presentano gradonature ampie e con glispigoli smussati a 45°; gli ingressi e i blocchi hanno la copertura in calcestruzzo arrotondata inmodo molto più accentuato che nei settori limitrofi; il cemento stesso degli intonaci esterni risultamolto liscio a frettazzo fine, sia nelle feritoie sia sulle pareti dei blocchi; alcuni ingressi hanno leporte di accesso molto alte rispetto al terreno, accessibili con una scala a pioli e, sotto all’entrata,possiedono una feritoia per fucile mitragliatore; infine la rete di collegamento fotofonico è moltofitta e collega tutti i centri di resistenza.

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IL VALLO ALPINO A GOUTA

Dove possibile le opere presentano cunicoli abbastanza lunghi, così da frazionare i molti locali logi-stici lungo lo sviluppo delle gallerie stesse. Troviamo quindi ampi depositi dell’acqua, molte riser-vette e depositi viveri, latrine nei diversi blocchi, e coppie di porte stagne che compartimentano leopere, separando le postazioni dalle camerate e zone logistiche. Inoltre le camerate hanno grandidimensioni, con una lunghezza che spesso supera i quindici metri. Poche opere hanno dimensionicompatte: si tratta dei due monoblocchi e dell’opera 9 di Rocce Campane che, caso unico, rispec-chia in modo preciso l’esempio dato dalla Circolare 200 per un’opera con locali in caverna e posta-zioni in blocco in calcestruzzo.Un’altra curiosità della zona di Gouta è l’analogia con il Moncenisio riguardo al rispetto di alcunedirettive della Circolare 200: infatti intorno a Scafa di Gion opere 11, 12, 12 bis, 13 e 14, hanno duemitragliatrici per ogni settore di tiro in postazioni distinte, come appunto previsto dalla prima cir-colare del Vallo Alpino. In considerazione dell’importanza del valico un elevato volume di fuocobatteva quindi tutto il pianoro, le pendici del Simonasso e dell’Arpetta.La Batteria in caverna di Monte Lega (604a Batteria Sempre Pronta), costruita dal 1932 al 1935, èubicata sulla vetta del monte omonimo, all’estremità Nord del Sottosettore V/A Muratone e ricadenella tipologia della circolare 200 dello Stato Maggiore.L’opera è armata con quattro cannoni da 75/27 mod. 906, due mitragliatici FIAT 14/35 e due fucilimitragliatori. I quattro cannoni della batteria dovevano controllare tutta la dorsale da PassoMuratone all’Arpetta, a protezione dei centri di resistenza e a sbarramento dei vari colli, mentre ledue mitragliatrici incrociavano il fuoco con il centro di resistenza 4 di Sanderan e spazzavano i pen-dii Nord e Nord-Ovest del rilievo, a protezione delle casematte.Nel complesso la batteria è formata da due ingressi (armati con fucile mitragliatore) da una serie dicunicoli lungo i quali si aprono diversi locali che collegano le camerate, i depositi di munizioni, lequattro postazioni per i cannoni e le due per mitragliatrici. Le quattro casematte per artiglieria sono armate con il pezzo standard delle batterie in caverna: ilcannone da 75/27 mod. 906 di progettazione Krupp con installazione in caverna (Tipo 1). Questotipo di sistemazione è impiegato anche nella vicina batteria del Balcone di Marta, come pure nellealtre batterie della Valle Roja; si tratta infatti dell’installazione più pratica ed economica per case-matte con azione di fiancheggiamento.Il cannone da 75 mm è smontato dal proprio affusto e utilizza come supporto un carrello Decauvillemodificato, con orecchioniere e seggiolini per i serventi. Il carrello è normalmente ricoverato nellacasamatta (larga due metri e lunga quattro); in caso di necessità può scorrere su un breve tratto dibinario immorsato nel pavimento, facendo così fuoriuscire la volata del pezzo dal grosso piastronecorazzato (dello spessore di dieci centimetri) che chiude anteriormente la camera di tiro. Siccomeil banco roccioso non emerge sufficientemente dal terreno (a differenza di Marta), i blocchi in cal-cestruzzo a protezione delle postazioni fuoriescono dal terreno quasi interamente, con caratteristi-che forme tondeggianti. Sopra alla copertura si possono ancora notare i camini di evacuazione deifumi e dell’aria viziata.All’interno le condizioni dell’opera sono abbastanza buone e, a parte il recupero di tutte le porte eallestimenti interni, nel 1947 non si è provveduto alla rimozione di putrelle e corazzature in ferro.

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IL VALLO ALPINO A GOUTA

Uno dei blocchi d’ingresso della 604a batteria

Esterno di una delle casematte per cannone da 75/27

Il ricovero della batteriadi Monte Lega

Interno di una delle casematte d’artiglieria

La scala in testa al ricovero

Pianta della 604a batteria S.P.

IL VALLO ALPINO A GOUTA

Il rivestimento in POPULIT, applicato in un secondo tempoche serviva a dare un certo isolamento contro freddo e umidi-tà, si è in parte distaccato da pareti e volte ed è caduto a terra.Come pure le altre opere del Vallo Alpino anche quella delMonte Lega non ha partecipato attivamente alla Battaglia delleAlpi del Giugno 1940: infatti il campo di tiro delle armi erainteramente in territorio italiano ed aveva carattere spiccata-mente difensivo.Sulla vetta del Monte Lega, non collegato direttamente allabatteria, si trova l’osservatorio, costruito nel 1935, con il com-pito di dirigere il tiro dell’opera come pure di altre batterieubicate allo scoperto. Da qui è possibile avere, in un colpod’occhio, tutta la situazione del fronte, dal Toraggio sino

all’Arpetta, e spaziare su tutta la Media Val Roja, osservando anche rilievi molto distanti comeRocca dell’Abisso, il Massiccio dell’Authion, Cima del Diavolo, il Monte Bego, ecc. Verso Francia,sui contrafforti Nord – Ovest del Lega, si possono scorgere alcuni ricoveri e opere della prima linea,situate sotto la batteria.Per raggiungere il Monte Lega è necessario, dopo aver percorso la provinciale della Val Nervia

