13
PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? 26 artisti e 50 opere raccontano il carcere come metafora del mondo contemporaneo e il mondo contemporaneo come metafora del carcere: tecnologico, iperconnesso, condiviso e sempre più controllato AES+F, Jananne Al-Ani, Gianfranco Baruchello, Elisabetta Benassi, Rossella Biscotti, Mohamed Bourouissa, Chen Chieh-Jen, Simon Denny, Rä di Martino, Harun Farocki, Omer Fast, Claire Fontaine, Carlos Garaicoa, Dora García, Jenny Holzer, Gülsün Karamustafa, Rem Koolhaas, H.H. Lim, Lin Yilin, Jill Magid, Trevor Paglen, Berna Reale, Shen Ruijun, Mikhael Subotzky, Superstudio, Zhang Yue 9 febbraio - 21 maggio 2017 www.fondazionemaxxi.it | #PleaseComeBack La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L'ignoranza è forza. (George Orwell, 1984) Roma 8 febbraio 2017. Oggi che la comunicazione globale vuol dire anche controllo globale, che la condivisione figlia di internet e dei social network smantella la nostra privacy, la parola prigione assume significati decisamente nuovi: con la mostra PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? a cura di Hou Hanru e Luigia Lonardelli al MAXXI dal 9 febbraio al 21 maggio 2017, 26 artisti attraverso 50 opere mettono in luce le problematiche relative al controllo tipiche della società contemporanea. Lo sviluppo esponenziale delle tecnologie digitali, l’avvento dei social network, l’utilizzo dei Big Data, hanno progressivamente e inesorabilmente cambiato la nostra società che assiste al crollo delle filosofie di condivisione sociale e urbana e all’instaurarsi di nuovi regimi che, in nome della sicurezza, ci spogliano, con il nostro consenso, di ogni spazio intimo e personale. PLEASE COME BACK parte da queste considerazioni, e cerca una risposta alla domanda: che cosa vogliamo torni indietro nelle nostre vite dal paradiso perduto dell’età moderna? Allestita nella Galleria 5 del MAXXI, l’esposizione prende il titolo dall’opera omonima del collettivo Claire Fontaine, nata da una riflessione degli autori sulla società come spazio di reclusione e il modo inquietante in cui ne facciamo parte. Partendo da queste considerazioni PLEASE COME BACK assume come centro d’indagine la società contemporanea sotto il controllo di un sistema di potere. La mostra si compone di tre sezioni: Dietro le mura, Fuori dalle mura e Oltre i muri. Della prima sezione – Dietro le mura - sono protagonisti artisti che hanno fatto una esperienza diretta della prigione, sia perché sono stati reclusi, sia perché ne hanno fatto il soggetto del proprio lavoro, sia perché sono cresciuti in ambienti caratterizzati da questa presenza ingombrante. Tra questi Berna Reale con un video che racconta la luce della torcia olimpica all’interno delle carceri brasiliane, Harun Farocki che utilizza i filmati delle videocamere di sorveglianza del carcere di massima sicurezza di Corcoran in California e le interviste di Gianfranco Baruchello ai detenuti delle carceri di Rebibbia e Civitavecchia. In Fuori dalle mura troviamo le opere di quegli artisti che hanno compiuto una riflessione sulle prigioni che non possiamo vedere, sui regimi di sorveglianza, capaci di trasformare le città contemporanee in vere e proprie “prigioni a cielo aperto”. Tra questi Superstudio che con il suo Monumento Continuo aveva profeticamente immaginato un modello di urbanizzazione globale alternativo alla Natura, Mikhael Subotzky che presenta materiali video forniti dalla polizia di Johannesburg; Lin Yilin con la sua performance che riproduce una scena di privazione della libertà per testare le reazioni dei cittadini della città cinese di Haikou e di Parigi, o Rä Di Martino che trasforma Bolzano nel fondale di una messa in scena con finti carri armati. Nella terza sezione - Oltre i muri protagonista è il tema della sorveglianza come “pratica organizzativa dominante”, fenomeno omnipervasivo nella nostra società dopo l’11 settembre 2001. Ecco allora, tra le opere presenti in quest’area, la pratica della “guerra al terrore” che diventa protagonista del lavoro di Jenny Holzer,

PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? - maxxi.art · Allestita nella Galleria 5 del MAXXI, l’esposizione prende il titolo dall’opera omonima del collettivo Claire Fontaine,

Embed Size (px)

Citation preview

PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione?

26 artisti e 50 opere raccontano il carcere come metafora del mondo contemporaneo e il mondo contemporaneo come metafora del carcere: tecnologico, iperconnesso, condiviso e sempre più controllato

AES+F, Jananne Al-Ani, Gianfranco Baruchello, Elisabetta Benassi, Rossella Biscotti, Mohamed Bourouissa, Chen Chieh-Jen, Simon Denny, Rä di Martino, Harun Farocki, Omer Fast, Claire Fontaine, Carlos Garaicoa, Dora García, Jenny Holzer, Gülsün Karamustafa, Rem Koolhaas, H.H. Lim, Lin Yilin, Jill Magid, Trevor Paglen, Berna Reale, Shen Ruijun, Mikhael Subotzky, Superstudio, Zhang Yue

9 febbraio - 21 maggio 2017

www.fondazionemaxxi.it | #PleaseComeBack

La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L'ignoranza è forza. (George Orwell, 1984)

Roma 8 febbraio 2017. Oggi che la comunicazione globale vuol dire anche controllo globale, che la condivisione figlia di internet e dei social network smantella la nostra privacy, la parola prigione assume significati decisamente nuovi: con la mostra PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? a cura di Hou Hanru e Luigia Lonardelli al MAXXI dal 9 febbraio al 21 maggio 2017, 26 artisti attraverso 50 opere mettono in luce le problematiche relative al controllo tipiche della società contemporanea.

Lo sviluppo esponenziale delle tecnologie digitali, l’avvento dei social network, l’utilizzo dei Big Data, hanno progressivamente e inesorabilmente cambiato la nostra società che assiste al crollo delle filosofie di condivisione sociale e urbana e all’instaurarsi di nuovi regimi che, in nome della sicurezza, ci spogliano, con il nostro consenso, di ogni spazio intimo e personale. PLEASE COME BACK parte da queste considerazioni, e cerca una risposta alla domanda: che cosa vogliamo torni indietro nelle nostre vite dal paradiso perduto dell’età moderna?

