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I giochi dello sguardo L'Albania, i Balcani e l'Occidente

Portolano Adriatico, Anno 1, n. 1; L'Albania, i Balcani e l'Occidente

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Rivista di storia e cultura balcanica

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I giochi dello sguardo

L'Albania, i Balcani e l'Occidente

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DoGiUna produzione DoGi, Firenze, Italia

Rotolano Adriatico Rivista di storia e cultura balcanicaanno I, n. 1 (giugno 2004)

I giochi dello sguardo. L’Albania, i Balcani e l’Occidentea cura diR oberto Mancini e Carlo Marcaccini

Direzione:Stefania Fuscagni direttoreR oberto Mancini e Carlo Marcaccini condirettoriDirettore responsabile:Antonella MaravigliaSegretario di redazione:Michele De Luca Rrogetto grafico:Rauch DesignEditor:Marco Saiucci

Comitato scientificoPaolo Blasi, Università degli Studi di Firenze; Augusta Brettoni, Università degli Studi di Firenze; Flavio Cavallini, o.f.m.; Laura Corti, Università degli Studi di Venezia - IUAV; Stefano De Leo, Ministero degli Affari Esteri; Paolo De Simonis, Università degli Studi di Pisa; Marcello Fantoni, Università Cattolica di Milano, Georgetown University; Franco Franceschi, Università degli Studi di Siena; Roberto Mancini, Università degli Studi di Venezia - IUAV; Carlo Marcaccini, Università degli Studi di Firenze; Francesca Medioli, Reading University; Roberto Orlando, Console italiano a Scutari; Giacomo Pirazzoli, Università degli Studi di Firenze; Leonardo Savoia, Università degli Studi di Firenze; Fabio Silari, Università degli Studi di Firenze; Shaban Sinani, Direttore Generale degli Archivi di Stato di Albania; Giuseppina Turano, Università degli Studi di Venezia ■ C a ’ Foscari.

RedazioneFirenze, Università degli Studi,Via Cavour 82tei 3 9 /0 5 5 /2 7 5 6 7 4 2 -3 7 -3 [email protected] e Përgjithshme e Arkivave,R r “Jordan Misja”,Tirane Biblioteca e Muzeut Historik, Shkodër.

Stampato in Italia nel 2004 presso Eurolitho spa,Rozzano (Milano)

Pubblicazione della

&x'i_S't - í f á v / X r v / f ■ y / r / r / í f r f , y ’r , /

nell’ambito del Progetto Albania

La presente pubblicazione è stata finanziata con i fon d i del Ministero degli Affari Esteri\ y

© 2 0 0 4 by Eurolitho spa, ItaliaDivisione La Bibliotecavia dei Pepi 75 0 1 2 2 FirenzeTel. + 3 9 /0 5 5 /2 3 4 7 6 5 [email protected]

Registrazione: Tribunale di Firenze n. 5339 (5 /5 /2 0 0 4 )

ISBN 8 8 -8 8 5 1 4 -5 8 -9

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5 Auspicio di Franco Frattini

Redazionale

AdriaticaIl fuoco di Prometeo? Una nuova cooperazione: avvertenze per l’uso Interventi di Franco Cambi, Davide Chiavegatti, Walter Hößechner, Tiziana Littamè

SaggiOgni terra è una frontiera. La percezione dello spazio adriatico nell’antichità greco-romana di Carlo Marcaccini

La difficile storia di un paese. Dall’Illyricum al dramma del Kossovo di Bianca Vaiata

L’Albania degli Italiani. Mito, propaganda, demagogia dalla fine dell’Ottocento al fascismo di Roberto Mancini

L’aquila e il leone. Albanesi di ieri e di oggi a VeneziaSaggio fotografico di Marco Bordignon e Michele Lamanna; con un intervento di Laura Corti

Sillabari per un’amicizia. L’Italia nei testi delle scuole albanesi fra Ottocento e Novecento di N jasi K azaz i e Islam D izdari

Sorvegliare e non punire. Il trattamento degli Ebrei in Albania tra 1920 e 1945 di Shaban Sinani

Specchi quotidiani. I migranti del 1997 nella cronaca dei giornali di Vania Bovino

Altre pagineI Balcani: un’espressione geografica meramente immaginaria di Francesca Medioli

Trasportare favelle, utile commercio di Augusta Brettoni

SegnalibroM ichele D e Luca recensisce N. Kazazi, G. Çuni, Botime té Universitetit le Slikodrés “Luigj Curakiiqi" 1957-2002', Franco Franceschi recensisce L. Nadin {a cura di), Statuii di Scutari della prima metà del secolo X IV con le addizioni fin o al 1469; Daniela M anetti recensisce Ragusa e il Mediterraneo. Ruolo e fu n zioni di una Repubblica marinara tra Medioevo ed Età moderna; Carlo Marcaccini recensisce Dall'Adriatico al Danubio. L'Illirico nell’età greca e romana (convegno); Carlo Marcaccini recensisce L'antichità ritrovata (mostra); Gianluca Masi recensisce L ’Italia e l'Europa Centro-Orientale attraverso i secoli (miscellanea di studi).

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OpifìcioLe iniziative dell’Università di Firenze a Scutari negli anni 2001-2002

Rërmbledhje-Abstracts

Sala macchine

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On. Frahco Fratti ni Ministrodegli Affari Esteri

La cooperazione allo sviluppo è fondamentalmente e prioritariamente un fatto umano, comunitario, che, prima di concretizzarsi in interventi tecnici, coinvolge la sfera culturale. Infatti ogni attività di questo tipo implica un incontro tra persone di culture differenti. Culture intese sia come insiemi di saperi individuali, sia come patrimonio collettivo di un popolo. Parte integrante e attiva nei processi di sviluppo sostenibile, e quindi mezzo efficace per migliorare le condizioni di vita. L’Italia considera da sempre l’aspetto socio-culturale un valido strumento di dialogo tra i popoli per superare le distanze tra paesi geograficamente, politicamente ed economicamente lontani. All’interno della sfida storica costituita dall’incontro tra società e culture differenti, la cooperazione è oggi chiamata nel suo complesso a rinnovarsi e, tesaurizzate le passate esperienze, ad avviare una seria riflessione sul senso più profondo del suo ruolo, su ciò che essa storicamente ha significato e sulle prospettive che è tenuta ad aprire. Se lo sviluppo altro non è che il divenire ciò che potenzialmente si è portati a essere, ovvero la realizzazione della specificità individuale all’interno delle diversità, la cooperazione dovrebbe allora riscriversi come capacità di creare spazi comuni e occasioni di confronto in cui la complessità degli interventi possa essere pensata e risolta nel rispetto reciproco delle identità culturali, sì da rimettere in moto quella ricerca di se stessi che, collettivamente intesa, innesca lo sviluppo sociale e favorisce la crescita.Nel con o degli ultmu anni sempre più il progresso si è manifestato come ricerca di libertà: libertà di partecipare e di influenzare i processi di decisione attraverso un apporto personale e collettivo, nella sfera privata come in quella sociale; libertà di espressione emotiva e cognitiva da parte di individui, famiglie, gruppi sociali, istituzioni, libertà dall’ignoranza, dalla fame,

da ogni tipo di oppressione. È una ricerca di senso che mira a recuperare gli elementi costitutivi di una partecipazione sociale consapevole, intesa non solo e non tanto come mera fruizione della ricchezza, ma come componente essenziale dello sviluppo umano, ovvero della possibilità di libera-azione dell’individuo all’interno del suo contesto sociale.In antitesi alla concezione ormai datata che prevedeva un netto iato fra donatore e beneficiario, una nuova cpoperazione così intesa è sempre più chiamata ad assumere i connotati di un processo bidirezionale, che coinvolga gli stessi paesi sviluppati in un percorso comune di crescita e di revisione dei loro modelli culturali.Oggi ogni incontro di cooperazione viene piuttosto disegnato come uno scambio in cui - creato un contesto adatto - a ciascuno è permesso di arricchirsi grazie alla specificità dell’altro, senza per questo snaturarsi e costituire qualcosa di diverso da ciò che è, che storicamente è stato e che è chiamato a diventare. E una dinamica bidirezionale in cui potremmo addirittura arrivare a dire che le popolazioni dei paesi in via di sviluppo contribuiscono attivamente ai processi di crescita dei paesi sviluppati, creando occasioni e integrando risorse e prospettive. L’ottica donatore/beneficiario cede il passo a una concezione donatore'donatore e beneficiario/beneficiario, in cui tutti gli attori si presentano al medesimo tempo come donatori e come fruitori di diversità e di ricchezze condivise. Per quanto concerne più propriamente l’identità e la dignità di un popolo, noi abbiamo sempre diretto i nostri sforzi fondamentalmente al recupero di un dialogo interculturale, in particolare in aree che erano state teatro di odi interetnici, di contrapposizioni religiose e di conflitti armati, e dove più pressante si manifestava l’esigenza del recupero di un profilo culturale da parte di quelle popolazioni che in situazioni fortemente

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c r it ic h e r isu ltavan o c o lp ite n e lle lo ro p iù

p ro fo n d e tracce id e n tita rie . A b ln .11110

a ttr ib u ito una tale im p o rta n z a a q u este

te m a tic h e c h e la v a lo r iz z a z io n e

del p a tr im o n io e l 'in te g ra z io n e

s o c io -c u ltu ra le so n o d ive n u te le p r io rità

p ro g ra m m a tic h e d ella p o litica

di c o o p e ra z io n e del nostro M in istero .

I-rutto e te stim o n e a un te m p o di q u esto

v a r ie g a to p ro cesso d i tra s fo rm a z io n e

e r in n o v a m e n to d ella c o o p e ra z io n e a llo

sv ilu p p o , l ’o riohm o ntltiniifo ha v o lu to aprire

W u n o spazio di riflession e do co n d iv id ere

n o n so lo c o n ch i o g g i o p e ra n el settore ,

m a a n c h e c o n un p iù a m p io b a c in o

di in te lle ttu a li, italian i e stra n ieri, in teressali

a lle m an ifestaz io n i e agli esiti d el c o n fro n to

c u ltu ra le cu i tutti s ia m o ch ia m a ti.

S e questa rivista , co n tu tto l'im p e g n o c r it ic o

e la cap a c ità ili analisi c h e si p ro m e tte

eh usare, sarà 111 g ra d o di dare un a iu to

nella c re a z io n e di q u e llo sp a zio c o m u n e

in cu i p en sare e c o n d iv id e re rifle ss io n i

ed e sp e r ie n z e , avrà ra g g iu n to il su o sc o p o

e c o lo r o c h e vi si so n o ad o p e ra ti p o tra n n o

riten e rsi sod d isfatti del lo ro lavoro .

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Particolare del Dipartimento di Italianistica di Scutari, recentemente restaurato(Convenzione Unops - Università di Firenze)

Nascita di un ’ideaQuesta rivista nasce da un luogo com une: nasce dal contatto con la realtà e con il presente, nasce dalla contemporaneità nel senso più classico che si possa attribuire al termine, cioè com e percezione del cambiamento, spesso anche traumatico, che investe e modifica la vita dei popoli, ovvero cambia il corso della storia, com e si usa dire. Nelle parole di un grande studioso dell’antichità, Arnaldo Momigliano, la storiografia classica “presa nei suoi tratti più generali . . . era lo specchio del cam biam ento” . Tale principio ne costituiva allora il limite metodologico, ma allo stesso tem po forniva lo stimolo alla ricerca, motivando così la prosecuzione e l’affinamento di un genere che, a prescindere dallo statuto che di volta in volta si è attribuito, dalle strade che ha percorso, dal m etodo che ha seguito, dallo scopo che si è prefisso, ha comunque continuato a essere espressione di un presente, di un vissuto diretto, individuale o collettivo, da parte di chi, piccolo o grande, abbia voluto dare un contributo d’interpretazione.C om e in passato, non mancano neppure oggi i grandi eventi che im pongono un cam biam ento di prospettiva, che influenzano le coscienze e modificano le pratiche di vita: di fronte a essi c ’è sempre chi, a suo m odo, si prende la briga di rappresentare ciò che accade, di narrarlo, di comprenderlo, di indagarne le cause, soprattutto quando l’evento tocca la sfera dell’esperienza diretta e fa percepire la sua rilevanza per il futuro. In passato accadeva così per le guerreo le grandi rivoluzioni, che provocavano cambiamenti rapidi e violenti e sollecitavano per questo la reazione legittima di chi possedeva la vocazione di narratore; oggi per l’O ccidente10 scontro fra nazioni non esiste più, e rimane da capire se sia finito o no11 tem po delle guerre tradizionalmente

intese. Eppure anche nel nostro m ondo protetto, che spesso pare dibattersi in una calma piatta priva di m em oria, vi sono i segni delle mutazioni del presente riconducibili a eventi significativi. L’apertura della frontiera adnatica e il ritorno in Albania sono i fenomeni che ci hanno toccato e che hanno modificato e costruito la nostra esperienza, ovvero la nostra storia. Così la causa prima della rivista sono gli interventi fiorentini a Scutari, i moduli didattici presso il locale Dipartimento di Italianistica, i molteplici corsi di formazione, gli eventi culturali, insomma la frequentazione continua, la confidenza con luoghi e persone, il contatto diretto con una realtà vicina, amica, ma a un tempo distante e per molti aspetti impenetrabile. Dalla voglia di interpretare un mondo finora alieno per comprenderlo nel nostro orizzonte è nata l’esigenza di una pubblicazione complessa, che intende recepire e riprodurre la ricchezza degli stimoli, talvolta anche violenti, offerti dalla realtà di un rinnovato confronto culturale. Così il tentativo di ricerca storica per noi è di nuovo scaturito dalla contemporaneità di cui la riflessione sul passato, l’archaiologhia- sempre in senso classico - , continua a rimanere un irrinunciabile tassello.

Il contesto storiografico All’inizio degli anni Ottanta Angelo Tamborra, facendo il punto sugli studi di storia dell’Europa orientale in Italia (La storiografia italiana negli ultimi venti anni, Milano, M arzorati, 1981) notava che essi si disponevano lungo due direttrici principali: quella dello studio di singoli paesi, di movim enti politici, di uomini e correnti di pensiero, e quella che si dedicava ad approfondire le relazioni fra il m ondo italiano e “l’Europa orientale in genere” . In entrambi i casi egli sottolineava che la letteratura era nutrita e di buon valore.

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A distanza di venti anni, una nuova rassegna storiografica (pubblicata da Laterza a cura di Luigi D e Rosa) non riportava più alcun intervento sulla storiografia dell’Europa orientale, sebbene si fosse nel 1989 , o tto anni dopo la m orte di T ito (con sommosse albanesi a Pristina), quattro anni dopo la m orte di H oxha, con l’arrivo all’orizzonte della politica della Serbia di Slobodan Milosevic, alla vigilia delle secessioni slovene e croate e della guerra civile bosniaca (1 9 9 1 -1 9 9 2 ). Eppure dopo la caduta dei regimi comunisti sarebbe stata da ripensare tutta la periodizzazione nella storiografia (Bianca Valota, Storia della storiografia, 38 , 2000).C on tutto quello che andava preparandosi, l’assenza di iniziative editoriali dirette al vasto pubblico avrebbe di lì a poco prodotto una rincorsa a recuperare dei vuoti che in parte dura ancora. O ggi il lettore italiano dispone di molti strumenti per approfondire le sue conoscenze sui Balcani, ma si tratta di opere che offrono quadri sintetici molto generali e chiavi di lettura forti (un taglio che è tipico della manualistica) generalmente riassunte, soprattutto per ciò che concerne l’età contemporanea, in formule del tipo “grande transizione”, o “transizione traumatica” , o più sbrigativamente “ crisi” slava, secondo una visione negativa e pessimistica non di rado radicata negli stessi intellettuali di oltre Adriatico: basta

leggere G li albanesi tra Occidente e Oriente di Eqrem Cabej, (N ardo, Besa, s.d.),0 il pur bellissimo Autopsia dei Balcani. Saggio di psico-politica di R ada Ivekovic (Milano, Raffaello Cortina, 1999).In questo panorama ben poco resta delle suggestioni derivanti dalle pagine adriatiche di Pedrag M atvejevic nel suo M editeranski Brevijar (Zagabria, 1987) o da Les Slaves. A u x origines des civilisations d ’Europe di Francis C onte (Parigi, Editions Albin M icheln, 1986), tradotto in italiano per Einaudi nel 1990 . Il libro di Conte, con la sua im ponente messe di informazioni che ricorda nell'impianto il Braudel de L a Mediterranée et le monde M éditerranéen, e m etodologicam ente1 lavori di G eorge Duby,non ha apparentemente fruttificato; non ancora il grande pubblico dei lettori può avvicinarsi ai temi religiosi, della trasmissione culturale, alla simbologia del potere, alle tecniche di propaganda, alle ritualità della vita politica . . che pure lì vengono adombrati N oi di Portolano Adriatico non siamo censori, né giudici, non vogliamo pensare di portare un messaggio particolarm ente innovativo, né intendiamo far compiere rivoluzioni copernicane, né vogliamo fungere da modello: ci perm ettiam o sommessamente di ricordare che ancora la maggior parte degli archivi dell’Est restano per certe tem atiche inesplorati e negletti.

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Il fuoco di Prometeo?Una nuova cooperazione: avvertenze per l'uso

Interventi diFranco Cambi Davide Chiavegatti Walter Höflechner Tiziana Littamè

Vi è un fatto: l'incontro, non nuovo, fra Italia e Albania. Poco spazio ma molti anni dividono i due paesi, anni in cui la storia ha separato in modo definitivo generazioni di uomini. N on è un incontro paritario: una delle due parti legge il fatto con parole solo sue, ed è, per questo, la più forte. Esperienze raffinate e rinnovati valori ha sperimentato il nostro Occidente per gestire il confronto con realtà diverse o del tutto aliene. Passato sembra, ormai, il tempo delle nazioni, quando agli Inglesi bastava studiare le tradizioni di un paese, la sua architettura, il suo folclore perché in esso si destasse spirito politico e un nazionalismo alle volte ingrato,“vivido fiore dei nostri sforzi innocenti”(T. E. Lawrence). È venuto un altro tempo, nuove parole e nuove domande. Per noi l’incontro si è “travestito” in cooperazione: fenomeno e idea. Buon soggetto per un’analisi storica e esercizio di divinazione: quale fiore nascerà su questo terreno?

Sul tema del confronto culturale aperto dalle esperienze di cooperazione degli ultimi dieci anni, e più in generale sul senso degli interventi della comunità internazionale nei paesi in via di sviluppo, abbiamo rivolto una serie di domande a interlocutori diversi per formazione e competenze: Franco Cambi, ordinario di Pedagogia generale e direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione e dei Processi Culturali e Formativi dell’Università di Firenze; Davide Chiavegatti, area manager di Unops (United Nations Office for Project Service) a Scutari;Walter Höflechner, decano della Facoltà di Lettere dell’Università di Graz; Tiziana Littamè, già lettrice di lingua italiana presso la sezione di Italianistica dell’Università di Scutari.

[// decoupage riflette la ricerca di senso dei redattori che hanno tentato di ricomporre, attraverso le parole degli autori, una unica sia pur complessa e sfaccettata risposta. Per questo l'operazione qui presentata è parziale.

Se insoddisfatto, il lettore, scomponendo l ’insieme, potrà dare l ’ordine logico che più ritiene opportuno.]

Perché un paese in via di sviluppo dovrebbe essere aiutato dalla comunità internazionale?Cambi Se ormai ci stiamo muovendo, anche in politica, in un’ottica di mondialità, di comvolgimento di tutti i paesi in un comune modello di sviluppo e in una rete unitaria (sempre più unitaria) di rapporti, come ci impone la globalizzazione, se ormai le stesse organizzazioni internazionali guardano (e non da ora) - penso all’O N U - a una diffusione planetaria della democrazia e di un livello di vita come di forme sociali sempre più mature e complesse (anch’esse frutto di sviluppo economico e di democrazia), se tutto ciò è il trend della politica internazionale (di diritto e anche di fatto), la cooperazione con i paesi in via di sviluppo è un atto dovuto, un impegno necessario proprio per favorire nel modo più organico e integrale tale processo di trasformazione e permettere che tale sviluppo avvenga in modo lineare e costante, il più possibile. N on si tratta di dare dei tutor a questi paesi, ma dei modelli, degli interventi sperimentali, un sostegno economico, anche politico, ma soprattutto culturale: legato a una immissione pilotata e “accomodata” ma efficace di cultura moderna.

Höflechner E un vecchio principio nel mondo dell’insegnamento: ciò che si impara e si guadagna in conoscenza deve essere passato agli altri, per il loro (e questo significa anche “tuo”) benessere; il logo della nostra Università mostra la traditio libri come segno di questo atto essenziale. L’unico interesse effettivo e durevole che noi possiamo trasmettere è la conoscenza, che consiste nell’insegnare alle persone a capire da sé come gestire la società e la vita di tutti i giorni. Quando avranno imparato a capire e a far questo, cioè a realizzare che essi in prima persona devono mettersi al lavoro e trarne conseguenze morali e risultati, saranno allora capaci di superare i problemi. Altrimenti sarà impossibile.

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Ospiti a Scutari.Sullo sfondo il castello.

Le Università sono uno strumento, un’entità che va oltre le nazionalità, oltre gli Stati, esse sono in certo senso segni dell’umanità stessa. Per questo devono cooperare: è uno dei loro più rilevanti, nobili e fondamentali compiti.

Littamè L’immagine del “popolo dell’abisso” nel Tallone d ’acciaio di Jack London docet.E non è una constatazione né etica, né ideologica, né consolatoria. La povertà del Sud del Mondo non si risolve allargando semplicemente la tavola del Nord, ma intervenendo direttamente nei paesi interessati. Le recenti tragedie dell’immigrazione nel bacino del Mediterraneo hanno posto con estrema concretezza il problema di fronte al quale il Primo M ondo si trova: o si coopera o tutti, Primo, E x Secondo, Terzo, Quarto (?) Mondo, tutti insomma, saltano.

Chiavegatti Provocatoriamente si potrebbe impostare la domanda su termini lievemente diversi, cioè a dire, “perché un paese in via di sviluppo potrebbe essere aiutato dalla comunità internazionale?” Provocatoriamente, dico. E certo un fatto che le forze socialmente impegnate delle cosiddette società occidentali hanno dato vita, negli anni Settanta, a quel che ha costituito l’ossatura dell’odierna cooperazione, così come è innegabile che l’intento soggiacente fosse di natura nobile ed espressione di umana solidarietà. Nondimeno, gli ultimi forum internazionali, i dibattiti fra le O N G , le discussioni dei gruppi di volontariato in tutto il mondo, hanno identificato gravi lacune, quando non addirittura danni, provocati dall’agire della comunità internazionale tutta.Enormi sprechi di risorse e risultati discutìbili, rigidità di modelli su situazioni di elasticità

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Bambini Rom (Gabel), pausa dai giochi.

e diversità, emergenza in risposta a problemi di sviluppo e, viceversa, azioni spot su bisogni primari durevoli, compartimentazione stagna del proprio agire a fronte dell’obbligo (morale, almeno) di un lavoro cooperativo, eccetera. Potrei continuare.Se dunque archiviamo il “perché dovrebbe essere aiutato” rammentando le aspirazioni sociali, il periodo storico, gli aneliti a un mondo più giusto (nelle sue varie vesti, s’intende: da un pio sentimento di generica carità all’impegno ideologico dei volontari), che ne formavano l’impulso ad agire, se rispondiamo a questo “perché” in modo onesto, pensando che non è sbagliato, a pancia piena, provare a pensare agli altri su scala maggiore del proprio quartiere, se consideriamo, per dire, l’immonda ingiustizia sui bambini, allora viene facile dire: chiunque abbia un briciolo di cuore avanzato dalla dura giornata, deve

domandarsi, quantomeno, se esistono vie per intervenire. Penso che l’impulso sia davvero quello, quello il perché: una umana istintiva reazione all’orrore.Basta poco, una riflessione, una considerazione. Ad esempio un dettaglio come diciotto milioni di creature che muoiono ogni anno. Il perché perciò l’abbiamo; umanamente, linearmente, mortalmente semplice. Sublata conscientia, iacet omnia.Quel che ci manca, allora, a questo punto, è come un paese in via di sviluppo potrebbe davvero essere aiutato.Quali nuovi meccanismi di creazione, salvaguardia e distribuzione delle ricchezze, ad esempio, potrebbero essere ricercati? Com e dare voce a questo desiderio di globale solidarietà che a volte ci prende? Abbiamo bisogno ora, soprattutto, di concentrarci sul come.

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BYREKSPECIAL

Venditore di byrek. tipica focaccia albanese.

Cosa conferisce legittimità e credibilità agli interventi di cooperazione?Cambi La legittimazione è data da ragioni storiche, da qualche tipo di contiguità culturale, da rapporti di “amicizia” tra Stati e popoli. Si pensi proprio al rapporto complesso che lega l’Italia all’Albania e che la rende, verso quel paese, “amica” e “sostenitrice” accettata e benvoluta.Alla base di ciò ci sono radici storiche (la cultura mediterranea, l’appartenenza adriatica, l’ex-colonizzazione, il ruolo di modello di modernizzazione che l'Italia ha svolto nell’immaginario albanese), ci sono contiguità geografiche e pratica di scambi, c ’è un “sentimento” di fratellanza fra l’Albania e aree del nostro paese.Tutto ciò legittima una cooperazione

Italia-Albania. La credibilità degli interventi, intesa come efficienza, deve tenere conto che si deve procedere su molti piani. L’economico non basta e neppure il politico. L’elemento culturale resta centrale, anzi centralissimo. Si tratta di formare un immaginario, un costume, u n iform a mentis che collochi, gradualmente, il paese in via di sviluppo nel percorso della mode;nizzazione e renda li acclimatati i principi-valori della Modernità, che sono, ormai, i principi-valori della convivenza universale e planetaria.

Chiavegatti Mi atterrò a osservazioni tecniche. Che poco hanno di tecnico. Facendo grazia all’intelligenza della persona che sta leggendo e pensandola consapevole

che ciò che non concede legittimazione e credibilità sia l’approssimazione e la discontinuità d’intervento, figlie di una metodologia di cooperazione anelastica (non-territoriale, non-integrata, non-partecipata) di gran parte degli attori, mi concentrerei su qualche aspetto, forse più sottile, che cade nell’ambito della personalità di chi interviene, persona o ente che sia. Non necessariamente discuterò sulla loro esistenza o mancanza, sibbene della loro necessità. E allora parlerei di motivazioni dettate da un sano e sentito sentimento di solidarietà e interesse per il mondo; di coraggio nell'assumersi la responsabilità nello spendere denari, risorse, magari idee, forse la faccia; di apertura mentale al massimo grado di espressione, per capire dove si è, cosa si fa, perché e soprattutto con chi; di sobrietà, che consentirebbe, oltre a un rapporto paritario, un abbassamento della vanità sempre in agguato, una vanità presupponente, saccente, vanagloriosa e cieca; di visione per potere essere continui nel dispiegare strategie; della competenza necessaria per far sì che i programmi presentino meno storture, abbassamenti di livello o buchi operativi; infine, di accuratezza in ciò che si compie, applicata alle qualità precedenti e applicata al territorio, per poter dimostrare attraverso una meticolosa attenzione la buona fede dell’agire e l’interesse per quel che si fa. Questi aspetti, che paiono sì come virtù teologali ma che invece sono abbastanza reperibili, potrebbero aiutare nel costruire un’identità operativa forte, potrebbero contribuire alla serietà, stabilità, durata e incisività d’azione necessarie a dare la qualificazione di legittimi e credibili agli interventi. Ecco, vedete, tecnicamente m ’è toccato scendere nel teorico.

Littaiiu Per l’esperienza che ho vissuto posso dire che la legittimità viene dal rispetto che l’intervento ha nei confronti della peculiarità culturale del paese in via di sviluppo. Atteggiamenti cripto-illuministici

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Il fuoco di Prometeo?

secondo cui noi del Primo Mondo saremmoi portatori della verità assoluta e gli altri si devono adeguare, sono insostenibili e poco redditizi nel lungo periodo. L’accettazione, infatti, da parte dei paesi oggetto di interventi, che non rispettino la loro diversità culturale, risulta momentanea, provvisoria, superficiale e non metabolizzata, quindi inefficace. Rispettare la diversità culturale significa per esempio accettare ritmi e tempi diversi dai nostri, significa accettare che non si è depositari di soluzioni uniche, ma che lo scambio di know how può prevedere differenti approcci, approcci che possono entrare nella cultura del cooperante.

Hoflechncr Quando persone oneste agiscono con tutte le loro possibilità e con il massimo impegno.

Quale valore ha acquisito la parola cooperazione negli ultimi dieci anni?Chiavegatti Ci si domanda per chi. Le fasce e i soggetti interessati sono molteplici, così come lo sono gli scopi, gli interessi e le attuazioni. Duole notare, ad esempio, che i cosiddetti beneficiari in genere applicano l’immediata formula granitica cooperazione/soldi ed è dunque in seguito difficile convincerli che potrebbero esistere diversi generi di arricchimento reciproco. Ancora, duole notare che spesso i donatori applicano tale equazione e si atteggiano al modello pago/pretendo, i cui contenuti morali ed etici non sono qui oggetto di discussione. Poi ci sono i professionisti della cooperazione, categoria in cui ricade il sottoscritto, multiformi nei mestieri, nella preparazione e nelle motivazioni, per i quali il senso della parola in questione può variare dallo stretto significato semantico a quello morale, a quello di metodo, fino a quello bancario. Si potrebbero poi considerare le popolazioni degli stati sviluppati che attraverso le loro tasse e i propri atti di spontanea generosità rendono possibile realizzare la cooperazione, da cui è però

difficile ricavare un contenuto di senso generale al di là dell’immediato dato dell’impeto altruista. Attraverso quali mezzi di studio sociologico, ci si chiede, si potrebbe tarare il significato di un atto pertinente a una coscienza collettiva e, soprattutto, attraverso quali parametri potrebbe risultarne un atto di cooperazione? N on so; a parte una certa stampa specializzata, mi pare non si vada al di là dell’agiografia classica: cuore in mano e giubbotto rrulletasche (possibilmente con logo).Faccio una proposta: apriamo un dibattito permanente per trovare nome alla sostanza, significante al significato, senso al senso per questa nuova categoria d’azione umana, così proteiforme, così trasversale eppure così innovativa. In fin dei conti, fino a pochi anni fa le genti diverse, quando si incontravano,0 si scambiavano beni oppure colpi di armi varie: vale la pena di tentare ancora.

Cambi La nozione di cooperazione si è sofisticata, ovvero allargata e resa più complessa. Dall’economico è passata anche al culturale e, oggi, vede nell’attività culturale il percorso-principe del lavoro coi paesi in via di sviluppo. Certo qui si aprono tutti1 problemi deU’intercultura, che è aspetto che non riguarda solo immigrati e contesti che li accolgono. Riguarda anche le politiche culturali di cooperazione. Fino a che punto è legittimo portare verso il M odernole culture locali, spesso chiuse, dei paesi in via di sviluppo? N on si compie un’opera di “soffocamento” della varietà culturale?Il problema c ’è ed è drammatico.Ma 1) lo sviluppo ha un costo; 2) il Moderno è anche e soprattutto pluralismo e tolleranza; 3) il lavoro culturale tra popoli è sempre interculturale e guarda non alla semplice acculturazione, bensì al dialogo, all’intesa, al métissage.

Littamè Sicuramente è stata superata la vecchia concezione per cui l’intervento deve essere di carattere solo finanziario

o agire solamente sulle infrastrutture.Il concetto di cooperazione ha assunto la connotazione di “operare con” cioè si devono porre le basi per operare insieme in modo paritetico secondo il motto “ognuno mette quello che ha e quello che ha è comunque indispensabile e necessario per la realizzazione di un progetto” .Alla fine dovrebbe diventare un processo di crescita per entrambe le parti coinvolte.

Hößcdmer Nel caso della cooperazione fra le Università di Graz e di Scutari il significato della parola cooperazione è cambiato: da semplice aiuto è passato a cooperazione nel vero senso della parola, cioè nel senso che esiste una reciprocità. Inizieremo dei corsi di lingua albanese nel nostro Istituto di Teoria e Tecnica della Traduzione, e saremo i primi nei paesi di lingua tedesca. Lo faremo con l’aiuto dell’Università di Scutari.

La presenza dei tanti addetti alla cooperazione, l’azione svolta dalle sedi diplomatiche hanno innescato dibattiti sull’identità nazionale? E, di fatto, stanno modificando il modo di pensare e di agire?Cambi Sì, a mio parere. Ed è positivo: poiché favoriscono con le loro azioni proprio quello sviluppo - verso la-modernizzazione che è necessario per uscire dalla condizione di chiusura, di “minorità”, di difficoltà economiche, sociali e culturali in un mondo ormai globalizzato. N on si tratta certo di imporre paradigmi culturali esterni, allotrii, bensì di favorire un trend di crescita che vede il Moderno come percorso (più che come modello) da riattivare e assorbire nei vari paesi. Da qui la centralità del co-operare (operare insieme) e il ruolo chiave delle stesse sedi diplomatiche che, radicate nel contesto del paese in via di sviluppo, ne conoscono le particolarità, le difficoltà anche, come pure le potenzialità e i “punti nevralgici” d’azione possibile.

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Il fuoco di Prometeo?

"Ï4 Höjlcclmcr Questa è una questione molto delicata, poiché io ritengo che l’identità nazionale non sia un valore primario nello sviluppo di un paese in questa parte dei Balcani. I responsabili della cooperazione di carattere accademico molto spesso raggiungono il massimo della loro efficienza quando la loro azione tocca i confini deU’amministrazione statale e della gestione dello stato, quando raggiungono il confine dell’autonomia accademica. Penso che essi influenzino il modo di pensare e di agire non in modo diretto ma nel senso che influiscono sul cambiamento delle modalità di pensare e di agire dei loro partner, cioè in modo indiretto. Accade questo (così spero).

Littamc La presenza di cooperanti, senza bandierina “nazionale”, ma solo quella della propria associazione, tendenzialmente non crea blocchi identitari. Altra è l’azione proposta dalle sedi diplomatiche che, peraltro estremamente utile e valida in alcuni settori, rischia di accentuare rigetto e mala sopportazione.Il problema è delicato, a parere mio, quando si tocca il tasto cultura. Nello specifico dell’Albania, il popolo albanese vive una fase di ondeggiamento tra una forte identità culturale, retaggio di un regime che ha inculcato una serie di miti, e il desiderio di superarli per costruire un’identità nuova e accettabile.Il problema è che in questa ricerca gli interventi di tipo culturale sono difficili, perché non mi sembra chiaro il livello di reciprocità. Se si avviano lettorati di italiano nelle Università albanesi, si dovrebbero avviare altrettanti lettorati di albanese in Italia, altrimenti l’impressione che se ne può ricavare è quella di una nuova forma di colonizzazione. Aumentare i posti per studenti albanesi nelle Università italiane è da una parte un’azione valida, anche lungimirante: con gli anni si avrà una classe dirigente albanese italofona. Ma dall’altra vedo anche un rischio: se questi studenti

non rientrano in patria perché le condizionidel mercato del lavoro, della ricercanon sono così favorevoli, allora il risultatoè stato quello di privare un paesedi un pezzo di classe dirigente. Insomma,torno quindi su quello che ho già detto:non basta allargare la borsa dei soldi,dei visti, ecc., sono necessarie azioni di largorespiro e soprattutto codecise.

Sono riconoscibili in Albania diversi modelli di cooperazione?Litlmiii Francamente non ho avuto relazione diretta con le O N G italiane o straniere.H o seguito indirettamente la loro azione.La sensazione che ho avuto è quella di un mancato coordinamento fra i vari interventi. Faccio degli esempi. Va bene la decisione di aprire case-famiglia per il recupero di disabili psichici e motori, benei centri-donna, i centri-giovani. Tutte queste iniziative perseguono lo scopo di migliorare il tessuto sociale delle comunità sottoposte, in seguito a eventi storici a dir poco tumultuosi, a sconvolgimenti che ne hanno minato l’antica struttura. Una società che si trova in pochi anni a vivere fasi storiche che altrove sono durate secoli, corre un grave rischio: schizofrenia, sradicamento culturale, perdita d’identità. Ecco, questa è un po’ l’Albania di oggi: alla ricerca di nuovi valori che rafforzino la comunità in una fase di transizione molto destabilizzante. In questo contesto è lodevole quindi lo sforzo di voler agire sulle reti sociali. Ma al contempo, e questo l’ho vissuto sulla mia pelle, non si possono dimenticare gli interventi sulle infrastrutture: parlo di erogazione dell’acqua, dell'energia elettrica, delle reti telefoniche, di ferrovie, di sanità. L’intervento cooperativo nei paesi europei poveri deve essere di altro tipo rispetto a quelli in Africa e in Asia. N on si tratta infatti di intervenire sulla povertà estrema, ma sul miglioramento generale degli standard di vita, sulla stimolazione dell’economia, sulla depressione culturale

per mancanza di impulsi. Se in una città di media grandezza si apre un centro internet di buon livello, e poi per 1 6 / 1 8 ore al giorno non viene erogata corrente elettrica, l’intervento risulta inutile, anzi frustrante per chi lo riceve. E non dimentichiamo che i modelli di vita ai quali paesi come l’Albania aspirano, modelli orientati soprattutto alla società dei consumi, sono molto vicini geograficamente. Bastano due ore sul mare e le 1 6 / 18 ore di non energia quotidiane spariscono. Interventi sulle infrastrutture migliorano la qualità della vita della comunità coinvolta, la rendono accettabile, stimolano la popolazione allo sviluppo di attività proprie, con effetti benefici sui livelli di autostima. Ecco: un modello di cooperazione che dimentica questo aspetto è a parer mio destinato a promuovere sì un periodo limitato di benessere, ma poco incisivo.

Höjlcclmcr Ci sono molti modelli e questo è positivo. Peraltro non possiamo fare in modo diverso perché ognuno di noi agisce sulla base del proprio contesto personale, sociale e culturale. Queste differenze sono molto importanti quando danno differenti possibilità, prospettive ecc. al nostro comune partner di Scutari. Variatio delectat: essi imparano dalla varietà, ovvero dal confronto fra i diversi modelli.

Chiavegatti Secondo me, da un punto di vista operativo, i modelli sono tanti quanti le cooperazioni o viceversa, ché tanto un senso univoco non esiste per nessuno dei due sostantivi.Di certo si assiste a una modularità nella ripetizione degli errori e questa viene in genere, dopo un certo tempo, utilizzata come modello che noti si deve utilizzare. Esempio: l’attuale ossessione per le concertazioni, i Tavoli Tematici ecc., viene da vent’anni di cocciuta sordità alle azioni dei vicini (ad esempio, il famoso

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it

Isa Buletini,eroe dell'indipendenzaalbanese (Scutari).

ospedale rifatto tre volte in sei mesi da cinque attori diversi); ecco che allora si scopre un modello in negativo, si deve evitare la sovrapposizione (giusto), e si risponde con un meccanismo adeguato. Ma adeguato a quella circostanza e solo a quella. Ovvero si scopre uno sbaglio così reiterato che in altre circostanze o ambienti verrebbe considerato ben oltre i limiti della demenza,lo si categorizza (modello), non lo si fa più e si attua il suo opposto dialettico. Oggigiorno, alle parole “tavolo di lavoro” si odono alti lai e digrignar di denti.Lunghe ore passate a sentire ciò che non si vuole, evidentemente, ascoltare; ognuno ha la sua agenda, i suoi finanziatori, i suoi scopi e finalità, i suoi metodi e i suoi tempi, le sue controparti e le sue alleanze. Quando va bene, si evita l’ospedale di cui sopra.Se la parola cooperazione avesse un senso condiviso, fosse perciò forte di significato, basato su, non dico tanto, due o tre imprescindibili principi, i modelli che ne discenderebbero sarebbero necessariamente

vincolanti e, una volta dichiarate priorità, vocazioni, presenza sul territorio, compatibilità, fondi e quant’altro, basterebbe una lettera al mese spedita fra le varie cooperazioni per creare modelli compartecipati. Ogni due mesi.

Quale significato viene attribuito alla presenza italiana? Cosa c ’è nella storia albanese che dà (o non dà) riconoscibilità all’elemento italiano?Chiavegatti Dolce Italia, amate sponde, pur vi torno a riveder... chissà se un giovane del profondo Nord albanese, al terzo tentativo di rientro clandestino via gommone, nel riveder le rive pugliesi non sia mai stato mosso a una qualche inconsapevole parafrasi del Monti. L’Italia è per loro, lo si voglia ammettere o meno, il Mondo. A settantasette miglia marine che moltiplicate dalla fantasia, dal desiderio e dall’inaccessibilità diventano settecentomila, c’è la Porta. N on più quella Sublime, avvertita come retaggio pesante e, ancora oggi, considerato quasi estraneo

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Il fuoco di Prometeo?

AfàlHUi*a"Ï8 o accidentale. Quella porta che per mezzo

millennio ha orientato gli Schipetari verso un Oriente poi ripudiato, non più riconosciuto nei gesti quotidiani, rinnegato nel sentire, nel pensare, persino nel pregare. Una porta in un mondo dalle mille porte, dai vicinati concepiti come imposti e dolorosi. Perché l’emigrazione verso la Grecia, per non dire la ex-Yugoslavia (gli Albanesi possono entrare in Montenegro, Kossovo e Macedonia senza visto), è sentita più come soluzione di ripiego e non già soddisfacente risposta a un desiderio di Mondo, ancorché di lavoro? Per il passato comune, per la balcanicità comune, per un troppo riconoscersi in qualcosa che si vuole dimenticare. E cco l’Italia e le sue mille luci, la R A I e le scatolette di cibo per gatti al coniglio; è lì, vicina, diversa, molto diversa, una vera scoperta, una Porta, appunto, la Soglia del Desiderio. Il Paese dei Balocchi, dopo la pancia della balena (e Pinocchio era stato graziato da un percorso inverso). Il Cataio dopo un milione di chilometri. Le stelle all’ipogeo infernale. Il Walhalla! La presenza italiana qui, dunque? Ebbene, se ricordate le espressioni dei nostri padri di fronte ai carri armati americani che sfilavano nei viali nel ‘45, le aspettative di rinascita intraviste nella faccia di un qualche contadino della Virginia, la ferrea volontà nel volere, dovere credere nell’esistenza di mondi di latte e miele e le trasponete nelle speranze di un popolo deprivato come quello albanese, vedrete come un solo carabiniere che passeggia per le vie di Tirana venga sentito, più che visto, come prova vivente dell’esistenza di un altrove, oggi, appassionatamente cercato. Le evidenze storiche non sono di mia pertinenza né posso vantare una qualsiasi competenza per poterle affrontare. Da profano, e solo in questa veste, posso forse osservare che la riconoscibilità italiana sia più permeante le nostre preoccupazioni che i quotidiani desideri albanesi.

Littamè La presenza italiana è forte, visibile. É in genere riconducibile ai diversi periodi in cui la stessa si è sviluppata e concretizzata. Se negli anni Venti è stata la volta della costruzione di ponti, strade ed edifici amministrativi (tuttora presenti anche se bisognosi di restauri), dopo la caduta del regime, soprattutto a partire dal 1997, gli interventi sono andati verso il miglioramento del tessuto sociale, delle strutture sanitarie e della formazione professionale. La maggior parte della presenza italiana è, soprattutto in alcune zone, di tipo religioso. La sensazione che ho avuto è di un grande lavoro, di valide capacità personali, che in parte ovviano alla mancanza di preparazione interculturale, ma di azioni frammentate, non coordinate da un livello alto. La presenza italiana, quando non è religiosa (in quel caso spesso è Caritas), è caratterizzata da molte agenzie di media dimensione, diversamente da quella di altri paesi, soprattutto europei, che invece vede l’intervento di grandi agenzie, addirittura delle cosiddette multinazionali della cooperazione (l’inglese Oxfam, lo spagnolo Movimento per la pace, ecc.).

La stessa domanda viene posta a Walter Höflechner. Naturalmente, questa volta, al posto deH’Italia c ’è l’Austria.Hößeclmcr Questa è una questione emozionale per entrambe le parti: per gli Albanesi la presenza austriaca è connessao è il simbolo dei tempi precedenti che oggi sono considerati migliori, molto più fortunati e ricchi; per gli Austriaci il sentimento da parte dei partner albanesi mostra la profondità storica di questa antica connessione ed è l’eredità della presenza austriaca dopo così tanti anni. Questo reciproco sentimento è molto forte. Infatti penso che in certo senso la presenza austriaca in Albania sia anche un simbolo, un segno di speranza per un futuro migliore, che non sia di isolamento ma preveda la presenza

di molti partner. Al di là del mero aiuto materiale la nostra presenza è in qualche modo un sostegno morale. Questo non c ’entra con l’effettiva importanza dell’Austria nella storia albanese.Ciò che conta oggi è l’attuale considerazione dell’importanza che l’Austria ha avuto nel passato.

Esistono media di carattere culturale che possano permettere una comunicazione formalmente paritaria?Cambi La comunicazione paritaria credo vada intesa come collaborazione stretta e interattiva. Una tale comunicazione reclama la presenza di “occasioni” d’incontro tra le due culture. Più che i media, è la scuola - per la sua diffusione in senso spaziale e temporale e per la sua apertura a tutta la popolazione - che può e deve svolgere tale compito. E può farlo se sostenuta da un rapporto sinergico tra la scuola e gli istituti di ricerca dei paesi collaborant! al progetto di sviluppo. Certo, anche l’informazione può far molto (la stampa soprattutto, meno la televisione, credo), ma non può sostituire l’azione educativa, può, invece, accompagnarla e sostenerla. Anche, poi, le associazioni- di vario tipo e a vario titolo - possono collaborare a questo incontro paritetico, sì, ma interattivo di culture e che vede le culture-del-Mediterraneo assumere un ruolo più trainante sia pure senza alcuna eco di colonizzazione. Anzi ogni incontro di culture o comunicazione paritaria esclude ogni logica di colonizzazione e impone solo quella della collaborazione: della crescita insieme, dell’orientamento non passivo allo sviluppo, della stessa assimilazione/rielaborazione del Moderno (ovvero dello “spirito del M oderno”).

Hoflccluicr Sì, possono essere individuati molti media: la consueta comunicazione umana nel rispetto e nella tolleranza come fondamento per ogni tipo di cooperazione.

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Vecchia ferroviaTirana-Tuz(Montenegro).

I momenti che più mi hanno impressionato 17

nei dieci anni di cooperazione sono stati quando le persone nel corso della loroattività hanno cominciato a farmi domande molto semplici ma molto importanti, il che testimonia l’inizio di una effettiva interazione.II fatto che il partner cessi di avere paura di essere considerato un ignorante significa che si è instaurata una confidenza di basee allo stesso tempo che c’è la volontà di andare al fondo dei problemi al di là del prestigio personale. In questo, credo, è da riconoscere un alto livello di intermediazione culturale.

Chiavegatti Partendo dalla considerazione che una comunicazione formalmente paritaria non esiste neppure fra gli Albanesi, qualora sia assodato che ne esista una fra gli Italiani, o i Tedeschi, la risposta si potrebbe sbrigare con un piatto “no”. Eppure spostando i termini e tenendo ben presente la disgregazione del patto sociale in terra d’Albania, non sarebbe del tutto ozioso domandarsi se potrà mai esistere un meccanismo di supporto ai differenti e possibili media per ripristinare un livello accettabile di comunicazione sociale e culturale. Si tratterebbe forse di identificare i primi segni di una volontà di rigenerazione del tessuto sociale, e ve ne sono, e di aiutarli nel loro sviluppo e nel loro esprimersi.In modo delicato e quasi impersonale, come si farebbe con un bonsai. Banalmente esemplificando, la trasmissione Fiks Fare (copia albanese di Striscia la notizia), e il movimento di resistenza e denuncia civile Miaft! (“Basta!”), hanno trovato un metodo e un linguaggio di rottura che funge da valvola di sfogo e di riflessione sia per il cittadino di Tirana che per il contadino di Tropoje.U n territorio comune e di riconoscimento reciproco, al di fuori delle varie satrapie e degli scambi di potere, legale o meno, quest’ultimo, grande o di infimo livello.E ciò potrebbe, e dovrebbe, avvenire anche

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Il fuoco di Prometeo?

A*8MUS«a18 fuori dell’ambito dei media di massa,

alla ricerca di strumenti per accordare un sentire comune, per esprimerlo e per regolarne lo scambio. Media dunque, di ogni genere, come strumento di Rilindja, la rinascita albanese, dopo la disgregazione del grande fratello Hoxha, produttore di media indiscutibili, e dopo la liquefazione del periodo successivo, negli anni Novanta, produttore di desideri ma non di mezzi (media), per soddisfarli.

Lutarne È la circolazione gratuita di idee e di informazione che per me garantisce reale parità culturale.

Hotel Rozafa, a Scutari.

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Ogni terra è una frontieraLa percezione dello spazio adriatico nell'antichità

Carlo Marcaccini

greco-romana

Da! mare alla terra...Agli albori della colonizzazione greca, quando i navigatori milesi, corinzi, calcidesi, focei, percorrendo rotte già antiche, si avventurarono nel M editerraneo per dare vita a nuove comunità, si aprì ai loro occhi l’unica grande frontiera che divideva il m ondo delle poleis dal resto dell’ecum ene, la linea di costa che sempre correva lunga e interminabile, alternando spiagge di sabbia, alte scogliere, insenature profonde, prom ontori, foci di fiumi che s’insinuavano nell’interno, e nell’interno, in lontananza, apparivano a volte montagne velate di nebbia, lunghe e inaccessibili barriere che si opponevano agli sguardi zelanti degli esploratori, celando loro storie mai narrate. Talvolta i naviganti penetravano nell’entroterra seguendo il corso dei fiumi, spinti dal desiderio di guadagno ma anche dall’inevitabile tentazione alla conoscenza, e accadeva allora, attraversati laghi e paludi, di approdare in grandi empori e barattare olio, vino e il raffinato vasellame degli artigiani greci con metalli, legname, grano, di cui la madrepatria era così povera e le terre straniere così ricche. Le vie d’acqua dolce garantivano un com odo ritorno sulla costa che le navi, riprendendoil cam m ino, seguivano con diligenza, sapendo quanto labile fosse il confine fra il noto e l’ignoto e com e fosse rischioso uscire da una rotta sicura tracciata in mezzo a due abissi, quello del mare e quello della terra.Al loro arrivo in patria i navigatori narravano le esperienze di cui avevano fatto tesoro, mem orizzando i tempi,i luoghi, le città e i popoli del lungo percorso costiero II prodotto delle innumerevoli storie fiorite dal lento cam m ino della diaspora mediterranea dei Greci è il periplo, il dettagliato racconto della navigazione dei portolani.1 I racconti

originali sono stati dissolti dal tempo, che però ha concesso almeno che fosse tramandato il m odo di narrare, sobrio, severo, fatto di cose, di luoghi, di misure, di tempi. Sono mere impronte di fossili, ma eco delle prime esplorazioni, testimoni di una nuova coscienza geografica, da cui emerge la percezione della terraferma com e prima frontiera. La novità è nella prospettiva: senza la navigazione lungo la costa, la linea di terra che multiforme si snoda sotto gli occhi del marinaio non avrebbe mai assunto tale connotazione. C os’è dunque frontiera?N on possiamo sottrarci a un tentativo di definizione, dal m om ento che indaghiamo un periodo di scoperte, che è in sé fondante di nuove categorie. La frontiera non è certo un confine, non una linea più o m eno immaginaria che divide due o più mondi, ma è spazio, inevitabilmente condiviso e conteso fra due o più mondi, lo spazio che perm ette la conoscenza,10 spazio di un percorso e di uno sguardo gettato dal navigante verso terra.La frontiera non è un limite, non è limes, ma è invece una soglia, limen, che mette in com unicazione due o più mondi.

... dalla terra al mareNella prospettiva dei portolani greci ogni terra è una frontiera, poiché la loro visione si limita alla costa. E una visione appiattita che rispecchia le modalità di espansione pulviscolare tipica dei Greci, priva di una reale appropriazione dello spazio: si segnalano i principali punti di riferimento lungo la costa, si individuano le più importanti località e gli approdi necessari alla navigazione di cabotaggio, si misura11 percorso in giorni di viaggio,da un punto all’altro. Com e il tempo, anche lo spazio è relativo, e la visione appiattita della terraferma si ripercuote specularmente sul mare di cui ancora non si concepisce

19

1 Peretti 1979:13-54.

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Ancona

trindisi

Corcira

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Adriatico in età greco-romana.

Dal castello di Scutari: il Drin e il Kiri confluiscono nella Buna che corre verso il mare.

né il controllo né il dominio.2 Il problema dell’interpretazione e dell’organizzazione dello spazio marittim o è sotteso al tema della frontiera in quanto problema di conoscenza. La domanda è: quando anche il mare è entrato a far parte dell’ampia banda di oscillazione cognitiva che com prende lo spazio della frontiera? C on quali modalità e attraverso quali processi storici la terra ha restituito lo stesso sguardo con il quale era stata dal mare guardata? Affrontiamo qui il caso specifico del mare Adriatico, cui tutti noi oggi non possiamo non riconoscere, dall’alto di una visione zenitale, la funzione di frontiera fra due mondi, fra due realtà, la nostra, occidentale, e la cosiddetta area balcanica. M a la carta geografica non basta per dare

un senso alle cose, essendo anch’essa rappresentazione virtuale, simbolica, com e insegnano gli stessi cartografi. Se questo mare è spazio di frontiera occorre definirlo nella sua evoluzione storica.