Osservatorio di Monte Lega

Pianta del centro di resistenza 11

La fotofonica del blocco delle armi 2 e 3Il blocco delle armi 2 e 3 La piastra in tre pezzi dell’arma 2

IL VALLO ALPINO A GOUTA

quasi sino a Pigna, seguire la militare che sale sino a Gola di Gouta, quindi lo sterrato in piano sinoa Scarassan e, infine, dirigere verso Passo Muratone; qui è necessario lasciare l’auto e proseguire apiedi verso il Monte Toraggio. Dopo aver percorso poco più di un chilometro a sinistra inizia la dira-mazione per la 604a Batteria che in breve conduce all’opera stessa e alla vetta.I centri di resistenza 11 e 12 sono ubicati sul versante Nord del Monte Simonasso e controllano,insieme alle opere adiacenti, diversi sentieri provenienti da Saorge, la piana di Scafa di Gion e ilmargine anteriore della Posizione di Resistenza. I due centri sono collegati da un lungo cunicolo,formando così un complesso molto esteso, con circa quattrocento metri di gallerie, nove blocchi (unosservatorio in torretta metallica, sei postazioni per mitragliatrici di cui tre in casamatta metallica etre in casamatta di calcestruzzo e tre ingressi), due camerate e diversi locali logistici.Le casematte metalliche e l’osservatorio spuntano nel bosco a pochi metri una dall’altra, control-lando il pianoro di “Fascia Sagrà” e incrociando il fuoco delle mitragliatrici con gli attigui centri diresistenza 12 bis, e 13. Le casematte in calcestruzzo controllano invece il versante Est, con i vicinicentri 10 e 9.Le casematte metalliche sono tutte in quattro elementi, per agevolarne il trasporto, sono completa-mente annegate nel cemento, da cui fuoriesce solo la feritoia e hanno tutte alti pozzi verticali diaccesso.Particolarmente interessante risulta essere l’ingresso attivo; questo tipo di entrata finora è stato

Pianta del centro di resistenza 12

L’ingresso principaleLa torretta dell’osservatoriosullo sfondo la copertura del blocco dell’arma 3

La piastra in tre pezzi dell’arma 2

IL VALLO ALPINO A GOUTA

riscontrato solo in questo sottosettore(nelle opere 10 bis e 11) ed è caratte-rizzato dalla porta blindata accessibi-le attraverso una scala alla marinara(alta circa due metri) e dalla feritoiasottostante. Motivo della strana con-formazione dell’ingresso è forse la suavicinanza al confine.La visita dell’interno è agevole e inte-ressante; lo sviluppo dei cunicoli, leampie camerate, i lunghi depositi del-

l’acqua e i molti locali logistici contrastano conle dimensioni esigue (talvolta veramente mini-me) di altre opere come la vicina 12 bis, costi-tuita da un monoblocco.Il centro 12 bis, armato con due mitragliatrici incasamatta metallica, è ricavato in un monobloc-co di calcestruzzo, in quanto ubicato sul pianorodi Scafa di Gion e la realizzazione in cavernaavrebbe comportato spese eccessive. I localilogistici sono concentrati accanto alla camerata,mentre da questa un breve andito porta alle duetorrette. Il centro 12 bis è l’opera più devastatadal recupero delle putrelle e una delle due case-matte metalliche è parzialmente scoperta dallaprotezione del cemento, in quanto le operazioniper il suo smontaggio furono interrotte (a causa

della cessione della zona alla Francianel 1947).Per raggiungere Scafa di Gion, daScarassan, invece di proseguire versoPasso Muratone, svoltare a sinistra e,dopo circa quattro chilometri, lasciarel’auto nei pressi del vasto pianoro.

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La casamatta metallicaper mitragliatrice di sinistra

La casamatta metallicaper mitragliatrice di destra, priva del rivestimento in calcestruzzo

Pianta del centro di resistenza 12B

IL VALLO ALPINO A GOUTA

IL CAMPO TRINCERATO NELLA FORTIFICAZIONE MODERNAII PARTE, UN ESEMPIO: IL CAMPO DEL LAZZARA’di Giorgio Ponzio

Esempi di Campi Trincerati nelle Valli del PiemonteSe nelle valli alpine e sui colli del Piemonte è ancora oggi possibile reperire linee di trinceramen-ti, taluni in buono stato di conservazione ed altri solo più come scarse tracce superficiali, il discor-so è, o dovrebbe essere, totalmente diverso per i campi trincerati. Come si è detto, per loro natu-ra, sono tutti destinati a scomparire appena terminato l’uso.Se numerosi sono stati i campi d’assedio per la conquista o riconquista di vari forti e città gli altridue tipi, per quanto ne è giunta notizia, sono stati decisamente più rari; di due in particolare si èconservato il ricordo in Valle di Susa ed in Val Chisone.Il primo è il campo trincerato di Chateau Beaulard (Oulx, Val di Susa) costruito dal Lesdiguièresnel 1593 in seguito alla conquista piemontese del forte di Exilles. I Patria lo descrivono comecostituito da tre bastioni staccati e recinti di palizzate. Venne smantellato dai francesi stessi nel1610 (1).Il secondo è il campo che il Catinat pose nella primavera del 1693 sopra Fenestrelle (Val Chisone),a lato della mulattiera per il colle delle Finestre, sfruttando dei lievi pendii che ancora oggi porta-no il suo nome. Anche di questo non sussistono più tracce perché il valente maresciallo sicuramen-te provvide alla sua demolizione all’atto di scendere a Susa a fine settembre dello stesso anno (2).A questi bisogna aggiungerne un terzo, pure in Val Chisone, poco o punto conosciuto e giunto finoa noi inspiegabilmente in discrete condizioni; si tratta del Campo del Lazzarà o Las Arâ o meglio

Carta dei principali luoghi efortificazioni delle valli di Susa,del Chisone, del Pellice eGermanasca citati nel testo: 1 - Forte di Perosa, 2 - Fort Louis, 3 - Fortino di Pomaretto, 4 - Pra Catinat, 5 - Fort Moutin, 6 - Ridotta del Laux,7 - Campo trIncerato di Chateau

Beaulard, 8 - Forte di Exilles. Con linea tratteggiata il confinetra Piemone e Francia

(1) PATRIA E., PATRIA L., Castelli e fortezze della Valle di Susa, Chaier Museomontagna 26, Edizione Museo Nazionale della Montagna«Duca degli Abruzzi» e Club Alpino Italiano – Sezione di Torino, Torino 1983. Pag. 75, scheda 91.(2) AMORETTI G., Il Ducato di Savoia dal 1559 al 1713, Daniele Piazza Editore, Torino 1988 . Tomo IV, pag. 63.

