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Preparare insieme
l’omelia Festiva
a cura di
don Luigi Bono
Pubblicati su:
MINISTERO PASTORALE, Ed LICE Padova,
dal n 11 (novembre 1975) al n 11 (Novembre 1976)
Anno B
Sommario
3
Preparare insieme l’omelia Festiva 1
ANNO B 7
I DOMENICA DI AVVENTO 7
II DOMENICA DI AVVENTO 8
SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE 10
III DOMENICA DI AVVENTO 11
IV DOMENICA DI AVVENTO 13
SOLENNITÀ DEL S. NATALE MESSA DELLA NOTTE 15
SOLENNITÀ DI MARIA SS. MADRE DI DIO 17
II DOMENICA DOPO IL NATALE 18
SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE 20
FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE 22
II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 24
III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 26
IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 27
V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 29
VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 30
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 32
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 34
I DOMENICA DI QUARESIMA 35
II DOMENICA DI QUARESIMA 37
SOLENNITÀ DI S. GIUSEPPE 40
III DOMENICA DI QUARESIMA 41
Sommario
4
IV DOMENICA DI QUARESIMA 43
V DOMENICA DI QUARESIMA 45
DOMENICA DELLE PALME 47
DOMENICA DELLA RISURREZIONE 49
II DOMENICA DI PASQUA 51
III DOMENICA DI PASQUA 53
IV DOMENICA DI PASQUA 54
V DOMENICA DI PASQUA 56
VI DOMENICA DI PASQUA 58
SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE 60
VII DOMENICA DI PASQUA 62
DOMENICA DI PENTECOSTE 63
SOLENNITÀ DELLA SS. TRINITÀ 65
SOLENNITÀ DEL CORPO E SANGUE DI CRISTO 66
XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 68
XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 70
SOLENNITÀ DEI SS.APOSTOLI PIETRO E PAOLO 72
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 74
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 76
XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 77
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 79
XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 81
XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 82
SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA 84
Sommario
5
XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 86
XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 88
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 90
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 91
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 94
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 95
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 97
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 99
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 101
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 102
XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 104
SOLENNITÀ di TUTTI I SANTI 106
XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 108
XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 109
SOLENNITÀ DI N.S.G.C. RE DELL’UNIVERSO 111
Anno B
7
ANNO B
I DOMENICA DI AVVENTO Lettere: Is. 63, 16-17. 19; 64, 1-7; I Cor 1, 3-9; Mc 13, 33-37)
Oggi inizia un nuovo Anno Liturgico, con uno dei tempi «forti»
nella spiritualità cristiana, l’Avvento: invito non solo a ricordare
ma a celebrare sempre più profondamente il mistero del Dio fatto
uomo. L’Avvento seguito dal tempo di Natale, e la Quaresima se-
guita dalla Pasqua, sono i momenti principali della nostra espe-
rienza liturgica; attorno a essi ruotano le domeniche del Tempo
Ordinario.
Con il nuovo Anno Liturgico inizia la lettura del Vangelo di Marco,
il più corto dei quattro, forse il più antico, amato e apprezzato dai
moderni per la sua capacità narrativa, per la semplicità veramente
sublime con cui presenta la figura di Gesù e del suo discepolo.
Marco non era uno dei dodici discepoli di Gesù; appartenne alla
seconda generazione cristiana, convertito forse da Pietro con cui
fu a Roma come collaboratore e interprete. Fu anche compagno
di apostolato di Paolo e di Barnaba. Marco fu il primo a scrivere
quello che noi da secoli chiamiamo il «Vangelo», cioè una raccolta
di detti e fatti della vita di Gesù così come li narrava la prima Co-
munità cristiana. E’ in certo modo l’inventore di questo genere
letterario, cui si ispirarono poi Matteo e Luca.
Dal suo vangelo è tratta la terza lettura odierna. All’inizio
dell’Anno Liturgico, la scelta non poteva non cadere su un brano
che ci invitasse a ripensare la nostra esperienza di cristiani inseriti,
dal battesimo, nel Regno come servi di Dio che, nella sua immen-
sa fiducia in noi, ci ha lasciato i suoi averi da amministrare fedel-
mente. Al suo arrivo premierà chi si è impegnato con serietà:
quindi, né paura, né dormire, ma essere servi vigilanti!
Anno B
8
La prima lettura è tratta dal profeta Isaia, che sarà letto per tutto
l’Avvento, in quanto più chiaramente ha parlato del Messia.
L’opera sua è imponente; alcune parti di essa vengono attribuite a
discepoli o a imitatori.
Nel brano letto oggi, considerata la triste situazione del popolo
ebreo, viene additata la via per uscirne: invocare Dio, affinché di-
scenda tra i suoi; gli uomini si riconoscano peccatori (siamo tutti
impuri!); poi pregare e invocare Dio. Noi tutti siamo, secondo il
profeta, come una creta: solo dalle mani di Dio dobbiamo essere
plasmati.
La seconda lettura è dalla Lettera di S. Paolo ai fedeli di Corinto,
Chiesa giovane che lotta fra difficoltà notevoli, e sente il dovere di
ringraziare Dio per i doni di grazia e scienza ricevuti. La testimo-
nianza del Signore si è saldamente stabilita in mezzo a loro, e a-
spettano nella fedeltà la manifestazione del Signore. Non rimane
che augurare che egli li conservi, sino alla fine, irreprensibili. Non
è difficile pensare alle nostre assemblee che pure hanno ricevuto
doni e grazie: quale uso ne fanno? Come vivono nella testimo-
nianza e nella riconoscenza?
II DOMENICA DI AVVENTO (Letture: Is 40, 1-5. 8-11; II Piet 3,8-14; Mc 1, 1-8)
L’inizio del vangelo di Marco proclamato oggi nella prima lettura è
sorprendente: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio». Ci
vorrà tempo, prima che gli Apostoli, le turbe e poi la nascente
comunità cristiana riconoscano in Gesù il Figlio di Dio, il Messia
(Cristo). Marco scrive per una comunità già evangelizzata e cre-
dente, e pertanto anticipa con chiarezza quelle ricchezze esplici-
tamente. Poi dà inizio ai detti e fatti della vita di Gesù, incomin-
ciando dal messaggio del Battista. Di un messaggero, uomo stra-
ordinario che sarebbe stato mandato da Dio, avevano parlato i
Anno B
9
profeti; però ormai da secoli il popolo di Dio ne aveva atteso in-
vano l’arrivo. Quando apparve Giovanni, predicatore austero, il
popolo non tardò ad accorrere, e fu grande la sua sorpresa e gioia
sentendo che annunciava come imminente la venuta di Uno più
grande e più forte di lui, del quale egli non era degno di «scioglie-
re i calzari».
Il popolo ebreo alimentava queste speranze con la lettura del Li-
bro sacro, specialmente di alcuni brani, come quello letto oggi
(prima lettura). E’ tratto dalla seconda parte del libro di Isaia, e si
presenta come un invito a sperare, ad attendere il Signore che
verrà con potenza. E’ vero che tali speranze si erano in certo mo-
do avverate in altri avvenimenti storici in cui si era sentita la mano
di Dio, ad esempio la liberazione dall’esilio e dall’oppressione del-
lo straniero, ma la grande liberazione (messianica) era attesa. Og-
gi sappiamo anche da altre fonti, oltre ai vangeli, che quell’attesa
si era fatta più viva e più intensa al tempo di Gesù, tanto che un
gruppo notevole di uomini viveva sulle rive del Mar Morte in au-
sterità quasi monastica, in preghiera e penitenza preparandosi al-
la venuta del Messia.
I credenti che nelle comunità cristiane si preparano al Natale evi-
dentemente non attendono più una reincarnazione del Messia:
sappiamo che egli è venuto una volta per sempre su questa terra,
e viviamo nell’attesa della venuta finale nella gloria. L’Avvento pe-
rò deve segnare un approfondimento della sua presenza in mezzo
alla Comunità, nella Parola, nella Liturgia e soprattutto
nell’Eucaristia. E’ un tempo di grazia, che invita ad aprire il cuore a
lui, approfondendo l’ascolto.
E non scoraggiarsi se il male trionfa, e la giustizia di Dio sembra
non farsi sentire! San Pietro (seconda lettura) avverte: il Signore
tarda perché è misericordioso e vuole lasciare a tutti il tempo di
Anno B
10
convertirsi, perché egli ha a sua disposizione i secoli: non come le
povere creature che hanno fretta e hanno la giornata corta! Il si-
lenzio di Dio e il suo ritardo sono segno della sua pazienza: «Per-
ciò,carissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate d’essere senza
macchia e irreprensibili» davanti a lui, «in pace».
SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE (Letture: Gen 3,9-15.20; Ef 1, 3-6. 11-12; Lc 1,26-38)
Il privilegio dell’assunzione di Maria al Cielo, celebrato il 15 Ago-
sto, poteva forse stupire, per l’eccezionale favore al suo corpo.
Ancor più grande è il privilegio ricordato oggi: l’assenza di qualsia-
si corruzione morale in Maria, anche del peccato originale, che
non è colpa vera e propria cioè atto della volontà, ma stato di pri-
vazione ereditato dai progenitori e purtroppo ratificato quotidia-
namente con i peccati personali.
Ogni uomo viene al mondo in questa posizione dialogale negativa
verso Dio, privo della grazia che avrebbe avuto, se i capi della no-
stra stirpe non avessero detto no a Dio fin dall’inizio. Come ciò sia
avvenuto, è misterioso; e misteriose sono le origini dell’umanità.
La Bibbia ne parla in linguaggio popolare e figurato con il racconto
della disobbedienza a Dio nel paradiso terrestre, e della conse-
guente punizione dei progenitori. Questo il contenuto della prima
lettura, ricca di forme ed espressioni popolari e di tradizioni orien-
tali; non deve essere intesa alla lettera, ma accettata nel suo mes-
saggio: annuncio del peccato dell’uomo e della prima promessa di
Salvezza da parte di Dio. La donna, vinta accanto ad Adamo, sarà
ancora vincitrice, e con il suo «seme» (il Cristo) schiaccerà il capo
al serpente.
Per questo la Chiesa, sull’esempio dell’angelo Gabriele, saluta
Maria «piena di grazia» (terza lettura): solo una donna così santa
poteva essere chiamata al ruolo di madre di Dio. Se si pensa
Anno B
11
all’intimità tra madre e Figlio, Dio, nella casa di Nazaret, e infini-
tamente santo, non stupisce che egli abbia voluto una santità ec-
cellente nella sua madre, immacolata.
Il privilegio di Maria è benedizione anche per tutta la Chiesa. Ma-
ria non solo è nostra madre spirituale, ma è immagine e inizio del-
la Chiesa, che lei precede, segno di sicura speranza e consolazio-
ne, fino al giorno del Signore.
La seconda lettura (dalla Lettera agli Efesini) proclama che anche
noi siamo stati «benedetti di ogni benedizione spirituale» nei cieli,
e predestinati a essere figli adottivi di Dio, santi e immacolati, e-
redi della vita eterna: per il battesimo spogliati dei nostri peccati e
posti nell’amicizia di Dio.
La fiducia cristiana ha dunque il suo fondamento in Cristo: Paolo
ripete che in lui fummo scelti e predestinati a essere figli di Dio; in
lui fatti eredi secondo il piano di Dio. La Vergine, nostra speranza,
è modello ed esempio di corrispondenza al dono di Dio. Preserva-
ta dal peccato originale, ha trascorso tutta la vita «senza al-
cun’ombra o peso di peccato» come dice il Concilio. A lei dunque
la preghiera, per invocarne l’aiuto e l’intercessione.
III DOMENICA DI AVVENTO (Letture: Is 61, 1-2. 10-11; / Tess 5, 16-24; Giov 1, 6-8. 19-28).
Nella prima lettura il profeta Isaia si presenta come uomo su cui si
è posato lo Spirito del Signore e come inviato di Dio (consacrato,
come avveniva per i re e i sacerdoti). Ha la missione di portare un
lieto annunzio ai poveri, confortare i cuori spezzati (gli sfiduciati),
liberare gli schiavi e i prigionieri, promulgare un periodo (anno) di
misericordia. Al Popolo di Dio sfiduciato sotto il peso della soffe-
renza, agli abitanti di Gerusalemme dispersi nell’esilio, questo
profeta-messaggero annuncia di aver un incarico di liberazione.
Anno B
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Egli però è uno dei tanti portatori della Buona Novella, non il
maggiore. Gesù si inserirà in questa linea, applicando a sé le paro-
le di Isaia: egli è il vero consacrato dallo Spirito, annunciatore del-
la consolazione e della vera libertà. Quale libertà? Di fronte a un
mondo sempre più vittima della violenza e di oppressioni subdole
e gravi, molti cristiani in più parti del mondo guardano a Cristo
come liberatore. La sua dottrina, accettata, praticata, veramente
libera da molte realtà che imprigionano l’uomo (passioni sregola-
te, droga, violenza, oppressione, soffocamento delle libertà fon-
damentali). La fede cristiana è liberazione!
Molti uomini soffrono oggi per mancanza di libertà: non possono
esprimere il loro pensiero, non possono pregare, né organizzarsi
la famiglia e il lavoro. Bisogna pregare per questi fratelli, perché
sentano, nella fede, almeno la gioia della libertà interiore, che
non può essere mai tolta.
C’è una legge che sveglia a suo tempo la vegetazione e fa germo-
gliare i semi. Così pure il Signore farà germogliare la giustizia: in
quale modo non si sa, ma non si deve perder la fiducia. Questo
l’insegnamento della seconda lettura, invito alla gioia serena e al-
la preghiera. San Paolo esorta i cristiani di Tessalonica, immersi in
una realtà terrena piuttosto difficile, ad essere docili allo Spirito,
ad astenersi dal male e scegliere ciò che è buono.
In unione con Cristo, ogni battezzato è invitato a vivere nella gioia
e nella pace. Per questo, nel salmo responsoriale, il Magnificat,
inno di lode, fiducia e gioia di Maria. Nella terza lettura, dal Van-
gelo di Giovanni, è presentata ancora una volta la figura del Batti-
sta, che insiste nel dichiarare di non essere il Messia, ma colui che
deve preparargli la strada, un testimone della luce vera che si tro-
va solo in Cristo. Tale è pure anche il cammino del cristiano: di li-
turgia in liturgia, di assemblea in assemblea, crescere come testi-
Anno B
13
mone, sempre meno anonimo, sempre più capace dell’annuncio,
con la parola e con la condotta di vita.
IV DOMENICA DI AVVENTO (Letture: II Sam 7, 1-5. 8-12. 14. 16; Rom 16, 25-27; Lc 1, 26-38).
A pochi giorni dal Natale, siamo invitati dalla liturgia ad approfon-
dire il mistero nascosto per secoli eterni, ma preannunciato me-
diante le Scritture dell’A.T., ora rivelato a tutte le genti. Esso fu
taciuto forse finché l’umanità fosse più preparata a riceverlo, ma
operò nei secoli anche su quelli che lo ignoravano perché la sal-
vezza di Cristo si estende a tutti. S. Paolo, che sente il suo aposto-
lato come l’annuncio del mistero cristiano, termina la lettera ai
Romani (,seconda lettura) con un inno di ringraziamento a Dio che
ha il potere di confermare i suoi lettori (i Romani) nella dottrina di
Cristo e nella pratica del vangelo.
La prima lettura (e anche il salmo responsoriale) ci riportano in-
dietro nei secoli, a un momento della manifestazione, o meglio
dell’annuncio del mistero, a una rivelazione ancora oscura, inde-
terminata, ma sufficiente a destare nel cuore di Davide e del pio
israelita l’attesa di un intervento benigno di Dio e una alleanza
nuova che durasse in eterno.
Quando Davide vuole erigere un tempio, il profeta Natan gli an-
nuncia a nome di Dio che non sarà lui a costruire una casa al Si-
gnore ma Salomone. Dio dal canto suo completerà la sua opera e
le promesse fatte a Davide rendendo grande per l’avvenire la sua
casa, dando a lui una città, un regno e un casato stabile per sem-
pre.
Questo annuncio profetico si chiarì lungo tutto l’arco dell’A.T: di
quale tipo di regno si trattava, quale sarebbe stato il suo re,
quando sarebbe comparso ecc.
Anno B
14
La preghiera responsoriale proviene da un salmo in cui l’orante,
pur contemplando l’umiliazione della sua terra e della sua gente,
si fa coraggio, e riesce a cantare un inno al Signore fedele alla sua
Parola che non mancherà di ristabilire la sua alleanza per mezzo
della stirpe davidica. Oggi siamo noi, nelle assemblee cristiane, ad
esprimere al Signore la nostra speranza.
Nella terza lettura c’è il celebre racconto dell’annunciazione
dell’angelo a Maria. Passato ormai un millennio dall’epoca di Da-
vide, le promesse a lui fatte erano state chiarificate dai profeti;
con Maria le espressioni sono decisamente chiare: la Vergine è
invitata a essere madre di Colui che siederà sul trono di Davide,
regnerà in eterno e sarà Figlio dell’Altissimo, Gesù (il salvatore).
Maria si turba alle parole dell’angelo: la prima espressione sem-
brava immeritata per la sua umiltà; la seconda, che risuona nelle
pagine dell’A.T. come saluto straordinario dato a persone a cui è
affidata una qualche missione importante, le era motivo di tur-
bamento. Maria vede un ostacolo a quella maternità divina nella
sua determinazione di rimanere in stato di verginità. Però l’angelo
le dice che questo uomo straordinario, Figlio di Dio, sarà concepi-
to per opera dello Spirito Santo. Come un giorno a Gerusalemme,
in occasione dell’inaugurazione del Tempio, lo Spirito ne aveva
preso possesso sotto forma di nube, anche ora la sua ombra vivi-
ficante scenderà in lei. Alle parole rassicuratrici dell’Angelo la ri-
sposta di Maria è di umile obbedienza: «Ecco l’ancella del Signo-
re». In quel momento Dio si fece uomo e il cielo si unì alla terra.
Non per nulla il mondo cristiano richiama il mistero di quel mo-
mento tre volte al giorno con il suono (e la preghiera)
dell’Angelus.
Anno B
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SOLENNITÀ DEL S. NATALE
MESSA DELLA NOTTE (Letture: Is 9, 1-3. 5-6; Tito 2, 11-14; Lc 2, 1-14)
Nella prima lettura il profeta Isaia (740 a.C. circa) ci aiuta a riflet-
tere su qualche aspetto della missione di Cristo, di cui questa not-
te celebriamo la nascita a Betlemme. «Celebriamo», perché le ri-
correnze liturgiche non sono anniversari o commemorazioni, ma
momenti di grazia in cui il mistero si riattualizza, nella sua potenza
profetica e sacramentale, in mezzo a noi: si rivive il mistero e se
ne percepiscono i frutti.
Ai suoi contemporanei (e agli uomini di ogni tempo) che si trova-
no in situazioni difficili («terra tenebrosa») in un mondo ove la fe-
de è continuamente a confronto con l’incredulità che le contrasta
il passo, Isaia annuncia che verrà «una gran luce». E’ il messia, de-
scritto anche come portatore di gioia, liberatore che spezza il gio-
go che grava sulle spalle dell’uomo e il bastone dell’aguzzino.
Luce, gioia, liberazione, tre doni di cui sente bisogno l’umanità o-
dierna, che troppo sovente li cerca ove non esistono. In molti uo-
mini è oscurata ogni luce, spenta la gioia, perduta ogni libertà nel-
la schiavitù delle passioni che impedisce la vera letizia, vela il giu-
dizio, rende impossibile un’autentica libertà. In questa notte stes-
sa, quanti cristiani spendono follemente il loro tempo, ignorando
o deridendo il mistero che si ripete nella Chiesa! Per noi dunque
sarà notte di preghiera affinché la luce di Cristo splenda nelle te-
nebre di tanti uomini, appaia alle loro menti come portatrice di
una vera e autentica gioia che è amicizia di Dio, serenità e pace
della coscienza. Isaia attribuisce quella futura liberazione
dell’uomo (nella luce e nella gioia) a una causa del tutto spropor-
zionata umanamente parlando: la nascita di un bambino che ha
sulle spalle non solo il dominio (come ogni bimbo reale) ma qual-
Anno B
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cosa di divino, l’Emmanuele (Dio con noi), con una sapienza cele-
ste che lo rende Consigliere Ammirabile, Dio potente il cui stile di
presenza tra gli uomini è quello di un Padre per sempre, un prin-
cipe della pace. Infine Isaia annuncia che quel bimbo sarà legato
alla stirpe di Davide di cui in certo modo consoliderà il trono nel
diritto e nella giustizia. L’annuncio messianico così si affermava e
si precisava.
E’ bello a distanza di secoli rileggere queste pagine profetiche, che
si illuminano alla luce della nascita di Gesù: dobbiamo chiederci
come ci apriamo noi alla sua luce e alla pace, alla liberazione che
egli porta.
Nella seconda lettura, ancora una presentazione del Natale, que-
sta volta di Paolo. Il bambino di Betlemme è la benevolenza di Dio
personificata; in lui appare la carità di Dio che, prima ancora di
parlare per darci i suoi insegna-menti, «ha dato se stesso per noi,
per riscattarci da ogni ingiustizia e farci un popolo puro».
La nostra vita si svolge in questo arco: tra la prima manifestazione
di Gesù (Natale), e la sua venuta nella gloria alla fine dei tempi,
venuta che per il cristiano non è motivo di timore, anzi è «l’attesa
della beata speranza». Paolo invita a vivere rinnegando
«l’empietà e i desideri umani». Empio è chi vive senza Dio, come
se Dio non esistesse, atteggiamento purtroppo diffuso nel mondo
di oggi anche tra i cristiani, il peggiore dei peccati, radice di tutti
gli altri; è un volgersi alle cose del mondo, ai desideri umani come
se fossero il nostro Dio. Bisogna pertanto essere pii giusti e sobri.
La terza lettura è il racconto sempre affascinante della nascita di
Gesù a Betlemme. La legge dell’impero romano (quasi a servizio
delle predizioni profetiche) impone a Giuseppe e Maria di recarsi
nella città di Davide. Essi accettano avvenimenti, dolori, disagi,
nascita del bimbo nella povertà. Ma il canto degli angeli che an-
Anno B
17
nunciano la benevolenza di Dio verso l’umanità e la presenza pri-
vilegiata dei poveri (pastori), bastano a dire che si è di fronte a un
grande avvenimento spirituale carico di valori che hanno qualcosa
di divino.
SOLENNITÀ DI MARIA SS. MADRE DI DIO (Letture: Num 6, 22-27; Gal 4, 4-7; Lc. 2, 16-21)
Nella liturgia del periodo di Natale, celebrando il mistero
dell’incarnazione e la nascita di Gesù, non si può tacere di Maria.
Ma la Chiesa dedica a Lei un giorno, per onorarla quale Madre di
Dio e per invitarci ad approfondire questa misteriosa realtà.
La liturgia parla della «madre di Dio» e non «di Gesù» per sottoli-
neare come, essendo Gesù il Figlio di Dio da tutta l’eternità ed a-
vendo preso forma umana in Maria, essa è veramente Madre di
Dio. Una vicinanza a Dio, un rapporto così stretto con lui che
sembra quasi indicibile, superiore al linguaggio umano, avendo
fatto di una creatura la madre del Creatore.
Ma oggi, all’inizio del nuovo anno, è facile leggere in questo atto
liturgico anche un altro pensiero: un invito a porre il nuovo anno
che si apre carico di speranze, ma anche di ansie e di pericoli, sot-
to la protezione di Maria, madre di Dio e nostra, congiunta con
noi nella stirpe di Adamo e con tutti gli uomini bisognosi di salvez-
za; è veramente madre delle membra di Cristo Capo, perché, co-
me dice S. Agostino, con la carità cooperò alla nascita dei fedeli di
Cristo, membra di quel capo. Il mistero di Cristo salvatore è an-
nunciato e continuato nella Chiesa, di cui Maria è modello, figura
e madre.
Nella prima lettura si invoca la benedizione di Dio sul nuovo anno
con una formula tratta dall’A.T., oggi particolarmente memori che
Maria è madre della Chiesa e, chiedendo a lei, su tutti, la sua pro-
tezione.
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Nella terza lettura Maria presenta Gesù ai pastori. Essa che pri-
meggia tra gli umili e i poveri, presenta Gesù a quanti lo cercano
con fiducia e semplicità di cuore.
«Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel
suo cuore»: invito a riflettere sullo spirito di raccoglimento e di
preghiera della Vergine, sul suo progredire nella fede, special-
mente partendo da certi avvenimenti della vita di Gesù (infanzia,
vita pubblica, morte e risurrezione). Questo cammino deve per-
correre ogni cristiano, sull’esempio e con l’aiuto di Maria che
«con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo
ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli ed affanni fino a
che non siano condotti nella patria beata» (L.G. 60).
La seconda lettura offre una riflessione di Paolo sul mistero del
Figlio di Dio divenuto anche figlio di Maria: Dio mandò il suo Fi-
glio, eterno come il Padre, e volle che nascesse da donna per es-
sere simile in tutto ai suoi fratelli; che nascesse sotto la legge, per
liberare gli uomini dalla legge antica, in-troducendoli in una nuova
alleanza di grazia e di libertà che li rende figli di Dio.
Anche se già figli di Dio per la creazione, per la grazia diventiamo
(per Cristo e in Cristo) figli a un titolo nuovo detto impropriamen-
te «adozione». Essa infatti umanamente è finzione giuridica, non
cambia la personalità dell’adottato; in Cristo invece si riceve lo
Spirito, e ci si rivolge a Dio come a «Padre». Non siamo più schiavi
né servi, dice l’apostolo, ma figli ed eredi.
II DOMENICA DOPO IL NATALE (Letture: Sir 24, 1-4. 12-16; Ef 1, 3-6. 15-18; Giov 1, 1-18).
A poca distanza dalla festa dell’epifania la Chiesa ci fa pregare il
Dio onnipotente ed eterno affinché «riempia il mondo con la sua
Gloria, e si riveli a tutti i popoli nello splendore della sua verità»
(prima orazione).
Anno B
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La Bibbia parla sovente della gloria del Signore, cioè della manife-
stazione della sua volontà salvifica, o meglio del suo potere di sal-
vare. Quando egli allontana dal tempio di Gerusalemme la sua
gloria (a esempio nella visione ad Ezechiele) egli abbandona il suo
popolo e lo vuol lasciare, in segno di punizione, in balia dei suoi
nemici (Ez. 9,3; 11,22). Quando la gloria di Dio riprende possesso
del tempio, è stata rinnovata l’alleanza. Gesù è la «gloria del Pa-
dre», cioè egli manifesta nella sua persona la volontà salvifica del
Padre; quando lo invochiamo di manifestare la sua gloria al mon-
do intero, gli si chiede che faccia sentire a tutti gli uomini la sua
salvezza. In questo senso, in ogni messa, dopo la consacrazione si
proclama la gloria del Signore, presente nell’eucaristia come sal-
vatore.
L’orazione della messa chiede poi, oggi, a Dio di manifestare al
mondo la sua verità. Vero è il pensiero o la parola conforme alla
realtà. La concezione biblica va oltre, in modo più esistenziale ed
esperienzale. Vero è ciò che è stabile, duraturo, su cui ci si può
appoggiare: la Parola di Dio, la sua Alleanza, le sue promesse.
«Uomo di verità» è per gli scrittori della Bibbia colui sul quale si
può contare. Quindi oggi invocando Iddio perché manifesti, con la
gloria, anche la sua verità, gli si chiede di manifestare a tutti la po-
tenza della sua salvezza e che tutti possano esperimentare la sua
fedeltà alle promesse.
La terza lettura riferisce il cosiddetto prologo al vangelo di Gio-
vanni: una specie di antichissimo inno a Cristo probabilmente già
in uso nella liturgia della Chiesa adattato da Giovanni come prefa-
zione al suo evangelo. E’ una «prefazione» teologica, ricchissima
di contenuto, di cui la Chiesa ebbe sempre grande venerazione;
molti cristiani lo studiarono a memoria, per pregare e meditare
con esso. Volendo illustrare ed esprimere in termini umani il
Anno B
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grande mistero del Figlio di Dio fatto uomo Giovanni va alla ricer-
ca di un vocabolario, e ricorre all’A.T. La Parola di Dio che vi si
manifesta da un capo all’altro, la Sapienza che esiste in lui da
sempre, è presente alla creazione, e si manifesta agli uomini fino
a porre la sua dimora in mezzo a loro (Sir 24, 8), sembrò a S. Gio-
vanni il paragone, anzi la realtà più adatta per esprimere il miste-
ro del Cristo Parola (Verbo) di Dio, Sapienza del Padre, che pone la
sua tenda in mezzo a noi.
Il Prologo prosegue, sottolineando accuratamente la differenza
tra Cristo e il Battista (la luce, e il testimone), e chiude con la su-
periorità del regime di grazia (N.T.) su quello dell’antica Legge, e
un invito a non starne fuori, né rifiutarlo.
La prima lettura (dal Siracide o Ecclesiastico) presenta come una
personificazione la Sapienza di Dio, che esce dalla sua bocca, è
presente alla creazione, dimora accanto al trono di Dio e, per vo-
lere di lui, pone la tenda in mezzo al popolo di Dio: proprio come
fece Gesù, Sapienza incarnata del Padre, fattosi uomo in mezzo a
noi.
SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE (Letture: Is 60, 1-6; Ef 3, 2-3. 5-6; Mt 2, 1-12)
L’Epifania («manifestazione») ricorda l’arrivo dei Magi alla culla di
Gesù e il suo primo incontro con persone non appartenenti al po-
polo ebreo: I Magi sono quasi il simbolo delle genti pagane chia-
mate a conoscere e adorare il Cristo, per cui la ricorrenza odierna
richiama con forza il mistero della vocazione di tutti i popoli alla
fede.
E’ questo il mistero di cui Paolo si sente portatore (seconda lettu-
ra): annunziare ai pagani che «sono chiamati in Gesù Cristo a par-
tecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere
partecipi delle promesse per mezzo del vangelo». Tutti questi be-
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ni, prima solo noti al popolo ebreo, sono estesi a tutti nel Signore
Gesù. Quel Dio che si è manifestato già nella creazione, nel volto
dei fratelli, nella Parola, si è comunicato in modo massimo nel suo
Figlio.
La nostra comunità cristiana deve riflettere come risponde alla
chiamata di Dio.
I Magi accolgono il misterioso invito della stella (terza lettura),
superano l’oscurità del messaggio e gli imbrogli umani (Erode) e
non si lasciano ingannare dalle povere apparenze in cui è velato il
mistero; insomma sanno aprirsi e porsi in condizione di riconosce-
re e accettare il dono di Dio.
E’ facile l’applicazione: come anche oggi sono superate dai battez-
zati pigrizia, distrazioni, false dottrine offerte dal mondo, oscurità
della fede, cioè come si dà prova di buona volontà?
II brano profetico della prima lettura è ricco di poesia e di entusia-
smo. Ai cittadini di Gerusalemme, che si perdono di coraggio per
l’apparente inutilità dei loro sforzi nel ricostruire la città, per la
povertà del nuovo tempio e della nuova Gerusalemme, il profeta
offre in visione la contemplazione del futuro destino della loro cit-
tà, che diverrà spiritualmente madre e maestra dei popoli per la
venuta del Messia. Isaia annuncia alla città personificata l’arrivo
del Signore della gloria e della luce, che la farà splendere in mezzo
alle nazioni.
Questa Gerusalemme vedrà nuovamente radunati i suoi figli e
popoli numerosi accorreranno a lei con doni, riconoscendo la sua
superiorità spirituale. Questa Gerusalemme trasfigurata che vede
il profeta è immagine della Chiesa, anch’essa con tanti figli che la
invaderanno nel giorno di Dio, che nella sua realtà terrena non ha
conosciuto: sono quegli uomini di buona volontà che in ogni reli-
gione e sotto ogni cielo seguono la luce della loro ragione, in retti-
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tudine di cuore. Essi servono Dio come sanno e possono, ne ac-
cettano la volontà e quindi sono implicitamente cristiani.
Però la loro via è più oscura e segnata da difficoltà. I cristiani han-
no da Cristo il grande incarico di «ammaestrare» tutte le genti
(Mt 28, 19): l’Epifania è dunque giorno di ringraziamento, ricono-
scenza e impegno a vivere questa alta vocazione, testimoniando
con le parole e con i fatti.
FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE (Letture: Is 42, 1-4. 6-7; Atti 10, 34-38; Mc 1, 7-11)
«Concedi a noi tuoi figli, rinati dall’acqua e dallo Spirito, di vivere
sempre nel tuo amore» (prima orazione); oppure: «di essere inte-
riormente rinnovati a sua immagine» (seconda formula). Oggi si
chiede questa grazia di rinnovamento e di vita nuova, celebrando
il battesimo di Gesù al Giordano, cioè la sua investitura ufficiale
come messia, dopo l’atto penitenziale cui volle umilmente sotto-
mettersi, prima di iniziare la sua vita pubblica. «Uscendo
dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come
una colomba (...) Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono com-
piaciuto» (terza lettura): dichiarazione molto solenne, che non fu
compresa, almeno in quel primo momento, dalla grande massa.
Forse il testo attuale è stato influenzato e arricchito dalla teologia
postpasquale. Comunque il battesimo per Gesù non segnò una
purificazione, ma potè essere una presa di coscienza sempre più
profonda, nella sua umanità, del suo ruolo di Messia da compiersi
attraverso la sofferenza. (Riflettendo su quell’episodio, i cristiani
compresero meglio chi era il Cristo e come in lui regnava lo Spiri-
to)
Dal battesimo di Gesù è facile e , quasi spontaneo pensare al pro-
prio battesimo, istituito non solo per cancellare in noi il peccato,
ma per trasformare in nuove creature, come in una risurrezione.
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Oggi nella Chiesa e in atto un approfondimento del significato del
battesimo, sforzo pastorale per responsabilizzare i battezzati a
comprendere la loro identità, la loro unione in Cristo e la dignità e
i doveri cui devono andare incontro.
Pur continuando a battezzare i bambini, per i noti motivi teologici,
per non ritardare troppo il conferimento di questo dono che li co-
stituisce figli di Dio, la Chiesa vuole responsabilizzare i genitori cri-
stiani sul significato del battesimo che intendono dare ai figli e
sull’impegno ad una educazione cristiana. Il battesimo non deve
ridursi puramente a una cerimonia o a un momento di letizia (co-
sa per altro legittima), ma è un momento sacramentale, della cui
importanza tutti si devono rendere conto, per sentirsi in qualche
modo coinvolti. E’ un impegno della Chiesa e anche di tutti, a mi-
gliorare coscienza e coerenza di battezzati, contribuendo affinché
il battesimo sia nuovamente sentito, come nella chiesa dei primi
secoli, quale impegno autentico di vita nuova.
Nella prima lettura il profeta Isaia descrive il futuro Messia sotto
la immagine del Servo di Jahvè. Gesù applicò a sé questa pagina e
ne avverò il contenuto in modo mirabile: lo Spirito di Dio fu in lui;
nella sua opera missionaria si presentò umile e aperto ad acco-
gliere anche i più deboli peccatori (lo stoppino con la fiamma
smorta); insegnò con fermezza e fedeltà fino alla morte il diritto e
la giustizia (la legge di Dio); la sua predicazione è liberatrice per
quanti la accolgono (dalle tenebre, dalle carceri del male); infine
fu luce per le nazioni tutte e alleanza nuova tra Dio e gli uomini.
Tutto il popolo di Israele nell’A.T. è invitato a essere «servo di Ja-
hvè»: così pure ogni cristiano è chiamato a porsi umilmente e fi-
duciosamente sulle orme di Gesù, e a crescere ogni giorno come
autentico servo del Signore!
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II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: I Sam 3,3-10.19; I Cor 6, 13-15. 17-20; Giov 1,35-42)
Domenica scorsa, con la commemorazione del battesimo di Gesù,
si è chiuso il periodo liturgico natalizio ed è iniziato il «tempo tra
l’anno», o delle «domeniche ordinarie», che durerà fino alla pri-
ma domenica di quaresima (7 Marzo 1976). In queste domeniche
ordinarie siamo invitati a riflettere su vari aspetti del mistero cri-
stiano.
Oggi è guida alla riflessione un brano dal quarto vangelo (terza
lettura). Due discepoli (uno era Andrea) passano dalla sequèla del
Battista a quella di Gesù: gesto e-spressivo, che illustra quale fu la
missione del precursore, anche la superiorità di Gesù su Giovanni.
Secondo la narrazione del quarto evangelista (abbreviata, stilizza-
ta, ridotta ai concetti essenziali) Gesù si rivolge ai due chiedendo:
«Chi cercate?». Sono queste le prime parole di Cristo registrate,
non a caso, nel quarto vangelo.
Possono essere rivolte anche oggi a chiunque si mette al seguito
di Gesù. Infatti è possibile, una ricerca di Gesù deviante, equivoca,
non autentica, come quella delle folle che lo cercavano per farlo
re, o di Erode che lo cercava per vedere dei miracoli: è possibile
mettersi alla ricerca di Gesù per interessi e per trovare nel suo
messaggio, a tutti i costi, ciò che vogliamo noi (c’è perfino una let-
tura materialista del vangelo!); per estetismo o per una conoscen-
za puramente storico-letteraria. Ottiche sbagliate e profonda-
mente incomplete: bisogna cercare Gesù con sincerità di animo e
come salvatore!
I due chiedono al maestro dove ha la sua dimora (dove rimane) e
dov’è possibile trovarlo. «Si sa che in Giovanni il verbo "rimanere”
(ménein) ha un significato teologico molto profondo. Indica non
l’ambiente materiale, ma quello esistenziale e personale ove si
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abita: ”Qual è la tua vita, il tuo modo di esistere, il mistero della
tua persona?”. Gesù li invita a fare un’esperienza (a "vedere”):
non tanto a vedere dove egli abitava, ma a esperimentare un am-
biente spirituale, creato dal contatto con la sua persona (...) Il ri-
manere presso di lui è personale e significativo, per ricevere la ri-
velazione della sua persona» (Segalla, S. Giovanni, Fossano, 1972,
p. 165).
Quel primo incontro fu così positivo che Andrea si trasformò in
testimone di Gesù, e gli condusse il fratello Simone, facendo, per
primo, una testimonianza e una catechesi familiare. Oggi pur-
troppo in molte famiglie cristiane si parla di tutto (sport, politica
ecc.), mentre la religione ha pochissimo spazio. Specialmente i più
giovani, han diritto ad ascoltare argomenti religiosi con serietà e
interesse. La chiamata alla fede in Cristo è sempre una grazia, che
avviene in modi diversi, con la mediazione umana offerta dai cre-
denti.
La prima lettura illustra, dall’A.T., un esempio di vocazione e di
sequela. Il giovinetto Samuele non riconosce subito la voce di Dio,
pensando al vecchio Eli. Questi però intuisce una vocazione pro-
digiosa, e invita Samuele a rispondere con fiducia. Da quel mo-
mento egli entra nel numero dei chiamati da Dio che hanno sapu-
to prestargli ascolto.
La seconda lettura viene dalla prima lettera ai Corinzi. Nelle pros-
sime domeniche ascolteremo la parte centrale di questo grande
documento che illustra le problematiche di una Chiesa nascente
(e anche di oggi). Tra i vizi più gravi che si infiltravano a Corinto
c’era la corruzione dei costumi, e, come sempre, si giungeva pure
a darne una giustificazione, parlando di «libertà sessuale», come
nel caso dell’incestuoso (cap. 5), e qualcuno pretendeva, in nome
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della libertà cristiana, che tutto fosse lecito, Paolo richiama la ve-
ra dottrina, adducendo queste motivazioni:
• il corpo è per il servizio del Signore.
• Dio ci risusciterà nell’ultimo giorno.
• Per intanto, uniti a Cristo nel battesimo, facciamo con lui un so-
lo corpo, un solo spirito.
• L’impudicizia deturpa in modo particolare il nostro corpo, tem-
pio dello Spirito Santo
• La Salvezza è costata il sangue di Cristo.
III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Giona 3, 1-5. 10; I Cor 7,29-31; Mc 1, 14-20)
La terza lettura è composta da due brani abbastanza distinti l’uno
dall’altro, ricchi di significato. Nel primo, Marco fa una brevissima
sintesi dell’inizio della predicazione di Gesù: (1, 15). Con la venuta
di Cristo si apre un’era nuova: è finita l’attesa; il Figlio di Dio è ap-
parso in mezzo agli uomini; il Regno di Dio, manifestazione della
sua potenza salvifica, è vicino, è in certo modo iniziato nella fami-
glia umana, ove dovrà crescere e svilupparsi fino a maturazione.
Questo Regno chiede qualcosa all’uomo : «cambiamento di men-
talità», conversione.
Cioè che si lasci la strada sbagliata per quella giusta, che si abban-
doni una certa visione del mondo per un’altra. Sovente oggi si
parla di cambiamenti di mentalità, ma nessun cambiamento è così
radicale e perennemente valido come quello voluto dal Cristo: ba-
sti pensare alle Beatitudini!
«Credere al vangelo» è già una forma di conversione, sulla via del
perdono e della salvezza.
La seconda parte del brano di vangelo narra la vocazione di alcuni
apostoli, primo esempio di quel cambiamento di mentalità.
Dev’essere proprio una frase di Gesù, quel «pescatori di uomini»,
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cioè persone preoccupate della salvezza dei fratelli. Questo rac-
conto tradisce certe reminiscenze bibliche vocazioni, per es. quel-
la di Elia che chiama Eliseo mentre sta arando i campi (I Re 19,
19). Comunque sempre, con prontezza e generosità, e «subito»
queste persone abbandonano tutto e seguono Il Signore.
Nella prima lettura un episodio di conversione nell’A.T.: i niniviti
credono a Dio per la predicazione di Giona e sono salvi dal casti-
go. L’episodio è largamente leggendario, ma viene ricordato con
un chiaro intento teologico: Dio chiama tutti a conversione.
Nella seconda lettura Paolo ricorda che lo scenario di questo
mondo passa veloce: viviamo tra la prima e la seconda venuta di
Cristo (per il giudizio); quest’ultima si avvicina in senso assoluto e
in senso relativo: ognuno corre verso la propria fine e verso
l’incontro con Dio. Questo significa che nulla quaggiù è definitivo,
tutto è provvisorio, amore, dolore, pianto, affari ecc. Bisogna
dunque non dimenticare mai che le realtà terrene non sono mèta,
ma tappa e periodo di lavoro e di prova.
IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Deut 18, 15-20; I Cor 7,32-35; Mc 1,21-28)
La terza lettura richiama una riflessione fondamentale, forse già
fatta più volte, che si ripete sempre con frutto. Essa sarà il para-
metro dell’esame di coscienza alla sera della vita: qual è la rispo-
sta all'appello che viene da Dio, in Gesù Cristo.
Marco descrive l’inizio del ministero pubblico di Gesù (parole e
gesti), e la reazione dei primi ascoltatori. In giorno di sabato, se-
condo il costume ebraico, Cristo entra nella sinagoga e si pone ad
insegnare, forse invitato dai presenti. Gli ascoltatori notano con
sorpresa che il suo insegnamento è diverso, soprattutto per il ca-
rattere di autorità e novità.. In che consistesse quell’autorità si
vede dal contesto: egli non si presenta come gli scribi, non è stan-
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co ripetitore di maestri precedenti o di tradizioni ricevute e tra-
smesse; porta un appello nuovo, in nome di Dio, e con l’autorità
di un profeta. Anche il contenuto dei suoi discorsi è nuovo: cam-
biare mentalità per il Regno di Dio; il Padre che è nei cieli; salvez-
za liberazione ecc: toni nuovi. Impressionanti sono infine i suoi
gesti: «comanda perfino agli spiriti immondi, e gli obbediscono!».
Nella sinagoga avviene la prima liberazione di una vittima dello
«spirito impuro». Marco, che ama insistere più sui fatti che sulle
parole, ne racconterà altre (4, 39; 5, 1), per far comprendere chi è
Gesù, con il quale Satana non ha nulla da fare: «Che c’entri con
noi?». Noi invece purtroppo siamo facilmente conniventi con es-
so! E’ chiaro che Marco usa il linguaggio del suo tempo; ma è al-
trettanto evidente che l’avversario di Gesù, la potenza con cui si
scontra il suo annuncio, è innanzitutto Satana.
In questa situazione di scelta e di conflitto tra verità e menzogna,
tra vocazione a Dio in Cristo e tentazione al male, l’uomo matura
la sua libertà e dà una risposta responsabile e personale. Gli ascol-
tatori e gli spettatori dei miracoli di Gesù furono presi da timore:
ma poi venne la scelta. Anche i partecipanti alla liturgia odierna:
sono chiamati ad aderire a Cristo approfondendo giorno dopo
giorno la sua parola liberatrice, per non rimanere sotto il giogo
del Male. Tale scelta responsabile è illustrata anche dalla prima
lettura, un passo classico del Deuteronomio che presenta le istitu-
zioni dell’A.T., il re, il giudice, il sacerdote ,e infine il profeta, visto
come portatore responsabile della Parola di Dio, quindi con parti-
colari doveri di fedeltà.
La terza lettura presenta un problema specifico sul modo di anda-
re a Dio, la scelta tra matrimonio e verginità consacrata. E’ un te-
ma sempre difficile: sono due carismi che Dio liberamente distri-
buisce, e l’esaltazione dell’uno non deve essere disprezzo
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dell’altro. Nel matrimonio il cristiano va a Dio attraverso
l’impegno temporale, nella verginità consacrata la scelta di Dio è
più diretta. Per questo si può parlare di via privilegiata, se retta-
mente seguita, con l’intento di servire meglio Iddio e i fratelli.
V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Giob 7, 1-4. 6-7; 1 Cor 9,16-19. 22-23; Mc 1,29-39)
La terza lettura descrive sommariamente una giornata della vita
pubblica di Gesù. Dopo aver predicato nella sinagoga, entra, con i
discepoli, in casa di Simon Pietro, del quale guarisce la suocera. Al
tramonto, quando, secondo il computo ebraico, finisce il giorno
(ed era giornata di sabato, quindi di riposo assoluto), gli portano
malati e indemoniati perché li guarisca. «Tutta la città era riunita
davanti alla porta!» dice Marco! Gesù guarisce tutte le miserie
che si presentano davanti a lui. Il mattino seguente, quando è an-
cora buio, esce di casa e va a pregare, come sempre nei momenti
importanti e decisivi della sua vita, per prolungare il suo intimo
incontro con il Padre. Cristo è nostro modello: fare della preghiera
non uno stanco formulario, ma un autentico dialogo con Dio che
ci faccia comprendere la nostra esistenza e ciò che da essa Dio at-
tende.
Quali in parallelo alla precedente, la prima lettura sembra descri-
vere la giornata di un giusto dell’A.T., Giobbe, che sente il peso
della vita, e alla fine si accorge che essa è un soffio e quasi un
complesso di giorni «senza speranza». Nella sua desolata medita-
zione però, Giobbe non dispera ma si pone in colloquio con Dio,
nel mistero, ma anche nella fiducia. Quel «duro lavoro», quel do-
lore, i mesi di illusione e le notti insonni di cui parla Giobbe non
sono scomparsi dalla vita dell’uomo; illuminati però dalla dottrina
di Cristo, è possibile essere sereni e sicuri, con il conforto della
grazia.
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Ciò appare nella seconda lettura, ove Paolo parla con entusiasmo
del suo lavoro apostolico. Chiamato ad annunciare il vangelo, egli
considera la propria vocazione un gioioso dovere, cui vuole ag-
giungere qualcosa di suo, per rendere maggior omaggio a Dio.
Vuole rinunciare anche al diritto conferitogli dal vangelo, predi-
cando gratuitamente e lavorando per il sostentamento suo e di
altri. Vuole fare ancora di più: per amore ai fratelli rinunciare vo-
lentieri anche a se stesso, alla sua libertà, per farsi tutto a tutti
«per guadagnare il maggior numero», debole con i deboli, dispo-
nibile a tutti, «per il vangelo». Si intravede la sua profonda spiri-
tualità: entusiasmo, donazione, generosità serena nelle fatiche
per il vangelo. Aveva detto Gesù: «Se uno vuol essere il primo tra
di voi, deve farsi vostro schiavo (...). Il Figlio dell’uomo è venuto
non per farsi servire, ma per servire e dare la vita in riscatto per
tutti gli uomini» (Mt 20, 27). E’ un ideale che riempie la vita!
VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Lev 13,1-3.45-46; 1 Cor 10,31-11, 1; Mc 1,40-45)
La guarigione del lebbroso (terza lettura) origina in Marco una se-
zione del vangelo con frequenti controversie tra Gesù e la Legge
ebraica, o meglio tra il modo con cui Gesù intende adempiere la
Legge, e il modo con cui intendevano farlo i rabbini del tempo.