Il nome dell’AdriaticoPer tutta l’età arcaica e almeno fino al IV secolo a.C ., l’Adriatico non porta ancora il suo nom e: il nom e è Ionio, che per noi è il mare al di sotto dello stretto di Otranto, mentre Adriatico, secondo le indicazioni pressoché unanimi delle fonti, sembra designare soltanto la parte settentrionale del mare.3 M a non è ben chiaro dove finisca l’uno e cominci l’altro, né quando e perché abbia preso il sopravvento la denominazione moderna. Il periplo di Scilace, che secondo

2. Sul grande tema del controllo del mare è d ’obbligorimandare a Schmitt 1954 e 1974.

3. Per una presentazione sommaria delle fonti in proposito si veda Braccesi 1977: 65-66

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Ogni terra è una frontiera

22 alcuni ha un nucleo originale di VI secolo a .C .4, ma che presenta numerose interpolazioni tarde, oscilla fra la vecchia e la nuova concezione. Così recita il portolano: “l’im bocco del golfo ionico va dai monti Cerauni (in Albania meridionale) fino al promontorio della Iapigia (la Puglia). Dai Cerauni alla città di H ydruntum (Otranto) in Iapigia vi è un tragitto di circa cinquecento stadi, che è l’im boccatura del golfo: le regioni all’interno sono Ionio. Vi sono molti porti in Adriatico: è lo stesso dire Adriatico e Ionio”.5 C om e si vede, il passo è contraddittorio, segno evidente della sovrapposizione di più mani nel corso del tempo, ma risulta evidente che in una visione più arcaica la parte al di sopra di Otranto era ancora Ionio e che in seguito a questo nom e si è sovrapposto e poi sostituito il nom e di Adriatico.6 E possibile che il trascolorare di un nom e nell’altro, inequivocabile nel risultato finale ma certo non percepibile in ogni sua fase a causa dell’incompletezza e dell’ambiguità delle fonti, sia andato di pari passo con l’avanzata greca lungo le coste adriatiche, quasi che la denominazione “ Ionio” rappresenti una prima fase di conoscenza, legata a un approccio iniziale e dunque a una visione in certo senso ancora appiattita del mare, mentre quella di “A driatico” una seconda fase di maggior consapevolezza che rispecchia una colonizzazione più capillare e, di conseguenza, una visione in profondità. Siamo confortati in queste deduzioni dalla tradizione relativa alla fondazione della città di Adria7, che si fonde con la mitografia degli stessi nomi Ionio e Adriatico, attestando così che non si può prescindere dalla parte settentrionale del mare, cioè dalla sua piena raggiungibilità

4. Pereto 1979.5. C C M I, p a r 27.6. Sul passo si veda Peretti 1979: 274.7. Fonti in BT C G I, III s.v. Adria. Buona discussione delle fona in Anello 1999:133-135.8. La questione è controversa, si veda in proposito Braccesi

e misurabilità, per dargli il nome e dibattere su di esso. Adria, già esistente in età arcaica, presumibilmente fu oggetto di una rifondazione ad opera di Dionisio, tiranno di Siracusa, nel IV secolo a .C .8 Secondo le fonti la città sorge sulle rive di un fiume om onim o, dal quale deriverebbe il nom e Adriatico. Ecateo, geografo milesio del VI secolo a .C ., sostiene che Adria “è una città e presso di essa c ’è il golfo adriatico e un fiume om onim o” .9 Teopompo, vissuto in pieno IV secolo a.C ., aggiunge altri particolari: “dei due nomi il prim o (Ionio) deriva da un uom o che regnava sulla regione, nato a Issa; il secondo (Adriatico) dal fiume Adria” .10 Teopompo non sa - o sembra non sapere - della rifondazione siracusana11, ma c ’è una novità rispetto a Ecateo: la contrapposizione tra i due nomi (il vecchio e il nuovo, secondo il nostro punto di vista), segno evidente di una ambiguità che forse nel VI secolo a.C . non era ancora avvertita. Infatti è di nuovo Teopompo che sembra sentire l’esigenza di segnare un confine tra un mare e l’altro, individuando nella posizione degli U m bri, lungo la penisola italica, il discrimine fra Ionio e Adriatico.12 B enché gli elementi a nostra disposizione siano scarsi, sembra ragionevole ipotizzare che il processo di trascolorazione nominale sia stato innescato dall’arrivo dei Siracusani in Adriatico durante il IV secolo a.C .N é credo sia stato privo di conseguenze il fatto che fossero stati individuati e occupati nuovi punti di riferim ento sulla costa occidentale, a cui sembra legata proprio la definizione m oderna di Adriatico con l’aggancio, non solo etimologico, prima ad Adria, poi agli U m bri, presso i quali peraltro è situata

1977: 211-219.9. FCrHist 1 F 9010. FCrHist 115 F 129; cf. F 128c.11. M arcotte 2000:62.12. Presso Pseudo Scimno 366-369; FCrHist 115 F 130.13. Scilace 16 in G G A ÍI, 24; Strabene, GeograßaV 4 ,2. Sulla

la colonia siracusana di A ncona .13 U na smentita potrebbe giungere dal periplo adriatico degli Argonauti nell’opera di Apollonio R odio , dove il nostro mare è chiamato con molti nomi, ma mai Adriatico: una volta è mare Trinacrio (IV 2 92), per ben tre volte è mare Ctonio (IV 3 2 7 ,5 0 9 ,5 4 8 ) , una volta è mare Ceraunio (IV 983) e tre volte è Ionio (IV 308 , 6 32 , 9 8 2 ) .14 Affogati nel marasma narrativo delle Argonautiche, strano miscuglio di epica, lirica, tragedia, eziologia, erudizione varia - digeribile solo ai più accaniti filologi - affiorano frustuli della tradizione geografica coeva, cioè del III secolo a.C ., che attestano com e molte inesattezze ancora affliggessero le ricostruzioni di quell’area d’Europa .15 E tuttavia può non essere un caso il fatto che la nave Argo si muova soltanto lungo la costa orientale dell’Adriatico, privando la costa occidentale di ogni riferim ento geografico e mitico, se escludiamo la descrizione del viaggio attraverso l'Eridano (il Po), che perm ette a Giasone e compagni di giungere nel T irreno (IV 592 ss.). Benché la variante del viaggio in Adriatico sia un’innovazione assoluta nella saga degli Argonauti, che mai prima d ’allora erano passati di lì, il periplo di Apollonio sembra attardato su posizioni superate, limitando lo sfoggio erudito all’onomastica tradizionale legata alla conoscenza e a un parziale controllo delle sole coste illiriche.D ’altra parte questo limite di conoscenza corrisponde a una difficoltà di fatto, ben registrata dalle fonti, ovvero lo scarso num ero di approdi fornito dalle coste italiche. E esemplare un passo di Strabone che illustra in m odo ineccepibile le diverse

fondazione di Ancona si veda Braccesi 1977:220-226.14. Per un com mento erudito a questi passi si veda l’esauriente Livrea 1973.15. Ad esempio, si pensava che un ramo del Danubio sfociasse in Adriatico (Argonautiche IV 282 ss.). Per questi e altri errori si veda Strabone, GeograßaVII 5, 9.

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Ogni terra è una frontiera

Particolari delle rovine di Lisso, presso Le2ha.

caratteristiche di percorribilità delle due coste: “Tutto il periplo delTIlliria si avvale di ottimi scali costieri sia per la continuità del litorale sia per le isole a ridosso della costa, al contrario del litorale opposto, quello italico, che è privo di porti naturali”.16 Si tratta degli importuosa Italiae litora di cui parla Livio, in un brano non m eno noto a chi si occupa di questioni adriatiche.17Il passaggio dalla denominazione di Ionio a quella attuale si può dire com pleto solo in età romana, allorché l’Italia tutta è res publica Romanorum e le coste dell’Adriatico, occidentali e orientali, non avevano più segreti. Significativo è ancora un passo di Strabone che sente la precisa esigenza di distinguere Ionio e Adriatico, nel tentativo di fare chiarezza rispetto alla tradizione geografica precedente: “D opo Apollonia si trovano . . . i monti Cerauni, che segnano l’inizio dell’im bocco del golfo ionico e dell’Adriatico. L’entrata è in com une a entrambi, ma lo Ionio si differenzia poiché questo è il nom e della prima parte del mare, mentre l’Adriatico è il nom e del mare interno fino in fondo, ma ora anche di tutto quanto il m are” .18 Strabone pare consapevole dell’evoluzione che ha portato il nom e Adriatico a prevalere per gradi nel corso del tempo fino alla sua epoca. Per la denominazione definitiva non poteva bastare la diffusione di carattere occasionale e superficiale dei Greci sulla costa orientale del mare, ma era indispensabile anche la conoscenza dell’altro litorale o l’acquisizione, quantomeno, di una prospettiva occidentale, dato che anche per i R om an i le coste italiche rimanevano importuose. In tal senso l’arrivo di R o m a è rivoluzionario e testimonia com e l’Adriatico assuma una precisa identità nel m om ento in cui

16. Strabone, GeograßaVII 5 ,10. Ciò non significa che le coste occidentali non fossero affatto frequentate: si veda Luni 1999.17. Livio, Storia ài Roma X 2 ,4 .18. Strabone, GeograßaVII 5, 8-9.

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T i

Altri particolari l’O ccidente (non più solo greco) ritornadelle rovine di (.isso. „ .

verso Oriente.Prim a l’Adriatico era un semplice golfo, tangenziale rispetto agli itinerari greci verso Ponente, ma quando la polarità si inverte esso acquista tutt’altro status, diventando una frontiera d’importantissimo valore strategico in quanto cerniera fra penisola italica e Balcani. Prima di R o m a non vi fu tale consapevolezza, né, di conseguenza, la volontà di controllare l’Adriatico. L’unica precedente esperienza degna di essere presa in considerazione è la politica adriatica di Dionisio I, tiranno di Siracusa, che è stata interpretata, soprattutto dalla storiografia dell’O ttocento e del prim o N ovecento, com e espressione di un progetto imperialista19, ma che appare

in linea con la condotta di una qualsiasi polis colonizzatrice.

Dionisio di Siracusa c il suo “impero" adriatico Dionisio di Siracusa fu senz’altro una figura eccezionale e uno dei personaggi più significativi del suo tempo. Salito al potere nel 4 0 5 a.C . portò la sua città a un livello di espansione mai raggiunto prima, tanto che alla sua m orte, avvenuta nel 367 a .C ., poté lasciare nelle mani del figlio “la più vasta signoria d’Europa”20, onorevole definizione che poco più tardi sarà tributata al regno di Filippo II, il m onarca m acedone conquistatore della Grecia. Dionisio riuscì a scacciare quasi del tutto i Cartaginesi dalla Sicilia e a sottom ettere l’O ccidente greco,

19. Anello 1999.117-118. 20. Diodoro, Biblioteca storica X X 78, 3.

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diventando così il primo dinasta ellenico in possesso di un vero e proprio stato territoriale, in un periodo nel quale le poleis ancora si limitavano a difendere la loro autonomia o a estendere la loro egemonia attraverso lo strumento delle confederazioni militari. Secondo gli studiosi nelle mire espansionistiche del tiranno sarebbe stato anche l’Adriatico sulle cui coste Siracusa fondò alcune colonie, com e Issa21, sulla sponda orientale, Ancona e Adria, su quella occidentale.A rafforzare l’idea di un “impero” adriatico si cita di solito un passo di Diodoro Siculo, storico greco vissuto nella seconda metà del I secolo a.C ., che, senza nominare tali località, pare attribuire a un’altra colonia, Lisso, una funzione militare e strategica, rafforzando così la convinzione che Dionisio non solo avesse il preciso scopo di controllare l’Adriatico, m a che, sia pur per breve tempo, vi fosse addirittura riuscito. D iodoro dimostra non solo di avere ereditato modalità narrative tipiche della storiografia militare precedente, ma anche di subire l’influsso del modello di conquista romano. C ito il passo in questione:“Dionisio . . . decise di fondare città in Adriatico. Lo fece nel tentativo di appropriarsi del cosiddetto stretto ionico, per rendere sicura la navigazione verso l’Epiro, e di avere città proprie per poter offrire un approdo alle navi. Progettava infatti di sbarcare all’improvviso con grandi forze nelle regioni dell’Epiro e di saccheggiare il santuario di Delfi, pieno di molte ricchezze. Per questo fece un’alleanza con gli Illiri attraverso Alceta il Molosso che era in esilio e viveva a Siracusa. Appena gli Illiri furono in guerra, inviò loro in aiuto duemila soldati e cinquecento armature greche. Gli Illiri diedero

le armature ai migliori dei loro soldati, e mischiarono i soldati di Dionisio ai loro . . . N el frattempo i Pari sulla base di un oracolo inviarono una colonia in Adriatico e vi fondarono una città sull’isola di nom e Faro, con l’aiuto del tiranno Dionisio. Egli infatti avendo inviato una colonia in Adriatico non molti anni prima aveva fondato una città chiamata Lisso. Partendo da qui...”.22 Il passo narra gli avvenimenti dell’anno 3 8 5 -3 8 4 a.C . durante il quale Dionisio pone le basi per un intervento in Epiro, preludio a una incursione in Grecia. Per assicurarsi una tranquilla traversata dello stretto ionico il tiranno avrebbe deciso di fondare colonie in m odo che le sue navi avessero un approdo sicuro; per10 stesso motivo si allea con gli Illiri, suoi dirimpettai, perché riportino l’esule Alceta sul trono dell’Epiro. In tale contestodi eventi D iodoro colloca anche la fondazione di Faro23 da parte dei Pari e degli stessi Siracusani, che evidentemente è da porsi in stretta relazione con un precedente stanziamento voluto da Dionisio, Lisso appunto. Il brano è interrotto da una lacuna proprio sul più bello, mancando così di fornire ulteriori indicazioni sulla penetrazione siracusana in Adriatico e sulla stessa Lisso, i cui resti peraltro sono tutt’oggi visibili presso l’odierna Lezha, lungo il corso del fiume D rin, a poca distanza dalla foce.La scarsità di notizie ha costituito11 pretesto per una piccola querelle che oppone studiosi italiani a studiosi balcanici i quali, volendo ridimensionare l’attività siracusana sulla costa dalmata, non vedono in Lisso una colonia greca, bensì una città illirica, situata in un’area di forte pregnanza ideologica, alla quale le fonti romane danno una marcata connotazione etnica

4indicandola com e sede degli Iilyri proprie dicti.24 A sostegno di questa tesi viene proposta una modifica del testo di Diodoro, con la sostituzione di Issa a Lisso, presupponendo che nella tradizione manoscritta sia intervenuta una confusione fra i due nomi. La stessa modifica viene suggerita, e da alcuni editori accolta25, anche in un altro brano diodoreo, in cui lo storico narra l’aiuto portato dai Siracusani ai coloni di Faro, che nell’anno successivo alla fondazione, il 3 8 4 -3 8 3 a.C ., furono attaccati da navi illiriche provenienti dal continente: “ma il governatore posto da Dionisio a Lisso (o a Issa) con numerose triremi navigò contro le piccole imbarcazioni degli Illiri e, dopo averne affondate alcune e catturate altre, uccise più di cinquemila barbari e ne prese prigionieri circa duemila”.26 L’ipotesi non manca di ragionevolezza dal m omento che in entrambi i passi la menzione di Lisso segue sempre le vicende dell’isola di Faro, che si trovava proprio nei pressi di Issa. D a qui più facilmente i coloni siracusani sarebbero potuti intervenire nella vicina località di Faro, sia al m om ento della fondazione assieme ai Pari sia, l’anno successivo, contro gli Illiri. Si è opposto recisamente a tale versione dei fatti soprattutto Lorenzo Braccesi che rivendica la correttezza della menzione di Lisso in entrambi i passi di Diodoro, attribuendo a questa colonia un importantissimo ruolo strategico e militare per il controllo non solo dello stretto ionico, ma anche dell’intero mare Adriatico. Al di là di mere disquisizioni erudite e di prese di posizione spesso eccessive, la questione non è di poco conto, dal m om ento che presuppone una valutazione dell’effettiva volontà di dominio sul mare da parte di Dionisio

di Siracusa.

21 L'odierna Vis. Forse anch'essa una «fondazione, come diVial 1977. 1999:124-126.Adria, si veda Anello 1999: 132-133. 23. L’odierna Lesina, in croato Hvar. 25.Via] 197722. Diodoro, Biblioteca storica X V 13, 1-5. H o seguito il testo 24. Per la bibliografia si veda Braccesi 1977: 227-228; Anello 26. Diodoro, Biblioteca storica X V 14, 2.

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Butrinto, veduta del parco archeologico. Il battistero (IV see.).

Torniamo al passo di D iodoro citato per primo. Sembra di poter dedurre che il progetto di fondare colonie in Adriatico abbia lo scopo di favorire la traversata in m odo che Dionisio possa intervenire in Epiro e in Grecia. L’alleanza con gli Illiri avrebbe presumibilmente garantito la sicurezza della navigazione e dato l’opportunità di accedere da settentrione alla penisola ellenica. L’idea di “appropriarsi” (in greco idiopoieìsthaì) dello stretto ionico non credo possa essere intesa in senso egem onico o imperialista, ma com e legittima aspirazione ad avere “città proprie” (in greco póleis ¡días) quali punti di riferimento per le proprie navi. L’espressione “ stretto ionico” (in greco Iónios póros) è problematica: dato l’ampio contesto a cui D iodoro fa riferimento, sembrerebbe da interpretarsi in senso generico, com e potrebbe far pensare

la precisazione “ cosiddetto” , quasi un altro m odo di dire Adriatico. Tuttavia a indicare il mare nella sua interezza è già usato Adrías subito sopra, e dunque l’unica possibilità è che si tratti solo della parte meridionale dell’Adriatico e che vi sia un legame esclusivo con la progettata azione in Epiro, non con le altre iniziative siracusane che non riguardavano lo stretto di Otranto. N on penso infatti che Diodoro con la fondazione di Lisso abbia voluto attribuire al tiranno il fine di governare l’im bocco dell’A driatico né tantomeno di dominare l’intero mare, che poi è la stessa cosa. M a anche amm ettendo che la fonte avesse avuto questa intenzione, poteva Lisso, sulle coste settentrionali dell’odierna Albania, funzionare a tale scopo? Sostiene Braccesi che Lisso fu “dedotta al duplice fine strategico di controllare le vie d’accesso all’Adriatico

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e di costituire una testa di ponte per le operazioni contro l’Epiro” .27 La località poteva certo svolgere questa seconda funzione nella prospettiva di un intervento in Epiro, che peraltro viene affidato agli Illiri, pur coadiuvati da armi e truppe inviate da Dionisio. M a com e pensare che si potesse controllare l’accesso all’Adriatico da Lisso, collocata all’estremità opposta dell’Albania e nel punto più largo della traversata, prima che la costa orientale pieghi verso N ord-O vest?Se Dionisio avesse veramente avuto questa intenzione avrebbe dovuto mirare alla conquista di Epidamno, di Apollonia e soprattutto di Corcira, a sud dello stretto di O tranto e in una posizione cruciale per controllare non solo lo “stretto ionico” ma anche la rotta fra il Peloponneso e la Sicilia.28 C om e vedremo nel paragrafo successivo, sono Epidamno e Corcira che la regina illirica Teuta assedia nel 2 2 9 a.C . nel suo vano tentativo di egemonia adriatica29, è da Corcira che nello stesso anno i R om an i iniziano la campagna contro gli Illiri30, ed è sempre quest’isola che prima Filippo V di M acedonia (nel 2 1 5 a.C .) e poi i Cartaginesi (nel 2 0 9 a.C .) tentano di conquistare per sottrarre ai R om an i il controllo dell’A driatico .31 C he l’ingerenza di Dionisio di Siracusa nelle questioni dinastiche dell’Epiro avesse anche questo fine? La stessa Lisso, nell’ottica di un dominio m arittimo, avrebbe potuto rappresentare il punto di partenza per una espansione verso Sud, in direzione dello stretto (non verso Nord), com e forse accadde al tempo di Teuta costretta dai R om ani vincitori a non oltrepassare Lisso se non con un massimo di due navi e disarmate. Purtroppo le fonti tacciono su questo punto, anzi

27. Braccesi 1977:196.28. Si veda Senofonte, EllenicheV.I 2 ,4 ss.: gli Spartani nel 373a.C. chiedono aiuto a Dionisio di Siracusa nel tentativo, poifallito, di sottrarre Corcira agji Ateniesi Cf. Diodoro, Bibliotecastorica XV 46,1 ; 7.

hanno portato gli studiosi alla conclusione contraria. Sostiene ancora Braccesi che Corcira è un’area “non solo extra-adriatica, ma anche com pletam ente estranea alle mire espansionistiche di Dionigi il V ecchio”.32 C redo che questa affermazione rispecchi davvero la prospettiva del tiranno di Siracusa, il quale probabilmente non aveva ancora concepito, né certo realizzato, il progetto di controllare l’Adriatico.Forse dobbiamo limitarci ad amm ettere che Siracusa, pur rilanciando alla grande la colonizzazione in questo mare, non avesse altro intento che quello di creare una solida rete comm erciale, basata sulla percezione costiera tipica di tutte le poleis, senza alcuna velleità egem onica. N on che mancasse del tutto una visuale strategica del problema (né mancava alle altre poleis), che però, sotto questo punto di vista, emerge in maniera m olto chiara con l’occupazione di Issa, non di Lisso. L’isola, infatti, è un ottim o punto per vigilare sulla parte centrale della costa croata, ricca di insenature e arcipelaghi, e costituisce una base ideale non solo lungo la rotta litoranea orientale ma anche per la traversata verso il litorale opposto, verso Adria.33 La finalità rimane sempre la stessa: garantire alle navi un percorso autonom o e un approdo sicuro.

R om a c i pirati illirici: scontro fra terra c mare C on Dionisio non si può ancora parlare di controllo del mare Adriatico. Furono invece i R om ani a dare una soluzione, pur diluita nel tempo, al problema. La prima tappa del lungo cam m ino fu la vittoria contro gli Illiri nella cosiddetta prima guerra illirica (2 3 0 -2 2 9 a .C .). L’elemento saliente del conflitto sono gli attacchi

29. Polibio, Slone II 9 ,2 .30. Polibio, Storie II 11,2.31. Bandelli 1999: 186.32. Braccesi 1994: 121.33. Anello 1999:129-131).

scorsari fatti dai sudditi della regina Teuta ai danni non solo dei mercanti italici che incrociavano l’Adriatico, ma soprattutto delle località greche sulle quali la sovrana aveva chiare mire egem oniche. D opo aver sottomesso i popoli della costa dalmata, aver cinto d ’assedio Issa34 ed essersi impadronita di Fenice, la più ricca città dell’Epiro (in Albania meridionale)35,Teuta allestisce una flotta ancora più numerosa per attaccare e conquistare Epidamno e Corcira le quali chiamano in aiuto le due confederazioni greche più potenti dell’epoca, quella degli Etoli e quella degli Achei. Gli Illiri, tuttavia, riescono ad avere la meglio sulle navi achee, a conquistare Corcira e a dirigersi su Epidam no.36 N el frattempo era però intervenuta la rottura diplomatica con i R om ani i quali, secondo il racconto di Polibio, avevano mandato i loro legati presso Teuta con la richiesta di cessare gli attacchi corsari contro i mercanti italici. La versione raccontata da Appiano è diversa: sarebbero stati gli abitanti di Issa a richiedere l’intervento rom ano.37 C erto è che questo avvenne in seguito al rifiuto della regina di interrompere le scorribande piratesche. R accon ta Polibio che “Teuta ascoltò con piglio altero e sprezzante tutto il loro esposto; quando ebbero term inato la relazione, disse che avrebbe fatto di tutto per impedire che pubblicamente gli Illiri recassero ingiuria ai R om ani, ma che non era in potere dei re degli Illiri proibire che privatamente i loro sudditi si arricchissero esercitando la pirateria” . Rispose allora uno degli ambasciatori:“ O Teuta, è nobile abitudine perseguire pubblicamente gli oltraggi fatti in privato e difendere chi subisca ingiustizie: con l’aiuto degli dèi, tenterem o di costringerti

34. Polibio, Stone II 8 ,5 .35. Polibio, Storie II 5-6.36. Polibio, Storie II 9-10.37. Appiano, Illynca 7.

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a migliorare presto e radicalmente le norme dei re illiri verso i loro sudditi”.38 La promessa è mantenuta. I R om ani partono con duecento navi alla volta di Corcira, che liberano, per poi riunirsi presso Apollonia alle forze di terra, ben ventimila fanti e duemila cavalieri, che nel frattempo avevano attraversato lo stretto ionico partendo da Brindisi. Da lì comincia l’avanzata lungo la costa, via mare e via terra, per cacciare il nem ico dalle località occupate: i R om ani m ettono in fuga gli Illiri prima da Epidamno, poi da Issa, attaccando anche alcune città illiriche e riuscendo a chiudere Teuta nel fiordo di Cattaro, un’insenatura del litorale m ontenegrino così profonda da essere erroneamente ritenuta dagli antichi

la foce di un fiume e luogo adattissimo per una flotta in cerca di ricovero .39 Da lì la regina trattò la sua resa che pagò a caro prezzo: pagamento di un tributo, rinuncia alla maggior parte del regno, e la promessa di non navigare a Sud di Lisso con più di due navi, clausola che secondo Polibio stava a cuore soprattutto ai Greci40, cioè alle città poste all’im bocco dell’Adriatico, Epidamno, Apollonia, C orcira, che si sentivano m inacciate da una possibile recrudescenza della pirateria illirica, in grado di percorrere così bene le vie del mare.La pirateria fa parte delle dinamiche che portano prima alla percezione dello spazio marittimo e poi alle strategie per governarlo. Si è spesso discusso com e dato problemático

38. Polibio, Storie II 8 ,8-10. La traduzione qui riportata è 39. Polibio, Storie li I Lquella di Carla Schick. 40. Polibio, Síorif II 12,3.

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se la pirateria fosse endemica in Adriatico oppure se sia sorta con Teuta. La questione è superflua: la pirateria, essendo fenom eno di frontiera, emerge com e dato di un conflitto fra civiltà e mentalità divene. N el m om ento in cui R o m a interviene in Adriatico impone un’ottica prettamente statuale in base alla quale due stati possono giungere a un accordo se l’élite al potere mantiene un saldo controllo sul proprio territorio. Il rifiuto di Teuta di mettere fine alle scorribande piratesche in Adriatico con la scusa che di fatto non poteva controllare la condotta dei suoi sudditi fa scattare la legittima reazione di R o m a contro un nemico giuridicamente definibile com e pirata, in quanto fuori da qualsiasi ordinamento statuale. In questo consiste la legittimazione per una guerra, giusta in quanto legittimamente dichiarata, in contrasto con l’ambiguo comportamento di Teuta.41 M a ciò che qui importa è la valutazione strategica dei R om ani: essi avevano ben compreso che i pirati illirici, una vera e propria flotta corsara, potevano spostarsi con estrema facilità lungo la costa adriatica, da Issa a Corcira, e dominare, co m ’è avvenuto sia pur in un brevissimo lasso di tempo, l’Adriatico dall’Adriatico, cioè esercitando il controllo sul mare, e non dalla costa, com e fino a quel mom ento avevano cercato di fare tutti quanti. Insomma i pirati illirici scoprono il mare, e ne svelano tutta l’essenza strategica: sono infatti le schiume di mare, com e Cari Schmitt chiama i pirati e i balenieri che solcano gli oceani42, a scoprire la prospettiva marittima allorché si aprono nuove frontiere. M a l’inevitabile loro destino è l’estinzione, quando gli stati organizzano il dominio sulle acque43: nella fattispecie R o m a blinda l’A driatico assicurandosi il controllo capillare di tutto il perimetro costiero. La terra vince sul mare, Leviatano soccombe trafitto da B ehem ot.44

La conquista romanaIl dominio rom ano dell’Adriatico, com e anche del M editerraneo, è realizzato in una prospettiva, potrem m o dire, fluviale, ovvero terricola, attraverso la penetrazione nei territori che si affacciano sulle sue rive e la romanizzazione, o l’eliminazione, dei popoli che ne destabilizzavano la sponda orientale: prima la tribù illirica di Teuta (gli Ardiei), stanziata nell’area di Scutari, in Albania settentrionale, poi le tribù dell’Istria e della Dalmazia, costrette a recedere dalla costa, a ritirarsi nell’entroterra, in luoghi remoti e inaccessibili, e qui scomparire. Sono queste le amare considerazioni di Strabone, fiero sostenitore dell’espansione romana ma, com e molti intellettuali del tempo, consapevole degli esiti talvolta nefasti del confronto culturale fra singole realtà etniche, spesso isolate le une dalle altre, e una potenza organizzata politicamente e militarmente com e R o m a: “I R om ani respinsero gli Ardiei dal mare verso l’entroterra, poiché lo infestavano con la pirateria, e li costrinsero a coltivare la terra. Tuttavia la regione è rocciosa e povera e non è adatta alla coltivazione, cosicché alla fine, tranne pochi, scomparirono. Q uesto è accaduto anche agli altri popoli della zona. Infatti coloro che prima erano m olto potenti alla fine decaddero e scomparvero, dei Galati i B ooi e gli Scordisci, degli Illiri gli Autariati, gli Ardiei e i Dardani, dei Traci i Triballi, all’inizio subendo attacchi gli uni dagli altri, poi da parte dei M acedoni e dei R o m an i”.45 Il riferimento è non solo agli eventi della fine del III secolo a .C ., che costituirono il prim o approccio romano sulla costa orientale, ma anche alla successiva opera di conquista culminata in età augustea quando i R om an i entrarono in possesso

di tutto l’entroterra balcanico (Dalmazia e Pannonia). Fu questo uno degli obbiettivi principali di Ottaviano dopo aver finalmente riportato l’ordine in Italia con la definitiva sconfìtta in Sicilia di Sesto Pom peo (36 a.C.): la campagna di guerra nell’Illirico, che prelude a un vasto piano di consolidamento dei confini sul R en o (Germania) e sull’alto Danubio (Rezia e N orico ), impegnò il giovane triumviro in prima persona dal 35 al 33 a.C . Che l’area rivestisse un’importanza strategica di prim o livello non solo per la sicurezza dell’Italia ma anche per la stabilità dell’impero lo testimoniano i fatti occorsi solo pochi anni prima durante il conflitto fra Cesare e Pom peo e fra Antonio e l’esercito repubblicano dei cesaricidi. Lasciamo il com pito di illustrare tale costellazione di eventi nientem eno che a T h eod or M om m sen, il quale, più di tanti autori recenti, rimane, a distanza di più di un secolo, una lettura fondamentale per chi intenda avere un quadro dettagliato della grande strategia dell’impero romano. Il grande storico tedesco così m ette in stretta relazione la guerra dalmatica di Ottaviano con la pericolosa partigianeria repubblicana dimostrata dai popoli balcanici a sostegno prima di Pom peo e poi di B ru to: “Nella guerra tra Cesare e Pom peo i Dalmati indigeni avevano parteggiato per quest’ultimo tanto risolutamente, quanto i R om ani che vi si erano insediati, per Cesare. E anche dopo la disfatta di quello presso Farsalo e la cacciata della flotta pompeiana dalle acque illiriche, energica e avventurosa continuò la resistenza degli abitanti del paese . . .E , quando più tardi i repubblicani s’apprestavano nell’O riente alla lotta, l’esercito illirico si dette a Bruto, e i Dalmati rimasero per lungo tempo

41. Fuscagm, Marcaccini 2002.42. Schmitt 1954: 42-46.

43. Schmitt 1974: 97.44. Traggo questa suggestiva immagine di sapore biblico da

Schmitt 1954:18-19.45. Strabone, Geografia VII 5 ,6 .

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30 inoppugnati”.46 La campagna di Ottaviano si concluse con la sottomissione dei popoli dalmati e la fortificazione delle località costiere che furono elevate al rango di municipio, alla stregua di molte città italiche.47 Tuttavia la provincia dell’Illyricum rimase ancora per anni turbolenta e non del tutto doma, tanto che la resistenza al dominio romano culminò con un’insurrezione generale di Pannonia e Dalmazia che per tre anni (dal 6 al 9 d.C.) impegnò i R om an i su vari fronti, dalle valli della Sava, alle coste dalmate, al litorale albanese da dove, giungendo fino ad Apollonia, i ribelli avevano progettato addirittura di invadere l’Italia.48 N on vi riuscirono, m a la mossa dimostra com e fosse scontata la necessità di basi costiere in Albania meridionale per chi volesse intraprendere uno sbarco militare sulla sponda opposta, o per chi da questa sponda volesse impedirlo, proprio nel punto in cui l’Adriatico si fa angusto e si può agevolmente passare lo “stretto ionico” : da una visuale italica, era la stessa consapevolezza, ancora imperfetta e circoscritta, che secoli prima sorreggeva il progetto di Dionisio di Siracusa per invadere l’Epiro e la Grecia.D opo il fallimento della rivolta l’Illyricum fu pacificato e l’Adriatico assicurato in via definitiva al dominio dei R om ani.Lo stretto di O tranto e le fiorenti località greche della costa orientale, inglobate nella provincia m acedone, persero la centralità strategica che avevano assunto al m om ento della conquista e del suo consolidamento, e nel corso del tempo passarono il testimone dello sviluppo econom ico e politico alla superiore costa dalmata, che, faccia a faccia con l’Italia, ne era il naturale interlocutore e per questo era destinata a prosperare in parallelo. Inoltre il delicato settore compreso fra

Adriatico e Danubio diventò area cruciale per la sicurezza della penisola e fu caratterizzato, in m odo pressoché continuo e costante, da una considerevole presenza militare, anche dopo che Traiano, all’inizio del II secolo, riuscì a conquistare la Dacia, operazione che com unque consentí di sguarnire di truppe la Dalmazia. Oltre a una graduale urbanizzazione, il territo­rio conobbe un m iglioram ento delle vie di comunicazione, fra le quali ricordiam o in particolare la strada da Sirmio (sul Danubio) a Salona, l’odierna Spalato, che diventa una delle località più ricche della zona, già prima che Diocleziano vi trasferisse la sua residenza. A fronte della preminenza militare della Pannonia, a ridosso del limes danubiano, la costa dalmata continua ad avere una forte connotazione di frontiera culturale e politica che, com e in passato, si ripercuote su tutti i tentativi di riassetto e spartizione dell’impero. C i pare opportuno chiudere citando nuovamente M om m sen che, com e si è visto, dedica più di una pagina a quest’area d’Europa, avvertendone, in linea con il suo tempo (a quanto pare drammaticamente in sintonia col nostro), il ruolo cruciale negli equilibri fra O ccidente e O riente: “L’incivilimento e la romanizzazione della Dalmazia sono in generale una delle più caratteristiche e importanti manifestazioni dell’Impero. I confini della Dalmazia e della Macedonia sono nello stesso tempo il limite politico e linguistico dell’O ccidente e dell’O riente. Presso Skodra si toccano così i domini di Cesare e di M arco Antonio, com e quelli di R o m a e di Bisanzio dopo la spartizione dell'Impero nel IV secolo. Q ui confina la provincia latina della Dalmazia con la greca della M acedonia; qui, sta vigorosamente ambiziosa e superiore,

animata dal più potente spirito di propaganda, accanto alla maggiore la più giovane sorella”.49

AbbreviazioniB T C C I: Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, diretta da G. N enci e G.Vallet, P isa-Rom a 1984 ss.FGrHist: Die Fragmente der Griechischen Historiker, ed.F. Jacoby, Berlin 1923 ss.G GM: Geographi Graeci Minores, e codicibtis recognovit prolegomenis annotations indiabus instruxit C. Muller. M I, Parigi 1885-1861

Riferim enti bibliografici ANELLO 1999P. Anello, La colonizzazione siracusana in Adriatico, m Braccesi, Graciotti 1999 BANDELLI 1999G. Bandelli, Roma e l'Adriatico nel III secolo a.C., in Braccesi, Graciotti 1999BRA CCESI 1977L. Braccesi, Grcdtà adriatica, Bologna, Patron2 BRA CCESI 1994L. Braccesi, Grecità di frontiera; i percorsi occidentali della leggenda, Padova, EsedraBRA CCESI, G R A C IO T T I 1999L. Braccesi, S. Graciotti, La Dalmazia e l’altra sponda. Problemi di archaiologhfa adriatica, Firenze, L. S. Olschki FITZ 1991J. Fitz, Le province danubiane, in Storia di Roma, II. 2 , 1 principie il mondo, Torino, EinaudiFUSCAGNI, M A R C A C C IN I 2002S. Fuscagm, C. Marcaccini, Illiri, hostes communes omnium:l’immagine di una conquista, in Identità e prassi storicanel Mediterraneo greco, Milano, Edizioni EtLIVREA 1973E. Livrea, Apollonii RJiodii Argonauticon liber IV, Firenze,La Nuova Italia LU N I 1999M. Luni, Rapporti tra le coste dell’Adriatico in età classica ed i traffici con Grecia e Magna Grecia, in Braccesi, Graciotti 1999 M A R C O N E 1991A. Marcone, La frontiera del Danubio fra strategia e politica, in Sfona di Roma, II. 2, I principi e il mondo,Torino, Einaudi M A R C O T T E 2000D. Marcotte, Géographes grecs, I, Introduction generale. Ps. Scymnos: Circuit de la Terre, Paris, Les Belles Lettres M O M M SE N 1885Th. Mommsen, Le province romane, Beriino (trad. it. Firenze, Sansoni, 1991)P E R E T T I 1979A. Peretti. Il periplo di Salace: studio sul primo portolano del Mediterraneo, Pisa, Giardini S C H M IT T 1954C. Schmitt, Terra e mare, Stuttgart2 (trad. it. Milano, Adelphi. 2002)

S C H M IT T 1974C. Schmitt, Il nomos della terra, Berlino2 (trad. it. Milano, Adelphi, 1991)VIAL 1977C l.Vial, Diodore de Siale, Bibhoteque historique, livre XV, Paris, Les Belles Lettres

46. M ommsen 1885:14-15.47. M ommsen 1885:16.

48 M ommsen 1885:41-43.49. M ommsen 1885:222. Per i dettagli e bibliografia più

recente sulle province di Dalmazia e Pannonia si vedano Fitz 1991 e M arcone 1991.

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La difficile storia di un paeseDall'lllyricum al dramma del Kossovo

Bianca Vaiola Fra Oriente e Occidente Fin dall’antichità, l’Adriatico è uno dei luoghi cruciali dell’Europa. Così anche oggi questo bacino (accenno solo all’antico tema del mare che lega, non che divide), con i tanti popoli che si sono affacciati sulle sue rive, con l’estrema varietà delle condizioni etniche o geografiche, delle elaborazioni di civiltà e dei rapporti intrattenuti dai suoi abitanti con altri popoli, offre un punto di vista privilegiato per com prendere ciò che sta accadendo all’interno del nostro continente, e in particolare della sua metà centro-orientale. Per questo, parlare dell’Adriatico significa in realtà parlare più in generale dell’Europa mediterranea e balcanico-danubiana, e dei suoi rapporti con il resto del continente. L’Adriatico rappresenta uno dei luoghi più antichi di sintesi e di elaborazione della civiltà europea; basta pensare all’antichità, quando almeno sette imperatori romani - e alcuni tra i più grandi (ricordo qui Claudio il Gotico, Aureliano, D iocleziano, Massimiano, Galerio, Costantino, Giustiniano) - poterono provenire dalle province illiriche- ovvero dalla costa adriatica che va dalla Grecia alla Dalmazia - ; al processo di profonda civilizzazione e romanizzazione delle popolazioni legate a questo spazio geopolitico, avvenuto all’insegna dell’orifo romanus. In quel periodo di rigoglio, la penisola balcanica era divenuta un’area dotata di un’im portante rete urbana e attraversata dai com m erci, florida, civile, in cui le istituzioni romane erano penetrate in profondità. U na zona attraversata dalla Via Egnatia, il principale collegamento tra R o m a e la Grecia: una delle più famose fia le vie romane, lungo la quale passavano soldati, amministratori, mercanti con i loro prodotti, e anche artisti che si spostavano di città in città per eseguire le loro opere.

1. Sull’assetto romano dell’area compresa fra Adriaticoe Danubio cf. Syme 1971.

Lungo questi assi, R o m a stabilì colonie 3di cittadini romani, città fortificateo città-mercato che si trovarono all’originedi diverse fra le più importanti cittàbalcaniche: Adrianopoli (Edirne), Serdica(Sofia), Naissus (Nis), Singidunum(Belgrado), e così via.1E l’Illyricum, che conobbe un notevolesviluppo, divenne, a partire dall’Italia,la porta d’ingresso dei Balcani a partireda Dyrrachium (Durrës): proprio da lìpartiva appunto la Via Egnatia, la grandestrada della M acedonia, che passavanel cuore stesso dell’antico Arbanon,regione centrata intorno alle viedi passaggio essenziali conducenti alla pianacostiera delTIlliria. U na via che, attraversoEraclia (Bitola), conduceva a Tessalonica,rappresentando la penetrazione romana finnel cuore stesso della penisola. U na zona,insomma, che sin dai tempi più antichisi è trovata in una condizione idealeper poter sviluppare una capacitàd’intermediazione nelle sintesi fecondeche si venivano volta a volta attuando trail m ondo greco (poi ellenistico) e quelloromano, o quello giudaico - per non parlaredi realtà più lontane com e le grandi civiltàdell’Asia.2 E gli Albanesi erano stanziatinella valle dello Shkumbi: ecco, così,le strette relazioni intessute con il mondobizantino, tanto da fornirgli funzionarie generali. E si capisce perché Alessioe B oem ondo abbiano dato tantaimportanza a questo nodo strategicoche comandava l’accesso ai laghi di Ochride di Prespa. Dunque l’Albania era un paesedifficile, ma non inaccessibile, occupandodall’antichità una posizione che spiegalo statuto dei suoi abitanti rispettoa Bisanzio: abbastanza ritirati nelle loromontagne da conservare la loroindividualità, ma abbastanza viciniai grandi assi di civilizzazione, gli Albanesi

2. Sulla costa dalmata e albanese in età antica si veda Wilkes 1969 e 1992.

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La difficile storia di un paese

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32 delle origini hanno potuto impregnarsi lentamente degli apporti di civiltà più evolute, alle quali in seguito si sono gradualmente integrati, sviluppando un’espansione, che sembra avvenuta senza scontri eccessivi, verso il basso paese dove li si è trovati infine stanziati. A ben vedere, nella penisola balcanica si erano già sviluppate importanti civiltà, con antiche e profonde radici, quando buona parte di quel m ondo germ anico che più tardi avrebbe affermato con tanto vigore la sua importanza sul continente era ancora abitato da una serie di popolazioni barbare. In effetti, nel corso della loro vicenda, i centri propulsori della civiltà rivelano la tendenza a spostarsi periodicamente, a passarsi il testimone, assumendo a turno un ruolo di indirizzo e di guida.Se a partire dalla crisi dell’Impero Rom ano d’O ccidente il centro di gravitazione ha mostrato la tendenza a spostarsi a Est, su Bisanzio, mentre la penisola italica è travagliata da crisi, invasioni e saccheggi dei barbari, progressivamente nel corso del M edioevo, specie a partire dall’800 , con Carlo M agno e il Sacro R om an o Impero, si sono poste le premesse per quello che per secoli ha poi potuto essere definito l’Impero Rom ano-G erm anico, con un forte spostamento dell’asse in direzione N ord-O vest. L’area adriatica, così, ha teso a perdere rilievo in proporzione, anche se a lungo è stata ancora caratterizzata dalla importante presenza delle Repubbliche Marinare.

Verso nuove sintesiComunque, nonostante tante crisi, fratture, interruzioni di rapporti, e anche scontri spesso assai aspri, e dunque l’apparenza di clamorosi cambiamenti, spesso in realtà attraverso i secoli ha finito con il conservarsi, della storia e delle esperienze

trascorse, molto di più di quanto sembrasse ai contem poranei, colpiti prevalentemente dal m om ento distruttivo, dalle rivoluzioni e dai mutamenti istituzionali, dall’awicendarsi di sovrani, dinastie, delle stesse religioni.3 La notevole policentricità, e dunque la grande varietà e la ricchezza di tante realtà che nei loro periodi più alti furono sempre sincretiche, cioè capaci di elaborare interessanti sintesi culturali attraverso i rapporti intessuti con mondi vicini, ma ciascuna creando esperienze specifiche e riconoscibili, hanno potuto garantire sempre all’Europa un’evoluzione nella continuità rispettosa sia delle differenze, sia delle costanti, assicurandole una creatività e una molteplicità impensabili nei grandi imperi dispotici d’O riente .4 C on il gran travaglio succeduto al crollo dell’Impero R om an o, con l’affermarsi di Bisanzio, le Crociate, la comparsa dell’Islam, l’Adriatico, e più in generale i Balcani, com prendendo anche i popoli non marinari che a quel mare guardavano, considerandolo parte della loro sfera d’influenza, ha continuato a rivelarsi a più riprese un vero e proprio crogiuolo. C erto, com e prim a ricordavo, ha fornito materiale per le sintesi successive, ma anche l’occasione per lo scatenarsi di grandi conflitti, rappresentando un luogo privilegiato di scontro fra Est e Ovest, fra cattolicesimo e ortodossia, fra musulmani e cristiani. Spesso attraversato, o sfiorato, dal succedersi delle invasioni barbariche tra IV e X III secolo, con andamento Est-O vest (alle quali poi succederà il movimento delle Crociate, specularmente corrispondente nel suo andamento O vest-Est), esso ha costituito uno snodo cruciale nell’ambito delle più vaste trasformazioni che percorsero l’Europa mediterranea e continentale: invasioni che distrussero e scompaginarono, ma lasciarono

anche sedimenti spesso fecondi, innestarono elementi di civiltà e possibilità di creazione attraverso gli spostamenti di tanti popoli, anche solo provocando reazioni difensive che tendevano a creare unità fra gli aggrediti, favorendo la definizione di identità e la realizzazione di sintesi.5 D a tutto ciò ha tratto slancio il formarsi di nuove importanti realtà. C om e quelle sorte nella penisola italiana - a com inciare da quelle Repubbliche Marinare fra le quali brillava Venezia, regina prima di tutto sul “suo” mare: quella Repubblica di Venezia che tanti rapporti ha nei secoli intessuto con l’Albania, rappresentando una civiltà per eccellenza sincrética e di mediazione fra Est e Ovest. Oppure, si pensi alla particolare situazione che per secoli ha caratterizzato la Repubblica di Ragusa (Dubrovnik), che a lungo riuscì ad affermare la propria vitalità nei settori cui era tradizionalmente legata la sua prosperità in cam po m arittimo, comm erciale, finanziario. U na città per molti versi fortem ente influenzata da Venezia - com e ancor oggi si può constatare scorrendo con lo sguardo le sue splendide architetture - , ma altrettanto aperta ad altre esperienze e influenze che si affacciavano sull’Adriatico. U na realtà che ha finito nel X V secolo con l’entrare nell’orbita dell’Im pero ottom ano, m a che- com e i Principati Danubiani - , una volta entrata in condizioni di vassallaggio nei confronti della Sublime Porta, non si è trovata in condizioni di souverainété, cioè di dominio pieno, bensì in condizioni di suzerainété, cioè di semplice vassallaggio, che, pur com portando un tributo e il riconoscim ento della supremazia ottomana, le ha permesso di essere ancora a lungo per il resto indipendente, svolgendo un ruolo m olto im portante su quel mare. In fondo, questa situazione andava bene

3. Questa concezione è stata in sostanza ereditata dalla grande Momigliano 1954.storiografia greca di stampo prettamente politi, o militare: 4. L’idea di un'Europa Ubera rispetto alle grandi tirannie

orientali è già presente in Machiavelli: Chabod 1961:48-57. 5. Cf. Ferluga 1994:231-232.

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Scanderbeg, particolare del cenotafio di Lezha.

anche ai Turchi, i quali si trovavano di fronte 3

alla presenza veneziana suU’Adriatico, e avevano bisogno di una realtà da loro dipendente, com e utile testa di ponte per intrattenere rapporti - e non solamente dal punto di vista commerciale - con quella che pur definivano “l’Europa barbara e infedele” , in cui abitavano “tanti uomini malvagi, dagli occhi azzurri”.6 M entre sul continente si formava e si strutturava l’Impero R om an o-G erm anico, più a Est l’area balcanico-danubiana, situata fia le nuove realtà degli stati italiani, di Bisanzio, dell’Islam, dei Crociati - o degli Imperi latini d’Oriente - , premuta dall’afflusso di nuovi invasori, ha visto affermarsi e ben presto crollare, l’uno dopo l’altro, il regno Bulgaro del Khan K rum , del IX secolo, seguito dall’Impero bulgaro- valacco degli Asen, del X I I -X IV secolo; la Grande Croazia creata da Tomislav all’inizio del X secolo, che all’inizio del X II secolo si sarebbe unita tramite il sovrano all’Ungheria; il primo stato serbo di Zeta dell’X I secolo, estesosi poi fino all’Impero dei Serbi e dei Greci di Stefan Dusan del X IV secolo; il principato albanese emerso nel 1190 dalla crisi dell’autorità di Bisanzio, che si sarebbe mantenuto fino al X IV secolo, per rivivere successivamente l’aspirazione all’indipendenza nell’epopea gloriosa di Scanderbeg del X V secolo.O gnuno di questi Stati era com posto da un complesso intreccio di elementi romanizzati, illirici, greci, slavi, anche turanici (e andrebbe ricordato pure il ruolo svolto, soprattutto nella rete urbana, dall’elemento m inoritario degli Ebrei e dei Tedeschi). E tutte queste erano formazioni statali certo profondamente legate a un contesto geopolitico di terra; ma tendevano anche a proiettarsi verso il mare, cioè potevano anche essere

6. Su Ragusa cf. Krekic 1972. Ottima rassegna bibliografica in Naitana 1996.

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1

~ n

Ragusa (Dubrovnik), veduta.

considerate com e grandi mom enti di sintesi adriatica.7

A lbania: dalla diaspora all'integrazione Adriatica è stata da sempre la vocazione dell’Albania, una zona dove i clan tribali erano profondamente legati alle loro montagne, ma che si affacciava anche sul mare in un settore importante, che guardava da vicino la sponda italiana dell’Adriatico: anche per questa sua posizione quel territorio aveva goduto di una grande prosperità all’epoca romana. Questa situazione fu messa in crisi dall’avanzata slava, che tuttavia non riuscì ad assorbire l’originaria popolazione illirica, com e non vi riuscirono né le ripetute invasioni patite durante il M edioevo da parte di Normanni,Veneziani

e Bizantini, che arrivavano dal mare, né i periodi di dominazione istituita su quel territorio volta a volta da Bulgari, Serbi e Bizantini.8Piuttosto, anche a causa della crisi interna, e dei continui scontri fra i notabili locali e i capi clan, intesi a istituire il loro predominio su scala locale, nel corso del M edioevo si registrarono importanti ondate di emigrazione di Albanesi a Sud, sia per mare, sia via terra, dando il via a quel “nomadismo albanese” di cui si è spesso parlato in term ini impropri: verso Ragusa, la Puglia e Venezia, verso la Tessaglia, l’Attica, l’Acarnania, il Peloponneso e le isole. Emigrazioni che sottolinearono ulteriorm ente la vocazione marittima di una parte im portante della popolazione albanese: isole com e Idra, Psara

7. Sulla stona dei Balcani cf. Jelavich 1983; Castellan 1999. 8. Ducellier 1981 e 1987.

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Lezha, esterno del mausoleo di Scanderbeg.

e Spetsai divennero allora primariamente albanesi dal punto di vista etnico. A queste ondate si sarebbe in un secondo tempo aggiunto un ulteriore sradicamento per effetto dell’invasione ottomana, com e reazione di fuga in seguito all’oppressione sociale; essa, sommandosi agli effetti delle lotte tra greci e slavi, tra angioini ed epirotì, tra epiroti e nicei, avrebbe portato alla diffusione di Albanesi in tutti i Balcani.M a anche nelle loro terre di origine, com e nel resto della penisola balcanica, si facevano sentire i contrasti legati alle differenze di religione; e presto al fronte “caldo” e mutevole che opponeva ortodossia e cattolicesimo, e che attraversava anche il territorio albanese, si venne progressivamente sostituendo un altro confronto, che sposava in maniera ancor più evidente il contrasto di civiltà allo scontro religioso, portando in prim o piano il tema

dell’antemurale rispetto ai musulmani.La sovrapposizione dell’Islam a Bisanzio, con una Istanbul che nonostante tutto tanti elementi aveva ripreso dall’Impero d ’O riente sconfitto, porterà a Nord dei Balcani alla costituzione di una frontiera militare che ricalcava in buona parte quella religiosa precedente, che divideva fra loro popolazioni cristiane - cattolici e ortodossi - e che non a caso rappresenta oggi, nell’ex-Jugoslavia, uno dei territori dove più aspri si sono manifestati i conflitti. M a in fondo, nonostante gli scontri prolungati e sanguinosi che li contrapposero, sia gli Asburgo, sia gli stessi O ttom ani, in alcuni dei loro periodi di maggiore apertura - e dunque anche di floridezza e di ricchezza culturale - tentarono di operare m om enti di sintesi adriatica: si pensi alla politica perseguita dalla Sublime Porta che curava con attenzione i rapporti

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La difficile storia di un paese

con la Repubblica di Ragusa, lasciandole esenzioni fiscali e benefici comm erciali, perm ettendole di entrare in rapporti con potenze straniere e di stipulare con loro trattati; o per converso si pensi, spingendosi più innanzi nel tempo, alla politica perseguita dall’Impero Asburgico durante l’occupazione della Bosnia- Erzegovina, in un m om ento in cui la direttrice a Est era particolarm ente importante per la Duplice M onarchia, che volgeva la sua attenzione ai Balcani.E gli stessi Albanesi di religione cristiana- sia ortodossa che cattolica - che in fondo furono protagonisti dell’ultima e più fiera resistenza al turco all’epoca dell’epopea di Scanderbeg, e che sulle loro montagne la condussero ancora fino al secolo seguente, con il sostegno degli Stati italiani e del Papato, finirono in definitiva, a partire dalla fine del X V secolo, con il convertirsi in buona parte all’Islam. In fondo già si sentivano diversi dagli Slavi e dai Greci che li circondavano, e la scelta di passare al millet superiore dei musulmani avrebbe com portato notevoli vantaggi - prim o fia tutti quello di essere esenti dalla djize, la tassa sui cristiani, che era estremamente elevata e tese ad aumentare molto marcatamente, divenendo quasi insostenibile, fia il X V e il X V II secolo. C erto non furono pochi gli Albanesi che continuarono comunque a tentare di ribellarsi alla Porta anche negli anni successivi. Molti di loro, però, capirono di avere la possibilità di svolgere un ruolo di rilievo nell’ambito di un grande Impero com e quello musulmano: v ’era la possibilità di ascendere ad alte cariche. Basta qui ricordare la “ dinastia” di gran vizir dei Köprülu che annovera quattro gran vizir di notevole importanza in un periodo cruciale della storia dell’Impero; basti pensare al prim o - M ehm ed - , assurto a quella funzione nel 1656 , che avviò una

politica di limitazione della corruzione, di consolidamento del governo e di ristrutturazione dell’esercito che anche il figlio Fazil Ahm ed avrebbe continuato, contribuendo alle vittorie conseguite in quegli anni dagli eserciti ottomani, com e pure Kara Mustafà e infine Mustafà Köprülu che alla fine del X V II secolo resse l’Impero in un periodo particolarm ente difficile, soprattutto dal punto di vista militare.9 In generale gli Albanesi, specie attraverso la pratica del devshirme - il tributo in bambini - molto si distinsero, all’interno dell’Impero O ttom ano, nel corpo dei giannizzeri. E non va dimenticato che elementi Albanesi entreranno com e com ponente significativa del gruppo dei Fanarioti: uno strato sociale culturalmente grecizzato, ma com posto, oltre che da Greci, da famiglie romene, albanesi, e da Italiani ellenizzati. C om e si sa, il ruolo storico di queste potenti famiglie, ricche e influenti politicamente, anche per le cariche che rivestivano nell’amministrazione dell’Impero, è assai complesso ed è stato m olto discusso; ma se certo hanno potuto ad esempio rappresentare, una volta arrivate a signoreggiare sui Principati Danubiani, un maggior controllo della Porta, un increm ento del prelievo fiscale, della corruzione e delle clientele, certo anche questo strato cosmopolita, più in contatto con l’O ccidente, ha potuto là introdurre importanti innovazioni nel settore dell’istruzione e della sanità, aprire le élites locali alla circolazione delle idee illuministiche e contribuire a una crescita culturale.Elem enti albanesi poterono operare con rilievo all’interno dell’Impero O ttom ano, svolgendo funzioni importanti. E certo, però, che la conquista musulmana creò in Europa, e soprattutto

per le popolazioni dell’Adriatico, un m om ento di separazione, una profonda alterazione delle antiche correnti del com m ercio e della circolazione di uomini e di idee; soprattutto, un mutamento nelle proiezioni tradizionali di quei popoli e l’individuazione di nuove direttrici. Fu in buona parte distrutta la rete che aveva collegato O riente e O ccidente, N ord e Sud, attraversando i Balcani, collegando l’Italia all’Asia M inore- o alle rive settentrionali dell’Africa. M entre il M editerraneo e l ’Adriatico perdevano d’importanza, anche in seguito all’individuazione di nuove direttricisui mari, nei Balcani e sulle rive dell’antico “bacino di Venezia”, oltre all’assoggettamento politico, si registrò una progressiva decadenza degli antichi insediamenti urbani, con una conseguente perdita di classi dirigenti, quando non un vero e proprio arretramento sociale e un im poverim ento econom ico .10 Tuttavia accompagnandosi ai profondi mutamenti strutturali che si verificavano nell’econom ia e nella società, anche le idee attraversavano l’Adriatico: un sentimento crescente di ritrovata affinità ideale fra le due sponde, che anche nell’8 0 0 si poté manifestare in molti modi. E cco , così, la ricezione dei fermenti nazionali in arrivo dalla Francia della Grande Rivoluzione e dall’Italia di Mazzini e di Garibaldi, con il risveglio di una nuova coscienza tra ‘800 e ‘9 0 0 ; le alleanze e i m om enti di collaborazione nel corso del Risorgim ento; i temi diffusi di una Giovane Europa che doveva raccogliere e sintetizzare le aspirazioni di tutte le “giovani nazioni” sul Continente, ponendo problemi che erano sentiti com e com uni; il “fare com e in Italia”- o, per la Serbia, il leitmotiv del “Piemonte Slavo” - ; la comune lotta antiturca,o antiasburgica; gli stessi legami che allora

9. Duccllier 1987. 10. Duccllier 1987;Jelavich 1983; Pollo 1981

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La difficile storia di un paese

iniziarono a instaurarsi tra Slavi cattolici e Slavi ortodossi nei territori che successivamente avrebbero formato lo Stato jugoslavo. E in quel periodo la circolarità di esperienze politiche e culturali tra le due sponde dell’Adriatico risultò straordinariamente incrementata - tanto da m ettere ben presto quei popoli in grado, a loro volta, di proporre modelli. Il destarsi dei movim enti nazionali stimolava insomma la collaborazione sia tra i diversi popoli interessati, sia all’interno delle stesse nazionalità in risveglio: con il formarsi del m ovim ento nazionale albanese le differenze e i contrasti fra gli appartenenti ai vari gruppi religiosi (musulmani sunniti, bektashi, ortodossi, cattolici) divennero secondari di fronte all’esigenza d’affermare il m ovim ento nazionale.11 N ei periodi di crisi, si sono puntualmente verificati sia importanti momenti di collaborazione del movimento nazionale albanese con gli altri popoli balcanici, sia forti m om enti di collaborazione fra tutti gli Albanesi.Basta pensare da un lato alla ricorrente presenza di Albanesi fra le truppe che si distinsero nelle rivolte del X I X secolo contro la dominazione ottomana - e questo sin dalla prima insurrezione serba del 1804, che vide emergere la figura di Karageorghe (Giorgio il N ero) - , e dall’altro, anche se nel corso del X I X secolo la religione tendeva ancora spesso a essere percepita com e un fattore costitutivo fondamentale della identità dei popoli balcanici, favorendo spinte alla differenziazione attraverso i confronti tra le diverse fedi, la crescente inclinazione degli Albanesi, soprattutto dopo l’esperienza della Lega di Prizren, del Congresso di Berlino e degli esiti della guerra russo-turca della fine degli anni ‘70 , a ritrovarsi uniti sulla questione nazionale, riuscendo infine

a costituire un loro stato indipendente.12 Ma, dopo le grandi speranze riposte durante la prima Guerra M ondiale ne “l’occasione dem ocratica” che avrebbe infine potuto aprirsi, portando democratizzazione e modernizzazione ai nuovi stati sorti in Europa centro-orientale con il crollo degli antichi Imperi d ’Ancien Régim e che si spartivano quella metà del continente, dopo le laboriose sperimentazioni dei giovani stati nazionali del periodo interbellico13, le delusioni e i traumi del secondo conflitto mondiale e l’instaurazione dei regimi comunisti portarono nuovamente la sponda orientale dell’Adriatico a un periodo di separazione e di stagnazione.14 D i più: le frontiere politiche e ideologiche passavano direttamente lungo quel mare, separando quei popoli dall’Italia e dalla Grecia e segnando nuovamente un periodo di confronto, di diffidenza e di ostilità. Grandissime risultarono le perdite di m em oria, di arte e di cultura, le distruzioni verificatesi nel cam po della religione: limitandomi al caso di Scutari, voglio solo ricordare che là nel secondo dopoguerra furono distrutti 144 edifici religiosi e 48 luoghi di culto, impoverendo quell’Albania che nel corso del ‘9 0 0 aveva trovato tanti estimatori e anche molti studiosi affascinati dai m onumenti e dalla ricchezza e originalità del folklore di questo popolo che si affacciava sull’Adriatico.