PIETRA E ACCIAIO - SETTEMBRE 2012

del Duca di La Feuillade.IL CAMPO DEL LAZZARA’Localizzazione geografica. Il sottogruppo delle Alpi Cozie Settentrionali Boucier-Cornour ècostituito da un breve tratto orografico di confine tra Italia e Francia da cui si distacca un lungo epoderoso contrafforte che separa la Valle del Pellice a sud dalle valli Germanasca e Chisone a nord.Tale contrafforte all’altezza del passo del Rous si divide originando due catene principali che sepa-rano la prima la Valle del Pellice propriamente detta dalla Valle d’Angrogna, la seconda quest’ul-tima dalla Valle del Chisone, diramando da Il Truc una cresta secondaria che forma la Valle diPramollo. Tale cresta presenta un andamento approssimativamente a semicerchio terminando aSan Germano Chisone; circa al suo centro si apre l’ampio colle del Laz Arâ (3), caratterizzato daun largo ripiano ondulato od in lieve salita, per buona parte prativo, il cui punto più basso è quo-tato 1595 metri. Tale valico mette in comunicazione la Valle di Pramollo con la Valle Germanascatramite il vallone di Riclaretto.Eventi storici. Guerra di successione di Spagna: cause. Il primo novembre del 1700 Carlo III,Re di Spagna e delle Indie, Signore delle Fiandre, di Milano, delle due Sicilie e di Sardegna, ecc.,morendo lasciava erede Filippo di Borbone, nipote di Luigi XIV, che salì al trono come Filippo V.Contro il rischio di una supremazia borbonica in Europa – Francia più Spagna – e per pretese disuccessione scese in campo l’Imperatore Leopoldo II più Inghilterra, Olanda e Prussia.Il Duca di Savoia si vide costretto a schierarsi con la Francia ma, conscio del pericolo di essereschiacciato, chiuso tra la Francia e una Lombardia in mano ai Borboni, il 7 ottobre del 1703, men-tre ancora trattava segretamente con l’Impero, dichiarò guerra alla Francia stessa.Eventi nelle Valli di Susa e del Chisone (4). Anno 1704. Il piano d’attacco francese per il 1704contro il Ducato di Savoia prevede tre direttrici: il primo corpo gallo-ispano, comandato dalVendôme, ha come obbiettivi Vercelli, Ivrea, Bard e la Valled’Aosta; il secondo, del La Feuillade,deve occupare il nizzardo ed Oneglia; il terzo, del Tessé, è destinato ad occupare la Valle di Susa.Causa l’attacco austro-piemontese in Savoia la seconda è abolita; per la terza il Tessé, gravemen-te malato, è sostituito dal La FeuilladeIl 12 giugno si ha la capitolazione della cittadella di “Santa Maria” di Susa; per il La Feuillade siaprono due alternative: procedere verso la pianura e puntare su Vercelli per congiungersi con il

Localizzazione geograficadella Costa del Lazzarà erelativo colle.1- Colle del Laz Arà o

Lazzarà)2 - Fort Louis3 - Forte di Perosa4 - Fortino d Pomaretto

(3) Si trovano anche le grafie Las Arà, Lasarà, Lazzarà e la Sarre.(4) La maggior parte delle notizie riportate provengono dalle Campagne del Principe Eugenio di Savoia, Edizione Stato Maggiore Esercito,Torino, 1894, e da E. Pognisi, Vittorio Amedeo II e la campagna per la conquista del confine alpino, Edizioni Rossera, 1935.47

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

Vendôme od occupare le valli di Susa, del Chisone e Pellice eliminando la resistenza delle milizievaldesi. La sua intenzione sarebbe di scegliere quest’ultima: “… mon dessein serait de les exter-miner entièrement, ce qui ne serait pas difficile n’étant plus que mil huit cent en état de porter lesarmes …” (5), ma il Vendôme stesso lo invita alla calma scrivendogli “… et je suis point surprisqu’avec le peu de troupes que vous avez, vous n’ayez de la peine à soutenir une situation danslaquelle le maréchal de Catinat, avec cent bataillon, avait de la peine à se mantenir, … que je croisvotre fonction bien difficil, pour ne pas dire impossible …” (6). Egli infatti dispone solo di sedicibattaglioni di fanteria e quattro reggimenti di dragoni per un totale di circa 10.000 uomini, la diplo-mazia deve quindi prevalere sulla forza.L’inizio delle trattative blocca le operazioni militari, solo il 18 giugno il La Feuillade si porta aBussoleno con sei battaglioni e tre reggimenti di dragoni; egli ha infatti diviso le sue truppe inquattro colonne: la prima, comandata dal Lapara de Fieux (7), ha il compito di valicare il colle dellaCroce, conquistare il forte di Mirabocco e scendere verso Angrogna; la seconda entrerà in valGermanasca, o meglio valle di San Martino, risalirà il vallone di Riclaretto ed attraverso i colli diLaz Arâ e Vaccera raggiungerà anch’esso Angrogna; la terza si stabilirà nel vallone di Pramollo;la quarta, infine, al suo comando, procederà su Perosa e San Germano. Nel piano è anche previstal’occupazione del colle Rodoretto tra le valli Germanasca e Argentera.Nel frattempo ha anche dato precise disposizioni ai comandanti dei vari reparti sul come compor-tarsi con i valdesi in caso di buon esito delle trattative o no: “Si les Vaudois de la vallée de Saint-Martin envoyent à la Balsille ou sur la rute faire des propositions d’accomodement, on les accep-tera de deux manières: la première en cas qu’ils veuillent s’ériger en republique sous les condi-tions que le Roi leur offre; la seconde, en donnant six otages, entre lesquels il y aura un ministreet les autres les plus apparentsd’entre eux. Il faut leur accorder pour cela six heures et pas plus.Ce délai passé, le pays sera traité comme ennemis et avec la dernière rigueur” (8).Da Bussoleno poi ordina alle truppe, sparse nelle montagne, di riunirsi tra il 24 ed il 25 giugnonella val Chisone per procedere contro Pinerolo.Il 26 passa egli stesso dalla valle della Dora a Fenestrelle ed occupa Perosa mentre inizia il movi-mento delle altre colonne; nello stesso giorno Vittorio Amedeo manda il colonnello Martigny con800 cavalli da Avigliana a Pinerolo.Il marchese di Parella, nonostante l’eterogeneità delle truppe di cui dispone – pochi reggimentiregolari, milizie cattoliche, milizie valdesi, settecento od ottocento Camisards e “gente di fortuna”(9) – riesce a rendere non facile l’avanzata francese; se questi ultimi occupano senza grossi proble-mi il vallone di Pramollo, al colle della Vaccera, il 30 giugno, sono impegnati in aspri combatti-menti e solo il primo luglio la seconda e terza colonna riescono ad occupare provvisoriamente Pré-du-Tour (Pra del Torno).