Allestita nella Galleria 5 del MAXXI, l’esposizione prende il titolo dall’opera omonima del collettivo Claire Fontaine, nata da una riflessione degli autori sulla società come spazio di reclusione e il modo inquietante in cui ne facciamo parte. Partendo da queste considerazioni PLEASE COME BACK assume come centro d’indagine la società contemporanea sotto il controllo di un sistema di potere. La mostra si compone di tre sezioni: Dietro le mura, Fuori dalle mura e Oltre i muri.

Della prima sezione – Dietro le mura - sono protagonisti artisti che hanno fatto una esperienza diretta della prigione, sia perché sono stati reclusi, sia perché ne hanno fatto il soggetto del proprio lavoro, sia perché sono cresciuti in ambienti caratterizzati da questa presenza ingombrante. Tra questi Berna Reale con un video che racconta la luce della torcia olimpica all’interno delle carceri brasiliane, Harun Farocki che utilizza i filmati delle videocamere di sorveglianza del carcere di massima sicurezza di Corcoran in California e le interviste di Gianfranco Baruchello ai detenuti delle carceri di Rebibbia e Civitavecchia.

In Fuori dalle mura troviamo le opere di quegli artisti che hanno compiuto una riflessione sulle prigioni che non possiamo vedere, sui regimi di sorveglianza, capaci di trasformare le città contemporanee in vere e proprie “prigioni a cielo aperto”. Tra questi Superstudio che con il suo Monumento Continuo aveva profeticamente immaginato un modello di urbanizzazione globale alternativo alla Natura, Mikhael Subotzky che presenta materiali video forniti dalla polizia di Johannesburg; Lin Yilin con la sua performance che riproduce una scena di privazione della libertà per testare le reazioni dei cittadini della città cinese di Haikou e di Parigi, o Rä Di Martino che trasforma Bolzano nel fondale di una messa in scena con finti carri armati.

Nella terza sezione - Oltre i muri – protagonista è il tema della sorveglianza come “pratica organizzativa dominante”, fenomeno omnipervasivo nella nostra società dopo l’11 settembre 2001. Ecco allora, tra le opere presenti in quest’area, la pratica della “guerra al terrore” che diventa protagonista del lavoro di Jenny Holzer,

il progetto di Simon Denny che si ispira alle rivelazioni di Snowden, Jananne Al-Ani che riproduce la prospettiva del drone investigando diversi siti in Medio Oriente, mentre Zhang Yue con un lavoro visionario prefigura future guerre o un piano per la distruzione degli Stati Uniti. Tra le opere esposte anche due acquerelli su seta di Shen Ruijun, Lake e Abuse del 2009, che verranno acquisiti nella collezione del MAXXI.

PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? nel presentare lo sguardo di questi artisti sul complesso intreccio di temi che caratterizza la riflessione sulla società odierna, ci mette di fronte a una visione critica di quest’ultima, che evidenzia l’allarme e nello stesso tempo propone come soluzione un ritorno ai valori fondamentali e inalienabili dell’individuo.

APPUNTAMENTI La mostra è accompagnata da una serie di incontri, eventi, appuntamenti, che ne approfondiscono i temi. Una RASSEGNA CINEMATOGRAFICA, in collaborazione con Fondazione Cinema per Roma, presenta 4 film che raccontano come il controllo sull’uomo si sia fatto nel corso degli anni sempre più stringente a causa della nuova comunicazione globale. Lo scorso 5 febbraio è stato proiettato Pezzi di Luca Ferrari (2012). Seguiranno L’ora d’amore di Andrea Appetito e Christian Carmosino (2008) l’11 febbraio, Citizenfour di Laura Poitras (2014) il 19 febbraio e Milleunanotte di Marco Santarelli (2012) il 26 febbraio. Pensato all’interno di un carcere, Il workshop dell’artista Claudia Losi, UNA VOLTA... ALL'IMPROVVISO, opera nella collezione del Museo, è realizzato in collaborazione con la Casa Circondariale Rebibbia Femminile, Francesca Dainotto e Vic-Volontari in Carcere. Il progetto coinvolge, con attenzione e senza retorica, l'immaginario e gli affetti di chi ‘vive lontano’ la propria genitorialità, un gruppo di donne ospitate a Rebibbia femminile. Parole, scrittura, disegno, tessuto: il racconto della maternità vissuta dal carcere prenderà forma e ogni donna creerà il suo gioco-dono per riannodare un legame complesso, come quello con il proprio figlio (febbraio – maggio). OLTRE IL MURO è invece un workshop dedicato ai ragazzi della scuola secondaria che avvia una riflessione sulle prigioni fisiche e virtuali e sulle restrizioni della libertà a partire dai temi e dalle opere in mostra, tra cui il video Temps Mort dell’artista algerino Mohamed Bourouissa che sarà coinvolto direttamente. Durante il workshop i ragazzi realizzeranno un cortometraggio sulla propria quotidianità e su quanto questa sia influenzata dall’uso di internet e dei social media, che verrà proiettato in occasione del finissage della mostra (febbraio – maggio). Una riflessione sui temi della mostra è anche DALLA RIMOZIONE ALLA RESPONSABILITA’. Gli spazi della pena oltre il carcere come “istituzione totale”, giornata di studio ad aprile sull’architettura delle carceri e sulle ripercussioni che può avere sui detenuti e sulla città, a cura di Luca Zevi, Consulente del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria per gli spazi della pena. L’8 aprile ci sarà SGUARDI DAL CARCERE, reading letterario di testi autobiografici nati in situazioni di detenzione introdotto da Alvise Sbraccia, ricercatore in Sociologia della devianza e del mutamento sociale all’Università di Bologna. Il 19 aprile si terrà IL MONDO COME PRIGIONE? Carcere, diritti, giustizia, convegno nazionale sui confini della sorveglianza e della privazione delle libertà per motivi di giustizia o di sicurezza, cui è stato invitato il Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Intervengono, tra gli altri, Mons. Gianfranco Ravasi, Mauro Palma Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e Stefano Anastasia Garante dei detenuti della Regione Lazio. RACCONTAMI CHI SEI è il progetto di storytelling nomade di Matteo Caccia, autore e conduttore radiofonico di Pascal su Radio2 Rai. Sabato 29 aprile, dalle 16 alle 20, attiverà un dialogo con il pubblico del MAXXI a partire dalla domanda Cosa vogliamo che ritorni indietro nelle nostre vite dal paradiso perduto dell’età moderna? Le migliori storie verranno ospitate in una puntata speciale di Pascal. A maggio ci sarà SPEAKERS’ CORNER: una serie di realtà operanti nelle carceri testimoniano la loro attività dal teatro alla performance alle cooperative artigianali, presentando i loro prodotti in un mercato nella piazza del museo.