Zona di incontro c di contrapposizione Insomma, ripensando alla storia plurisecolare di questa importante area europea, si può dire che si siano periodicam ente fatte sentire due tendenze principali; tendenze in parte obiettive, in parte invece assurte a mito nobilitante- quei miti che sono un p o ’ com e delle verità abbellite, ma sempre verità, che

Hmstanno nel cuore di quella popolazione. 3"In primo luogo la tendenzaall’integrazione, alla sintesi, tantopiù significativa quanto più si è rivelatacapace di recepire e sintetizzare apportidiversi, ma lasciando sempre la propriaimpronta specifica. Infatti è proprionei periodi “sincretici” che noi possiamoindividuare epoche di feconditàe di creazione, e più in generaleil contributo dato da quelle civiltàalla crescita dell’Europa: abbiamo vistoalcuni casi che ricordano l’esperienzadegli Albanesi, a partire dal ruolo svoltoall’interno dell’Im pero R om an o,per arrivare a quello ricoperto anche nellacollaborazione alla lotta antiturca, agendoprima all’interno del m ondo bizantino,e poi dall’interno del m ondo musulmano.In secondo luogo la tendenza al confronto. E il confronto può essere stimolante; ma quando si traduce in scontro violento è foriero di distruzione e di crisi. C om e s’è visto anche questa tendenza è radicata nella storia dell’Adriatico, a partire dal contrasto fra la “superiore” civiltà romana e le tendenze dispotiche provenienti dall’O riente; tra un’antica civiltà com m erciale e la logica predatrice degli invasori; tra un m ondo costiero urbano e il suo retroterra di campagne arretrate; tra esplosioni di violenza e d’intolleranza e la civile e aperta unità dell’Im pero; tra la persistenza di tendenze gnostiche e il fiorire delle religioni costituite (il Cristianesimo, il Giudaismo, l’Islam). U n confronto che si sarebbe di volta in volta istituito tra il m ondo cristiano e quello musulmano; tra capitalismo e sistema feudale; tra m odo di produzione tribale e stagnante e civiltà liberale, urbana, tesa al decollo industriale; tra la difesa di mondi chiusi e immersi

11. Morozzo della Rocca 1990; più in generale cf. Preveíalas 1997.12. Skendi 1967.

13. Fischer 1962; Pastorelli 1970.14. Fischer 1991.

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Cartina dei Balcani dopo il congresso di Berlino (1878).

in un vecchio universalismo sclerotico e dispotico, e la crescente internazionalizzazione incentrata sull’O ccidente, sulla portata universale della Rivoluzione Francese (o meglio della Rivoluzione Atlantica, della quale la Rivoluzione Francese fu una parte solamente, e la più cruenta), su quel modello di Stato nazionale che percorse nel X I X secolo il Continente da Ovest a Est, ispirando le nazioni emergenti, tese a uscire dall’Antico R egim e. D a ultimo, il confronto fra Est e Ovest, anche in Albania, si è concentrato fra statalismo totalitario e tendenza al libero mercato e alla democrazia.Insomma, l’Adriatico ha goduto per due millenni dei vantaggi e dei pericoli dell’essere una cruciale “zona di contatto” .

In corsa verso OuestIn conclusione quale ruolo possiamo oggi intravedere per l’Adriatico e per l’Albania? Le rivoluzioni dell’8 9 hanno riaperto una fase fluida nello scenario continentale, che vede nuovamente in prim o piano le scelte delle potenze: Russia, Germania, Inghilterra, Francia, gli altri paesi dell’O ccidente, la vicina Italia, che per secoli ha svolto un ruolo cruciale di mediazione in questo m are.15 M a attualmente l’Europa appare per molti versi indecisa. D opo il prim o crollo del muro di Berlino, la Germania, attratta da una delle sue tradizionali direttrici, la “direttrice a E st” , è sembrata quasi l’unica potenza occidentale capace di svolgere una politica estera incisiva e dinamica in quello scacchiere. Soprattutto

15. Pettifer, Vickers 1997. Woodward 1995. Ancora attuali le osservazioni in Bianchini 1992; Cuiic 1993.

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Uno dei migliaia di bunker costruiti durante il regime di Enver Hoxha. L'akullore sullo sfondo indica una gelaterìa.

di fronte alla successiva ripresa d’iniziativa in politica estera della Russia, con una linea accorta e complessa che vede il riem ergere di orientam enti tradizionali del colosso slavo nello scenario Adriatico che, anche tramite le istanze sollevate dai “fratelli Serbi”, può rappresentare ancora una volta uno strumento per la ripresa di vecchie tendenze espansionistiche, “imperiali” o “ coloniali” . E si era delineato il consistente pericolo che l’indecisione o l’inerzia delle altre potenze potesse portare a far sì che tutta la metà centro-orientale del continente, a cominciare dall’area balcanico-danubiana, venisse giocata prevalentemente fra Russia e Germania, con gli inevitabili squilibri e con i rischi connessi. Tanto più che dopo le iniziali speranze de “l’entusiasmante ‘8 9 ”, fra i popoli recentem ente usciti dall’esperienza dei regimi comunisti,

e inclini a riprendere antiche sensibilità nazionali, si è assistito a reazioni complesse e in parte contraddittorie. La loro identità tende spesso a essere in parte legata a una reazione di difesa da un modello occidentale da molti percepito com e pericoloso, sovvertitore, destabilizzante.E si fa sentire nuovamente il disagio di fronte all’ardua sfida per il progresso, derivante da antichi complessi sia d’inferiorità, sia di superiorità, da sempre legati alla sindrome nazionalista: problemi che, di fronte alla vera e propria sfida alla civiltà europea lanciata dal terrorismo dell’Islam integralista, potrebbero pure trovare terreno fertile nei territori in cui, nonostante i decenni della forzata “ateocrazia” proclamata da Enver H oxha, quella religione gode di radici profonde. In parte invece ecco la spinta alla corsa verso Ovest - corsa che per gli Albanesi

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La difficile storia di un paese

40 è stata a volte anche una corsa fisica verso l’altra sponda del mare, e per tutti i popoli dell’Europa centro-orientale la corsa per entrare nella N A T O e nell’U nione Europea.Se non comprendiamo quanto direttamente tocchino gli sviluppi incombenti sull’altra sponda di quel mare, se non riusciamo a ritrovare una conoscenza adeguata di quei popoli, e il significato di tanta storia che abbiamo in com une con loro, se invece indulgiamo all’applicazione forzata di schemi artificiosi, molti sono i rischi che incom bono.Il privilegio che troppo spesso si tende a attribuire superficialmente all’unoo all’altro di loro, l’inclinazione a istituire intese preferenziali o blocchi di paesi “simpatici” o “antipatici” , m ettendo in atto una politica di sfere d’influenza che vorrebbe essere una Realpolitik, potrebbe invece, ancora una volta, finire con il riscaldare ulteriorm ente proprio quelle tensioni che si vorrebbero contenere. Si è potuto così assistere a periodi di estensione e riscaldamento dei conflitti, all’innesco di una serie di reazioni, di crisi a catena mezzo sociali e mezzo nazionali, che hanno trovato alimento nelle diverse “polveriere” potenzialmente già presenti in Europa centro-orientale, sulla sponda orientale dell’Adriatico.Lo si è drammaticamente vistocon i recenti conflitti nella e x - Jugoslavia,con la gravissima crisi del Kossovo.Si tratta di fattori di crisi che potrebbero perfino contribuire a collegare la situazione assai delicata e precaria che si registra non solo nella e x - Jugoslavia, ma più in generale nei Balcani, e proprio nell’Albania, a quella potenzialmente ben più vasta e dirompente che potrebbe accendersi fra i molti Stati dell’ex-U nione Sovietica, e più in generale al diffondersi di tendenze estremiste anche fra le fasce più moderate del mondo musulmano. M olte sono le implicazioni della comparsa

- o ricomparsa - su queste rive, ai nostri confini, di grandi problemi com e quello del radicalismo islamico. M i limiterò solamente, in conclusione, ad auspicare una presenza dell’Europa che non lasci quei popoli né alla Russia, travagliata dalla durissima crisi di una sfida per la modernizzazione che appare davvero ardua da superare - perlom eno nel senso che noi attribuiamo a questo term ine - e in realtà ancora tentata di sviluppare una politica estera “compensativa” di stampo imperiale; né a una politica tedesca che, per il fatto di non nutrire appetiti territoriali, bensì solo aspirazioni all’influenza econom ica e culturale, non risulta in definitiva m eno rischiosa; né alla guerra orm ai dichiarata dal terrorismo estremista alla civiltà europea.

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I! bazar che si protende nella Buna visto dal castello di Scutari in una foto Marubi.

La stessa inquadratura oggi, senza il bazar.

PASTORELLI 1970P. Pastorelli, L’Albania nella politica estera italiana: 1914-1920, Napoli, JovenePE T T IFE R ,V ICKERS 1997J. Pettifer, M. Vickers, Albania: dall'anarchia a un'identità balcanica, Trieste, Asterios POLLO 1981G. Pollo, The History o f Albania front its origins to the present day, London, Rudedge PREVELAKIS 1997G. Preveíalas, I Balcani, Bologna, Il M ulino SKENDI 1967G. Skendi, The Albanian national Awakening, 1878-1912, Princeton, Princeton U.P.SYM E 1971R . Syme, Danubian Papers, Bucarest WILKES 1969 J. Wilkes, Dalmatia, London WILKES 1992J. Wilkes, Gli Illiri. Tra identità e integrazione, Oxford - Cam bridge Mass. (trad. it. Genova 1998)W O O D W A R D 1995G. Woodward, Balkan Tragedy. Chaos and Dissolution After the Cold War, Washington, Brookings Institution

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L'Albania degli ItalianiMito, propaganda, demagogia dalla fine dell'Ottocento al fascismo

Roberto Mancini C om e Ercole in culla Fu Mazzini che in Italia dettò regole di approccio alla questione slava e dette voce a chi chiedeva l’affratellamento del popolo italiano con quelli d’oltre Adriatico.1 “Parte della nostra vita” scriveva nel 1866 “deve espandersi nelle vaste regioni dell’O riente Asiatico” . Per questo l’importanza suprema per noi della questione che s’agita nell’Oriente d’Europa, e quindi l’importanza delle relazioni da stabilirsi fra noi e i tre elementi, Slavo, Ellenico e R om en o. Infatti: “dove s’agitano Popoli, ch ’oggi non sono ma saranno domani infallibilmente Nazioni, là stanno le nostre naturali alleanze”.2 Per conseguire questo obiettivo, “ com e Ercole in culla” l’Italia avrebbe dovuto “soffocare in sul nascere, con una mossa ardita, i due serpenti” che allora agghiacciavano “il core d’Europa” , cioè l’Austria e i Turchi.3 Solo dopo questa guerra vittoriosa sarebbe stato facile dare consistenza a quel vincolo ideale esistente da tempo im m em ore con gli Slavi.Le “prim e linee della politica italiana, quando una Italia sarà, devono essere Slavo-Elleniche” , scriveva ancora il Mazzini4, perché l’Italia dovrà essere una sponda sicura, l’orizzonte sereno di una serie di proto-nazioni che stavano vivendo il tram onto degli imperi - cioè l’austriaco e il turco - nei quali erano state indebitamente incardinate. Due organismi politici non m olto dissimili, anzi paragonabili per struttura, per strategia e per l’eterogeneità delle loro com ponenti etniche. “ I fati dell’impero d’Austria e dell’impero turco in Europa sono indissolubilmente connessi; e chi, mirando, com e noi dobbiamo, a disfare il primo, pretendesse, insistendo sulla stolta vecchia

1 Cf. Marini 1998: 831 ss.2. Mazzini 1939: 99.3 Mazzini 1939: 105.4. Mazzini 1939: 84 (lettera del 13 giugno 1857).

politica, mantenere il secondo, accetterebbe base ai propri atti una contraddizione.Le due anomalie staranno o cadranno insieme. Diresti che un pensiero identico . . presiedesse alla form azione artificiale dei due Imperi contigui. L’uno e l’altro mancano d’unità di nazione e di popolo: sono due governi appoggiati da due amministrazioni e da due eserciti, sovrapposti a popolazioni straniere di razza, di lingua, d’aspirazioni, di capacità . . . sui sedici milioni di abitanti che com pongono l’impero turco in Europa, due milioni o p oco più appartengono all’elemento conquistatore m aom ettano; gli altri, tributari o sudditi, all’elemento ellenico, al romeno, allo slavo . . . Ellenica- dacché l’Albanese non è se non un dialetto G reco misto di vocaboli slavi e romeni - è l’Albania” .5 E ancora: “una Confederazione Danubiana sostituita dall’Impero d ’Austria: una Confederazione Slavo-Ellenica sostituita all’Impero turco in Europa: Costantinopoli città libera, centro anfizionico della seconda Confederazione: alleanza tra le due Confederazioni e l’Italia: quello è l’avvenire. La politica nazionale italiana deve consacrarsi a prom uoverlo”.6 All’inquadramento dello scenario politico turco contribuivano i più radicati stereotipi sull’O riente, elementi sostanzialmente negativi tesi a evidenziarne la distanza, la contrapposizione, le alterità culturali, com portam entali e razziali rispetto all’O ccidente, in un gioco di attribuzioni molteplici, di aggettivazioni massimamente polarizzate che si riassumevano nell’immagine di un Ovest vigoroso e di un Est debole.7 U n manuale per le “scuole ginnasiali, normali e tecniche” in uso sul finire degli anni O ttanta del X I X secolo riprende

5 Mazzini 1939: 102-103,6. Mazzini 1939: 104.7 Said 2001: 51-52; Goldsworthy 1998.

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L'Albania degli Italiani

42 chiaramente le linee mazziniane di approccio alla questione slava.Vi si ribadiva che quella turca era una “poco avanzata civiltà” , e che l’Impero O ttom ano era imperniato su “sconnesse province”, difeso da uno “scarso esercito” e gestito da una “ mala amministrazione” e dunque avviato inesorabilmente a un epilogo rovinoso. Secondo l’estensore del manuale questa situazione era dovuta a fattori razziali e soprattutto al carattere dei Turchi: individui ricchi di sfaccettature caratteriali: “sdegnosi e ospitalieri, vani e benevoli, indolenti nella pace, feroci e attivi nella guerra” , di una “indole” che li rende contrari “ad ogni progresso” , e che è “causa della loro inferiorità”.8 Tale paradigma non cambia se dai Turchi si passa a considerare gli Slavi: di questi si sottolinea lo “spirito indipendente, poetico, bellicoso”, ma anche per costoro si ribadisce l’arretratezza culturale, la semplicità dei modi di vita, la elementarità degli atteggiamenti psicologici. I Bosniaci sono descritti com e “ rozzi, ma onesti” , i Bulgari sono definiti “una popolazione laboriosa, paziente e agricola”, mentre gli Albanesi nient’altro che “montanari coraggiosi, ancora poco inciviliti e vendicativi”.9 A proposito dell’Albania non si danno informazioni né sull’allora recente Congresso di Berlino del 1878 che aveva stabilito la spartizione del territorio albanese fra Serbia, M ontenegro e Grecia, né sul costituirsi, contro tale soluzione politico-diplom atica, della Lega Albanese (1 8 7 8 -8 1 ) in lotta per l’integrità del territorio. L’attenzione degli autori dei manuali scolastici non veniva catalizzata neanche da un certo agitarsi delle comunità albanesi in Italia, i cui esponenti stavano dando vita a iniziative assai varie, volte, da un lato, alla orgogliosa ricerca delle radici

culturali, dall’altro a rinsaldare i legami con la patria avita, com e testimoniano i comitati sorti a Corighano Calabro nell’ottobre del 1895 e a Lungro nel 1897 (animati da Girolamo D e Rada e presieduti ad honorem da Francesco Crispi), oltre a quello fondato nello stesso anno a Napoli dal marchese di Auletta, Giovanni Castriota Scanderbeg, quest’ultimo con intenti spic­catamente politici e per il sostegno della causa dell’indipendenza albanese.10 Fu anche grazie alla attività propagandistica di questi “patrioti” albanesi che si rinsaldarono certi stereotipi antiturchi. In un manifesto fatto pubblicare su alcuni giornali, tornano tutti gli argomenti polemici contro i dom inatori O ttom ani: “Albanesi d’Italia: sono quasi cinque secoli che un popolo fanatico, per quanto barbaro, costrinse i nostri padri di abbandonare quanto l’uom o abbia più sacro in terra, la patria! E non tanto il desiderio di cercare altrove la sussistenza spinse quegli eroi sventurati ad abbandonare il luogo natio, quanto il bisogno di respirare quella Libertà che era loro negata in esso . . . e anche oggi quello strazio e quel lamento si ripercuotono nei nostri cuori. Albanesi d’Italia noi non smentim mo mai la nostra origine: dopo quasi cinque secoli . . . viviamo ancora delle nostre gloriose tradizioni, amiamo ancora ardentemente l’antica terra nativa... ci siamo raccolti per costituire un comitato politico, affinché promuova un legittim o risveglio tra le genti albanesi d’Italia, per la reintegrazione nazionale della sua patria, l’Albania”.11

L a lunga dimora di barbare genti C on lo stemperarsi delle idealità risorgimentali, dai propositi di redenzione civile, si passò a valutazioni di segno diverso, meno benevole e più distaccate.

Sul mercato editoriale italiano comparvero varie opere: le Lettere su ll’A lbania del San G iuliano (R om a 1903), L ’A lbania del Barbarich (Rom a, 1905) L a nazione albanese del Vaina (Catania 1917).M a gli interventi e le valutazioni che ebbero maggior peso furono quelle di Arturo Galanti, che aveva peraltro già scritto un primo saggio nel 1901: L ’Albania. N otiz ie geografiche, etnografiche e storiche.12 L’opera era stata scritta su commissione del Ministero degli Esteri, e in particolare del direttore generale delle scuole italiane all’estero, Angelo Scalabrini. I contenuti di quel prim o lavoro furono poi ripresi nel 1916 in un saggio sulla Rassegna Storica del Risorgimento. Si tratta di opere complessivamente orientate a dare un quadro della situazione particolarmente cupo, arretrato, manchevole; vi si faceva notare per esempio che l’Albania non aveva conservato, com e le altre regioni adriatiche, qualche insigne m onum ento artistico, retaggio di grandi civiltà tram ontate.13 “Nulla v ’è in tutta l’Albania- scrive il Galanti - che possa anche lontanamente reggere al paragone dell’Anfiteatro, del tempio d’Augusto, dell’A rco dei Sergi e della Porta Gemina di Pola, dei resti del palazzo di Diocleziano a Spalato, dei tesori raccolti nei musei di Trieste e d’Aquileia” . E nem m eno nel co n o della sua storia si possono rintracciare episodi particolarm ente significativi visto che, caduto l’Impero d’O ccidente, l’Adriatico rimase, - a suo dire - , “ mare bizantino, finché non sorse la potenza di Venezia” , piccolo spiraglio di civiltà subito cancellato dalle incursioni dei Serbi e dei Bulgari.14 E fino alle gesta, tutto somm ato m inime e effimere, legate alle mire norm anne oltre il canale di Otranto. Per il Galanti c ’è quasi solo

8. Comba 1887:222-223.9. Comba 1887:225.10. Cf. Laviola 1974:11-29.

11. C ito il testo del manifesto come è contenuto in Laviola 1974:30.12. L’opera fu pubblicata a R om a dalla Società Editrice

D ante Alighieri.13. Galano 1916:391.14. Galanti 1916:395.

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Le immagini che seguono documentano l'azione del terzo reggimento in Albania durante la guerra contro la Grecia.

Granatiere di vedetta in alta Val Bence; sullo sfondo le pareti del Dutike.

un episodio nella storia albanese in grado di riscattare secoli di sudditanze, ed è l’epopea lustrale di Scanderbeg, vincitore contro i Turchi e pater patriae.I Turchi sono considerati globalmente responsabili di secoli di riduzione in sudditanza del popolo albanese e del suo mancato progresso anche in un manuale redatto da uno storico celebre e influente com e N iccolò R odolico . “ N ei quattro secoli di dominio turco - scrive il R o d o lico - i popoli cristiani della penisola balcanica erano caduti nelle più infelici condizioni” , e “solo la lingua e la religione” avevano continuato ad alimentare “la fioca lampada della coscienza nazionale” , solo i “canti popolari” che esaltavano “le glorie passate e la fede religiosa” erano stati “di conforto e di speranza di un popolo infelice” .15

L ’amico Alnnct ZoguQ uando alla ribalta della politica albanese arriva Z ogu, un notabile dell’Albania centrale, che dal 1925 assume poteri quasi dittatoriali e poi, dal 1928 , la corona di re,

il m odo di considerare l’Albania cambia ancora; gli Italiani scoprono che il vicino paese am ico non è più circonfuso della fosca luce dell’arretratezza, ma, anzi, avviato sulla strada della stabilità e del progresso.Il titolo di un libro di Sandro Giuliani, stampato significativamente a Milano dalla Tipografia del Popolo d ’Italia nel 1929, è emblematico: Assestamento e rinascita dell’A lbania. La tesi di fondo del Giuliani è che sotto l’egida dell’Italia, “le opere meravigliose di ripresa e di consolidamento del potere politico nel Paese rinnovato, sono proseguite ognora con fede ed entusiasmo dal giovane Zogu, sul cui capo è oggi la corona di Scanderbeg”.16 A ncor più significativa è la prefazione a firma di Arnaldo Mussolini, il fratello del D uce, dal titolo: L ’aiuto dell’Italia al "piccolo ma importante e forte Stato".“E bello vedere com e là dove si esercita l’agricoltura primitiva della pastorizia, oggi com incino a delinearsi belle file di alberi, campi arati e mèssi biondeggianti” , scrive il Mussolini, “a quest’opera di fervore contribuisce con energia l’elemento

15. Rodolico 1924: 284; cf. Balocchi 2002: 42-52 (in part,n. 71); cf. Santoro 2002.

16. Rodolico 1924: 12-13.

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Granatieri a 'quota 317".

italiano, sempre vigile e presente in tutte le opere di rinnovamento, di creazione e di potenza. . . . A tale assestamento l’Italia ha voluto e saputo contribuire con vigore fascista; . . . re Z o g si è rivelato, oltre che un patriota fervente, un devoto servitore della sua terra, una tempra illuminata di governante, degno di cingere la corona. . . . l ’Albania sente oggi la necessità dell’aiuto fraterno, nobilmente disinteressato della gente nostra” .17 Fino a questo m om ento la politica “filoalbanese” aveva trovato legittimazione mediante il ricorso a una presunta storia com une italo-illirica (o romano-illirica) e grazie a una sorta di debito che l’O ccidente - e massimamente l’Italia - avevano contratto in materia di difesa della fede cattolica. D a ora in avanti però il piccolo paese balcanico diventò oggetto di più concreti interessi econom ici.E quanto emerge da un volume che vide

la luce nel 1932 a M ilano per i tipi di Hoepli. Si intitolava L ’avvenire dell’A lbania, l’autore era Filippo Tafani. A nch ’egli inizia il suo discorso con un tributo di maniera alla grandezza di questa nazione che, si ricorda,“ha prodotto uomini largamente dotati di cuore, di m ente e di cultura; ha difeso la nazionalità, l’indipendenza, la libertà coll’avvedutezza, l'orgoglio, la perseveranza di una razza superiore; ha tenuto testa a nemici superiori di forze in lotte armate e diplomatiche; ha conservato per millenni una propria lingua caratteristicamente diversa da tutte le altre” . D etto questo, subito però si specifica che all’Albania “resta da conquistare la civiltà materiale” mediante “lo sfruttamento delle risorse naturali” e un contem poraneo “largo sviluppo di ciò che va sotto il nome di opere pubbliche” , condizioni che per avverarsi hanno bisogno di “ingenti

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Soldati italiani capitali, e un’azione politica per la sceltain colonna a Dervishjan. deUa u b ic a z io n e deUe o p e r e ” .18

L ’avvenire dell’A lbania è volutamente un libro rivolto a coloro che erano interessati a recarsi in quel paese “per impiegarvi la loro attività e i loro capitali” , perciò accredita con vigore l’idea che si è dinanzi a una nazione dal futuro molto promettente: “per chi vi porti spirito di iniziativa, volontà indomabile, seria preparazione”. C on quel paese, si sottolinea, le relazioni politiche “sono cordiali e sincere. L'Italiano vi è ben visto; vi sono ricordi gloriosi e pietosi dei nostri soldati che vi soggiornarono in guerra e che grem iscono in num ero di settemila il cimitero di Valona, vittime del piomboo della malaria, ora quasi dappertutto attenuata se non domata. La nostra lingua è conosciuta in tre quarti del territorio.Il popolo è ospitale e cortese. M olti

albanesi vivono in Italia a scopo di studio0 per interessi. Gli scambi comm erciali fra i due paesi sono intensi; i servizi bancari sono completi e facili” .19

1 sette pilastri dcìl’Almagià, o dell’appropriazione La voce “Albania” dell ’Enciclopedia Italiana dette carattere di sistema a quanto giàsi conosceva del Paese delle aquile e incorporò quasi tutta l’albanologia in due ambiti disciplinari complementari e distinti: il compte rendu storico e il panorama geografico com e del resto si tendeva a fare allora. Soprattutto quest’ultimo costituì una implicita sottotraccia, l’impalcatura di ogni trattazione dell’argom ento20 e fu affidato alla penna magistrale di R o b erto Almagià, il grande geografo. Del paese egli disegnò sì un profilo rapido, ma convincente e scientifico, tutto costruito sulle strutture

18.Tafani 1932:8-9.19. Tafani 1932:11.

20 Sul ruolo della geografìa nella Enciclopedia Italiana cf. Baioni 2001:74.

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L'Albania degli Italiani

In alto, comandamenti del fascismo sugli spalti del castello di Tepelena. Qui sopra, soldati in trincea.

di base, sulle “cellule” costitutive della società. Sette sono le caratteristiche di base della società albanese elencate nella trattazione, nell’ordine: la famiglia, le donne, la tribù, l’econom ia agricola e pastorale, la pesca, i giacimenti minerari e le riserve di idrocarburi, le lavorazioni artigianali e i primi cenni agli impianti industriali. Vivido il quadro dedicato all’econom ia domestica e alle donne: vale qui la pena riportarlo per intero. “La monogam ia domina assoluta in Albania, qualunque sia la religione degli abitanti; e la donna, nonostante la vita riservata che conduce, ha una parte importantissima nell’economia domestica: non solamente alleva i figliuoli, ma attende ai lavori più gravi, anche in campagna, sostituendo i maschi la cui vita è minacciata dalle feroci rivalità private e dalle vendette; presso alcune tribù più fiere non si perita di impugnare le armi. Pertanto la presenza di molte donne è un elemento di forza nelle famiglie, specie in quelle numerose. M a la vita affaticata e il matrimonio molto spesso precoce invecchiano rapidamente le donne, onde il contrasto, spesso notato dai viaggiatori, fra i maschi vigorosi e le femmine precocem ente deperite, pur circondate da una florida prole. Il matrim onio ha conservato il carattere di un contratto di acquisto fra il padre della sposa e il futuro m arito; questi paga la capacità lavorativa della donna e anche i vantaggi che possono derivargli dal nuovo parentado; e il prezzo è m olto variabile. Sulle pratiche matrimoniali pesa ancora il retaggio di età passate, per cui ad esempio i matrimoni fra persone di tribù diverse sono pressoché esclusi. U na grande rigidità regge la vita matrimoniale e l’adulterio è punito con la m orte; assai rigida è anche l’obbedienza dei figli, sia pur maggiorenni,

verso il padre. U n raggruppam ento più elevato della famiglia è quello che di solito si indica col nome di tribù, ma che sarebbe più proprio chiamare stirpe . . . la tribù è retta dall’assemblea dei padri di famiglia . . . l’ordinamento tradizionale della tribù si basa sul famoso kan un ’i L ek Dukagjinit, codificazione del diritto consuetudinario, che sarebbe stata compilata, secondo l’opinione più comune, intorno al sec. X II”.21 Le chiavi interpretative che si riscontrano nella Enciclopedia Italiana, le ritroviamo anche nei manuali in uso nelle scuole superiori negli anni ‘3 0 .22 In particolare l’impostazione geografico-storica tenuta dalla voce Albania della Enciclopedia Italiana, costituì l’esempio seguito nella scelta delle letture poste a corredo dei quadri tematici trattati dai manuali.23 N el 1934 (anno in cui l’Albania entra coattivamente nell’orbita italiana) non vi sono novità di particolare rilievo per quanto riguarda l’editoria scolastica: un manuale24 riporta in appendice una breve lettura - un brano in stile racconto di viaggio di un Grand Tour d’altri tempi - di Luciano M orpurgo, che si dilunga sulla città di Scutari:“A tarda notte entriamo a Scutari, la più bella, la più ricca e, per il suo contatto con l’Europa, la più progredita città d’Albania . . . ricchi bazar, i più ricchi dell’Albania, consentono al forestiero di trovare molti e begli oggetti, e a buon m ercato: sono piatti, bacili e brocche di rame, lavori di pelle, talora decorati con pezzetti variopinti, ornatissimi scialli e altre opere di stoffa di fantasiosa concezione. Scendono le contadine dalla campagna, e portano questi oggetti, lavorati nelle lunghe sere d’inverno, che conservano l’odore della capra e della pecora e tanti altri odori indefinibili. Carni secche, storioni grandissimi del lago, verdure, frutta,

21.Almagià. 104. schema descrittivo dell'Enciclopedia Italiana: geografia-storia-22. Cf. Balocchi 2002:42-52. problemi pohtici-23. Anche il Dizionario 1940 (alla voce Albania) adotta lo stesso 24. Bornate 1934.

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conferiscono un aspetto di prospera ricchezza al m ercato di Scutari, nel quale si odono varie favelle, con prevalenza però dell’albanese e del serbo . . . sulle tom be abbandonate dei vasti cimiteri turchi, crescono abbondanti i lillà, che formano un grande e fresco contorno. Sul fiume Stoj, il grande ponte veneziano, col suo vasto arco, domina l’orizzonte, e i suoi piloni robusti sfidano i secoli; passano i carbonai coi muli carichi di sacchi di carbone, accompagnati dalle loro donne, che portano anche gli ultimi nati in una culla di legno attaccata alla schiena. Domina su Scutari, e su questa bella pianura ricca di acque ancora ribelli, la fortezza veneziana quasi intatta con le sue mura, le sue porte, le sue torri”.25 N el 1938 nel terzo volume di un altro manuale di geografia si insisteva invece sulle supestizioni albanesi, attribuendone il persistente radicamento alla religione musulmana, per cui “Le superstizioni costituiscono un altro aspetto della tenacia e della originalità dei costumi schipetari. Gli albanesi credono all’influsso degli spiriti, ai geni maligni e all’opera delle fate malefiche. La religione musulmana ha accresciute da parte sua, codeste leggende e credenze; di guisa che cattolici e maomettani prestano egualmente fede al genio del male, che quelli denominano drek e questi cheitan” .Al punto che “un armamentario di oggetti destinati a com battere gli influssi dei geni maligni, circonda sovente la casa albanese, le adiacenze e trova posto indosso agli abitanti. Sugli alberi più robusti ed alti si appendono brandelli di stoffa scarlatta”.26 Oltre all’Enciclopedia Italiana e alla manualistica, chi era interessato a questioni albanologiche trattate a un livello di alta com petenza, poteva guardare anche alle pubblicazioni che dalla prima metà degli

anni Trenta com inciarono ad uscire con il marchio dell’Ispi. Sorto nel 1933 , sul modello del Royal Institute o f International Affairs, l'Istituto di Politica Internazionale si sarebbe dovuto occupare di sostenere e dare spessore scientifico e culturale alla politica estera del regime. Esso avrebbe dovuto formare i funzionari del Ministero degli Esteri e raccogliere nei suoi ranghi i migliori studiosi: economisti, storici, politologi. In quello stesso hanno ebbe inizio anche l’attività d e ll’Istituto Italiano per il M edio e l ’estremo Oriente, mentre nel 1934 com inciarono pure le pubblicazioni, sotto la direzione di Giovanni Engely, della rivista Affari Esteri. Per tutto il corso degli anni Trenta furono molte le iniziative, di varia portata e di differente livello, incentrate sugli studi politologici e sulla situazione internazionale.27 Se a queste iniziative si aggiunge l’attività editoriale e di ricerca promossa dalla Scuola di Storia M oderna e Contemporanea diretta da G ioacchino Volpe e poi dull’Istituto p er la Storia M oderna e Contemporanea di Francesco Ercole, appare evidentelo sforzo im ponente messo in atto dal regime per dare avvio a una nuova e riconoscibile trama culturale. Significativo in proposito il giudizio retrospettivo dato sulla storia e sugli storici suoi conterranei dal Volpe: “avevamo una storiografia senza slancio e senza spirito espansivo, com e era nel complesso la Nazione e lo Stato italiano; una storiografia poco capace di attualizzare la vita storica, di vedere in vera organica unità passato e presente”.28 Degna di nota, anche per la tempestività con cui fu messo in com m ercio, è l’uscita di un manuale di storia molto aggiornato “a uso dei ginnasi inferiori” del Bornate, che inquadrava la sua trattazione della politica estera italiana rifacendosi alle parole del duce

su “un’Italia gonfia di vita, che si prepara 47 a darsi uno stile di severità e di bellezza; un’Italia che non vive di rendita sul passato, com e un parassita, ma intende di costruire con le proprie forze, col suo intimo travaglio, col suo martirio e la sua passione, le sue fortune avvenire”.29 Sulle vicende balcaniche l’Ispi fu presente con vari titoli e iniziative, alcune di esse erano dirette, specie dopo il 19 3 8 , all’aggiornam ento degli insegnanti delle scuole medie.Tra i volumi più significativi si devono qui ricordare quelli di A m edeo Giannini.I suoi interventi sono emblematici dei cambiamenti che, di tem po in tempo, si determinarono nella costruzione italiana di una immagine dell’Albania. N el 1922 la rivista Europa Orientale aveva ospitato un prim o studio del Giannini dal titolo:L a questione albanese, un testo successivamente rielaborato e pubblicato com e volume autonom o a Napoli presso R icciardi nel ‘2 4 , nel ‘2 5 e ancora nel ‘29 , ma questa volta il libro portava un titolo nuovo: La form azione dell’Albania. Dunque, se nelle prime edizioni la vicenda albanese, seppure “serenamente narrata”, era vista ancora un p o’ negativamente com e “un groviglio di avvenimenti” , ora essa veniva considerata “chiusa” e le sue frontiere ben delineate.30 D opo dieci anni lo stesso Giannini pubblicò un aggiornamento ulteriore del suo lavoro: D all’indipendenza all’unione con l ’Italia.31 Si trattava di un’opera che forniva una chiave di lettura della situazione albanese basata su quattro argomenti sostanziali. Il prim o ruotava attorno al ruolo, considerato fondamentale, avuto dall’Italia alla conferenza di Londra del 1913 . “L’Italia, anche attraverso le alterne vicende che legarono la questione albanese a quella adriatica, contribuì fortem ente

25. M orpurgo 1934:190. 28 Volpe 1947:292. 1925,7 e del 1929,8.26. Barbarich 1938:122. 29. Bornate 1939:223. 31. Il saggio fu pubblicato a Milano dall’Istituto per la Politica27. M ontenegro 1978:777-784. 30. Le affermazioni sono rispettivamente nella edm one del Internazionale 1939.

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Cimitero militare. ed energicamente, in ispecial modo

nell’ultima fase, alla soluzione del problema albanese, riuscendo a far riconoscere integralmente le rivendicazioni di quel popolo, che si riaffermarono nella formula ‘l’indipendenza nei confini del 1 9 1 3 ’. Senza l’aiuto dell’Italia, l’Albania avrebbe subito nuove e più gravi mutilazioni, avviandosi probabilmente allo annientamento, com e Stato indipendente. N é è da trascurarsi infine che l’Italia, facendo dell’indipendenza e dell’integrità dell’Albania un problema suo, fondamentale, ne garantiva con la sua forza e la sua autorità l’esistenza, contro ogni possibile pericolo”.32 Il secondo argomento portato dal Giannini riguardava gli accordi politici, intercom tra Italia e Albania il 27 novembre e il 22 novembre del 1926, tesi “a sviluppare i vincoli di solidarietà che felicemente esistono fra di loro, e di dedicare ogni sforzo a eliminare le cause che possano turbare la pace esistente”.33 Al terzo postolo studioso richiamava il ruolo italiano nella “ricostruzione economica” , ricordando l’im portante trattato “di com m ercio e di navigazione del 20 gennaio del 1924”,

e ribadendo che da quel m om ento i prodotti albanesi, furono tutti collocati sul m ercato italiano, sebbene ciò non fosse stato facile. N on solo, citando il discorso di Ciano alla Camera il 15 aprile 1939, si chiarì che “Quanto in questi ultimi quindici anni” era stato “com piuto in Albania” era da considerarsi “legato esclusivamente al nome dell’Italia” . Solo il “lavoro e i capitali italiani, con l’ausilio dell’ottim a mano d’opera albanese” , avevano “costruito i porti, tracciate le strade, bonificate le terre, trivellato i pozzi, frugate le miniere”.34A fronte di così cospicui debiti verso il governo fascista, la condotta del gruppo dirìgente albanese, assunse però, sostiene il Giannini, “un atteggiamento equivoco” . E questo l’ultimo tratto del quadro disegnato dall’autore: il Paese delle aquile perde infatti a questo punto i connotati di paese am ico per assumere quelli di uno staterello guidato da un governo di affaristi corrotti dove “i benefici che l’Italia vuol assicurare alle masse popolari finiscono per andar a vantaggio di Z og e della sua oligarchia. E le masse, insofferenti,

32. Giannini 1939:167.33. Giannini 1939:173.

34. Giannini 1939:180.

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ma non capaci di scuoterne da sole il giogo, guardano all’Italia, la quale delle malefatte regie non rigetta il danno sul popolo albanese e continua la sua opera di amicizia, lasciando che gli eventi maturino e sopportando fino all’estremo limite della sopportazione gli atteggiamenti equivoci di Z o g ” . Tutto questo si protrasse fino al febbraio del 1939 quando “Z og dette palesi segni di ostilità, facendo gettare nelle prigioni gli albanesi che riteneva colpevoli di amicizia per l’Italia”.U na situazione che rapidamente degenerò con l’abbandono del paese da parte dei civili italiani e con il maturare delle inevitabili condizioni per un intervento d’autorità dell’Italia. “Falliti i tentativi di intesa” scrive il Giannini, “non restava che com piere un’operazione di polizia per m ettere a posto re Zog. N ei giorni 7 -8 aprile le forze italiane occupavano, con trascurabili incidenti nei porti, l’intera Albania, mentre Z og fuggiva in Grecia, asportando quanto poteva di denaro e di beni, e senza opporre alcuna resistenza” . N on molte settimane dopo, “appena la calma fu ristabilita, gli uomini più rappresentativi di ogni regione d’Albania si riunirono, secondo le tradizioni, in assemblea costituente a Tirana e con voto solenne e unanime offrirono la corona d’Albania al re d’Italia (12 aprile). U na delegazione si recò espressamente a R om a per offrire la corona al re d’Italia, che la accettò. Il 13 aprile il Gran Consiglio del Fascismo, in una riunione straordinaria, salutò con gioia virile l’evento storico, che, sulla base dei secolari vincoli di amicizia associa al popolo e al destino d’Italia il destino e il popolo d’Albania in una più profonda e definitiva unione” .35 D opo la conquista, in Italia si tese a riscrivere ancora una volta il profilo globale dell’Albania edulcorandone

speciosamente tutti i tratti, insistendo sulla sostanziale concordanza di intenti, di modi di sentire e di aspirazioni tra i due popoli posti sulle vicine sponde dell’Adriatico. Però non c ’erano state grandi battaglie da celebrare, gesta eroiche o corruschi orizzonti di gloria da portare ad esempio, suU’Albama - com e invece accadde per l’Afirica - non fu mai prodotto nessun film di successo.36La guerra si era svolta in modo meno aspro che altrove. Il tributo di sangue era stato assai modesto: nei tre giorni 7, 8 e 9 aprile 1939, si contarono 12 caduti (un ufficiale, un sottufficiale, e 10 soldati della truppa) e 81 feriti. E fu solo un brevissimo trafiletto in prima pagina, quello che il Corriere della Sera dedicò alle vittime, benché fosse titolato in m odo drammatico: “l’albo della gloria in Albania”.37 In quella guerra ci furono in realtà episodi imbarazzanti per l’esercito italiano: nella rada di Durazzo le navi arrivarono in ritardo; in particolare “il piroscafo Palatino, sul quale era imbarcato il X V II battaglione Ciclisti, destinato all’occupazione di D urazzo” , che aveva navigato più lentamente a causa della nebbia. Il piroscafo Toscana, destinato ad attraccare con la prima mandata, non poté nemmeno entrare in porto, avendo un pescaggio superiore ai fondali. A nche la nave Miraglio, sulla quale si trovavano i carri leggeri, non poté attraccare subito perché in sua vece era entrato in porto il piroscafo Aquitania,38 Pure l’avanzata verso Tirana incontrò qualche difficoltà poiché “durante la notte, per errore” , dalla base di Durazzo furono inviati “fusti di gasolio invece di benzina, cosicché quasi la totalità dei mezzi ruotati ed i carri” non poterono muoversi per lunghe ore “e dovettero rimanere in attesa della sostituzione del carburante” .39 Nonostante tutto ciò, Alessandro Pavolini sul Corriere della Sera

Si

fece immedesimare i suoi lettori italiani in un’altra storia. N el suo lungo resoconto intitolato A bordo di un trimotore scrisse: “Sono le 7 ,1 5 . C on cronom etrica puntualità lo sbarco incomincia.Passerelle, rivoli di armati. Appena sul molo, istantaneamente i reparti si ricom pongono, senza che il piede del giovane fante indugi neanche un m om ento nella diversità fra la terraferma e l’oscillare della traversata . . . sul lungomare i battaglioni s’addensano a scacchi, le m aone circolano nella rada foltissime . . . s’indovina con una sorta di piacere fisico, nell’aria vibrante di macchine, l’incrociarsi diligente dei comandi radiotelegrafati, segnalati, megafonati. Esercito, marina, aviazione sono tre luci d’una stessa veloce unità . . .Coi suoi moli, le sue casette di musulmana bianchezza, i suoi orti, i suoi alberi di porto e di piazza, la città mostra dapprima in questo risveglio inopinato un volto incerto . . . nell’abitato invece, nel fitto dei muri e dei tetti, fra gli usci serrati e le imposte accostate . . . un m oto, un gesto risalta. E un cittadino qui, uno là un altro e un altro una coppia, una famiglia, un vicinato che manifestano il loro sentimento, agitando verso la nostra apparizione le braccia, in un saluto che passa fra essi e noi”.40 D opo la conquista lo studio della civiltà albanese, della sua storia, dell’arte, delle glorie politiche, dei santi, del folklore, della letteratura si occupò, in modo spesso molto serio e com petente, L a Rivista d ’A lbania diretta da Francesco Ercole, pubblicazione dell’Ispi, il cui primo numero uscì nel 1940. Si trattava di una pubblicazione che faceva capo al Centro di Studi p er L ’A lbania presso la R eale Accademia d ’Italia. In queste pagine l’Albania arcaica scompariva, la sua cultura m odernam ente trattata prendeva form a, si strutturava alla stregua della cultura

35. Giannini 1939:183-187. 36 G on 1988:20.

37. Comere della Sera, 11 aprile 1939; 1.38. M ontanari 1978: 263,

39. Montanari 1978: 267.40. Corriere della Sera, 9 aprile 1939: 2.

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f i l i s i

50 italica. U n sapere interamente libresco sostituì tutti i saperi precedenti, li invertì e li inserì, stemperandoli di ogni velleità autonomistica nel corrente dibattito accademico italiano. Quello che aveva fatto già l’Enciclopedia Italiana, veniva ora ripreso, ma con più pervicacia; con un’opera di ulteriore dissezione, specializzazione e moltiplicazione tematica: il paese fu definitivamente conquistato dagli studiosi e costretto in schemi di pensiero non suoi. E all’interesse già vivo in passato nella cultura italiana per l’Albania, com e scrisse uno studioso sulle colonne della Rivista Storica Italiana, “ dopo il memorabile avvenimento che ha associato i destini dei due paesi” si aggiuge ora “un sentimento più perfetto: la consapevolezza della responsabilità che ormai incom be alla scienza italiana, e a essa sola, di promuovere di organizzare un lavoro sistematico e ciclicamente com pleto” , poiché “l’Albania ha una vita storica e una form a di civiltà soltanto in quanto la sua vita e la sua storia si muovono su piani com uni con la vita e la storia italiana”.41 La limitata circolazione delle pubblicazioni a carattere scientifico-accadem ico non mutarono, nell’opinione della stragrande maggioranza degli italiani, l’idea che l’appropriazione dell’Albania trovava giustificazione nell’idea delTaflratellamento e della sostanziale somiglianza di indole tra i due popoli. L’anno dell’attacco, il 1939, era stato anche l’anno in cui furono ristampate le Lettere Slave di Giuseppe Mazzini, dove, a chiare lettere, nella prefazione del Canfora, ci si premurava di sottolineare l’idea - schiettamente risorgimentale - di una allenza tra i due popoli com e specifica “missione” italiana in Adriatico.42 La stessa cifra interpretativa: due popoli, un unico m odo di sentire,

si rintraccia nei program mi radiofonici. Sul Radiocorriere, una pubblicazione mensile legata insieme a un periodico a larga diffusione com e “La radio rurale”, sul quale si dava conto dei programmi speciali destinati alla scuola, alle forze armate, ai lavoratori, nel marzo del 1940 venne messa in onda una radiocom media per le scuole elementari a firma di Giuseppe M agione. Vi si raccontava la storia di “due giovani legionari” che trovandosi in Albania pochi giorni dopo lo sbarco “delle nostre valorose truppe” , strinsero amicizia “ con un piccolo albanese” , un ragazzino che ritrovarono più tardi in una delle numerose colonie estive, che ospitavano i ragazzi del popolo schipetaro.La com m edia, com e scrisse il Radiocorriere, voleva mostrare la “riconoscenza e l’ammirazione delle genti d’Albania per l’Italia fascista e la loro sincera, affettuosa devozione per il R e e per il D u ce” .43 D opo questa trasmissione venne indetto un concorso, rivolto alle scuole elementari, per il miglior com ponim ento sull’Albania con l’assegnazione di trecento “lussuosi fascicoli illustrativi” ai giovanissimi vincitori.44 Purtroppo quei ragazzi non sarebbero ancora stati adulti che il Paese delle aquile, bellissimo e romanzesco nella propaganda fascista, sarebbe com e svanito nelle lattigini degli orizzonti marini adriatici, preda di altri mostruosi disegni totalitari.

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41. Praga 1940: 206-230.42. Canfora 1939.

43. Radwcomere, marzo 1940 anno VII n. 6:3.44. Radiocorriere, maggio 1940 anno VII n. 8: 4.

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L'aquila e il leoneAlbanesi di ieri e di oggi a Venezia

Saggiofotografico diMarco Bordignon e Michele Lamanna

Con un intervento diLaura Corti

In questa pagina e nelle seguenti, operai albanesi mentre lavorano davanti al convento delle Terese (Dorsoduro).

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L'aquila e il leone

In alto, posto sulla facciata della Scuola degli Albanesi, il bassorilievo rappresenta l'assedio di Scutari da parte dei Turchi.Qui sopra, Calle dei Albanesi, un'altra testimonianza dell'antica presenza albanese a Venezia.