.(5) ROCHAS D’AIGLUN A. (DE), Les Vallées Vaudoises. Histoire et topographie militaire, Ch. Tenera, Paris 1881, pag. 274.(6) ROCHAS D’AIGLUN A. (DE), op. cit. pag. 275.(7) Louis Lapara de Fieux era il miglior ingegnere militare francese dopo il Vauban, la sua presenza sarà risolutiva, nel 1705, per l’assediodi Verrua. Morirà dopo due ore d’agonia la sera del 15 aprile 1706, colpito da una moschettata al basso ventre mentre si era spinto in unatrincea avanzata all’assedio di Barcellona.(8) ROCHAS D’AIGLUN A. (DE), op. cit pag. 279.(9) Il Parella aveva accolto tra le proprie forze i Camisards, ugonotti francesi fuggiti da Cevenne per la repressione di Luigi XIV, pocofidandosi di esuli francesi e valdesi, avventurieri, vagabondi, disertori, carcerati, con una paga di 5 soldi.

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

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Le cose non procedono altrettanto bene per la prima colonna: uno dei due cannoni precipita in unburrone e solo con molta fatica può essere recuperato in pessime condizioni; il forte di Miraboccosi presenta come un ostacolo insuperabile a sbarrare la valle, efficacemente fiancheggiato dallemilizie valdesi attestate sulla Serra di Corbarant sulla destra del Pellice. Anche il tentativo di apri-re un sentiero in quota per aggirare il forte risulta tutt’altro che facile.Pur coinvolto in grossi problemi il Lapara non perde, da buon ingegnere militare, la visione gene-rale dell’operazione ed il 29 giugno, dalle vicinanze del forte di Mirabocco, scrive al La Feuillade:“Jè eue l’honneur de vous marcquer où se truvait le col de Lazara. Il n’est pas trop cognu dansles vallées parce que ce n’est point un passage; mais il couvre à lheure qu’il est le vallée de Saint-Martin” (10).Nel frattempo l’unità delle valli valdesi si è spezzata: San Germano (dopo qualche esitazione)Pramollo e la Val Pellice non hanno accettato l’offerta di neutralità dei francesi mentre “les chefs,anciens, syndics, conseilleres, capitaines et autres officiers de la vallée de Saint-Martin, Pomaret,Envers-Pinacheet Chenevières, tant catholiques que de la religion prétendue réformée”. Il 3luglio, nel campo francese di Perosa, viene firmato il trattato che porterà, dopo la controfirma diLuigi XIV a Versailles il 25 dello stesso mese, alla creazione della Repubblica di Val San Martino,detta anche la Repubblica del Sale, che durerà fino all’agosto del 1708 (11).Negli stessi giorni il La Feuillade, ritenendo le proprie forze troppo sparpagliate su un vasto terri-torio e troppo esposte alla guerriglia valdese, fa ripiegare la seconda e la terza colonna sul colledel Laz Arâ, dove ha già predisposto un piccolo campo. Sull’ampia sella del colle iniziano i lavo-ri di costruzione di un campo trincerato.Il 4 luglio, vistà l’inutilità degli sforzi per superare il Forte di Mirabocco, anche la prima colonnaviene richiamata; il campo per il suo arrivo viene ampliato, e molto probabilmente, se non sicura-mente, i lavori sono seguiti dal Lapara stesso, come si è detto valente ingegnere militare. Versometà luglio il campo, ormai completato, ospiterà oltre 4.000 soldati: il distaccamento di M. deCanillac, quello di M. de Gévaudan, quello del Lapara ed il gruppo comandato dal cavaliere diMéanne, tutti quasi al completo, meno i battaglioni inviati a presidiare i colli vicini, in particolareil colle Giuliano.Il 5 di luglio il la Feuillade muove in direzione di Pinerolo; verso sera è sul torrente Lemina minac-ciando le alture della città da nord, la quale il giorno successivo, occupata, giura fedeltà nelle manidel suo luogotenente cavaliere di Hautfort.Il giorno 11 luglio la decisa resistenza degli austro-piemontesi tra Avigliana, Vigone e Lusernacostringe i francesi a ritirare la maggir parte delle loro truppe (come si è detto in tutto sedici bat-taglioni ormai ridotti a 300 uomini in media ciascuno e quattro reggimenti di dragoni con non piùdi 1500 cavalli) a Perosa; questi mettono in difesa Pinerolo e pongono appostamenti sui colli cir-costanti la valle.Verso la fine di luglio il marchese di Parella lancia una serie di attacchi al campo trincerato del LazArâ, senza tuttavia particolari risultati nonostante il vigore degli assalti.