Anche dopo la chiusura della mostra, al MAXXI si continuerà ad approfondirne i temi; il 26 e il 27 maggio si terrà Discriminazione e mass media: quando l’odio e i pregiudizi rinchiudono la comunicazione, convegno organizzato dall’Unar, l’Ufficio Nazionale contro le discriminazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri: due giorni di incontri e formazione dedicata al rapporto sempre più controverso tra discriminazione, hate speech e il mondo dei mass media e della comunicazione.

La cartella stampa e le immagini della mostra sono scaricabili nell’Area Riservata del sito della Fondazione MAXXI all’indirizzo http://www.fondazionemaxxi.it/area-riservata/ inserendo la password areariservatamaxxi MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo www.fondazionemaxxi.it - info: 06.320.19.54; [email protected] orario di apertura: 11.00 – 19.00 (mart, merc, giov, ven, dom) |11.00 – 22.00 (sabato) | chiuso il lunedì, Ingresso gratuito per studenti di arte e architettura dal martedì al venerdì UFFICIO STAMPA MAXXI +39 06 324861 [email protected]

PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? APPUNTAMENTI

11 febbraio alle 18.00 RASSEGNA CINEMATOGRAFICA | L’ora d’amore (2008) di Andrea Appetito e Christian Carmosino

19 febbraio alle ore 17.00 RASSEGNA CINEMATOGRAFICA | Citizenfour (2014) di Laura Poitras

26 febbraio alle ore 18.00 RASSEGNA CINEMATOGRAFICA | Milleunanotte (2012) di Marco Santarelli

Febbraio - maggio OLTRE IL MURO Un progetto educativo dedicato ai ragazzi della scuola secondaria che avvia una riflessione sulle prigioni fisiche e virtuali e sulle restrizioni della libertà a partire dai temi e dalle opere in mostra.

Febbraio - maggio UNA VOLTA, ALL'IMPROVVISO... in collaborazione con la Casa Circondariale di Rebibbia, con Claudia Losi, Francesca Dainotto, VIC Volontari in Carcere. Un laboratorio d’artista che coinvolge l'immaginario e gli affetti di chi ‘vive lontano’ la propria genitorialità: un gruppo di donne ospitate a Rebibbia femminile

Aprile DALLA RIMOZIONE ALLA RESPONSABILITA’ Gli spazi della pena oltre il carcere come “istituzione totale”. Giornata studio a cura di Luca Zevi, Consulente del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria per gli spazi della pena

8 aprile SGUARDI DAL CARCERE, reading di brani autobiografici, scelti fra l’ampia letteratura nata in situazioni di detenzione, apre un nuovo sguardo sulle esistenze carcerarie: la vita tra i detenuti, la violenza istituzionale, la relazione che corre fra carcere, differenza e salute. Intorduce Alvise Sbraccia, ricercatore di Sociologia della devianza e del mutamento sociale all’Università di Bologna.

19 Aprile IL MONDO COME PRIGIONE? CARCERE, DIRITTI, GIUSTIZIA.

convegno nazionale sui confini della sorveglianza e della privazione delle libertà per motivi di giustizia o di sicurezza, cui è stato invitato il Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Intervengono Mons. Gianfranco Ravasi, Mauro Palma Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e Stefano Anastasia Garante dei detenuti della Regione Lazio.

29 aprile dalle 16.00 alle 20.00 RACCONTAMI CHI SEI di Matteo Caccia Un progetto di storytelling nomade che coinvolge il pubblico a raccontare cosa vuole che torni indietro nella propria vita dal paradiso perduto dell’età moderna. Le migliori storie verranno ospitate in una puntata speciale di Pascal su Radio2 Rai.

Maggio SPEAKERS’ CORNER una serie di realtà operanti nelle carceri

testimoniano la loro attività dal teatro, alla performance, alle cooperative artigianali, presentando i loro prodotti in un mercato ospitato nella piazza del museo

Il programma e le date sono in corso di definizione, per ulteriori informazioni www.fondazionemaxxi.it

PREFAZIONE di Giovanna Melandri Presidente Fondazione MAXXI Una critica sociale. Una provocazione intellettuale. Una professione di fede nei valori fondamentali della

convivenza civile duramente messi alla prova, elusi o calpestati, ad ogni latitudine. Uno sforzo per decifrare

questa nostra epoca e progettare un futuro diverso rispetto all’onnipotenza delle tecnologie e del profitto in

cui tutti, consapevoli o inconsapevoli, stiamo scivolando. PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? è

forse la mostra più “politica” che il MAXXI abbia finora ospitato: un mosaico delle arti contemporanee,

ricostruito da Hou Hanru e Luigia Lonardelli, per indagare con passione, direi perfino con brutale franchezza

d’analisi, i confini soffocanti che nel mondo occidentale, e non solo, tengono a bada la libertà interiore e le

libertà espressive delle persone, compresi gli stessi artisti, ormai chiamati a confrontarsi con forme sempre

più sfuggenti e pervasive del potere. Il controllo dei tempi di lavoro, la permeabilità crescente della vita

quotidiana alle strategie di una comunicazione ammiccante quanto invasiva, la moltiplicazione delle forme di

vigilanza a fini di sicurezza nei luoghi cruciali di una comunità, la condivisione platealmente forzata di

consumi, modi di dire, comportamenti pubblici e privati: la società fantascientifica che solo pochi anni fa ci

avvolgeva nei film più visionari o ci veniva suggerita negli studi più lungimiranti, ci sta dentro, accanto,

addosso. Come una sfida, un incubo e un’opportunità. La mostra che apre il programma 2017 del MAXXI

indica, con coraggio e con preveggenza, una linea di denuncia netta, un allarme che si riflette nelle opere

selezionate con un ampio sguardo internazionale alle dinamiche dell’organizzazione del lavoro e delle

istituzioni inclusive. Ma non offre risposte chiuse alle domande laceranti che corrono sottotraccia nella società

digitale. PLEASE COME BACK è un richiamo di stringente attualità che l’arte rivolge alla complessità e alla

mutevolezza dei nostri sistemi democratici. L’arte, lo sappiamo, vede più lontano e in profondità. Nell’epoca

della post-verità, cruccio e alibi del processo di formazione dell’opinione pubblica globale e della sua

manipolazione, l’interrogativo che deve scuotere le coscienze è: siamo davvero più liberi o siamo meno

liberi? E siamo liberi di scegliere cosa? Quale orizzonte, quale futuro? Quando in luoghi chiave per il governo

del mondo il potere passa nelle mani di autocrati, di magnati, di despoti, chiediamo anche agli artisti,

innanzitutto agli artisti, di aiutarci a capire, a guardare al di là delle emergenze. L’arte è un termometro

particolarmente sensibile della parabola delle libertà comuni. PLEASE COME BACK porta al MAXXI questa

visione e proietta il MAXXI in questa ricerca senza frontiere.