La Scuola degli A lbanesi a Venezia Tra i variegati aspetti del mito di Venezia quello di essere un approdo sicuro è stato ben percepito da tutte le etnie dell’Adriatico. Fin dal 1442 la comunità degli Albanesi ha trovato una sede, presso il monastero di San Gallo in San Severo, dando origine a una di quelle Scuole nazionali che il sistema politico della Serenissima consentiva, in spirito caritativo, per la tutela dei m em bri delle comunità straniere. D a almeno due secoli gli scambi tra alto e basso Adriatico erano costanti. Dalle coste albanesi partivano legname, granaglie e sale e con loro risalivano persone in grado di esercitare i mestieri più vari, soprattutto integrandosi quali maestri vetrai.1 Questa scuola, com e le altre a Venezia, non si connotava solo com e associazione caritativa ma assolveva alle funzioni di banca per amministrare i beni e provvedere al proprio funzionamento. L’esazione di quote associative era il sistema di finanziamento di base e gli introiti venivano devoluti fia l’altro all’organizzazione delle cerimonie funebri dei m em bri e al pagamento del funerale di coloro che non potevano provvedervi.Le scuole si configuravano così com e “le porte d’ingresso alla città eterna”.2 Le frequenti attività devozionali e di pietoso ufficio, inclusa l’assistenza ai malati e agli infermi, erano il cem ento di una comunità in cui non si faceva distinzione di ceto e censo, per quanto fosse consentito, limitatamente all’assistenza e non certo alle pratiche devote, provvedere finanziariamente e non personalmente.La confraternita degli Albanesi venne abolita dopo un solo anno dalla sua costituzione, nel 1443 , per la pretestuosa ragione che non erano Veneziani, anche

se già esistevano le scuole dei Milanesi, dei Fiorentini e dei Lucchesi.3 N ell’arco di pochi anni (1448) però la comunità è riconosciuta e legittimata, questa volta non più in San Gallo ma in San Maurizio, dove si riuniva in “dua albergia sive duas cameras”, addossati al campanile della chiesa e concessi in enfiteusi dal piovano.4 L’arrivo di numerosi profughi dopo la caduta di Scutari del 1497 rese necessario dare avvio alla costruzione di una sede più ampia e accogliente. I lavori vennero avviati allo scorcio del X V secolo, probabilmente in m odo sommesso, dato che nella pianta di Jacopo dei Barbari, che a volo d’uccello rileva impeccabilmente la topografia veneziana nel 1500 , non è possibile individuare l’edificio, almeno nella struttura ancora oggi esistente, seppure con una mutata destinazione d’uso.5 Dai documenti si ricava che i lavori procedevano con regolarità: nel 1502 pavimenti e soffitti sono messi in posa.6 Q uanto alla facciata con il rilievo “Scutari di pietra viva” la mariegola della scuola (il libro nel quale oltre allo statuto si registravano i nom i di tutti gli afferenti e affiliati alle scuole) la dice realizzata neU’anno 1532, ed evidentemente avviata l’anno precedente, com e recita l’iscrizione inserita in facciata stessa, nella quale sono ricordati “Tomaso Momali Gastaldo et N icolo Casi berrettano vicario”, gli stessi funzionari che la mariegola attesta aver provveduto alla erezione della facciata.Il rivestimento di pietra d’Istria con il bassorilievo rappresenta l’aspra contrada nella quale si erge la roccaforte di Scutari, dalla quale si affaccia un eroico difensore che si è voluto riconoscere com e Giorgio Castriota Scanderberg (m orto nel 1468), malgrado l’iscrizione

1. M oretti 1998:5-6.2. Fortini Brown 1996:322-323.3. Giraudo 1998: 81; Ortalli 2001: 75.

4. Borean 1994:25.5. Frantoi, D i Stefano 1976: 330.6. Moretti 1998:13-14.

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L'aquila e il leone

A SED IO S EG N D O

e la data rovesciata 1474. Ai piedi del m onte esulta, a mezzo rilievo, il vincitore M aom etto II con la spada sguainata, seguito dal gran vizir.La storietta è delimitata in alto da un cornicione sul quale sono scolpiti gli stemmi degli ultimi difensori: il provveditore Antonio Loredan (1474) e Antonio Da Lezze (1479). L’iscrizione voluta dalla comunità, grata dell’ospitale ricovero a Venezia, posta al fondo della lastra, recita:

S C O D R E N S E S E G R E G I(A )E SU(A )E IN V E N E T A M R E M P(U B LIC A M ) FID EI E T SEN A TU S IN (SE) V E N E T I B E N E F IC E N C I(A )E SIN G U LA R IS (A )E T E R N U (M ) H O C M O N IM E N T U M P (O S U E R U N T )

La presenza di tante e così dettagliate iscrizioni, non certam ente consuete sulle facciate delle scuole veneziane, fa ritenere che la comunità albanese, l’ultima in ordine di tem po a costituirsi com e scuola nazionale, tenesse non solo a connotarsi in m odo esplicito, ma anche e soprattutto nelle sue strette interrelazioni con la Serenissima. E anche da rilevare che l’impianto della scena ha un taglio compositivo assai prossimo all’episodio dell’ingresso dei veneziani a Scutari, scolpito sulla sinistra dell’arca della tom ba del doge Pietro M ocenigo, m orto nel 1476 , eretta in controfacciata di San Giovanni e Paolo da Pietro Lombardo con la collaborazione dei figli Tullio e A ntonio a partire da quello stesso anno e completata entro il 1 4 8 1 .7 E del tutto probabile che il lapicida che ha realizzato la lastra abbia preso

a modello l’opera dei Lombardo appunto, semplificandola. Tullio era ancora vivo nel 1532 e gestiva una florida bottega per la quale in altre occasioni è verificabile la prassi del reimpiego di uno stesso modello, com e ad esempio quello della Guarigione di A m ano, scolpita sulla facciata della Scuola Grande di San M arco poi risagomata in lunetta e semplificata nella scuoletta dei Calegheri in San Tomà. Nella facciata della Scuola degli Albanesi, sulla cornice marcapiano, insistono tre mezzi rilievi in pietra d’Istria anch’essi di controversa attribuzione8, raffiguranti nell’ordine San Gallo, la M adonna con il Bambino e San Maurizio, protettori della confraternita, nel rispetto della sequenza di ospitalità territoriale.E un caso assolutamente unico. Infatti le altre scuole nazionali importavano i propri santi protettori: i lucchesi il Volto Santo, i fiorentini san Giovanni Battista, i milanesi Sant’A m brogio; i Dalmati San Giorgio e San Trifone. Gli Albanesi invece offrono patti di devozione ai santi già venerati nelle chiese presso le quali hanno trovato ricetto. L o conferma il fatto che nella mariegola si fa espresso divieto a tutti di lavorare nel giorno della festa di San Gallo. Essendo l’unica scuola che ha sentito la necessità di stabilire tale regola, sembra chiaro che essa sia stata dettata dalla estraneità del culto di quel santo nella prassi devozionale dei suoi mem bri. In effetti la vera protettrice che essi hanno im portato è la M adonna di Scutari, che siede con il figlio in braccio al centro del bassorilievo in facciata, tanto che a lei è dedicato il ciclo pittorico che si trovava all’interno. Peraltro anche la mariegola conservata in Marciana ha com e avamporta l’immagine della Signora di Scutari.9 U n divieto

del Consiglio dei D ieci, non così rigidamente osservato, impediva di intitolare a uno stesso santo più di una confraternita. Svariate altre scuole a Venezia erano nel titolo della Vergine, e tutte più antiche di quella degli Albanesi, e forse è questa la ragione per la quale le si è preferito un santo m onaco d’origine irlandese (San Gallo) e un santo guerriero della legione tebana (San M aurizio), dei quali però non sembra essere stata mai raffigurata nella scuola una qualche storia.Il ciclo pittorico all’interno era costituito da sei Storie della Vergine dipinte da Carpaccio, commissionate negli stessi anni in cui si costruiva la nuova sede.Tre dei teleri sono ancora a Venezia, due alla Cà d’O ro e uno al Correr, uno è all’Accademia Carrara a Bergam o e due alla Pinacoteca di Brera a M ilano.10 Allo scorcio del X V III secolo la comunità degli Albanesi era talmente assottigliata che il Consiglio dei D ieci il 5 settembre 178 0 decise di espropriare la sede per concederla alla Scuola dei Pistori (fornai), che ne ebbe cura fino

al 22 marzo 1808 , allorché fu soppressa per decreto napoleonico, com e tutte le altre corporazioni.Compulsando i due esemplari di mariegola rimasti, l’uno all’Archivio di Stato di Venezia11 e l’altro alla Biblioteca M arciana si possono cogliere talune differenze tutte albanesi a deroga delle norm e com uni alle altre Scuole, ad esempio l’età di accesso al sodalizio: “tutti li fratelli e sorelle da cinque anni in su sono tenuti d ’andar alle processioni ordinate”.12 U n massaro amministrava le proprietà immobiliari ed era incaricato, in alternativa al gastaldo, di riscuotere le multe inflitte a chi non si confessava il giovedì santo (10 soldi) o bestemmiava

7. Piana, Wolters 2003: 132.8 Pignam 1981:98-99.9. Biblioteca Nazionale Marciana, It.VII, 737 (8666) in

Albania, immagini 1998: 35.10, Borean 1994:21-72.11. Archivio di Stato di Venezia, PC, reg. U, cc. 33-102 v. in

Ortalli 200112. Cit. in Ortalli 2001:30.

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L'aquila e il leone

m u5* o genericam ente com m etteva scandalo.13

Sia massaro che gastaldo però, ancora a differenza di tutte le altre scuole, dovevano essere albanesi.14 La comunità, tanto numerosa da avere svariate calli a sé intitolate in tutti i sestieri di Venezia, era composta per larga parte da artigiani ma anche da ecclesiastici del basso clero e in m inor num ero anche da rappresentanti delle professioni liberali quali medici ed insegnanti15, m entre alla scuola afferivano anche donne e anzi le albanesi sono state le prim e ad “aver tolella” , esattamente com e gli uom ini.16

Tomba monumentale del doge Pietro Mocenigo realizzata nella chiesa di S. Giovanni e Paolo fra il 1476 e il 1481.

Riferim enti bibliograficiALBANIA, IM M AGINI 1998Albania, immagmi e documenti dalla Biblioteca NazionaleMarnano e dalle collezioni del Museo Correr di Venezia, Tirana,Istituto Italiano di CulturaB O R E A N 1994L. Borean, Nuove proposte e interpretazioni per le storie della Vergine di Carpaccio nella Scuola degli Albanesi, in Saggi e Mentone di Storia dell’Arte, X IX FO R T IN I B R O W N 1996 P. Fortini Brown, Le 'Scuole', in Stona di Venezia, 5,Il Rinascimento. Società ed economia, a cura di A. Tenentie A. Pertusi, R om aF R A N Z O I, DI STEFA NO 1976U. Franzoi e D. D i Stefano, Le chiese di Venezia,Venezia, Alfieri G IR A U D O 1998G. Giraudo, Manoscritti riguardanti 1‘Albania nella Biblioteca del Musco Correr di Venezia (XV-XIX), in Albania, immagini M O R E T T I 1998S. M oretti, Cli Albanesi a Venezia tra X IV e X VI secolo, in La città italiana e i luoghi degli stranieri, a cura di D, Calabi e P. Lanaro, Bari, Laterza N A D IN 1998L. N adin, Albania in Venezia, in Albania, immagini ORTALLI 2001F. Ortalli, "Per salute delle anime e delli corpi ” Scuole piccole a Venezia nel tardo Medioevo, Venezia, Marsilio PIANA, W O LTERS 2003M . Piana e W Wolters, (a cura di) Santa Maria dei Miracoli a Venezia: la storia, la fabbrica e i restauri,Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti PIG N A TTI 1981T. Pignatti, (a cura di). Le Scuole di Venezia, Milano, Electa

13. Ortalli 2001: 170.14. Ortalli 2001: 175.15. Nadin 1998: 16-18.16. Nelle scuole più anoche le donne non erano a tolella, ovvero non avevano la tavoletta di legno con il proprio nome, sorta di tessera di iscrizione, da appendere ad un cancello, sulla quale venivano registrad crediti e debiti. Ortalli 2001:36-37,123.

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Sillabari per un'amiciziaL'Italia nei testi delle scuole albanesi fra Ottocento e Novecento

Njasi K azaz i Islam D izdari

Traduzione diLindita K azaz i Spartak Sokoli Aterda Zaganjori

IntroduzioneI contatti fra l’Italia e l’Albania sono passati anche attraverso le scuole, italiane in Albania e albanesi in Italia. Celebre la “scuola piccola degli albanesi” che già nel 1502 gli scutarini aprirono a Venezia, dove insegnarono M arin Becikem i e Leonik Tom eo, entrambi in possesso di una solida cultura umanistica. Si trattava di una associazione che forniva aiuto e assistenza e nella quale, in lingua albanese, venivano impartiti anche insegnamenti di cultura generale, di latino e di greco .1 M a gli scambi culturali fluirono anche lungo canali m eno illustri della famosa scuola veneziana.D opo la scomparsa di Giorgio Castriota Scanderbeg e l’estensione del dominio turco, molte famiglie, eredi di una tradizione culturale già ben consolidata, emigrarono in Italia, dove fondarono comunità albanesi che conservano tuttora la propria identità. Gli Albanesi furono sistemati dal re di Napoli nelle regioni più povere del Sud d’Italia, nei sobborghi di Basilicata, Molise, Puglia, Capitanata e particolarm ente in Sicilia. N el X V III secolo le attività culturali degli arbëresh diventarono alquanto intense portando alla nascita di due collegi, uno in Calabria l’altro in Sicilia (rispettivamente nel 1732 e nel 1734), dove si form arono chierici che avrebbero dato il loro contributo anche alla vita letteraria e artistica, occupandosi soprattutto di tradurre opere di carattere didascalico e religioso, e più raramente scrivendo opere originali.I più conosciuti tra gli autori arbëresh della Sicilia furono Leke Matrenga, Nikolle Brankati, Nikolle Filja, Gavril Dara il Vecchio, Nikolle Reta. In Calabria si conosce JulVariboba. Solo più tardi la letteratura degli arbëresh avrà una connotazione letteraria distinguendosi nella

1. Maket 1990: 14.2. Per queso e altri dati sulla presenza degli studenti albanesi

produzione del cosiddetto “Rinascim ento albanese” . C on questa definizione viene indicato il periodo di rinascita culturale che coincise con il movim ento nazionale per l’indipendenza fra X I X e X X secolo. Questi gli esponenti arbëresh maggiorm ente degni di m enzione:Jeronim de R ada.V inçenz Dorsa, D himiter Kamarda, G. Dara il Giovane, Z e f Serembe, Françesk Anton Santori,Vincenc Startigoi, Z e f Skiroi, Frano Krispi-Gllaviano, Albert Stratikoi, Mikel Markjanai.In questa fase anche i collegi, soprattutto religiosi, contribuirono allo sviluppo culturale e alla salvaguardia della lingua albanese. N el collegio di S. M itro, dove insegnò anche il D e Rada, si form ò un gran numero di intellettuali e studiosi di vari campi. Si distinguono Luigj Gurakuqi, Kol Kamsi, Avni Rustem i, R exh ep Dizdari. In base all’accordo tra Austria e Turchia e grazie all’interessamento del Vaticano, presso molte parrocchie albanesi furono aperte delle scuole per i bambini della comunità cattolica, dove le lezioni si svolgevano in italiano e l’albanese era una materia fra tante. Inoltre ci fu l’apertura da parte del governo italiano di tante altre scuole elementari private e scuole professionali. In periodi diversi, in base alle necessità educative e interessi politici venne mandato in Italia un numero considerevole di studenti a proseguire gli studi in varie scuole di diverse categorie.I primi dati sugli studenti albanesi in Italia risalgono al 1 6 6 0 -7 0 2, ma occorre giungere ai primi del N ovecento per avere in proposito dei dati più sicuri: nel 1921 da 121 studenti che studiavano all’estero (con b on e accordate dallo stato e a proprie spese) 52 erano in Italia.3 E in Italia venne pubblicata una serie considerevole di testi linguistici, letterari, scientifici, educativi,

in Italia vediVerducci 1978.3. Mikeli 1921:205.

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*o nonché giornali e riviste in albaneseo in entrambe le lingue, italiano e albanese, com e ad esempio L'albanese d ’Italia e Flamuri i Arbrit {La bandiera dell’albanese) che contribuirono alla causa nazionale albanese. In appendice abbiamo fornito un elenco di testi scolastici albanesi pubblicati fra O ttocento e N ovecento in Albania e in Italia. Di una parte di questi testi presenteremo ora il contenuto segnalando i più emblematici e illustrando le problematiche storiche connesse. Abbiamo classificato i Libri in abbecedari, libri di lettura e testi di storia.

Lingua c N azioneSul finire dell’O ttocento , tra i tanti problemi che aspettavano di essere risolti, una particolare attenzione richiedeva la questione di un alfabeto com une per tutti gli albanesi e la normalizzazione della lingua scritta. C iò doveva avvenire insieme alla liberazione nazionale perché, com e scriveva uno dei rappresentanti del “Rinascim ento albanese”, Sami Frashëri, “è giunto il m om ento che anche gli albanesi imparino a scrivere e a leggere la loro lingua, per poter salvaguardare la nazione”.4 La questione dell’alfabeto si impose soprattutto nella seconda metà del X I X secolo, quando il m ovim ento per la liberazione nazionale e sociale andava di pari passo con la lotta per il sapere, per il diritto all’istruzione e la sopravvivenza della lingua albanese. Associazioni di albanesi si trovano anche a Istanbul, alla fine degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘7 0 del X I X secolo allo scopo di dare alla lingua albanese, com e diceva JaniV reto, “un alfabeto completo, bello e conosciuto” . Fino all’adozione dell’alfabeto di Istanbul, nel 1879, ci furono quattro principali correnti di pensiero: a favore di un alfabeto arabo, per un alfabeto a base

latina, per un alfabeto originale e infine per un alfabeto greco completato da quello latino.5 Fu l’idea dell’alfabeto latino a prevalere.Per gli intellettuali del “R inascim ento” , l’apertura delle scuole nazionali, insieme alla formazione di un sistema scolastico in tutto il paese, era una condizione indispensabile per la realizzazione di un grande programma nel campo della cultura. Da questo punto di vista la pubblicazione degli abbecedari in lingua albanese era uno dei mezzi più sicuri per insegnare alla massa la correttezza della lingua scritta. La via per la liberazione nazionale, secondo i patrioti albanesi, andava percorsa attraverso la lingua perché “le nazioni si fondano sulla lingua; una nazione che perde la propria lingua è perduta e dimenticata . . . L’uom o non si perde, ma se cambia la lingua cambia anche la nazione e appartiene a un’altra nazione”.6Pubblicato a Istanbul nel 1879 solo pochi mesi dopo l’approvazione dell’ “ alfabeto di Istanbul” , Alfabetare e gluhese shqip (Abbecedario di lingua albanese) ha una particolare importanza nella storia dei testi scolastici. Q uesto abbecedario era stato costruito in m odo tale da contenere alcune materie scolastiche e servire così da testo base per le scuole elementari che sarebbero state aperte in quel periodo.Si tratta di un’opera collettiva in cui sono inclusi scritti di quattro intellettuali del “Rinascim ento albanese” . Fra questi i testi di maggior interesse sono Dheshkronje (Geografia) di Sami Frashëri e Shqypnija e Shqyptart (L ’A lbania e g li Albanesi) di Pashko Vasa. Nella sezione geografica, dopo una descrizione generale della Terra, si presentano i continenti e i diversi stati del mondo. Tra i paesi vicini si descrive ovviamente anche l’Itaha che è inserita

tra i grandi regni insieme a Russia, Francia, Prussia, Inghilterra, Austria, Turchia. Descrivendo il regno d’Italia l’autore spiega: “l’Italia ha 26 milioni di abitanti e ha com e capitale R o m a con 2 0 0 .0 0 0 abitanti. Questa città è anche la città del Papa, il prim o dei cattolici”.7 Più lunga è la parte che attiene alla storia (Shqypnija e shqyptart). In questa parte si descrivono anche i rapporti dell’Albania con l’Italia, partendo addirittura dalle guerre fra gli antichi R om an i e gli Ilhri. C om e si nota anche in altri testi delle elementari, questo periodo viene sempre raccontato nei dettagli per illustrare i contatti di questi due popoli fin dall’antichità. Delle trentasei pagine di storia, sette vengono dedicate a questo periodo. Si descrivono le battaglie di Pirro re dell’Epiro, il quale secondo l’autore " . . . ha fatto molte battaglie e anche se in quasi tutte ha vinto sui R om an i, tuttavia questi ultimi hanno com battuto con grande coraggio; di conseguenza Pirro perse la maggior parte del suo esercito e trovandosi in tali condizioni disse:Se vincessi un’altra guerra com e questa avrei perso” .8 In seguito si danno notizie sulle battaglie dei R om an i in Illiria e sulla sua sottomissione. M a l’autore mette in evidenza c h e :“ . . . anche se l’Albania subì tutto questo, non si deve credere che gli Albanesi abbiano consegnato le armi e si siano sottomessi ai R om ani. I veri R om an i seppero conoscere e onorare il coraggio degli Albanesi ed è per questo che l’Albania non perse il suo splendore e spesso i R om an i presero molti soldati albanesi creando degli eserciti, che furono chiamati legioni illiriche” .9 La sovrapposizione fra Albanesi e Illiri ha una chiara valenza ideologica e va interpretata in chiave nazionalista. N ell’ultimo decennio del X I X secolo,

4. Frashëri 1879:29.5. Osmam 1987:17-173.

6. Frashcn 1879:27-28.7. Frashëri 1879: 73.

8. Frashëri 1879:51.9. Frashëri 1879:57.

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nella Biblioteca pedagogica albanese, fu pubblicato un esile volumetto intitolato Oroe perm i abetare shcyp (Osservazioni sopra l ’alfabeto albanese). A carattere scientifico- didattico, il volume serviva allo studio dell’albanese scritto anche per gli italiani che avessero voluto apprendere questa lingua. E infatti un testo bilingue in italiano e albanese (la parte in lingua italiana è a piè di pagina). Fin dall’inizio si mette in evidenza lo scopo dell’opera: “ Ogni albanese, che veramente ama il paese nativo, porta scolpito in mezzo al cuore il desiderio di vedere la lingua che parla crescente e luminosa nella cultura e nella scienza”.10 Il testo, scritto in alfabeto scutarino, è anonimo, ma pensiamo che appartenga a qualche studioso in possesso di una vasta cultura linguistica che conosceva molto bene anche 1’italiano. L’autore fa uso di una term inologia simile a quella in uso nelle pubblicazioni degli autori scutarini della fine del secolo X I X .Il contenuto del libro, la tecnica della stampa e la forma delle lettere usate ci fanno credere che possa essere stato pubblicato negli ultimi anni del X I X secolo a Napoli, dove pochi anni dopo venne stampato anche l’abbecedario di Luigj Gurakuqi del 1905 . Il fatto che questo testo possa avere com e autore uno straniero ci pare inaccettabile, perché il dialetto è peculiare e i term ini usati si riscontrano anche in altre pubblicazioni autenticamente albanesi del tempo.Particolare interesse presenta la prefazione di questo manuale. In essa l’autore espone una delle questioni più importanti della sua epoca: la form azione dell’alfabeto com une. Q uesto è anche lo scopo principale che spinge l’autore a pubblicare il libro, in cui esprime il suo parere favorevole alla adozione dell’alfabeto latino,

10. Oroe s.a.: 111. Oroe s.a.; 2

aggiungendo però che c ’è bisogno di altri suoni-lettere, in m odo che si adatti alla fonetica albanese. Caratterizzato da un forte sentimento patriottico, il testo esprime due convincim enti in linea coi tempi: la diffusione della lingua com e simbolo della nazione e la lingua com e mezzo di cultura che aiuta a progredire. Per raggiungere tali obbiettivi sarebbe stato necessario fondare un alfabeto com une e diffonderlo tramite le pubblicazioni. Così infatti sostiene l’autore nell’introduzione: “ il concorso da tutte le parti dell’Albania sembra assai pressante particolarm ente nell’iniziare l’unificazione del nostro linguaggio. . .” .11

l'n maestro istriano a Saltari: Caspare Bcnussi Gasper (Gaspare) Benussi è entrato nella storia dell’educazione scolastica albanese com e insegnante di lingua albanese e autore di testi scolastici. Suo padre, Gjergj (Giorgio Bernardo Benussi), originario di R ovigno, un piccolo centro nella regione dell’Istria, abitava a Scutari (era com m erciante, capitano di nave, laureato all’Accademia Marittima di Trieste verso il 1823) e più tardi fu invitato a lavorare presso i Bushatllinj di Scutari com e artigliere.12 Qualche anno dopo aprì una scuola elementare a Scutari dove insegnava ai bambini la lingua italiana e più tardi anche l’albanese. Rispetto alle scuole aperte in quegli anni a Scutari, quella di Benussi, era tra le più complete per quanto riguarda l’assetto didattico.N el 1856 siccome gli alunni di Benussi aumentarono, “alcuni ricchi di Scutari si riunirono al negozio di Engjell Ceka per discutere sulla fondazione di una scuola pubblica regolare. Furono portati tre insegnanti d’italiano chiamati M ark Bebeschini, Gjuriq e Luigj Katraniqi”.13

12. Su Benussi vd. Prendushi 1961, Kazazi 2001; Benussi 2002:1313. Qafèzezi 1936:130

Permi Abétaar Shcyp.Saa iàne Shcyptare ùì^pergniniòtui e daen vónnin

kù kan leo, e kane tfngûïun n’miédis tfxémers di- Bhirin me e paa giûhen ci flasin n’ t* tiritan e n’ shkel- xim f godiis e t diés. E t* birt e Shcypniìs eh’ motit ia kiehin chile ket rrugo moa tfkifihm kéne f vesti tìrafc e vénnit tfgnoftuna prei githkuei ci i kane nnale me a perbàa ir bashkira per ket névoie.

Si f chumun prei f vetteh ghashte ia alitato véte, io mirfilìit mäa t’ dish mit, por po liner mfta f vull- bnéteshmit sikursfe vétmisht ia oisen ksai pftne, è tìéter s’ dißhroine por zmtmen e shokvét tfiu dali mò nneer.

E , masi ghith shkah àsht rishtaa per ta nnlma prei ghith vinnévét f Shòypniis ia dakét fort e né-

Osservazionisopra r Alfabeto Albanese

O gni A lbanese, ch e veram ente am a il p aese nativo, porta sco lp ito in m ezzo al cuore il desiderio «lì ved ere la lingua ch e parla c re sc e n te e lum inosa nella co ltu ra e nella scienza. Ï figli d e l l Albania da tem po le avrebbero aperta qu esta via, s e non fo ssero state le d ifficolta locali a tu tti n o te ch e gli bann o im pediti dal form are una socie tà a q u est' uopo.

Q uasi in carica te dai propri conn azion ali, se i o se tte per­son e, non certo le più c a p a c i, ma s e n ta dubbio fra le più v olen terose i in form à privata in trap resero q u e s t’ o p era , ed altro no n bram ano s e non il co n co rso dei loro fra te lli poi buon risu ltato della m edesim a.

E p oich é ogn i co sa p er essi r ie sce nuova, il co n co rso da tu tto lo parli deir Albania loro s cm hra assai p ressante, par*

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1890.

In alto, introduzione dell'abbecedario bilingue pubblicato alla fine del XIX secolo da un anonimo scutarino. Qui sopra, copertina dell'abbecedario di Gaspare Benussi.

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~~B218. Italia.

Italia àsct gni t e e i giàascim, ci i i i r e t bah a R urops, c Irjn 31 milm from Feja katolikut atu e kaa_ n d o r rughen e giàgen

A sct 8 efu m e F ra o ie n e m e dee t M editerraneo kah prenimi; kah mieanata m e Svizzere» e m e Au- stnm ; kah t'Iaem it m e A ustnin prep e m e d e i t A- driatik; kah miesdibi m e dee t M editerraneo- Scehri i par, salia regit àsct Rom a, m e 8 0 0 ,0 0 0 frem ; alu àsc t e i ò sella l’aps. ci sunon t 'g ic s . feen e katoli­kut; liera scehre fp ern u -n iin a jan , T o n n o . Genova, Milano, Parm a, Bologna, Ancona, F irenze , Napoli, Venezia elj.

Ciet perjjscta pèm g ita fa r s c , m nas oa, vói, orie, Idn etj.

ia ie io iulia lie lio liu

dalia, dalie, Itone, liuto, balia,balie, celia, celie,

ilalia.

rom a; n àp o li; b a r i ; ancona; m ilano; torino; génova; Cùneo; Udine; p is a ;

Siracusa; p o ; tènere.

l ’ ila lia men detta il giardino d'europa. ( I t a l ja q n h e t lu lia h U e E u ro p ea).

l ’ ila lia è una penisola. ( I t a l ja (u h i n jl ¿ a d ì ,h u lls ).

I italici vanta isole belle e città gloriose.( I t o t i» k l i ih n llo ta b u k u ra e q y te te te In m n u im o ).

In alto, sommaria descrizione dell'Italia nel libro di letture di Gaspare Benussi (Scutari 1890, 1897).Qui sopra, una pagina del sillabario bilingue (ed. Vallardi, 1912).

D opo la m orte di Gjergj, il figlio Gasper, continuò il lavoro nella scuola dove aveva lavorato il padre, diventando noto com e autore di testi scolastici. Tra i suoi libri sull’apprendimento dell’albanese scritto possiamo citare: Abetare e gjuhësë shqyp (Abbecedario di lingua albanese) di Gasper Benussi lo scutarino, stampato dalla casa editrice “Dituria” a Bucarest in tre edizioni (1 8 8 6 ,1 8 9 0 ,1 8 9 7 ) e Sciyptari i msuem n ’giuh t’vet. Liber i nevoishem per shkolla e p er popull (L ’albanese padrone della propria lingua. Libro utile per le scuole e per il popolo), pubblicato a Scutari nel 1890 e nel 1897. D i notevole interesse è la seconda pubblicazione (Sciyptari i msuem n ’giuh t’vet) perché si tratta di un manuale utile per tutti gli studenti (piccoli e grandi) che abbiano già appreso qualcosa nella lingua materna e che, utilizzando questo testo, non solo potevano esercitarsi, ma anche apprendere la storia, la geografia, la matem atica, insomma conoscenze indispensabili per la vita quotidiana. U na parte funge da libro di lettura con racconti e aneddoti moralistici; altre pagine narrano di eventi storici (per esempio Caio Fabrizio che lotta contro Pirro). Inoltre l’autore dedica la terza parte alla geografia, dove l’Italia occupa un posto rilevante: “L’Italia è denominata giardino d’Europa e ha 3 1 .0 0 0 .0 0 0 abitanti... Tra le città più grandi c ’è R om a, che è la sede del governo, con 8 0 0 .0 0 0 abitanti” .Quasi cento pagine del libro vengono dedicate all’insegnamento della lingua italiana, in m odo che ogni persona interessata, tramite l’albanese scritto, potesse studiare anche l’italiano indispensabile negli affari comm erciali. Questa parte com incia con una rassegna di parole utili, divise per ambito e uso. Si passa poi alla grammatica con rudimenti sulla morfologia del verbo e del sostantivo. U na parte consistente viene dedicata alla lingua viva con situazioni-tipo (il saluto, la visita, la scuola, l’incontro, l’ora, cambiar moneta

ecc.), con alcune frasi utili e con un gran num ero di lettere familiari e comm erciali che potevano essere usate nella vita quotidiana. Le ultime pagine del libro che contengono una parte della storia universale e dell’Albania, mostrano la cultura e la formazione storica di Benussi.La cronologia degli eventi inizia nel 4 0 0 0 a.C . e arriva fino al 1878 , al Congresso di Berlino. Per quanto riguarda la storia antica, com e in altri testi, vengono citati l’anno 281 a.C . quando “Pirro alla testa di tutte le forze dell’Epiro, di Tessaglia e di M acedonia passa in Italia per combattere i R om an i, conducendo seco degli elefanti, animali ignoti a quel popolo. Vincitore in due battaglie e poi sconfitto nella terza da Fabrizio”; l’anno 200 a.C. quando i Rom ani passano in Grecia e in M acedonia; l’anno 168 a.C . quando sconfiggono l’ultimo re illirico, Gentio. Per la storia italiana cita invece il 4 7 6 (la caduta dell’Impero romano), il 697 (la fondazione della città diVenezia), il 15 1 2 (Papa Giulio II che pone le fondamenta della cattedrale di San Pietro a R o m a).

I s illa b a r i bilingui (albanese - italiano) c l ’apprendimento della lingua scrittaLa tradizione degli abbecedari bilingui continua e fiorisce nel periodo dell’indipendenza ottenuta nel 1912 .In questi anni ci furono molte edizioni di testi di scuola indispensabili per l’insegnamento che furono pubblicati sia in Albania, sia all’estero.Dalla casa editrice “A ntonio Vallardi” furono pubblicati in m eno di due anni due testi anonimi sull’insegnamento della lingua scritta albanese: Abetari p ër fm it qi mësojnë shqip-italisht/ Il sillabario p er i bambini che studiano albanese-italiano - Per mësimoret e Shqipëriës/ Per le scuole d ’Albania, gennaio 1912 ; e Përkryesimi i abetarit shqyp-italisht, p ër msimoret e Shqypniës/II complemento del sillabario albanese-italiano,

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Sillabari per un'amicizia

M. LA P I A N A

SILLABARIOalbanese-italiano

connote sulla pronunzia

e l’ortografia

A B E T A Rshqyp-italishte

miv esh trim è m b i sh q y p etim in

d h è ortho giap l| Ien

P téii è pire

w wT T

In alto, frontespizio del sillabario di Marco La Piana.Qui sopra, l'elegante copertina dell'abbecedario di Luigi Gurakuqi (Napoli, 1905).

per le scuole d ’A lbania, testo di lettura, novembre 1913. Questi testi si differenziano m olto dagli altri coevi per il contenuto, nel m etodo didattico e per le tecniche di stampa. Senza voler approfondire l’analisi14, presentiamo alcune caratteristiche che più ci interessano.I due testi form ano un unico volume di centoventi pagine pubblicato secondo il modello dei manuali italiani, ma con una tecnica migliore di quelli stampati in Albania. C om e si può ben capire anche dal titolo, sono libri “për finit qi mësojnë shqip-italisht” (per i bambini che studiano albanese-italiano) e “për mësimoret e Shqipëriës” (per le scuole d ’Albania). Visto che, quando questi testi furono pubblicati, nel N ord e nel Sud dell’Albania erano state aperte alcune scuole, pensiamo che essi fossero destinati proprio a esse.I testi erano nelle due lingue, ma diversamente dai titoli si cominciava dall’italiano. Attraverso questo abbecedarioi bambini, partendo dall’italiano, imparavano a leggere e scrivere in due lingue. I brani di lettura scelti, generalmente testi brevi, particolarm ente nel Përkryesimi (Il complemento), sono posti in una pagina, l’uno vicino all’altro, con lo scopo di aiutare i ragazzi nell’apprendimento logico e pratico della lingua scritta.L’Abetari (Il sillabario) si divide in due parti. Nella prima parte l’italiano occupa quasi la totalità dello spazio e ci sono pochissime spiegazioni e parole albanesi. M entre la seconda parte è molto breve ed è scritta totalm ente in albanese, con le lettere specifiche di quell’alfabeto.I due testi hanno delle carenze, il che ci fa capire che gli autori non avevano una padronanza perfetta dell’albanese. Com unque sia essi occupano un posto m olto im portante nella storia degli abbecedari albanesi, perché da] punto di vista didattico fanno uso di metodi

14. Osmani, Kazazi 2000: 183-188.

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all’avanguardia nell’insegnamento della 83lingua madre e sono apprezzabili anche nell’impianto grafico.U n altro manuale bilingue degno di nota è il sillabario dell’arbëresh M arco La Piana, pubblicato dalla tipografia italiana di Valona nel 1917 . M arco La Piana, autore di alcuni testi linguistici nell’ambito della storia della lingua e della fonetica storica, aveva occupato il posto di ispettore scolastico a Valona. I suoi lavori furono pensati per le scuole di questa zona che erano sotto l’amministrazione italiana. Infatti nel suo sillabario l’italiano è la prima lingua, mentre l’albanese è in secondo piano.La scelta dell’autore di voler insegnare l’albanese partendo da esempi e spiegazioni in italiano è com une anche agli altri sillabari bilingui, m a, com e avviene anche in testi analoghi, il manuale presenta molti errori linguistici, grammaticali e ortografici.E chiaro che l’autore non aveva una padronanza totale della lingua albanese.M olte parole e sintagmi infatti non sono propri dell’albanese corrente.

L'abbecedario di Luigi Gurakuqi Luigj Gurakuqi è una figura di spicco nella storia albanese: fu politico e diplomatico, linguista, poeta, narratore, critico letterario e traduttore, docente e ministro dell’educazione nel primo governo albanese, direttore della “Scuola normale” di Elbasan nel 1909 (la prima scuola media superiore per la form azione degli insegnanti in Albania). Oltre agli altri testi, in un breve periodo di tem po di otto anni, Luigi Gurakuqi ha dato alla scuola albanese tre abbecedari dei quali degno di nota è A betari p er M soitore Filltare t ’Shqcypniis- Primo libro, pubblicato a Napoli nel 1905.Il testo in questione è di grande interesse sia perché è stato pubblicato a Napoli sia perché le tecniche dell’edizione sono quelle utilizzate nei testi italiani. Il testo

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è stato pubblicato anonimo, ma nei circoli pedagogici è riconosciuto com e un’edizione di Luigi Gurakuqi. L’autore, essendo stato studente del collegio di San M itro Corona, in Calabria, aveva potuto aggiornarsi sui più moderni m etodi in uso in Europa.

M anuali storici c propaganda nazionale Bisogna innanzitutto distinguere tra manuali storici a uso delle scuole e saggi pensati per un pubblico più vasto. Attraverso la schedatura dei manuali che abbiamo ritenuto più significativi emerge in maniera abbastanza evidente com e, a parte il differente livello di approfondimento ed esposizione a seconda del target, gli autori, che scrivono in un m om ento critico e decisivo della loro storia nazionale, cerchino di individuare gli atti fondanti l’identità del popolo albanese, riservando al rapporto con la penisola italiana

un posto particolare in questa ricerca celebrativa. U no spazio considerevole viene dedicato al passato illirico, cui è associata la conquista romana, e alle imprese di Scanderbeg, l’eroe nazionale albanese che con gli Stati italiani ebbe molteplici e talvolta difficili rapporti. In entrambii casi gli episodi narrati concorrono alla costruzione di un’identità storica, che può assumere valenza antagonista, con la caratterizzazione in negativo degli interventi “italiani” , oppure assorbire in una prospettiva più ecum enica e m eno moraleggiante la complessità della storia passata. Il trattamento dei dati storici non differisce m olto rispetto all’uso che viene loro riservato nei manuali di grammatica, solo che qui gli eventi di storia patria, a carattere puramente esemplificativo in quanto finalizzati all’apprendimento della lingua, sono narrati in m odo elementare, anche se l’intento

celebrativo, in molti casi, non è meno palese. Nella sua breve Storia dell’A lbania, pubblicata nel 1899 , N aim Halit Frashëri, parlando degli Illiri e dei loro re, racconta delle guerre con i R om ani e sostiene che “Teuta, era regina assai valorosa; lottò in terra e in mare molte volte controi R om an i e li vinse”, nonostante che le fonti romane attestino uno svolgimento ben diverso della vicenda. Stessa presentazione “in negativo” è riservata alle operazioni di guerra di Lucio Emilio Paolo contenuta nel VI capitolo, intitolato G li albanesi e gli stranieri15, con una attenzione particolare ai conflitti tra R om an i e Illiri. Così l’autore dice: “Paolo Emilio conquistò la M acedonia ... giunse poi inToskëria e lì prese 150mila schiavi dal luogo che aveva servito Perseo. Saccheggiò l’intero luogo; il bottinolo distribuì all’esercito; a ciascun cavaliere toccarono 4 0 0 denari, a ciascun fante 200 .

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deMtovecento Sillabari p e r u n ' a m i c i z i ain una foto Marubi.Sulla destra, il ginnasio.

Arse 7 0 città, di molte delle quali oggi restano i ruderi” .P oco più avanti l’autore racconta dei N orm anni di Napoli e dei Veneti, sottolineandone l’ostilità nei confronti dell’Albania: “N el 110 0 d .C ., i N orm anni di Napoli e i Veneti avevano conquistato e governavano zone dell’Albania” . Parlando infine dell’emigrazione degli Albanesi, Frashëri accenna alla loro presenza in Italia16, dando qui una caratterizzazione in positivo del rapporto fra i due popoli: sono infatti gli Albanesi che danno il loro contributo alla causa dell’indipendenza italiana: “Garibaldi con gli Albanesi che stanno in Italia, fece l'Italia...” .Dello stesso Frashëri è importante segnalare un manuale di storia universale, scritto appositamente per le scuole medie e pubblicato alcuni anni prima, nel quale sono contenuti episodi di storia patria sempre narrati in chiave antagonista.Ad esempio dei sistemi di governo romani l’autore dice: “sia le monarchie che le democrazie romane erano pessime: omicidi, cattiverie, ostilità mai sparirono”. E in un paragrafo intitolato G li albanesi e gli stranieri l’autore racconta che già al tem po degli Illiri i R om an i estesero la loro dominazione in Albania, ma dovettero scontrarsi con la resistenza

del popolo albanese.17 M olto interessante è anche la Storia dell’A lbania dai tempi passati f in o al presente, di N d oc Nikaj. L’opera fu pubblicata nel 1917 , dunque in un periodo in cui la coscienza nazionale aveva raggiunto l’apice con la sospirata indipendenza messa a dura prova durante il difficile periodo della Prim a G uerra M ondiale. L’autore percorre la storia dell’Albania cominciando con l ’IUiria e l’Epiro e giungendo fino al conflitto mondiale e all’occupazione austro-ungherese. Nella prima parte

del manuale, intitolata L ’A lbania antica vengono al solito trattate le guerre tra gli Illiri e i R om ani. In ogni paragrafoi R om ani vengono descritti com e nemici e dominatori dell’IUiria e delTEpiro. Sempre a proposito di Teuta, secondo l’autore, la regina avrebbe così risposto agli ambasciatori romani: “Riferite a R om a che gli Illiri sono liberi di battere la via del mare” . In altri passaggi Nikaj rivela in modo ancor più evidente la sua attitudine emotiva: “alcuni principi dell’Epiro, per non cadere nelle mani dei loro nemici, saccheggiarono la regione dell’Epiro da ogni parte. I R om an i accesi di rabbia contro gli Epiroti si sforzarono di distruggere la loro razza e per ordine del Senato R o m an o e di Paolo Emilio gli eserciti di R o m a si abbandonarono alla rovina di quel luogo ... i bastioni e i castelli delle città furono abbattuti e fino a 1 5 0 0 0 0 persone furono imprigionate e ridotte in schiavitù. L’Epiro cadde diventando una regione romana e da allora fu devastato del tu tto” .Nella seconda parte del libro intitolata Gjergj Kastrioti Skanderbeg vengono illustrati i legami fra Scanderbeg e Venezia. È interessante l’interpretazione che l’autore dà delle vicende del tem po rispetto agli interessi di Venezia a Scutari, Durazzo e D ejë, così com e dell’attacco delle forze albanesi capitanate da Scanderbeg.Le forze belliche degli Albanesi erano in guerra su due fronti: quello degli interessi di Venezia in territorio albanese e quello degli attacchi, continui e furiosi, degli O ttom ani. Nikaj racconta degli intrighi tessuti dai Veneziani contro Scanderbeg18 e dice che le sue vittorie contro l’esercito turco costrinsero la Serenissima ad affrettarsi in un accordo di pace con lui.Le imprese dell’eroe nazionale vengono

ulteriorm ente esaltate sottolineandone 85

il riconoscim ento presso le corti europee e i principi cristiani “i quali riconobbero il suo grande valore, gli recarono doni e chiesero la sua amicizia. U n o dei principi cristiani che più lo onorò fu Alfonso V d’Aragona, re di Napoli e di Sicilia” .19 In un altro paragrafo vengono infatti descritte le campagne di Scanderbeg intraprese in Italia per portare appoggio a Ferdinando, signore di Napoli, il quale, giovane e inesperto, era stato minacciato dalle numerose forze comandate da Giovanni II d’Angiò, circondato e quasi costretto alla resa. Allora “ Scanderbeg con 8 .0 0 0 combattenti, cavalleggeri e fanti, partì da Durazzo per Bari alla fine di luglio del 1459” .20 Scanderbeg sottomise tutti gli avversari, liberò tutte le città di Ferdinando e questi “regalò a Scanderbeg i terreni di Trani e San Giovanni R o to n d o ” .Il condottiero assume addirittura statura europea nel m om ento in cui, m orto papa Pio II e rotti gli accordi fra i principi cristiani ad A ncona, egli “si trovò solo di fronte agli immensi eserciti del Sultano M aom etto”.21 In quel frangente Scanderbeg, sentendosi impreparato ad affrontare l’enorm e esercito ottom ano, si recò a R o m a a chiedere aiuto dove “fu accolto con grande onore ... ma non poté avere altro che aiuti econom ici.Tra gli stati cristiani d ’Europa solo Venezia gli diede un piccolo aiuto econom ico, ma anche cibo per l’armata e alcuni soldati” . E nel paragrafo intitolato L ’assedio di Scutari anche ¿Veneziani trovanoil loro riscatto, affiancando i coraggiosi scutarini nella lotta contro l’inevitabile invasione ottomana. D i grande interesse sono le descrizioni delle battaglie per la difesa di Scutari, Lezha, Dulcigno, Antivari ecc., città della costa adriatica

16. Frasheri 1899:31.17. Freshen 1899-105-106

19 Frashén 1899: 69. 20. Frashèn 1899- 74.

21. Frashëri 1899: 77.

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Sillabari per un'amicizia

Jg ialbanese, prima sotto il dominio di Venezia poi investite dagli attacchi turchi. L’autore infatti ribadisce: “poche sono le tracce dell’occupazione veneziana in Albania, fra queste il leone scolpito in una pietra all’entrata del castello di Rozafa a Scutari . . . Il leone di S. M arco si vede anche a D ulcigno, Lezha, Durazzo, Valona e in altre città” .22 D opo la conquista ottom ana il manuale ricorda la diaspora albanese, soprattutto in Italia: “ molti tra i migliori albanesi fuggirono per non perdere la libertà e la fede; abbandonarono la loro patria per andare in terra sconosciuta, soprattutto in Italia dove costruirono i loro villaggi” . M a questo è l’ultimo dettaglio relativo ai rapporti fra Italia e Albania, nonostante che il manuale prosegua fino alla Prima Guerra Mondiale. Pare che la storia passata sia in grado di sollecitare m aggiorm ente i riferimenti attualizzanti e giocare un ruolo più attivo nella propaganda patriottica: non è un caso che nel testo di Mari Logoreci, pubblicato nel 1911 a Scutari e usato com e manuale scolastico, la divisione fra i dinasti illirici al m om ento dell’invasione romana sia funzionale a un appello per la fratellanza e la collaborazione fra tutti gli Albanesi in un m om ento assolutamente decisivo del processo di liberazione nazionale 23

ConclusioniÈ evidente che l’esposizione delle vicende storiche nei manuali ha risentito nel tempo del clima politico. La m aggior parte dei testi scolastici di storia, quando parla di R o m a o Venezia, presenta l’arrivo delle loro forze militari in Albania com e un’occupazione, spesso definita com e molto crudele e distruttiva. D ’altra parte non può non essere colta l’attenzione sempre viva per l’altra costa dell’Adriatico: per la storia, l’arte e la cultura in genere.

Le informazioni contenute nei testi non solo erano volte a soddisfare le esigenze educative, ma miravano anche a formare una buona conoscenza dell’Italia da parte dei ragazzi. In fin dei conti l’Italia è sempre stata considerata com e una finestra sull’Europa e sull’O ccidente. I rapporti econom ici con Venezia, il com m ercio con i principali porti italiani (Trieste,Bari, Brindisi), l’esportazione delle merci attraverso l’Adriatico, l’esistenza degli arbëreshë e degli studenti che compivano gli studi in Italia, sono stati i punti di collegamento tra i due paesi. C ’erano dunque anche altre opportunità politiche, accanto a quelle squisitamente patriottiche, che, per mezzo delle stesse pubblicazioni scolastiche, cercavano di trasmettere un atteggiamento positivo nei confronti dell’Italia.