Problema di attualità per la Chiesa primitiva che si chiedeva quale
poteva essere la sua condotta verso l’impero romano e verso le
leggi e le tradizioni giudaiche; problema ecclesiale anche odierno,
talora angoscioso e fonte di dolorosi conflitti, di fronte a leggi o
istituzioni che la coscienza cristiana non può approvare.
Nel vangelo odierno si parla di un lebbroso già toccato dalla gra-
zia, e da una fede incipiente: «Se vuoi, puoi guarirmi». Mosso a
compassione («adirato» secondo molti codici antichi, e forse con
ragione), Gesù stende la mano verso il poveretto, emarginato da
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tutti, lo guarisce, e lo manda ai sacerdoti per i controlli legali (Lev.
14). Però la Legge è stata infranta in più punti: il lebbroso ha vio-
lato l’isolamento cui era costretto; Gesù ha fatto altrettanto (o
forse peggio) toccando il lebbroso. Egli però ha scelto decisamen-
te l’uomo; e ha rispettato la Legge inviando l’ex lebbroso dai sa-
cerdoti.
Se fu «adirato», come sembra dire Marco, lo fu proprio contro
quella società farisaica, priva di cuore perfino verso i più sventura-
ti. Come in numerosi altri casi, Gesù poi gli impone di non far pa-
rola del miracolo con nessuno. Marco sottolinea questo cosiddet-
to «segreto messianico» cioè questa manifestazione progressiva
del Messia; forse l’evangelista si spiegava così il mistero
dell’incredulità di molti contemporanei di Gesù. Il lebbroso però è
ormai un apostolo, non sa tacere, per cui la fama di Gesù si dif-
fonde, al punto che «Gesù non poteva più entrare pubblicamente
in una città (...) e venivano a lui da ogni parte».
La prima lettura documenta l’imperfezione dell’antica Legge ri-
guardo ai lebbrosi che, considerati come morti, devono rimaner
fuori dell’abitato. Non si dimentichi che anche oggi sono ancora
molti i lebbrosi nel mondo; noi siamo più crudeli che la Legge an-
tica: viviamo in un tempo in cui si conoscono i rimedi, e li lasciamo
mancare a questi fratelli! Non per nulla la terribile malattia della
lebbra, che sfascia il corpo umano, fu vista come simbolo del pec-
cato che rompe l’armonia tra l’uomo e Dio e isola da lui, cioè
dell’egoismo individuale e collettivo.
La seconda lettura (I ai Corinti) è ricca di dottrina sul comporta-
mento da tenere in varie circostanze della nostra vita nella Chiesa.
Dopo aver lungamente insistito sulla necessità di non dare scan-
dalo ai più deboli, neanche con atti in sé non cattivi (come il man-
giare carni già offerte agli idoli pagani) ma che possono turbare
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qualche coscienza (qualcuno poteva credere che così il cristiano
facesse ancora omaggio ai falsi dèi). Paolo conclude con la norma
di fare sempre tutto per la gloria di Dio. In tal modo si sarà attenti
al bene dei fratelli (giudei o greci), a cercare l’utile degli altri,
«perché giungano alla salvezza».
Altra norma è l’imitazione di Cristo, e Paolo qui invita i cristiani a
emularlo, in questo continuo sforzo.
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Is 43, 18-19. 21-22. 24-25; II Cor 1, 18-22; Mc 2, 1-12)
La guarigione del paralitico di Cafarnao (terza lettura) dà ragione
dei miracoli di Gesù, non come manifestazione dei suoi poteri, ma
come segni della sua compassione per le miserie umane, soprat-
tutto per il peccato: segno vivo della missione di Cristo, di libera-
zione dal «male», soprattutto dal peccato.
Il paralitico del vangelo odierno aveva una profonda fede; del re-
sto il modo con cui viene presentato a Gesù, dal tetto, se è spie-
gabile in un paese povero e a clima caldo, con casette coperte so-
lo da legni o frascami, dimostra nella sua eccezionalità, grande fi-
ducia verso il Maestro, nel paralitico e in coloro che lo aiutavano.
Vista la loro fede, Gesù opera nel paralitico la guarigione spiritua-
le, che, nel suo insegnamento, è la realtà più importante, e pre-
cede la guarigione fisica. Anche i discepoli comprenderanno que-
sta verità, poco a poco. Quanti ammalati, talora sull’orlo della di-
sperazione, ricercano e trovano un sollievo nella fede vera, e uni-
scono i loro dolori alla croce di Cristo; quanti ritornano da Lourdes
a esempio più coraggiosi e più capaci di sopportare, comprenden-
do finalmente che il vero male è il disordine spirituale.
Gli scribi pensavano (giustamente) che solo Dio può rimettere i
peccati, e non hanno alcuna fede in Gesù. Allora egli opera il pro-
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digio della guarigione del paralitico, anche per insegnare solen-
nemente, con i fatti, chi è e quale è la sua missione tra gli uomini.
La liturgia odierna è dunque un invito misericordioso a riflettere
sulla gravità del peccato. Oggi invece si proclama infatti
l’autonomia dell’uomo dalle leggi morali (che pure la ragione ci fa
conoscere) e dalla volontà di Dio, e si violano impunemente i suoi
precetti, salvo poi accettare le imposizioni cieche della moda, o
della società: si rigetta la Legge di Dio, per sottomettersi a pesanti
e ingiuste leggi umane! Si pensi a esempio alla questione
dell’aborto che molti vogliono in Italia libero, gratuito ecc.: cioè il
permesso di uccidere, sancito dalle leggi dello Stato! Di fronte a
situazioni umane complesse e ricche di sofferenza e bisognose di
comprensione e aiuto, si preferisce la via più facile, anche se pas-
sa sulla inviolabilità della vita umana. Esempi analoghi non man-
cano purtroppo nel campo della giustizia, dei rapporti con il pros-
simo, della sessualità ecc.
Il seguace di Cristo è solo nel proclamare certe verità, ma non de-
ve aver paura di questa solitudine ampiamente predetta dal Mae-
stro: «Se foste del mondo, il mondo a-merebbe ciò che è suo!».
La remissione dei peccati viene a noi per opera dello Spirito santi-
ficatore (si può qui sciogliere l’occasione di spiegare quella parte
della formula sacramentale: Ha inviato lo Spirito per la remissione
dei peccati). Lo Spirito, nella Chiesa, è «santificatore» e «purifica-
tore», segno e sigillo di santità, come dice la seconda lettura. Pao-
lo si difende dall’accusa di essere un voltafaccia, in quanto egli è e
vuole essere discepolo del Cristo, l’uomo del sì e della fedeltà alle
sue promesse, perché ha in sé lo Spirito che non permette vigliac-
cherie o inganni.
Nella prima lettura si trova l’invito al ravvedimento e al perdono
che Dio rivolse al popolo ebreo, per mezzo di Isaia. Gli esuli di I-
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sraele sono invitati a non pensare più alle cose antiche, alle colpe
passate, ma all’opera misericordiosa di Dio che perdona e più non
ricorda i nostri peccati. Israele non merita il perdono ma Dio, fe-
dele a se stesso e alle sue promesse, prende l’iniziativa misericor-
diosa. Sarà già un primo inizio di ravvedimento ascoltare la voce
del Signore e riconoscere il suo richiamo attraverso il castigo (nel
caso del popolo, l’esilio in Babilonia).
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Osea 2,16-17.21-22; II Cor 3, 1-6; Mc 2, 18-22).
Il breve tratto di vangelo presenta Gesù impigliato in una contro-
versia con i farisei, che, come i discepoli di Giovanni, stanno fa-
cendo un digiuno. Accettavano volentieri queste pratiche tradi-
zionali di religiosità esteriore, come il digiuno, e ne andavano fieri
(cfr. Lc 18, 12), perché dall’osservanza scrupolosa e ostentata di
queste pratiche essi si ripromettevano il rispetto e l’ammirazione
del popolo (Mt 6, 16).
Gesù si stacca nettamente da tale modello di religiosità: i suoi di-
scepoli non prendono parte a quei digiuni. Alle rimostranze dei
farisei risponde con la breve parabola degli invitati a nozze che
non digiunano, il cui senso è abbastanza trasparente. Con Cristo
entra in scena una novità radicale: egli è lo Sposo presente in
mezzo ai suoi, è il «momento delle nozze».
Ma non sarà sempre così, perché egli sarà tolto (chiara allusione
alla passione) e allora i suoi digiuneranno. La Chiesa dell’anno 70,
quando viveva e scriveva Marco, da tempo priva della presenza
visibile del Maestro, cui rendeva testimonianza nella sofferenza:
«digiunava», anche al di là della semplice privazione del cibo.
Gesù chiude il suo intervento, forse oscuro per i suoi ascoltatori
farisei, ma ben chiaro per la Chiesa primitiva per la quale Marco
scrive, ricordando che si stanno vivendo tempi nuovi, «vino nuo-
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vo», «vestito nuovo». In realtà la dottrina e la vita di Gesù porta-
rono al mondo una spiritualità diversa: valori da vivere interior-
mente e da testimoniare con sincera umiltà. E’ questo il digiuno
del cristiano: aderire al Cristo e alla sua parola, fuggire il male,
sopportare la persecuzione, amare i fratelli.
Questa nuova spiritualità è stata in qualche modo predetta nel
celebre brano di Osea (seconda lettura), detto il Giovanni dell’AT.,
che annuncia un’era nuova. Il popolo ebreo allora in periodo di
prosperità sotto il regno di Geroboàmo II (780-740 a.C.) dimenti-
cava facilmente Dio, alla ricerca continua di nuovo benessere. Il
profeta invita a riflettere: è necessario un nuovo periodo di for-
mazione, magari nella solitudine e nella povertà, come era avve-
nuto nei quarant’anni di deserto. Il Signore si manifesterà e il po-
polo lo riconoscerà nuovamente come suo sposo nella giustizia,
nel diritto, nella fedeltà, nell’amore. Questa manifestazione di Dio
si è avverata in Cristo; tocca a noi riconoscerla e viverla.
San Paolo (seconda lettura) si sente ministro della nuova alleanza,
non di precetti o prescrizioni giuridiche come nell’A.T., «lettera
che uccide», ma ministro dello Spirito che è in Cristo.
Ai suoi detrattori l’apostolo osserva che la sua più bella lettera di
raccomandazione sono i fervorosi fedeli di Corinto da lui formati.
Tutti possono leggere questa «lettera», scritta non su tavole di
pietra (come la Torah), ma nel cuore dei fedeli; non con
l’inchiostro, ma con «lo spirito del Dio vivente».
I DOMENICA DI QUARESIMA (Letture: Gen 9,8-15; I Piet 3, 18-22; Mc 1,12-15)
Ecco alla nostra riflessione il racconto del soggiorno di Gesù nel
deserto e delle tentazioni cui andò soggetto. Marco è estrema-
mente sobrio nei particolari: Gesù -dice -, come già Mosè ed Elia,
volle per sé questo periodo di penitenza e preghiera prima di ini-
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ziare la vita pubblica, nel luogo tradizionale per Israele della rifles-
sione religiosa, della verifica e della preghiera. Un ammonimento
ai suoi discepoli di sempre: necessità della preghiera e della rifles-
sione prima delle decisioni più importanti della vita.
Entrato ormai nella vita pubblica, Gesù deve scontrarsi con
l’avversario: Satana. Non è nemmeno il caso di dire che egli vinse.
Le due pennellate descrittive di Marco, le fiere mansuete con lui e
gli angeli che lo servono, sono abbastanza espressive nel loro lin-
guaggio biblico: egli è il nuovo Adamo che realizza nella propria
vita l’obbedienza completa a Dio; instaura la pace con Dio e con
gli elementi; ha in sé, e attorno a sé, una perfetta armonia. Alla
descrizione di questa armonia come mezzo espressivo avevano
fatto ricorso i profeti, per illustrare i caratteri dell’era messianica.
Marco prosegue parlando dei due protagonisti della vicenda; Gio-
vanni è arrestato (più tardi Marco ne racconterà il martirio) e Ge-
sù lascia la Giudea per iniziare la predicazione in Galilea, come era
stato predetto dai profeti. Da tempo gli ebrei attendevano che
Dio si manifestasse nuovamente, e portasse una salvezza e una
nuova Alleanza.
Marco condensa la predicazione di Gesù in poche parole: «Con-
vertitevi e credete al vangelo»: queste parole risuonavano ormai
nella Comunità cristiana, sulle labbra degli apostoli. Quelle stesse
parole oggi la Chiesa rivolge ai battezzati: per entrare nel Regno di
Dio bisogna convertirsi (cambiare mentalità) e credere al vangelo.
Nella prima domenica di quaresima, la Chiesa rivolge con più insi-
stenza questo invito.
Credere è innanzitutto ascoltare con amore la Parola (elemento
caratterizzante della spiritualità quaresimale), ed è poi approfon-
dire l’ascolto con la ricerca, la meditazione, la preghiera.
Anno B
37
Della salvezza offerta da Dio parla anche la prima lettura tratta
dalla Genesi. Viene qui conservata la tradizione biblica per cui,
dopo il diluvio, Dio avrebbe rinnovato l’alleanza con l’umanità, la-
sciandone un segno nell’arcobaleno. Sotto il linguaggio primitivo,
immaginoso e poetico, è facile leggere la verità che Dio ama tutti
gli uomini e vuole la loro salvezza.
La seconda lettura, dalla prima lettera di san Pietro, parla della
salvezza annunziata da Cristo. E’ un lato molto oscuro, che però
appartiene effettivamente all’insegnamento del N.T. Si tratta pro-
babilmente dell’annuncio della salvezza ai giusti dell’A.T., cui il
Cristo risorto aprì definitivamente «le porte» della gloria eterna.
Nelle acque del diluvio - che recarono tanta rovina - san Pietro
vede un aspetto della salvezza: nell’arca, in Noè e nei suoi familia-
ri l’apostolo vede una figura del battesimo, sul quale egli vuole in-
trattenere i suoi ascoltatori: «Non è rimozione di sporcizia del
corpo ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una
buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo». La de-
scrizione è un po’ travagliata, ma il senso generico abbastanza
chiaro.
Il motivo battesimale (con l’ascolto della Parola) è un altro ele-
mento chiave della spiritualità cristiana quaresimale. Bisogna ri-
scoprire il proprio battesimo, dono conferito ai cristiani in virtù
della risurrezione di Cristo. Accolto in buona coscienza, è una con-
tinua invocazione, anzi una fonte di salvezza.
II DOMENICA DI QUARESIMA (Letture: Gen 22,1-2.9.10-13. 15-18; Rom 8,31-34; Mc 9,2-10)
La liturgia della Parola ha come centro la misteriosa trasfigurazio-
ne di Gesù (terza lettura). Il racconto di Marco è pieno di vivacità;
esso ha alle spalle la testimonianza di Pietro, del quale Marco è
fedele interprete.
Anno B
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Gesù, su un alto monte, ai tre dà una momentanea testimonianza
della sua realtà divina con la trasfigurazione: le vesti bianche, la
nube, la voce, la presenza di Mosè ed Elia. Il fatto è veramente
eccezionale, di ordine mistico. Bisogna resistere, come sempre in
questi casi, alla facile curiosità di voler quasi rappresentare nella
fantasia i particolari concreti: un fenomeno mistico del genere è
inafferrabile anche per coloro che ne sono protagonisti, proprio
per il suo carattere di esperienza ultramondana. L’evangelista ri-
corda che anche i discepoli furono come fuori di sé, e che Pietro
uscì in una proposta poi considerata addirittura buffa: «Non sape-
va infatti che cosa dire, perché erano stati presi dallo spavento».
La portata del messaggio però, al di là degli elementi descrittivi, è
chiara: solenne proclamazione del Messia, con invito ad ascoltar-
lo.
I tre discepoli in questione più tardi faranno l’amara esperienza
del Getsemani e non la comprenderanno; la passione di Gesù li
scandalizzerà già al suo annuncio, tanto più nel suo realizzarsi:
sembrava fallimento, disgrazia, rovina. Soltanto dopo la Pasqua
anche la trasfigurazione, quasi un anticipo delle misteriose appa-
rizioni del Risorto, prese un significato preciso, e fu ampiamente
ricordata: «Abbiamo veduto la sua gloria» (Giov 1, 14): siamo stati
testimoni oculari della sua grandezza ricevuta da Dio Padre quan-
do gli fu rivolta la voce: «Questi è il Figlio mio diletto nel quale mi
sono compiaciuto». Tale voce «Noi l’abbiamo udita scendere dal
cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (I Piet 1, 17-18).
E’ opportuno invitare oggi il popolo cristiano a riflettere sull’invito
del Padre: «Ascoltatelo!». Oggi chi ascolta il Figlio, e come? Gli in-
differenti? I credenti che non praticano? I contestatori? I disob-
bedienti? I timidi che non hanno il coraggio di testimoniare?
Anno B
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Il racconto evangelico termina con la raccomandazione di Gesù di
non dire nulla a nessuno (ci voleva una certa gradualità
nell’annuncio evangelico) fin dopo la sua risurrezione da morte.
Ma è proprio qui l’inciampo per i discepoli: che significa risorgere
da morte? Quanto cammino nella fede hanno ancora davanti a
sé!, ma lo faranno poco alla volta nell’esperienza religiosa, nella
preghiera e nell'ascolto.
La seconda lettura descrive un cammino di fede drammatico. A-
bramo, che ha ricevuto da Dio la promessa di una numerosa di-
scendenza e di una terra, quando finalmente, dopo tanta attesa,
ebbe un figlio, fu invitato da Dio a sacrificarlo. Obbedì, sapendo
che Dio può richiamare a vita anche un morto, e nell’esperienza
dell’obbedienza e del dolore, crebbe la sua comunione con Dio.
In modo analogo crebbe la fede degli apostoli, e può crescere e
fortificarsi quella di ogni cristiano. La quaresima è un momento
privilegiato in questa crescita, come è stato chiesto anche nella
prima preghiera di questa Messa.
La riflessione religiosa sul mistero di salvezza che Dio tiene prepa-
rato per ogni uomo in Cristo fa esplodere sovente l’animo di Paolo
in inni di benedizione e di lode.
La seconda lettura ne presenta un caso interessante. Dopo aver
contemplato (nei capitoli precedenti della lettera ai Romani) il pi-
ano di Dio che nei secoli si attua a salvezza di tutti, ebrei e pagani,
Paolo ricordando questo amore operoso di Dio esplode in parole
di gioia, serenità e sicurezza spirituale. Perché temere? Poiché Dio
è con noi (e lo ha dimostrato dando il suo Figlio), come non darà
ogni cosa? Se per noi è morto, risorto, è alla destra del Padre (e-
spressione che dice la sua divina potenza), se per noi intercede,
chi mai potrà farci paura, chi sarà contro di noi e allo stesso tem-
po più forte di Lui?
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SOLENNITÀ DI S. GIUSEPPE (Letture: I Sam 7, 4-5. 12-14. 16; Rom 4, 13. 16-18. 22; Luca 2, 41-
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Il brano di vangelo descrive un momento drammatico nella vita
della sacra Famiglia, nel quale Giuseppe ha una parte importante:
egli aveva la responsabilità dell’osservanza specialmente delle
prescrizioni più gravose, come quella di recarsi ogni anno a Geru-
salemme per le feste pasquali. Un disagio non comune, conside-
rando le strade e i mezzi di trasporto di quei tempi. Giuseppe ap-
pare ubbidiente e fedele alla legge: e può dire qualcosa oggi, ai
capifamiglia in particolare. Spesso oggi la vita religiosa della fami-
glia si svolge nel più assoluto individualismo: è anche giusto il ri-
spetto per la libertà dei singoli. Però la famiglia nel suo insieme
riceve il tono dai genitori che devono darle impronta cristiana,
senza imposizioni, con l’esempio e il dialogo. Quindi insieme pre-
gare, partecipare alla liturgia, affrontare serenamente e pazien-
temente problemi religiosi, difficoltà, obbiezioni correnti ecc.
A 13 anni un giovane ebreo era ritenuto religiosamente maturo,
capace di obbedire alla Legge. Quindi Gesù a 12 anni salì con Ma-
ria e Giuseppe al tempio per la Pasqua e si fermò nelle adiacenze
per «ascoltare e interrogare» i dottori, che in quell’occasione te-
nevano le loro lezioni, soprattutto per i giovani. L’evangelista ri-
corda questo episodio perché il Fanciullo vi operò un gesto profe-
tico dichiarando la sua missione di occuparsi «delle cose del Pa-
dre». La portata di questa affermazione sfuggì anche a Giuseppe e
Maria. Solo alla luce della risurrezione essa si chiarirà in tutta la
profondità: Gesù è venuto a fare la volontà del Padre fino alla
croce.
Nel suo materno rimprovero, la Vergine che sapeva come Giusep-
pe era padre di Gesù non per generazione, ma perché aveva ac-
Anno B
41
cettato, all’annuncio dell’angelo, di imporgli il nome e farlo entra-
re nella stirpe di Davide dice quell’appellativo «tuo padre», che ha
bisogno di essere correttamente inteso (per non mettere in forse
l’incarnazione de Spiritu Sancto); dice con ciò l’intimità di Giusep-
pe con Gesù e la grandezza singolare di questo santo cui il Figlio di
Dio fu sottomesso. Giuseppe, oltre che uomo fedele a Dio e alla
Legge, è uomo che vive in silenzio e in riverente ascolto del miste-
ro di Dio (la seconda lettura paragona la sua fede a quella di A-
bramo). Un silenzio certamente non passivo, distratto, vuoto, ma
di quei silenzi che arricchiscono, permettendo una visione e-satta
della vita e un approfondimento del mistero di Dio.
Molti istituti monastici nel corso dei secoli hanno scelto S. Giu-
seppe come modello di questo silenzio che forma i santi. Nella
nostra vita odierna, distratta, tesa e riempita dall’esterno di molte
cose, bisogna di nuovo fare spazio al silenzio: «La nostalgia della
solitudine non è un privilegio, ma è la legge delle anime più deli-
cate» diceva Mazzolari. La stessa liturgia ha introdotto pause di
silenzio nella Messa, nel rito delle esequie ecc.: comprenderle nel
loro valore, e sfruttarle!
Nella prima lettura Dio promette a Davide una discendenza eter-
na. In essa nacque Giuseppe, di umile condizione, ma di stirpe da-
vidica. E’ bello pensare che egli avrà pregato più volte con il Salmo
responsoriale recitato oggi. In esso il pio israelita invoca il Signore
affinché, per la fedeltà al suo patto con Davide, mandi presto quel
discendente che sarà Figlio di Dio e salvatore.
III DOMENICA DI QUARESIMA (Letture: Es 20, 1-17; I Cor 1, 22-25; Giov 2, 13-25)
Nella terza lettura Gesù è in discussione con il giudaismo contem-
poraneo su uno degli argomenti più scottanti del tempo. Essi era-
no fieri fino al fanatismo del tempio, luogo della presenza di Dio
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tra il popolo. Già Geremia si era scontrato con questa mentalità,
predicando che non basta richiamarsi al «tempio del Signore», e
poi allegramente soddisfare alla sua ombra i propri capricci (Ger
7)! Gesù insegna che il tempio è luogo di preghiera, non di com-
mercio, affari o chiacchiere, e ciò vale anche oggi. Poi, che è luogo
sacro voluto e scelto da Dio, ma pur sempre istituzione provviso-
ria. Un giorno potrà essere distrutto senza danno alla religione,
perché sarà presente il vero tempio, in cui abita Cristo stesso.
Distrutto il .suo corpo, egli lo potrà ricostruire in poco tempo (tre
giorni): questa sentenza misteriosa suonò certamente enigmatica
agli ascoltatori, ma fu chiara dopo la risurrezione. Però quelle pa-
role «paradossali» richiamarono l’attenzione, se furono ricordate
durante la passione dai derisori di Gesù (Mt 27, 39), e dai perse-
cutori di Stefano (At 6, 14).
Al tempo di Gesù, alcuni gruppi di giudei contestavano il tempio
perché profanato e secolarizzato, e attendevano una restaurazio-
ne e ristrutturazione del culto in modo più conforme alla Legge
(così a esempio pensavano i solitari di Qumran). Per Gesù invece il
tempio è segno e simbolo (passeggero) della presenza di Dio tra il
suo popolo, ma perché sia segno dev’ essere rispettato nella sua
sacralità e non profanato.
Esso poi perderà significato e importanza (unica al mondo) con la
venuta del Cristo, vero tempio di Dio in terra.
Gli ultimi versetti del vangelo costituiscono un breve sommario
della prima attività apostolica del Cristo. Vedendo i prodigi, molti
dichiarano la loro fede in lui: però Gesù non ha fede in essi, per-
ché legge nei cuori. La fede dei Giudei era ancora gretta, interes-
sata, troppo legata a segni e prodigi.