PLEASE COME BACK. IL MONDO COME PRIGIONE? di Hou Hanru e Luigia Lonardelli Di conseguenza, le nozioni di istituzione di repressione, di rigetto, di esclusione, di emarginazione non sono in grado di descrivere la formazione, nel cuore stesso della città carceraria, di insidiose dolcezze, di cattiverie poco confessabili, di piccole astuzie, di processi calcolati, di tecniche, di “scienze” in fin dei conti, che permettono la fabbricazione dell’individuo disciplinare. In questa umanità centrale e centralizzata, effetto e strumento di complesse relazioni di potere, corpi e forze assoggettate da dispositivi di “carcerazione” multipli, oggetti per discorsi che sono a loro volta elementi di quella strategia, bisogna discernere il rumore sordo e prolungato della battaglia. Michel Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, 1975 (Trad. A. Tarchetti) Nessun uomo ha fatto il dono gratuito della propria libertà in vista del ben pubblico: questa chimera non esiste che nei romanzi: se fosse possibile, ciascuno di noi vorrebbe che i patti che legano gli altri, non ci legassero; ogni uomo si fa centro di tutte le combinazioni del globo. Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764 Da molto tempo abbiamo in mente questo progetto, che è sopravvissuto agli eventi socio-politici degli ultimi anni, in cui la corruzione economica, la manipolazione politica, l’ingiustizia, le forze dell’ordine, la sorveglianza e il controllo hanno eroso velocemente lo spazio della nostra vita: pubblica e privata. Questa tendenza diminuisce sempre di più la nostra libertà di pensiero ed espressione e finisce per diffondere una generale cultura della paura. Il titolo attuale del progetto ha avuto origine da un’interpretazione dell’opera Please Come Back di Claire Fontaine. Di fatto, secondo gli artisti, quest’ultima è stata ispirata da un fenomeno molto semplice, ma tanto ossessionante da risultare opprimente: in attesa di un incontro ignoto, bisogna decidere se restare o andarsene. Come dichiarano gli artisti, “l’opera si riferisce in modo generico alla nostalgia e all’assenza di qualcuno/qualcosa che desideriamo ardentemente. Il rapporto diretto con la prigione è rappresentato dal font K, che deve il nome a Kafka e che, come viene dichiarato nel testo, si riferisce a luoghi disciplinari”. Nel contesto di “luoghi disciplinari come scuole, fabbriche, ospedali e prigioni”, il “desiderio di qualcuno che se n’è andato” può di certo essere interpretato come una resistenza e un rifiuto verso il sistema di controllo stesso.1 In effetti, Please Come Back, presentata insieme ad altri lavori di Claire Fontaine che affrontano la stessa tematica, come Untitled (Tennis Ball Sculpture), è stata interpretata in relazione al problema del controllo sociale, dell’esclusione e dell’incarcerazione. L’opera può infatti sottintendere una richiesta emotiva di liberazione di familiari incarcerati o una sorta di “volontà nostalgica” di riunirsi oltre lo spazio disciplinare. Inoltre, in modo più significativo, potrebbe proporci di avventurarci nell’ignoto, nell’incerto, nell’indeterminato e quindi nella libertà stessa. È una rivendicazione sociale particolarmente importante e pertinente in quest’epoca di sorveglianza e controllo totali, in cui domina la cultura della paura e una nuova condizione della biopolitica. Ciò ricorda che c’è sempre stato un rapporto intimo – intenso e interattivo – tra l’arte e il controllo sociale, tra la libertà e l’oppressione politica e, più specificamente, tra le pratiche creative e la prigione. L’oppressione è sempre stata una condizione e uno stimolo per coloro che considerano la libertà il valore più importante della vita per potersi esprimere appieno e in modo spontaneo. Traendo ispirazione dall’opera di Claire Fontaine e adottando Please Come Back come titolo del nostro progetto, vogliamo dimostrare la tensione tra la creazione artistica e un elemento chiave delle condizioni sociali della nostra vita moderna e contemporanea: la sorveglianza, il controllo e l’oppressione sociali sotto forma di prigione. Il concetto di prigione, in modo parallelo e paradossale, è stato materializzato e fatto evolvere in svariate forme di organizzazione architettonica e spaziale, oltre che in strategie amministrative, politiche, economiche, sociali, militari e culturali e in tecniche per manipolare gli individui al fine di trasformarli in “cittadini” disciplinati e docili, e inoltre – riciclando una simile logica di produzione e riproduzione del rapporto tra le forze dell’ordine e la delinquenza – per perpetuarne il potere sulle classi oppresse, come ha sottolineato Michel Foucault. Dall’altra parte, abbiamo rivolte contro il dominio e il controllo sociali, in qualche modo interpretate come “guerra di civiltà” tra il potente e il debole, tra il ricco e il povero, tra l’affermato e il marginale.2 La tendenza verso un controllo sempre maggiore si è rafforzata e intensificata di pari passo con il progresso delle tecnologie. Gli sviluppi della tecnologia non hanno portato soltanto aspetti positivi nelle nostre vite, hanno creato anche delle limitazioni. Non soltanto ci incoraggiano a ottenere una maggiore libertà di pensiero e azione ma forniscono mezzi più efficienti per i potenti o per l’establishment dei poteri politici ed economici, affinché possano imporre una sorveglianza e un controllo più completi e soverchianti sulle nostre vite. Insieme all’espansione delle tecnologie della comunicazione e, quindi, del controllo, questa condizione contraddittoria di vita si è sviluppata in un fenomeno globale e ha generato nuovi conflitti geopolitici. Oggi la prigione non è soltanto un’evidente forma di chiusura architettonica, ma anche una rete aperta che penetra in ogni angolo delle nostre traiettorie quotidiane,