Scheda bibliografica- Manuali di grammaticaD em etrio Camarda, Saggio di grammatologia compartita sulla lingua albanese, Livorno, 1864Francesco Rosi, Regole grammaticali della lingua albanese, Rom a, 1866Giacomo Jungg, Regole grammaticali sulla lingua albanese,S.l Tip. Del Col., 1881Gasper Benussi, Abetare e gjuhes sliqyp... Bucarest, “D ituna” , 1890Gasper Benussi, Shqyptari i msuem n’giuh t'vet. Liber i nevoishem per shkolla e per popul, Scodrae,Typ. Immac. Concept. B.M.V., 1890Vicenzo Librandi, Grammatica albanese con le poesie rare di Varìboba, Milano, 1897Gasper Jakova-M ërturi, Grammatica della lingua albanese. Frascati, 1904M arco La Piana, Brevi nozioni di grammatica albaneseper la 2a classe elementare, Prima parte/ Mesime te shkurtete gramatikes shqipe, per te treten radile fillore, Pjesa e pare,Albania, Off. Tip, Italiana, 1918Programi analitik i shkollave te Korçes, 1918-1919Hysni Babameto, Aritmatikepraktike...,Valona, 1918M ati Logoreci, Abetar,Valona, 1919Botim i Drejtorise se Peig/ithshme t’Arsimit, Casa editrice“G. D irettore” ,ValonaMati Logoreci, Plotsori i abetarit,Valona 1919

- Manuali e programmi di storiaNaim Halit Frashen, E kendimit te (utiave kendonjetorja, Bukuresht, 1886N aim Halit Frashen, E kendimit..., Cope e dyte, Bukuresht, 1886Naim Halit Frashen, Istori e pergjithshmc per mesonjetoret e

para, shtypure prej shoqense “D rita” Bukuresht ne shtyptoret te shoqerise, 1886N aim Halit Frashen, Dheshkronje, 1888Autore sconosciuto, Liber per tn’u ntsue me lezue scyyp, 1889Naim Halit Frashen, Gjithesia, 1895Naim H alit Frashen, Istori e Shqipërisë, prej N. H. F. So§e,ndë shtypshkronjét shqipe “M brothèsia”, Gostilnica“Carigrad” , UlicaVitosa, 1899Dheshkroni e permbledhme.,., 1901N doc Nikaj, Histonja e Shqypnits, ('mefillesè e deri me kolte kit ra në dorè të turkut, prej N. D. N ., Brussel, Përlindja e shqypetarëve, 1902Libr i trete i knojtores per msoitore t’Shcypnis, 1902 Luigi Gurakuqi, Knime..., 1904 Shcyptari. ¡Calendar per uitin Napoli, 1906 Gjergj Qiriazi, Hristomadlu, 1907Mati Logoreci, Ndollina historijet t'moçme, bleni I, Shkodér, “N ikaj”, 1911. (sopra il molo: Klubi Gjuha Shqype-Shkodër) Mati Logoreci, Ndollina..., blem II, 1911 Gasper Mikeli, Dlteshkroje per msojtore popullore e gjytetnore, bleni I, Shkodër, 1912, Casa editrice “N ikaj” (sopra il titolo: Klubi “Gjuha Shqipe” - Shkodër\Scutari)Programa analitike e shkollave... Durres, 1915 N doc Nikaj, Historija e Sliqypniës ç'ntë kolië të vjetra e deri m'tashmet, Shkodër, Shtypshkronja “N ikaj” , 1917 Thom a Papano, Shkendilat e para, abetar dlie sluim i tij,Valona, 1919Programi analitik i shkollave te Korçes-1919- 1920, Korça, 1919 Programi analitik per shkollat e Gjirokastres, 1919

Riferim enti bibliografici BENUSSI 2002A. Benussi, Una famiglia Benussi in Albania, in La voce della Famia Ruvignisa, n. 117 (novembre/dicembre)FRA SH ËRI 1879S. B. Frashëri, Alfabetare e gjuhes shqip, Kostantinupoja FRA SH ËRI 1899N .H . Frashëri, Istori e Shqipërisë, Sofie KAZAZI 2001N. Kazazi, Gasper Benussi, mesues, didakt dite autor tekstesh shkollore, in Histori e arsimit, Buletmi ISP, Tirana M AK ET 1990VI. Maket, Historia e arsimit shqiptar, L’Istituto di StudiPedagogiciMIKELI 1921Gasper Mikeli {a cura di), Shkolla e re, Organ i mësuesve,ShkodërO SM A N 1 1987T. Osmani, Histori e alfabetit té gjuhc shqipe, Shtepia botuese e librit shkollor, Tirane O SM A N I, KAZAZI 2000S. Osmani, N. Kazazi, Abetaret Shqipe dhe trajektorja e tyre historikO‘pcdagogjikc, Shtepia botuese e librit shkollor, Tirane P R E N D U S H I 1961R . Prendushi, Njè mësues i vjetër i g/uhes shqipe, in Aresimi Popttllor, nr 5, fq 52 Q A FËZEZI 1936I.M. Qafèzezi, Dhaskal Gjoka apo Shkolla Korçare e qëmoçme. Vitet 1826'1830, Korçë, Biblioteca Shqiptare “Qafèzezi” V E R D U C C I 1978C.Verducci, Il Collegio Illirico di Fermo, in Atti e Memorie, n. s., LXXXII; poi in Le Marche e L ’Adriatico orientale: economia, sorietà, cultura, dal X III secolo al primo Ottocento, Ancona, 1978, 175-196

22. Frashen 1899: 94-95.23, Frashën 1899:12.

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Sorvegliare e non punireIl trattamento degli Ebrei in Albania tra 1920 e 1945

Shabati Sinani Albania terra d'accoglicnza E un radicamento profondo e duraturo quello della religione ebraica in terra albanese: Finiq (Phoimke), O ricum ,Galile, Palase o Palaste sono toponimi che con tutta evidenza si connettono ad altrettante com unità ebraiche; persino certi usi linguistici (ad esempioil giuram ento che si fa talvolta in Albania su “quel sabato” rinvia al sacro sciabbat1) testimoniano l’influenza della cultura ebraica su quella albanese. M olteplici peraltro sono le tracce della presenza degli Ebrei in Albania nei secoli passati: nel castello dei Balshi a Dulcigno- che oggi è compreso nel M ontenegro - si conservano i resti ancora veneratidi Sabbata Zevi, mistico ebreo vissuto nel X V II secolo e precursore del Sionismo.2 C om e ha messo in rilievo Alain Ducellier, la funzione di collegam ento tra l’Albania e l’O ccidente veniva spesso svolta da mercanti ebrei che attraversavano le due sponde dell’Adriatico, conferendo alla società schipetara una effettiva “dimensione europea” .3Terra d’accoglienza e di tollerante lungimiranza, l’Albania ha svolto un ruolo positivo, im portante e p oco conosciuto nella storia della persecuzione ebraica nazifascista. Dai docum enti degli archivi albanesi (che constano di più di cinquemila pagine), risulta che il m ovim ento degli Ebrei verso il piccolo paese che si affaccia sulla costa adriatica si intensifica agli inizi della lotta di liberazione. Della presenza di una cospicua com unità ebraica erano consapevoli diversi paesi, com e l’Austria, la Germ ania, la Bulgaria, l’U ngheria, la Romania, il R egno serbo-sloveno-croato. Nel cosiddetto “m odulo dello straniero”- soprannominato “l’anagramma modello 2 3 ” , oltre ai dati riguardanti

1. Sinani 1996:1-2.2. Su Sabbata Zevi a Ulcinij vd. Ceresnjes (testo manoscrittoce. nn.) Archivio Centrale di Stato.Tirana (da ora in poi ACS).

la certificazione dell’identità, si richiedeva venisse esplicitata anche l’appartenenza razziale (con la possibilità di scegliere tra “ariani” ed “ebrei”). Studiando queste carte, risulta che all’inizio i nuovi arrivati in Albania non abbiano fatto alcun tentativo per nascondere la loro appartenenza etnica. Nello stesso tempo si vede anche che i funzionari e i rappresentanti delle autorità locali, quando qualcuno si chiamava “M oshe” , oppure “Zaccaria” , lo riclassificavano com e “ariano” oppure com e “turco” ; veniva cioè ugualmente registrato senza dare corso ad alcuna indagine. Dai verbali riguardanti le informative, svolte durante gli anni della guerra dalla polizia albanese, la maggior parte degli Ebrei indagati dichiarano di essere stati costretti a entrare- sia legalmente sia illegalmente - in Albania proprio dai rischi che correvano nei paesi dove risiedevano precedentemente.Il prim o censimento ufficiale degli Ebrei in Albania risale agli anni Venti del secolo passato. Secondo quanto riferisce Jakov Milaj, antropologo, autore del libro La razza albanese uscito nel 19 4 4 4, risulta che la comunità ebraica residente in m odo stabile in Albania ammontava a circa 8 0 0 persone; gli insediamenti più importanti degli Ebrei erano nelle città di Valona, Berat, Kavaia, Durazzo ed Elbasan, dunque prevalentemente nelle città vicine al litorale. In questo censimento gli Ebrei vengono chiaramente identificati com e una qualsiasi altra com unità religiosa, al pari di quella ortodossa, cattolica e musulmana. N on si evidenziano dati che indichino appartenenze a una comunità definita per le sue precipue caratteristiche etniche, perché il questionario non offriva quest’opportunità; e nemmeno si faceva riferim ento alla razza, perché

3. Ducellier 1981:528.4. Sulla politica antiebraica cf. Michaelis 2002 e la bibliografia ivi indicata; Milaj 1944.

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In alto. Ebrei internati nel campo di concentramento di Prishtina, marzo 1942. Qui sopra. Ebrei vestiti come Albanesi a Kruja, 1943.

questa possibilità di scelta tra ariani e ebrei sarebbe emersa solo più tardi.Considerando questo censimento nell’anno 1923 aValona si contavano 9 0 Ebrei.5 La comunità ebraica a Valona in questo periodo aveva un suo rappresentante eletto nel consiglio amministrativo locale e si trattava di M atteo Matthia (Matathia).6 Negli anni Trenta si nota una certa affluenza degli Ebrei verso l’Albania, e tra questi si annoverano anche studiosi del calibro di Stanislav Zuber; scrittori com e Leo M athia, (di cittadinanza tedesca), artisti com e Joli Jakob (di origine israelita). Nell’anno 1935 chiese di entrare in Albania anche il dottor Finer, studioso ebreo, professore all’Università di Londra, accompagnato da John Walter, figlio del direttore del Times. Lo scopo di questo viaggio era di studiare una eventuale installazione degli Ebrei in Albania.7 Da diverse fonti risulta anche un viaggio segreto effettuato durante questo periodo da Albert Einstein. Gli Ebrei che fecero richiesta di asilo in Albania alle soglie della Seconda Guerra M ondiale, videro soddisfatta la loro richiesta senza nessun ostacolo. Alcuni di loro, al m om ento della domanda, ammettevano che la loro richiesta era motivata dal rischio che stavano correndo nei loro paesi di origine:il dottor M artin Gotthilf, in una lettera indirizzata al re Z o g nel 1935 , chiede un’occupazione in Albania, poiché costretto ad allontanarsi dalla Germ ania a causa delle sue origini israelite.8 C on la stessa motivazione, con un’altra missiva al monarca albanese, chiede il permesso di entrare e risiedere nel paese il cittadino austriaco R ichard Atlas, che dichiara di essersi allontanato dall’Austria a causa delle sue origini ebraiche.9 L’unico caso che riguarda un cittadino italiano

5. ACS, Fondo 392, fascicolo 100, fol. 2.6. ACS, Fondo 146, fascicolo 2, foli. 200-202.7. ACS, Fondo 171 (anno 1935), fascicolo 1-110, foli. 5-6.8. ACS, Fondo 416 (anno 1935), fascicolo 13, foli. 244-245.

di religione ebraica che chiese di essere accolto in Albania è quello di G iacom o Tolentino, ma egli risulta essere stato prima residente a Sarajevo; infatti indirizzò la sua richiesta sia alla Legazione Italiana a Belgrado sia al Ministero degli Esteri albanese.10Secondo i dati dell’Archivio Centrale di Stato di Tirana, non risultano esserci richieste fatte da Ebrei espulsi o costretti all’esilio dall’Italia. Al contrario i documenti indicano che vi sono molti Ebrei impiegati nelle imprese italiane operanti in Albania.Il professor Zuber, che abbiamo già menzionato, era infatti uno specialista dell’AIPA, l’ebreo Giuseppe Alagem venne assunto nel 1935 com e specialista nella società italiana “Sim oncini” operante in Kossovo. L’impresa com m erciale degli ebrei “Levi e Jacoel” , che aveva la sua sede centrale a Durazzo, lavorava con finanziamenti concessi dalle filiali delle banche italiane di Durazzo e di Valona, con l’approvazione del comitato amministrativo della direzione centrale delle suddette banche a R o m a .11I titolari di quella stessa impresa nel 1937 , chiesero al Ministero degli Affari Pubblici che la società italiana “Ala Littoria” potesse pagare l’affitto di una proprietà presain gestione a Valona. L’impresa ebrea “Levi e Jacoel” usufruiva anche di finanziamenti concessi dalle banche italiane ancora nel 1 9 4 0 .12 L o stesso anno questa impresa chiese l’aiuto delle istituzioni statali, in altre parole delle istituzioni dello Stato fascista, per risolvere un malinteso con l’impresa italiana “Trucchi Pasquale” relativo a una questione sui prezzi di alcuni prodotti.P oco a p oco l'accoglienza degli Ebrei da parte dello stato albanese diventò una questione che attirò l’interesse del mondo

9, ACS, Fondo 416 (anno 1938), fascicolo 13, fòli. 308-309.10. ACS, Fondo 163 (anno 1938), fascicolo 211, foU. 30-39.I I ACS, Fondo 256 (anno 1936), fascicolo 16, foli. 1-29.12.ACS, Fondo 256 (anno 1940),fascicolo 12 ,foli. 1-6,

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diplomatico e degli osservatori politici. Dalle richieste individuali si passò all’interessamento di quelle organizzazioni e associaziom internazionali che consideravano reali i rischi connessi all’antisemitismo e alla giudeofobia. Nell’anno 1934 l’Alto Commissario per i Rifugiati della Lega delle Nazioni con sede a Ginevra, James M acDonald, per mezzo di una lettera ufficiale indirizzata al Ministero degli Esteri, chiese al governo e al re se esistevano le possibilità di restare in Albania per un certo num ero di Ebrei tedeschi che disponevano di vari beni

finanziari.13La rivista Hamburger Famillienblatt, pose la medesima richiesta al Ministero degli Interni; la lettera dell’Alto Commissario per i Rifugiati mise in movim ento non solo la diplomazia e i servizi consolari, ma anche il Ministero dell’Econom ia: il console albanese nella capitale austriaca raccom andò di non fare dei passi in favore del progetto, da lui definito di “colonizzazione ebraica dell’Albania” , ma il ministro era di parere opposto, infatti10 Stato albanese si mostrò disponibilee aperto verso quelle richieste. Tant’è vero che nell’anno 19 3 4 , nella sua corrispondenza con l’ebreo Nathan Allalouf, il direttore dell’ufficio stampa presso il re Zog, lo scrittore Mihal Sherko, consigliava che lo Stato albanese aprisse un consolato a Tel Aviv. Allalouf era anche11 rappresentante ufficiale della “Società Alta Italia” . In quello stesso periodoil fotografo della reale corte albanese W ilhelm Weitzmann, secondo un rapporto segreto della Legazione Italiana a Tirana, era un Ebreo di origine tedesca.Verso la metà degli anni Trenta il Com itato Centrale degli Em igrati Israeliti della G ermania chiese l’asilo collettivo per una comunità ebraica che nell’insieme doveva

essere considerata a forte rischio.14 U n rapporto della Legazione Italiana a Tirana dell’anno 1938 testimonia della visita ufficiale del senatore americano Reynolds che aveva lo scopo di ottenere l’approvazione delle autorità locali riguardanti la stipula di un accordo con l’ambasciatore albanese negli U .S .A ., ruolo tenuto allora dallo scrittore Faik Konitza, e relativo a un cospicuo contributo in denaro del Com itato Ebraico a N ew York a favore del Governo albanese in cambio della “ concessione della cittadinanza albanese a 5 0 0 famiglie ebree” .15 Lo stesso anno, il Segretario Generale della Lega delle Nazioni e l’incaricato albanese a Ginevra concordarono sulla necessità di applicare la convenzione sullo stato e sull’accoglienza dei rifugiati provenienti dalla G erm ania.16 Lo studioso am ericano B ernd Fischer, direttore del D ipartim ento di Storia alla Indiana University, nella sua ricerca sui Jew s o f A lbania during the Zogist and Second World War periods''7, mette in risalto il fatto che negli anni 193 0 -1 9 3 3 , e fino all’anno 1935 , ci sono stati contatti e colloqui ufficiali tra l’ambasciatore am ericano a Tirana H erm an Bernstein, e re Z og , per rendere possibile da parte dell’Albania l’accoglienza degli Ebrei cacciati via dalla Germania, dall’Austria, dalla Polonia, dai paesi balcanici e da altre regioni europee. A nche Sir Philip Madnus (per la Gran Bretagna) nel 1935 e Sir William R ay e Leo Elton, quest’ultimo ebreo, dimostrarono in proposito interessi analoghi. La pressione internazionale verso l’Albania affinché accogliesse gli Ebrei, continuò anche durante gli anni della guerra. Il N unzio Apostolico della Santa Sede nel 19 4 0 mandò una lettera ufficiale alle autorità italo-albanesi, civili e militari, con l’obiettivo di dare aiuto a due Ebrei

di origine tedesca: D ietrich Anderm an e Walter Mandi. In quel m om ento l’Albania era considerata negli ambienti diplomatici una sorta di “patria di riserva” degli Ebrei. Fischer scrive in proposito di una “golden age o f jews in Albania” .L’appoggio che lo Stato albanese tenne nei confronti degli Ebrei incoraggiò il loro spostamento in Albania, e infatti Bernd Fischer ha mostrato che alla fine della Seconda Guerra M ondiale si calcolava che vi risiedessero 1800 Ebrei sopravvissuti, ossia almeno 10 0 0 Ebrei in più, rispetto al censimento dell’anno 1930 . Questa cifra è impressionante, considerando che si tratta del periodo in cui gli Ebrei erano stati oggetto di feroci repressioni culminate nel tentativo di eliminazione di massa in Germania e anche altrove. Invece in Albania il loro numero raddoppiò e re Z og, è bene sottolinearlo, all’inizio del 1944 , quando già si trovava in esilio, nei colloqui con i rappresentanti dell’Associazione degli Ebrei Britannici, offrì loro la possibilità di accogliere in Albania 5 0 .0 0 0 famiglie ebree in cambio del sostegno politico di Londra a un suo eventuale ritorno in patria: re Z og dichiarò che “lui stesso avrebbe sponsorizzato questo progetto” . Certam ente questa presa di posizione si può considerare com e una mossa tattica di un re ormai detronizzato e in esilio per guadagnare la simpatia degli Inglesi; d’altro canto però dimostra che l’Albania, anche durante questo periodo, era ancora “una terra di fiducia” che continuava a offrire l’ospitalità agli Ebrei che rischiavano lo stermino.B ernd Fischer nel suo articolo si riferisce ai dati approssimativi tratti dalle fonti americane e ad alcuni dati pubblici albanesi.18 Però lo studioso americano non ha consultato le fonti degli archivi albanesi, il che ci fa supporre che gli Ebrei

13. ACS, Fondo 151 (anno 1934), fascicolo 147.14-ACS. Fondo 171 (anno 1935), fascicolo 1-221, fol. 74.

15. ACS, Fondo 263 (anno 1938), fascicolo 214, fol. 3.16. ACS, Fondo 151 (anno 1938), fascicolo 103, foli. 1-79.

17. Fischer 2003 [testo manoscritto pp. nn.].18. Fischer 2003 [testo manoscritto pp. nn.].

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Una famiglia ebrea rifugiata presso Albanesi a Kruja, 1944.

in Albania nel 1944 dovessero essere molti di più di quelli iporizzati nel suo saggio. Due archivisti albanesi, Nevilla Nika e Liliana Vorpsi, hanno recentem ente preparato una Guida ai documenti p er gli Ebrei in A lbania e hanno identificato oltre millecinquecento nom i propri di Ebrei che hanno cercato di stabilirsi in questo paese. Nella maggior parte dei casi dietro un solo nom e ebraico si trovava una intera famiglia: un elenco degli Ebrei internati a Berat, preparato dalle autorità militari italiane in Albania per l’anno 1942 , e utilizzato per censire gli Ebrei deportati dalla Jugoslavia e dalla Bulgaria, contiene infatti circa cento nomi di uomini fra i quali molti “con famiglia” .19 Si capisce dunque che il numero reale degli Ebrei era maggiore di quanto è stato conteggiato fino a ora. Fischer ricorda che i momenti di maggior afflusso di Ebrei verso l’Albania furono il gennaio del 1939, quando vennero accolti cento Ebrei giunti

da Vienna, e il febbraio-marzo dello stesso anno, quando in Albania entrarono novantacinque famiglie ebree dall’Austria e dalla Germania. In realtà si registrarono m om enti in cui ben maggiori di questi furono gli arrivi, e alcuni casi m eritano un attenzione speciale. U n anno prima della guerra, in un suo rapporto, la Legazione Italiana a Tirana informava R o m a relativamente a un progetto per l’insediamento di 5 0 0 famiglie israelite nella zona di M yzeqe.20 U n altro elemento che ci fa ritenere che il numero degli Ebrei arrivati in Albania fosse molto più grande è il fatto che molti di essi non dichiaravano la razza, com e richiedeva l’anagramma, ma si registravano com e ariani. Così nelle fonti degli archivi albanesi risulta che nell’anno 1943 , ne “l’anagramma modello 2 3 ” l’ebreo Proko Jorgo, di M ina, dichiarava di essere “tu rco” , e com e tale veniva accettato e gli veniva concesso il permesso

19. ACS, Fondo 466 (anno 1942), fascicolo 92, foli-1-3. 20. ACS, Fondo 263 (anno 1938), fascicolo 214, fol. 3.

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Sorvegliare e non punire

di soggiorno com e si legge nel laconico rapporto di polizia: “Proko Jorgo, di M ina, cittadino turco, soggiorno di un anno” .21 U n altro esempio è quello che riguarda l’ebrea Polikseni Zacharia la quale è annotata com e “Polikseni Zacharia, ariana” .22 Altri Ebrei che entrarono in Albania fino alla metà degli anni Trenta (ma probabilmente anche più tardi) risulta che abbiano preso prima la cittadinanza albanese e poi si siano convertiti al cristianesimo oppure all’islam. Nell’anno 1929 chiese la cittadinanza albanese la famiglia di M oshe Kohen, mentre un altro Ebreo risulta essere presente “con il passaporto albanese” a Salonicco. N el 1934 ottenne la cittadinanza albanese l’Ebreo di origine tedesca Frantz Gunjuger, nell’anno 1938 David Hanoa e suo fratello chiesero di battezzarsi com e ortodossi. Sempre nel 1938 , secondo la già citata relazione della Legazione Italiana (vd. n. 20), un’Ebrea si fidanzò con il nipote del ministro Musa Juka, un politico di alto rango e poi un’attivista del fascismo in Albania. Alla fine di quell’anno, secondo le informazioni della Legazione Italiana a Tirana, un com m erciante locale chiese di stampare presso una tipografia una quantità di passaporti albanesi in bianco “per farne com m ercio a favore degli emigrati israeliti” .23 U n ’altra informazione diplomatica italiana in Albania, che porta la data del 10 dicembre del 1938 , rendeva noto che l’israelita Saul Sadoch aveva dei buoni contatti con le principesse.E appena tre giorni dopo il consolato italiano metteva in rilievo il fatto che il dottor Ourinovskij, m edico presso l’ospedale civile di Tirana, ebreo, aveva sostenuto la regina Geraldina.La concessione della cittadinanza albanese agli Ebrei non residenti continuò anche

21. ACS, Fondo “Direzione Generale della Polizia” (anno 1943), fascicolo 501, fol. 8422. ACS, Fondo “Direzione Generale della Polizia” (anno

dopo l'arrivo al potere del regime fascista in Albania. N el maggio del 1940, con il consenso della questura e del com ando militare, venne data la cittadinanza albanese all’israelita Cari Tejessy; nello stesso giorno i coniugi Leo e Elsa Thur, ebrei con cittadinanza tedesca, chiesero l’aiuto al Papa Pio X II perché li aiutasse a non tornare in G erm ania.24 Sempre nel 19 4 0 la questura di Tirana e quella di Scutari approvarono la conversione dell’ebreo Ziegfrid Schvartz alla fede musulmana.

A ttenzione agli Ebrei bolsccvichì C om e si sa l’Italia deteneva un grande potere di controllo sulla vita pubblica in Albania fin dalla fine della Prima Guerra Mondiale, potrem mo dire che R o m a aveva in m ano le chiavi dell’econom ia e della vita politica albanese. N onostante la richiesta insistente di alcuni paesi balcanici e il silenzio di altri, l’Albania non prese parte a nessuna delle conferenze regionali perché veniva considerata un territorio non balcanico sotto l’influenza politica italiana. Data dunque questa cornice storico-politica, sorge spontaneo chiedersi che atteggiamento avesse il governo italiano nei confronti del flusso di Ebrei verso l’Albania, visto anche che R o m a aveva assunto dei forti obblighi politici entrando nell’Asse.Dalle fonti degli archivi albanesi risulta che le autorità italiane per alcuni anni di seguito non fecero nessuna pressione sul governo del paese per impedire l’arrivo e l’insediamento degli Ebrei. La Legazione Italiana a Tirana informava continuamente il suo governo di queste evenienze, senza che ciò suscitasse alcuna preoccupazione. Durante gli anni Trenta le pressioni del Governo italiano per impedire

In alto, i figli di Gavril Mandil in braccio a un Albanese, Kruja 1945.

Qui sopra, un bambino ebreo posa con un ragazzo albanese, Tirana 1943.

1943), fascicolo 501, fol. 82.23. ACS, Fondo 263 (anno 1938), fascicolo 158. fol. 20.24 ACS, Fondo 135 (anno 1940), fascicolo 79, foli. 189-191.

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Un giovane ebreo e un fotografo a Tirana, 1943.

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l’insediamento degli Ebrei in Albania venivano espresse in form a di “ consiglio” al Governo albanese, affinché quest’ultimo decidesse autonomamente quali fossero le condizioni da porre per la loro accoglienza. M a se guardiamo quali erano quelle specifiche condizioni, esse risultano veramente ridicole. All’inizio gli Ebrei per entrare nel paese dovevano avere con sé 100 franchi d’oro, poi questi salirono a 2 0 0 e più tardi a 2 5 0 ; alla fine si giunse a chiedere 500 franchi segnati sul passaporto. La prima volta che la Legazione Italiana a Tirana sembrò veramente preoccuparsi fu quando un suo informatore, l’emigrante russo Matrasof, fece sapere che gli Israeliti in Albania svolgevano attività filobolsceviche e che il Governo albanese teneva buoni rapporti con le organizzazioni ebree

nel mondo. Q uesto accadde nell’agosto del 1938 e alcuni mesi dopo, il 18 ottobre 1938, la Legazione Italiana a Tirana informò per la prima volta il com ando aeronautico di R o m a che sarebbero state necessarie due schede (anagramma modello 23) per censire gli Ebrei. Per tutto il 1938 e all’inizio del 1939, il servizio diplomatico e quello consolare italiano a Tirana si limitarono a inviare varie relazioni sul movimento degli Ebrei in Albania, senza però suggerire alcun provvedimento in merito. Solo nel febbraio del 1939 il consolato albanese a R o m a venne ufficialmente informato che “il governo italiano” non guardava “di buon occhio l’insediamento degli israeliti in Albania” , dal canto suo il consolato inform ò il suo Ministero degli Esteri chiedendo

in proposito una opinione25, e ciò accadeva proprio quando il Governo d’Albania decideva che la condizione per l’ingresso degli Ebrei era che questi avessero segnato sui loro passaporti la somm a di 5 0 0 franchi d’oro.Fino a questo m om ento sembra che non vi sia stato nessun atto intrapreso contro gli Ebrei, neanche in Italia: il console italiano a Tirana in una nota che porta la data del 28 febbraio 1939, com unicò agli uffici superiori l’ordine riguardante la proibizione dell’entrata nel servizio diplomatico alle persone di origine ebraica.26 D a questo si capisce che fino ad allora il reclutam ento degli Ebrei in questo servizio non era affatto proibito. Inoltre gli Ebrei italiani, secondo le fonti degli archivi albanesi, inizialmente risultano essere stati mobilitati per andare in guerra allo stesso m odo di tutti gli altri cittadini. Alla fine di maggio del 1939 il com ando della Divisione “Ferrara” di stanza a Valona, tramite un telegramma, esprimeva la necessità di avere informazioni circa l’appartenenza alla razza ebraica dei militari R o m an o Israele e M inervino Lecce, m em bri del “4 8 ° Fanteria” .27 Soltanto nel maggio del 1939 le autorità italiane com inciarono a raccogliere informazioni che permettessero di distinguere gli Ebrei con la residenza permanente in Albania da coloro che erano arrivati più di recente. N el 19 3 9 , e negli anni seguenti, l’ingresso degli Ebrei in territorio albanese continuò attraverso l ’attività svolta dai consolati italiani a Skopje, Salonicco, Belgrado, Praga, Vienna e in altre nazioni, i quali emettevano i visti d’ingresso perché, com e è noto, in questo periodo le funzioni diplomatiche e consolari dell’Albania erano state assorbite da quelle dell’Italia.Era m olto frequente che, per giustificare l’atteggiamento morbido delle autorità del

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Sorvegliare e non punire

governo italo-albanese in questa materia, si procedesse alla verifica della condotta dei richiedenti, infatti si faceva ricorso spesso a un particolare documento, la “certificazione per buona condotta” : infatti è questo l’attestato che acquisiscono la questura di Tirana e il com ando dei carabinieri nel maggio del 1940 per la richiesta di residenza di due ebrei di origine tedesca, H einrich e Elisabeth Garde.Dai dati delle testimonianze che si conservano negli archivi albanesi risulta che lo zelo delle autorità governative che operavano in Albania durante il periodo della guerra, che pure erano poste sotto il controllo delle istituzioni create per la difesa dall’esercito nazifascista, nelle richieste della Direzione Generale della Polizia, non andava al di là di informazioni di tipo assai generico, com e ad esempio: “ N on c ’è nessuna nota non soddisfacente”28, ; oppure: “ Siccom e fa parte della razza ebrea è stata messa una attenta sorveglianza”29, o ancora: “ Questo ministero non ha niente in contrario che Shalom Zaccaria insieme alla famiglia sia residente e rimanga a Gjakova”30; “Tendel Blim o, ebrea tedesca, in questa città non ha causato nulla con la sua condotta”31; “N on c ’è niente in contrario da parte di questa direzione che quella prefettura disponga quando ritiene opportuno il trasferimento degli israeliti a K ruja” .32 Il m ancato zelo nell’esercitare violenzeo carcerazioni e vessazioni nei confronti degli Israeliti viene testimoniato anche dai docum enti della Direzione Generale della Polizia nel luglio 1943, dalla quale si evince che l’Ebreo che risponde al nome di Majes Kolamos M antesh, che si nascondeva sotto il nome musulmano

28. ACS, Fondo “Direzione Generale della Polizia” (anno 1934), fascicolo 501, fol. 99.29. ACS, Fondo “Direzione Generale della Polizia” (anno 1934), fascicolo 501, fol. 53.30. ACS, Fondo “Direzione Generale della Polizia" (anno

di Musli Qemajli, dopo essere stato chiamato presso la polizia, e avere riconosciuto la propria vera identità, poiché era stato preso con i docum enti falsi, fu lasciato libero.33 Verso la fine del 194 0 sembra che l’atteggiamento delle autorità governative diventasse più duro. Il 27 luglio com inciò infatti lo spostamento degli Israeliti dalla capitale e il loro forzato insediamento nelle città di Berat e Lushnje, dove si rifugiarono 32 famiglie. Però tutto fu fatto con un p o ’ di attenzione, infatti secondo l’ordine del Ministero degli Interni, le spese del trasporto vennero sostenute dalla presidenza del Consiglio dei M inistri.34 Secondo la lista redatta dalle autorità italiane, in questo periodo a Valona arrivarono novanta Ebrei, a Scutari quattordici e a Gjirokaster quarantuno. Durante i prim i anni di guerra le autorità civili e militari italiane in Albania crearono campi di concentram ento per i rifugiati ebrei nelle regioni fuori Tirana: principalmente a Berat, Kavaia, Durazzo e Burrel. Nella term inologia degli scritti che spedivano e ricevevano la questura, il com ando militare, la direzione della polizia e altre istituzioni preposte al controllo dell’ordine pubblico, si parlava di “internamento” e di “deportazione” degli Ebrei e della loro spedizione nei campi di concentram ento. Questi cosiddetti “campi di concentram ento” non hanno però nessuna affinità, né assomigliano a quelli costruiti in Germania o in Italia, questi campi per gli Ebrei albanesi erano ancora delle zone urbane, poste fuori dalla capitale, dove gli Israeliti vennero costretti ad abitare per essere sotto più stretto controllo e soprattutto per non ospitarli- presenza orm ai indesiderata -

1934), fascicolo 501, fol. 81.31. ACS, Fondo “Direzione Generale della Polizia” (anno 1934), fascicolo 501, fol, 138.32. ACS, Fondo “Direzione Generale della Polizia” {anno 1934), fascicolo 386/3, fol. 26.

nel perim etro della capitale. Le autorità del G overno italo-albanese ordinarono il loro concentram ento in questi campi, ma nello stesso tempo davano i permessi, secondo le richieste, affinché potessero muoversi anche se per brevi periodi per tutto il territorio dell’Albania, sia per poter visitare i parenti o gli amici, sia per celebrare le feste e per compiere i riti religiosi. U n caso particolare è il permesso dato a Elia Vitali per compiere un viaggio in Italia, nell’autunno dell’anno 1940, siccome suo figlio, Kiakov (o Iakov) stava facendo il servizio militare nell’esercito italiano.35 Fino al 1941 l’amministrazione governativa locale a Valona permetteva agli Ebrei di festeggiare pubblicamente il sabato e di tenere chiusi i negozi in quello stesso giorno.36 U na differenziazione più forte nei confronti degli Ebrei com inciò alla fine del 1941 , quando il comando generale dei carabinieri ordinò al comando regionale di Valona di non mobilitare in guerra i cittadini di origine israelita.37 Comunque sia i campi di concentram ento albanesi non conobbero gli abomini perpetrati contro gli Ebrei altrove, per esempio nel dicembre del 1942 le autorità governative permisero a Bahar Sallomon Kasher di viaggiare da B erat a Tirana per ricevere delle cure m ediche necessarie presso l’ospedale “Mussolini” .Il clima e la vita all’interno di questi insediamenti forzati erano m olto diversi anche rispetto ad altre zone nei Balcani: con una serie di lettere sia Salomon e R ica Sadicaria, sia Stella, Avraham e Silvia Avrahamovi, sia Jakov Arnesti, chiedevano tutti alla Direzione Generale della Polizia “com e conseguenza dei maltrattamenti delle autorità jugoslave

33.ACS, Fondo 153 (anno 1943),fascicolo 3 8 6 /l ,fo ll.284-291.34. ACS, Fondo 161 (anno 1940), fascicolo 955, foli. 28-29.35. ACS, Fondo 153 (anno 1940), fascicolo 79, foli. 82 85.36. ACS, Fondo 393 (anno 1941), fascicolo 270 fol. 1.37. ACS, Fondo 154 (anno 1941), fascicolo 165, foli. 1-3.

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Sorvegliare e non punire

... di insediarsi nei campi di concentramento di Kavaia” .38 C on il crescere del numero degli Ebrei sfollati, espulsi dagli altri Stati, verso l’Albania, le autorità locali si limitarono a dare un ordine stringato ma significativo affinché fossero accolti e sistemati e venisse loro dato il cibo.

L ’atteggiamento delle autorità italiane Alla fine del 1941 e durante tutto il 194 2 si ebbero nuovi sviluppi relativi alla posizione delle autorità italiane e aU’amministrazione albanese nei riguardi della sorte degli Ebrei: in quegli anni nella corrispondenza ufficiale delle istituzioni civili, militari, diplomatiche e consolari, si parla sempre più di “israeliti maltrattati” negli Stati confinanti o vicini, e in m odo particolare in Jugoslavia e Bulgaria.Gli anni 1941 e 1942 testimoniano di un esodo di massa degli Ebrei dalle altre regioni balcaniche, dove erano ormai fortem ente minacciati e di un loro insediamento in Albania. D ue sono i gruppi maggiori degli Ebrei sistemati in Albania. Il prim o caso è testimoniato da una collezione di docum enti costituiti dalla corrispondenza tra la Direzione Generale della Polizia e le questure di molte importanti città albanesi, per accettazione, accoglienza e internam ento a Kavaia di 192 Ebrei residenti a Cattare (M ontenegro), i quali si erano rifugiati “in quella provincia della Jugoslavia, a causa della guerra” .39 Il secondo caso ha a che fare con il trasferimento in Albania, nel settembre dell’ anno 19 4 1 , di 3 5 0 Israeliti, i quali risiedevano originariamente in M ontenegro ed erano stati sistemati a Kavaia. Q uesto provvedimento di emergenza fu deciso tramite una lettera al Ministero dell’Interno da parte

Notizie dell'arrivo del piroscafo "Kumanova" da Cattaro con molti Ebrei a bordo nel rapporto deN'autorità di polizia, agosto 1941.

R E G N O D A L B A N I A

' ' P R E S I D E N Z A P E L C O N S IG L IO DEI M I N I S T R I ?------------------ ------------- - _ - - Z|A / - ^

Tirana. A® Agosto 1941 I H

D I R E Z I O N E C E N T R A L E DI P O L I Z I A

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DA TRA!)URIE IT LHIGtfA ALBAI7ES— EES LA ECC.PRESIDENZADEL COÎTSIOLIO- Ulil M U U S'I'H i--------

ALLA LUOGOTENENZA 0J2TEHALE ' vd ella Maestà del He Imperatore la i l lu n i»

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A seguito d ella n o tiz ia rip o rta ta sul m attinale del 30/7 u .s.m i pregio comunicare che 11 28/7 u .a .giunse nal

* Porto di Durazzo,proveniente da C attaro,11 piroscafo axn)tt- ¿&B0VA" con a bordo fa s ig lie degli ebrei s tra n ie ri r ip a ra ti

In quella Provincia d ella Jugoslavia,a causa d ella guerra e ohe,giùota disposizione Superiore,sono sta te qui avviata per essere internate in un campo di concentrarían to .—

Dette fan!gl i e , ! oui neabrl.coras d a ll’unito elenco, sono coaploi sivamente 192 fra uomini,donne,ragasal • , t ìsono sbarcate 11 mattino del giorno 29 u .s .e a masso di àuto» rj j cprriero sono s ta te trasp ortate , in conformità » n « la trucio« * a l avute dal 5ig .P re fe tto di Surazzo,nel campo di conorni tr a ° 5mento di Ervaja,dove sono s ta te prese tbothot) « w m w i i n oon~ ^ ®segna dall'A u torità Mill taro proposta a l campo fltoaao*- £o m

La Questura di Cattaro ha comunicato ohe ad ogni fami- ^ g lia è s ta ta laeo iata una somma in valuta Ita lia n a pari a 900 § l i r e per ogni membro e ohe l a rimanente soma di oui «rano

,«/ * ’ : '•jH:' ' - i ri. 'in possesso è sta ta versata a l la Banca d 'Ita lia ,c o n apposito verbale in cui r is u lta 1 *Importo trattenuto a olaacuno.- * jn ì

Sesto in a ttesa di eventuali u lte r io r i d lep osiz loo l.-

H. CONSIOMEHE PE [ANEHTE DI POLIZIAl G. Travaglio )

38. ACS, Fondo 153 (anno 1943), fascicolo 386/2, foli. 139-147.39. ACS, Fondo 253 (anno 1941), fascicolo 160, foli. 34-38.

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Sorvegliare e non punire

del Com ando Superiore delle Forze Armate. Gli Israeliti di Cattare arrivarono tutti a Durazzo il prim o agosto 1941 e di questo fu informato subito il Consiglio dei Ministri. Il secondo gruppo arrivò e si sistemò a Kavaia alla metà di settembre del 1941 . C om e si legge nel com unicato del 2 9 luglio 1941 : “Fino a che non sarà chiarita la loro posizione [degli Ebrei di Kavaia] essi saranno considerati alla stessa stregua dei prigionieri di guerra e, com e tali, vettovagliati ed alloggiati a cura di questo comando”.40 U n mese più tardi il Ministero dell’Interno rese noto che era stato acceso un credito per il pagamento di alimenti per gli Israeliti, mandati dalla Prefettura di Tirana a Durazzo e Kavaia. C he nessun campo di concentram ento abbia funzionato in quel m odo orribile che tutti noi oggi sappiamo, è testimoniato anche dal telegramma della Direzione Generale della Polizia, in data 12 novembre 1941 , con la quale gli “internati” vengono divisi di nuovo in diversi gruppi e inviati a Berat, a Shijak, a Kruja e negli altri luoghi. La politica del trasferimento degli Ebrei in Albania nelle condizioni rischiose della guerra ci è testimoniata anche da uno scambio di lettere tra la Direzione Generale di Polizia e il Ministero dei Territori Liberi per il permesso di arrivare a Prishtina.41 Anche nell’O ttobre del 1942 esiste una corrispondenza tra il Ministero degli Interni e il Com ando Generale dei Carabinieri, sulle misure necessarie da prendere per gli Israeliti che sono arrivati in Albania, a causa della guerra.42 M entre l’arrivo degli Ebrei maltrattati dalle autorità bulgare è scaglionato in gruppi grandi ma con una notevole frequenza. E interessante segnalare che l’accoglienza continuò fino al 1943 . Bernd Fischer ha sostenuto che gli israeliti in Kosovo sono stati più a rischio di quelli

CQMAJQUHZXi

Documentazione relativa agli internati politici, luglio 1941.

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Riferimento fonogramma n.01155 del 26 corrente* MHo disposto che 1 350 «Crai a r r e s ta t i p o l i t i c i , a v v ia ti a

Durazzo d alie au to rità i t a H ar« d elia Dalmazia | siano in te rn a ti presso i l campo conoentramento p .g . o o etitu ito a Kavaia d a lia Dire alone Tappe dell'Intendenza C . 3 . P P . AA. Albania.

?±no a ohe non 8Arà c h ia r ità la loro po«1 a lon e— «1 no considerati alla stessa stregua^ del p rig io n ieri 01 guerra a»

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p i o S a n s a )

40. ACS, Fondo 252 (anno 1941}, fascicolo 141, fol. 8.41. ACS, Fondo 261 (anno 1942), fascicolo 430, foli 1-242. ACS, Fondo 152 (anno 1942), fascicolo 319, foli. 1-100

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'

Sorvegliare e non punire

s ^ i" r ï in Albania. Questa affermazione di Fischer

viene rafforzata dalla docum entazione, com e la lettera della corporazione fascista a Prishtina, per il permesso agli israeliti di allontanarsi “dalle terre liberate” e di andare in Albania per insediarsi a Berat. M a tutti costoro erano visti davvero com e nemici, com e disertori, com e prigionieri di guerra e altro, com e risulta da taluni docum enti? In una corrispondenza della D irezione Generale della Polizia con la polizia fascista italiana e la questura di Durazzo, si trovano queste informazioni: 2 8 Ebrei vengono assunti a lavorare al com ando del genio di Kavaia, e questo venne fatto in base alla raccomandazione della C roce Rossa albanese, e sempre per rendere possibile questo provvedimento furono concessi aiuti, in denaro, dalla cassa di stato.43 N el maggio del 1943 risulta aver funzionato una commissione centrale per il recupero dei danni di guerra, e questa commissione ordinò di risarcire i danni di guerra agli Israeliti danneggiati dalla guerra.44 Fino agli ultimi mesi della presenza fascista in Albania, vennero dati vari permessi agli Ebrei maltrattati dalle autorità bulgare, com e per esempio nel caso di Saul Mesan, nel giugno 1943. Sempre nel giugno dello stesso anno la Direzione Generale della Polizia e la questura di Tirana, permisero a un Israelita di lavorare com e contabile in una ditta privata, con il permesso di allontanarsi da Kavaia dove era stato internato. Questa generale linea di condotta non proseguì con il cambio delle forze sul campo e il passaggio dei poteri ai nazisti. N ell’aprile del 1944 viene docum entato per la prima volta l’arresto di un gruppo di Israeliti, di questo gruppo fanno parte Salomon Saltiel (conosciuto con il nom e musulmano Sali Izet), Samico Saltiel (conosciuto

con il nom e di Sami Isa) e altri quattro Ebrei. U n mese più tardi, in un altro docum ento, risulta che i militari nazisti avevano ordinato il rastrellamento di 150 Israeliti che vivevano a Prishtina e anche il “sequestro dei loro beni” .45

ConclusioniAlla vigilia della Seconda Guerra Mondiale in Albania si insedia un gruppo numeroso di Ebrei, provenienti da tutte le parti: Germania, Austria, Jugoslavia, Rom ania, Bulgaria, Polonia, Turchia, Egitto, Gran Bretagna, A m erica ecc. E nonostante il fatto che l’Albania venisse controllata da R o m a non ci fu nessun provvedimento per impedire il flusso di immigrazione ebraica.N ei primi anni del governo italiano in Albania continuò anzi l’arrivo di Ebrei, muniti di visto rilasciato dai servizi consolari italiani. Solo negli anni 1941-1942 si notarono dei trasferimenti più consistenti di Ebrei da altri paesi balcanici (Jugoslavia, Bulgaria) e il loro insediamento nei “campi di concentram ento” in alcune città, e ciò avvenne con il sostegno, per quanto riguardava il viaggio, l’alloggio, i vestiti, il cibo e altre necessità, del governo locale. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale il numero degli Ebrei in Albania raddoppiò e nessun Ebreo fu vittima della guerra. Le autorità italiane in Albania, sia civili che militari, ufficialmente ricevettero informazioni riguardo gli Ebrei che venivano in questo paese “a causa della guerra” , vennero fatte delle indagini nei loro riguardi, ma non fu esercitata alcuna violenza. L’atteggiamento dell’esercito nazista nei confronti degli Ebrei in Albania fu invece diverso, più duro e persecutorio.

Riferim enti bibliograficiA B A D Z O P O U L O U 1997F. Abadzopoulou, The Holocaust: Questions o f LiteraryRepresentation, in The Jewish Communities o f SoutheasternEurope 1997CERESN JES s.d.I. Ceresnjes, Where no Jeu' had ever set foot before: Sabbatai Zevi, the "Mystical Messiah " i'm Ulcinj, Montenegro, ACS, [testo manoscritto)D U CELLIER 1981A. Ducellier, La façade maritime de l'Albanie au Moyen Age, ThessalonikiFISC H ER 2003B. Fischer, The Jews o f Albania during the Zogist and Second World War Periods, ACS, [testo manoscritto], relazione tenuta alla Conferenza internazionale sulla tolleranza religiosa tra gli AlbanesiH U N T IN G T O N 1993S. H untington, Clash o f Civilizations, N ew YorkKOTANI 1996A. Kotam, The Hebrews in Albania During Centuries,Tirana K O U R M A N T Z IS 1997I. Kourmantzis, The Jewish Community o f Ioannina, in The

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43. ACS, Fondo 153 (anno 1943), fascicolo 386/3, foil. 22-23,50-51,264.

44. ACS, Fondo 193 (anno 1943), fascicolo 43, fol. 1.45. ACS, Fondo 154 (anno 1944), fascicolo 607, foli. 24,41.

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Specchi quotidianiI migranti del 1997 nella cronaca dei giornali

Vania Bovino Luoghi cornimiRoots sempre più coinvolte in routes': radia mutanti in percorsi entro un m ondo dove Ifrutti puri, si sa, impazziscono.2 Le identità, migrando, si rifondano legandosi ad altre a loro volta indotte a riplasmarsi: anche attraverso i media m oderni. Le Comunità infatti sono reali anche se immaginate3 nel rito quotidiano della lettura dei giornali, che hanno permesso “a un numero sempre crescente di persone di pensare a sé, e di porsi in relazione ad altri, in modi profondam ente nuovi” .4 Alla nota complessità di queste e altre considerazioni attorno al rapporto, epocale, tra media e migrazioni sembra contrapporsi la lettura semplificata del “caso”Italia/Albania. Si tratta di un filone argomentativo che individua nel sistema mediático la molla principale che avrebbe fatto scattare oltre Adriatico il meccanismo della migrazione, essenzialmente causata dalla voglia di realizzare il sogno italiano, creato e alimentato dalla televisione e dalle radio italiane. La loro fruizione, autorizzata nel Paese delle aquile solo dopo il crollo del regime di Enver H oxha ma già in precedenza praticata in m odo clandestino, ha diffuso immagini e suoni che ritraevano una società caratterizzata dal benessere, ha incantato la popolazione albanese abituata a un tenore di vita molto basso e infine l’ha spinta a migrare verso questi “luoghi da sogno” .5 Difficile non percepire lo scarto tra il carattere univoco di questa lettura e l’imprevedibilità dell’agire, del pensare, del relazionarsi degli uomini.I principali sostenitori del ruolo decisivo che a riguardo avrebbero appunto svolto radio e televisione sono stati indubbiamente i giornali: con una saldatura del cerchio m ediático che accentua la diffusione della

tesi assai più che dimostrarne la validità. 7Sul Corriere della Sera del 17 marzo 1997il Presidente del Consiglio dei Ministridel tempo, R om an o Prodi, sosteneva che“T v e giornali possono avere un ruoloenorm e per il grande ascolto che hannoal di là del mare. Vi chiedo di non esserené sensazionalistici, né accomodanti.”Su Repubblica, 5 aprile 1997, per Bolaffi,“La televisione, forse, è la vera piaga della tragedia albanese. Il frutto avvelenato del prim o dono concesso dal ricco Occidente trasformatosi, d’improvviso, nel deus ex machina di eventi che hanno pochi eguali nella pur tribolatissima storia dell’immigrazione moderna.” Luoghi comuni: com e sempre indicatori preziosi quanto necessitanti di approfondimento.Così com e luogo com une è, in senso proprio, il mare Adriatico, spazio referente e cifra del Portolano che spero possa legittimare questo coup de sonde, più interrogante che conclusivo, con l’auspicio appunto che altre voci vogliano interloquire sugli stessi temi tracciando nuovi itinerari di dialogo.Ovviam ente fondamentale è infatti il diretto “punto di vista” albanese la cui conoscenza, purtroppo, è in Italia quasi completamente da costruire.Tanto che risultano utili, in proposito, anche le schegge d’informazione poco più che aneddotiche.A noi in Italia, dopo il Festival di Sanremo del 19 7 0 , rimase ignoto che la larghissima diffusione in Albania di C h i non lavora non f a l ’amore obbligò il regime a convocare “ nei suoi uffici centrali i dirigenti della macchina mediatica con l’ordine preciso di dichiarare guerra alla canzone di Celentano [che] rendeva un grande servigio alla borghesia del suo paese favorendo lo sfruttamento

1 II gioco di parole è in Clifford 1997 112 Clifford 19883 Anderson 1991

4 Anderson 1991:525 Polovina 2002.

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~78

Da II Sole 24 Ore, 2 marzo 1997.

dei lavoratori. Celentano era un antirivoluzionario” .6 “E Voi - chiede Ilir Mari, allora ingegnere e sommergibilista - sapete che eravate presenti anche nei nostri lunghissimi discorsi sulla libertà dentro un sommergibile albanese, mentre spiavamo le vostre coste, e osservavamo i nostri nemici sdraiati a prendere il sole lungo le spiagge, con bellissime ragazze in bikini?” .7E appunto alla luce di tali diverse suggestioni e valutazioni che pongo sullo sfondo di questo sondaggio la tematica relativa all’incidenza della stampa, e più latamente del sistema mediático, nella costruzione dell’im m aginario e dell’universo simbolico, culturale e sociale

degli individui e delle comunità.Al centro invece colloco l’analisi di quattro tra le principali testate giornalistiche italiane (Corriere della Sera, Il Sole 2 4 Ore, Repubblica e II Manifesto) osservate relativamente alle posizioni che si trovarono ad assumere attorno al fenom eno m igratorio dall’Albania nel m arzo-aprile 1997.Trasversali infine considero varie coordinate m etodologiche soprattutto interessate a superare il carattere necessario e ineluttabile delle interpretazioni che vedono nell’azione dei media il principale fattore, se non il solo, in grado di determinare il m odo di vedere noi stessi, il mondo che ci circonda e soprattutto gli “altri” .

Albania sull’orlo della guerra civileAlmeno dieci i morti - Si dimette il Governo Meksi

(DAL NOSTRO INVIATO)TIRANA — Lampi di

guerra civile dai Balcani: dopo 40 giorni di protesta per il crollo delle «pirami­di» finanziarie, l’Albania è passata dal lancio dei sassi alle mitragliatrici: una de­dna di morti, 30 feriti, il Sud nell’anarchia isolato dal resto del Paese. A Valo­na la violenza è esplosa con assalti alle caserme e scontri a fuoco con i servi­zi di sicurezzza. Sei agenti sono stati uccisi, due bru­ciati tra le fiamme del loro ufficn incendiato dai rivai-

6. Polovina 2002:62. 7. M aù 2002:73.

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Da II Manifesto, Costruire il caso: guerra civile9 marzo 1997. ,e popolazion e armala

N ei primi giorni di marzo i quattro quotidiani esaminati condividono una massiccia attenzione alle vicende albanesi. Inform ano attorno alla situazione di dissesto econom ico, sociale e politico che l’Albania affronta in quei giorni e, insieme, costruiscono un “ caso giornalistico” .Tra il gennaio e il febbraio del 1997 , sarà qui appena il caso di ricordare, l’Albania aveva subito una gravissima crisi economica, causata dal crack delle piramidi finanziarie, cui erano seguite grandi manifestazioni di piazza contro il governo Beri.sha e la creazione in alcune importanti città del Sud di amministrazioni autonome.

Corollari immediati di questi eventi furono la repressione con l’uso dell’esercito e la ripresa del fenom eno m igratorio verso l’Italia e la Grecia.Ampia la copertura giornalistica di queste vicende: ai titoli di testa seguono servizi di inviati sul posto, editoriali, foto e cartine, intere rubriche di cronaca. Si adottano inoltre precise strategie retoriche, stilistiche, grafiche e narrative: titoli su più colonne, riquadri accattivanti, fotografie che corredano le notizie con un’informazione di tipo visivo. I titoli fanno leva, con Proietti8, sull’aspetto perlocutorio dell’informazione, ossia su quegli elementi che tendono a creare un effetto sul lettore, per convincerlo, comm uoverlo, spiazzarlo. Da qui locuzioni com e “stato d’emergenza”

8. Proietti 1992:124-140.

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Specchi quotidiani

H n i i i

80 (Corriere della Sera) o “stato d’assedio”(Repubblica) e anche termini com e “crollo” (Repubblica) o “bom ba” Iß M anifesto) e ancora “ collasso” (H Sole 2 4 Ore). L’Albania è unanimem ente rappresentata com e in preda a una guerra civile, con la popolazione divisa &a fazioni che si com battono a colpi di kalashnikov. Coloriture ricorrenti del quadro sono le comparazioni d’effetto: “Tirana 13 marzo: è la Saigon d’Europa” (Corriere della Sera, 14 marzo), “Fuga da Tirana, nuova Saigon” (Il Sole 2 4 Ore, 14 marzo), “Saranda, la B eirut d’Europa” (Corriere della Sera, 17 marzo).Dove non si ritrovano riferimenti puntuali all’idea di guerra civile, il carattere dramm atico della situazione viene com unque reso attraverso la sottolineatura dell’uso delle armi da parte della popolazione civile e del clima di violenza prodotto da un tale uso indiscriminato. Secondo una strategia che dalle prime pagine si estende anche a titoli e contenuti degli articoli di cronaca delle pagine interne, alle vignette umoristiche e, soprattutto, al corredo fotografico: particolarm ente importante, quest’ ultimo, nello stile di com unicazione adottato da II M anifesto. Il 5 marzo la sua apertura ritrae un carro armato e il titolo commenta ironicam ente “ Il carro arm ato ha sempre ragione” . Nelle pagine interne appare una serie di uomini che ostentano armi sparando in aria mentre il resto della popolazione acclama. Il 9 marzo è in prima pagina un civile che manovra una grossa mitragliatrice: accanto una sequenza di foto che alternano immagini di bambini per le strade a quelle di altri civili armati di mitra. Tutte collegate al titolo “La bomba Albania” .E possibile operare due letture diverse di queste “notizie fotografiche”: infatti, secondo la linea editoriale militante

de II M anifesto, da un lato denunciano una situazione di disagio che porta la popolazione a imbracciare le armi, ma lasciano anche intendere che sono le armi nelle mani della popolazione a creare il disagio sociale di cui è vittima la nazione.Per espugnare l’assolutezza della convinzione di trovarsi davvero davanti a una guerra civile occorre valersi di informazioni esterne al nostro quadrilatero di quotidiani. C om e quelle, su Lim es, proposte da Raffaele G orgoni: “Le vittime sono poche e per la maggior parte casuali. Salvo qualche regolamento di conti tra bande di delinquenti, i morti e i feriti si devono a proiettili vaganti e all’uso maldestro di armi ed esplosivi.I media occidentali che gridano alla guerra civile vengono smentiti dall’esasperante lentezza dell’avvio del conflitto annunciato. Più la televisione trasmette immagini bellicose e più, nei fatti, le profezie di im m inente confronto militare cadono nel nulla” .9

t Ina fo lla senza regoleLa centralità della convinzione/costruzione di una Albania “incontrollabile” non si identifica unicamente con la guerra civile. Forte è anche la chiamata in causa della criminalità: “com une” e strutturata in “associazioni a delinquere” . O ra l’una, ora l’altra, ora tutte e due insieme costituiscono il fulcro di un secondo tipo di rappresentazione.Nella prima metà del mese di marzo escono articoli che danno particolare rilievo ad atti drammatici, violenti e soprattutto illegali compiuti dalla popolazione.C o n ricostruzioni di intere giornate realizzate com e un catalogo degli atti di vandalismo e degli attentati incendiario anche dei furti compiuti dalla popolazione civile negli edifici pubblici e privati,

o ancora degli assalti alle caserme, alle carceri e ai depositi di armi. Altri articoli ancora fanno il punto sugli omicidio i ferimenti. D a Repubblica del 5 marzo:

Ormai non c’è più legge che tenga, chi ha a Valona una pistola, un facile, un kalashnikov, e spesso sono solo ragazzini, si sente autorizzato a compiere ogni sorta di nefandezza. Come quel gruppo di una decina di persone che ieri, pistole in pugno, hanno fatto irruzione nell’ospedale di Valona, saccheggiando le scorte di viveri ed entrando perfino in sala operatoria per finire a colpi di revolver un ferito proprio mentre un chirurgo tentava di ricucirgli la pancia.