Anche su questo punto è possibile fare una revisione di vita: se la
fede dei battezzati merita l’approvazione e l’apprezzamento da
Anno B
43
parte di Cristo. La Quaresima è il tempo migliore per questa rifles-
sione nelle comunità ecclesiali.
Nella prima lettura si incontra il Decalogo: occasione benvenuta
per rimeditare accuratamente questo testo fondamentale, spec-
chio della Salvezza.
Nella redazione dell’Esodo è presente anche il precetto riguardan-
te la proibizione di fare idoli o immagini di Dio, sempre valida nel
suo spirito di vietare ogni atto di idolatria.
Il giorno in onore del Signore è il sabato, cambiato nella domenica
per il popolo cristiano per le note motivazioni (risurrezione e Pen-
tecoste avvenute in domenica). Gesù confermò e perfezionò il
Decalogo. Si rileggano specialmente gli articoli oggi più facilmente
trasgrediti, e addirittura contestati: santificazione della festa, pro-
fanazione del nome di Dio (bestemmia), non ammazzare, non
commettere adulterio, non rubare. Non c’è vita cristiana se non
alla luce di questi precetti: «chi mi ama osserva i miei comanda-
menti»!
Nella seconda lettura l’apostolo parla della croce di Cristo sapien-
za di Dio e salvezza per i credenti, e invece stoltezza e scandalo
per i giudei e i pagani. I giudizi di Dio son così diversi da quelli
dell’uomo! Su questo argomento della Croce si ritornerà ampia-
mente ancora nelle prossime domeniche.
IV DOMENICA DI QUARESIMA (Letture: II Cron 36, 14-16. 19-23; Efes 2, 4-10; Giov 3, 14-21)
Nel vangelo Gesù illustra a Nicodemo la sua missione di salvatore
con l’esempio del serpente di bronzo innalzato per ordine di Mo-
sè nel deserto (Num 21, 6-9). Anche il Figlio di Dio sarà «innalza-
to» (allusione velata alla Croce e alla risurrezione che lo «esalte-
rà» fino alla destra del Padre).
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44
Di fronte a questo inviato dell’amore del Padre si impone una
scelta fondamentale; accettare o rifiutare la carità di Dio che si
rivela in Cristo. Giovanni vede il giudizio non come un evento fu-
turo, rimandato agli ultimi tempi, ma come una realtà attuale, già
presente nel suo continuo formarsi (escatologia realizzata). Si di-
rebbe quasi che non sia Dio (o non solo Dio) a giudicare; ma
l’uomo, che giudica se stesso con il suo atteggiamento di fronte
alla verità rivelata in Cristo.
Credendo o no, vivendo in conformità alla fede o no, l’uomo co-
struisce giorno per giorno, di azione in azione, la sua salvezza o
rovina. Inoltre l’evangelista quarto mette in guardia contro il peri-
colo di preferire le tenebre alla luce. Momenti di tenebre, nella
vita, se ne possono incontrare: però preferirle alla luce è altra co-
sa! Si mette su questa strada chi ostinatamente opera il male. La
peggior situazione è appunto quella di chi arriva a teologizzare il
proprio peccato.
Per venire alla luce della fede, Giovanni invita ad «operare la veri-
tà». Singolare espressione: la verità cristiana non è da contempla-
re semplicemente, come esercizio intellettuale, ma è qualcosa da
accogliere, «fare», «costruire» con l’aiuto di Dio.
Operare la verità, agire onestamente condizione indispensabile
per creare uno spazio sempre più ampio alla fede, affinché il mi-
stero di Dio cresca nell’uomo.
Se si rilegge ora la prima lettura si trova conferma storica
all’insegnamento di Gesù. L’autore del libro delle Cronache ripen-
sa le travagliate vicende secolari del popolo ebreo che troppo so-
vente non ha «fatto la verità» di Dio e, nonostante l’invito dei
profeti, ha preferito le tenebre attirandosi un giudizio di condan-
na. La distruzione di Gerusalemme e della nazione intera, trapian-
Anno B
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tata in esilio, fu un invito a penitenza (come appare bene anche
dal salmo responsoriale).
Nella seconda lettura Paolo, con un vocabolario assai simile a
quello letto nel vangelo, parla del «grande amore con cui Dio ci ha
amati», e afferma che in Cristo anche il suo discepolo è già stato
salvato, «con risuscitato», fatto sedere alla destra del Padre! Que-
sto il dono divino, nel battesimo mediante la fede. La nostra pre-
senza in cielo è già effettuata, almeno in parte, e certamente
completata se la vita sarà «nel Signore Gesù». Dunque, come dice
anche Giovanni, l’eternità beata non potrà essere creazione
dell’ultima ora, ma frutto che sboccia già in ogni momento
dell’agire terreno.
V DOMENICA DI QUARESIMA (Letture: Ger 31,31-34; Ebr 5, 7-9; Giov 12,20-33)
L’episodio, narrato dalla terza lettura, di quei greci forse simpatiz-
zanti verso il monoteismo ebraico, («greci timorati di Dio», At 17,
14) che chiedono di conoscere da vicino il Maestro («vogliamo
vedere Gesù») è tanto più interessante e ricco di significato in
quanto avveniva proprio mentre molti ebrei si allontanavano pro-
gressivamente dal Signore. Giovanni Evangelista e la prima comu-
nità cristiana vedevano in quei greci una primizia e un annuncio di
quanto si verificava sotto i loro occhi, l’ingresso dei pagani nella
Chiesa.
La risposta di Gesù, sconcertante, la leggiamo come la ricordava la
tradizione giovannea, con evidenti abbreviazioni, sottolineature e
arricchimenti, frutto della ormai avvenuta riflessione teologica.
Come forma letteraria è modellata secondo lo schema costante
dei discorsi di Gesù in Giovanni: motivo del discorso (l’incontro
con i Greci); poi il procedimento dialogico (incomprensione da
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parte di alcuni) che dà luogo a susseguenti dichiarazioni e affer-
mazioni di Cristo.
Di fronte a questi greci Gesù dà una profonda descrizione di se
stesso e dell’ora che sta vivendo: egli è il chicco di grano che deve
morire per portare molto frutto e dare origine alla nuova vita:
questa è l’ora sua, della passione e della glorificazione. Poi descri-
ve il suo atteggiamento spirituale di fronte agli avvenimenti che lo
attendono: è «turbato» (come avverrà al Getsemani), ma non
chiede la liberazione, perché vuole ubbidire alla volontà del Pa-
dre. Per questo, Gesù sarà elevato (in croce e nella risurrezione),
e «il principe di questo mondo sarà gettato fuori». Nel mezzo del
suo discorso Gesù illustra anche ai greci la figura del futuro disce-
polo: deve essere anche il discepolo disposto a «perdere la vita» e
a seguire il Maestro fino alla morte, se vuol portare frutto e non
condannarsi alla sterilità e alla solitudine spirituale. E’ una legge
della sequela di Cristo!
Nella prima lettura il profeta Geremia annuncia esplicitamente
(scandalizzando i suoi ascoltatori) la Nuova Alleanza. Egli vede il
fallimento ormai irreversibile dell’Al-leanza conclusa, e ciò non
per volontà di Dio, ma per colpa dell’uomo: il popolo, i re, i sacer-
doti si dimostrano non solo infedeli, ma anche incapaci di osser-
varla. Illuminato da luce soprannaturale, il profeta annuncia il
progetto amoroso di Dio di concludere una Nuova Alleanza.
Quando? Geremia non lo sa con precisione; si accontenta di an-
nunciare con sicurezza che essa verrà: sarà diversa da quella del
Sinai, più interiore, caratterizzata non dalla legge esterna, ma da
una legge scritta nei cuori. Queste espressioni ancora oscure si
chiarificheranno: il cuore nuovo, spiegherà Ezechiele, è niente-
meno che il dono dello Spirito. Bisogna continuare a pregare il Si-
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gnore (come fa l’A.T.) affinché ci doni questo cuore nuovo (vedi
Salmo responsoriale).
La seconda lettura ritorna sui sentimenti con cui Cristo affrontò la
passione: preghiere/suppliche, forti grida e lacrime per cui fu e-
saudito (non nella liberazione dalla morte, ma, come chiedeva,
nel fare la piena volontà del Padre). (Mt 26, 39-44). Il credente in
Cristo, di fronte a questa obbedienza pagata a così alto prezzo,
fonte della sua salvezza, come potrà non impegnarsi a vivere
nell’obbedienza al Vangelo?
DOMENICA DELLE PALME (Letture: Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11; Mc 14, 1-15.47)
All’inizio della Settimana Santa, la Chiesa invita i fedeli a un gesto
religioso: la benedizione dei rami d’olivo e una piccola processio-
ne, un segno per far rivivere e approfondire l’ingresso evangelico
di Gesù a Gerusalemme. Cristo entrò solennemente nella Città
santa, e volle essere riconosciuto come portatore di pace e sal-
vezza, cavalcando un puledro, come era stato predetto dal profe-
ta (Zacc 9,9). Gli umili comprendono il suo gesto, stendendo a ter-
ra mantelli e rami di palme, e acclamando «Colui che viene nel
nome del Signore»! Nella Settimana Santa e nei sacramenti pa-
squali, il Salvatore rinnova il prodigio della salvezza messianica.
Bisogna dunque andargli incontro, come dicevano i Padri della
Chiesa, «deponendo il mantello del peccato, delle vecchie abitu-
dini» rinnovandosi.
Oggi si legge la passione secondo Marco, alquanto più breve di
quella degli altri evangelisti, però molto lunga (due capitoli) in
confronto allo spazio dedicato alla vita di Gesù nel suo insieme.
Infatti passione e morte sono il vertice della vita e dell’opera di
Cristo. La narrazione di Marco non indugia su aspetti descrittivi
Anno B
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esteriori, o su aspetti pietistici o psicologici, ma va direttamente al
messaggio, alla Croce e al suo valore per la nostra salvezza.
Essendo la manifestazione più alta dell’amore di Cristo, la passio-
ne terminerà suscitando le prime espressioni di conversione: il
centurione lascia il Calvario battendosi il petto: «Veramente co-
stui era il Figlio di Dio» (15,39). E’ necessario la stessa persuasio-
ne: i particolari si illumineranno e l’insieme prenderà un significa-
to salvifico: non è il comune assassinio di un innocente, ma una
morte accettata per amore degli uomini. Ognuno deve sentirsi co-
involto nell’avvenimento!
Leggendo così la storia della passione, ogni gesto e ogni parola
muovono a riflessione. Si potrebbe, a esempio, dedicare attenzio-
ne speciale a quel nostro «fratello» Pietro (che nella notte) tradi-
sce il Maestro, lo rinnega, per poi piangere amaramente e ritrova-
re il perdono. La tradizione non avrebbe mai inventato questo e-
pisodio a carico del principe degli apostoli, se esso non fosse tri-
stemente vero. La Chiesa apostolica lo ricordava serenamente, e
ne traeva ammonimento, invito a vigilare e pregare. Ogni peccato
e ogni violazione dei comandamenti, per il cristiano, sono rinne-
gamento del Maestro. La Pasqua fa rivivere il mistero della Croce,
e dopo la preparazione quaresimale, spinge a riconciliazione sin-
cera e convinta (eventuale applicazione alla confessione ecc.).
Le altre letture offrono utili indicazioni per una riflessione sulla
passione di Cristo. La prima, dal profeta Isaia, ricorda come essa
avverava grandi profezie («servo di Jahvè» che soffre per i suoi
fratelli). Il salmo responsoriale è la preghiera di un giusto perse-
guitato che ricorre a Dio con fiducia: nessuno lo avverò come Cri-
sto.
La seconda lettura è la riflessione della Comunità cristiana primiti-
va (da una antica liturgia), sulla passione, modello di obbedienza
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alla volontà del Padre fino alla morte. Per questa ragione Cristo è
stato «esaltato» nella risurrezione.
DOMENICA DELLA RISURREZIONE Letture: At 10, 34. 37-43; Col. 3, 1-4 (oppure I Cor 5. 6-8); Giov 20,
1-9 (oppure Mt 28, 1-10).
Nel salmo responsoriale l’esclamazione: «Questo è il giorno di Cri-
sto Signore: Alleluja»: è il momento centrale della Salvezza: la ri-
surrezione di Cristo da morte; la sua apparizione alle donne, ai di-
scepoli di Emmaus, agli apostoli, conferendo loro lo Spirito Santo
e l’incarico di andare in tutto il mondo a predicare il battesimo e
la remissione dei peccati. Ogni domenica e ogni liturgia, special-
mente quella eucaristica, traggono sempre il loro significato e la
loro efficacia dal mistero avvenuto in questo giorno, che in certo
modo oggi si fa presente, per cui si può veramente dire che que-
sto è il giorno di Cristo Signore!
Nella terza lettura scegliamo il racconto di Mat 28, 1-10. Esso ini-
zia ricordando le apparizioni alle donne. Prima, un angelo inter-
preta l’avvenimento del sepolcro vuoto; poi affida loro l’incarico
di recare la notizia agli apostoli ai quali Cristo apparirà nella Gali-
lea (Matteo infatti chiude il suo libro con la narrazione
dell’apparizione galilaica). Poi si presenta alle donne Cristo stesso,
cui esse stringono i piedi in atto di omaggio mentre lo adorano.
E’ forse bene notare, una volta per tutte, che nella lettura dei rac-
conti di apparizioni non bisogna dare prevalente importanza ai
particolari descrittivi: per esempio a che ora le donne arrivarono
al sepolcro, quante erano, se videro un angelo o due ecc.; ma si
deve dare ascolto soprattutto al messaggio. Tale era anche
l’intenzione dell’evangelista nel narrare.
Allo stesso modo è fuori posto una indagine eccessiva su quella
che poté essere la presenza fisica di Gesù, che scompare, riappa-
Anno B
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re, ecc. L’esperienza che ne fecero gli apostoli fu del tutto diversa
da quella di prima della morte. Ora si incontravano con un corpo
glorioso, il cui modo di essere è per noi mistero. Cristo non è tor-
nato alla vita di prima, come Lazzaro; ma nella gloria del Padre,
nei «cieli nuovi e terra nuova».
La prima lettura riferisce il discorso tenuto da san Pietro ai pagani
radunati nella casa del centurione Cornelio. Esso serve da com-
mento al fatto precedentemente letto. Pietro inizia con un breve
riassunto di tutto il vangelo di Gesù, a partire dal battesimo
(quando fu unto di Spirito Santo), ai miracoli, alla predicazione in
Galilea e a Gerusalemme. Poi sottolinea un’opposizione tra
l’opera degli uomini e quella di Dio: «Essi lo uccisero appendendo-
lo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno». Il risorto
verrà alla fine a giudicare i vivi e i morti.
Pertanto Pietro invita i suoi ascoltatori a credere nel Cristo Risorto
per ottenere nel suo nome la remissione dei peccati. La predica-
zione pasquale è dunque annuncio di giudizio, e insieme invito al
pentimento, al perdono dato nel nome di Cristo. La nostra assem-
blea è invitata oggi dalla parola dell’Apostolo a pentirsi, a ritrova-
re nel sacramento della riconciliazione la salvezza già incontrata
nel battesimo.
Quest’ultimo pensiero (pentimento in ordine alla Salvezza) è
maggiormente sviluppato dall’apostolo Paolo nella seconda lettu-
ra, sia che la si desuma dalla lettera ai Colossesi come da quella ai
Corinzi. In entrambi, è al centro il pensiero, che il cristiano risorge
in Cristo per una vita nuova. La sua mente pertanto dev’essere al-
le cose di lassù (Colossesi); egli deve togliere dalla sua vita il lievi-
to della malizia e perversità, per vivere nella sincerità e verità una
vita nuova, «azima» cioè senza fermenti malvagi, autenticamente
cristiana.
Anno B
51
(Alla Messa della sera di Pasqua si legge Luca 24, 13-35, brano che
ritorna nella III Domenica di Pasqua. Vedi là il commento).
II DOMENICA DI PASQUA (Letture: Atti 4,32-35; I Giov 5,1-6; Giov 20,19-31)
E’ tradizione antica nella liturgia la lettura, nel tempo pasquale
degli Atti degli Apostoli e del vangelo di Giovanni: il primo libro
biblico contiene la predicazione degli apostoli (soprattutto di Pie-
tro e Paolo) e la narrazione del loro apostolato nel periodo che
seguì la Pasqua e la Pentecoste, nonché la descrizione della vita
della prima Comunità cristiana, nata dalla fede nella risurrezione
e animata dalla presenza dello Spirito Santo. Il vangelo di Giovan-
ni tratta, più profondamente degli altri, del mistero di Cristo e del
suo amore, da conoscere e da ricambiare nella fede: scritto verso
la fine del primo secolo, esso risente della prima riflessione teolo-
gica. Per questo è detto il vangelo «spirituale», ed è anche più dif-
ficile, appunto a motivo della sua ricchezza di contenuto.
Nella prima lettura ci troviamo di fronte ad un brano degli Atti
degli Apostoli, che gli studiosi qualificano come «sommari», cioè
si tratta di versetti in cui Luca ogni tanto riassume quanto va di-
cendo. Il sommario ora letto, presenta la vita della Comunità pri-
mitiva: alcuni aspetti sono tutt’altro che superati, e sono ricchi di
significato per la comunità cristiana di oggi. I primi cristiani sono
descritti come persone che «hanno un cuore solo e un’anima so-
la», cioè che si sforzano di vivere nell’unità e nella pace. Motivi di
dissenso non mancavano: la società distingueva quei battezzati in
giudei e greci (tradizionalmente in lotta tra di loro); poveri e ric-
chi; padroni e schiavi; nobili e plebei. La nuova realtà del battesi-
mo, di figli di Dio fa loro dimenticare le differenze sociali e li uni-
sce un cuore e un’anima sola. Luca stesso dice che le tensioni era-
no superate alla luce della fede e con il calore dello Spirito. Oggi
Anno B
52
bisogna ritornare a riflettere seriamente su questa pagina: la fede
in Cristo libera (dalle nostre miserie) e unisce. Quante divisioni nel
mondo a causa di interessi politici, razziali, di ambizioni, di egoi-
smi: perfino nella Chiesa si porta il proprio spirito di superbia e di
parte! Evidentemente il battesimo non livella; rispetta personali-
tà, doni e doti, ma chiama tutti a unità profonda in Cristo, supe-
rando particolarismi, e sentendosi veramente fratelli, anche se
diversi.
I primi cristiani non s’accontentavano di proclamare tale unità; la
mostravano con gesti (i beni in comune, con atto spontaneo e li-
bero). Anche questa è una grande lezione: dei beni terreni si è
amministratori nella vita; non però egoisticamente, ma tenendo
conto dei fratelli. I primi cristiani testimoniavano «con forza» la
risurrezione; cioè con l’esempio, la coerenza di vita e la conse-
guente benedizione di Dio manifestata anche con prodigi. Tale
forza di testimonianza non manca mai nella Chiesa, nei martiri,
nei monaci, nei santi di ogni condizione.
La seconda e terza lettura sono tratte ancora dall’opera giovanne-
a. Nell’epistola sono esposti i due criteri che garantiscono, o me-
no, di essere sulla via di un’autentica comunione con Dio: posse-
dere la fede ortodossa, credere cioè che il Cristo è il Messia (base
della fede cristiana); carità verso Dio il cui «test» più autentico sta
nell’amore del prossimo e nell’osservanza dei comandamenti. Chi
coltiva questa fede e la rende operosa nella carità vincerà il mon-
do con Cristo venuto incontro a noi nell’acqua (battesimo) e nel
sangue (eucaristia), i due sacramenti simboleggiati nel sangue ed
acqua fuorusciti dal costato del crocifisso, che S. Giovanni, testi-
mone, non poté più dimenticare.
Il brano di vangelo, con la narrazione di due apparizioni, ritorna
sulla fede e promulga una beatitudine per coloro che crederanno
Anno B
53
senza vedere. Giovanni chiude il suo libro (il cap. 21 è
un’aggiunta) asserendo che esso (come gli altri scritti sacri) fu
scritto perché crediamo e credendo abbiamo la Vita.
III DOMENICA DI PASQUA (Letture: Atti 3, 13-15. 17-19; 1 Giov 2, 1-5; Lc 24, 35-48)
La prima lettura proviene dal discorso di Pietro dopo la guarigione
dello storpio al tempio di Gerusalemme. Parlando al popolo che
fu testimone degli avvenimenti della Pasqua, Pietro nota
un’opposizione tra la loro condotta e quella del Padre, riguardo a
Gesù. «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri
Padri» (bella espressione che dice insieme l’unità di Dio e il suo
coinvolgimento nella nostra storia) ha glorificato (nella risurrezio-
ne e ascensione al Cielo) «il suo servo Gesù». Anche questo appel-
lativo è degno di nota: Gesù volle farsi uomo, per essere «servo di
Dio» e rendergli, nella sua santa umanità, quel servizio che noi
uomini troppo sovente gli neghiamo. Egli fu il vero servo di Jahvè,
come aveva predetto Isaia (42, 9 ss.), fino alla morte in croce: per
questo Dio lo ha risuscitato.
I giudei di Gerusalemme invece, consegnando Gesù a Pilato, han-
no rinnegato «il Santo e il Giusto», hanno ucciso l’innocente per
eccellenza, il datore di ogni vita (non si potrebbero trovare parole
più chiare e forti per esprimere tutta la gravità di questo delitto).
Tuttavia Pietro, come ha trovato una attenuante a favore di Pilato
(«aveva deciso di liberarlo»), così la trova a favore dei giudei
(«hanno agito per ignoranza»): Più che recriminare sul passato,
Pietro invita a guardare con fiducia all’avvenire, a pentirsi e cam-
biare vita per ottenere il perdono dei peccati: parole anche oggi di
grande attualità!
Molto simile è la seconda lettura. Gesù non è solo vittima di e-
spiazione per i nostri peccati, ma addirittura nostro «avvocato»
Anno B
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presso il Padre. In lui l’amore è veramente perfetto; egli è il Giu-
sto maltrattato e ucciso che si fa difensore dei suoi persecutori
presso il Padre.
Di fronte a questo mistero di amore Giovanni invita tutti a corri-
spondere nell’osservanza dei co-mandamenti. Non si deve dimen-
ticare che Cristo Gesù, nostro avvocato e difensore, sarà anche il
nostro giudice. Ciò è motivo di fiducia e di speranza.
La terza lettura è la narrazione di un’apparizione del Risorto, che
per dissipare i dubbi degli apostoli mostra mani e piedi (con le
stigmate dei chiodi), si fa toccare e prende cibo: dunque, ha ve-
ramente carne e ossa. Ma la prova più grande della risurrezione la
trae dalla Scrittura, dal confronto con la parola dei profeti che
l’avevano predetta. Come le altre verità rivelate la risurrezione si
illumina e diventa credibile nell’insieme della fede e del Mistero
di Dio rivelato in Cristo: ogni aspetto della fede è come un ele-
mento in un tutto armonioso. Tolto dal complesso, diventa in-
comprensibile; come si potrebbe parlare per esempio dell’Euca-
ristia fuori dal contesto dell’incarnazione, della risurrezione o del-
la Chiesa? Bisogna dunque approfondire il mistero cristiano, ri-
cordando che una fede ridotta a pochi brandelli difficilmente può
stare in piedi e resistere alle difficoltà.
IV DOMENICA DI PASQUA (Letture: Atti 4, 8-12; I Giov. 3, 1-2; Giov 10,11-18).
La prima lettura è tratta dal discorso di Pietro in risposta ai capi
Giudei che vogliono sapere con quale autorità egli ha guarito lo
storpio. Pietro afferma senza esitazione: «in nome di Gesù Cristo
crocifisso!» Poi, citando il salmo 117 (che in questa liturgia ab-
biamo usato come preghiera responsoriale), insegna che Cristo,
«pietra respinta dai costruttori», è diventata testata d’angolo»:
respinto dai giudei, viene posto da Dio a fondamento della nuova
Anno B
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comunità di salvezza. La pietra angolare di cui parla il salmo, quel-
la che doveva sostenere il maggior peso ed essere la più robusta,
è divenuta nella predicazione apostolica un simbolo, anzi un titolo
messianico, indicante il compito di Cristo nella Chiesa e nel mon-
do.
«In nessun altro c’è salvezza», proclama Pietro: c’è bisogno di ri-
petere queste parole; troppe ideologie e troppi uomini si presen-
tano come salvatori, e il mondo vive inseguendo quelle false sal-
vezze. Solo Gesù è vero salvatore e liberatore dell’uomo, con una
salvezza e liberazione totale, corpo e spirito, per la vita terrena e
per quella eterna!