persino nei nostri sogni. Nel mezzo, gli spazi urbani e addirittura la natura stessa, sono sottoposti a una sorveglianza e un’osservazione costanti da parte dei sistemi di potere e, allo stesso modo, da quelli di contropotere. In altre parole, il controllo sociale si estende a tutti i livelli della nostra vita. Il mondo è una prigione. Questo forse lascia intendere che vivere nella nostra epoca significa perlopiù lottare per una sorta di libertà impossibile in questo mondoprigione. In nome della giustizia e dell’efficienza economiche e politiche, oggi il mondo dovrebbe essere un luogo trasparente, garantito dalla sorveglianza e dal controllo, dalle forze dell’ordine in generale, per poter sostenere il potere assoluto dell’establishment, che afferma di rappresentare il “volere del popolo”. Tutto dev’essere metodico e impeccabilmente ordinato. La sicurezza e l’assenza di pericolo sono elementi essenziali per mantenere tale ordine. In questa condizione, l’ignoto è visto come una minaccia alla “sicurezza” e viene escluso dagli orizzonti pubblici nella nostra epoca di “cultura della paura”. Ciò sta conducendo a una reazione generale contro l’apertura, la diversità e la solidarietà culturali: assistiamo a una tendenza globale alla “rivoluzione” reazionaria, in diverse forme di populismo e cinismo. C’è una profonda contraddizione, forse insanabile, tra “sicurezza” e “rischio”, che si può ritrovare nell’attuale dilemma tra “globalizzazione” e “terrorismo” che sta invadendo e intaccando la nostra inconsapevolezza, i nostri istinti e persino i nostri comportamenti. Tutto questo ci sta portando a una sorta di “rivoluzione” biopolitica? Dall’invenzione del panottico nel diciottesimo secolo a quella della televisione a circuito chiuso alla fine del ventesimo, fino all’odierna e generalizzata sorveglianza del pianeta via satellite, il controllo sociale ricorre essenzialmente alla produzione di una visione e al controllo della visione stessa. In altre parole, le tecnologie di sorveglianza hanno sempre avuto la tendenza a concentrarsi sulla creazione di un certo tipo di visione, o illusione, della soverchiante trasparenza della nostra vita, per convincere il pubblico che una percezione “corretta” e “perfetta” del mondo come luogo sicuro sia la prova della vera sicurezza e dell’assenza di pericolo. E ciò può essere garantito soltanto dai poteri costituiti, siano essi politici o giudiziari, che controllano e “proteggono” la nostra libertà e puniscono con violenza coloro che contravvengono alle leggi ufficiali della vita, coloro che le sfidano. Tuttavia, le conseguenze dell’oppressione e del controllo verso ciò che è “illegale” o “delinquente” sono sempre più serie e dannose, soprattutto perché provocano un’ulteriore divisione tra le classi sociali. Questa tendenza viene ulteriormente rafforzata in nome della lotta al terrorismo: spesso, per escludere e “risolvere” i problemi irrisolti o irrisolvibili della società, le autorità definiscono l’“altro” un “delinquente” o persino un “terrorista”. Di fatto, per molti – soprattutto per i poteri politici e per l’“opinione pubblica” – il controllo sociale è in primo luogo un problema di percezione. È interessante notare che molti movimenti di resistenza verso questo sistema di controllo sono stati organizzati e avviati nell’ambito della produzione dell’immagine. Internet e i media elettronici sono il campo di battaglia più scontato, mentre azioni più “tradizionali” sul “terreno” della città, la prigione, e persino in casa, continuano a crescere. Per definizione, essendo la pratica principale di produzione dell’immagine, l’arte contemporanea è il regime ideale in cui rivendicare e promuovere la libertà di espressione. Rappresenta un’utopia necessaria di libertà ed emancipazione senza limitazioni per la vita di tutti. Conduce al mondo dell’ignoto. È anche il luogo in cui l’arte può trovare la sua vera funzione sociale: una voce critica e di protesta di fronte all’oppressione e al controllo. Di fatto i vincoli, i limiti della libertà e l’oppressione sono da sempre uno stimolo, una spinta e una fonte di ispirazione per molte menti creative: esortano riflessioni su se stessi, giudizi critici e immaginazioni fantastiche, mentre il desiderio, la concentrazione e la determinazione sono le forze migliori della resistenza. L’opera fondamentale di Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, è un esempio profondo, potente ed eroico della storia intellettuale italiana e internazionale, oltre che una guida per le azioni di molti rivoluzionari. Tantissimi intellettuali e artisti dell’epoca moderna e contemporanea hanno seguito il suo esempio e creato alcune delle opere più notevoli della storia dell’arte e del pensiero. Attivisti online come Julian Assange di WikiLeaks e Ed Snowden sono acclamati come eroi da molte persone, malgrado le autorità li accusino di minacciare la “sicurezza nazionale”, mentre i movimenti Occupy contro il dominio della dittatura del capitale continuano a sorgere in tutti i continenti. È in questa sorta di tensione “classica” tra la ricerca della libertà e l’atto di limitare e controllare che sono nate e si sono sviluppate alcune delle menti più intensamente creative. Come dimostrato da molti progetti – tra cui Please Come Back – oggi centinaia di artisti affrontano questa lotta comune, e ciò ha prodotto nuovi “generi” di espressioni estetiche. Con il passare del tempo, numerosi artisti di tutto il mondo attestano e criticano il sistema del controllo sociale, attraverso testimonianze, interventi attivi, decostruzioni delle esperienze di vita nell’ambito carcerario e nel mondo sorvegliato in generale. Sono spesso sostenuti da strategie di denuncia, interruzione, satira, ironia, umorismo e da straordinarie forme di attivismo. La manomissione e la trasformazione decostruttiva delle immagini e delle informazioni del sistema digitale mainstream sono diventate una “espressione artistica”, mentre il confronto diretto e il manifestare negli spazi urbani continuano a essere campi di battaglia fondamentali. Insieme, nuove azioni e nuovi movimenti di resistenza civile vengono organizzati su molteplici scale locali e globali. È inoltre un processo che produce attivisti e artisti culturali contemporanei, le cui emancipazioni sono esempi per l’intera società.