(10) ROCHAS D’AIGLUN A. (DE), op. cit..pag. 281.(11) ARMAND-HUGON A., La Repubblica di San Martino (1704-1708), in Bollettino della Società di Studi Valdesi, n. 84, Torino 1945. Pagg.10-25.49

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

In agosto si segnala una certa attività dei valdesi della val San Martino in appoggio ai francesi;infatti il 14 dello stesso mese il La Feuillade scrive al duca di Vendôme: “… les bons traitementque j’ai fait à la vallée de Saint-Martin ont engagé les habitants à faire des courses dans la val-lée de Lucerne; ils en on fait une il y a quatre jours et ils ont ramené 400 moutons …” (12).Tra il 18 e 19 agosto i francesi occupano San Germano, lo fortificano e vi pongono un presidio;presidi vengono anche posti a Pinerolo e ad Abbadia mentre un distaccamento viene mandato inval Pellice. L’impossibilità di sboccare in pianura per la resistenza opposta dal marchese di Parella,dalle milizie valdesi e dalle truppe regolari sabaude nonché l’arrivo da Versailles dell’ordine dispostarsi in Valle d’Aosta obbligano il La Feuillade a ritirarsi, il 30 agosto, da Pinerolo ed il 2 set-tembre a sgombrare San Germano ritirandosi su Perosa. In quest’occasione, considerando anche lepeggiorate condizioni atmosferiche che creano difficoltà alle truppe in quota, viene richiamatoanche il presidio del campo di Laz Arâ, ma i trinceramenti tuttavia, stranamente, non vengonospianati; probabilmente, è l’unica ipotesi plausibile mancando totalmente una sicura documenta-zione, il campo è occupato successivamente da milizie della valle di Pragelato, non si sa se affian-cate da quelle della Repubblica del Sale, con il compito di difendere la valle di San Martino dacolpi di mano da parte di valdesi fedeli al duca di Savoia (13). Il La Feuillade, spostatosi in Savoia,attraverso il Piccolo San Bernardo scende in Valle d’Aosta la cui conquista si conclude il 7 otto-bre con la resa del Forte di Bard assediato dal Vendôme risalito da Ivrea (14). Terminate le opera-

(12) ROCHAS D’AIGLUN A. (DE), op. cit. pag 284.(13) “M.r La Feuillade qui a traité avec eux au nom du roi, commandoit en ce pays et les hommes de notre Vallée (i pragelatesi) se trouvo-ient de garde dans celle de St. Martin pour empêcher l’invasion des lucernois, ou religionnaires de France ...” PITTAVINO A., La cronaca diPragelato dal 1658 al 1724 scritta dai contemporanei R. Merlin e G. Bonne, Tipografia Sociale, Pinerolo 1905. Pag. 81.(14) Il La Feuillade, passato il Piccolo San Bernardo, si troverà nuovamente di fronte, ai triceramenti di La Thuille, i “Camisards”, questa voltain numero di 70, comandati da Giovanni Cavalier. AMORETTI G., op. cit., Tomo IV, pag. 259.

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

Veduta da nord del fronte est, tenaglia, fronte nord e relativa porta

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zioni si ritira in Delfinato rinforzando poi i presidi di Susa e Perosa.Anno 1705. Sul fronte delle nostre valli vi è poco da segnalare. Il La Feuillade prima impegnatonella conquista del nizzardo deve poi sostituire il Vendôme, richiamato in Lombardia, nelle ope-razioni necessarie per portarsi sotto Torino.Il 4 marzo i francesi spediscono 4 battaglioni dal Delfinato a Pinerolo; due di essi hanno il com-pito di costruire dei trinceramenti al Villar di Perosa per assicurare le comunicazioni con Grenoble.Vengono rinforzati i presidi di Perosa e val San Martino.In ottobre la Feuillade manda parte delle truppe nei quartieri invernali: cinque battaglioni a Perosae nelle valli circostanti.Anno 1706. È l’anno dell’assedio di Torino e della disfatta dei francesi del 7 settembre. Le lorotruppe il giorno successivo si riuniscono a Pinerolo, la ritirata verso le Alpi viene considerata aParigi una iattura maggiore della sconfitta: si lascia tutto il milanese in mano agli imperiali.Anno 1707. La maggior parte dell’anno viene spesa nelle infruttuose operazioni delle truppe allea-te (sabaude ed imperiali) in Provenza e contro Tolone. Il 22 settembre Vittorio Amedeo muove daPinerolo verso Villar Perosa con una parte delle truppe; intanto ha inviato il generale Belcastel concinque battaglioni in val Luserna a Bobbio per passare il colle Giulian e scendere a Praly sollevan-do la val San Martino. Il comandante del forte di Perosa si prepara ad un’eventuale ritirata su BecDauphin e Fenestrelle. Il Belcastel, arrivato a Praly il 23 settembre, trova il posto troppo saldamen-te occupato dalle truppe francesi che lo hanno preceduto dal Queiras e si ritira; i valdesi del restonon si sono sollevati contro i francesi stessi, come si era invano sperato.Il giorno 26 Vittorio Amedeo, per difetto di animali e carriaggi per il trasporto delle artiglierie edelle provvigioni necessarie ad investire Perosa, nonché per il cattivo tempo, rinunzia alle opera-zioni, ritira tutti i drappelli avanzati e torna a Torino dove, nei giorni successivi, lo segue la mag-gior parte dei reggimenti piemontesi.Il 3 ottobre il principe Eugenio riconquista Susa con la resa della cittadella di Santa Maria. IlCatinat insiste inutilmente sulla necessità per i francesi di riprenderla. Nell’autunno gli Alleatipongono un postamento, quasi per pura formalità, verso lo sbocco di Perosa.Anno 1708. È l’anno della campagna delle Alpi. Nell’inverno 1707-1708 i francesi perfezionanole opere di Fenestrelle e Perosa. Da parte alleata ci si dedica per più della prima metà dell’anno aipreparativi d’attacco mentre dall’altra si studiano tutte le possibili contromosse.Il 23 luglio agli Alleati viene segnalato che il comandante francese duca di Villars ha sguarnitoquasi tutti i posti nelle valli di Exilles e Fenestrelle per cercare di sbarrare loro il passo in Savoia;rimangono solo dodici battaglioni disposti dalla val San Martino al Monginevro ad Exilles.Il primo di agosto il LG Muret, in seguito all’attacco alleato nell’Alta Valle della Dora, riorganiz-za le difese del Delfinato lasciando seicento uomini a Fenestrelle e cinquecento a Perosa. I coman-danti dei forti hanno l’ordine di difendersi ad oltranza.Il 3 agosto Vittorio Amedeo ordina che il battaglione Trinità da Valenza e quello Kitt da Torinomuovano verso la val Chisone per appoggiare i “Barbetti”, tagliare le comunicazioni con il