Anche gli uomini dell’A.T., nell’ebraismo o fuori di esso, poterono
salvarsi in previsione dei meriti di Cristo. Fuori della Chiesa nel
tempo, essi appartengono però al mistero della Chiesa, la cui pas-
sione ha inizio con il sangue di Abele (S. Gregorio Magno). Questa
Chiesa è una sola e abbraccia tutti gli eletti e i salvati prima e do-
po Cristo.
Nel nome di Gesù, Pietro ha liberato lo storpio da un male fisico;
ora proclama che il suo gesto è soltanto un segno sensibile della
liberazione più profonda di tutto l’uomo, che egli è venuto a por-
tare. La Chiesa continua a proclamare quel messaggio di salvezza
spirituale e materiale insieme. Se ascoltato, esso è fonte di mag-
gior pace e serenità, sulla terra.
La terza lettura è un brano del celebre discorso col quale Gesù si
presenta buon pastore. Lo sfondo è l’ambiente palestinese del
suo tempo (in qualche zona orientale è ancora oggi così): i greggi
pernottano in un recinto sicuro; al mattino ciascun pastore dà una
voce alle sue pecore, che lo riconoscono e lo seguono senza sba-
gliarsi. Gesù non solo conosce ed è riconosciuto dai suoi, ma dà la
vita per le pecore (qui è la sua singolarità), per tutte indistinta-
Anno B
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mente (giudei e pagani), tanto è il suo amore. Ciò in libertà e ob-
bedienza, cioè adempiendo liberamente la volontà del Padre.
Il mistero di Cristo buon pastore induce la Chiesa a celebrare oggi
la giornata delle vocazioni sacerdotali e religiose: invito a seguire
Gesù da vicino, più direttamente, a servizio del suo amore.
Nella sua vita terrena Gesù si scelse collaboratori e collaboratrici
(il gruppo di donne che aiutano il collegio apostolico); la Chiesa
pure ha bisogno di persone generose che continuino, nella seque-
la di Gesù, la preghiera, l’evangelizzazione, la testimonianza,
l’assistenza caritativa ecc. Un altro ideale, non facile nel mondo
materialista ed edonista di oggi. Per questo bisogna pregare e la-
vorare, perché le comunità facciano sbocciare e crescere vocazio-
ni religiose.
La seconda lettura è un’altissima meditazione di S. Giovanni
sull’amore di Dio che addirittura ci vuole «suoi figli». E’
un’espressione analogica, ma Giovanni conferma che «lo siamo
veramente», in Cristo Gesù. Evidentemente chi non riconosce Cri-
sto Figlio di Dio non potrà accettare questo mistero. E’ infatti un
dono di grazia essere figli di Dio: ciò apparirà un giorno in tutta la
sua efficacia, quando vedremo Dio come veramente è.
V DOMENICA DI PASQUA (Letture: Atti 9,26-31; I Giov 3, 18-24; Giov 15, 1-8)
La prima lettura narra di Saulo, venuto a Gerusalemme dopo la
conversione, che desidera unirsi ai fratelli cristiani, i quali però
hanno paura. Barnaba, mediatore, introduce questo discepolo
prodigiosamente convertito,e già impegnato nel predicare Cristo.
Paolo non dimentica i suoi antichi correligionari, ma proprio tra
essi trova opposizione, specialmente tra gli ebrei di lingua greca
(gli ellenisti che hanno martirizzato Stefano) e deve fuggire dalla
Città santa.
Anno B
57
Luca fa seguire un altro «sommario» per descrivere brevemente
la vita della Chiesa palestinese che è in pace, cresce e cammina
nel timore del Signore e con il conforto dello Spirito. Si devono
chiedere umilmente a Dio questi doni per la Chiesa universale e
per le nostre Chiese. Quella pace è estremamente operosa: la
Chiesa si dilata ogni giorno, cresce in numero e nelle opere buo-
ne. La pace è interna, con Dio, ed esterna: mancano persecuzioni,
incomprensioni e calunnie, e si estende sempre più la salvezza.
Nella (chiesa, oggi manca il dono della pace, forse per la nostra
ignavia e malizia, o per una prova permessa dal Signore. In molte
nazioni la Chiesa è imbavagliata; la persecuzione è talvolta violen-
ta (prigioni e torture) il più delle volte subdola e che corrode, tesa
a calunniarla, isolarla, riportarla, se possibile,alle catacombe.
La testimonianza si fa allora difficile; i deboli abbandonano, per
trovarsi al sicuro con i più potenti. E’ il momento non di temere,
ma di essere forti: «Non dovremo temere d’essere forse in una
minoranza se saremo fedeli; non arrossiremo dell’impopolarità,
se saremo coerenti! non faremo caso d’essere dei vinti se saremo
testimoni della verità e della libertà dei figli di Dio» (Paolo VI, 12
febbr. 1976).
Il timore del Signore (biblicamente ingloba anche l’amore) è la
forza della Chiesa che cresce vittoriosa non quando realizza grandi
cose sulla terra, ma quando è maggiormente unita al suo Signore.
Oggi è in atto nella Chiesa uno sforzo di purificazione, un deside-
rio autentico e sincero di fedeltà del quale danno esempio Pasto-
ri, Ordini religiosi, fedeli. Prenderne atto è un dovere per tutti; e
più ancora collaborare, cominciando da se stessi.
Lo Spirito dà fiducia alla chiesa soprattutto in ordine alla predica-
zione della Parola e alla testimonianza, per sostenerla in una lotta,
in apparenza sovente impari.
Anno B
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La terza lettura sembra ancora approfondire i concetti fin qui e-
sposti: la necessità per il battezzato di vivere ancorato a Cristo
come il tralcio alla vite. Da soli è impossibile portare frutti di sal-
vezza e vivere in un mondo che è costituzionalmente ostile: «Voi
piangerete e vi rattristerete, e il mondo godrà». Uniti al Signore,
la nostra afflizione si cambierà in gioia (Giov 16, 20). (Si potrebbe
approfondire qui che cosa significhi oggi «rimanere in Cristo»: ob-
bedienza alla Parola e al magistero della Chiesa, vita di grazia
ecc.).
La seconda lettura infonde coraggio nel difficile cammino
dell’esistenza cristiana, quando si è consci della propria incapacità
e umiliati per le colpe. Dio però è «più grande del nostro cuore»,
scrive san Giovanni, e «conosce ogni cosa». Egli chiede soltanto
un po’ di amore, e lo sforzo per «fare quello che è gradito a lui»,
credendo e amando i fratelli nel nome di Cristo.
VI DOMENICA DI PASQUA (Letture: Atti, 10,25-27.34-35. 44-48; I Giov 4,7-10; Giov 15,9-17)
Nella prima lettura, in forma abbreviata il racconto della conver-
sione del centurione Cornelio e della sua famiglia: l’episodio che
fu provvidenziale anche per Pietro. Entrando nella casa di Corne-
lio, egli non accetta un omaggio che ritiene eccessivo per la sua
persona, ma subito s’accorge che qualcosa di meraviglioso è già
accaduto: Dio ha già parlato a quella famiglia. Pietro completa
l’istruzione prima su una verità che non era familiare al giudaismo
: tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, a qualunque popolo
appartengano e possono essere a lui accetti. Poi va oltre, e an-
nuncia Gesù di Nazaret; ed ecco che lo Spirito scende visibilmente
sui presenti come nel giorno della Pentecoste, quasi per confer-
mare quanto Pietro aveva annunciato, che Dio ama ugualmente
tutti i popoli. Mentre alcuni, giudaizzanti, si meravigliano che lo
Anno B
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Spirito sia effuso anche sui pagani, Pietro commenta il fatto, e
nell’obbedienza allo Spirito battezza Cornelio e la sua famiglia.
Ciò significava affermare che il cristianesimo è una religione indi-
pendente, «in spirito e verità», non legata al tempio, né a Gerusa-
lemme, né al mosaismo. Le conseguenze di tale scelta furono e-
normi; per molto tempo essa fu contrastata, incompresa, applica-
ta incoerentemente dallo stesso Pietro, ma irreversibile.
Ecco un esempio di come lo Spirito illumina con dolcezza la Chie-
sa, che deve lasciarsi guidare nell’ascolto e nell’obbedienza.
Il salmo responsoriale, è di lode al Signore che manifesta la sua
salvezza davanti a tutti i popoli e fino ai confini della terra.
Nel brano di vangelo prosegue la lettura del discorso dell’Ultima
Cena. Domenica scorsa, la parabola della vite e dei tralci, cioè la
necessità di rimanere con Gesù per una vita cristiana proficua.
Che cosa significa, concretamente, questa espressione? Ecco la
risposta di Gesù: «Rimanete nel mio amore»: come il tralcio nella
vite, essere inseriti nel suo amore; osservare i comandamenti;
conservare la sua Parola. A queste condizioni si è veramente, co-
me dice Gesù, suoi amici e suoi eletti. Se è grande cosa l’amicizia
umana, che conforta, aiuta, arricchisce vicendevolmente, che co-
sa mai sarà questa amicizia con il Figlio di Dio?
Un pensiero analogo pervade la seconda lettura, che riporta la ce-
lebre espressione «Dio è amore». Fu detto che se la rivelazione
cristiana avesse insegnato questa sola Verità, avrebbe già arricchi-
to enormemente il patrimonio religioso della famiglia umana. Dio-
amore che ama per primo! Per giungere a una intima conoscenza
di lui e a una piena comunione, bisogna mettersi sulla via
dell’amore ai fratelli, perché «l’amore è da Dio, e chiunque ama è
generato da Dio e conosce Dio».
Anno B
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SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE (Letture: Atti 1,1-11; Ef 1,17-23; Mc 16, 15-20)
Gesù sale al cielo e conferisce alla Chiesa il mandato di evangeliz-
zare
Oggi si legge la «finale di Marco». Questo evangelista termina
bruscamente la sua opera al versetto 8 del capitolo 16, con il rac-
conto delle pie donne che si recano al sepolcro nel mattino di Pa-
squa e lo trovano vuoto, ma un’aggiunta antichissima (per mano
dello stesso Marco o di discepoli) riassume brevemente quanto è
detto per e-steso sulle apparizioni del Risorto in altri evangelisti,
specialmente Luca e Giovanni.
Tre elementi sono degni di attenzione:
• Il Risorto invita gli Undici a percorrere il mondo intero annun-
ciando il vangelo ad «ogni creatura», perché «chi crederà e sarà
battezzato sarà salvo»: argomento centrale della nostra riflessio-
ne.
• Gesù promette ai futuri evangelizzatori un’assistenza carismati-
ca, anche attraverso a fatti straordinari (Lc 10, 17; Atti 2, 1; 3, 1).
Le espressioni «parlare in lingue, bere il veleno» ecc. non vanno
prese alla lettera, ma piuttosto nel loro valore di messaggio e
promessa: lo Spirito del Signore sarà presente nella Comunità af-
finché evangelizzi con potenza, talora intervenendo anche con
prodigi.
• L’ascensione di Cristo è narrata servendosi anche degli schemi
biblici della glorificazione (II Re 2, 11; Sal 110, 1); Luca nel libro
degli Atti, come appare dalla prima lettura, ne dà una descrizione
più completa, con approfondimenti teologici.
Ma la regalità piena di Cristo si manifesta e si estende nel mondo
per mezzo dei suoi inviati: Gesù fonda la Comunità cristiana e
promette di vivere in essa e con essa per «confermare» la sua
Anno B
61
predicazione. Su questo tema della evangelizzazione del mondo,
Paolo VI inviò, l’8 dicembre 1975, un’esortazione a tutti i cristiani,
e anche la Conferenza episcopale italiana vuole che tutti siano
sensibilizzati a questo fondamentale dovere di cristianità.
Gesù fu e rimane il grande evangelizzatore, fino al sacrificio della
sua vita; egli affidò questa missione alla Chiesa e a ciascun cre-
dente.
La Chiesa evangelizzatrice, dice il papa, deve innanzitutto evange-
lizzare se stessa; cioè deve conservare slancio, forza, freschezza,
spirito di preghiera. Per portare agli altri una parola credibile bi-
sogna costantemente convertirsi e rinnovarsi nello spirito.
(«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i
maestri o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (E-
vangelii nuntiandi n. 41).
La testimonianza è dunque elemento essenziale, forse il primo: il
cristiano deve vivere e tradurre nella pratica fede autentica, spe-
ranza, carità, solidarietà e comunione con i fratelli. «A questo tipo
di testimonianza tutti i cristiani sono chiamati e possono essere,
sotto questo aspetto, dei veri evangelizzatori» (ivi n. 21).
La testimonianza va accompagnata a tempo e luogo
dall’annuncio, che la giustifica e la illumina: bisogna saper rendere
ragione della propria speranza (I Piet 3, 15).
La seconda lettura sviluppa questo pensiero. Paolo, grato al Si-
gnore, lo prega di voler concedere ancor più la sua grazia di sa-
pienza e di rivelazione ai cristiani, affinché comprendano e siano
in grado di annunziare la speranza che è in Cristo, e il suo mistero
di salvezza.
Anno B
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VII DOMENICA DI PASQUA (Letture: Atti 1,15-17.20-26; I Giov 4, 11-16; Giov 17,11-19)
Evangelizzare con la Chiesa e nella Chiesa.
La prima lettura (elezione di Mattia in sostituzione di Giuda), al di
là del sistema di elezione piuttosto arcaico e presto abbandonato
dalla Chiesa, mostra che certe realtà, anche secondarie, del N.T.
furono predette nell’A.T. perché la Chiesa è la continuazione di
Israele. Siccome il numero dei Dodici aveva una sua sacralità (12 i
figli di Giacobbe, le tribù di Israele), Pietro vuole ricostruire quel
numero scegliendo un uomo che sia stato con essi dal battesimo
di Gesù alla risurrezione, testimone oculare. Era preoccupazione
della Chiesa primitiva di trasmettere con fedeltà il messaggio di
Gesù (detti e fatti), evitando il pericolo di alterazioni. Più tardi,
dopo la morte dei Dodici, essi non furono più sostituiti, anche
perché non era più possibile trovare testimoni oculari. Però agli
apostoli successero il papa e i vescovi, non come testi oculari ma
come successori nei ministeri sacri e come maestri e custodi re-
sponsabili della fede.
Ecco dunque un altro aspetto dell’evangelizzazione: avviene nella
Chiesa e con la Chiesa, e mai senza di essa né contro di essa. Ai
giorni nostri non mancano persone, anche ben intenzionate, che
vogliono annunciare Cristo fuori della Chiesa, ascoltare Cristo e
appartenere a lui, ma non alla Chiesa: essa, senz’altro, nelle sue
strutture e nei suoi uomini porta il peso di molti limiti, ma (scrive
Paolo VI) è pur sempre nel mondo come un segno «opaco insieme
e luminoso» di una nuova presenza di Gesù, prolungata e conti-
nuata nella preghiera, nei sacramenti, nell’Eucaristia (ivi nn. 14 e
15). Qualsiasi atto di evangelizzazione (testimonianza, catechesi,
gesti sacramentali) è sempre un atto in Cristo e nella Chiesa, che
ha le radici nella grazia del Signore e nel mandato apostolico. Ogni
Anno B
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rottura con la gerarchia, ogni dissenso con la comunità ecclesiale,
vizia la evangelizzazione: «Come lo annunzieranno se non sono
stati mandati»? (Rom 10, 15). Un’altra conseguenza di quanto ab-
biamo letto nella liturgia è la fedeltà del messaggio, prima dote
dell’evangelizzatore, secondo S. Paolo. Il cristiano non trasmette
un pensiero suo, ma una testimonianza che egli deve rivestire con
un linguaggio adatto, senza mai alterare. «Nessun evangelizzato-
re, è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice, con
poteri discrezionali di svolgerla secondo criteri e prospettive indi-
vidualistiche, ma deve farlo in comunione con la Chiesa e con i
suoi pastori» (n. 60).
In un’opera di tanta importanza, dice la seconda lettura, non si è
soli: è con noi l’amore di Cristo e la sua preghiera: in questi anni il
Maligno non dorme; lo si direbbe scatenato con violenza nel di-
sprezzo dei valori, nella derisione e persecuzione dei cristiani,
nell’insinuare le tentazioni di sfiducia ecc.
Credere ed evangelizzare significa trovarsi in opposizione al mon-
do e da esso rifiutati. Il Signore però è venuto nel mondo, si è
consacrato (cioè separato) per consacrare i battezzati nella verità
e guidarli a superare il Maligno. La odierna situazione di lotta e di
tensione è stata non solo prevista da Cristo, ma è accompagnata
dalla sua preghiera.
DOMENICA DI PENTECOSTE (Letture: Atti 2, 1-11; I Cor 12, 3-7; Giov 20, 19-23)
L’evangelizzazione nella grazia dello Spirito Santo
Pace e gioia annunciate ai discepoli (terza lettura) sono i doni che
anche oggi il Signore offre a coloro che rompono i legami con il
mondo e si uniscono serenamente a lui, in libertà interiore, anche
in mezzo alle prove.
Anno B
64
Il Risorto manda i suoi nel mondo a evangelizzarlo:
l’evangelizzazione è opera della Chiesa e da svolgersi nella Chiesa;
è dono del Risorto ai credenti. Paolo VI nell’esortazione sulla e-
vangelizzazione afferma che essa «non sarà mai possibile senza
l’azione dello Spirito Santo».
Del resto lo stesso Gesù, al Giordano ricevette lo Spirito e fu da lui
condotto nel deserto, ove lottò con il Maligno prima di iniziare la
sua missione, che poi, nota Luca, era efficace «per la potenza del-
lo Spirito Santo» (4, 14).
Ricevuto lo Spirito, gli apostoli «partono verso tutte le direzioni
del mondo per cominciare la grande opera di evangelizzazione»:
Pietro spiega l’evento come realizzazione della profezia di Gioele:
«Io effonderò il mio Spirito» (75), opera di amore. Il cristiano deve
prepararsi a questa opera, deve usare tutte le tecniche dell’arte e
del linguaggio umano, ma nulla può sostituire l’opera dello Spiri-
to. La Pentecoste sia dunque motivo di fiducia nello Spirito e nella
sua mozione che guida soavemente: ben venuto nella Chiesa il ri-
sveglio nella conoscenza dello Spirito Santo e nell’aprirsi alla sua
opera!
La prima e la seconda lettura illustrano con l’esempio e la parola
degli apostoli quanto abbiamo detto fin qui: dal libro degli Atti e
da quanto scrive san Paolo, che senza l’azione dello Spirito non si
è neppur capaci di un atto di fede in Gesù nostro Signore. Molti
sono i carismi dati per l’evangelizzazione, e ognuno deve sfruttarli
secondo la sua vocazione: ma ciò non deve dare luogo a confu-
sione e a opposizioni, perché uno solo è lo Spirito che opera tutto
in tutti. La fedeltà allo Spirito, fonte di unità, guiderà il discepolo a
evitare divisioni che già hanno lacerato il mondo cristiano e sono
ostacolo e scandalo per il mondo non ancora credente (ivi n. 77).
Anno B
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SOLENNITÀ DELLA SS. TRINITÀ (Letture: Deut 4, 32-34. 39-40; Rom 8, 14-17; Mt 28, 16-20)
L’evangelizzazione ai sacramenti e all’obbedienza a Dio.
Nel nome della SS. Trinità siamo stati battezzati, pertanto la terza
lettura presenta il brano in cui Cristo, inviando i suoi discepoli nel
mondo, dà loro l’incarico di «far discepole» tutte le genti, battez-
zandole e insegnando loro tutto ciò che egli ha comandato. Que-
ste ultime espressioni aiutano a continuare il discorso intrapreso
nelle domeniche scorse sull’evangelizzazione.
Gesù diede ai suoi l’incarico di annunciare, ma anche di battezza-
re, perché l’annuncio non si esaurisce nell’insegnamento di una
dottrina. Esso deve raggiungere «la vita naturale, alla quale dà un
senso nuovo, grazie alle prospettive evangeliche che le apre; e la
vita soprannaturale, che non è la negazione, ma la purificazione e
la elevazione della vita naturale. Questa vita soprannaturale trova
la sua espressione vivente nei sette sacramenti e nella loro mira-
bile irradiazione di grazia e di santità» (Ev. Nuntiandi n. 47).
L’evangelizzazione porta ai sacramenti, fonte di grazia e santità, e
innanzitutto al battesimo, inizio della nostra unione con Cristo.
Viceversa anche i sacramenti sono una forma di evangelizzazione:
nel battesimo si è segnati nel nome della Trinità, nell’eucaristia si
annuncia la morte e la risurrezione del Signore.
Riflettere dunque sul proprio battesimo, come lo si vive ogni gior-
no; e come si praticano gli altri sacramenti, che saranno ben poco
efficaci, anzi addirittura nocivi, se non illuminati dalla catechesi e
non accettati nella fede come azioni di Cristo e della Chiesa. Senza
tali disposizioni, si cade addirittura nel magismo, o al più
nell’abitudine. Con ogni sforzo bisogna seguire e comprendere lo
sforzo che sta facendo la Chiesa italiana in questi anni per sensibi-
Anno B
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lizzare e rendere coscienti i genitori quando chiedono il battesimo
dei figli, o gli sposi quando scelgono il matrimonio cristiano.
Il testo letto di Matteo tratta anche dell’obbedienza a quanto Ge-
sù ha comandato. Il discepolo della Parola non si qualifica per
l’ascolto, ma soprattutto per la pratica degli insegnamenti, (la
«sequela» del Maestro). L’incarnazione del Figlio di Dio non av-
venne solo per portare sulla terra una dottrina nuova e sublime,
ma per manifestare agli uomini la volontà del Padre e i suoi co-
mandamenti soprattutto l’amore per il prossimo. Gesù risorto
conferma questi suoi insegnamenti. Troppo sovente i cristiani in-
vece aderiscono con l’intelligenza alla verità, senza poi far seguire
le opere.
Notiamo infine come il Risorto dichiara di essere sempre vicino al
suo discepolo impegnato nel difficile cammino della evangelizza-
zione e della testimonianza, e «fino alla fine dei secoli». S. Matteo
chiude il suo libro su questa magnifica promessa.
Pensieri e riflessioni analoghe sgorgano anche dalla prima e se-
conda lettura.
L’autore del Deuteronomio invita a riflettere sui benefici ricevuti
dal Signore attraverso i secoli. Il battezzato, dice Paolo nel brano
dalla lettera ai Romani, ha ricevuto il dono dello Spirito che con la
sua presenza lo avvicina a Dio, fino a poterlo chiamare con il no-
me filiale di «Padre» e a sentirsi erede della vita eterna, coerede
di Gesù. Bisogna dunque prender parte anche alle sue sofferenze,
soprattutto a quelle che derivano dall’adempimento della Legge.
SOLENNITÀ DEL CORPO E SANGUE DI CRISTO (Letture: Es 24, 3-8; Ebr 9, 11-15; Mc 14, 12-16. 22-26)
Oggi la Chiesa adora, rinnova, evangelizza la «presenza reale» di
Cristo, mistero veramente grande, che mette a dura prova la fede,
che appare assurdo e nemmeno enunciabile per chi già non rico-
Anno B
67
nosce in Cristo il figlio di Dio, morto e risorto con un corpo glorio-
so, che noi crediamo presente non solo nella Casa del Padre, ma
anche nelle specie del pane e del vino dopo la consacrazione.
Il Vangelo letto, guida a una catechesi eucaristica con la narrazio-
ne di due episodi: la preparazione dell’ultima Cena e l’istituzione
dell’eucaristia. Nel testo integrale, tra i due fatti, sta il triste tra-
dimento di Giuda, qui omesso.
La preparazione della Cena avviene non senza segni di mistero,
(incontro in città con l'uomo cui basta fare una richiesta a nome
del Maestro per essere esauditi), ma si svolge poi in piena umiltà
e semplicità. E pensare che pochi giorni prima Gesù era entrato
nella stessa città di Gerusalemme solennemente acclamato dalle
turbe! La cornice dell’istituzione eucaristica invece è fatta di pochi
uomini, credenti, quasi tra fratelli che già si comprendono e impa-
rano a donarsi come si è donato lui, il Maestro. Non si dice nulla
sullo svolgimento della cena, che probabilmente fu fatta seguen-
do il rito ebraico consumando l’agnello pasquale, in memoria del
sangue che aveva segnato (e salvato) le loro case in Egitto, e anti-
cipando con la speranza profetica l’avvento del nuovo «agnello di
Dio». In questa Cena di Gesù con i discepoli il sacrificio pasquale
dell’agnello perde importanza, perché si sta immolando il vero
agnello: d’ora in poi la salvezza non sarà più nelle figure e nei
simboli, ma nel Cristo, nella sua passione e morte, misteriosamen-
te ripresentate a tutti, lungo i secoli, nell’eucaristia.