Tutto ciò sta portando a un mondo coraggiosamente aperto e ignoto. Parlando di prigioni, celle, spazi di correzione, luoghi di identificazione o di controllo temporaneo non stiamo, quindi, parlando solo di ambienti estranei alla vita della presunta parte sana della società, ma con una pericolosa quanto inquietante inconsapevolezza, stiamo parlando delle nostre vite. PLEASE COME BACK affronta alcuni temi cruciali della contemporaneità in un racconto per capitoli successivi che dal modulo basico della cella – lucidamente descritto da Gramsci nei suoi quaderni – passa a quello della città, come luogo in cui si attua sempre più evidentemente il controllo sui nostri movimenti, fino ad arrivare allo spazio del cielo che ha perso completamente l’aura di verginità e potenza immaginifica che gli era proprio per acquisire tratti inquietanti di sorveglianza. Una grande scritta al neon accoglie i visitatori e i passanti; Please Come Back è un lavoro che gioca sul carattere grafico utilizzato negli istituti di controllo – prigioni, ospedali, scuole – e nella sua secchezza chiarisce il suo essere segnale normativo e non fraintendibile. La frase però rimanda anche a un messaggio di richiesta di ritorno di qualcuno o qualcosa che ci è stato sottratto. Allo stesso tempo la sua struggente malinconia convive con un claim utilizzato negli spazi commerciali come invito ai clienti a tornare. In questo modo l’opera si situa all’incrocio fra due ambiti, emozionale e comunicativo, ormai saldati insieme in un’alleanza che risponde perfettamente al bisogno di controllo sul tempo, solo apparentemente libero, con cui gestiamo una vita che da privata si è fatta pubblica. All’ingresso del museo The Cage the Bench and the Luggage di H.H. Lim, è un invito a ripensare la nostra possibilità di guardare nuove prospettive uscendo da spazi domestici che custodiscono tesori che, invece di essere protetti, diventano una costrizione, un impedimento a poter gestire liberamente la propria individualità. La mostra si sviluppa lungo un asse verticale seguendo le scale del museo: come i monitor che costellano le control room del pianeta, alcuni schermi accompagnano il percorso introduttivo. I lavori di Mikhael Subotzky, utilizzando immagini prese dall’alto o “rubate” alle telecamere a circuito chiuso, propongono un cambio di punto di vista: immagini che costantemente documentano i movimenti nello spazio urbano tramutano la città da luogo di condivisione e azione sociale a quello di reclusione e controllo. Come nell’opera di Jill Magid sembriamo apparentemente liberi di godere i benefici di una società che si autoritrae come laica e liberale, in un processo di brandizzazione della città stessa, funzionale alla competizione che si offre come residenza ideale di una popolazione in perenne migrazione. L’invito a fidarsi, in Trust, è accompagnato dalla consapevolezza che quella che stiamo seguendo è una voce anonima, fredda, inquietante, nel suo essere apparentemente rassicurante. La ricerca artistica sta rispondendo in maniera estremamente fertile a queste modifiche sociali e tecnologiche, partendo dalla riflessione sul modulo base del controllo: la cella e la sua estensione nel progetto della prigione. Nel corso dei secoli le organizzazioni interne di spazi che a vario titolo sono state funzionali a mettere insieme persone ritenute pericolose o da isolare a scopo deterrente, hanno subito variazioni minime: riprendendo la forma del fortilizio e, internamente, quella della basilica con corridoio centrale. L’importanza del controllo visivo nasce ontologicamente con la cella, ben prima dell’introduzione del Panopticon alla fine del Settecento: guardare chi ha perso la libertà è già di per sé un’intimidazione. Allo stesso tempo il circuito aperto fra chi guarda e chi è guardato è inconsapevolmente analogo alla relazione estetica che l’opera crea fra l’artista e chi la esperisce. La cella – e in senso lato la prigione – è un dispositivo di presentazione del carcerato alla società che lo ha allontanato. Essi nascono non solo come costrizioni fisiche, ma per creare un contesto simbolico rassicurante per coloro che sono rimasti fuori. Accanto e prima delle prigioni virtuali in cui viviamo continuano a sussistere prigioni fisiche, abbandonate o provenienti da un passato prossimo non ancora metabolizzato. Il carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano, che Rossella Biscotti fa diventare pelle di un corpo non più esistente, è una rovina che accoglie oggi, oltre al nostro immaginario di resistenza civile, la battaglia per l’abolizione dell’ergastolo. Mentre in Elisabetta Benassi la cella è quella con cui ci si protegge: il modulo antiproiettile utilizzato da Angela Davis in uno dei suoi discorsi pubblici. Il confino può agire in due direzioni, arrivare dall’esterno o essere originato da esigenze private. In entrambi i casi agisce come limitazione, uno spazio che rimane celato e in cui possono verificarsi episodi costantemente rimossi poiché non assimilabili dalla morale accettata. Le opere di Jenny Holzer, Gülsün Karamustafa e Shen Ruijun agiscono smascherando questo aspetto rimosso ed evidenziando come le informazioni coperte da segreto di Stato sono una modalità del sistema non solo per proteggersi, ma per espellere dalla propria auto-narrazione elementi non funzionali. Le attuali prigioni in cui viviamo, costantemente monitorati, sono le nostre città, dove ogni tipo di manifestazione di alterità viene controllata e mappata in un enorme archivio che può essere usato contro di noi, pur nascendo apparentemente per proteggerci. L’immaginario distopico legato allo spazio urbano nasce in parallelo con quello che lo vede come soluzione utopica per la convivenza degli esseri umani. Le opere di Rem Koolhaas e di Superstudio sono una presa di consapevolezza fondamentale della violenza e disomogeneità della forma-città, un luogo costruito per incasellare vite che si vogliono uniformi per poterle gestire meglio in un cortocircuito fra immaginario

fantascientifico e vacillazioni dell’ottimismo del pensiero moderno. Nelle finte macchine di Simon Denny l’estetizzazione della tecnologia viene denunciata in maniera spiazzante: citando direttamente l’estetica dei server e intervallandola con inserimenti di immagini il cui linguaggio richiama quello delle réclame commerciali, l’artista incrina un sistema di immagini che si basa sull’aggiornamento continuo della tecnologia che le produce e le diffonde, invitando a riflettere sull’obsolescenza digitale che sta caratterizzando in maniera sempre più evidente i cicli produttivi. Un “potere segreto” che volutamente sceglie di rimanere in secondo piano per poter agire con maggior efficacia e che si basa anch’esso sulla raccolta dei dati. L’opera si propone come un enorme e potenziale archivio, la cui effettiva funzionalità non è importante determinare: il suo solo essere nello spazio le garantisce di essere ossequiata come un Moloch. In ultima analisi, il progetto PLEASE COME BACK è anche un esperimento per il MAXXI, che tenta di indagare il problema della libertà della creazione artistica e dei limiti istituzionali. Trevor Paglen ha proposto di installare la sua opera Autonomy Cube all’interno della mostra, permettendole di agire “normalmente”. Si tratta di un server internet che consente agli utenti di trasmettere i propri messaggi in forma anonima, il che, secondo le leggi vigenti, è problematico. Dopo molti sforzi del team curatoriale e legale del museo, si è giunti alla conclusione che è troppo rischioso, per l’istituzione, permettere all’opera di funzionare nella realtà, in quest’epoca estremamente difficile, ricca di conflitti politici e geopolitici. Siamo costretti a ridurre la sua presenza come proposta concettuale nel catalogo. In maniera paradigmatica e paradossale, l’opera ha funzionato: ha chiamato in causa l’istituzione e ha testato la sua tenuta rispetto ai limiti imposti dalla società del controllo creando un cortocircuito fra il ruolo del museo come garante di un territorio di sperimentazione e quello di necessaria protezione delle cose e delle persone che lo abitano. Quando l’arte della libertà affronta il limite della libertà, qual è la soluzione? È per questo motivo che dobbiamo ancora gridare al cielo: “Per favore, torna!” 3 1 Conversazione fra Claire Fontaine e Hou Hanru via email, 20–21 novembre 2016. 2 M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Parigi 2011 (prima edizione, Parigi 1975), p. 339. (In Italiano: Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 2014.) 3 In Inglese, “Please come back!”