Si punta a costruire una imm agine delle proteste com e m om enti di esplosione della rabbia e della disperazione di una moltitudine ribelle incapace di controllare e gestire i propri sentimenti e le proprie azioni, che travolge cose e persone e che annulla qualsiasi possibilità di autonomia e autocontrollo individuale. M ettendo in continuo pericolo l’ordine pubblico, la legalità, la proprietà pubblica e privata, la salute, la vita.Si tratta - com e richiama Vehibu - della utilizzazione del “m ito della folla” , ossia di quel pensiero che interpreta le moltitudini non più com e “assemblee di individui autosufficienti, ma com e massa primordiale, ubbidiente ai suoi istinti e ai suoi ritm i oscuri” .10 Gli Albanesi descritti dai quotidiani sono una folla “ che sembra appartenere a un ordine diverso dell’essere, che tiene iscritto sul proprio codice genetico una capacità distruttiva intrinseca” .11 Per Vehibu questa ideologia è stata utilizzata per colpire il lettore occidentale in quanto “le società occidentali non sono strutturalmente attrezzate per gestire una relazione con folle persistenti. Quegli stessi

9. Gorgoni 1997: 87. 10. Vehibu 1997, Vehibu, Devole 1996. 11 Vehibu 1997.

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Specchi quotidiani

riti comuni di celebrazioni e festività, manifestazioni e cortei, traffici di ferragosto e shopping natalizio, partite allo stadio e concerti rock ecc. - parte integrante della vita sociale quotidiana - sono costruite sull’idea di un limite temporale, nell’attesa della dispersione della folla, della sua trasformazione in individui.C on gli Albanesi ciò non è avvenuto” .12 Gli Albanesi che protestano, che partono dall’Albania sulle navi e arrivano nei porti italiani sono raccontati com e folla, categorizzante l’individuo in una definizione univoca che ingloba l’individualità fino a distruggerla. E questi racconti dell’essere-folla, assumono allo stesso tempo i caratteri della grandiosità e della drammaticità. L’obiettivo è sempre quello di colpire il lettore, insistendo anche sulla continua infrazione della legalità e sull’assenza di un’autorità che faccia rispettare le leggi, e più in generale sull’incapacità da parte della popolazione di rispettare una serie di principi postulati com e fondamentali per l’esistenza di una società “civile” . Inevitabile, di conseguenza, la comparazione tra un “ noi-civili” , che accom una lettori e giornalisti, e un “loro-Albanesi” descritti com e moltitudine irrazionale, primordiale e criminale e quindi estranea a questa idea di civiltà.Altri articoli hanno com e elemento centrale gli affari delle “associazioni a delinquere” : descritti com e una fetta sempre più consistente e caratterizzante dell’econom ia albanese a partire dagli anni Novanta. Alle descrizioni di un’Albania in preda al dissesto econom ico, politico e sociale viene quindi affiancato il racconto di com e anche in condizioni di normalità gran parte dell’econom ia locale sia contaminata dai profitti provenienti da attività della malavita: traffico di armi,

di droga, di uomini, prostituzione, riciclaggio del danaro sporco, contrabbando di sigarette. Tutto, quasi sempre, formulato attraverso dichiarazioni di esperti del settore antimafia italiano, che descrivono l’Albania com e luogo prescelto dalle varie mafie (anche italiane e internazionali) per l’organizzazione e lo sviluppo dei propri commerci. Anche in questo caso ritroviamo una sostanziale om ogeneità delle testate.Il Corriere della Sera del 5 marzo dedica una intera pagina alle dichiarazioni del procuratore nazionale antimafia Vigna, completate da una intervista al giudice Fernando Imposimato, esperto di criminalità organizzata:

IMPOSIMATO: FACCIAMO ATTENZIONE PUÒ DIVENTARE

LA N O STRA COLOMBIA

La similitudine Albania-Colom bia appare anche ne II M anifesto del 4 marzo:

Crocicchio di tutte le mafie - a cui gli Albanesi forniscono servizi pregiati

come l’immigrazione clandestina - l’Albania, oggi produttore di marijuana,

produrrà coca

LA COLOM BIA PIÙ VICINA

Alle organizzazioni criminali viene attribuita anche la responsabilità di reggere le fila della protesta, di fomentare o creare direttamente gli scontri tra la popolazione e il governo, con la finalità di accrescere il proprio potere fino a diventare l’unica “istituzione” in grado di im porre una sorta di ordine pubblico, o semplicemente per poter alimentare uno dei business più redditizi: quello dei viaggi illegali di persone e di droga attraverso l’Adriatico.Si veda Repubblica del 2 marzo:

I mafiosi avevano avvertito Berisha: 8J“Ridacci i soldi, o ti mettiamo

su un casino dal quale non uscirai indenne”

QUELLA CITTÀ RIBELLE DOVE COMANDANO I DURI

Le perdite erano superiori ai 700 miliardi

Il contenuto e soprattutto il tono dell’articolo trasmettono il senso di gravità della situazione albanese e hanno la funzione di allarmare e coinvolgere il lettore italiano. Se da un lato viene rappresentata una situazione econom icam ente disastrata e socialmente pericolosa, per cui può essere comprensibile e condivisibile la scelta di voler migrare, dall’altro si insiste nel mostrare com e tale scelta sia fortemente influenzata dagli interessi della criminalità organizzata.

U n ’o n d a ta in a rrestab ile

Nella seconda metà di marzoil già alto livello di attenzione versol’Albania “violenta e illegale” diviene,con l’informazione giornalistica, un veroe proprio allarme nazionale.Acquistano ora grande evidenza le previsioni num eriche, ingenti, sulla quantità di popolazione albanese che deciderà di partire verso l’Italia.Si analizza inoltre il rapporto che i migranti potrebbero avere con la criminalità, che fornisce loro i mezzi per i viaggi e li assolda per attività illecite una volta entrati in Italia. Infine grande rilievo viene dato alla problematica giuridico-istituzionale e morale dell’accoglienza, relativa alla difficoltà da parte dello Stato italiano di conciliare il dovere di asilo, sancito da alcuni trattati internazionali13 e invocato dall’anima cattolica e laica del volontariato e dell’associazionismo, con la necessità

12,Vehibu 199713. La Convenzione di Ginevra del 28/7/1951 ratificata in

Italia con la legge n. 722 del 1954 che sancisce il pnncipio universale della protezione per tu ta coloro che facciano

richiesta di asilo.

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Specchi quotidiani

di regolamentare l’immigrazione straniera secondo la vigente legge sull’immigrazione14 e secondo quanto richiesto dalle aree politiche più nazionaliste e xenofobe.N ei giorni seguenti agli sbarchi, la presenza di una com ponente criminale da individuare e isolare rispetto al resto della popolazione albanese arrivata in Italia, diviene uno dei punti centrali delle analisi della stampa. La distinzione buoni/cattivi individua anche uno degli obiettivi principali del governo italiano che ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale - il 2 0 marzo - e ha varato una serie di provvedimenti per il blocco dei flussi migratori e il rimpatrio di quelle persone considerate soggetti pericolosi per l’ordine pubblico.15 Il Corriere della Sera, il 18 marzo, titola:

Quasi settemila i profughi arrivati

ALLARME PROFUGHI,ITALIA DIVISA

Scatta l’emergenza criminalità, decine di casi sospetti. Il Super procuratore Vigna:

ora c ’è il pericolo di un’invasione della mala. Il governo: l’accoglienza

continua ma solo per i più bisognosi, non per chi crea problemi.

Borghezio: pronte le ronde padane

L’allarme del procuratore capo della DIA

VIGNA: MASSIMA ALLERTA CO N TRO IL RISCHIO DI

U N ’ “INVASIONE CRIM INALE”

Il Corriere utilizza l’intervista a Vigna per sostenere l’idea della “invasione criminale”, che per ora ha solo consistenza mediatica: nessuno dei profughi giunti in Italia è stato ancora ritenuto colpevole

14. Si tratta della legge Martelli, ovvero la legge n. 39 del 1990.15 Si tratta del Decreto del 20 marzo 1997 n. 60 dal titoloInterventi straordinari per fronteggiare ¡’eccezionale afflussodi stranieri extraconiunitari provenienti dall'Albania, che prevede

di una qualche violazione delle leggi italiane. Contem poraneam ente, l’intervista crea una distanza da questa idea attribuendola a Vigna.Il Corriere costruisce poi una vera e propria “arena” : dove diverse personalità esprimono il loro giudizio in proposito.Il 2 0 marzo appare una intervista all’arcivescovo di Brindisi:

La denuncia dell’arcivescovo di Brindisi

“MA QUALI CRIMINALI IN FUGA. N OI SIAMO PEGGIO DI LO RO ”

1123:

Parla il presidente dell’antimafia

DEL T U R C O ATTACCA VIGNA:“MA QUALE CO N G IURA MAFIOSA,

È L’ESODO DI UN A NAZIONE ESPLOSA”

Il 24:

La polemica

VIGNA A DEL T U R C O : “SÌ, LA CRIMINALITÀ SI È INFILTRATA”

Il 27 :

Il comunista vice della commissione

VENDOLA: SBARCHI DI MAFIA, INVENZIONE DA FUM ETTO

Il 28:

L’intervista: da Lecce Monsignor Ruppi replica al presidente dell’antimafia

IL VESCOVO: DEL T U R C O MALE INFORMATO, I RIMPATRIATI

N O N SONO ANGIOLETTI

Quando, nei giorni successivi al 14 marzo,

il rilascio di un permesso di soggiorno tem poraneo della durata di 60-90 giorni per tutti gli stranieri albanesi che non abbiano rapporti con la criminalità o non abbiano commesso reati, per i quali invece è prevista l’espulsione. Cf. Decreto

si com inciano a registrare i primi sbarchi, i giornali danno grande rilievo alla descrizione quantitativa e qualitativa del fenom eno.Q uotidianamente ogni testata riporta in evidenza il num ero approssimativo di profughi arrivati. Più spesso però i giornali utilizzano espressioni verbali che, con enfasi maggiore delle cifre, si riferiscono alla portata num erica del fenom eno m igratorio e contem poraneam ente ne danno una definizione di tipo qualitativo: “ondata inarrestabile” (Corriere della Sera, 18 marzo), “invasione dei disperati” ed “esodo” (Repubblica, rispettivamente del 15 e 16 marzo, ma anche H Sole 2 4 Ore del 23 marzo). N on a torto Dal Lago ha parlato di “una campagna di isteria collettiva contro il pericolo albanese . . . sostenuta in gran parte dalla stampa nazionale e legittimata di fatto dal governo di centro-sinistra, nonostante l’arrivo di p oco più di 1 5 .0 0 0 Albanesi non abbia provocato alcun vero problema di ordine pubblico” .16 Inoltre “Il governo appare del tutto subordinato alla versione della realtà costruita dai media” .17 Tanto da far ritenere conseguenza di tale realtà il decreto del 2 0 marzo 1997 con il quale viene conferito al fenom eno m igratorio dall’Albania lo status di “ emergenza nazionale” , e per il quale vengono previste delle misure speciali per la tutela dell’ordine pubblico.C erto è che la stampa ha preceduto il governo nel proclamare l’emergenza.

D a profughi a clandestini La definizione e la denominazione più frequentemente utilizzata dalla stampa nei riguardi dei migranti albanesi arrivati in Italia nel marzo 1997 è stata all’inizio

Albanesi: immediate espulsioni, Il Sole 24 Ore, 22 marzo 1997,16. Dal Lago 1999: 25.17. Dal Lago 1999:189

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Da II Manifesto, 9 marzo 1997.

quella di profughi: facilmente associabile con le rappresentazioni dell’Albania, già citate, in cui il paese viene descritto in preda alla guerra civile, al caos, alle bande armate.Allo stesso tem po però questa definizione prevede per il paese ospitante una accoglienza illimitata e incondizionata. L’uso fatto dai giornali di questo term ine è stato estremamente generico e riduttivo, proprio per il suo valore impegnativo in term ini di accoglienza.Nella seconda metà di m arzo la categoria profughi verrà invece messa in discussione e saranno introdotte altre diverse denominazioni: tra cui quelle di immigrati e clandestini, che im pongono di pensare ai migranti non più in base alle condizioni del luogo da dove sono partiti, ma in relazione al contesto, soprattutto giuridico, del luogo di sbarco.

Per gli immigrati infatti il contesto è quello delle leggi che regolamentano il lavoro e disciplinano l'afflusso di manodopera straniera. Per i clandestini invece il riferim ento è più genericamente al sistema giuridico dello stato di arrivo e in particolare alla normativa che sancisce i diritti e i doveri relativi alla cittadinanza, nei confronti della quale essi sono in difetto. La stampa, nel periodo e sul tema considerati, si è dimostrata per la verità anche autocritica: affrontando dal proprio interno il tema dell’influenza che il sistema mediático ha avuto sul fenomeno delle migrazioni dall’Albania.Il Corriere della Sera, 17 marzo:

E G R A Z I E A L L E P A R A B O L I C H E

P A R L A N O T U T T I I T A L IA N O

Questa “preparazione” fornita dalla

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Specchi quotidiani

In alto, da II Sole 24 Ore, 7 marzo 1997.Qui sopra, ancora da II Sole 24 Ore,13 marzo 1997.

televisione si rivela poi, nel contesto della migrazione in Italia, utile allo stesso sistema televisivo, a cui gli Albanesi appaiono com e “Gli stranieri più intervistabili del pianeta” . Repubblica, il 5 aprile:

La vicenda albanese dimostra che ormai il video ha un potere sovranazionale

LA TELE-EM IG RAZIO N E

Il falso miraggio della ricchezza facile

Significativo in questa direzione è l’atteggiamento assunto, sempre da Repubblica, il 2 aprile, dopo il dramma del canale d’Otranto, dove m orirono, con il coinvolgimento di una corvetta della M arina Militare italiana, 89 cittadini albanesi. C on la creazione del “blocco navale” è infatti il governo, e non più il sistema mediático, a essere ritenuto responsabile dell’accaduto, e quindi accusato di aver influito in maniera drammatica, attraverso questo tipo di provvedimenti:

Accuse di irresponsabilità ai media.La replica dei direttori:

Abbiamo fatto quello che doveva fare il ministro

ANDREATTA E TG AI FER R I CORTI

Mimun: che dovevamo fare, tacere?

E forse II Manifesto ad assegnare comunque maggiore spazio alla dimensione autoriflessiva. Il 19 marzo pubblica un articolo in cui vengono riportati stralci di pezzi pubblicati sui maggiori quotidiani nazionali (Il Messaggero, Il Tempo, L a Stampa, Il Giornale, Repubblica, L ’Unità, Corriere della Sera) nei quali gli Albanesi vengono descritti com e criminali e 0 fenom eno migratorio dall’Albania com e un’invasione dagli effetti pericolosi per il paese.

U Manifesto, ovviamente, si sente soprattutto chiam ato in causa dalla presenza del “razzismo di Sinistra” , indubbiamente presente in Italia, com e tra l’altro emerge, dagli interventi telefonici a Italia R adio, emittente nazionale vicina al Pds:

... ieri mattina il primo a intervenire è stato Anseimo Brighi da Forlì, “dovevamo bloccare i porti e mandarli tutti indietro

. quello che ha detto quello di Forlilo volevo dire io - esordisce Tina Fagioli da Empoli - ... non si vive, non si cammina con negri, zingari ... ero del Pei ora sono del Pds, ho 64 anni ma questa Sinistra fa schifo, doveva chiudere le frontiere” ... “bisognava mettere un freno subito, questi sono prepotenti - dice da Roma Giuseppina Limmi - quindi non cerchiamo di essere buoni quando gli altri non sono buoni con noi” ... la signora Luisa Piccolo da Torino, afferma senza pudore “io non sono buona, questi mi fanno paura. Non sono persone piacevoli, c’è da preferire i Marocchini... è il massimo”

Il Corriere della Sera, invece, non dichiara esplicitamente una connessione tra reazioni di chiusura degli Italiani e la rappresentazione elaborata dai mass media. N on manca tuttavia di analizzare gli articoli “peggiori” che la stampa italiana ha prodotto sul conto dei profughi e di riportare le polemiche e le accuse di razzismo che hanno scatenato. Rilevando che, in ogni caso, l’ostilità contro gli Albanesi si dimostra in Italia pervasiva. In un articolo di Fumagalli, del 2 2 marzo, si cerca di dimostrare che “l’antipatia” verso i cittadini dell’altra sponda adriatica è trasversale agli schieramenti politici.In altre parole non si rileva una linea dell’Ulivo e una linea del Polo.Le distanze dagli Albanesi le prendono con maggiore o minore enfasi sia L ’Espresso che II Giornale.È infine significativo il silenzio manifestato su questi temi da II Sole 2 4 O re: una scelta

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Specchi quotidiani

forse motivata dalla linea editoriale che rivolge la propria attenzione prevalentemente alle notizie che possono essere dichiarate ufficiali e alle quali affianca com m enti e interpretazioni non generiche ma frutto di analisi specialistiche. Per soddisfare un pubblico ricercato nelle fasce medio alte e istruite. Se ne può quindi dedurre che la testata non veda nel dibattito fondamenti argomentativi adeguati.

“N ew s values”E probabilmente proprio questo silenzio de II Sole 2 4 Ore il miglior viatico per intraprendere un breve percorso di riflessione sull’insieme dei dati raccolti. L’insistenza sul peso dei media ne mostra intanto una sorta di autocompiacenza, che conduce all’adozione di forme e contenuti che si fanno sempre più autoreferenziali. Si tratta di un processo che conduce i mass media ad allontanarsi dalla funzione di informazione e rappresentazione della realtà e al contrario li avvicina sempre più a una continua rappresentazione di sé, del proprio m ondo e delle proprie dinamiche, com e di una “altra” realtà, degna di interesse e di attenzione quanto, e forse anche più, della prima. Sottoinsieme del problema è la concorrenza: si pubblica qualcosa perché ci si aspetta che lo facciano le altre testate, creando quindi una tendenziale omologazione.C oncorrenza esiste anche, e sempre di più, tra T V e stampa: con la conseguente “settimanalizzazione dei quotidiani” . Questi, avendo perso l’esclusiva sulla caratteristica temporale della quotidianità dell’informazione, assunta invece dalla televisione, cercano di modificare il proprio ritm o utilizzando tecniche

che li avvicinano ai settimanali e ai rotocalchi.Rispetto al tema delle migrazioni l’autoreferenzialità appena ricordata si traduce nel tentativo di conferire al fenom eno m igratorio un’immagine artificiale, presentandolo non com e nato da esigenze reali e primarie, ma scaturito da narrazioni, descrizioni e finzioni elaborate dai media. La stampa italianalo rappresenta com e il frutto dell’influenza della televisione italiana: non com e una crisi concreta causata dall’impossibilità di condurre un’esistenza dignitosa. O cco rre naturalmente tener conto, per meglio orientarsi nell’analisi, della peculiare identità e della struttura di un quotidiano: è un “contenitore di notizie” è stato detto, senza dire molto. “ N otizia” è infatti concetto tutt’altro che semplice, com e tra l’altro appare evidente dal dibattito relativo: da Tuchman e l’anglosassone newsmaking (per cui “la notizia è un perenne definire e ridefinire, com porre e ricom porre i fenom eni sociali”) 18 a E co e la “notiziabilità” di un evento. Papuzzi inoltre parla del processo di creazione delle notizie com e di “un processo che decontestualizza un evento per ricontestualizzarlo nella forma della notizia” .19 La notizia si presenta com e il prodotto finale di un processo che elabora gli eventi per inserirli nel “ contenitore” del quotidiano, definito anche com e “un sistema di classificazione in cui per organizzare i contenuti si impone una gerarchizzazione dei fatti” .20 Decisivi in questa direzione, anche per il nostro tema, sono gli studi sui cosiddetti news values o valori notizia:

A ffin ch é un avven im en to possa essere

S

trasform ato in n otizia è necessario

ch e esso presenti requisiti tali da superare

le rig id e rego le im p oste dalle routine

p rod u ttive .21

N e i va lori notizia si rispecch ia

e si con cretizza una q u estion e chiave

del lin gu agg io g io rn alistico e delle sue

tecn ich e: il fatto ch e le n otizie sono

una fo rm a d i co m u n ica z io n e costru ita

su stereotipi . . . il lettore sarà interessato

a un avven im en to , oggetto di notizia,

se co rrisp o n d e ai p recon cetti in base

ai quali considera la realtà che lo circon da

e fo rm a le p ro p rie o p in io n i.22

M edioramiE anche tenendo in debita considerazione i meccanismi identitari dei quotidiani che, a questo punto, vorrei riportare la riflessione sul nodo principale: la reale influenza del potere mediático sul fenom eno m igratorio albanese.Di grande pertinenza e utilità valuto, a riguardo, l’analisi condotta da M arrone23 sul rapporto tra il quotidiano e il lettore. Q uest’ultimo è considerato quale destinatario attivo, che non subisce la com unicazione ma dà un contributo fondamentale com piendo due azioni diverse: leggere un contenuto informativo e stabilire una relazione con l’emittente. U n approccio di questo tipo contrasta fortem ente con la vulgata interpretativa su quanto e com e sarebbero responsabilità dei media sia la migrazione albanese sia le modalità della sua accoglienza,o rifiuto, in Italia. Trattasi in effetti di una concezione alquanto datata e dai molti genitori, com e la teoria formulata da Shaw24 secondo cui la rappresentazione della realtà fornita dai media ha effetti notevoli sulla percezione della stessa realtà da parte

18.Tuchman in Stile Stampa 1998: 44.19. Stile stampa 1998: 7.20. Boldrini 2000: 11.

21 Boldrini 2000 : 29.22. Boldrini 2000: 9.23. M arrone 2001.

24. Shaw 2000.

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Specchi quotidiani

Da II Manifesto,13 marzo 1997.

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Specchi quotidiani

del pubblico. Q uando invece dalla “metà degli anni Sessanta, tutti gli studi sulle comunicazioni di massa hanno accantonato l’idea che queste producano effetti veloci, isolabili, potenti, cioè a breve termine, su lettori passivi” .25 Nello specifico del fenom eno m igratorio questo significherebbe, m olto semplicisticamente, che gli Albanesi subiscono i media italiani, secondo un approccio unidirezionale, che tiene conto di una sola modalità di interazione tra le comunità locali e i mezzi di com unicazione che operano su scala transnazionale.Al contrario risulta che tale relazione non solo non è univoca, ma il più delle volte è caratterizzata da un ruolo attivo della popolazione locale e costituita da una molteplicità di form e e approcci, che vanno dalla riformulazione e rielaborazione del messaggio mediático all’interno delle categorie e dei sistemi di significato locali, all’appropriazione del m ezzo stesso di com unicazione con la finalità di veicolare i propri messaggi oltre i confini locali. Il limite della teoria di Shaw è infatti proprio quello di ritrarre gli Albanesi com e mere vittime del sistema mediático, incapaci di com prendere e rielaborare in maniera autonom a la rappresentazione dell’Italia fornita dai media, ingenuamente ammaliati dai lustrini della televisione italiana e sprovvisti degli strumenti cognitivi atti a com prendere la distinzione tra fiction e realtà. Inoltre questa teoria pone in secondo piano le altre motivazioni che possono aver spinto la popolazione albanese alla migrazione e che, al di là della possibile manipolazione effettuata dai media, possono essere originate da una reale e profonda disparità di condizioni econom iche, politiche e sociali tra l’Italia e l’Albania.

Solo in prima istanza allineata con le riflessioni di Shaw è la teorizzazione di Anderson, che ha coniato il concetto di “comunità immaginate” per rappresentare quei fenomeni nei quali proprio la fruizione collettiva dei mass media ha stimolato la nascita di nuove identità collettive che, sebbene abbiano un carattere immaginato, hanno dei risvolti concreti nella vita sociale e culturale.26 Il lettore sa che migliaia di persone stanno com piendo la stessa operazione nello stesso m om ento: il consumo di massa crea un legame ideale tra i consumatori di questo prodotto che cominciano a pensarsi com e una comunità.Al giornale viene quindi riconosciuto un ruolo fondamentale che consiste nel contribuire alla formazione della possibilità degli uomini di immaginare se stessi e il mondo. M a agli uomini viene anche riconosciuta la capacità di agire in vista della realizzazione pratica di questi nuovi tipi di relazioni umane e di mondi immaginati. In termini più generali questo m odello teorico ci propone di guardare in maniera diversa alla relazione tra le tecnologie di comunicazione di massa e la vita quotidiana.Appadurai nel suo lavoro Modernità in polvere suggerisce di analizzare questa relazione all’interno del contesto contem poraneo affidando un ruolo centrale all’imm aginazione.27 Egli vede in questa non un sinonimo di “fantasia” che “porta con sé l’inevitabile connotazione di pensiero separato da progetti e azioni, e ha anche una sfumatura privata addirittura individualistica. Invece l’immaginazione si accom pagna a un senso di proiezione, di essere preludio a qualche form a di espressione, estetica o di altro tipo.La fantasia può portare all’indifferenza (perché la sua logica è spesso

S

autoreferenziale), m a l’immaginazione, soprattutto quando è collettiva, può diventare impulso per l’azione” .28 Immaginazione dunque com e bagaglio collettivo di m em orie e desideri condivisi, che interviene nella definizione dell’identità di un gruppo di persone.E possibile quindi pensare che l’immaginazione sia in grado di produrre definizioni culturali, attraverso la creazione di “comunità di sentim ento”.29 Queste comunità, così com e proposto da Anderson, possono nascere dalla fruizione collettiva dei mass media. Appadurai però spinge oltre gli effetti di questo “sentire com une” sostenendo che è in grado di contribuire a modificare la vita sociale delle comunità.C om e si verifica con le migrazioni.

P iù gen te ch e m ai considera n o rm ale

im m agin are la possib ilità, p e r sé stessi

o p e r i p ro p ri fig li, di v ive re e lavorare

in posti d iversi da qu elli in cu i son o nati:

questa è l ’ o r ig in e dei cresciu ti tassi

di em igrazione a tutti i livelli della vita

sociale, nazionale e g lo b a le . . . Q u este p er­

son e che si m u o vo n o d evo n o trascinare

co n sé la lo ro capacità di im m agin are

n u o vi m o d i di v ita . . . Q u este diaspore

si carican o della fo rza d e ll’ im m agin az io n e

sia co m e m e m o ria ch e co m e d esid erio . . .

Q u e lli ch e d esiderano m uoversi, qu elli che

si sono g ià m ossi, qu elli che desiderano torn are e q u elli ch e hann o

scelto di restare fo rm u la n o di rado i lo ro

progetti al d i fu o ri della sfera della radio,

della televisione, delle cassette e d ei v ideo ,

della carta stam pata e del telefono.

P er g li em igran ti, sia le p ratiche

di adattam ento ai n u o vi am bien ti

sia l ’ im p u lso a m u oversi o a torn are son o

fo rtem en te in fluenzati da un im m agin ario

m ass-m ediatico che spesso travalica

lo spazio n azio n ale .30

25. Boldrini 2000-41.26. Anderson 1996: 52.

27, Appadurai 1996: 18.28. Appadurai 1996:22.

29, Appadurai 1996: 22.30. Appadurai 1996:20.

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Specchi quotidiani

In alto, da II Sole 24 Ore, 7 marzo 1997.Qui sopra, ancora da II Sole 24 Ore,13 marzo 1997.

televisione si rivela poi, nel contesto della migrazione in Italia, utile allo stesso sistema televisivo, a cui gli Albanesi appaiono com e “Gli stranieri più intervistabili del pianeta”. Repubblica, il 5 aprile:

L a v icen d a albanese d im ostra ch e o rm ai

il v id e o ha un p otere sovran azion ale

L A T E L E - E M I G R A Z I O N E

Il falso m ira gg io della ricch ezza facile

Significativo in questa direzione è l’atteggiamento assunto, sempre da Repubblica, il 2 aprile, dopo il dramma del canale d ’Otranto, dove m orirono, con il coinvolgimento di una corvetta della M arina Militare italiana, 89 cittadini albanesi. C on la creazione del “blocco navale” è infatti il governo, e non più il sistema mediático, a essere ritenuto responsabile dell’accaduto, e quindi accusato di aver influito in maniera drammatica, attraverso questo tipo di provvedimenti:

A ccu se di irresponsabilità ai m edia.

La rep lica dei d irettori:

A b b ia m o fatto q u ello che doveva fare

il m inistro

A N D R E A T T A E T G A I F E R R I C O R T I

M im u n : che d ovevam o fare, tacere?

E forse II Manifesto ad assegnare comunque maggiore spazio alla dimensione autoriflessiva. Il 19 marzo pubblica un articolo in cui vengono riportati stralci di pezzi pubblicati sui maggiori quotidiani nazionali (Il Messaggero, Il Tempo, L a Stampa, Il Giornale, Repubblica, L ’Unità, Corriere della Sera) nei quali gli Albanesi vengono descritti com e criminali e il fenom eno migratorio dall’Albania com e un’invasione dagli effetti pericolosi per il paese.

Il Manifesto, ovviamente, si sente soprattutto chiamato in causa dalla presenza del “razzismo di Sinistra” , indubbiamente presente in Italia, com e tra l’altro emerge, dagli interventi telefonici a Italia R adio, emittente nazionale vicina al Pds:

. . . ie r i m attina il p r im o a in terven ire

è stato A n seim o B rig h i da Forlì, “ d ovevam o

b lo ccare i p orti e m andarli tutti ind ietro

. . . q u ello che ha detto q u ello di Forlì

lo v o lev o dire io - esordisce T in a F ag io li

da E m p o li - . . . non si vive, non si cam m ina

co n n e g r i, zin gari . . . ero del P e i ora sono

del Pds, h o 64 anni m a questa Sinistra

fa schifo, doveva ch iudere le fro n tiere” . . .

“ bisogn ava m ettere un fren o subito, questi

son o p repoten ti - d ice da R o m a

G iu sep p in a L im in i - quindi non cerchiam o

di essere b u o n i quan do gli altri n on son o

buoni con n o i” . . . la signora Luisa P icco lo

da T o rin o , afferm a senza pudore

“ io n on son o bu o n a , questi m i fann o

paura. N o n son o p erso ne p iacevo li,

c ’ è da pre ferire i M a ro c c h in i...

è il m assim o”

Il Corriere della Sera, invece, non dichiara esplicitamente una connessione tra reazioni di chiusura degli Italiani e la rappresentazione elaborata dai mass media. N on manca tuttavia di analizzare gli articoli “peggiori” che la stampa italiana ha prodotto sul conto dei profughi e di riportare le polemiche e le accuse di razzismo che hanno scatenato. Rilevando che, in ogni caso, l’ostilità contro gli Albanesi si dimostra in Italia pervasiva. In un articolo di Fumagalli, del 2 2 marzo, si cerca di dimostrare che “l’antipatia” verso i cittadini dell’altra sponda adriatica è trasversale agli schieramenti politici.In altre parole non si rileva una linea dell’Ulivo e una linea del Polo.Le distanze dagli Albanesi le prendono con maggiore o minore enfasi sia L ’Espresso che II Giornale.E infine significativo il silenzio manifestato su questi temi da II Sole 2 4 O re: una scelta

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Specchi quotidiani

forse motivata dalla linea editoriale che rivolge la propria attenzione prevalentemente alle notizie che possono essere dichiarate ufficiali e alle quali affianca com m enti e interpretazioni non generiche ma frutto di analisi specialistiche. Per soddisfare un pubblico ricercato nelle fasce medio alte e istruite. Se ne può quindi dedurre che la testata non veda nel dibattito fondamenti argomentativi adeguati.

"Nat’S values"È probabilmente proprio questo silenzio de II Sole 2 4 Ore il m iglior viatico per intraprendere un breve percorso di riflessione sull’insieme dei dati raccolti. L’insistenza sul peso dei media ne mostra intanto una sorta di autocompiacenza, che conduce all’adozione di forme e contenuti che si fanno sempre più autoreferenziali. Si tratta di un processo che conduce i mass media ad allontanarsi dalla funzione di informazione e rappresentazione della realtà e al contrario li avvicina sempre più a una continua rappresentazione di sé, del proprio m ondo e delle proprie dinamiche, com e di una “altra” realtà, degna di interesse e di attenzione quanto, e forse anche più, della prima. Sottoinsieme del problema è la concorrenza: si pubblica qualcosa perché ci si aspetta che lo facciano le altre testate, creando quindi una tendenziale om ologazione.C oncorrenza esiste anche, e sempre di più, tra T V e stampa: con la conseguente “settimanalizzazione dei quotidiani” . Questi, avendo perso l’esclusiva sulla caratteristica temporale della quotidianità dell’informazione, assunta invece dalla televisione, cercano di modificare il proprio ritm o utilizzando tecniche

che li avvicinano ai settimanali e ai rotocalchi.R ispetto al tema delle migrazioni l’autoreferenzialità appena ricordata si traduce nel tentativo di conferire al fenom eno m igratorio un’immagine artificiale, presentandolo non com e nato da esigenze reali e primarie, ma scaturito da narrazioni, descrizioni e finzioni elaborate dai media. La stampa italianalo rappresenta com e il frutto dell’influenza della televisione italiana: non com e una crisi concreta causata dall’impossibilità di condurre un’esistenza dignitosa. O cco rre naturalmente tener conto, per meglio orientarsi nell’analisi, della peculiare identità e della struttura di un quotidiano: è un “ contenitore di notizie” è stato detto, senza dire molto. “N otizia” è infatti concetto tutt’altro che semplice, com e tra l’altro appare evidente dal dibattito relativo: da Tuchman e l’anglosassone newstnaking (per cui “la notizia è un perenne definire e ridefinire, com porre e ricom porre i fenom eni sociali”) 18 a E co e la “notiziabilità” di un evento. Papuzzi inoltre parla del processo di creazione delle notizie com e di “un processo che decontestualizza un evento per ricontestualizzarlo nella form a della notizia” .19 La notizia si presenta com e il prodotto finale di un processo che elabora gli eventi per inserirli nel “contenitore” del quotidiano, definito anche com e “un sistema di classificazione in cui per organizzare i contenuti si impone una gerarchizzazione dei fatti” .20 Decisivi in questa direzione, anche per il nostro tema, sono gli studi sui cosiddetti news values o valori notizia:

A ffin ch é un avven im en to possa essere

« M t ì itrasform ato in notizia è n ecessario s s

che esso presenti requisiti tali da superare

le rig id e rego le im p oste dalle routine

p rod u ttive .21

N e i va lo ri notizia si rispecch ia

e si con cretizza una q u estione chiave

del lin g u ag g io g io rn alistico e delle sue

tecn ich e: il fatto che le n otizie son o

una fo rm a di co m u n icazio n e costru ita

su stereotipi . . . il le ttore sarà interessato

a un avven im en to , oggetto di notìzia,

se co rrisp o n d e ai p reco n cetti in base

ai quali con sidera la realtà ch e lo circon da

e fo rm a le p ro p rie o p in io n i .22

MedioramiE anche tenendo in debita considerazione i meccanismi identitari dei quotidiani che, a questo punto, vorrei riportare la riflessione sul nodo principale: la reale influenza del potere mediático sul fenom eno m igratorio albanese.D i grande pertinenza e utilità valuto, a riguardo, l’analisi condotta da M arrone23 sul rapporto tra il quotidiano e il lettore. Q uest’ultimo è considerato quale destinatario attivo, che non subisce la com unicazione ma dà un contributo fondamentale com piendo due azioni diverse: leggere un contenuto informativo e stabilire una relazione con l’emittente.U n approccio di questo tipo contrasta fortem ente con la vulgata interpretativa su quanto e com e sarebbero responsabilità dei media sia la migrazione albanese sia le modalità della sua accoglienza,o rifiuto, in Italia. Trattasi in effetti di una concezione alquanto datata e dai molti genitori, com e la teoria formulata da Shaw24 secondo cui la rappresentazione della realtà fornita dai media ha effetti notevoli sulla percezione della stessa realtà da parte

18.Tuchman in Stile Stampa 1998: 44,19. Sóle stampa 1998: 7.20. Boldnru 2000: 11.

21. Boldrini 2000 :29.22. Boldrini 2000: 9.23. M arrone 2001.

24. Shaw 2000.

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Da II Manifesto,13 marzo 1997.

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del pubblico. Q uando invece dalla “metà degli anni Sessanta, tutti gli studi sulle comunicazioni di massa hanno accantonato l’idea che queste producano effetti veloci, isolabili, potenti, cioè a breve termine, su lettori passivi” .25 Nello specifico del fenom eno m igratorio questo significherebbe, molto semplicisticamente, che gli Albanesi subiscono i media italiani, secondo un approccio unidirezionale, che tiene conto di una sola modalità di interazione tra le comunità locali e i mezzi di com unicazione che operano su scala transnazionale.Al contrario risulta che tale relazione non solo non è univoca, ma il più delle volte è caratterizzata da un ruolo attivo della popolazione locale e costituita da una molteplicità di form e e approcci, che vanno dalla riformulazione e rielaborazione del messaggio mediático all’interno delle categorie e dei sistemi di significato locali, all’appropriazione del mezzo stesso di com unicazione con la finalità di veicolare i propri messaggi oltre i confini locali. Il limite della teoria di Shaw è infatti proprio quello di ritrarre gli Albanesi com e mere vittim e del sistema mediático, incapaci di com prendere e rielaborare in maniera autonom a la rappresentazione dell’Italia fornita dai media, ingenuamente ammaliati dai lustrini della televisione italiana e sprovvisti degli strumenti cognitivi atti a com prendere la distinzione tra fiction e realtà. Inoltre questa teoria pone in secondo piano le altre motivazioni che possono aver spinto la popolazione albanese alla migrazione e che, al di là della possibile manipolazione effettuata dai media, possono essere originate da una reale e profonda disparità di condizioni econom iche, politiche e sociali tra l’Italia e l’Albania.

Solo in prima istanza allineata con le riflessioni di Shaw è la teorizzazione di Anderson, che ha coniato il concetto di “comunità immaginate” per rappresentare quei fenomeni nei quali proprio la fruizione collettiva dei mass media ha stimolato la nascita di nuove identità collettive che, sebbene abbiano un carattere immaginato, hanno dei risvolti concreti nella vita sociale e culturale.26 Il lettore sa che migliaia di persone stanno com piendo la stessa operazione nello stesso m om ento: il consumo di massa crea un legame ideale tra i consumatori di questo prodotto che cominciano a pensarsi com e una comunità.Al giornale viene quindi riconosciuto un ruolo fondamentale che consiste nel contribuire alla formazione della possibilità degli uomini di immaginare se stessi e il mondo. M a agli uomini viene anche riconosciuta la capacità di agire in vista della realizzazione pratica di questi nuovi tipi di relazioni umane e di mondi immaginati. In term ini più generali questo modello teorico ci propone di guardare in maniera diversa alla relazione tra le tecnologie di comunicazione di massa e la vita quotidiana.Appadurai nel suo lavoro Modernità in polvere suggerisce di analizzare questa relazione all’interno del contesto contem poraneo affidando un ruolo centrale all’immaginazione.27 Egli vede in questa non un sinonimo di “fantasia” che “porta con sé l’inevitabile connotazione di pensiero separato da progetti e azioni, e ha anche una sfumatura privata addirittura individualistica. Invece l’immaginazione si accompagna a un senso di proiezione, di essere preludio a qualche form a di espressione, estetica o di altro tipo.La fantasia può portare all’indifferenza (perché la sua logica è spesso

autoreferenziale), m a l’immaginazione, 87

soprattutto quando è collettiva, può diventare impulso per l’azione” .28 Immaginazione dunque com e bagaglio collettivo di m em orie e desideri condivisi, che interviene nella definizione dell’identità di un gruppo di persone.E possibile quindi pensare che l’immaginazione sia in grado di produrre definizioni culturali, attraverso la creazione di “comunità di sentim ento” .29 Queste comunità, così com e proposto da Anderson, possono nascere dalla fruizione collettiva dei mass media.Appadurai però spinge oltre gli effetti di questo “sentire com une” sostenendo che è in grado di contribuire a modificare la vita sociale delle comunità.C om e si verifica con le migrazioni.

P iù gen te ch e m ai con sid era n o rm ale

im m agin are la possib ilità, p e r sé stessi

o p er i p ro p ri fig li, di v ive re e lavorare

in posti d iversi da qu elli in cu i son o nati:

questa è l ’ o r ig in e d ei cresciuti tassi

d i em igrazion e a tutti i livelli della vita

sociale, n azio nale e g lob a le . . . Q u este p e r­

son e che si m u o v o n o d evo n o trascinare

con sé la lo ro capacità di im m agin are

n u ovi m o d i di v ita . . . Q u este diaspore

si carican o della fo rza d e ll’ im m agin az io n e

sia c o m e m e m o ria che c o m e d esid erio . . .

Q u e lli ch e d esid erano m u oversi, quelli che

si sono g ià m ossi, quelli

che desiderano torn are e q u elli ch e hann o

scelto di restare fo rm u la n o di rado i lo ro

progetti al d i fu o ri della sfera della radio,

della televisione, delle cassette e dei v ideo ,

della carta stam pata e del telefon o.

P er g li em igran ti, sia le p ratiche

d i adattam ento ai n u o vi am bienti

sia l ’ im p u lso a m u oversi o a torn are sono

fo rtem en te in fluenzati da un im m agin ario

m ass-m ediatico che spesso travalica

lo spazio n azio nale .30

25. Boldrim 2000: 4126. Anderson 1996: 52.

27. Appadurai 1996:1828. Appadurai 1996.22.

29 Appadurai 1996: 22. 30. Appadurai 1996:20.

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Da L'Espresso, 27 marzo 1997.

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Specchi quotidiani

Si tratta di valutare l’importanza dal punto di vista culturale e sociale che l’immaginazione ha nella vita quotidiana, e la forza ulteriore che essa può acquisire se alimentata su scala planetaria dai mezzi di comunicazione di massa, trasformandosi così in uno stimolo per immaginare nuove possibilità di vita.I media m oderni infatti veicolano idee e realtà prodotte in zone anche molto lontane da quelle in cui vengono fruite e in questo senso contribuiscono a modificare la percezione della dimensione spaziale, consentendo di allargare le proprie possibilità immaginative oltre i confini degli stati nazionali, creando immaginari di tipo transnazionale31 e globale.O ggi infatti diviene possibile immaginare di spostarsi e di vivere in luoghi m olto lontani dal luogo in cui si è nati, e allo stesso tempo diviene sempre più frequente, pur non muovendosi affatto, sentire di avere idee, desideri e aspettative in comune con persone che vivono dall’altra parte del mondo.L’immaginazione si alimenta quindi costantemente delle trasformazioni e degli stimoli che le vengono dall’uso dei mass media, e, così facendo, contribuisce a creare le condizioni di possibilità per un cambiamento sociale. Secondo Appadurai infatti l’immaginazione possiede una carica progettuale, invita a una riformulazione continua della realtà, ed è in grado di stimolare l’azione.N el m om ento in cui immaginiamo di poter condurre una vita altrove stiamo formulando un progetto che in qualche m odo produrrà un cambiamento nella realtà sociale in cui viviamo. Attribuendo all’immaginazione questo ruolo, Appadurai si pone in netta contrapposizione con quelle prospettive teoriche, soprattutto legate alla Scuola di Francoforte, che vedono i media com e strumenti

utilizzati dal potere capitalista per paralizzare l’immaginazione dell’individuo e sfruttarlo in vista del profitto.

L a teo ria dei m ed ia co m e “ o p p io

dei p o p o li” deve essere giud icata

co n estrem o scetticism o. N o n è che

i consum atori siano attori Uberi, che v ivo n o

fe licem en te in un m o n d o fatto di cen tri

co m m ercia li s icu ri, pasti gratu iti

e riparazion i v e lo c i. ... il con sum o

nel m o n d o con tem po ran eo è spesso

una fo rm a di asservim ento, parte

del processo capitalista di civilizzazion e.

P erò dove c ’è il co n su m o c ’è p iacere

e d ove c ’ è il p iacere c ’ è azione. L a libertà

d ’altra parte è un bene assai più sfuggente .32

N on si tratta di rifiutare l’idea che i messaggi dei mass media veicolino form e di controllo e sfruttamento di tipo capitalista. O cco rre piuttosto valutare anche la com ponente creativa che costituisce uno degli elementi fondamentali di questa particolare facoltà. L’immaginazione dota l’individuo della capacità di agire per modificare la realtà e di riformulare in maniera autonoma i messaggi mediatici.In questo nuovo quadro teorico i mass media assumono un ruolo diverso all’interno del fenom eno della globalizzazione. N on sono più soltanto il veicolo per messaggi volti all’om ogeneizzazione culturale sulla base di un modello occidentale: possono anche essere visti com e i portatori di un repertorio sempre nuovo di mem orie e desideri.

C i son o prove sem pre p iù eviden ti

ch e l ’uso dei m ass m ed ia nel m o n d o

p rod u ce spesso resistenza, iron ia , selettività,

e in generale, azione. Terroristi che prendono

com e m odelli figure alla R a m b o ; casalinghe

che le g g o n o rom anzi rosa e guardano

le soap -op era co m e parte del tentativo

di costruirsi le lo ro v ite ... son o tutti esem pi 89del m o d o atuvo in cu i la gen te in tutto

il m on do si appropria dei m edia. M agliette,

cartello n i pubb lic itari, g raffiti, m a an che

la m usica rap, la Street dance, le baraccopoli

in d ican o tutti che le im m agin i dei m edia

sono rapidam ente assim ilate entro repertori

lo ca li fatti di iron ia , rabbia, u m orism o,

e resistenza.33

I messaggi mediatici, in altri term ini, non agiscono su di una tabula rasa.Sicuramente incontrano soggetti e gruppi che non sono semplici spettatori passivi e che non si prestano a essere soltanto vittime di questo bombardamento di informazioni. Pur non disconoscendo l’indubbio peso dei mezzi di com unicazione di massa sulla vita quotidiana di milioni di persone, è importante tener presente che esiste un margine di resistenza poiché esiste una capacità critica ma anche creativa e inventiva da parte degli uomini: una sorta di “spirito di sopravvivenza” che spinge le com unità e i soggetti a difendersi in qualche m odo dagli attacchi continui e dalle incursioni intermittenti di informazioni che provengono da altri universi simbolici, sociali, culturali che molto spesso si im pongono cercando di soppiantare quelli già esistenti.Vengono così a formarsi scenari socio-culturali e simbolici complessi e inediti dovuti anche all’incontro/scontro di elementi appartenenti a spazi, società, culture diverse e lontane tra loro. Questi flussi e i relativi scenari che si costituiscono vengono chiamati da Appadurai “mediorami” : uno di questi è il repertorio di immagini, idee, parole, narrative che abbiamo visto nella stampa italiana.Le descrizioni elaborate dai quotidiani delle rivolte in Albania nella prim a metà del mese di marzo del 19 9 7 , possono essere ritenute elementi cruciali nella

31. Appadurai 1996:23. 32. Appadurai 1996:21. 33. Appadurai 1996:21.

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s $ a iè | i

so form azione dell’imm aginario italiano sugli Albanesi, prima ancora del loro arrivo in Italia. Allo stesso m odo è possibile ricordare quanto i discorsi dei quotidiani italiani su “l’emergenza albanese” abbiano avuto peso nelle scelte amministrative, giuridiche e politiche del governo italiano fino a divenire un indirizzo politico-ideologico, trasversale ai partiti politici, che ha guidato in Italia la realizzazione delle politiche sull’imm igrazione nel 1997 e negli anni successivi.A un altro livello, anche le immagini della televisione italiana che arrivano nelle case degli Albanesi possono essere definite com e un frammento specifico di questo flusso mediático. E lo scenario costituito dall’incursione delle immagini, idee, suoni, prodotti in Italia nella vita quotidiana, nelle relazioni sociali, nelTimmaginario di milioni di cittadini albanesi può essere anch’esso considerato un mediorama.La diffusione dei media italiani in Albania è indiscutibilmente il fulcro di tutta una serie di mutamenti che la cultura, la società e la vita quotidiana degli Albanesi hanno subito. Allo stesso tempo però è importante non forzare troppo questo paradigma.Se i media italiani sicuramente hanno inciso nella trasformazione dell’Albania essi non possono essere considerati com e l’unico o il principale fattore di cambiamento.In questo senso quindi l’analisi dei quotidiani può essere interpretata com e il contributo dei media alla definizione e allo stesso tempo alla riformulazione delle identità e delle appartenenze reciproche di Italiani e Albanesi. La rappresentazione dei migranti albanesi da parte della stampa italiana può essere presa in considerazione com e strategia per riqualificare l’identità italiana rispetto a una formulazione di tipo negativo, largamente diffusa e condivisa non solo all’estero, che ci vede

contraddistinti dalla criminalità e caratterizzati da irrazionalità e irruenza. N on è però altrettanto semplice trovare elementi che perm ettano di comprendere com e anche gli Albanesi abbiano dovuto fare i conti con sentimenti di appartenenza ed esclusione basati su di una non più ovvia coincidenza tra luogo e identità.Le immagini della TV, i giornali e le radio sono stati i mezzi principali che anche gli Albanesi, com e gli Italiani, hanno utilizzato per elaborare una immagine di sé stessi, del mondo e degli altri e quindi per definire e ridefinire specifiche appartenenze culturali.Sia gli Italiani che gli Albanesi sono parte della “comunità dei telespettatori” .Se per gli Italiani però questa appartenenza appare scontata, poiché si tratta della televisione italiana, essa non lo è affatto per gli Albanesi, che al contrario devono continuamente contrattare la loro inclusione nella com unità telematica e avere una grande cura nel mostrare i segni della propria appartenenza. Attraverso questa ottica è possibile considerare la straordinaria conoscenza dell’italiano tra i migranti com e un elemento im portante di definizione “del telespettatore” , così com e i continui riferimenti fatti dai migranti a illustri personaggi della televisione o dello sport italiani, sono segni inconfutabili di questa negoziazione dell’appartenenza alla comunità dei telespettatori. Inoltre le dichiarazioni preoccupate circa la portata dei messaggi televisivi fatte da esponenti del governo possono essere interpretate anch’esse com e conferm e implicite del fatto che questa appartenenza viene riconosciuta dagli stessi Italiani. Analizzando i quotidiani, in conclusione, si finisce per m ettere in evidenza tutta quella serie di elementi e di strumenti che lo stesso sistema mediático ha messo a disposizione dei soggetti protagonisti per riformulare la propria identità

“italiana” e “albanese” e riposizionare il confine culturale tra “noi” e “loro” .

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I Balcani: un'espressione geografica meramente immaginaria

Francesca Medioli "W e are all Greek” scrisse nel 1821 Shelley, dimostrando che John Fitzgerald Kennedy esattamente 140 anni dopo, nel 1961 , non aveva inventato nulla di nuovo col suo "Ich bin ein Berliner” . Eppure affermazioni del genere hanno sempre un grande effetto perché si sente dietro una forte valenza emotiva N el caso di Shelley, la rinnovata vicinanza con l’Antica Grecia non era dovuta semplicemente all’imminente morte eroica del suo am ico Byron a Missolungi nel 18 2 4 , né datava da quando gli scavi di W inckelm ann avevano rinnovato un interesse quasi maniacale per l’antichità in tutta l’Europa.La Grecia era appunto un mito. Sfortunatamente, quella risuscitata nelle rappresentazioni iconografiche, attraverso i suoi poeti, pensatori, filosofi sopravvissuti ai secoli, risorta nella moda com e nel plurisecolare revival dell’Arcadia, aveva p oco a che vedere con la Grecia reale di allora: sotto il diretto controllo dell’enorm e impero ottomano già in sfacelo (anche se per dissolversi del tutto avrebbe poi impiegato ancora un secolo), i Balcani comprendevano - allora com e ora - diverse realtà, fra loro quanto mai diverse. E quanto sostiene Vesna Goldsworthy nel suo bel volum e Inventing Ruritania. T he Imperialism o f the Imagination (1998). La giovane autrice, docente di Letteratura Inglese presso diverse prestigiose Università di qua e di là dall’Atlantico, nonché collaboratrice della B B C , la cui prima lingua “era fino a tempi recenti chiamata Serbo-C roato” (p. IX ), fornisce la sua idea di fondo in maniera m olto semplice. Secondo il suo punto di vista, sia l’odierna percezione da Destra dei Balcani com e di una pericolosa infezione pronta a diffondersi nel continente più civilizzato per antonomasia, sia quella da Sinistra di un’area cosmopolita da pacificare attraverso un uso sapiente di forze sovranazionali, sono entrambe erronee, ugualmente paternalistiche (neo-coloniali, appunto) e discendono

da una visione dei Balcani com e “Alterità” per eccellenza, radicatasi negli ultimi due secoli in Inghilterra e negli Stati U niti, dunque nel m ondo intero. L’Inghilterra non ha mai governato direttamente una porzione di quest’area, fatta eccezione per un avamposto in una isoletta (Vis) fra il 1811 e il 1814 . N on si può dunque spiegare una così pervasiva attenzione da parte dei suoi autori con un contatto diretto ed estensivo, com e ad esempio nel caso dell’India, descritta di primissima mano dal premio N obel (1907) Rudyard Kipling, nato a Bombay nel 1865, e lì tornato non appena ebbe la possibilità di decidere della propria vita. E non si tratta neppure di esplorazioni personali e desiderio di avventura, com e nel caso dello scozzesissimo R o b ert Louis Stevenson, m orto in un’isola sperduta nel 1894 , dopo aver peregrinato per l’Europa, l’A m erica e l’Oceania.U na simile coincidenza di interesse in autori fra loro diversissimi deve perciò derivare da un luogo fantastico sì, ma funzionale alla proiezione di determinati sentimenti ricorrenti negli scrittori com e nei lettori inglesi otto e novecenteschi. L’invenzione del toponim o “Balcani” viene fatta risalire al geografo tedesco August Zeune che nel 1809 scelse di battezzare tutta la penisola col nom e del m onte più alto dell’area (ora Stara Planina in Bulgaria). Di fatto, non si trattava né del m onte più alto né tanto m eno del più imponente. A nche il topom m o stesso pare “il risultato di un malinteso: il sostantivo turco ‘balkan’, che sta per catena m ontuosa, venne scambiato per il nom e proprio della catena dai viaggiatori occidentali” (p. 3). Entrato in uso soprattutto dagli anni ‘70 e ‘80 del X I X secolo, i Balcani da subito furono un concetto permeabile, che includeva “Albania, Bosnia, Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Slavoma, Dobrugia, Grecia, Illiria, Macedonia, M ontenegro, Novibazar, Serbia

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I B a lcani : u n ' e s p r e s s i o n e g e o g r a f i c a m e r a m e n t e i m m a g i n a r i a

"Ì2 e Turchia”, ma escludeva ad esempioin larga parte la R om ania, o la Slovenia e laVoivodina, allora direttamente governate dagli Asburgo (com e per altro anche la Bosnia e l’Erzegovina dal 1878 , col Trattato di Berlino) (p. 4). La sola unitarietà di percezione stava nel concetto di “terra di confine”, laddove si erano franti e mescolati l’Impero R om an o d’O riente e quello d’O ccidente, le diverse Chiese cristiane e l’Islam, il comunism o e il capitalismo (p. 7). L’inizio di tutto discende, per Vesna Goldsworthy, da George Gordon, ossia lord Byron, che fra il 1809 e il 1811 viaggiò per l’Ellade scoprendo “un mondo esotico, colorato, che, lui sosteneva assomigliare - secondo un noto m odo di procedere per analogia, di m odo da evocare qualcosa di noto anche al proprio interlocutore- alle Highlands della Scozia” (p. 19). La sua esperienza di viaggio confluì nel primo canto di Cliilde H arold’s Pilgrimage, coi ben noti risultati per il movim ento rom antico tutto, mentre l’autore e protagonista proseguiva nella sua vita errabonda senza trovare una buona ragione per fermarsi neppure nel suo “last attachem ent” italiano (secondo la definizione del fortunato libro di Iris O rigo) per la giovane contessa Teresa Guiccioli. I “bambini di B yron” , com e li chiama l’autrice, proseguirono nell’opera dell’illustre progenitore e diedero vita a una prospera letteratura di vario livello, la cui azione si svolgeva regolarmente nei Balcani: vi si cim entarono tutti i nomi più significativi, da Tennyson a Swinbourne fino a George Bernard Shaw, H. H. Munro, più noto con lo pseudonimo di Saki, Lawrence Durrell, Agatha Christie, Evelyn W augh e R eb ecca West.Lo spostamento verso Est dell’esoticismo era iniziato da tem po: la G erm ama (com e ancor prima l’Italia o la Spagna) aveva a lungo offerto una collocazione geografica di com odo a una serie di romanzi semi-fantastici, di cui l’ultimo in senso

cronologico fu Prince Otto (1885) di R o b ert Louis Stevenson.M a nel frattempo, con la sua unificazione, il suo avvicinarsi - e scontrarsi - politicamente con l’Inghilterra e l’invio sistematico di alcuni dei suoi principi a regnare nei Balcani (Alessandro Battenberg fu il prim o monarca della Bulgaria, cui succedette nel 1887 - Ferdinando di Sassonia-Coburgo; nel 1914 in Albania regnò per sei mesi un capitano d’armata tedesco, W ilhelm von W ied), era diventata troppo vicina, familiare e nota. Così ci si spostò ancora più verso oriente, appunto nei Balcani, ideali per la loro perenne confusione politica, fatta di colpi di stato, passaggi di dinastie che si succedevano e si scambiavano e di alleanze che mutavano rapidamente.La cosa più interessante è il proliferare di tale incredibile fortuna ai più diversi livelli: verso la fine del X I X secolo la cosiddetta letteratura popolare diede vita a un’ancor più imponente produzione, oggi del tutto dimenticata e trascurabile, ambientata nei Balcani o in paesi immaginari che li evocavano inconfondibilmente. Prim o fra tutti (anche per successive riprese cinematografiche),Il prigioniero di Zenda di Anthony H ope (1894), che racconta la storia di un giovane rampollo inglese il quale, somigliando come una goccia d’acqua al re della Ruritania, si sostituisce a lui nel governo del paese com e nel corteggiam ento della sua futura sposa, con successi in entrambi i campi.Poi Dracula dell’irlandese Bram Stoker (1897), su cui non occorre spendere parola, tanto è rimasto famoso, se non per dire che l’autore si preparò per sette anni studiando accuratamente la storia e la geografia dei Carpazi.L’assunto di fondo è sempre lo stesso:“ I romanzi popolari collocati in regni balcanici d’invenzione m ettono in contrasto la ‘britannicità’ con T'europeità’ j

tanto quanto la ‘britannicità’con la ‘balcanicità’. Essere inglesi significaessere superiori a entrambi, dal m om entoche la “balcanicità” è solo il gradopiù estremo, spesso infantile, di “ alterità”europea” (p. 69).P oco importa se si trattava di esperienze di prima mano o del tutto libresche:Shaw ricorse a un buon adante per localizzare il suo Arms and the M an, m entre Saki fu inviato speciale in M acedonia, Bulgaria e Serbia, e Durrell visse alcuni anni a Belgrado.Il grado di verità non era rilevante.Alla fine della storia, l’unica cosa rilevante è che “il concetto di colonizzazione testuale e immaginaria . . . mostra com e un’area geografica possa essere sfruttata quale oggetto dei bisogni culturali dominanti per un dialogo interno fra sé e sé” (p. 211). Q uesto dice il libro, dalla cui copertina occhieggia in primo piano un accigliato Lawrence Olivier nell’indimenticabile film con Marylin M onroe II principe e la ballerina, eponimo di un’epoca non ancora tramontata dai tempi della Vedova allegra di Lehar... C he altro aggiungere? C ertam ente il libro si gioverebbe di una cartina più recente di quella riprodotta, che risale al 1896.E , sia detto senza acrimonia, si sente ancora l’impianto classico delle tesi di dottorato anglosassoni, dove un’accuratissima survey di ogni singola fonte è considerata un must imprescindibile, ma che ha lo svantaggio di m ettere sullo stesso piano autori fra loro m olto diversi per importanza, allora com e ora, o di indulgere nel riassunto puntuale di ogni romanzo citato, il che alla lunga diventa poco piacevole per una lettura che altrimenti è brillante, nuova e acuta, oltre che utile.