«Questo è il mio corpo; questo è il sangue dell’alleanza, versato
per molti»: la prima lettura ha l’incarico di far comprendere que-
ste espressioni di Gesù. L’alleanza del Sinai, di cui parla l’Esodo,
conclusa da Dio con il popolo per mezzo di Mosè, era stata sigilla-
ta con il sangue asperso sull’altare di Dio e sul popolo, in segno di
mutuo giuramento di alleanza. Ora, nel sangue di Cristo, come
Anno B
68
avevano predetto i profeti (Ger 31,31), si rinnova l’alleanza di Dio
con l’umanità. Ciò viene reso mistica-mente presente
nell’eucaristia e porta i suoi benefici a quanti vi partecipano in
tutti i luoghi e in tutti i tempi.
Ogni messa lega al passato, fino alla Cena e alla morte in Croce,
attraverso alle Messe della Chiesa dei secoli scorsi, del Medio Evo,
dei Padri, dei Martiri e fino alla frazione del pane cui erano fedeli i
cristiani degli Atti. Da duemila anni non ci fu settimana, domenica,
in cui non sia stato ripetuto questo rito che annuncia la morte e la
risurrezione.
Nella seconda lettura l’autore della lettera agli Ebrei paragona il
sangue di Cristo a quello dei sacrifici dell’A.T. (che pure riceveva-
no dal primo la loro efficacia). Per la condiscendenza di Dio e la
buona fede degli offerenti anche questi ultimi erano accetti quali
sacrifici di espiazione, quanto più osserva Paolo, il sangue di Cristo
senza macchia purificherà le coscienze. Anche questo, la purifica-
zione delle coscienze, è un motivo che induca ad accostarci volen-
tieri all’eucaristia, che rinnova l’alleanza e prepara giorno per
giorno all’eredità eterna.
XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Giob 38, 1.8-11; II Cor 5, 14-17; Mc 4, 35-41)
Chiuso il tempo liturgico della Pasqua e Pentecoste, inizia oggi un
nuovo ciclo delle Domeniche Ordinarie.
La prima lettura, dal libro di Giobbe, è una poetica descrizione del
mare e della sua origine: Dio creatore lo ha come tratto da un
grembo materno, per vestirlo come un neonato, assegnandogli
confini ove infrangere l’orgoglio delle sue onde. La descrizione è
meglio compresa nel suo contesto: Giobbe che si è proclamato
innocente, o almeno non più colpevole di tanti altri uomini, di-
chiara di non capire il suo cumulo di mali e sventure: l’eterno
Anno B
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problema del male, oggetto appunto di quel libro biblico. La ri-
sposta dell’A.T. è parziale e ancora imperfetta: la sofferenza non è
segno di maledizione divina, può essere anche una benedizione,
ed è permessa per fini che Dio solo conosce.
Intanto, ecco per Giobbe un primo insegnamento: bisogna affi-
darsi a Dio, umiliarsi davanti al mistero, e accettare il dolore an-
che senza comprenderne il come e il perché. Del resto, la piccola
intelligenza umana che trova già tanto mistero nell’immensità del
mare, del cosmo, del sorgere dell’aurora, come potrà non sbalor-
dirsi di fronte a Dio e alle sue inscrutabili, ma certamente sagge
disposizioni? Dunque, Giobbe (e in lui ogni mortale) deve ammira-
re il creato, facendone un gradino per salire al Creatore.
A riflessioni analoghe induce anche la terza lettura, con il miracolo
di Gesù sul vento e sul mare in tempesta. Con questo brano, Mar-
co dà inizio a una piccola raccolta di miracoli, che comprendono
anche la guarigione di un indemoniato e la risurrezione della figlia
di Giairo (che leggeremo domenica prossima). I discepoli, narra
Marco, ammirano con stupore Gesù, e ne traggono giustamente
una conclusione-interrogati vo: «Chi è costui?». Il miracolo è
sempre un segno e un invito a vedere oltre il fatto stesso.
Essi sapevano leggere nell’universo l’opera di Dio (come dice pure
il salmo responsoriale della liturgia odierna), e anche il mistero di
quest’uomo che ha sulla natura un potere simile a quello di Dio:
«In questa navigazione, commenta S. Beda, il Signore si degna di
mostrare ambedue le nature della sua unica persona, in quanto è
lui che dorme sulla barca (uomo) ed è lui che placa con la parola
la violenza del mare (Dio)».
Non è fuori luogo un accenno alla lettura tradizionale di questo
miracolo, applicandolo alla vita della Chiesa, che sta varcando nei
secoli mari in tempesta che potrebbero oscurarne la fede, ragge-
Anno B
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larne la speranza e la carità, se mancasse un costante ricorso al
Signore sempre presente e con il potere di comandare alle burra-
sche, per portarci alla salvezza.
Oggi si riprende pure la lettura della seconda lettera ai Corinti.
L’apostolo spiega la motivazione del suo zelo apostolico, così ar-
dente da far credere che egli sia «fuori di sé»: nient’altro che
l’amore di Cristo, morto per tutti. Questa verità così sconvolgente,
da far dimenticare ogni altra considerazione e conoscenza «se-
condo la carne»: bisogna vivere la nostra realtà, la rinascita in Cri-
sto.
XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Sap 1, 13-15.2,29-24; II Cor 8, 7-9. 13-15; Mc 5, 21-43)
La prima e la terza lettura riguardano un tema che interessa tutti:
la morte, cui nessuno sfugge. Rifacendosi alla teologia del Genesi
(2-3), l’autore del libro della Sapienza (che precedentemente ha
raccomandato ai lettori di non procurarsi la morte con gli errori
della vita, (cioè di non scavarsi la fossa con le proprie mani), af-
ferma che la morte (qui in senso fisico e più ancora in senso mora-
le) non fu creata da Dio che non gode della rovina dei viventi, es-
sendo vita e origine al creato. Origine della morte sono il demonio
e la debolezza dell’uomo: essa è un castigo!
Si sfugge a quanto di più negativo v’è nella morte aderendo a Cri-
sto salvatore, per mezzo della fede. Anche i giusti dell’A.T., a par-
tire dal pio Abele, non sfuggirono alla morte fisica, ma scamparo-
no a quella eterna in vista dei meriti di Cristo. Questo invocavano
nelle loro preghiere le persone pie dell’A.T., come mostra il salmo
responsoriale.
La terza lettura narra, nella redazione lunga, due miracoli di Gesù,
il secondo incastrato nel primo, come ama fare talora Marco. In
entrambi, la nota dominante è la fede nella parola di Gesù. La
Anno B
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donna fa ricorso al Signore, in modo abbastanza imperfetto; egli
perciò vuole esplicitare tale fede, affinché comprenda bene che
non l’ha salvata il contatto quasi magico con lui, ma l’incontro
personale con il Figlio di Dio salvatore. Nell’altro prodigio la figlia
di Giairo richiamata a vita) c’è un confronto tra Gesù e la morte.
Nella casa della fanciulla si celebra, con quei riti funebri, quasi la
vittoria della morte: Gesù invita i presenti ad allontanarsi, e opera
il prodigio, per illustrare il senso vero della morte e i limiti della
vittoria di essa: anche la morte è sottomessa a Dio. Le beffe dei
presenti sono segno della umana impotenza di fronte alla morte:
ecco però che la fanciulla risorge quasi simbolo e annuncio della
risurrezione di Cristo che, per sempre nella casa del Padre, secon-
do le promesse, trarrà a sé tutti i suoi, in una eterna beatitudine.
Solo dopo la risurrezione pasquale, si comprenderà appieno come
il Cristo ha vinto la morte, per sé e per tutti i battezzati. La vittoria
finale sulla nostra morte, ultima nemica dell’uomo al dire di S.
Paolo, avverrà alla fine dei tempi, quando Cristo renderà il regno
al Padre, e Dio sarà tutto in tutti (I Cor 15, 26ss.).
La seconda lettura sembra estranea al tema: è però di importanza
vitale nella Chiesa, parla della colletta organizzata da Paolo tra i
fedeli di Corinto (in genere più abbienti) a favore della Chiesa più
povera di Gerusalemme: in nome dei beni spirituali ricevuti
(scienza, fede, zelo ecc.), vogliano distinguersi generosamente an-
che in questa forma di carità fraterna: sull’esempio di Cristo che
essendo ricco (di ricchezza divina) si è fatto povero in mezzo a noi
e per noi.
I Corinzi non devono mettersi in condizioni di povertà, ma sempli-
cemente supplire all’indigenza dei poveri di Gerusalemme, me-
mori che anch’essi, e magari in beni spirituali, potranno essere
aiutati nella loro povertà.
Anno B
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L’insegnamento paolino non ha perso di attualità. Oggi, forse più
di ieri, il mondo è ingiusto nella distribuzione delle ricchezze: que-
sta situazione non deve pacificamente essere accettata, ma com-
battuta e superata con tutti i mezzi che la ragione e il rispetto del
prossimo mettono a nostra disposizione: sono tutti invitati a non
chiudere né il cuore né la borsa ai fratelli in necessità.
SOLENNITÀ DEI SS.APOSTOLI PIETRO E PAOLO (Letture: 12, 1-11 ; Il Tim 4, 6-8. 17-18; Mt 16, 13-19)
Il brano di vangelo è il testo classico che illustra la responsabilità
unica di Pietro nel collegio dei dodici. Queste espressioni chiare,
furono lungamente contestate, nei secoli, con ogni sorta di argo-
menti, da quanti volendo negare il potere di Pietro e dei suoi suc-
cessori avrebbero volentieri fatto a meno di un testo così esplici-
to.
Il nome nuovo che Gesù dà a Simone, è espressivo e indica la mis-
sione, come era avvenuto più volte nella tradizione biblica (Abra-
mo, Mosè, Gesù stesso): Simone diverrà la pietra su cui Cristo
fonderà la Chiesa; avrà le chiavi del Regno, come i re avevano le
chiavi della città; potrà legare e sciogliere, dichiarare autorevol-
mente il lecito e l’illecito, escludere o ammettere: e le sue deci-
sioni saranno ratificate nel regno dei cieli. Tali promesse impegna-
tive, sono il fondamento dell’opera che Pietro esercitò nel collegio
apostolico dopo la Pentecoste, quando per primo prese la parola,
si rese responsabile di fronte ai giudei, presiedette il concilio di
Gerusalemme. Tale «pietra fondamentale» dà alla Chiesa stabilità
e sicurezza nei secoli; essa vive e si perpetua nella persona del
pontefice romano, che da secoli vigila, soffre, guida, insegna, di
fronte alle situazioni sempre nuove in cui l’annuncio evangelico
viene a incarnarsi, per la soluzione di problemi che prima magari
Anno B
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erano sconosciuti, per la preservazione da errori, da false inter-
pretazioni.
Anche se posto a capo dei Dodici, Pietro non fu reso immune dal
peccato e dalla tentazione e dovette piangere il tradimento del
Getsemani. Allo stesso modo il pontefice romano non è reso im-
peccabile, ma è assistito dallo Spirito per guidare la Chiesa co-
scienziosamente (come ogni capo responsabile), e con sicurezza
infallibile quando deve pronunziarsi autorevolmente, come cu-
stode autentico del patrimonio della fede. Anche oggi la «pietra
angolare» della Chiesa deve resistere alle ondate che la flagella-
no; avanzano forze disgregatrici che negano ogni valore spirituale,
alleate «con la morte e con gli inferi»; (...) che si sono «fatti della
menzogna un rifugio, e nella falsità si sono nascosti», come direb-
be Isaia (28, 15).
La Chiesa però è appunto «la pietra scelta, angolare, preziosa,
saldamente fondata: chi crede non vacillerà» (Isaia 28, 16).
In Italia, la stessa persona del pontefice è stata oggetto di vilipen-
dio, a causa del suo magistero in difesa di certi valori morali (ses-
sualità, aborto ecc.), non risparmiando nemmeno la sua vita pri-
vata. Bisogna oggi, in modo speciale, pregare affinché il Signore lo
aiuti a sostenere la sua passione.
La seconda lettura presenta Paolo, campione dell’apostolato, che
alla sera della vita poté scrivere serenamente a Timoteo di aver
combattuto la buona battaglia, e di essere in attesa della corona
di giustizia. Paolo dice: «Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato
forza», nelle traversie, nelle sofferenze, nei pericoli, mentre pro-
clamava il messaggio. Tale è nei secoli la situazione della Chiesa e
dei credenti: attraverso a molte sofferenze danno la loro testimo-
nianza, con l’aiuto della grazia del Signore.
Anno B
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Anche la prima lettura invita ad atteggiamenti di preghiera e di
fiducia. Pietro è prodigiosamente restituito alla Chiesa che prega
per lui, ed è strappato dalle mani di Erode e da ciò che i giudei si
attendevano (la sua morte).
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Ez 2, 2-5; II Cor 12, 7-10; Mc 6, 1-6)
La terza lettura narra del passaggio, per i concittadini di Gesù,
dall’ammirazione al dubbio, al rifiuto e all’ostilità: come avverrà a
Gerusalemme al termine della vita pubblica. Siamo dunque di
fronte a masse di gente che non conoscono Gesù e non lo sanno
accettare come messia e figlio di Dio. Come mai? Costoro sono
stati suoi ammiratori finché hanno sentito narrare le meraviglie
da lui operate nelle altre città; ma quando lo hanno avuto in mez-
zo a loro, uomo tra uomini, che ha scelto per sé un’umilissima
condizione, non lo riconoscono più. Le sue umili origini fanno da
velo, a causa della loro superbia; il suo lavoro quotidiano «da car-
pentiere» è un ostacolo alla fede, perché i Nazaretani si attende-
vano un Messia a modo loro, con manifestazioni spettacolari. Id-
dio invece si fa conoscere nell’umile realtà quotidiana.
I battezzati sono oggi invitati a meditare sulla loro conoscenza di
Gesù. Non lo conoscono quanti non pensano affatto a lui, e cre-
dono di doversi applicare a cose più importanti; oppure lo negano
e bestemmiano. Anche i credenti e i «praticanti», ne hanno una
vera conoscenza?
Quanti profeti osserva Gesù, sono passati accanto ai loro contem-
poranei, sconosciuti e contestati!
Non si deve cercare il Signore nei miracoli e nelle manifestazioni
straordinarie, ma nell'umile dovere quotidiano, fatto in silenzio
obbedendo a Dio.
Anno B
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Marco afferma addirittura che, nella sua patria, Gesù «non poté
operare nessun prodigio». Il miracolo che i nazaretani attendeva-
no era uno sfoggio di potenza, non un «segno» del divino. Per
questo, Gesù non «poté operarlo»: egli si rifiuta di adattarsi a tali
mentalità: così si comporterà anche di fronte ad Erode, vedendo
in lui la mancanza di disposizione ad accogliere il «segno» di Dio.
«Gesù si stupiva della loro incredulità» dice ancora Marco: ecco
uno spiraglio sui sentimenti che provava la santa umanità di Gesù:
nota di tristezza e monito anche per noi.
Perché la parola di Dio operi e porti frutto, è necessaria docilità di
spirito: così insegna la prima lettura. Ezechiele, all’inizio della sua
missione, è incoraggiato da Dio, e invitato a parlare, benché si
tratti di un popolo «ribelle, testardo e con il cuore indurito». Il
profeta non deve tacere, prescindendo dall’esito della sua predi-
cazione: «ascoltino o non ascoltino». La sua parola ha in sé capa-
cità di salvare e dimostra, se c’è ancora la presenza del profeta in
mezzo a loro, che Dio non li ha abbandonati. E’ facile applicar
questo all’ascolto della Parola di Dio anche oggi.
Merita una particolare attenzione la seconda lettura con le confi-
denze di Paolo ai fedeli di Corinto. Dopo aver ricordato gli insigni
favori che Iddio gli ha concesso (visioni e rivelazioni), con tutta
umiltà e sincerità egli confida in linguaggio velato e metaforico le
prove cui è sottomesso, veramente insopportabili se egli pure con
tanta capacità dì soffrire, ne chiede al Signore la liberazione. Forse
si tratta di qualche noiosa malattia o, come credono i più, di vio-
lente opposizioni e contraddizioni al suo ministero, che molto lo
ostacolavano e amareggiavano.
Il Signore lo ha esaudito, ma in senso diverso dalla sua richiesta:
con la grazia di Dio, sopportare! Nella sua debolezza si manifeste-
rà la potenza di Dio. Paolo comprese la lezione di Dio: oltraggi,
Anno B
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persecuzioni e angosce non gli mancheranno più; saranno la sua
debolezza, perché in esse appaia la forza e la potenza amabile di
Dio.
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Amos 7, 12-15; Ef 1, 3-14; Mc 6, 6-13)
Nel brano di vangelo Gesù descrive a grandi linee il comporta-
mento dei suoi discepoli e lo stile della loro testimonianza. Evi-
dentemente gli esempi addotti non vanno presi alla lettera: non si
tratta di un manuale di norme di comportamento, ma di illustrare
lo spirito della vita apostolica.
Forse l’andare a due a due può indicare la carità e lo spirito di col-
laborazione e non di antagonismo con cui affrontare il regno del
demonio; le prescrizioni: senza bisaccia ecc. dicono, nell’insieme,
il distacco dalle cose umane, dall’interesse, dalla bramosia di po-
tenza in spirito di servizio. Il discepolo dev’essere anche disponibi-
le all’insuccesso; il missionario deve parlare, «ascoltino o non a-
scoltino». Poi ognuno porterà davanti a Dio e alla coscienza la sua
responsabilità.
Anche la prima lettura presenta, con quel breve racconto
dall’A.T., il quadro delle disposizioni dell’apostolo di Dio in ogni
tempo e in ogni luogo. Il profeta Amos ha accolto una vocazione
religiosa che lo ha sradicato dalla terra di Giuda per portarlo nel
regno ostile del Nord ad annunziare parole dure al popolo, ai sa-
cerdoti e al re: la loro condotta ingiusta, avida di denaro e di po-
tenza, sta attirando sulla nazione il castigo di Dio.
Alla predicazione coraggiosa del profeta si oppose Amasia, sacer-
dote del santuario di Betel, sempre pronto ad accettare
l’istituzione così com’era per amore di quieto vivere e di protezio-
ne, senza contestazioni o correzioni. Vennero allo scontro: Amos
dichiarò di parlare con franchezza per ordine del Signore, che lo
Anno B
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aveva preso dal suo lavoro, per inviarlo. La storia gli diede ragio-
ne: egli vedeva giusto, mentre l’interesse di parte, l’amore alla
tranquillità, la paura di dire il vero ai potenti, faceva velo ad Ama-
sia.
Con questa domenica inizia la lettura della Lettera agli Efesini, una
delle cosiddette lettere della prigionia (scritte da Paolo quando è
a Roma in attesa di giudizio). Paolo era veramente uomo libero,
privo di preoccupazioni per se stesso; egli non racconta la sua sor-
te o le sofferenze della prigionia romana, bensì (quasi cantando) il
suo ringraziamento al Signore, il quale a sua volta ha benedetto
noi «con ogni benedizione spirituale in Cristo». Seguono parole
che costituiscono quasi una breve sintesi del mistero cristiano. Fin
dalla creazione, anzi dall’eternità, l’umanità è oggetto dell’amore
di Dio: non in forza di nostri meriti o delle nostre possibilità, ma
come nuove creature rinate in Cristo.
E tutto ciò «nel Sangue di lui» la remissione dei peccati. «Noi sia-
mo troppo abituati a sentir parlare, e a parlare noi stessi, del san-
gue di Cristo. Ma quando il sangue scorre realmente, allora
l’uomo viene scosso in modo profondo. Sangue che scorre, è vita
che se ne va. Dobbiamo imparare a pensare con estrema serietà
al sangue di Cristo, perché esso significa tutta la realtà storica del-
la morte in croce di N. S. (...) E’ qui il segreto di una meditazione
veramente feconda dei testi sacri: nel ravvivare, nella nostra vita
di fede, quelle cose a cui siamo abituati e che perciò ci risultano
sbiadite» (Zerwick, Efesini, p. 35)
XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Ger 23, 1-6; Ef 2, 13-18; Mc 6, 30-34)
Questo brano di vangelo è più comprensibile alla luce
dell’esperienza di missione fatta dai Dodici, letta domenica scor-
sa.
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A quanto essi hanno detto e fatto, Gesù in risposta offre loro, un
momento di riposo e di quiete: invito a tutti i cristiani (ognuno è
un apostolo), particolarmente ai più impegnati, a trovare nella
propria vita momenti di quiete, di solitudine spirituale e di rifles-
sione religiosa. Non può durare a lungo una vita troppo agitata sia
pure per attività «apostoliche» senza adeguati spazi di solitudine
interiore per incontrarsi con Dio, riflettere, e riprendere nuova lu-
ce ed energia. I modi pratici sono svariati nel mondo, ancora in
mezzo alle occupazioni, oppure nel ritiro, secondo l’esperienza
tradizionale di qualche giorno o almeno di qualche ora (ritiri spiri-
tuali, esercizi ecc.).
Anche la condotta della folla che segue Gesù è un monito: «non
su cavalcature o carri, ma a piedi» (S. Girolamo), e certamente
con notevole fatica. Il Signore ne ha compassione, e questa folla
meriterà di ascoltarlo e di partecipare al miracolo della moltiplica-
zione dei pani.
Oggi nelle chiese, nella predicazione, nei libri ecc. è abbondante
(anche se con limiti) la Parola di Dio. Come essa viene ascoltata?
Gesù ebbe compassione delle folle divenute come pecore senza
pastore, e se ne prese cura lui stesso. Ciò era stato oscuramente
previsto e predetto dal profeta Geremia (prima lettura) in un
momento tragico della storia ebraica, alla vigilia della distruzione
del regno di Giuda (587 a.C.). Tutti i capi (re e sacerdoti compresi)
avevano abbandonato alla sua sorte il popolo, preoccupati uni-
camente di sé e delle proprie cose. Di fronte a tale contegno incu-
rante ed egoista Geremia annuncia che Dio si prenderà cura di
quelle pecore ora scacciate perfino dalla loro terra, in un duro esi-
lio. E predice che verranno giorni in cui Dio susciterà un discen-
dente di Davide giusto e santo (a differenza degli attuali) perché
eserciti il diritto e la giustizia. Sotto la guida di questo pastore di-
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vino è oggi la Chiesa, e in lei l’umanità intera, come diciamo
nell’odierno salmo responsoriale.
«Pace ai lontani e ai vicini, dice il Signore» ha scritto Isaia. Lontani
(da Dio) erano appunto gli Efesini ai quali scrisse Paolo (seconda
lettura), in quanto pagani, adoratori di idoli; vicini, erano gli ebrei
che già conoscevano l’esistenza dell’Unico Dio e ne avevano a-
scoltato la parola.
Ma in Cristo Gesù, grazie al suo sangue, tutti sono chiamati a es-
sere «vicini», perché egli ha abolita ogni differenza, ogni muro di-
visorio tra i due popoli (e tra tutti i popoli), creando una umanità
nuova riconciliata con Dio. Ormai senza distinzione di vicini e lon-
tani «per mezzo di lui (Cristo) possiamo presentarci gli uni e gli al-
tri al Padre in un solo Spirito».
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: II Re 4,42-44; Ef 4, 1-6; Giov. 6, 1-15)
Il miracolo della moltiplicazione dei pani è narrato da tutti quattro
gli evangelisti (cosa abbastanza insolita); esso rimase impresso
nella memoria religiosa degli apostoli ed ebbe importanza nella
catechesi della Chiesa primitiva.
La liturgia domenicale, che quest’anno segue passo passo la lettu-
ra di Marco, qui lo abbandona per darci la narrazione secondo
Giovanni. Infatti il quarto vangelo fa seguire al racconto del fatto
anche l’interpretazione che ne diede Gesù, in un discorso sul pane
di vita, la fede in Cristo e nell’Eucaristia. (Soltanto nella domenica
XXII riprenderà la lettura di Marco).
Gesù opera il prodigio vicino alla Pasqua circondato da una gran-
de folla. Così, il Maestro è come il grande condottiero Mosè, che
in occasione della Pasqua salvò gli ebrei e ottenne loro un pane
miracoloso non più dimenticato, la manna.