MAXXI Educazione | Progetti 2017

Il MAXXI Educazione è “l’orecchio in ascolto del museo”, con l’obiettivo di coinvolgere pubblici sempre più ampi e diversi (per conoscenze, esigenze, provenienza) , costruire insieme nuovi significati e rendere il museo sempre di più un luogo attivo di partecipazione e inclusione sociale. Ogni anno l’impegno e i risultati del MAXXI Educazione aumentano: nel 2016, sono state realizzate 664 attività tra workshop, laboratori, campus estivo, ecc. (+ 40% rispetto al 2015) con 14.893 partecipanti tra adulti, famiglie e scuole (+16,5%). I progetti educativi, improntati all’interdisciplinarietà e al metodo della ricerca-azione, nascono dal lavoro in team e dallo scambio con molti interlocutori, ma anche da collaborazioni con istituzioni e associazioni.

MAXXI EDUCAZIONE PER LA SCUOLA

La scuola rappresenta uno dei target privilegiati, nella convinzione che il museo sia il miglior luogo di apprendimento informale complementare. Numerose anche le attività per le famiglie e gli adulti, gli studenti universitari e le comunità del territorio. Tra le proposte del MAXXI Educazione dedicate alle scuole ci sono i laboratori sulle collezioni permanenti di arte e architettura: Fai spazio all’arte! per la scuola primaria e Curatori per un giorno per la scuola secondaria. Il primo, incentrato sulle installazioni, mira a far conoscere ai bambini questa tipologia di opere d’arte che interagiscono con uno spazio particolarmente connotato come le gallerie di Zaha Hadid. Il secondo, dopo la visita-esplorazione con l’analisi di opere di arte e architettura, invita gli studenti ad allestire una mostra creando il proprio percorso tematico. Il MAXXI Educazione propone alle scuole anche attività sullo straordinario edificio museale: Sulle orme del MAXXI per la scuola primaria e Osserva, scatta, condividi: #ilMAXXIamodotuo per la scuola secondaria. Nella prima si favorisce nei bambini un’esplorazione giocosa e sensoriale dello spazio fluido a partire dall’immagine satellitare del quartiere Flaminio, così diverso rispetto alla dinamica architettura del MAXXI. Nella seconda si invitano i ragazzi a scattare fotografie con il proprio smartphone per reinterpretare in modo personale elementi significativi dell’edificio. Dopo aver associato allo scatto una parola che lo descriva, gli studenti potranno pubblicarlo sui loro profili nei social media con l’apposito hashtag #ilMAXXIamodotuo.

MAXXI EDUCAZIONE PER LE FAMIGLIE E PER GLI ADULTI

Pensati per le famiglie sono, invece, i laboratori del ciclo MAXXI in famiglia che, nel weekend, fanno scoprire a grandi e piccini il lavoro di artisti, architetti e designer esplorando le mostre e rielaborandone idee, oggetti e immagini con materiali diversi. Una novità di questo ciclo sono i laboratori in inglese Let’s play with contemporary art! incentrati sulle collezioni permanenti e condotti da educatori madrelingua, realizzati in collaborazione con l’Associazione Art and Seek for Kids e promossi dal British Council nell’ambito del Protocollo d’Intesa con la Fondazione MAXXI. Da aprile, in occasione della mostra su Piero Gilardi, partono i laboratori progettati insieme a WWF Italy dedicati al rapporto tra arte e natura. Per il pubblico adulto è l’appuntamento fisso del sabato alle 18.00 con le visite guidate gratuite realizzate con il sostegno di Groupama Assicurazioni, per esplorare la collezione permanente e una mostra diversa ogni settimana. Il MAXXI Educazione propone, infine, il percorso di visita Il MAXXI come non l’avete mai visto per scoprire aree solitamente inaccessibili e piccoli segreti dell’edificio progettato da Zaha Hadid.

PROGETTI SPECIALI

Il MAXXI Educazione realizza anche progetti speciali, programmi educativi gratuiti a medio o lungo termine che coinvolgono target diversi tra cui scuole, comunità etniche e del territorio. In occasione della mostra Please Come Back, si svolgerà il progetto Oltre il muro: gli studenti di una scuola secondaria saranno protagonisti di una riflessione sui temi della mostra, che culminerà nella produzione di un cortometraggio sull’influenza di internet e dei social media nella vita degli adolescenti. Novità di quest’anno è il progetto Kids Museum, realizzato grazie al supporto di BNL Gruppo BNP Paribas, insieme a molte altre attività per le famiglie e le scuole. In occasione del più importante allestimento della Collezione permanente mai realizzato fino a ora, The Place To Be, a partire da maggio il Kids Museum guiderà i più piccoli attraverso un percorso con supporti espositivi e strumenti didattici creati secondo le esigenze dei giovanissimi visitatori: un allestimento riconoscibile di 10 opere selezionate, facilmente fruibile dai bambini; didascalie e pannelli ad altezza ridotta con testi scritti da studenti della scuola primaria; una brochure dedicata con quiz e giochi da completare in distribuzione gratuita presso l’Infopoint del Museo.

MAXXI Public Engagement |Progetti 2017

Sempre più il museo del XXI secolo è chiamato a qualificarsi come un luogo accogliente, uno spazio di socializzazione e stimolo per la crescita personale e della collettività, un luogo per tutti. E’ un dovere per l’istituzione sviluppare una visione della cultura inclusiva e accessibile. Questi sono gli obiettivi che il MAXXI persegue attraverso le azioni di Public Engagement, per coinvolgere e stimolare la partecipazione di persone le cui fragilità sono spesso una barriera alla frequentazione del museo. Pubblico “ai margini” e pubblico abituale del museo vivono insieme l’esperienza dell’arte, superando ogni barriera e divisione.

Dal 2013 è attiva una Convenzione con l’Istituto Statale per Sordi per la coprogettazione di attività volte ad aprire il MAXXI, sempre più, alla frequentazione delle persone sorde. A partire da metà febbraio, sui siti dell’Istituto Statale per Sordi e del MAXXI (www.issr.it, www.fondazionemaxxi.it) sarà consultabile una rubrica in Lingua dei Segni (LIS) dove, di volta in volta, verranno presentate tre mostre del MAXXI (The Japanese House, Letizia Battaglia. Per Pura Passione e la Collezione permanente). In occasione della mostra Zaha Hadid e l’Italia, tributo del museo all’architetto che lo ha progettato, verrà inoltre ufficializzato il ‘segno-nome’ del MAXXI. Il segno-nome rappresenta, a tutti gli effetti, l’entrata di una parola all'interno della comunità sorda segnante.