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Trasportare favelle, utile commercio

Augusta Brettoni U n interessante e appassionato saggio di Gëzim Hajdari (poeta albanese e traduttore), nel quale si m ettono in luce attraverso brevi profili le personalità più eminenti della poesia albanese degli ultimi settantanni del secolo scorso1, ha sollecitato il m io interesse intorno alla produzione poetica di questi autori, la maggior parte sconosciuti in Italia, altri noti a coloro che hanno rivolto almeno uno sguardo alla produzione letteraria dell’Albania.In particolare, hanno suscitato la mia curiosità alcuni autori nati a Scutari e nei dintorni e fra questi Gjergj Millosh Nikolla (1 9 1 1 -1 9 3 8 ) noto con lo pseudonimo di Migjeni (a lui è dedicato il restaurato Teatro Nazionale della città natale), m orto precocem ente in Italia, a Torino, a soli ventisette anni. Migjeni viene definito da Hajdari poeta di transizione in bilico fra “vecchio e nuovo” , ma anche autore impegnato nel risvegliare le coscienze degli umili in una denuncia socio-politica che caratterizza gran parte della poesia contem poranea albanese. Di Migjeni sono state pubblicate da Joyce Lussu alcune traduzioni in italiano nel volume Tre poeti dell’A lbania di oggi: Migjeni, Siliqi, K adaré2, un testo introvabile nelle biblioteche nazionali italiane, reperibile soltanto in qualche piccola biblioteca di provincia. H o cercato, senza ottenere risultati positivi, traduzioni di altri autori scutarini che hanno operato nella prima metà del secolo scorso, dei quali mi limito a dare qualche indicazione. Hilë Mosi (1855-1933) poeta, uom o politico (ministro dei Lavori Pubblici e dell’Istruzione) e scrittore, pubblicò in antologie traduzioni di G oethe, Schiller e H eine (Fiori di primavera del 1916) e contribuì alla diffusione della letteratura europea in Albania con la traduzione

1 Breiv panorama della poesia albanese dagli anni Trenta a oggi. in www.disp.let uniromal it/kuina/sezioni ' tritica/hajdari22. Lussu 1969.3 Schirò 1959

di opere teatrali tedesche e italiane.Vinçenc 93

Prennushi (1 8 8 5 -1 9 5 2 ) , francescano,arcivescovo di Durazzo, autore di raccoltedi versi (Foglie e fiorì) e di brillanti traduzionida Weber, Pellico e altri, viene descrittocom e uom o sensibile e fiero non privodi “profonda spiritualità ’. Lazer Shantoja(1 892-1945), sacerdote e parroco del paesedi La M otte, fu autore di limitatema suggestive composizioni poetiche dellequali troviamo un esempio tradottoda Ernest KoLiqi nella Storia della letteraturaalbanese di Giuseppe Schirò.5U na sorte diversa è stata riservata all’operadel critico e scrittore Ernest Koliqi(1 9 0 3 -1 9 7 5 ), una delle personalitàpiù rappresentative della letteratura albanesedel ‘900 .4 Ministro della Pubblica Istruzione,professore a Scutari dal 1930 al 1933e poi all’Università di R o m a, Koliqiha curato l’edizione della preziosa antologiaSlirimtarët Shqiptarë (G li scrittori albanesi)e le antologie I Grandi Poeti d ’Italia in trevolumi, dove ha raccolto le traduzionidei classici italiani da Dante a D ’Annunzio.La sua opera critica e letteraria è stata oggetto di attenzione in tempi recenti: assai interessante la sua raccolta di racconti tradotti e introdotti da Antonio Guzzetta5 nei quali è possibile cogliere la sottile tensione fra il rispetto della tradizione e l’auspicato rinnovam ento che da quella non può prescindere per diventare vero e vitale. Il linguaggio mostra uno stile attento alle sfumature narrative e descrittive di situazioni psicologiche e ambientali.Koliqi ha contribuito, secondo Giuseppe Gradilone, al rinnovamento e alla sprovincializzazione della cultura albanese proponendo il modello di una poesia non tanto o non solo impegnata ideologicam ente ma attenta anche ai registri stilistici della poesia europea

4, Su Koliqi si vedano Di Giovine 1997; Zmcone 1997;Miracco 1997;Dashi 19975, Koliqi 1974.

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T r a s p o r t a r e f a v e l l e , u t ile c o m m e r c i o

94 francese e italiana.6 Egli ha avuto il merito di pubblicare in italiano interessanti antologie della poesia albanese: ricordiamo con testo a fronte le varie edizioni di Poesia popolare albanese7. N ell’edizione del 1986 troviamo una prefazione di M aria C orti che sottolinea le particolari caratteristiche della poesia epica albanese e le difficoltà relative alla sua traduzione sia sul piano stilistico che semantico: difficile rendere senza enfasi retorica una materia che narra le vicende quasi m itiche del grande eroe Scanderbeg, difensore del popolo dalla tirannia dei Turchi, arduo, nel contem po, conservare l’allusività dei testi a tradizioni complesse e sconosciute quali quelle del K anun e della Besa. A Koliqi si deve la traduzione dell’opera di un altro importante intellettuale nato nei dintorni di Scutari, G eorge Fishta (1 8 7 1 -1 9 4 9 ), che insieme a Girolamo D e Rada e a Nairn Frashëri costituisce la triade dei poeti più importanti di lingua albanese. Francescano, parroco, direttore delle scuole francescane di Scutari, intellettuale politicamente impegnato nel parlamento albanese, Fishta divenne anche accadem ico d’Italia. Vasta è la produzione letteraria di Fishta, prevalentemente di genere epico; la sua opera più importante, il Lahuta e Malcls (1937), è un poem a in trenta canti che narra la storia eroica del popolo albanese dalla prima invasione m ontenegrina al giorno del Congresso di Londra e dell’indipendenza. Fra le opere tradotte dallo stesso Koliqi sono da segnalare i vari episodi del Lahuta e Malcis, pubblicati in opuscoli fuori com m ercio sotto gli auspici dell’Istituto di Studi Albanesi dell’Università di R o m a e difficilmente reperibili.6 Posso affermare, senza timore di essere smentita, che sono assai poche e di non facile consultazione le traduzioni di opere letterarie albanesi (se si escludono

quelle del noto romanziere Ismail Kadaré), nonostante il notevole impegno dell’Istituto di Studi Albanesi dell’Università La Sapienza di R o m a che contribuisce, forse più con una attività critica che non di traduzione, alla diffusione e alla conoscenza della letteratura albanese in Italia. U n a sorte m eno infelice è riservata alla letteratura arbëreshë e in particolare all’opera di Girolamo D e R ada (1 8 1 4 -1 9 0 3 ). Molte le edizioni dei suoi canti nel corso del ‘900. D ue recenti traduzioni sono state dedicate ai Canti Premilosaici, pubblicati in una accurata edizione critica da Francesco Altimari9 che ripercorre la complessa vicenda filologica del testo e per prim o, nella storia della filologia albanese, dà alle stampe un “avantesto” , motivando tale ritardo con le “condizioni materiali di ‘produzione’ (composizione e stampa) e conservazione delle opere, letterarie e non, in lingua albanese”, ma anche alla “assoluta mancanza di apposite strutture culturali istituzionali (archivi e biblioteche) preposte alla raccolta dei docum enti letterari della comunità nazionale albanese” (osservazioni interessanti che motivano l’impegno di molti operatori per il recupero e l’archiviazione di materiali di varia natura in Albania). Dello stesso D e R ada sono stati tradotti e pubblicati dallo studioso Costantino M arco nel 1999 , con introduzione e note, I canti di M ilosao

fig lio del despota di Scutari. Poem a epico albanese.'10 È bene augurarsi che l’opera di traduzione della letteratura albanese si intensifichi nel tem po perché coloro che vogliono avvicinarsi a una poco conosciuta espressione della cultura europea ne abbiano la possibilità, ancora convinti di quanto diceva M adame D e Staël: “Trasportare da una ad un’altra favella le opere eccellenti dell’umano ingegno è il maggior benefizio che far si possa alle

lettere” poiché “il com m ercio de’ pensieri è quello che ha più sicuro profitto”(Sulla maniera e l ’utilità delle traduzioni, in Biblioteca italiana, gennaio 1816).

[Ringrazio Alma Hafizi e Evalda Paci per alcune preziose

indicazioni]

R iferim enti bibliografici DASHI 1997B. Dashi, L'opera letteraria di Ernest Koliqi ieri e oggi in Albania, in Miscellanea di Albanistica, 1997 DE RADA 1999G. D e Rada, I canti di Milosao figlio del despota di Scutari. Poema epico albanese, traduzione, introduzione e note a cura di C. M arco, Lungro, Costantino M arco Editore D E RA DA 1998G. D e Rada, Canti Premilosaici, edizione critica e traduzione italiana a cura di E Altimari, Catanzaro, R ubbettino D I G IOV IN E 1997P. Di Giovine, L ’opera di Ernest Koliqi: considerazioni linguistiche, in Miscellanea di Albanistica, 1997 FISHTA 1962G. Fishta, Tèmpo nuovo: canto 26 della Lahuta e Malcis, traduzione di Ernesto Koliqui, R om a, Istituto di Studi Albanesi FISHTA 1971G. Fishta, Il liuto delle montagne, traduzione, introduzione e note a cura di E. Koliqi, R om a, Istituto di Studi Albanesi FISHTA 1973G. Fishta H liuto delle montagne (Lahuta e Malcis), Episodio di Oso Kuka, a cura di E. Koliqi, Rom a, Istituto di Studi Albanesi FISHTA 1973aG. Fishta, Jenna, regina dei fo r i : poema melodrammatico, traduzione con testo a fronte, introduzione e note di L. Marlekaj, Bari G R A D IL O N E 1974G Gradilone, L'opera letteraria c culturale di E. Koliqi, in Altri studi di letteratura albanese, R om a G R A D IL O N E 1997G. Gradilone, Studi di letteratura albanese contemporanea,Rom a, Istituto di Studi Albanesi KOLIQI 1974E. Koliqi, L ’incanto del vero. I racconti di Ernest Koliqi fra tradizione e rinnovamento, a cura di A. Guzzetta LUSSU 1969J. Lussu (a cura di), Tre poeti dell’Albania di oggi: Migjeni,Siliqi, Kadaré, R om a, Lerici M IR A C C O 1997E. Miracco, Ernest Koliqi e la tradizione orale, in Miscellanea di Albanistica, R om a, Istituto di Studi Albanesi M ISCELLANEA D I ALBANISTICA 1997 Miscellanea di Albanistica, Rom a, Istituto di Studi Albanesi POESIA PO PO LA R E ALBANESE 1986 Poesia popolare albanese, a cura di E. Koliqi con nuova prefazione di M . C ord, Firenze, Sansoni S C H IR Ò 1959G. Schirò junior, Storia della letteratura albanese, Milano, N uova Accademia Z IN C O N E 1997S. Zincone, L ’incidenza delle religioni nella letteratura albanese secondo Ernest Koliqi, in Miscellanea di Albanistica, 1997

6. Gradilone 1974; Gradilone 1997.7. Poesia popolare albanese 1986.

8 Fishta 1962, Fishtal971, Fishta 1973; si veda inoltre Fishta 1973a.

9. De Rada 1998.10. De Rada 1999.

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B o tim e té U niversitetit te S h kod rés “ L u ig j G u r a k u q i” 1957 -2 0 0 2 di N. Kazazi, G. Çuni, Scutari, C am aj-Pipa Editore, 2003Il volume esclusivamente scritto in lingua albanese, raccoglie tutte le pubblicazioni e le monografie curate dal corp o docente e dai lettori della Università di Scutari, edite a partire dal 1957 , anno della fondazione dell’Istituto Pedagogico, fino al 2 0 0 2 , quando divenne sede universitaria Questa resta intitolata aU’eponimo cittadino Luigi Gurakuqi, poeta, pubblicista ed esponente di spicco dei governi liberali dei primi due decenni del secolo X X , vittima nel 1925 di un attentato ispirato dalla fazione antiliberale che faceva capo al futuro re A hm et B ey Zogu.Il libro rappresenta una ulteriore tappa nella raccolta delle pubblicazioni accadem iche iniziata con le pubblicazioni: 20Y ears o f Faculty Life, 1 9 8 1 -2 0 0 1 ,Scutari, Cam aj-Pipa Editore, 2 0 0 1 , e Shkodra University in the Corse ofYears, 1 9 5 7 -2 0 0 2 , T he History, Scutari, Cam aj-Pipa Editore, 2 0 0 2 , entrambi i volumi contestuali a due ricorrenze, rispettivamente il 2 0 ° anniversario della fondazione della facoltà di pedagogia e il 4 5 ° anniversario della fondazione della Università.A differenza delle prim e due raccolte bibliografiche, quest’ultima risulta essere più com pleta, non solo perché raccoglie il materiale didattico prodotto dai lettori (91 pubblicazioni) oltre che dai docenti, ma anche perché accompagna la mera elencazione bibliografica con un breve sunto del contenuto dei singoli volumi, catalogati seguendo un duplice criterio, cronologico e tematico. N e risulta una raccolta m olto variegata che finisce per coprire settori eterogenei che variano dalle scienze albanologiche (linguistica, letteratura, storia), alla cultura nazionale in generale, alle scienze naturali, a quelle

psico-pedagogie o-didattiche, fino alla stona delle istituzioni scolastiche albanesi.

M ichele D e Luca

Statuti d i Scu tari d ella p r im a m età del secolo X I V con le a d d iz io n i f in o a l 1469 a cura di L . Nadin, traduzione in albanese a cura di P. Xhufi, con saggi introduttivi di G. B . Pellegrini, O. J . Schm itt e G. Ortalli, R om a, Viella, 2002, pp. 245 Gli statuti, in particolare quelli delle città, costituiscono un genere docum entario dalla fortuna pressoché intramontabile e uno dei pochi ancora oggetto di iniziative editoriali. Fra queste ultime si segnala indubbiamente il Corpus statutario delle Venezie, collana che orm ai da vent’anni m ette a disposizione degli studiosi ottim e edizioni di testi legislativi di comunità a vario titolo sottoposte al dominio della Repubblica lagunare. Il quindicesimo volume della sene ha però, rispetto agli altri, qualche motivo di interesse in più: accoglie infatti gli statuti di Scutari, ossia la più antica raccolta normativa prodotta in territorio albanese giunta fino a noi e l’unica redazione statutaria completa di una città di questo paese. Gli statuti sono databili ai primi decenni del Trecento e com unque anteriori al 1346 , anno in cui il re dei Serbi Stefan Dusan, che allora controllava quasi tutta l’Albania, cambiò il suo titolo (che ancora compare nel testo) in quello di czar. La legislazione rimase in vigore anche dopo la conquista veneziana del 1396 e si arricchì di varie addizioni fino al 1469 , dieci anni prima che la città passasse nelle mani dei Turchi. L’edizione, curata da Lucia Nadin, corredata dalla traduzione in albanese di Pellumb Xhufi e con ottim i saggi introduttivi di Giovan Battista Pellegrini, Oliver Jens Schm itt e Gherardo Ortalli, è stata condotta su un manoscritto della Biblioteca del M useo C orrer di Venezia,

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~96 steso nel X V I secolo da un trascrittore di apparente origine slava che afferma di averlo copiato fedelmente dall’originale conservato presso gli archivi del Consiglio dei D ieci. Significativamente dunque la copia fii eseguita quando Scutari era orm ai fuori dal dominio veneziano,“ quasi a futura m em oria di un passato concluso di cui si voleva conservare una testimonianza illustre” (Ortalli).I 2 6 8 capitoli della stesura originaria e gli 11 aggiunti posteriorm ente - scritti in un impasto linguistico di forme italiane, veneziane, dalmate, slave e latine - perm ettono innanzitutto di documentare la fisionomia e l’evoluzione delle istituzioni comunali nell’ambito delle autonomie di cui la città godeva nel ‘3 0 0 all’interno del regno serbo e che, pur in modi diversi, si mantennero sotto il dominio diVenezia (fedele anche in questo caso all’abituale linea di sostanziale rispetto degli ordinamenti locali). M a, com e è caratteristico di tale tipo di fonti, numerosi sono gli spunti utilizzabili per una più generale storia della società: dalle disposizioni sui rapporti fra il C om une e il mondo ecclesiastico alle leggi in materia urbanistica; dalla norm ativa relativa all’amministrazione della giustizia e all’istituto della vendetta alla regolamentazione dell’attività artigianale; dalle prescrizioni che delineano la posizione delle donne nella comunità urbana a quelle sul lavoro agricolo e in particolare sulla coltivazione della vite e dell’olivo. Insomma una raccolta preziosa, che ci restituisce l’immagine di una comunità vivace e orgogliosa dei suoi valori e stili di vita urbani, rappresentativa di un’Albania costiera finora poco conosciuta ma parte integrante di un più vasto m ondo - quello delle città dalmate - legato alle proprie radici serbo-bizantine e al tempo stesso fortem ente segnato dall’influenza della civiltà italiana: l’altra faccia, non m eno

Stemma acquerellato di Scutari contenuto nel codice degli Statuti della città (Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Correr 295).

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veridica, del paese di campi e di montagne presentato tradizionalmente dalla storiografia.

Franco Franceschi

R ag u sa e il M editerran eo . R u o lo e fu n z io n i d i una R ep u bb lica m arin ara tra M ed ioev o ed E tà M od ern a a cura di A. Di V ittorio, B ari, C acucci, 1990, pp. 410Il volume raccoglie gli Atti dell’om onim o convegno internazionale, tenutosi a Bari tra il 21 e il 22 ottobre 1988 su iniziativa dell’Istiiuto di Storia Econom ica dell’Università degli Studi di Bari e dell’Institute des Etudes Balkaniques, Academie Serbe des Sciences et des Artes, Beograd, nel quadro di un accordo di collaborazione fra le Università di Bari e di Belgrado. Il tema del volume si inserisce quindi in un preciso disegno scientifico, volto ad analizzare, sia dal versante italiano che jugoslavo, le tendenze di fondo che hanno qualificato l’economia danubiano-balcanica.In particolare, l’aver concentrato l’attenzione sulla Repubblica di Ragusa è dovuto al fatto che, nonostante la città-stato adriatica fosse stata oggetto di molti studi anche per la ricchezza dei suoi archivi, a essa non era stato fino ad allora dedicato uno specifico convegno e restavano ancora da trattare vari aspetti e questioni di non secondaria importanza. Obiettivo dell’incontro è stato pertanto la messa a fuoco del ruolo econom ico e culturale in senso lato della Repubblica: ruolo esaltato da alcuni, sminuito da altri, ma certam ente ben presente nel vasto scenario del M editerraneo fra M edioevo ed Età M oderna. Per secoli, infatti, Ragusa si mantenne in vita com e sistema di funzioni e non perché vantasse un esteso territorio o potesse contare sull’agglomerato di numerose popolazioni affini: in epoche caratterizzate dalla nascita delle monarchie nazionali e di imperi sovranazionali, essa

rimase una piccola città, chiusa nelle sue imponenti mura. Pur trascurabile com e comune medievale e non avendo mai avuto possedimenti d’oltre mare, seppe, però, conservare il proprio ruolo com e centro di un grande sistema con funzioni statali, ecclesiastiche, giuridiche, diplomatiche e soprattutto comm erciali e finanziarie che la rendono in parte assimilabile alle repubbliche marinare e mercantili del M edioevo e dell’Età Moderna.U n sistema che raggiunse la sua massima forza e la piena espressione nel X V I secolo e che non avrebbe indubbiamente potuto costituirsi e consolidarsi al punto da gettare a fondo le proprie radici nell’Europa sud-orientale e nel M editerraneo se, nello sviluppo di queste aree del vecchio continente, non si fosse conservata una perdurante diversità. Troppo a lungo, infatti,i Balcani assieme alle regioni danubiane rimasero esportatori di materie prime- prodotti m inerari, dell’agricoltura, dell’allevamento e prodotti derivanti dallo sfruttamento dei boschi - mentre le importazioni, provenienti dall’Italia e dagli altri paesi occidentali, m a anche dall’O riente all’epoca bizantina prima e turca poi, riguardavano prodotti artigianali, manifatturieri, merci di lusso e, infine, anche industriali. Il tutto con una ragione di scambio peculiare, complessa e assai squilibrata: l’Europa sud-orientale esportava i propri prodotti a prezzi particolarmente bassi e importava le merci straniere a prezzi decisamente alti. Ragusa partecipò a questo sfruttamento colomale e nel Cinquecento, sulla scia delle conquiste turche, trasse i massimi guadagni dai suoi com m erci terrestri, integrando appieno questa funzione con quelle acquisite sul M editerraneo.D opo il saggio introduttivo su Ragusa come sistema di fun zion i (Radovan Samardcic), il volume si compone di tre parti. La prima, che analizza Ragusa e il M editerraneo durante il M edioevo, presenta i seguenti

contributi: Ragusa e il suo retroterra 9Tnel Medioevo (Sima Circovic), L ’agricoltura nell’economia ragusea del M edioevo (Miloc Blagojevic), H credito nella Ragusa medievale (Ivancij Voje), Il commercio raguseo di terraferma nel M edioevo (Desanka Kovacevic-Kojic),Ragusei e spagnoli nel M edioevo. Luci e ombre di un rapporto commerciale (N enad Fejic),L e relazioni economiche tra R agusa e l ’Italia meridionale nel Medioevo (M omcilo Spremic),I rapporti economici fra Ragusa e Venezia nel Medioevo (Ruca Cuk), Ragusa (Dubrovnik) e il mare: aspetti e problem i. X IV -X V I secolo (Barica Krekic). Nella seconda parte su Ragusa e il M editerraneo in Età Moderna vengono affrontati i seguenti temi: Ragusei e Schiavoni a Senigallia tra '400 e ‘6 0 0 (Elena Termite), G li ebrei sefarditi del Levante e i Ragusei nel Cinquecento: dal commercio di cuoi e tessuti al profilarsi di nuovi equilibri mediterranei (Viviana Bonazzoli), L a concorrenza Ragusa-Spalato tra f in e Cinquecento e prim o Seicento (R enzo Paci), N avi e capitani ragusei sulle rotte per Livorno (fine secolo X V I-in izio secolo X V II) (Marcello B erti), I Ragusei nelle fon ti notarili di Ancona: 1 6 3 4 -1 6 8 5 . M ateriali e appunti p er una ricerca (Sergio Anseimi),I cambi esteri della Repubblica di Ragusa nella seconda metà del Settecento (Paola Pierucci),II ruolo dell'informazione nella vita economica ragusea in età moderna (Antonio D i Vittorio),Per una storia delle relazioni marittime della città di Ragusa e dell’Adriatico nella seconda metà dell’Ottocento (Antonello Biagini - Ezio Ferrante), L e relazioni marittimefra Ragusa e Trieste nell’Ottocento (Giovanni Paniek). La terza parte, è invece, dedicata a Ragusa e il M editerraneo con i seguenti interventi: Schiavoni e Ragusei in Puglia nella seconda metà del Quattrocento (Francesco Saverio Perillo), Ragusa e N apoli nell’E tà Barocca (Miroslav Pantic), Scienza e Tecnologia a Ragusa nel X V III secolo (R ita Tolom eo).C om e ha sottolineato Alberto Tenenti nel tracciare le conclusioni, il convegno

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98 è stato concepito e realizzato considerando una molteplicità di piani, dovuta sia al fatto che “senza la sua intelaiatura di città-stato questa com unità adriatico-balcanica non avrebbe avuto la vitalità e la longevità che le furono proprie” , sia al problema dei tre spazi concentrici di Ragusa: urbano, regionale e intercontinentale. La sua storia, infatti, non solo consente, m a esige una triplice scala: quella a brevissimo raggio, quasi esclusivamente regionale, quella a medio raggio, riguardante l’Adriatico e i suoi retroterra e, infine, quella a lungo raggio, e in questo senso lo spazio raguseo va fino al M ar N ero e all’Egeo, ai mari di Siria e d’Egitto, al M editerraneo occidentale e in certi periodi anche al M are del Nord. “Ragusa - osserva Tenenti - sta al centro di queste tre zone asimmetriche, di cui assicura spesso e realizza assai a lungo la coerenza” e tale consapevolezza costituisce una delle più valide premesse da cui hanno preso le mosse i lavori e che giustificherebbe un’ulteriore riconsiderazione.M a il convegno ha altri due meriti:lo scambio e l’incontro di due storiografie convergenti (si pensi alla coabitazione intorno all’asse adriatico di due culture storiche considerate forse erroneamente in radicale opposizione tra loro); il filo rosso degli interventi legati agli studi di storia economico-sociale. Questo aspetto ha offerto prospettive complementari e scorci grandemente innovatori, com e, a nostro parere, è l’accento posto non solo sul rapporto fra Ragusa e il M editerraneo, m a sui rapporti interadriatici. Infatti se l’Adriatico può somigliare a tanti altri m ari, ha di specifico “il carattere di una almeno parziale autosufficienza e in ogni caso di una coerenza che va ben al di là dei suoi elementi puramente geografici e si è mostrata sovente capace di equivalere a una sorta di geostorico campo autonomo di energie um ane” . Q uesto è sicuramente un suggerim ento da raccogliere

per il futuro calendario delle ricerche e degli approfondimenti.

D aniela Manetti

D a l l ’A d r ia tico a l D an u b io L ’I llir ico n e ll ’età greca e rom an a Convegno internazionale Cividale del Friuli 25-26 Settembre 2003Il convegno è stato organizzato dalla Fondazione N iccolò Canussio e si è tenuto presso il castello Canussio, sede della stessa fondazione (mwufondazionecanussio. org).La prestigiosa m agione e la cortesia della famiglia Canussio, uniti al livello del com itato scientifico della fondazione, concorrono alla riuscita dei convegni internazionali che dal 1999 vengono celebrati con cadenza annuale e che hanno l’obiettivo di illustrare aspetti della civilizzazione romana in Europa.E significativo che un’operazione culturale del genere sia sorta nell’area transfrontaliera di Cividale, laddove nel corso dei secoli di grande rilevanza è stata la questione dell’identità romana, vissuta oggi non più con l’ottica esclusiva di una pur legittima rivendicazione nazionale ma anche con la consapevolezza di appartenere in prim o luogo a un contesto di civiltà com une ai popoli d’Europa. D a questa visione nasce evidentemente la scelta del tema balcanico.Il convegno porta lo stesso titolo di un volume del 1991 che raccoglie gli interventi dedicati da Massimiliano Pavan a questa parte d’Europa racchiusa fra due vie d’acqua, un fiume e un mare, così intimamente connessi che gli antichi facevano addirittura sfociare il prim o nel secondo, trasferendo in una realtà immaginata un dato ideale. La nettezza dei confini non basta però a definire le caratteristiche di un territorio.C iò che infatti più colpisce di quest’area è la difficile osmosi con le culture circostanti che la rende singolare e variegata

allo stesso tempo, cosicché non si ha mai la sensazione di poter raggiungere un’interpretazione univoca dei fenomeni che si verificano all’interno. Il convegno risponde, pur implicitamente, a tali sollecitazioni con una serie di contributi finalizzati alla descrizione delle civiltà che, in sequenza, si sono avvicendate nei Balcani convivendo l’una accanto all’altra, com e Illiri e Greci,0 compenetrandosi, com e avvenne all’epoca romana. La prima delle tre giornateè stata dedicata all’archeologia illirica nell’Età del Ferro (Andreas Lippert), all’esposizione delle form e di contatto fra Greci, Illiri e M acedoni (Claudia Antonetti, Franca Landucci Gattino ni), agli aspetti culturali, politici ed econom ici che caratterizzano e legano i popoli che si affacciano sul bacino adriatico (Peter Siewert, Cinzia Bearzot, Luciana Aigner Foresti, Francis Tassaux). La seconda giornata ha invece focalizzato il tema della conquista romana e dell’assetto amministrativo, civile, econom ico e militare delle province illiriche a partire dall’età repubblicana e tardo-repubblicana (Gino Bandelli, Maijeta Sasel Kos) fino al periodo imperiale (M arc Mayer, Géza Alfóldi, M arta Sordi, Giovarmi Brizzi, Slobodan Dusanic). La terza giornata, dopo la pausa letteraria della mattina, centrata su san Girolamo (M ichael von Albrecht, Alberto Grilli) e sull’immagine dell’Illirico nella panegiristica (D om enico Lassandro), si è conclusa con ulteriori contributi sulla frontiera illirica (loan Piso, John J. Wilkes, Arnaldo M arcone). Sono inoltre intervenuti a coordinare e vivacizzare la discussione, seguita a ogni intervento, M artin Jehne, Jean-M ichel R oddaz, Giampiero Rosati, Giuseppe Zecchini. Nel corso del convegno non sono mancati gli spunti per ulteriori riflessioni sulla complessa fusione di civiltà che ha caratterizzato, e caratterizza,1 Balcani. M om ento saliente è statala relazione di Géza Alfoldi con il successivo

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dibattito durante il quale, a fronte della ricerca erudita e antiquaria, si è tentata una visione di sintesi evidenziando il tema dell’identità storica e culturale della vasta area compresa fra Adriatico e Danubio.

Carlo Marcaccini

L ’a n tich ità ritrovata.Is tr ia e D a lm a z ia nei resocon ti di v iaggio di J a c o b Spott e L u ig i F erd in an d o M arsili M ostra a cura di P. Banchig,S. Magnani, L . Rebaudo, G. Venturini Università degli studi di Udine D ipartim ento di storia e tutela dei beni culturaliCastello Canussio - Cividale del Friuli 25-27 Settembre 2003Da sempre tappe obbligate lungo il percorso che dall’Europa portava in Grecia e in O riente, l’Istria e la Dalmazia furono a loro volta meta incidentale di piccoli tour a partire dal X V secolo, quando la nuova passione per l’antichità spinse eruditi viaggiatori, soprattutto italiani, a visitare quei luoghi che, pur periferici, avevano conosciuto la frequentazione greca e romana, con lo scopo di ammirarne e descriverne le vestigia. Organizzata in otto dettagliati pannelli la mostra ha rievocato due im portanti resoconti di viaggio che non solo testimoniano la sopravvivenza di questo genere letterario nel X V II secolo, ma costituiscono di per sé docum enti preziosi per la ricostruzione di m onum enti perduti o danneggiati, per lo studio del paesaggio, per la stessa storia politica e sociale. Jacob Spon e Ferdinando Marsili, l’uno medico francese l’altro nobile bolognese, personaggi diversi per storia personale e form azione, ebbero entrambi l’occasione di viaggiare al seguito di una missione diplomatica veneziana diretta a Costantinopoli, il primo nel 1675 , dopo avere con soddisfazione girato l’Italia, il secondo pochi anni dopo, nel 1679.Da questa esperienza entrambi trassero due opere significative che ebbero considerevole

notorietà fra i contemporanei: di Spon è il Voyage d ’Italie, de Dalm atie, de Grece et du Levant, pubblicato nel 1678; di Marsili, il cui diario di viaggio rimase peraltro inedito, è il Danubius Pannonico-Mysicus, stampato molto più tardi, nel 1726, un’opera enciclopedica che raccoglie osservazioni e considerazioni non solo antiquarie ma anche di carattere naturalistico. C om e i curatori scrivono nel depliant illustrativo, “attraverso le opere di questi due studiosi avvenne il primo coerente tentativo di recupero delle antichità romane nelle terre di Dalmazia ... Oltre al contributo offerto alla ricerca di un m etodo d’indagine sistematico nell’approccio all’antico, entrambe le relazioni di viaggio, ricche di descrizioni e di illustrazioni, conservano infatti numerose testimonianze riguardanti monumenti antichi successivamente scomparsi e illustrano con acuto spirito la realtà dell’epoca” . Il percorso della mostra è stato così organizzato. Il prim o pannello aveva una funzione introduttiva e offriva una rassegna sintetica dei viaggiatori che toccarono la costa dalmata prima di Spon e Marsili, mentre il secondo e il terzo illustravano l’itinerario dei due antiquari con le tappe principali. Da segnalare in questi due pannelli la riproduzione della carta delle coste di Istria e Dalmazia disegnata dallo stesso Marsili. Il quarto, il quinto e il sesto pannello entravano nel tema della ricerca antiquaria condotta dai due personaggi, mostrando iscrizioni e m onum enti segnalati e descritti nelle loro opere. Gli ultimi due pannelli mettevano in evidenza le ripercussioni culturali e i risvolti metodologici dei resoconti di Marsili e Spon, che contribuirono non solo a incrementare l’interesse per l’antichità classica ma favorirono anche l’approccio diretto al reperto archeologico esaminato all’interno del contesto di appartenenza.

Carlo Marcaccini

Il pannello esposto alla mostra L'antichità ritrovata, riproduce la carta della costa istriana e dalmata disegnata dal Marsili (Bologna, Biblioteca Universitaria, Fondo Marsili, 1044, 50. 8).In rosso è indicato l'itinerario di Jacob Spon.

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Carta disegnata da Francesco Berlinghieri in Geographia 1482 (Esemplare Fond. Scaramangà, Trieste). L'immagine è tratta dalla mostra L'antichità ritrovata.

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attraverso i secoli Miscellanea di studi di storia politico-diplomatica, econom ica e dei rapporti culturali, a cura di C . Luca, G. Masi, A . Piccardi, Istros Editrice, Braila-Venezia, 2004Il volume raccoglie venticinque testi, realizzati da studiosi romeni e italiani, che affrontano vari argomenti di storia dei rapporti intercorsi, in un arco di tem po che va dall’Antichità fino all’Età Contem poranea, tra la Penisola italiana e le terre dell’Europa centro-orientale, in particolar m odo i Principati R om en i.I diversi studi presentati nel volume sono armonizzati, dunque, in un tutt’uno coerente che obbedisce a quest’unico obiettivo generale. M a un altro elemento che, in m odo precipuo, è stato tenuto presente per la realizzazione di questo volum e è l’uso esclusivo, in ogni singolo contributo, di fonti inedite e di prima mano. Così vengono affrontate questioni di natura politica, econom ica e di storia della cultura in genere, studiando docum enti manoscritti o a stampa che sono conservati in diversi archivi e biblioteche italiane, oppure analizzando il materiale bibliografico dell’epoca. Facendo scorrere l’indice di questo volume si nota che la m aggior parte dei testi, curati da docenti universitari e studiosi impegnati in ricerche specialistiche, riguarda argom enti di storia medievale e moderna, e mette in luce aspetti specifici, p oco noti o affatto sconosciuti, che vengono inquadrati nella prospettiva più ampia della situazione europea del tempo, per cui il risultato raggiunto consente di formarsi un’immagine abbastanza circostanziata dell’argom ento studiato. L’impegno dei curatori è stato sia quello di rendere uniformi i testi da un punto di vista tecnico-grafico, sia quello di correggere e revisionare accuratamente le traduzioni

italiane dei testi romeni. N e risulta dunque un volume di studi specialistici destinato, innanzitutto, ai lettori interessati a tutto ciò che riguarda i rapporti tra la penisola italiana con le sue realtà statuali, dall’epoca della frantumazione politica fino al secolo scorso, e una vasta zona compresa tra le pianure ungheresi e il M ar N ero, cioè l’Europa centro-orientale. Attraverso il percorso tracciato dai testi, che sono disposti ovviamente in ordine cronologico, viene evidenziata in m odo chiaro la vocazione europea di quei territori situati ai confini orientali del nostro continente, e i legami che si sono intrecciati strettamente attraverso i secoli tra quest’area e l'Italia. Sono innanzitutto i rapporti politici a trovare luogo nelle fonti italiane dell’epoca, le quali hanno registrato appunto i molteplici scambi di ambascerie e le trattative svolte, con alterna fortuna, fra gli inviati dei principi romeni e i diplomatici degli Stati italiani, soprattutto quelli della Repubblica veneziana. E sono soprattutto i docum enti provenienti dalla città lagunare (per tutto il M edioevo e durante l’Età M oderna centro privilegiato di raccolta delle informazioni che giungevano da diverse parti del m ondo) a essere studiati nella maggior parte dei testi. Il rinvio alle fonti docum entarie, ampiamente utilizzate

e finora pressoché sconosciute diviene una caratteristica evidente del libro, ribadita dalla frequente riproduzione di docum enti inediti nelle appendici che chiudono tanti dei testi pubblicati.E questo uno dei requisiti principali richiesti dai curatori del volume, naturalmente per rendere disponibile la consultazione di fonti difficilmente raggiungibili, e per offrire dunque agli studiosi interessati la possibilità di raccogliere, da un num ero cospicuo di docum enti inediti, tanti dettagli utili anche ad altre ricerche consimili.Q uesto volume delinea una storia dei rapporti politici, comm erciali e culturali tout court, con tratti spesso trascurati dalla storiografia italiana, poiché ritenuti di secondaria importanza, ma la cui influenza e persistenza attraversoi secoli si dimostra di grande interesse per chi voglia studiare i rapporti fra gli Stati dell’intera Europa durante l ’ancien regime. Analizzati dal punto di vista dello specialista, tali rapporti vengono ricostruiti in quei particolari che consentono di ridisegnare un ordine politico, nei modi in cui esso si venne creando, e l’insieme delle relazioni che intercorsero fra gli Stati italiani e l’area centro-orientale dell’Europa.

Gianluca M asi

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Le iniziative dell'Università di Firenze a Scutari negli anni 2001-2002

S toria e cifre del “ P rogetto A lb a n ia ” L’Università di Firenze ha scelto di attuare una modalità sperimentale di intervento di cooperazione culturale con l’Università di Scutari fin dal 1992.L’istituzione del Dipartimento di Italianistica presso l’Università di Scutari, considerato com e base logistica e garanzia di continuità istituzionale, è stato preparato da un protocollo di intesa tra i due Atenei che risale al 1995 e dalla istituzione, da parte del M A E (Ministero degli Affari Esteri), di un lettorato di lingua italiana presso l’Ateneo scutarino, e successivamente del lettore di italiano presso il locale liceo bilingue italo-albanese.Nella fase iniziale dell’intervento (a partire dall’anno accadem ico 1 9 9 9 -2 0 0 0 ) con un contributo del M A E di 50 milioni di lire (Commissione Angioni) si è provveduto alla costituzione di una biblioteca di lingua e letteratura italiana di oltre 100 0 volumi e sono iniziati una serie di corsi intensivi presso il Dipartim ento di Italianistica di Scutari da parte di docenti fiorentini. N ell’anno accadem ico 2 0 0 0 -2 0 0 1 sono state attivate le prim e borse di studio per brevi soggiorni a Firenze di studenti scutarini, con lo scopo di far loro frequentare moduli di insegnamento e di avviare un program ma di ricerca com e preparazione per la tesi di laurea.I moduli di insegnamento dei docenti italiani presso il Dipartim ento di Scutari sono proseguiti negli anni successivi grazie al progetto di internazionalizzazione cofinanziato dal M IU R (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e intitolato M odalità di gem m azione e sperimentazione curriculare a partire dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità e dal Dipartim ento di Italianistica per un totale di 90 milioni di lire, che hanno coperto le spese di mobilità dei docenti e l’acquisto di materiale didattico.

Lo stesso M IU R ha finanziato, per il biennio 2 0 0 1 -2 0 0 2 , un prim o programma di formazione che ammontava a 2 5 0 milioni di lire e comprendeva la prosecuzione degli insegnamenti curriculari presso il Dipartimento di Italianistica, una serie di attività didattiche extracurriculari nei settori storico-archeologico e turistico, l’organizzazione di un convegno internazionale sull’Albania antica, una mostra sulla storia delle istituzioni culturali scutarine.Il finanziamento del M IU R ha consentito di proporre e ottenere dal M A E un ulteriore cofinanziamento per un articolato piano di intervento di durata triennale (per un contributo complessivo di 9 5 5 milioni di lire) di cui si è conclusa la prima annualità.Il piano, denominato Progetto A lbania- iniziative di cooperazione culturale a Scutari prevede attività di form azione curriculari ed extracurriculari su tre aree tematiche: archivistica e biblioteconomia; beni culturali e ambientali; sviluppo sostenibile. A com pletam ento e supporto dell’intervento formativo sulla valorizzazione dei beni culturali sono stati progettati e realizzati, a cura del Dipartim ento di Progettazione dell’Università di Firenze e grazie a un contributo M IU R -C oop erlin k , la ristrutturazione e l’allestimento di due sale della sezione archeologica del M useo Storico di Scutari, inaugurate in occasio­ne dell’anniversario di fondazione dell’Università di Scutari (25 ottobre del 200 2 ).

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Qui sopra, una delle sale interne del Museo.

A sinistra, la casa "Osa Kuka", sede del Museo Storico, è uno splendido esempio di abitazione scutarina.

La raffinata illuminazione In un contesto “grezzo" esalta i pezzi conservati nelle teche.

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S p a z io espositivo p resso il M useo Storico d i Scutari Progetto dell’allestimento:Giacom o P irazzoli con Lisa A riani Collaboratore: Arben Mitili Illuminotecnica: Targetti-Sankey Coordinamento: M ichele P irazzoli

In un Paese che sta cercando di riscoprire- anche attraverso i beni culturali - le radici della propria molteplice identità.

Particolari dell'allestimento: scaffali e colonne fasciate.

A destra. Francesco di Giorgio Martini (XV see.). Codice torinese saluzziano, foglio 14 v.

C on l’aUestimento delle due sale del M useo Storico presso la casa “O so Kuka” l’intervento dell’Università di Firenze a Scutari assume i caratteri forti di un’azione duratura, tesa a ristabilire un rapporto tra la città e il proprio patrimonio culturale.Per anni le istituzioni locali preposte alla conservazione dei beni culturali hanno speso le poche risorse a disposizione per evitare la dispersione degli oggetti d’arte; ora la fase che si inaugura con l’aUestimento delle due sale è quella della com unicazione e della valorizzazione. L’intervento discende da una diffusa attività di formazione nel cam po della gestione e valorizzazione delle risorse naturali (sviluppo sostenibile) e dei beni librari, archivistici e archeologici che l’Università di Firenze ha avviato a Scutari avvalendosi della collaborazione delle più titolate istituzioni italiane nei diversi settori.L’allestimento museale propone il superamento dell’intervento effimero e punta, con poche mosse, a valorizzare la spazialità e le caratteristiche del luogo. R ipercorrendo il concetto vitruviano della colonna fasciata, contaminata con un’idea atemporale di allestimento in continuità con l’architettura - quasi una protesi rispetto a qualcosa che già esisteva, i pilastri in pietra - , è qui centrale la riflessione sul carattere primario e asciutto di un lavoro pensato per una condizione estrema.Q ui non esiste decorazione, ci sonoi reperti, soli, e poi vetro, ferro, poco legno, e un p o ’ di luce.

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0 ^ i V î H o

104 F iren z e ch iam a ScutariL’Università di Firenze si è proposta di attribuire un ruolo attivo all’Università di Scutari, coinvolgendo sia il R ettorato, in quanto vertice istituzionale, sia le importanti ramificazioni che vivono a più stretto contatto con la realtà cittadina com e i Dipartimenti, in prim o luogo il D ipartim ento di Italianistica, e i singoli docenti. Il terreno sul quale è avvenuto l’incontro fra i due Atenei è quello dei beni culturali e ambientali, cui il progetto fiorentino ha riconosciuto importanza strategica cruciale, nella convinzione che a Scutari iniziative di sviluppo sostenibile non possano prescindere dal recupero della tradizione storico-culturale. Quali settori d’intervento specifico sono stati individuati la scuola, l’università e la pubblica amministrazione, che costituiscono gli ingranaggi essenziali per la diffusione e l'applicazione di contenuti e m etodologie in grado di innescare processi di sviluppo.A questo scopo l’intervento di cooperazione da modalità classiche di integrazione dei curricula universitari si è evoluto in un sistema complesso che prevede il coinvolgim ento di soggetti specializzati in diversi settori della formazione, ognuno dei quali ha sviluppato capacità progettuali e risorse finanziarie. L’A teneo scutarino ha così avuto m odo di confrontarsi con le esperienze di strutture italiane di eccellenza quali il Form ez (una Agenzia del Dipartim ento della Funzione Pubblica per il personale degli Enti locali italiani), l’Indire (Istituto nazionale del M IU R per la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti con particolare riferimento alle nuove tecnologie), l’Ittig (Istituto di Teoria e Tecnica dell’informazione giuridica) del Cnr.La convergenza di un numero così elevato di istituzioni determinate a svolgere specifici program mi di formazione a Scutari ha posto l’esigenza di avere

a disposizione spazi adeguati, per cui è stato possibile ottenere un contributo dal Program o f activities in support o f the A lbanian regions and prefectures (Pasarp), gestito in loco dall’agenzia delle N azioni U nite (Unops) e finanziato dal M A E, per il restauro dello stabile del Dipartim ento di Italianistica e di una struttura adiacente adibita a sala com puter per le iniziative dell’intero corso di Laurea in Lingue, previsto dal Dipartimento di Italianistica scutarino, e per le attività portate avanti dall’intero Progetto Albania.L’autore del progetto di restauro è Giovanni Pirazzoli (convenzione Unops- Università di Firenze, Dip. Progettazione dell’Architettura).Questi sono solo alcuni dei progetti messi in cam po dall’Università di Firenze, che nel contem po, sollecitata da una realtà carica di esigenze e di risorse com e quella scutarina, ha attivato altre iniziative in settori affini coinvolgendo istituzioni pertinenti.

C onvegn i, m ostre, con feren ze

L ’A lbania e l ’Adriatico nel mondo antico Seminario internazionale L’incontro di studio che si è tenuto nei giorni 2 9 -3 0 settembre 2001 nell’aula magna dell’Università di Scutari ha coinvolto non solo esperti e ricercatori italiani e albanesi ma ha anche attratto l’intera cittadinanza, rivelandosi così occasione di confronto e m om ento di scoperta com une del patrimonio culturale dell’Albania. H anno collaborato con l’Ateneo fiorentino le Università di Lecce, di M ilano, di Padova e di U rbino. Indispensabile è stato il contributo degli archeologici e degli storici albanesi, fra i quali vanno segnalati com e prom otori N eritan Ceka e Muzafer Korkuti.

Scutari: un’eredità europea che guarda alfiituro Mostra documentaria L’esposizione è stata inaugurata il 25 ottobre 20 0 2 , in occasione delle celebrazioni per il 4 5 ° anniversario della fondazione dell’Università di Scutari, con conferenze e concerti a latere, con l’intento di far riscoprire alla città la sua identità storica e di stimolare l’esigenza di valorizzare le ricchezze del territorio. La mostra si è articolata in otto esposizioni ospitate nei luoghi culturalmente più significativi della città:- fotografie sulla storia dell’Istituzione Universitaria Scutarina (presso il Rettorato dell’Università di Scutari);- riproduzioni di codici miniati scutarini, provenienti dall’Archivio di Stato di Tirana (presso la biblioteca M arin Barleti);- foto delle 36 antiche moschee scutarine, molte della quali distrutte durante il regime di Enver H oxha (presso l’H otel Rozafa);- retrospettiva del pittore Lin Delia (1 9 2 5 -1 9 9 4 ), con opere recuperate ed esposte a Scutari per la prima volta (presso la Galleria Shkodra);- Scuole Francescane a Scutaricon docum enti relativi all’attività di Gjergj Fistha (presso la biblioteca dei Francescani di Gjuhadol);- Scutari oggi e domani esposizionedei lavori degli studenti del Liceo artistico “Prenge Jakova” (presso la “Sala Dlyricum”);- cartografia storica e foto aeree inedite conservate nell’Istituto Geografico Militare di Firenze (presso il foyer del Teatro Mijeni);- oggetti liturgici e icone della comunità ortodossa di Scutari.

Statuti di ScutariPresentazione del volume[in proposito si veda la recensione a p.95]Il 26 ottobre 2 0 0 2 , è stato presentatoin pubblica conferenza il volume Statutidi Scutari a cura di Lucia Nadin. Il volumeè uscito sotto l’alto patronato dei Presidenti

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della Repubblica di Albania e d’Italia.Gli statuti sono stati tradotti in albanese dall’Ambasciatore albanese a R o m a e sono corredati di saggi introduttivi di Lucia Nadin, Giovan Battista Pellegrini, Oliver Jens Schmitt e Gherardo Ortalli. L’evento si è aperto con la lettura di un messaggio del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

C orsi di fo r m a z io n e , stages

Corso di base in gestione dell’inform azione N el periodo dal 4 aprile al 16 giugno 2 0 0 2 si è svolta la prima azione formativa extracurriculare prevista dal progetto: il corso sulla gestione dell’informazione (con un nucleo didattico di 4 0 ore costituito dalla “gestione dell’inform azione” propriam ente detta) ha funzionato da base per due indirizzi distinti (Laboratorio di archeologia e Sviluppo sostenibile) di 60 ore ciascuno con lo scopo di individuare gli ambiti specifici e le risone umane per i successivi interventi formativi nei tre settori d’intervento previsti: archivistica e biblioteconomia, beni culturali e ambientali, sviluppo sostenibile.Il corso di base ha affrontato i tem i della gestione dei diversi tipi di informazione dal punto di vista delle metodologie generali. I moduli di insegnamento proposti hanno trattato il tema della ricerca di diversi tipi di informazione nelle sedi tradizionali (biblioteche, archivi, cartoteche) e nelle sedi virtuali dei supporti informatici e di Internet. I docenti sono stati scelti tra i massimi esperti italiani del settore, provenienti da diverse Università e Istituti di ricerca: Giovanni Biondi, direttore generale dell’Indire, Paola Capitani, consulente dell’Indire, Erilde Terenzoni, Ministero dei Beni Ambientali e Culturali, Adriana Valente, del Cnr, Sebastiano Faro, dell’Ittig, Annamaria Tammaro, dell’Università di Parma.

Laboratorio di archeologia Contem poraneam ente al corso di base in gestione dell’informazione è iniziato il Laboratorio di archeologia (60 ore), presso l’aula attrezzata del Dipartimento di Italianistica di Scutari. Il corso si è avvalso della collaborazione di esperti albanesi provenienti dall’Istituto di Archelogia di Tirana, e altri archeologi collaboratori dell’Istituto. Il corso di form azione ha impegnato circa 80 tra studenti universitari, docenti delle scuole secondarie e personale di biblioteche e musei locali e ha avuto una durata complessiva di oltre due mesi con stages presso gli archivi del museo storico ed esercitazioni di catalogazione dei pezzi del museo archeologico sotto la supervisione degli archeologi dell’Università di Urbino.

Sviluppo sostenibileE il secondo corso generale di 60 ore che, com e il precedente, va ad aggiungersi al corso di base in gestione dell’informazione. Il corso si è svolto a Scutari dal 10 maggio al 16 giugno 2 0 0 2 presso l’aula attrezzata del Dipartimento di Italianistica; il corso ha visto la partecipazione di 30 tra funzionari degli enti locali, docenti universitari, studenti e giovani albanesi impegnati con le O N G in attività di tutela del patrimonio ambientale scutarino.Le lezioni sono state tenute da docenti delle Facoltà di Ingegneria, Architettura, Econom ia e Lettere (Federici, Dini, Pirazzoli, Semboloni), oltre a esperti liberi professionisti (Sbordone e Cavallotti) ed esperti di sviluppo locale del Form ez (Agnesa).

Ipotesi di riqualificazione urbana a ScutariIl co n o ha avuto inizio il 22 giugno 20 0 2 e si è concluso il 7 luglio 2 0 0 2 per un totale di 40 ore di lezione in forma di laboratorio per 10 ingegneri, architetti

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e studenti di Ingegneria e Architettura. :Il corso è stato mirato alla costruzione di ipotesi progettuali relative alla città di Scutari. La collaborazione è stata estesa anche agli Enti locali (Municipio, Prefettura), alle O N G operanti sul territorio e alle organizzazioni internazionali presenti a Scutari.In particolare si segnala la collaborazione con il programma Pasarp gestito da Unops (United Nations Office for Project Service), che ha contribuito all’individuazione delle aree di studio per l’esercitazione prevista. Coordinatore dell’attività didattica è stato G iacomo Pirazzoli (Università di Firenze).