Anno B
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La narrazione giovannea riecheggia parecchi tratti di un prodigio
operato all’A.T. dal profeta Eliseo, come narra la prima lettura.
Nell’uno e nell’altro caso, l’invito a sfamare le folle, l’obbiezione
che questo è impossibile, la narrazione del prodigio, la cura degli
avanzi. Percorrendo le letture prima e terza, risaltano bene le af-
finità dei due racconti, ma il miracolo di Gesù è in proporzioni più
grandi: in un deserto, di fronte a cinque mila uomini. Forse anche
questo linguaggio vuol dire che egli è più di un profeta, sia pur
taumaturgo come Eliseo, infatti, dopo il miracolo il popolo vor-
rebbe far re Gesù, tanto sono ancora prigionieri della speranza in
un Messia terreno! Gesù invece trarrà ben altre conclusioni e altri
insegnamenti dal suo prodigio, come si leggerà nelle prossime
domeniche. Con questo miracolo egli offre alle folle un pane rea-
le, ma anche simbolico (prefigurazione del mistero eucaristico).
Certe espressioni del racconto («prese il pane, dopo aver reso
grazie, lo distribuì ecc.») fanno pensare per anticipazione al gran-
de rito eucaristico con cui Cristo comunicherà se stesso agli uomi-
ni sotto le apparenze del pane: pane del cielo, che avvicina Cristo
ai suoi fratelli, e li unisce tra loro.
La seconda lettura, dalla seconda parte della lettera agli Efesini,
contiene esortazioni pratiche: attenzione ad alcuni vizi (le opere
delle tenebre, menzogna, impudicizia, ira ecc.); ammonimenti per
determinate categorie, genitori e figli, schiavi e padroni ecc.
La prima esortazione di Paolo, in carcere, ai cristiani è di compor-
tarsi «in maniera degna della propria vocazione», un programma
elevato, che l’apostolo illustra con maggiori particolari : avere an-
zitutto una buona dose di umiltà, nella ricerca dell’ultimo posto;
mansuetudine e pazienza rinunciando a imporsi con la violenza,
senza mai colpire, anche se si è colpiti. I cristiani, in tal modo, ri-
marranno uniti nello Spirito e nella pace.
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L’ultimo brano della lettura è un commovente invito a vivere
nell’unità, perché tutti formiamo un solo corpo (la Chiesa); ab-
biamo un solo Signore (Gesù); siamo stati battezzati in un unico
Spirito; e, in tutti e sopra tutti, v’è un unico Padre. Tale richiamo
all’unità non poteva essere più pressante e più teologico. Bisogna
meditarlo, in questi nostri tempi ricchi di divisioni, come ha detto
Paolo VI: «tra gli stessi fratelli di fede c’è discordia, avversione e
perfino tradimento (...). «Talvolta gli amici più cari, i colleghi più
fidati, i confratelli della medesima mensa son proprio quelli che si
sono ritorti contro di noi. La contestazione è divenuta abitudine,
l’infedeltà quasi affermazione di libertà» («Osservatore Romano»,
13 maggio 1976).
XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Es 16,2-4. 12-15; Ef 4, 17.20-24; Giov 6,24-35)
Domenica scorsa la moltiplicazione dei pani, ove Gesù di fronte ai
giudei dimostra di essere uomo straordinario e profeta.
Nella terza lettura odierna c’è invece l’interpretazione e la lettura
del fatto miracoloso fatta da Cristo: un segno che dev’essere
compreso bene; il sigillo del Padre sul Figlio e sulla sua opera, di
portare all’uomo non il pane materiale, ma quello «per la Vita e-
terna», così che gli uomini credano, per poter essere salvi. Gli a-
scoltatori, citando l’esempio di Mosè che aveva dato la manna,
chiedono anche a Gesù un segno. Egli risponde che non fu Mosè
ad operare il prodigio, bensì lo stesso Padre che ha inviato il Figlio
per la vita del mondo, perché fosse il vero pane.
La prima lettura dall’Esodo riferisce, i celebri prodigi della manna
e delle quaglie. Anche se questi hanno qualche riscontro nella na-
tura (la manna è dovuta alla secrezione di insetti che vivono su
certe tamerici nel Sinai; il passaggio di stormi di quaglie non vi è
sconosciuto), tuttavia essi si avverarono in modo prodigioso a fa-
Anno B
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vore del popolo di Dio nel deserto, facendogli comprendere la
Provvidenza e l’amore del Padre.
Molti salmi (come quello odierno responsoriale) e altri libri biblici
(cfr. Sap. 17,20-21) cantano questi prodigi, esaltandone i contorni,
in tono di lode e ringraziamento a Dio, facendone occasione di ri-
flessioni sulla sua volontà salvifica, sulla elezione di Israele.
Nella seconda lettura, san Paolo proseguendo nelle esortazioni
morali, raccomanda ai cristiani di non comportarsi come i pagani,
essi infatti hanno «imparato Cristo», forma molto espressiva che
«Imparare Cristo» significa conoscerlo; seguirlo nell’obbedienza
della fede; comprendere ciò che Dio ha fatto a nostro favore in lui
e per mezzo di lui; iniziare una condotta di vita non solo da lui i-
spirata, ma in intima unione con lui.
Paolo esorta ancora il cristiano a «dar ascolto a Cristo», cioè sen-
tirlo presente nella Parola, nella predicazione, nella Chiesa. Anche
l’espressione «in lui siete stati istruiti» sottolinea che la fede non
ci ha soltanto istruiti in qualche verità, ma in Cristo, nella familia-
rità, con lui, per vivere «secondo la Verità che è in lui». I battezza-
ti sono dunque creature nuove che poco a poco si spogliano solo
di qualche difetto, ma di tutto l’uomo vecchio con la sua realtà
corrotta, per rivestire Cristo, l’uomo nuovo ed esserne memoria
vivente tra i fratelli.
Tale trasformazione è già avvenuta, per grazia, nel Battesimo, e si
ratifica, approfondendosi giorno per giorno, di fronte a ogni nuo-
va decisione, con un continuo crescere.
XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: I Re 19,4-8; Ef 4,30-52; Giov 6, 41-51)
La terza lettura ritorna sulla reazione dei giudei al discorso di Ge-
sù dopo la moltiplicazione dei pani. Alcuni si fermarono alle appa-
renze: Gesù figlio di Giuseppe e di Maria, «come può dire Sono
Anno B
83
disceso dal cielo?». Non sapevano levar lo sguardo, e aprire gli oc-
chi di fronte ai molteplici segni da lui operati.
Gesù commenta «Nessuno viene a me, se il Padre non lo attira»,
non nel senso che qualcuno possa essere attratto alla fede come
per forza. Non è possibile essere attratti a Cristo, nostro malgra-
do, né credere contro volontà. «Tutti sono ammaestrati da Dio»;
cioè sono attratti dalla parola, dall’amore che è in Cristo, dalla sua
verità e beatitudine. Ma non tutti sono docili, credono, si lasciano
«attrarre» o «ammaestrare» dal Padre, come invece fece Pietro, e
come non fece Giuda, che oppose resistenza fino alla fine.
La volontà dell’uomo e l’attrazione (o grazia) del Padre si incon-
trano e assommano; la volontà umana deve lasciarsi «attrarre»,
collaborare. Il padre ci attrae a Cristo. «Con queste parole, com-
menta S. Agostino, il Signore ci annuncia una grazia»: occorre a-
prirsi a essa, non chiuderle la porta con l’indifferenza, volgendosi
ad altri interessi.
Di questa grazia del Padre e della fede in Cristo, per ciascun uomo
e per l’umanità, con l’episodio di Elia nel deserto parla la prima
lettura. Anche il profeta, uomo come tutti noi, sta per cadere sot-
to il peso delle difficoltà e sofferenze. Era rimasto solo, e i suoi
colleghi profeti, fedeli come lui, erano stati uccisi per ordine della
regina Gezabele. L’angelo del Signore, secondo la tradizione bibli-
ca, lo incoraggia, lo nutre e lo disseta affinché riprenda la sua dura
vita.
La parola di Dio e il sacramento eucaristico sono il nutrimento e la
forza del cristiano nel cammino, talora aspro, della testimonianza
nel mondo.
Nella seconda lettura Paolo invita il fedele a non rattristare lo Spi-
rito, presente in noi fin dal battesimo. Paolo sente lo Spirito, terza
Persona della Trinità, con tale forza, da scongiurare i cristiani a
Anno B
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non «rattristarlo», come se lo Spirito potesse ricevere da noi gioia
o dolore. In realtà, ogni colpa è un «no» allo Spirito: maldicenza,
sdegno, ira ecc. turbano la pace con Dio, tendono a cancellare la
sua opera di santificazione; in parole più umane, tendono a «rat-
tristare» lo Spirito.
Infine, una particolare esortazione al perdono cristiano, ben sa-
pendo quanto è difficile per noi perdonare veramente e sincera-
mente, a fatti e non solo a parole. La motivazione di tal gesto fra-
terno è molto alta, e sta nientemeno che nel perdono stesso di
Dio, totale da ciascuno esperimentato in ogni giorno della vita.
Chi perdona ai fratelli è sicuro di camminare sulle orme di Dio e di
Cristo, che «per noi ha dato se stesso».
SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE DELLA
B. V. MARIA (Letture: Ap 11, 19; 12, 1-6. 10; I Cor 15,20-26; Lc 1,39-56)
La solennità odierna ricorda il mistero della Madre di Cristo «ele-
vata, corpo e anima, alla gloria del Cielo, al termine della sua vita
terrena». Questa antica fede della Chiesa di Oriente e di Occiden-
te è ben radicata nel popolo cristiano, come provano le innume-
revoli chiese, cappelle, figurazioni, e la devozione ininterrotta alla
«Assunta». Questa fede fu solennemente affermata e confermata
da papa Pio XII. La fantasia corre volentieri alla raffigurazione del
fatto (come han fatto artisti e pittori), e alle modalità. La doman-
da è lecita, anche se come diremo, non coglie l’essenziale. Non si
è in grado di comprendere che cosa è una «assunzione al cielo in
corpo e anima». Aiutano un pochino alcune scene evangeliche
come la trasfigurazione di Gesù e le sue apparizioni dopo la risur-
rezione. In quei due casi gli apostoli presero in qualche modo con-
tatto con un corpo glorioso, uscito dalla sfera di questa vita, tra-
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sformato per l’eternità. E ne rimasero sbalorditi, attoniti, quasi
incapaci a descrivere la loro esperienza.
La considerazione più importante però è un’altra: cogliere il senso
salvifico del mistero dell'Assunta per lei stessa e per noi: è la vita
in Cristo, che è «la primizia» (seconda lettura). La stessa sorte di
Cristo avranno gli eletti, alla fine, quando egli consegnerà il regno
al Padre.
Quindi, in Maria, anticipando, la salvezza è così piena e completa,
nel corpo e nello spirito. Privilegiata per bontà di Dio e per la sua
corrispondenza alla grazia, essa sta ora innanzi a tutti come mo-
dello cui ispirarsi, e come regina cui rivolgere la nostra preghiera.
Per questa ragione la tradizione cristiana venera Maria come re-
gina degli angeli e dei santi; per questo, si parla della sua incoro-
nazione in Cielo: metafore che esprimono poveramente, come è
possibile, il ruolo di Maria e la sua potenza di amore e di interces-
sione verso coloro che ancora attendono «gementi e piangenti» la
redenzione. La festa dell’Assunta è festa della speranza cristiana.
La prima lettura può risultare un po’ ostica per ambienti non pre-
parati al genere apocalittico (v. «Ministero Pastorale» 1975, p.
441). Forse sarà opportuno sostituirla, per esempio con quella
della Messa della vigilia.
(I Cron 15,3-14. 15-16). A ogni modo, l’arca dell’alleanza, simbolo
della presenza di Dio in mezzo al popolo, custodita religiosamen-
te, dove soltanto il sommo sacerdote si recava una volta l’anno,
non era che un simbolo. I profeti, specialmente Geremia, ne pre-
dicano la scomparsa, perché sarebbe venuto un tempo in cui la
presenza del Signore sarebbe stata ben altrimenti sentita.
Assai più dell’arca, Maria fu la vera portatrice della presenza di
Dio, in Cristo, portandolo a Elisabetta, offrendolo ai Magi, al vec-
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chio Simeone, e sul Calvario. Con Il suo esempio e la sua interces-
sione continua a portare Dio agli uomini.
La terza lettura è il «magnificat», preghiera fatta da Maria, con
numerose risonanze di antichi canti biblici. E’ anche un modello di
preghiera, perché Dio viene lodato, adorato, ringraziato. E’ anche
un insegnamento a saper leggere l’opera di Dio nella propria vita,
nella storia della salvezza e nelle travagliate vicende del mondo.
XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Gios 24, 1-2. 15-18; Ef 5,21-32; Giov. 6,60-69)
Per l’ultima volta la terza lettura presenta un brano del discorso di
Gesù dopo la moltiplicazione dei pani. L’annuncio del dono di sé,
(carne e sangue) in cibo spirituale agli uomini, da «molti dei suoi
discepoli» viene considerato un «discorso duro» e «chi può inten-
derlo?». Causa di ciò è che essi non si aprono allo Spirito (che vivi-
fica): la carne (la semplice umanità) non basta. La ricerca eccesiva
di sé, l’attaccamento superbo e sicuro alla propria opinione sono
ostacolo a quell’umile accettazione dalla parola di Dio che è la fe-
de. Di fronte all’incredulità dei molti, che da allora «non andavano
più con lui» è tanto più commovente e degna di rispetto la fede
dei Dodici espressa da Pietro («Tu solo hai parole di vita eterna»),
che va facendosi sempre più matura, vera, e consapevole di tro-
varsi di fronte ad un evento misterioso. Comunque, il fatto di
quell’abbandono di Gesù non può lasciare indifferenti. Agostino lo
additava come ammonimento per tutti: «Proprio questo accadde
al Signore: dire la verità e perdere molti discepoli. Quando una
cosa simile accade a noi, ne restiamo turbati: consoliamoci
sull’esempio del Signore; tuttavia cerchiamo sempre di essere
prudenti quando parliamo».
A nome dei Dodici S. Pietro dichiara: «Noi abbiamo creduto e co-
nosciuto che tu sei il Santo di Dio». La successione dei due verbi è
Anno B
87
interessante: credere, e poi conoscere (Giov 6, 64). La fede per-
mette una vera conoscenza di Cristo, che, secondo il concetto bi-
blico, non è soltanto intellettuale, ma è amore e partecipazione
alla sua stessa vita.
La prima lettura illustra appunto una scelta di fede con un raccon-
to tratto dall’A.T. Giosuè invita il popolo a fare una scelta: servire
gli dèi, o l’unico Signore. Gli ebrei, che da poco avevano lasciato il
deserto, per la terra loro data dal Signore, rinnovano con entusia-
smo l’Alleanza, e si impegnano a viverla. Purtroppo poi anch’essi
non sempre furono fedeli alle promesse e dovettero più volte e-
sperimentare il peso del rimorso e anche del castigo.
La seconda lettura, dalla lettera agli Efesini, espone i doveri di una
famiglia (di tipo romano, comprendente oltre ai genitori e figli an-
che gli schiavi). Nell’esortazione c’è la novità cristiana nella visio-
ne della famiglia e nell’accettazione dell’ambiente culturale e so-
ciale del tempo.
La novità è che i doveri familiari sono posti subito dopo, e in con-
nessione con quelli liturgici (5, 18 ss.), quasi a dire che nella fami-
glia continua la Chiesa («chiesa domestica»). Il matrimonio non è
più semplice contratto che implica diritti e doveri è anzitutto un
mistero (sacramento), unione di due battezzati, che riproduce
quella di Cristo e della Chiesa; amore fatto di sacrificio, dedizione,
purificazione e santificazione vicendevole.
La descrizione del rapporto sposo-sposa è quella del tempo, con
riconosciuta posizione di inferiorità della donna. Oggi la situazione
si è evoluta a favore dell’eguaglianza dei due, cosa assai più coe-
rente con la dottrina cristiana, quale appare dal Genesi ai Vangeli,
e da cui lo stesso Paolo non aveva ancora tratte tutte le conse-
guenze. Questa concezione imperfetta, tuttavia accettata
dall’ambiente ecclesiale del tempo, fu largamente temperata dal-
Anno B
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la dottrina che fa dell’amore matrimoniale nientemeno che
l’espressione dell’amore di Cristo e della Chiesa.
XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Deut 4,1-2.6-8; Giac 1, 17-18. 21-22. 27; Mc 7, 1-8. 14-
15.21-23)
La lettura del Vangelo descrive Gesù in polemica con i farisei e gli
scribi: vogliono metterlo alla prova, non ascoltarlo con animo di-
sponibile. Intendevano contrabbandare certe tradizioni socio-
religiose come espressione di grande religiosità: purificazioni, a-
bluzioni ecc. Marco illustra questi usi e riti al suo lettore che, pro-
veniente per lo più dal paganesimo, ne era all’oscuro.
Come gli antichi profeti, Gesù prende posizione contro queste
tendenze: «religiosità» nella sua vera essenza è incontro con Dio,
apertura alla sua Parola, obbedienza alla legge morale, non osser-
vanza materiale e superstiziosa di «tradizioni di uomini». Sono
senza valore certi «tabù» alimentari della tradizione giudaica (dif-
ficili a morire anche poi nella prima comunità cristiana, cfr. Atti
15,20). Gesù insegna apertamente che la malvagità non sta nelle
cose create ma nel cuore dell’uomo e nell’intimo del suo spirito,
ove egli può operare scelte malvagie: queste ultime portano
all’uomo fornicazione, furto, omicidio, adulterio e altre vere con-
taminazioni.
Quel tipo di religiosità, in forme diverse, può ripresentarsi nel po-
polo di Dio in ogni tempo: quindi, illuminati dalla parola di Dio e
della Chiesa, è necessario vigilare per non ricadere in forme di re-
ligiosità puramente esteriori, prive di contenuto autentico che
non onorano Dio, non edificano chi le pratica e scandalizzano il
prossimo.
Nella prima lettura, dal Deuteronomio Mosè presenta la Legge al
pio israelita, Egli raccomandando di osservarla senza tagli e senza
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aggiunte indebite, senza orgoglio, ma con legittima fierezza in
mezzo agli altri popoli: essa è soprattutto un segno della vicinanza
di Dio. Ciò è lontano dalla mentalità farisaica, quindi si può meglio
comprendere la gravità delle deviazioni condannate da Gesù.
Queste considerazioni non perdono per nulla della loro attualità,
anzi ne acquistano. E’ sufficiente, al posto della legge dell’A.T.
porre quella di Cristo; e le applicazioni diventano facili e numero-
se.
Con questa domenica inizia la lettura della lettera di Giacomo.
Personaggio molto importante nella Chiesa di Gerusalemme, egli
va distinto da Giacomo fratello di Giovanni ucciso da Erode nel 42
d.C. per far piacere ai Giudei. Questo Giacomo, nella tradizione è
detto «il Minore», fu vescovo nella città di Gerusalemme, ed era
probabilmente cugino («fratello») del Signore. Forse per tale cir-
costanza ebbe particolare autorità nella prima comunità cristiana.
Ebbe una parte importante al concilio di Gerusalemme (anno 50
c.) nel tentativo di mediare (come apostolo tra gli ebrei) le ten-
denze della Chiesa giudeo-cristiana con quelle degli ellenisti.
La lettera di Giacomo è caratterizzata da un alto insegnamento
morale, in particolare per la dottrina sulla necessità di accompa-
gnare la fede con le buone opere.
Nel brano di oggi Giacomo invita i credenti a risalire dai doni divini
visibili alla bontà di Dio Padre, che nel suo amore non varia,
dall’oggi al domani come purtroppo fanno gli uomini. Gran dono
di Dio è la Parola, che non soltanto si deve ascoltare, ma «fare».
La prova della validità dell’ascolto è l’esercizio della carità cristia-
na.
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XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Is 35,4-7; Giac 2, 1-5; Mc 7, 31-37)
La Decapoli del vangelo è in territorio pagano, al nord della Gali-
lea, oltre Tiro e Sidone. Anche là si è sparsa la fama di Cristo, ed
ecco gli conducono un sordomuto «pregandolo di imporgli la ma-
no», forse, da buoni pagani, ritengono che il solo gesto abbia già
in sé forza taumaturgica.
Gesù porta il sordomuto in disparte (per sottrarlo un po’ alle fol-
le), e con gesti esteriori (le dita negli orecchi, la saliva sulla lingua)
lo guarisce. Manca il dialogo (il malato è sordomuto), ma i gesti
sono espressivi della forza del contatto e del potere insita nel vo-
lere di Gesù.
Di fronte al miracolo, operato in terra straniera e pagana, la folla
commenta: «Ha fatto bene ogni cosa ecc.»: lo dichiara così uomo
mandato da Dio.
Marco sottolinea con accuratezza che al sordomuto si aprirono gli
orecchi, si sciolse la lingua e «parlava correttamente», forse ve-
dendo nel gesto di Gesù un simbolo e quasi un annuncio dei sa-
cramenti (gesti che producono una grazia). Nel sordomuto guarito
la Comunità primitiva riscontrava un’immagine di se stessa, fino a
ieri pagana e sorda ai richiami della retta ragione e alla Parola di
Dio, prigioniera di una secolare idolatria. Ora Cristo le ha miraco-
losamente fatto udire la Parola, invitandola a parlare, con forza e
«correttamente» dinanzi al mondo intero.
Anche noi siamo invitati a ringraziare per il dono dell’ascolto e
della testimonianza. Ognuno ha precisi doveri al riguardo, almeno
nel proprio ambiente.
I grandi strumenti audiovisivi oggi raggiungono l’uomo anche ne-
gli angoli più sperduti della terra portando la voce del mondo. La
Anno B
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Chiesa, pure contando di più sulla grazia del Signore, deve essere
attenta anche a questi mezzi.
La prima lettura, dal profeta Isaia, è consolazione per gli ebrei del
suo tempo, esuli dalla città di Gerusalemme, promessa e annun-
cio di punizioni divine per i malvagi nemici e di premio per quanti
rimangono fedeli al Signore. Ciò è detto con le tradizionali imma-
gini profetiche: fioritura nel deserto, nuovo Esodo attraverso ter-
re desolate sotto la protezione di Dio, umanità nuova, senza più
infermità fisiche e morali, segno della colpa e del giudizio di Dio.
Queste parole profetiche sono valide anche per il popolo cristia-
no, il cui cammino avviene tra le consolazioni di Dio e le sofferen-
ze del mondo. La vittoria, cioè l’arrivo nella patria beata, è certa.
Nella seconda lettura un pressante appello, introdotto con
l’espressione «fratelli miei», su un tema decisamente importante
di etica cristiana.
Nella comunità di Gerusalemme Giacomo aveva notato gravi stor-
ture, culti della personalità del tutto fuori posto dato che solo Cri-
sto è il vero re della gloria; e non altri, meno che mai i ricchi.
L’apostolo esemplifica in modo paradossale, e conclude che quel
contegno nasce dall’apprezzare più la gloria del mondo, che quel-
la di Dio che invece ha scelto i poveri, quelli che non contano e
non interessano, per farli ricchi di fede, Non fare dunque distin-
zioni classiste, né accordare, nelle comunità cristiane, più impor-
tanza a chi è ricco o ha determinati doni di natura; giudicare inve-
ce con il metro della fede e dell’amore.
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Is 50,5-9; Giac 2, 14-18; Mc 8,27-35)
Il brano evangelico contiene la prima predizione della passione, il
rimprovero di Gesù a Pietro e l’invito ai discepoli a prendere la
propria croce: è un punto centrale nel racconto di Marco, che nei
Anno B
92
capitoli precedenti ha presentato la figura di Gesù, i suoi miracoli
e principali insegnamenti.
Mentre il gruppo è al nord della Palestina, a Cesarea di Filippo,
Gesù stesso chiude questo ciclo di predicazione rivolgendo ai suoi
la famosa domanda: è come un sondaggio tra le folle e tra i suoi.
Per conoscere una persona non basta incontrarla qualche volta, o
coabitare con essa per qualche tempo. Non fa meraviglia dunque
che mancasse tra le folle una conoscenza vera della personalità
ricca e misteriosa del Figlio di Dio. La gente si disperde in opinioni
varie e incerte, anche se concordano che si tratta di una figura re-
ligiosa eccezionale, un nuovo Elia, un Battista, un profeta.
Pietro che esprime a nome di tutti: «Tu sei il Cristo, il Messia»,
non è detto che valutasse il significato pieno di tale espressione,
tanto che, poco dopo, meritò un aspro rimprovero da Gesù, per-
ché si ribellava all’idea di un Messia sofferente.