(15) Il forte di Perosa di costruzione francese, da non confondersi con il castello, sorgeva nel luogo della attuale frazione chiamata ilForte, nella carta citata alla nota 16 indicato come Cittadella Nova. L’insediamento abitativo ha ancora recentemente alterato i pochi restiesistenti. 51

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

Queyras ed assediare il forte di Perosa (15). Ilgiorno 6, in val di Susa, ha inizio l’assedio delforte di Exilles.Nella notte tra il giorno 11 e 12 agosto ilLuogotenente imperiale marescialloRhebinder scende dal colle del Sestrieres nellavalle di Pragelato a porre il campo davanti aFenestrelle, a Balboutet; egli inoltre ha giàinviato il d’Andorno con mille uomini versoPerosa. Questi sceso in val San Martino laoccupa, con cento granatieri ed alquanti“Barbetti” conquista d’assalto il fortino diPomaretto, di poi tratta la resa del Fort Louis(16) alla caduta ed alle stesse condizioni diquello di Perosa. Il conte della Trinità nel frat-tempo è giunto a bloccare ed investire que-st’ultimo che si arrende il giorno 11.La sera del 12 agosto il forte di Exilles siarrende: il più capace ed antico caposaldofrancese di qua dalle Alpi ha ceduto. Il 14giunge notizia al Villars, tra l’altro, che laridotta del Laux è stata abbandonata dal presi-dio; costituita da una torre quadrata difesa daun muro a stella, è stata subito occupata dagliaiduchi (17). Il 15 agosto il d’Andorno vienedistaccato nelle val San Martino per assicurar-si da un attacco da tale parte. Il 31 agosto siarrende il forte Mutin.Nelle campagne militari del 1707-1708 non sihanno notizie di operazioni che coinvolgano ilcampo di Laz Arâ; il Belcastel nel tentativo dioccupare la val San Martino passa dal ColleGiuliano, il d’Andorno da quello del Pis edassedia Fort Louis senza preoccuparsi di cos’-ha alle spalle. Nell’ipotesi che il campo sia

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IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

Veduta aerea della zona del colle

Veduta aerea del Campo

Planimetria. Nella parte tratteggiata il rilevamento è ancora approssimativo

(16) Fort Louis. Citato in vari documenti come: Pralouis, Palais Louis, Serre di Pralouis, ad Pratum Aloysium, Pratius, Forte San Luigi. Nel 1540i valdesi avrebbero demolito in parte un castello che ivi sorgeva ; nel 1560-61 la zona fu teatro di scontro tra i valdesi ed il conte dellaTrinità . Di certo fu ricostruito nel 1597 su disegno di Ascanio Vittozzi e venne riparato nel 1602. Nella carta delle Valli Valdesi al tempodella Guerra della Lega di Augusta si legge chiaramente "Pralouis demolito". Sicuramente fu riattato dai francesi durante la Guerra diSuccessione di Spagna; infine in calce ai conti delle spese per i lavori a Fenestrelle "Seguono li travagli fatti al Forte Louis vicino alla Perosa",il tutto datato "Fenestrelle li 16 9mbre 1709" e firma autografa del Bertola. Il forte occupava un'area di 83 tavole e 9 piedi. Gli scarsi rude-ri sono stati negli anni 90 completamente cancellati dal proprietario terreno che ha spianato il poggio su cui sorgeva la fortificazione.(17) La Ridotta del Laux in base ad informazioni assunte in loco dovrebbe individuarsi nel mucchio di pietre che sorge nel ripiano poco asud del paese, a lato della mulattiera per il colle dell'Albergian.

stato presidiato, dopo l’abbandono francese, dalle milizie pragelatesi e forse da quelle dellaRepubblica del Sale, il precipitare degli eventi può aver indotto gli occupanti ad abbandonarlo ilpiù in fretta possibile per evitare un confronto con le truppe alleate non certo bendisposte special-mente con le ultime per il loro schieramento con il nemico. È ovvio che in tali frangenti non si èperso tempo a spianare i trinceramenti; il campo, del resto, non interessa direttamente agli austo-sabaudi ai quali importa tenere presidiati i tre forti principali: Louis, Perosa e Mutin, tutt’al piùlasciandolo in piedi potrebbe servire sempre in qualche futura occasione, potendo provenire il peri-colo solo dall’alta valle.Per il resto della storia più nessuno si è occupato in particolare del Laz Arâ e per questi motivi oggiabbiamo un bellissimo esempio di campo trincerato ancora ben leggibile, cosa rara se non unica almondo. Non bisogna dimenticare tuttavia che l’importanza del sito non fu ignota ai militari, infat-ti nella seconda metà dell’ottocento così scriveva il Dabormida: “Una particolare importanzaavrebbe però, nell’ultima fase della lotta entro questo scacchiere (lo scacchiere delle Alpi Coziein caso di attacco francese), la occupazione per parte dell’invasore dei monti che sovrastanno dasud alla stretta delle Porte, giacché la difesa di questa stretta ne sarebbe resa molto difficile. Noicrediamo pertanto che questi monti dovrebbero essere energicamente contrastati, a partire dallacima il Truc, che si trova appunto presso l’origine dei valloni di S. Germano e di Angrogna. Ladifesa di questo massiccio montano potrebbe essere fatta senza distrarre dalle operazioni princi-pali le forze destinate ad operare nelle valli del Chisone e della Dora Riparia, giacché essapotrebbe essere affidata alla milizia territoriale (16) della valle di Luserna con tanto maggioreopportunità, che in esso appunto si svolsero in parte le lotte eroiche sostenute dalle popolazioniprotestanti di questa valle negli scorsi secoli a difesa delle loro credenze; lotte la cui memoria èvivissima ancora fra i Valdesi come l’avversione loro pei Francesi, che furono gli istigatori dellepersecuzioni alle quali soggiacquero” (17).