IN CON-TATTO CON NERVI E HADID. Partecipazione e inclusione attraverso l’architettura In Con-Tatto con Nervi e Hadid è un percorso permanente, una passeggiata che mette in relazione il Palazzetto dello Sport di Pier Luigi Nervi e il MAXXI di Zaha Hadid, due architetture che hanno modificato il paesaggio urbano del quartiere Flaminio. Si tratta di un’esperienza corporea, coinvolgente, rivolta a un pubblico non specializzato, anziani, studenti, migranti e persone con disabilità visive, con l’ obiettivo di comunicare, in modo accessibile e diretto, le ricerche architettoniche del grande ingegnere strutturista italiano e della progettista del MAXXI. L’esplorazione dei due edifici avviene anche con l’ausilio di materiali, tra i quali tre tavole tattili e un modello in scala dell’edificio di Nervi realizzato da due studenti dell'Istituto per le Industrie Artistiche di Roma. La scoperta dell’architettura del MAXXI si avvale invece della maquette tattile, nella hall del museo, dono dei Club Inner Wheel Distretto 208, strumento fondamentale per la comprensione del complesso e affascinante progetto della Hadid.

MAXXI AL BUIO, in occasione del nuovo allestimento della collezione permanente (The Place To Be) un sabato al mese, le persone vedenti saranno accompagnate da persone non vedenti in un percorso tra interno e esterno del museo, sperimentando la dimensione della cecità: in questa condizione, a partire dall’esplorazione della maquette tattile del MAXXI, scopriranno l’architettura del museo e alcune opere in mostra, anche con l’ascolto di letture di testi della Hadid e degli artisti in mostra. In collaborazione con la Consulta cittadina permanente sui problemi delle Persone con Handicap Roma Capitale

In occasione della mostra PLEASE COME BACK. Il mondo come prigione? tra febbraio e maggio si svolge il workshop di Claudia Losi UNA VOLTA, ALL’IMPROVVISO… in collaborazione con la Casa Circondariale di Rebibbia, Francesca Dainotto e VIC, Volontari in Carcere. Un’opera di Claudia Losi nelle collezioni del MAXXI, un laboratorio che si sviluppa in situazioni diverse e che, dopo essere stato dedicato ai bambini del quartiere Flaminio, in questa occasione coinvolgerà l'immaginario e gli affetti di chi ‘vive lontano’ la propria genitorialità, un gruppo di donne ospitate a Rebibbia femminile. Attraverso il racconto e il disegno ogni donna creerà il suo gioco-dono per riannodare un legame complesso, come quello con il proprio figlio.

Narrazione dal MAXXI all’ex Carcere del San Michele: è la nuova tappa del rodato progetto Narrazioni da Museo a Museo, che mette in dialogo il patrimonio di diverse istituzioni e coinvolge, oltre al pubblico abituale del MAXXI, anche minori migranti e persone con disabilità, a partire dalla centralità del patrimonio culturale nella vita di ognuno

In occasione della mostra dedicata a LETIZIA BATTAGLIA, da febbraio ad aprile si svolge il workshop Per Pura Passione con Mohamed Keita, Morteza Khaleghi e Loni Mestrji e i minori non accompagnati del centro CivicoZero (Save the Children), insieme a un gruppo di studenti del Liceo Tasso di Roma. Le fotografie che ritraggono i bambini della città di Palermo saranno spunto per una riflessione sulla condizione dell’infanzia e sul ruolo della donna nei paesi di origine dei ragazzi. In occasione di “Illuminiamo il Futuro”, iniziativa promossa da Save the Children.

Marzo/Aprile: progetto NuovaMente al MAXXI: il nostro punto di vista, momenti di mediazione culturale del gruppo di persone con disagio mentale della ASL ROMA1 che frequentano il museo dal 2009, un anno prima della sua apertura, a partire dalla mostra dedicata a Letizia Battaglia. Per il terzo anno, l’ultimo weekend di marzo, Lo Spiraglio, il Film Festival sulla salute mentale, tornerà al MAXXI e anche il gruppo del progetto NuovaMente al MAXXI condividerà con gli utenti degli altri Centri Diurni e con i visitatori del museo l’esperienza che li rende un pubblico privilegiato.

Al bookshop del museo continua anche MAXXI per REFUGEE ScART, REFUGEE ScART PER MAXXI: la vendita di gioielli e oggetti di design creati da un gruppo di rifugiati con materiali riciclati, il cui ricavato torna a loro.

MAXXI A[R]T WORK Sperimenta e condividi le professioni della cultura Progetto di Alternanza Scuola Lavoro del MAXXI Sono 495 e provengono da 13 scuole secondarie di Roma e del Lazio gli studenti che, dalla scorsa primavera a oggi, hanno preso parte al programma MAXXI A[R]T WORK, progetto di alternanza scuola-lavoro ideato dall’Ufficio Marketing Territoriale e dall’Ufficio Public Engagement del MAXXI.

Il programma, declinato in più giornate, prevede incontri tenuti da professionisti del settore dei Beni Culturali con l’obiettivo di far conoscere il “dietro le quinte” dei mestieri della Cultura presenta le figure professionali impiegate in un museo, le loro specifiche mansioni e il percorso formativo che le ha portate a lavorare in ambito museale.

Workshop e laboratori fanno sì che gli studenti possano sperimentare, in prima persona, le varie professioni e i relativi processi lavorativi. Il programma contempla esercitazioni, simulazioni e quindi la messa in atto di progetti di Marketing Territoriale e Audience development secondo le regole della comunicazione virale.

Ogni gruppo di lavoro è invitato ad elaborare contenuti multimediali veicolati attraverso le principale piattaforme social network con il fine di raggiungere e coinvolgere differenti e potenziali pubblici. Gli studenti, guidati da addetti ai lavori vestono i panni degli ambasciatori della cultura e dell’arte.

MIUR – Alternanza Scuola Lavoro

La Legge 107/2015 indica un nuovo approccio alla didattica che prevede un’offerta formativa più ricca per gli studenti.

Per tutti gli studenti del secondo biennio e dell'ultimo anno è previsto, obbligatoriamente, un percorso di orientamento utile ai ragazzi nella scelta che dovranno fare una volta terminato il percorso di studio. Il periodo di alternanza scuola-lavoro si articola in un totale di 400 ore per gli istituti tecnici e di 200 ore per i licei.