Corso di archivistica e biblioteconomia La collaborazione tra l’Università di Firenze e l’indire (Istituto Nazionale per la D ocum entazione, l’Innovazione e la R icerca Educativa) ha consentito di organizzare una specifica attività di formazione presso la sede fiorentina dell’Istituto per dieci persone provenienti da Scutari segnalate dalle principali istituzioni locali che dispongono di fondi librari. L’attività didattica è stata svolta a titolo gratuito dagli esperti dell’Indire che ha fornito il software di catalogazione Winiride, di cui è proprietario. O ggetto dell’attività di form azione è stato infatti l’uso di Winiride, strumento di catalogazione conform e agli standard internazionali, sviluppato per la catalogazione e la messa in rete delle biblioteche scolastiche, ma estremamente versatile e adatto alla catalogazione di produzioni sonore e musicali, immagini e creazioni multimediali. Il corso si è svolto a Firenze dal 15 al 2 0 settembre. Tornati a Scutari, gli studenti hanno iniziato la catalogazione informatica delle biblioteche delle istituzioni di appartenenza.

[I resoconti dell’attività per gli anni 2 0 0 3 -2 0 0 4 saranno pubblicati nel prossimo numero.]

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Una tipica casa scuta rina.

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106 P rogetti fu tu r i

Studi p er la conservazione e la valorizzazione del “Quartiere dei Veneziani” a Scutari a cura di M aria A driana Giusti In età m oderna, lo sviluppo urbanistico di Scutari si è attestato intorno agli assi ortogonali principali, che formano lotti quadrangolari irregolari. All’interno di questi si dirama un tracciato irregolare, sottolineato dalla continuità dell’insediamento, form ato da unità edilizie con orto chiuso e pergolati aerei. L’architettura si è progressivamente aggiornata agli stilemi occidentali, evidenti in molti edifici con decorazioni eclettiche e liberty, che si incontrano coi caratteri della tradizione locale. La casa scutarina, a blocco com patto, talvolta con doppio ordine di loggiati, in pietrame e orditura lignea di solai e finiture, è chiusa entro recinti coltivati. Sono conservati i caratteri costruttivi dell’edilizia tradizionale, improntata a un diffuso impiego di orditure lignee, sia per le strutture orizzontali (solai, spesso con intagli) che per quelle verticali. L o stato di conservazione è oggi compromesso da erronei interventi di manutenzione e da casuali lavori di ripristino.A fronte di questa situazione diffusa di degrado strutturale e infrastrutturale, si impongono urgenti interventi di restauro e di valorizzazione, da programmare sulla base di un’approfondita conoscenza preliminare.L’obiettivo è quello di definire, attraverso questo metodo, le linee-guida del recupero, cercando di promuovere, anche attraverso la redazione di un “manuale” , l’impiego delle tecniche e dei materiali tradizionali. Sarà inoltre data opportuna visibilità a tale studio, soprattutto attraversoil coinvolgimento di cittadini, amministratori locali, maestranze e progettisti. Lo scenario locale impone

infatti urgenti strumenti di gestione che non possono prescindere da una strategia di prom ozione per salvaguardare l’identità di questo patrimonio storico, architettonico e ambientale.Il programma di lavoro si articolerà in più m om enti:- analisi e studio della città, intesa com e organismo integrato, di aree, manufatti, infrastrutture di vario genere;- rilievo dell’insediamento centrale (“quartieri veneziani”);- analisi e schedatura dei caratteri,delle tecniche e dei materiali costruttivi;- progetto pilota sull’insediamento del centro storico, che consiste nell’elaborazione di uno studiodi conservazione incentrato sulla valorizzazione di tale tessuto com e primaria risorsa turistica; nella verifica delle possibilità di potenziare risorse com plem entari e integrative dell’offerta turistica stessa, com e la riattivazione di mestieri tradizionali (per esempio,

l’intarsio ligneo, la “stoiatura” com e settore edilizio della tessitura) e l’increm ento di servizi e strutture ricettive; nella form azione di personale idoneo a operare sul patrimonio storico-architettonico, nelle diverse e continuative fasi del restauro;- formulazione di un “manuale del recupero” che, sulla base della ricognizione analitica, possa fornire le linee-guida per attuare la conservazione. Tutte le operazioni, dalla conoscenza storica ai rilievi geom etrico-m orfologici, saranno svolte nell’ambito di un Laboratorio che sarà allestito a Scutari, nei locali dell’Istituto di Italianistica dell’Università, già sede della missione dell’Università di Firenze, al quale avranno accesso gli studenti del Politecnico di Torino (coordinati da professori di restauro, topografia, progettazione) i quali opereranno con neo-laureati, selezionati dalla Municipalità e dall’Università di Scutari con l’aiuto dell’Istituti M onum enteve te Kultures di Tirana.

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Çdo toki eshte nje knfi. Perceptinn i hapcsir adriatike ni' antikitctin greko-romanKjo ese përballet pikensht me konceptin e laijim it te kufirit adriaük. A uton pyet veten mbi konceptin në fjalë.Përgjigija është relative: në anükiteün grek të parët që zbuluan kufinn qenë lundërtarët që endeshin nga porta në port përgjatë bregut (it. portolani). Fryt i kërkimeve të tyre është pikënsht penplus-i, një përshknm i bregut nga i cili del në pah si është konceptuar kufih, d.m.th., toka, nga pikëpamja e tyre.Edhe pse u perhapen ne te gjithe Mesdheun, greket e vjeter, ne periudhen arkaike dhe klasike m permbajten ketij koncepümi duke u mjaftuar me themelimin e kolonive te tyre ne brigje pa u perpjekur te depertomn ne thellesi te temtoreve, N je peqashtim paraqitet pikerisht nga Dionizi i Sirakuzes qe midis shek.V e IV p.l.K. am ó te pushtonte toka te Sicüise e te Italise se Jugut duke u shtyrc edhe ne Adnaük ku edhe themeloi kolom te vetat ne te dyja brigjet. Shume veta kane menduar qe tiram sirakuzan kishte per qellim te shtnnte hegjemomne e tij mbi mbare Adnatikun. N der faktoret qe te bejne te mendosh se nuk eshte keshtu eshte fakü qe vendqendrimet qe tirani themelon ne dy brigjet e Adriaükut nuk kane aspak per qellim te kontrollojne hyrjet ne brendesi te ketyre vise ve por thjesht te favorizojne udhedm et e anijeve per qellime tregtare ne vija detare qe ekzistomn prej kohesh. Dionizi duket krejt indiferent ndaj Korkyres e kolonive te tjera korintase qe ne fakt duhet te kishin qene nje objektiv strategjik m e rendesi primare per dike qe ishte i interesuar te sundonte Adnaükun.Eshte e qarte pra pse sirakuzanet ne shek. IV p.l.K. edhe pse e pershkuan Adriadkun anembane duke e njohur edhe me mire ate, iu permbajten gjithsesi menyrave klasike greke: mungente akoma konceptimi i nje kufiri detar adriadk.Q ene pikerisht romaket qe me shume se nje shekull m e vone realizuan te paret projekdn e nje kufiri detar adriadk duke pasur si projekt sundímin e kesaj zone detare. E njejta gje synohej edhe nga iliret e mbreteresha e tyre Teuta, te eilet e kishm kuptuar m e pare se romaket rendesine e hegjemonise ne Adriaük. Teuta synonte ta am nte kete hegjemoni duke perdorur anijet e veta korsare.Lind keshtu pirateria si fenomen qe lidhet me zona kufitare dhe qe jane gjithashtu zona konkurrence dhe qe shenon gjithashtu hapjen e nje hapesire te re ku perballen qyteterime e kultura ne konkurrence midis tyre.Ilirct dalin te hum bur ne ndeshjet m e romaket: me luften e pare lliro-romake (230-229 p.l.K.), Rom a u jep fund sulmeve te flotes pirate te Teutes duke realizuar ne kete menyre akdn e pare te ekspansionit ne Ballkan, ekspansion qe do te vazhdoje ne shekujt e mevonshem duke a m tur kulmin ne dy shekujt e pare te Perandonse.Sipas botekupdm it te romakeve pushdmi i tokave ballkanike ishte i rendesishem sepse siguronte qetesine e Italise Ata ishin te vetedijshem që një situate e paqëndrueshme ne ate zonë do të shkaktonte në menyre te paevitueshme efekte edhe në Adnatik, zonë që duhej domosdo të kontrollohej prej tyre. Është pikërisht sundimi romak ai që shënon i pari lindjen e një konceptì mbi kufirin adnatik si një hapësirë strategjike e rila ndan, por njëkohësisht edhe shpie në drejdm të dimcnsioneve e realiteteve të reja kul turo re.

Every Land is a Frontier: the Perception o f the Adriatic Sea during Classical AntiquityThis essay explores the creadon o f the Adriatic border. A t the beginning, the author attempts to define the term “border” . T he first to discover the concept o f a border in ancient Greece were the sailors w ho traveled from port to port w ithout entering the open sea. T he result o f their research was the periplus; they considered the coast to be their border.In the archaic and classical ages the Greeks, w ho had diffused in the M editerranean, remained fixed on this idea, thus limiting themselves to founding settlements on the coast, w ithout experimenting o ther methods o f territorial expansion. An exception is shown by Dionysius o f Syracuse

who, between the 5th and 6th centuries B.C., succeeded in creating a vast dominion comprised o f Sicily and Southern Italy, extending also in the Adriatic Sea, where he founded colonies on both banks. Many thought that the Syracusan tyrant wanted to impose his dominion over the entire Adriatic Sea. Nevertheless, there are many factors that discourage this interpretation and the most im portant among them is the fact that the settlements built by the Syracusans on the two banks o f the Adriatic were not designed for controlling access but simply accommodating the traversing o f the commercial ships, already well-established at the time.In fact, Dionysius seems to have been completely disinterested in Corcyra and in the C onnthian colonies, now standing on Albanian ground, which should have been a strategic point o f primary importance to impose an Adnaùc hegemony. Therefore it is clear that, although the Syracusans in the 4th century B.C. traveled all over the Adriatic Sea, the perception o f a maritime border was still absent. It was the Romans, more than one century after, w ho conceived the idea o f an Adriatic border imposing their hegemony on the sea. In the realization o f this plan, the Romans were helped by Q ueen Teuta’s Illyrians. The Illyrians had already understood the importance o f the Adriatic and had intentions to conquer it with the use o f pirate ships. Thus emerges piracy as a phenom enon o f the frontier, beginning the period o f confrontation between civilizations and cultures destined to remain in competition from that point on over the Adriatic. Against the Romans the Illyrians were destined to lose: in the first Illyrian war (230-229 B.C.), R om e put an end to Teuta’s fleet o f pirate ships completing the first act o f expansion in the Balkans culminating in the first two centuries o f the Empire. According to the Romans, the conquest o f the Balkan inland was fundamental to ensure peace and affluence in Italy; they were well aware that an unstable situation in that area would have had inevitable repercussions in the Adriatic, o f which total control was essential. It was the R om an dominion that gave birth to the Adnatic frontier as a strategic space that divides, but at the same time opens, although dangerously, towards new dimensions and cultural realities.

Carlo Manamni

Historia e vesltHrè e nje vendi; qif nga Urna deri tek drama e Kosoves Q e ne antikitet Adnatiku eshte nje prej pikave me te rendesishme te Evropes. Adriatiku eshte nje det qe ndan e bashkon. Ndersa Shqipena qe läget prej ketij deti eshte nje vend i veshtire e problematik. D en ne teteqinden shqiptaret qendrojne te terhequr ne male per te ruajtur identitetin e tyre por dine te mbeten edhe afer boshteve te medha te qytetenmiL M e gjithe krizat, nderprerjen e raporteve, ndeshjeve te ashpra gjithsesi e ruajten his tonne dhe traditat e tyre,bile m e shume nga ç’mund t u duket bashkekohesve. Eshte e dukshme ne kete vend, prania e shume qendrave politiko-ekonomike, si rrjedhim varieteti e pasuria ne shume zona qe ne periudha te lulezimit te tyre mbeten gjithmone sinkredke, d.m.th. te afta per te prodhuar sinteza kul turo re neperm jet raporteve me vendet e aferta, po r duke krijuar ekspenenca gjithsesi specifike. Kjo situate ka mundtir te prodhoje nje zhvillim qe ka siguruar edhe respektin e tra di ta ve dhe gjithashtu ka dhene rezultate shume te ndryshme nga ato te strukturave politike orientale. N je gje e tille i ka bere me te lehta raportet m e Perendimin e ne veçanti meVenecian, por edhe ato m e Perandorine O tom ane (kujtojme ketu dinasti ne e vezireve Koprulu apo rekrutimin e jeniçereve). Q ene raportet me Perendimin qe i dhane shtytje edhe levizjes per pavaresine kombetare. M und te thuhet qe ne kete zone te rendesishme te Evropes u mani fes tuan dy tendenca kryesore: tendenca per integnm dhe tendenca per perballje. N e menyre te veçante perm endet peiballja ne plamn fètar midis te knshtereve dhe myslimaneve, midis kapitalizmit dhe feudalizmlt, midis menyres se vjeter te prodhimit dhe asaj industriale, midis universalizmit te vjeter dhe ndikimeve te Revolucionit Francez.

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108 77ic Complex History of a Coiintr)';from tlw lllyruum ¡0 the Kosovo TragedySince ancient times, the Adriatic Sea has been crucial to Europe: it is a sea which divides and unites. Albania, a country that overlooks the Adriatic Sea and is sustained by it, shares the same characteristics. Its location helps us to understand the role o f its inhabitants m relation to Byzantium. Isolated w ithin the mountains, they maintained their individuality until the X IX century, but were at the same time quite dose to the axis o f civilization. D uring the H oly R om an Empire, the premise for a great shift in the axis towards Northwest was set, resulting in a loss o f relevance for the Adriatic area. However, notwithstanding crisis, ruptures, and conflicts, through the centuries, many elements o f history and expenence were maintained, despite w hat many contemporaries think, focusing mainly on revolutions, institutional changes, and the alternation o f sovereigns, dynasties and religions. T he polycentric nature and the variety and richness o f many situations, always syncretic at their climax, enabled Europe to elaborate interesting cultural synthesis through the relationships it had w ith the neighbouring cultures, creating independent and specific experiences and therefore unique and very important.This granted an evolution in Europe w ith respect to both differences and “constants” , ensuring a creativity and a multiplicity which were inconceivable under the despotic oriental empires. The impulse to create new realities, like the one in Venice, which established relationships and mediated between East and West, came from all this. The presence o f Albanians in this process was not irrelevant. O ne need only recall the “dynasty” o f the Gran Vizir Köprülu and the presence o f young Albanians in the Janissary army corp.This country never stopped striving for national mdependence, being inspired from the X IX century by the Italian and European political and ideological stirrings. If one looks at the history o f Albania, one can say that there have always been two main tendencies, partly objective and partly creating an ennobling myth. First o f all there was a tendency to integrate and synthesize, able to elaborate different influences, while never losing its own mark; and at the same time a tendency towards confrontation set, from time to time, between Christianity and Islam, capitalism and the feudal system, stagnant tribal production system and liberal, urban civilization aiming at industrial development, between the defence o f closed worlds dipped into an old despotic and atrophying universalism and the growing internationalisation centred on the West, influence o f the French revolution.

Bianca Valota

Shqiperia c ihilitmcvc; mit, propagande, dcmagogji <je nya fundi i tetcqmdes den tie fashizemIshte M axini qe beri perpjekjet e para ne drejtim te çeshtjes sUave dhe perkrahu deshiren e vellazerimit te popullit Ita lian

me popujt pertej Adriatikut.Per ta plotesuar skenarin politik turk kontribuan stereotipet tipike mbi Lindjen, elemente thellesisht negative qe prireshin te evidentonin distancen, kundervenien, ndryshimet kulturore e racore ne krahasim me Perendimin, dhene me ane atributesh te shumta e te polarizuara qe flisnin per nje ndryshim te madh midis Perendimit e Lrndjes.M anualet shkollore italiane ndjekin kete skeme ideologjike te m banur m e paragjykime kunder turqve e plot me retorike ne mbrojtje te popujve te shtypur.Pasi idealet e Rilindjes e humbin fuqrne e tyre u kalua ne vlercsime te tjera e ne kete situate te re ideologjike Shqiperia nuk u pa me me syrin e meparshem.N e dhjetevjecaret e pare te nenteqindes botim et shkollore nuk i kushtojne vemendje te veçante Shqiperise. N e kete drejtim ben peijashtim Nikolò Rodolico qe ne manualin e tij te historise tregohet m e i vemendshem ndaj Ballkanit, por jo m e pak i ngarkuar me gjykime ambigue.Turqit, konsideroheshin pergjegjes jo vetem per shtypjen

shumeshekullore te popullit shqiptar por edhe autore te pemdjekjes fe tare kunder minoriteteve te krishtera ne Ballkan. N e vitet e m bretenm it te Zogut (1925-1928) mendimet per Shqiperine ndryshuan akoma: italianet u binden qe ky vend fqinje po merrte rrugen drejt stabilitetit e progresit nen tutelen e Italise.Disa libra kerkuan t’i jepnin shkas bashkepunimit ekonomik midis dy popujve duke lartesuar pasurite e Shqiperise dhe pavdekshmerine e miqesise midis ketyre dy popujve.Kjo miqesi u thye per shkak te hegjemonise musoliniane qe e shnderroi Zogun ne armik, nje shfrytezues te popullit e te vendit te tij.Pas pushtimit te vendit nga Italia ne vitin 1939 studimi i qyteterimit shqiptar, i historise se Shqipërise, i artit të saj, i triumfeve politike, i folklorit, 1 letërsise u bë nga Rivista d’Albania e drejtuar nga Francesco Ercole, botim i ISPI, num ri i paré 1 se cilës doli në vitin 1940.N e faqet e kesaj reviste nuk behej me fjale per Shqiperine arkaike, kultura e saj ritrajtohej nga pikepamje moderne dhe strukturohej ne kendveshtrimin italik.

Albania in the Italian Perception. Myth, Propaganda and Demagogy from the End of the XIX century to Fascism In the XIX century Giuseppe Mazzini, the patriot and politician, was the first to raise the Slavic problem in Italy and to suggest the importance o f national unity for other countries as well. Albania in particular fell under the worst stereotypes about the distance, the difference and the weakness o f a remote East vis-à-vis to a strong and civilized West. Italian text-books o f the period reflected in full such anti-Turk prejudices as much as such rhetorical sympathy for oppressed populations. As the Risorgim ento ideals became old-fashioned and a new ideological approach appeared, the Italian attitude became less sympathetic, w ith the only exception for the epic adventure o f Scanderberg, the Albanian hero w ho w on the Turks, perceived as pater patriae. T he growing distance was showed the new generation o f school text-books: during the first decades o f the X X century there was little attention deserved to Albania, apart from Niccolò R odolico’s history text-book, where the Bal cans area were portraited more in detail, though w ith the usual am ount o f com mon places and ambiguities. For instance, Turks were depicted as the responsible o f Christian persecutions and o f Albanian captivity. Only between 1925 and 1928, w ith lang Zog, Albania became a friendly and most welcomed country: Italians felt that they were in the position o f becoming its guide to stability and improvement. T he attitude was reflected by several works that m entioned the communal Italian-Albanian history, or, better, the Roman-Dlyrian ancestors. O ther books tried to implement Italian economical investments in the area by decanting Albanian wealth and the never-ending friendship between the two countries. Unfortunately, the propaganda wrecked under Mussolini’s policy o f transforming king Zog into a despot and Albania into a country to be invaded and (for its own sake) civilized by Italian conquerors. After Italian invasion and the formal unification o f the two kingdoms in the year 1939, there was again a shift toward more edulcorated terms. It is possible to testify such an attitude through La Rivista d’Albania, edited by the well-known scholar Francesco Ercole and published by ISPI [Istituto di Studi di Politica Intemazionale], under the aegis o f Centro di Studi per l’Albania, at the Reale Accademia d ’Italia, in 1940. T he periodical explored the transformations and changes o f an archaic Albania into the modern nation and its culture took shape according to the Italian canon. It was very similar an escamotage the illustrious Ettatlopedia Italiana had taken a few years ago in publishing the long and well docum ented voice “Albania” : at this point, the final conquest o f Albania, both materially and ideally, had taken place and its peculiarity was once more bounded into other schemes than its o w n ...

Roberto Mancini

Siujiponja dhe Inani. Shqiptaret e divallati dhe te sotan ne [ (mm\ Studium fotografiliQ e ne vitin 1442 komuniteti i shqiptareve gjeti nje sell te veten prane M an as tin t te San Gallos ne San Severo duke bere te lindte nje prej atyre shkoUave kombetare qe kujdesej per komum tetet e huaja.Kjo shkolle, ashtu si edhe te tjerat ne Venecia, nuk njihej vetem si shoqate bamirese, por kryente edhe funksione bankare per te administruar pasurite e per te perballuar funksionimin e vet.Themeli i ketij komuniteti ishin veprimtan te devocionit e te sherbimit, perfshire ketu te semuret e te paralizuant dhe nuk beheshin dallime nga pikepamja e shtreses shoqerore apo e gjendjes ekonomike,Komuniteti i shqiptareve u anullua vetem nje vit pas themelimit, ne vitin 1443, por megjithate brenda pak vitesh komuniteti u be i njohur ne menyre te ligjshme, kete here jo ne San Gallo, por ne San Mauricio.M b erri tja e refugjateve te shumte pas renies se Shkodres ne vitin 1497 çoi ne domosdoshmerme e ndertimit te nje qendre me te ma dhe e me te pershtatshme per prit) en e refugjateve.Pummet zgjaten deri ne vitin 1502.Fasada eshte e veshur m e gure te Istrias me nje basoreliev qe paraqet zonen ku ngrihet kalaja e Shkodres, ku verehet nje hero mbrojtes qe u mendua se îshte Gjergj Kastnot Skenderbeu (vdekur ne vitin 1468), edhe pse dallohet mbishkrimi ASEDIO SEG N D O e data e permbysur 1497. N e kembet e malit shihet fituesi M uham et me shpaten e zhveshur e i ndjekur ngaVeziri i madh.N e kom izen e kesaj pamjeje jane skalitur stemat e mbrojtesve te fundit: Antonio Loredan (1474) e Antonio D a Lezze (1479). D uhet theksuar gjithashtu se kompozimi 1 kesaj skene te kujton episodin e mberritjes se venecianeve ne Shkoder, i gdhendur ne te majte te arkes se varnt te dukes Pietro Mocemgo, vdekur ne vitin 1476, ndertuar ne kunderfasaden e San Giovanni e Paolo nga Pietro Lombardo me bashkepunimin e te bijve Tullio e Antonio duke filluar pikerisht nga ky vit e duke perfiinduar brenda vitit 1481.N e fasaden e Shkolles se Shqiptareve, mbi komizen qe ndan katet gj enden tre relieve m e gure te Istrias qe paraqesm San Gallon, Zojen m e Krishtin e San M auricion, mbrojtes te komunitetit, pikerisht ne baze te qendrave ku ishte vendosur komuniteti.Ky eshte nje rast absolutisht i veçante, sepse ne fakt shkollat e tjera kombetare i im portonin shenjterit e tyre mbrojtes. Ndersa shqiptaret respektojne shenjtent e nderuar ne kishat prane te cilave kane gjetur mikpritje.N e fakt, mbrojtesja e vertete qe ata kane sjelle eshte Zoja e Shkodres, qe qendron e ulur m e te birin ne krah pikensht ne qender te basorelievit te fasades, se riles gjithashtu i eshte kushtuar cikli i pikturave qe gj endet ne brendesi te nderteses.

Tlte Eagle and the Lion. Albanians afïestcrday and Today in l cuur In 1442 the Albanian community founded its center at the Monastery o f Saint Gallo in Samt Severo, establishing a national school. These national schools allowed by the government o f the Serenissima in the spirit o f charity, aimed to protect members o f the foreign communities.Like other schools in Venice, it was a charitable association but also acted as a bank, administrating properties and looking after its own functions. Its activities mcluded devotional offices, aid to the ill and invalid, and was the foundation for a community which did not discriminate on the basis o f rank o r wealth. In 1443, only one year after its foundation, the Albanian brotherhood was abolished, although w ithin a few years (1448), no longer located in Saint Gallo but in Saint Maurice, the community was recognized and legitimized. In 1497, after the fall o f Scutan and the arrival o f many Albanian refugees, a bigger and more comfortable center was built. Construction lasted till 1502. T he church façade is covered in Istrian stone.

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A bas-relief represents the fortress o f Scutari where a heroic defender, thought to be Gjergj Kastnod Skenderbeg (who died in 146§), appears, notwithstanding the inscription ASEDIO SEG N D O and the inverted date 1474. A t the foot o f the mountain, M ohamed II the victor is exulting with an unsheathed sword, followed by the Gran Vizir. O n the upper part o f the frame are sculpted the coats o f arms o f the last two defenders: the superintendent Antonio Loredan (1474) and Antonio D a Lezze (1479).This scene is similar to the episode o f the Venetians’ entry into Scutan, w hich is sculpted on the left side o f the tomb o f doge Pietro Mocenigo, w ho died in 1476. It was built into the counterfaçade o f Saint John and Paul by Pietro Lombardo in collaboration w ith his sons Tullio and Antonio the same year and was completed in 1481. O n the façade o f the Albanian school are three semi-reliefs made o f Istrian stone, o f controversial attribution, representing Saint Gallo, the M adonna w ith child and Saint Maurice, patron saints o f the Albanian brotherhood, according to local traditions. This is a unique example o f this kind. T he other national schools im ported their own saints. O n the contrary, Albanians venerate the saints that are in the churches where they have found a retreat. In fact, the most im portant patron saint they have im ported is the M adonna o f Scutari, w ho sits w ith her child at the center o f the bas-relief on the façade; the paintings inside the Church are dedicated to her.

Laura Corti

A helare per nje mik. Italia tic tekstel c shkollave shqiptare qe shckulli i XIX deri ne XXKontaktet midis Shqipense dhe Italise pasqyrohen edhe ne fiishen e didakokes e pro gram eve edukative.D uke filluar nga shekulli XDC ne Itali u botuan nje sere tekstesh lm guis tike, letrare, edukative si dhe gazeta e revista ne gjuhen shqipe ose ne te dyja gjuhet, shqip dhe italisht, si p.sh,, "L’albanese d ’Italia” e ‘“Flamun i Arbrit”(La bandiera dell’albanese) të cilat kontribuan në çështjen kombëtare shqiptare.N e fund te teteqindes, midis problemeve qe kerkonin zgjidhje nje vemendje te vecante kerkonte problemi i nje alfabeti te perbashket e normesimi i gjuhes se shkruar.Nga kjo pikepamje botimi i abetareve ne gjuhen shqipe u konsiderua si nje prej mjeteve m e te sigurta per knjim in e nje ndergjegjeje kombetare.Keshtu ka nje rendesi te veçante ne historine e botimeve shkollore "Alfabetare e gluhese shqip” (Abecedario di lingua albanese), botuar ne StamboU ne vitin 1879, vetem pak muaj pas aprovimit te “alfabetit te Stambollit".Kjo abetare îshte e hartuar ne menyre te tille qe t’i sherbente mesimit ne shkollat fîllore qe do te hapeshin ne ate penudhe. Behet fjale per nje veper kolektive nepermjet te riles jepet nje pañórame e dijes se pergjithshme qe perm ban argumente te ndryshme, nder te cilat edhe Italia, e vendosur midis perandorive te medha se bashku me Rusine, Francen,Prusine, A ngine, Austrine.Turqine. Jepen gjithashtu edhe te dhena mbi histonne e Italise.Pikensht ne kete pjese trajtohen marredheniet e Shqipense me Italine, duke filluar m e lufterat iliro-romake.Persa u perket shkembimeve kulturore dhe ndikimeve reciproke midis Italise e Shqipense duhet kujtuar veprimtaria e zhvüluar nga Gasper Benusi, autor i teksteve shkollore dhe nga i ati, Gjergji, i cili themeloi nje shkolle fîllore ne Shkodër ne te rilen mesohej gjuha italiane.Tradita e abetareve dygjijhëshe vazhdon e lulezon ne penudhen e Pavaresise (e shpallur ne vitin 1912).Edhe Luigj Gurakuqi eshte nje figure qe spikat ne historine e Shqipense. Ai qe politikan e diplomat, njen i letrave, mesues e M inister i Arsimit ne qevenne e pare shqiptare, drejtor i Normales se Elbasamt ne vitin 1909.Ai botoi tre abetare nder te cilat perm endim “Abetari per Msoitore Fill ta re t ’Shqcypniis-Pnmo libro” , botuar ne Napoli ne vitin 1905.

Pena u perket manualeve te historise duhen dalluar mbi te gjitha manualet e hartuar per qellime shkollore nga esete e menduar per nje publik me te gjere, edhe pse ne te dyja rastet ndihet klima politike i kohes.Pjesa me e ma dhe e teksteve shkollore te historise kur flitet perVenecian ose R om en, paraqet m berriqen e forcave ushtarake ne vendin tone si nje pushtim, aq më shijmë shpeshhere e perkufizuar si shkatemm.Por megjithate informacionet e permbajtura ne keto tekste kishin per qellim edhe njohjen e Italise m e m e teper hollesi.

Drafting a Friendship. Italy in Albanian Textbooks between XlXth ami XXth CenturyT he intense relationship between Italy and Albania finds evidence in a specific branch such as education, in particular in school-programs and in school-apparatuses. Starting with the X IX century, in Italy a considerable number o f language, literary and scientific text-books, as m uch as news-papers and reviews, were published both in Albanian and in a bilingual, Italian-Albanian, version. For instance, “L’Albanese d’Italia” and “Flamun I Axbnt” [La bandiera dell’albanese] contributed to the cause o f national unification. By the end o f the XDC century, among several major problems Albania was urged to face, particular emphasis was given to the creation o f a communal alphabet and o f a standardization o f the written language. Publishing spelling-books was perceived as the safest mean for reaching a national conscience. For instance, Alfabetare e gluhese sltqip, published in Istanbul in 1879, has a particular importance in the history o f text-books because o f its peculiar structure: several branches o f knowledge were covered in order to make it suitable for all grades in the elementary schools that were about to open in Albania in the same years.It is a miscellany work that provides an over-all view on several topics: Italy, for instance, is listed among the great powers such as Russia, France, England, Germany, Austria and the Turkish Empire, and its national history is dealt in depth. A whole section explores the relationship between Italy and Albania, dating back from the period o f Ancient R om e and Illyria (the equivalence between Illyrians and Albanians clearly having a strong ideological and nationalistic meaning, which was recurrent in several other text-books). Gaspar Benussi, a w ell-known author o f text-books, sponsored such a friendly perspective between the two countries, as much as his father, Gjergi, w ho founded the Scutan elementary school, where Italian was taught. A nd such a tradition o f bilingual text-books also flourished after the Independence (obtained m 1912).A major figure in Albanian history, the politician, diplomat, writer and minister o f Education in the first national government, Luigi Gurakuqi was the director one o f the most im portant schools in Elbasan since 1909 and the author o f three spelling-books, among which the remarkable Abetari per Msoitore Filltare t'Shqcypniis, published in Naples in 1905. Still, in general, both in history school text-books and in essays for a m ore sophisticated audience, there is a constant apologetic approach w hich resents o f the political climate: for instance, very often both R om e and Venice were presented as past colonial occupants invading Albania with military forces in a very cruel and aggressive way.At the same time, there was an open intention o f improving the knowledge about Italy and its culture.

Islam Dizdari, Njazj Kazazi

TU i•ëiltgosh dhe te mos ndeshkosh. Trajitimi i hebrejtv nè ihqipm Shqipëria është vlerësuar shpesh si tokë mikpritëse: N ë këtë ese përm endet dhe vlerësohet roli pozitiv e pak i njohur i në drejtim të persekutimit hebraik nazifashist.N ë arkivat shqiptare g]enden dokumenta që dëshmojnë për dyndjen intensive të hebrejve në drejtim të tokave shqiptare pikensht ne fillim të luftes për çlirim.Është e vërtetë që hebrejtë u pritën mire në Shqipëri, ku dhe

paraqiteshin si të ishin të një kombësie tjetër prej funksionarëve apo përfaqësuesve të autoriteteve lokale.N ë vitin 1935 kërkoi të hynte në Shqipëri edhe Dr. Fmer, studiues çifut, profesor në Université tin e Londrës, i shoqëruar nga X hon Walter; biri i drejtorit të Times-it. Qëllimi i këtij udhëtimi ishte të studioheshin mundësitë e një vendosjeje të mundshme të hebrejve në tokat shqiptare: Bunm e të ndryshme dëshmojnë edhe për një udhëtim sekret të Ainshtajnit pikërisht në këtë periudhë.Pak nga pak çështja e mikpritjes së hebrejve nga ana e shqiptarëve tërhoqi vëmendjen dhe interesin e botës diploma tike.U shfaq kështu Ínteres nga ana e organizatave e shoqatave që konsideronin reale rreziqet që silice antisemitizmi dhe giudeofobia.N ë vitin 1934 komisari i lartë për refugjatët e Lidhjes së Kombeve me seli në Gjenevë u kërkoi qeverisë dhe mbretit nëse ekzistonin mundësitë për leje vendqëndrimi të disa hebrejve gjermanë me të ardhura të konsiderueshme financiare. R reth gjysmës së viteve 30 Komiteti Q endror i të Emigruarve Izraelitë të Gjermanisë kërkoi strehim kolektiv për një komunitet ebraik që m e sa dukej, ishte në rrezik të madh. Shteti shqiptar mbështeti ardhjen e hebrejve në Shqipëri dhe si rrjedhim, në fiind të Luftës së D ytë Botërore në Shqipëri numë rohes hin rreth 1800 hebrej, m ë saktë 1000 m ë tepër nga sa ishin në vitin 1930. Hebrejve iu dha edhe e drejta e qytetansë shqiptare e kjo gjë vazhdoi edhe pas pushtimit fashist.N ë arkivat shqiptare rezulton se autoritetet italiane nuk bënë asnjë presión mbi organet qeveritare për të penguar ardhjen e tyre në Shqipëri. Këto autoritete shfaqën shqetësim vetëm kur u înformuan se izraelitët në Shqipëri zhvillonin veprimtari filobolshevike. Megjithatë as në këtë rast nuk u morën masa. Vetëm aty nga viti 1940 qëndrimi i autoriteteve qeveritare u bë më i ashpër.Pikërisht m e 28 korrik filloi zhvendosja e hebrejve nga kryeqyteti në drejtim të Beratit, Kavajës, Durrësit e Burrelit.U fol për kampe përqëndrimi, për intemim, por të ashtuquajturat kampe përqëndrimi nuk ngjasojnë me ato të hapura në Gjermani apo Itali. Këto kampe për hebrejtë shqiptare ishin akoma zona urbane, të vendosura jashtë kryeqytetit. Hebrejtë qenë të detyruar të vendoseshin në këto zona vetëm për të qenë më të sigurtë e sidomos sepse prania e tyre në kryeqytet ishte e padëshiruar.M e ardhjen në pushtet të gjermanëve, në prill të vitit 1944 regjistrohet arrestimi i parë i një grupi hebrejsh.

Monitoring and not Punishing, How Jews tivrc mated in Albania between ¡920 and 1945M ost unexpectedly, Albania has covered a relevant - though unknown - role in the history o f nazi-fascist persecution against Jews. From unpublished archive documents recently found in Albania, it emerges that refugees from Europe started entering the little Adriatic country before World WarII. D uring this period, when entering the Albanian borders, Jews were complaisantly listed as “Turks” or even as “Anans” by civil servants o r local authonty representatives. In 1935, dr. Finer, full professor at London University, together with John Walter, the son o f the Times' editor, visited the country, in order to explore the chance o f a Jewish nation in Albania. According to several sources, also Albert Einstein traveled there in incognito during the same period. But, litde by htde, the attitude o f Albania toward Jews attracted the attention o f both diplomats and observers and it moved from individual, isolated action to the one o f international associations and organizations, well aware o f the actual risks o f anti-semitism in Germany. In 1934, James Mac Donald, High Commissioner for Refugees at League o f Nations in Geneva, officially asked to the Albanian government and its king w hether there was the chance o f living there for a num ber o f well-off German Jews. In the following years the Central Com m ittee o f German Israelite Emigrants asked for political asylum for a whole Jewish community in real danger. As a matter o f fact,

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P e r m b î â d ^ e - Â & s t ^ ^ c l s1 1 0 the Albanian government protected Jews and, by the end

ofW orld War II, there were in the country 1.800 survivors, w ith an increase o f 1.000 Jews i f compared to the year 1930. Moreover, non-resident Jews received Albanian citizenship also after the Italian Fascists reached the power. According to Albanian archive sources, the Italian authorities did not provide the Albanian government o f any restriction about it in the following years. In 1938 the Italian Legation in Tirana became very concerned as a Russian informer, the emigré Matrasof, reported that Jews were conducting pro-Bolshevik propaganda in Albania, but action was not taken. O nly in 1940 the Italian attitude became harsher: on the 27th July

Jews were compelled to move from Tirana to the small towns o f Berat, Kavaia, Durazzo and BurreL Still, such action did no t evoke the creation o f concentration camps, as in Germany: on the contrary, it evoked more the idea o f “ghettoes” where Jews had to live in order to be under control. Unfortunately, such a tolerant attitude ended in the m om ent Albania was occupied by Germans: in April 1944 the first group o f Jews was deported.

Shaban Shunti

Pasqyra e perditslnne- ¡iinigrantct c 1997 m1 knniitat e gazetave Arsyeja e lindjes se migraciomt duhet kerkuar ne sistemin e mediave. Ky emigración ne thelb eshte shkaktuar nga deshira per te realizuar “endrren italiane” e lindur dhe e ushqyer nga televizioni e radiot italiane.Keto mjete mediatike qe ìshin ndjekur fshehurazi u lejuan te ndiqeshin pas renies se regjimit te E. Hoxhes. Q ene pikerisht keto mjete qe kane transmetuar imazhe te nje shoqerie te karakterizuar nga mireqenia.N e kete ese merret ne shqyrtim rasti i emigrimit nga Shqipena ne Itali ne periudhen mars-prill 1997i trajtuar nga Corriere della Sera, H Sole 24 Ore, Repubblica dhe II Manifesto). N e periudhen janar-shkurt Shqipena kishte pesuar nje krize te rende ekonomike, e shkaktuar nga shembja e piramidave financiare, qe u shfaq me mamfestime kunder qeverise se Berishes dhe lindjen e vetadmimstrimit ne disa qytete te rendesìshme te Jugut.Menjehere keto ngjarje shoqerohen m e nshfaqjen e fenom enit te emigracionit ne drejom te Italise e Greqise. M und te dallohen faza te ndryshme ne lidhje me kete fenomen.N e ditet e para te marsit kater te perditshmet e shqyrtuara u kushtojne vemendje te madhe ngjarjeve ne Shqiperi. Behen perpjekje qe te terhiqet vemendja e lexuesve m e ane te titujve. Shqìperia paraqitet ne prag te nje lufte civile e popullsia e saj eshte e ndare ne fraksione qe luftojne midis tyre me kalashnikov.Gjithashtu edhe kriminaliteti po behet i ndjeshem.N e gjysmen e dyte te marsit kjo vemendje e madhe kushtuar Shqiperise “se dhunshme” e “te paligjshme” çon ne nje alarm te vertere kombetar.Behen parashikime mbi num rin e madh te shqiptareve qe mund te zbarkojne ne brigjet e Italise.Gjithashtu nje vemendje e madhe i kushtohet problematikes juridiko-institucionale e morale te pritjes, nisur nga veshtiresite e shtetit Italian per te perballuar strehimin, ky i fiindit i sanksionuar nga disa traktate nderkombetare.M e pas, pas 14 m anit, ku r fillojne te regjistrohen zbarkimet e para, gazetat e pershkruajne fenom enin m e te gjitha hollesite e tij.Perkufizimi e percaktimi m e i shpeshte i perdorur nga gazetat eshte ai i bere m e ane te fjales “refùgjat”, shoqerur me pershkrimin e Shqiperise sipas fakteve te perm endura me siper. Ky term presupozon mikpritje te pakushtezuar nga ana e shtetit prites.Keshtu ne gjysmen e dyte te marsit fillojne te perdoren terma te tjere si te ìm igruar e klandestine, terma qe te im ponojne te mendosh per emigrantet jo me ne baze te kushteve te vendit nga i d ii vijne, por ne raport m e kontekstin, mbi te gjitha juridik te vendit ku zbarkojne.

77«? Cose o f 1997 Immigration in the Newspapers' coverage This essay gives a simplified interpretation o f the Italian and Albanian “case”. It focuses on the argument which identifies the media as the biggest cause o f the start o f migration across the Adnatic Sea. This phenom enon was basically due to the will to realize the “Italian dream” which had been created by Italian television and radio broadcasts. Exposure to Italian radio and TV broadcasts was authorized in Albania only after the fall o f Enver H oxha’s regime, but was secredy practiced before. These media spread images and sounds portraying an affluent society. Newspapers communicated the important role o f radio and TV and helped to spread the thesis o f this essay, rather than showing its validity. T he present essay explores the phenom enon o f migrations from Albania towards Italy in M arch-April 1997, analyzing four o f the most important Italian newspapers: Corriere della Sera, U Sole 24 Ore, Repubblica and II Manifesto. Between January and February 1997, Albania had undergone a severe economical crisis, caused by the crash o f the financial pyramids, followed by great public demonstrations against the government o f Berisha and the creation o f self-governing administrations in some important cities in the South o f the country. These events were immediately followed by a repression acted by the army and the renewal o f emigration towards Italy and Greece. There are several stages in the formation o f the “Albanian case” . A t the beginning o f March the four newspapers in question covered the events in Albania giving them great prominence. The headlines played on the elements that create an impact on the reader. Albania was portrayed as a country ravaged by a civil war and its population divided into factions fighting against each other. Strong emphasis was given to the phenom enon o f individual criminality and gangs. D uring the second half o f March the attention given by the newspapers to a “violent and illegal” Albania became a national alarm. From this point on great relevance was given to forecasts concerning the big number o f Albanians w ho would decide to leave for Italy. T he newspapers also gave great relevance to the legal-institutional and moral dilemma o f hosting immigrants, as the Italian government had problems realizing their duty to give political asylum ratified by some international treaties, and demanded by catholic and laic associations. After the 14th o f March the news reported the first landings, giving great relevance to the vastness o f the phenom enon. A t the beginning, the most common term used by the press to define Albanian immigrants arriving in Italy after M arch 1997, was refugees. This word is easily associated to the description o f Albania as ravaged by a civil war, chaos and armed bands. A t the same time, this definition implies an unlimited and unconditioned reception o f the refugees by the host country. D uring the second half o f M arch the term refugees has been questioned and replaced by other names, such as immigrants and illegal aliens. These terms impose a point o f view related to the legal context o f the hosting country, and no t to the conditions o f the country from which these people come from.

Vania Bovino

Ballkam, nje shprehja gjeograßkc me tc vcrtet ¡majinucse Fjala Ballkan u krijua ne vitin 1809 nga geografi gjerman August Zeune, i cili em ertoi m e kete §ale mbare gadishullin.Me kete em er quhej mali me i larte i zones (tarn Stara Planrna ne Bullgari). N e fakt, nuk behej fjale per malin me te larte.Edhe vete toponimi ne fjale duket se eshte rezultat i nje keqkuptimi: em ri turk “Ballkan” qe ne te vertete ka kuptimin’Vargmal”, u keqkuptua nga udhetaret perendimore. Em ertimi “Ballkan” hyri ne perdorim nga vitet 70 e 80 te shekuUit X IX dhe perfshinte Shqiperine, Bosnjen, Hercegovinen, Bullgarine, Kroacine, Dobruxhen, Greqine, M aqedonine, Malin e Zi, Novibazarin, Serbine e Turbine, por perjashtonte Rum anine e Sllovenine, qe ne ate kohe ishin nen sundimin e Habsburgeve (keshtu edhe Bosnja e

Hercegovina nga viti 1878 me traktatin e Beiiinit). Ballkam konsiderohej si te m to r kufitar ku ndesheshin Perandoria Rom ane e Perendimit me ate te Lindjes, kishat e ndryshme te krishtera e Islami, komunizmi e kapitalizmi.Eshte pikerisht ketu qe fillon udhetimi emocionues i Vesra Goldsworthy-t ne boten e emocioneve, te keqkupömeve, te paragjykimeve e te miteve qe kane ndikuar te ne perendimoret per te formuar konceptin e Ballkanit. Goldsworthy eshte nje studiuese e re, profesoreshe e letersise angleze prane umversitetesh prestigjioze ketej e pertej Adantikut. Sipas pikepamjes se saj jane te gabuara dhe paternaliste te dyja qendrimet ndaj Ballkanit: qofte i djathti qe e sheh Ballkamn si nje rrezik infeksiom qe m und te perhapet ne Evrope, ne kontinentin m e te qyteteruar, qofte i majti qe e sheh Ballkanin si nje areal kozmopolit qe duhet paqtuar duke perdorur me urtesi forca mbikombetare. Keto qendrime njedhin nga pikepamje qe shohin Ballkanin si “diçka tjeter, te ndryshme” , pikepamje qe hodhen rrenje ne dy shekujt e fundit ne Angli, ne SHBA e si rrjedhim, ne mbare boten.Te gjitha keto nuk fillojne m e gjeografin austnak te siperpermendur, por rrjedhin nga Lord Bajron e nga pasuesit e tij qe i dhane je te nje letersie te begate te mveleve te ndryshme, veprimtana e te cileve zhvillohej rregullisht ne Ballkan.Permendim ketu emra domethenes, nga Tenison tek Swinbum i deri te Bernard Shou, H .H . Munro, m e shume i njohur m e pseudonimin Saki, Lorens Durrell, Agata Kristi, Evelin Waug e Rebeka Wei: R reth fondit te shekullit X IX e ashtuquajtura letersi popullore i dha je te nje prodhimtane akoma me te madhe, (ne ditet e sotme krejt e ham iar dhe e lene pas dore)e gjitha e ambientuar ne Ballkan ose ne vende imagjinare qe gjithsesi e thërrasin ate.Permendim ketu “Te burgosurin e Zendes” te Antony Hope (1894), ose Drakulan e irlandezit Bram Stoker (1897) etj,N e keto vepra shfaqen pikepamje e botekuptime te ndryshme qe kane te bejne qofte m e mentalitetin britamk, qofte m e mentalitetin evropian ne pergjithesi.

The Balkans: an imaginary, geographical Term In the year 1809 the G erman geographer August Zeune invented the word “Balkans”, naming the area after a misunderstanding: as a matter o f fact, in Bulgarian “balkan” means literally “mountain chain” only. However, the term became fashionable during the late X IX century and it included “Albania, Bosnia, Erzegovina, Bulgaria, Croatia, Slavonia, Dobrugia, Greece, IUyria, Macedonia, Montenegro, Novibazar, Serbia and Turkey”, T he perception o f such an area laid in the fact that it was perceived as “border area”, where the Western and Eastern R om an Empires had melted, as well as Christianity and Islam, capitalism and communism. The fascinating book by Vesra Goldsworthy explores such com m on places, suggestions, ambiguities, prejudices and myths, all included into a very successful concept, i.e. the “Balkans” . She examines the Balkans perception in all major English writers o f the last two centuries, beginning with Lord Byron, to George B. Shaw, Saki, Lawrence Durrell, Agatha Christie, Evelyn Waugh and Rebecca West. The most interesting thing is that such an interest was general and shared from major authors to popular literature authors, such as Antony H ope (The prisoner o f Zenda, 1894) o r Bram Stoker (Dracula, 1897). But the leading theme o f all production is the distance between “Britishness” and “Balkaness” , perceived as at the bottom scale o f“Europeaness” . By all means, being British meant being superior.The w onder is how m uch such a perception has changed in the last two centim es...

Francesca Medioli

Page 116: Portolano Adriatico, Anno 1, n. 1; L'Albania, i Balcani e l'Occidente

A Lin o liordi^twiD opo aver conseguito il diploma presso l’Istituto d ’Arte di U dine com e grafico pubblicitario e una parentesi come dirigente di azienda, ha deciso di intraprendere la carriera di fotografo e di iscriversi all’Università IUAV di Venezia (corso di arti visive e dello spettacolo}. Ha partecipato a varie mostre di fotografìa, tra le quali si ricordano: Le rotte del Mediterraneo; Kerkyra story {Forlì, Febbraio 2004, Centro Culturale Candiani; Mestre, Febbraio 2004).Vania BovinoFormatasi all’Università di Firenze dove si è recentemente laureata, ha studiato dal punto di vista antropologico- culturale la questione della immigrazione con particolare riguardo alle tematiche femminili, E’ socia fondatrice dell'Associazione “Cantiere di Critica Culturale” .Augusta BrettoniD ocente di Teoria della Letteratura nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze. 1 suoi studi più recenti prendono in considerazione problemi relativi alla critica, alla storiografia, alla teoria della traduzione nel Settecento e alle teorie della critica nel Novecento.Laura CortiInsegna Stona dell’Arte M oderna all’Università IUAV di Venezia, si è occupata per molti anni di informatica applicata ai beni culturali. Tra le sue pubblicazioni, si ricordano: Vasari: Catalogo completo dei dipinti, Firenze, Cantini, 1993, e il recente volum e- La catalogazione dei beni culturali, Milano, Bruno M ondatori, 2003.Miritele De LutaLaureato in Scienze Politiche presso l’Università di Firenze, si interessa di storia delle relazioni internazionali, è coordinatore del “Progetto Albania” dell’Ateneo fiorentino, collabora stabilmente al “Progetto Tempus” (Institution building public administration and management o f Shkodra) e al “Progetto Alba” (Actions and learning to build cooperation projects in Albania) del Formez di Roma. islam DizdariCollabora col D ipartim ento di Pedagogia e Psicologia dell’Università di Scutari. La sua attività scientifica è in gran parte dedicata alle questioni dell’educazione popolare e della diffusione delle conoscenze linguistiche.Franto- FranceschiInsegna Stona Medievale all’Università di Siena. H a scritto numerosissimi saggi dedicati al m ondo del lavoro, alle corporazioni e alla politica economica, alla mentalità in am biente popolare tra X II e XVI secolo.Tra i suoi scritti e interventi (pubblicati in varie lingue), si ricorda il volume Oltre il tumulto. I lavoratori fiorentini dell’arte della lana tra Tre e Quattrocento, Firenze, Olschki, 1993.Njiszi KazttziD ocente e D irettore del D ipartim ento di Linguistica all’Università di Scutan. Si è occupato di stona della didattica e del pensiero pedagogico. Tra i suoi m olti studi si ricorda Abetaret shqipe dhe trajektorja e tyre historiko- pedagogjike, Tirane, 2000.Michele LamannaAssistente di Melina Mulas dal 2000, ha preso parte a numerosi workshop di fotografia (presso “Fabrica” , centro di ricerca creativa del Gruppo Benetton). Ha realizzato numerosi servizi fotografici per Domus e Abitare.Ha partecipato, in qualità di fotografo, alla realizzazione

de II Calibrano quotidiano del Fesnval del Teatro Due di Parma. Attualmente è iscritto all’Università IUAV di Venezia, corso in Arti Visive e dello Spettacolo.Roberto ManentiInsegna Storia Contemporanea all’Università IUAV di Venezia, e Storia dell’Europa Contemporanea presso il Middlebury College {sede di Firenze). Si è occupato di questioni relative alle simboliche del potere e alla trasmissione culturale in età moderna e contemporanea. Fra i suoi studi si ricorda / guardiani della voce. Lo statuto della parola e del silenzio nell’Occidente medievale e moderno, Rom a, Carocci, 2002.Dtiiiidti MarnitiInsegna Stona Economica e Storia dell’Impresa presso la Facoltà di Economia dell’Università di Pisa. Si occupa di storia dell’industria, della tecnologia e della finanza pubblica. Ha pubblicato numerosi lavori. Tra i più recenti ricordiamo Spesa militare, finanza e debito pubblico nel Granducato di Toscana dalla Restaurazione all’Unità, in Sforni Economica 2, 2002; La norma e la città. A ll’origine della legislazione per l ’elcttrifitazione urbana, in La stona e l'economia. Miscellanea di studi in onore di Giorgio Mori (2003).Carlo MarcacciniD ottore di ricerca in stona antica presso l’Università di Bologna. Ha studiato soprattutto problemi di etnografia e colonizzazione nel m ondo greco arcaico.Tra i suoi scritti si ricorda Costruire un’identità, scrivere la storia. Archiloco, Paro e la colonizzazione di Taso, Firenze, presso il D ipartim ento di Scienze dell’Antichità “G iorgio Pasquali” , 2002.Giaitlura MasiStudioso di filologia greca e latina presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Ateneo fiorentino, esperto di patrologia greca (S. Giovanni Crisostomo), si interessa da tem po dei rapporti fra la cultura europea e quella del Vicino O riente e l’Africa. Tra le sue pubblicazioni:La relazione di viaggio dall’Egitto di Pellegrino Brocardo, pittore ligure, in Atti del VII Congresso di Cultura Europea (Università di Navarra, Pamplona, ottobre 2002).Francesca MedioliFormatasi negli USA (Sarah Lawrence College, N ew York) e all’Università di Bologna, è docente presso l’Università di R eading (Inghilterra): Esperta di stona delle donne e storia religiosa, ha scritto in m erito numerosi saggi, tra le sue pubblicazioni si menziona L ’inferno monacale

di Arcangela Tarabotti, Milano, Angeli 1990.Shaban SinaniFilologo, direttore generale degli Archivi di Stato d ’Albania, membro dell’AIESEE (Association International des Etudes Sudesteuropéen) e direttore del Centro Enciclopedico Albanese, è autore di numerosi studi tra i quali The Castle o f the Values, Tirana 2001; Open Archives in the Open Society, Tirana 2002.Bianca bellota CavallottiO rdinano di Storia dell’Europa O rientale presso l’Università degli Studi di Milano. È segretario generale del Centro di Studi sull’Europa O rientale di Milano, direttore di Storia della Storiografia e del periodico Buletin (organo dell’Associazione Latina di Studi Rom eni).Tra le sue più recenti pubblicazioni: Storia dell’Europa Orientale, Milano, Jaca Book, 1993 e Pronipoti di Traiano. Roma, l’Italia e l’immagine di sé dei Romeni, Bucarest, 2000.

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