DESCRIZIONE DEL CAMPOIl campo trincerato del Laz Arâ è costituito dal Campo propriamente detto e da tre ridotte chesaranno analizzati in successione. Il tracciato del Campo occupa praticamente tutta l’estensione del colle seguendone l’orientamen-to sud-ovest nord-est, ed è localizzabile nella fotografia aerea approssimativamente al centro, ovela strada disegna una “Z”. Di forma a grandi linee rettangolare termina a sud sotto un piccolococuzzolo pietroso, da cui inizia la Costa del Laz Arâ che sale dolcemente verso il Crô di Boussioued il Truc, mentre a nord si ferma a breve distanza dal pendio che sale al Truc Lausa. La lunghez-za massima è di circa 430 metri, minima circa 380, la larghezza massima è di circa 160 mentre laminima è di circa 60.Il tracciato della fortificazione si adatta alle circostanze che il terreno di montagna presenta: sipassa quindi ad analizzarlo a partire dal fronte sud. Questo, che è anche il più corto, si presenta

(16) Il Dabormida è pienamente d’accordo con i generali Ricci, Ricotti e con l’allora maggiore Perrucchetti sulla necessità di una miliziaterritoriale alpina in rinforzo ad un corpo scelto di truppe alpine, di “bersaglieri alpini).DABORMIDA V. E., La difesa della nostra frontieraoccidentale in relazione agli ordinamenti militari odierni, Ermanno Loescher, Torino 1878. ., pagg. 17, 135 e seguenti.(17) Da Bormida, op.cit., pag. 154.53

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

con un andamento a tenaglia con un angolo rien-trante molto ampio, intorno ai 160°; al centro siapre una delle quattro porte del campo, protettada una traversa.Il fronte est si può dividere grosso modo in duetratti: il primo si estende dallo spigolo sud-est apoco oltre l’attuale strada carrozzabile, il secon-do da questo punto allo spigolo nord-est. Nelprimo il trinceramento ha un andamento presso-ché rettilineo, seguendo, per la maggior parte inlieve discesa verso il centro del colle, il ciglio chedelimita il ripiano dal ripido pendio che scendeverso Pramollo; la natura del sito impedisce larealizzazione di opere di fiancheggiamento. Nelsecondo il ciglio si arrotonda progressivamentecon arretramento della cresta militare e quindi deltrinceramento per poter sfruttare lo spalto natura-le che si viene a formare; questo tratto è caratte-rizzato dalla presenza di due denti, il primo colle-gato anche all’esistenza di un dosso roccioso checontorna, il secondo, più grande, che unitamenteal saliente dell’estremità nord-est, contribuiscealla formazione di una tenaglia dal lato più acces-sibile. Nel tratto di cortina tra i due denti si aprela seconda porta, pure protetta da traversa.Il fronte nord è caratterizzato dalla presenza dellaterza porta difesa dalla traversa e da un lungotrinceramento esterno, perpendicolare a quest’ul-tima, che va a morire ad angolo retto contro lependici del Truc Lausa; questo, infatti, è il lato dacui arrivava e passava il colle la vecchia mulattie-ra. Nel tratto terminale verso ovest il trincera-mento si inerpica sulla parete di un costone chedivide in due longitudinalmente la parte nord delcolle, una più bassa e pianeggiante, protetta dalcostone stesso ed idonea all’accampamento, l’al-tra più alta che degrada verso la ValleGermanasca.Il fronte ovest si sviluppa per la maggior parte sudi un pendio più dolce e movimentato che quello

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

Saliente all’unione tra fronte sud e fronte est

Secondo tratto (nord) del fronte estParticolare della porta nord, traversa e trinceramento

est; solo nella parte terminale sud diventa ripido edi difficile accesso per balze rocciose. Ne conse-gue che anche il trinceramento presenta un traccia-to più articolato con salienti e rientranti; nel primotratto, partendo da nord, è da segnalare la presen-za, a maggior protezione, di un rivellino.Scendendo verso l’attuale strada, poco prima diarrivarvi, si incontra la quarta porta, anch’essaprotetta da una traversa. Purtroppo questo fronte,per la natura del terreno, lo sviluppo della vegeta-zione sia arborea che di arbusti e rovi e la peggioconservata e con tratti di non facile lettura. È infi-ne da notare che tutte e quattro le porte sono dife-se da traverse poste all’esterno, di fronte alla portastessa e non già all’interno come normalmente sitrova nella manualistica.Con un attento studio di quanto ancora rimane deltrinceramento in terra come parapetto e fosso sipotrebbe tentare una ricostruzione del profilo, tut-tavia considerando che l’opera fu fatta eseguiresicuramente da un ingegnere militare francese sipuò in prima istanza ipotizzare che per la difficol-tà, se non impossibilità, di usare artiglierie da partedell’attaccante si sia usato come modello base ilsesto profilo del Vauban, ossia parapetto alto circametri 1,6, compresi 30 centimetri di banchina,spessore alla sommità di circa 1,3 metri, con ilfosso largo e profondo rispettivamente circa metri2,6 e 1,6. Si tratta comunque di un profilo adattoad un terreno piano, in condizioni ottimali; in ter-reno montano bisogna adattarlo alle caratteristichedel sito, ad esempio aumentando l’inclinazione delparapetto sui pendii più ripidi per meglio scoprireil nemico, riducendone l’altezza e lo spessore, nonscavando il fosso esterno. Ne consegue che il pro-filo del trinceramento del campo trincerato in que-stione poteva variare nei diversi tratti dei quattrofronti. Si ricordi infine che lo spessore minimo idi-spesabile di un parapetto, per poter resistere e dareprotezione da un replicato fuoco di fucileria, è di

Fronte nord: tratto nel bosco con il rivellino

Fronte ovest: tratto degradato con il muroin pietra a seccoFronte ovest: ultimo tratto ancora facilmente leggibile

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

un metro.Il fronte ovest in particolare è caratterizzatodal fatto che è stato tracciato su di un pendio,quindi la necessità di sbancamento a monteper ricavare il terrapieno per il movimento el’azione di difesa delle truppe; inoltre ilsecondo tratto a partire da nord (il primo èquello con il rivellino) è stato in partecostruito in muro a secco in pietra, oggi crol-lato, la cui altezza poteva variare da 1,10 a1,30 metri e lo spessore poteva essere di circa80 centimetri.Il Campo, occupando il vasto ripiano delcolle, si trova dominato dalle alture circo-stanti. Per ovviare a questo difetto all’attodella sua costruzione si provvide a presidiar-le con due ridotte, una a nord e l’altra a sud.La Ridotta nord si trova nel punto in cui lacresta che sale dal colle verso il Truc Lausacambia d’inclinazione diventando pianeg-giante. La forma è estremamente sempliceavendo un tracciato quadrato; il trinceramen-to risulta elevato in pietra a secco, quindidoveva avere le caratteristiche sopra riporta-te. Il lato est ha subito rimaneggiamenti perla costruzione in epoca successiva di quellache può essere interpretata come una batteriaoccasionale, mentre nella parte centrale, oggiinvasa dalla vegetazione, poteva forse esser-ci un ricovero.La cresta a sud del colle presenta un primococuzzolo la cui sommità è costituita da unammasso di rocce che non porta tracce evi-denti di strutture difensive, di contro sullasuccessiva quota 1614 è localizzata la secon-da Ridotta. Il trinceramento è in terra con untracciato esagonale; anche in questo caso peril profilo vale quanto detto sopra. Di partico-lare all’interno vi è una traversa parallela eraddoppiante il fronte sud con funzione di

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

Veduta aerea della Ridotta nord

Veduta aerea della Ridotta sud

Tratto del lato ovest, in pietra a secco, della Ridotta nord

cavaliere. Muri a secco presenti nei pressi diquesta Ridotta possono essere interpretaticome confini di proprietà.Una terza Ridotta è posta poco sotto la vec-chia mulattiera e sopra l’alpeggio nel declivioest del colle. La sua forma è molto particola-re, si potrebbe definire a penna di freccia, pre-sentando un saliente a monte ed un fronte atenaglia a valle; inoltre gli angoli saliente erientrante sono uniti da una traversa interpre-tabile come un parapetto a spalto rivolto versosud con funzione di probabile raddoppio diquesto lato, anche se la struttura e la sua fina-lità non sono ben chiare. Il trinceramento è interra con il profilo anche in questo caso secon-do quanto già detto. Quest’ultima ridotta vienelocalmente chiamata “il cimitero”, termine chesi ritrova utilizzato tanto in Val Chisone che inquella Sangone per indicare una piccola ridot-ta facente parte dei trinceramenti del colle delBesso, che collega appunto le due valli.

AggiornamentoDalla stesura del teso (2003) ad oggi il campoha subito delle modifiche in positivo e, pur-troppo, in negativo. Infatti in seguito alProgetto Cofinanziato dall’Unione EuropeaF.E.S.R-Fondo Europeo per lo SviluppoRegionale DOCUP 2000-2006 - Misura 3.1°,Progetto Integrato dell’Area Torinese - Sub-ambito Pinerolese, Percorsi Naturalistici, ilComune di Pramollo, quale Ente Attuatore, èintervenuto con lavori di pulizia, “restauroconservativo” ed “arredo” dell’area delcampo.Quanto alla pulizia nulla da eccepire: oggi(2007) è percorribile tutto il perimetro perchéil tratto del fronte ovest coperto da arbusti erovi è stato ripulito, operazione decisamenteencomiabile nella speranza che la situazione

Porta est, scavo con abolizione del passaggio

Ridotta est, veduta dell’angolo rientrante e della traversainterna

IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’

Porta est scavata

di fatto venga mantenuta. Riguardo al “restauro” le cose sono andate meno bene: non si sa in basea quale principio si sia deciso di abolire tre porte (est, nord e sud) scavando ex novo dei tratti difossato, alterando la struttura e dimostrando una profonda ingnoranza del sito su cui si stava lavo-rando. Si precisa che le caratteristiche del campo erano già state rese pubbliche, in particolare alcongresso internazionale “Dal Forte di Exilles alle Alpi – storia ed architettura delle fortificazionidi montagna”, tenutosi ad Exilles nell’ottobre del 2000, e relativi Atti. Anche l’operazione di “arre-do” lascia perplessi: l’inserimento di panchine e statue lignee stilizzate a livello del saliente nord-est non sembra un intervento particolarmente ben riuscito.

Nuovo aggiornmentoSempre nel 2007 il Peyronel, nel suo studio (18) sulle fortificazioni delle attuali valli Chisone eGermanasca, riporta una pianta (19) del campo con la presenza di ben cinque ridotte in linea di cre-sta. A sud una sul cocuzzolo pietroso già menzionato, e che solo un attento ed approfondito studiodel sito potrebbe, forse, permettere di ricostruirne il perimetro, successivamente quella esagonalein terra, indicata sul Brico del Colet, seguita da una terza grossa ridotta rettangolare (Brico delColou) di cui l’autore segnala solo lievi tracce. A nord, oltre quella riportata, ne esisteva una secon-da, indicata sulla Cima della Rovea (Truc Lausa?), di cui non esisterebbero più tracce.

Si ringrazia Ettore Peyronel per la fattiva collaborazione a riguardo della storia valdese, SergioGriglio per il rilievo del perimetro del campo del Laz Arà, Ivo Sospegno per le cartine geografiche

(18) E. PEYRONEL, Radici di pietra – Forti e fortificazioni minori in val Perosa, val S. Martino e val Pragelato fra XVI e XVIII secolo, edito a curadella Provincia di Torino, 2007, pagg.89-97.(19)AST Corte, Carte Topografiche per A e B, Lucerna, Mazzo 1, n. 1.

Saliente nord-est: visione generale dell’arredo” del passaggio

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IL CAMPO TRINCERATO DEL LAZZARA’