Forse qui ha origine la severa proibizione di Gesù a parlare. Le i-
dee sono ancora troppo confuse; è meglio attendere ancora.
Ammonimento valido anche oggi. E’ doveroso parlare di Cristo,
essere apostoli; prima però bisogna conoscerlo: questa testimo-
nianza (parole e opere) cui si è chiamati è troppo preziosa per es-
sere affidata all’improvvisazione. Prima si deve riflettere, pregare,
fare esperienza di vita religiosa. La scarsa incisività di certa pre-
senza cristiana è dovuta a insufficiente preparazione: prima biso-
gna possedere Cristo, attraverso un lungo lavoro di meditazione
sulla Parola, preghiera, vita nei sacramenti e nella comunità.
Nel vangelo, Gesù allude chiaramente alla sua futura passione
morte e risurrezione, richiamandosi in qualche modo al profeta
Isaia, riferito nella prima lettura. Il futuro servo di jahvè parla del-
la sua vocazione e dell’accettazione della volontà di Dio, senza
Anno B
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opporsi né tirarsi indietro, accettando insulti e violenze paziente-
mente, nella sicurezza di trovare in Dio difesa e ricompensa.
Nell’A.T., uomini come Abramo Giobbe, Elia, Geremia, hanno ac-
cettato immensi dolori nel servizio del Signore: altrettanto do-
vranno fare i seguaci di Gesù, che rimane al centro della storia e
modello di servo che meglio di altri ha fatto sua la volontà espia-
trice per i fratelli.
L’odierno salmo responsoriale è un tipo di preghiera di questi sof-
ferenti di ogni tempo, che accettano nell’umiltà la volontà del Pa-
dre.
La seconda lettura, da Giacomo, è polemica contro coloro che af-
fermano vanamente, a parole, di avere fede, però senza fare ope-
re. Contro questi fratelli cristiani, che fraintendevano
l’insegnamento di Paolo, Giacomo afferma che la fede senza le
opere è «morta» e non porta salvezza. Solo i fatti mostrano se es-
sa è autentica o no.
Tutti sanno che questa dottrina di Giacomo fu particolarmente
avversata da Lutero. Per l’apostolo la fede è certamente anche
«fiducia», come vuole Lutero; ma essa deve anche apparire nelle
opere, special-mente carità, santificazione, lontananza dal mon-
do, sottomissione alla volontà del Signore, adempimento del pro-
prio dovere.
Su questo punto la lettera di Giacomo può essere come un ponte
tra A. e N.T., tra giudaismo e cristianesimo. Essa è anche un punto
sul quale cattolici e protestanti possono dialogare. Per tutti i cre-
denti, sempre portati a trascurare le opere, proprio per il loro ca-
rattere penitenziale, la meditazione di queste righe sarà buon
stimolo.
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XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Sap 2, 12. 17-20; Ciac 5.16-4,3; Mc 9,30-37)
Gesù ripete nel vangelo di Marco l'annuncio della sua passione e
morte di fronte ai discepoli che temono di interrogarlo, ma non lo
comprendono.
Incomincia così la descrizione di una certa solitudine spirituale di
Gesù: questa sarà sovente la sorte della comunità cristiana, e dei
cristiani, incompresi dal mondo, magari anche calunniati e soli,
con il loro Signore e con la buona coscienza.
A Cafarnao Gesù interroga i Dodici sui loro discorsi lungo il cam-
mino, perché sa che hanno affrontato. e malamente, un tema im-
portante, che avrebbe avuto dei risvolti e delle ripercussioni nella
futura comunità cristiana. Era qui opportuno un suo insegnamen-
to. I Dodici tacciono perché avevano parlato con una mentalità
che non era quella del Maestro, discutendo nientemeno su «chi
tra di loro fosse il più grande»; una discussione di potere, nascen-
te dall’innato desiderio di preminenza e di dominio. E' troppo na-
turale alla superbia umana voler essere i primi, imporsi, comanda-
re, per meravigliarsi che ne fossero vittima anche i discepoli. Il de-
siderio di dominare, camuffato come servizio sociale: tenendovisi
aggrappati ad ogni costo per non cederlo ad altri, ogni giorno è
sotto i nostri occhi; è una malattia dell’umanità, forma di egoismo
e violenza.
Nella risposta di Gesù, e più ancora nelle parole di Marco, si può
leggere un avvertimento che va ben oltre la cerchia dei Dodici; la
tentazione del potere, come dominio e non come servizio, nasce-
rà anche negli uomini di Chiesa. Ecco la soluzione di Gesù: se ci si
mette a discutere sui posti, la Comunità si divide; se si cerca
l’ultimo posto, se si fa a gara nel servizio degli altri, la Comunità
assume, e offre al mondo, il suo vero volto cristiano. Nel primo
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caso non si è più fratelli tra fratelli; nel servizio alla Comunità in-
vece si occupa bene il proprio posto.
Il gesto simbolico sul bambino illustra meglio il pensiero di Gesù. Il
bambino è privo di ogni potere e prestigio; a lui e ai più poveri e
indifesi, vanno le maggiori attenzioni di chi serve nella Chiesa,
perché essi rappresentano meglio l’umiltà del Figlio di Dio fatto
uomo. Le parole del libro della Sapienza si sono letteralmente av-
verate; nessun giusto, provato e vilipeso, fu come Cristo tanto ab-
bandonato in Dio e disposto ad accettare la sofferenza.
La lettera di S. Giacomo illustra quanto è stato letto nel vangelo
con un esempio tratto dalla vita e dalla comunità apostolica. Vi
sono polemiche e conflitti, perché alcuni desideravano primeggia-
re; qualche ambizioso faceva della sua scienza un mezzo di domi-
nio, con conseguenti disordini. La vera sapienza invece, dice Gia-
como, è arrendevole, pura, senza parzialità; non conosce culto
della persona. non divide la comunità, anzi promuove la pace.
La radice di tali «liti» tra fratelli, secondo Giacomo, sta nelle pas-
sioni non domate («nelle vostre membra»), nella gelosia, nel de-
siderio insoddisfatto, nell’avidità di denaro e di potere da «spen-
dere per i vostri piaceri». E’ facile purtroppo l’applicazione di que-
sta analisi alla società odierna e anche a certe tendenze e tensioni
della nostra comunità ecclesiale.
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Num 11,25-29; Giac 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48)
Il brano di vangelo è un insieme di insegnamenti di Gesù, che
Marco volle conservare —anche se staccati tra loro — forse per
l’importanza che potevano avere per la Chiesa di tutti i tempi. Li
riassumiamo brevemente:
• Il discepolo Giovanni ha visto un tale che scacciava i demoni nel
nome di Gesù («e non era dei nostri»), e glielo ha proibito.
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Come in altri casi nell’A.T., anche nella comunità primitiva Dio
concedeva carismi anche fuori di essa (ricorda il caso di Cornelio,
Atti 10, 1 ss.; o anche 19, 13).
Che dire? Gesù insegna alla comunità e a tutti noi a non essere
intolleranti; ovunque c’è chi teme Dio e pratica la giustizia. Tanto
più, se è presente una certa accettazione del suo Nome, già vi so-
no germi di grazia da non spegnere.
Chiunque darà ai discepoli di Cristo anche solo un bicchiere di ac-
qua a motivo del suo Nome non perderà la sua ricompensa. E’ un
detto che ricorda, nei secoli, il valore della collaborazione nella
Chiesa e con la Chiesa e la necessità di aiutare gli apostoli cristiani
specie quando sono in difficoltà, poveri e perseguitati a causa del-
la loro testimonianza. Anche il più picco lo degli aiuti (un bicchier
d’acqua) è una partecipazione al merito dell’apostolo.
Al contrario, scandalizzare (in senso letterale: frapporre un osta-
colo) questi discepoli di Cristo, piccoli o grandi, è colpa più grave
che suicidarsi in mare (morte detestabile per un ebreo, in quanto
non permetteva sepoltura).
Poi Gesù parla dei discepoli e di ciò che nel loro interno può esse-
re occasione di scandalo. Il dovere di rifiutare ogni connivenza con
il male è espresso con i detti sulla mutilazione. E’ evidente che
non viene consigliata una mutilazione fisica, ma è affermato con
energia che anche la perdita di un organo prezioso come la mano
o l’occhio sono mali minori del danno che deriva dallo scandalo.
La «Geenna» è una valle a sud di Gerusalemme ove al tempo del
re Acab si offrivano a Moloch i fanciulli, facendoli passare attra-
verso il fuoco (II Re 16,3). Quella valle infame divenne simbolo del
luogo della punizione dei malvagi, il cui verme non muore e il fuo-
co non si estingue (Is 66, 24).
Anno B
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La prima lettura, proveniente dalla tradizione del libro dei Nume-
ri, illustra con un esempio dell’A.T. come Dio è libero nella sua
opera e nell’elargire i suoi doni.
Anche nel gruppo di Mosè nascono invidie e gelosie, come dimo-
stra questo episodio che ha tutta l’aria di essere autentico. La ri-
sposta di Mosè è chiara: lo Spirito è dono del Signore, il quale lo
distribuisce come vuole senza nuocere al prestigio o al diritto di
alcuno. Essendo dono, è da auspicare che sia distribuito il più lar-
gamente e misericordiosamente possibile. La più larga partecipa-
zione ai doni di Dio non impoverisce nessuno, ma arricchisce tutti.
E’ molto forte, nella terza lettura, il discorso contro i ricchi che
fanno marcire la giusta paga dell’operaio. A essi l’apostolo Gia-
como annuncia profeticamente l’inevitabile catastrofe del dì del
giudizio. Questa predicazione sulla giustizia è nella linea di quella
profetica e sapienziale dell’A.T.: «Pane scarso è il sostentamento
dei poveri; chi glielo toglie è un sanguinario. Uccide il prossimo chi
gli toglie il vitto; e sparge sangue chi priva l’operaio della sua mer-
cede» (Eccli 34, 25).
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Gen 2,18-24; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16)
La terza lettura, dal vangelo di Marco. E’ noto, dalla Bibbia che gli
ebrei non si proponevano tanto il problema della liceità o meno
del divorzio, rompendo un matrimonio per un altro (dato per fat-
to scontato), ma discutevano sulle cause che potevano legittimare
un divorzio, e sulle modalità con cui doveva farsi, e a quali condi-
zioni a favore della donna. Come sempre avviene, v’erano ten-
denze e opinioni rigorose a favore del vincolo, e tendenze più las-
siste che finivano per legittimare qualsiasi divorzio.
Chiamato in causa dai farisei, Gesù non entra nella discussione
specifica, ma va oltre, e propone l’ideale del matrimonio già indi-
Anno B
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cato dalla natura ed espresso dalla volontà di Dio: l’indissolubilità.
Egli non ignora che la legge mosaica ha ammesso il divorzio, a de-
terminate condizioni; ma ciò avvenne a causa della «durezza di
cuore» dell’uomo, cioè a causa di ignoranza, passioni, egoismo,
interesse. D’ora innanzi, quando Cristo (e con lui il cristiano) avrà
vinto il mondo, sarà possibile e doveroso vincere tale «durezza di
cuore» e instaurare tra uomo e donna un tipo di amore più pro-
fondo, che va anche oltre l’attrattiva fisica ed è un crescere vicen-
devole nella carità e nella perfezione. I due, una cosa sola avanti a
Dio, da lui uniti nel vincolo sacro del matrimonio, lo coltiveranno
per sempre in Cristo e nella Chiesa. Questa del resto, nella tradi-
zione biblica è stata la volontà di Dio fin dell’inizio: l’unione indis-
solubile rappresentò sempre un ideale; e il divorzio un disordine.
Tale era l’importanza e la novità teologico-spirituale del tema,
che, «rientrati in casa» gli apostoli vi tornarono sopra, dando oc-
casione a Gesù di chiarire che né il marito né la moglie (ciò più ra-
ramente tra gli ebrei e più frequentemente tra i pagani) possono
abbandonare l’altra parte e passare a nuove nozze. Se si vuol ri-
manere cristiani, occorre ricordare questi insegnamenti, contro
tutte le tendenze dissolvitrici della famiglia, e nonostante i per-
missivismi divorzisti.
Il brano di vangelo termina con la descrizione del comportamento
di Gesù verso i bambini, che gli vengono presentati, mentre i di-
scepoli cercano ottusamente di allontanarli. Gesù ama i bambini,
aperti alla volontà di Dio, privi di passioni o interessi terreni, di
progetti da far valere, e di falsità da nascondere: quindi disponibili
al suo invito. In questi atteggiamenti i bambini possono essere
maestri a tutti.
Il racconto biblico della prima lettura insegna in forma popolare
grandi verità sulla famiglia umana e sulla donna. La parabola della
Anno B
99
creazione dalla costola dell’uomo dice come essa sola è la compa-
gna dell’uomo, della medesima natura, creata «mentre lui dor-
me», direttamente da Dio. Questo insegnamento era ignorato dal
mondo antico, e fu troppo disatteso per molto tempo anche nel
popolo giudeo-cristiano.
Nella seconda lettura, a partire da questa domenica, verranno
presentati brani dalla lettera agli ebrei (convertiti al cristianesi-
mo). L’autore inizia ricordando l’esaltazione di Cristo, a causa del-
la sua morte accettata a vantaggio di tutti noi.
Tale umiliazione del Figlio di Dio era conveniente, perché egli, sof-
frendo nella sua santa umanità, diventasse per noi una guida, per-
fezionata dal dolore e dall’esperienza: nostro fratello a nuovo ti-
tolo.
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Sap 7,7-11; Eb 4,12-13; Mc 10, 17-30)
Il vangelo con la beatitudine della povertà e il pericolo insito
nell’attaccamento alle ricchezze, è una voce così insolita, forte e
decisa, che scuote e induce e riflettere sulla nostra fede e sulla
adesione a questi giudizi, così contrari a quelli del mondo. Oggi si
parla molto di povertà e solidarietà con i diseredati e gli emargi-
nati; è pertanto doppiamente utile riflettere sulla parola di Cristo
che mette in guardia da uno spirito di povertà solo apparente. Ci
sono, nel brano letto, tre piccole unità: l’episodio del giovane ric-
co e ingeneroso; le riflessioni di Gesù con i discepoli sul problema
della salvezza dei ricchi, e infine la interrogazione di Pietro e la
conseguente spiegazione del Maestro sulla povertà del discepolo.
Il giovane ricco può felicemente dire di aver osservato la legge; si
ritiene dunque un buon ebreo. Però è ancora lontano dall’essere
un seguace di Gesù. Per diventare discepolo bisogna mettersi alla
sua sequela, coinvolgere tutta la propria vita, staccarsi dalle sicu-
Anno B
100
rezze terrene (che in realtà non sono poi tali), e anzitutto dalle
ricchezze. Egli però non è disponibile; se ne va triste, mostrando
come la situazione spirituale dell’uomo attaccato ai beni sia diffi-
cile, di fronte all’appello del vangelo e al problema della salvezza
eterna.
Difficile, ma non impossibile. Dio può tutto: anche salvare l’uomo
ricco, se questi si apre alla sua grazia, accetta il dono della fede, e
coerentemente si libera, poco alla volta, del terribile ostacolo.
Madre Teresa, l’apostola dell’india afferma addirittura che è facile
essere povero, a una condizione: «E’ semplice per chi vuole imita-
re Gesù (...) che soffre nei poveri di oggi. Vivere il vangelo diventa
semplice se prendiamo sul serio la parola di Gesù, e se la pren-
diamo tutta intera». (Avvenire, 19-6-76).
Alla fine interviene Pietro, accampando l’esempio dei Dodici che
«hanno lasciato tutto», accogliendo la parola di Gesù. Il Maestro
ha occasione di spiegare in particolare motivazioni e vantaggi del-
la povertà del discepolo: libertà totale nel seguire Gesù e annun-
ciare
Il vangelo essendo veramente solidali con i poveri. Questa pover-
tà vera merita una beatitudine (in altre situazioni può anche esse-
re un male, frutto di ingiustizia o di altre colpe).
Il premio di questa povertà del discepolo, osserva ancora il Signo-
re, è di natura escatologica; tuttavia apparirà già in qualche modo
su questa terra, nella comunità che essi realizzeranno vivendo
come con fratelli e sorelle. Così, sembra concludere Gesù, si avve-
rerà quel noto proverbio per cui coloro che nella società sembra-
no essere i primi saranno gli ultimi; mentre i discepoli che nella
loro povertà sembravano gli ultimi in questo mondo, saranno i
primi. Infine non si illudano: non mancheranno loro anche le per-
secuzioni, perché non è qui la realizzazione completa del regno.
Anno B
101
La prima lettura dimostra che l’A. T. è stato veramente una prepa-
razione del Nuovo. Il brano della Sapienza è un invito al distacco
dalle cose (ricchezza, salute, bellezza ecc.), per aderire alla Sa-
pienza di Dio, prudenza spirituale e attenzione ai veri valori. Con
l’antico popolo ebreo anche in questa liturgia si è chiesta (nel
salmo re-sponsoriale) la «sapienza del cuore», che rende sensibili
alla Parola di Dio, di cui parla l’autore della lettera agli ebrei (se-
conda lettura) richiamandone l’efficacia. Essa, scrivono i profeti, è
come la pioggia che non cade mai inutilmente e opera per il no-
stro bene o per la nostra rovina.
Infine la sapienza del cuore prepara giorno per giorno l’uomo a
quell’incontro (e anche rendiconto) cui nessuno e nulla può sfug-
gire.
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Is 52,2.3.10-11; Eb 4, 14-16; Mc 10, 35-45)
Degna di particolare attenzione ci sembra oggi la seconda lettura,
incentrata sul sacerdozio di Cristo, anzi sul suo sommo sacerdo-
zio. Egli, quaggiù, non si riconobbe nei sacerdoti dell’A.T., né si
schierò con essi, come del resto era stato predetto dai profeti,
che lo dicevano sacerdote «secondo l’ordine di Melchisedek». Il
suo è un sacerdozio singolare, l’unico vero e autentico per virtù e
capacità propria. Infatti, chi poteva essere intermediario tra Dio e
l’uomo in modo più degno ed efficace, se non il Figlio di Dio fatto
uomo?
Come il sommo sacerdote ogni anno si recava al tempio nel gior-
no solenne dell’espiazione, per offrire a Dio davanti all’arca
dell’Al-leanza il sangue del sacrificio per i peccati, così Gesù Cristo
offrì una volta per sempre il suo sacrificio.
Comprende le nostre debolezze, perché le ha provate tutte tran-
ne il peccato: stanchezza, insuccessi, abbandono degli amici, tra-
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102
dimenti ecc. La mancata sua esperienza del peccato non diminui-
sce, ma aumenta in lui la capacità di compatirci e gli allarga il cuo-
re, mostrando il suo potere di intercedere per i nostri peccati.
La prima lettura descrive con le parole profetiche di Isaia questa
offerta del Cristo sommo sacerdote per noi. Vero «servo di Ja-
hvè», quasi raccoglie e porta in sé tutte le sofferenze che molti
altri «servi di Dio» hanno sopportato nei secoli, da Abramo, ai pa-
triarchi, ai profeti. Divenuto per obbedienza a Dio l’uomo dei do-
lori, si dona per i propri fratelli: e Dio gli concede - osserva il pro-
feta - di addossarsi le loro iniquità, di «giustificare» i molti.
Nella terza lettura, san Marco ci dà una lezione di umiltà cristiana.
Alcune domeniche fa è stato letto l’episodio della controversia tra
i discepoli di Gesù per i primi posti; ora sono Giacomo e Giovanni
ad avanzare tale pretesa.
L’insistenza dell’evangelista nel rilevare tali debolezze umane e la
chiara risposta del Signore sono un aperto discorso alla prima
Comunità cristiana (e indirettamente anche a quella di oggi): sono
fuori posto, tra i battezzati, contrasti, divisioni, corse ai primi po-
sti. Gesù affettuosamente comprende e incoraggia quei due di-
scepoli, che a suo tempo sapranno «bere il calice» del dolore e
del martirio per essergli fedeli: però li avverte di non pensare ai
primi posti. Tale giudizio spetta a Dio, sapiente e misericordioso,
non agli uomini, privi di tutti gli elementi, e che potrebbero divi-
dersi inutilmente e orgogliosamente. Fiduciosi nella sua bontà,
bisogna offrire a lui il proprio umile servizio
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Ger 31, 7-9; Eb 5, 1-6; Mc 10,46-52)
L’autore della lettera agli ebrei, volendo continuare il suo discorso
sul sacerdozio di Cristo, (seconda lettura), inizia esaminando gli
Anno B
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elementi che costituiscono il sacerdozio, ispirandosi alla dottrina
del-l’A.T.
Per potersi presentare quale sacerdote (legittimo rappresentante
dei propri fratelli e mediatore di fronte a Dio) il sacerdote
dev’essere innanzitutto uomo, membro solidale con tutta la fami-
glia umana; deve offrire a Dio l’omaggio di adorazione anche a
nome degli altri, e di ringraziamento ed espiazione, perché
l’umanità è peccatrice. Circondato egli stesso dall’infermità che
porta al peccato, il sacerdote dev’essere pieno di compassione
per i propri fratelli, special-mente per i più deboli; peccatore deve
pregare per se stesso e per tutta l’umanità peccatrice; e infine
non deve esser privo di titolo legittimo, per esercitare il mandato.
Tutte queste qualità sono presenti in modo eminente in Cristo,
senza la triste necessità di dover espiare per i propri peccati. Per
mezzo dell’incarnazione, egli divenne anche nostro fratello e rap-
presentante: titolo unico per essere sacerdote dell’umanità e me-
diatore, consacrato nello Spirito Santo.
Questa descrizione del sacerdozio di Cristo porta a riflettere sul
sacerdozio nella Chiesa: comune anche a tutti i battezzati che par-
tecipano del sacerdozio di Gesù: e possono offrirsi al Padre per
Cristo e con Cristo, ostie spirituali. Il Signore veramente ci ha
chiamati per trarci dalle tenebre e accoglierci nella sua luce mera-
vigliosa! (P.O. 2).
La terza lettura narra la guarigione di un cieco a Gerico. Quello
subito «seguiva Gesù sulla strada»: non solo è stato liberato dalla
infermità, ma ha avuto la luce della fede, divenendo praticante
seguace di Cristo.
Ecco qui, in pratica, la prima attività del sacerdozio di Gesù: la
mediazione della fede, l’illuminazione dei cuori, cacciando le te-
nebre dell’ignoranza. Gesù sommo sacerdote continua
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104
quest’opera con la sua grazia nella comunità cristiana, nel sacer-
dozio ministeriale e in quello dei fedeli. Ognuno di noi, in modo
diverso, esercita il sacerdozio in Cristo testimoniando, cacciando
le tenebre dell’errore, pregando e anche soffrendo per i fratelli.
Nelle espressioni della prima lettura Geremia, profeta piuttosto di
sventura, dati i tempi e le circostanze in cui visse, consola gli esuli
promettendo loro la salvezza, annunciando il perdono e la guari-
gione (spirituale) a ciechi, zoppi, sofferenti. Dio è padre per Israe-
le, dice il profeta, e Israele rappresenta tutta l’umanità chiamata
alla Salvezza nel Cristo.
XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Deut 6,2-6; Eb 7, 23-28; Mc 12, 28-34).
Se ogni eresia è un errore contro la fede, l’ateismo è un falciarne
le radici, non dimentichiamolo. Bisogna anzi comprendere, colla-
borandovi, lo sforzo della Chiesa, contro forze intellettuali e poli-
tiche talora potenti e imponenti, per difendere la verità basilare
della esistenza di Dio. Chi allontana gli uomini dalla fede in Dio,
non li libera in nessun modo, ma li assoggetta a idoli tirannici (ma-
teria, razza, stato ecc.).
La terza lettura (quale è il primo comandamento), riporta alla tra-
dizione ebraica che aveva moltiplicato, attorno alla Legge, precet-
ti numerosi e complicati da porre in dubbio la possibilità di osser-
varli tutti. Questo scriba, evidentemente ben intenzionato, chiede
a Gesù una norma: una interrogazione sincera, non «per tentarlo»
come avveniva altre volte, tanto che il Signore gli dirà: «Non sei
lontano dal Regno di Dio». Gesù risponde richiamandosi alla dot-
trina dell’A. T.: il massimo comandamento è l’amor di Dio e del
prossimo. Però, a monte della risposta, c’è una affermazione ri-
presa anche dallo scriba, degna di attenzione: «Il nostro Dio è
l’unico Signore; e non ve n’è altri all'infuori di lui».
Anno B
105
Dunque, prima di tutto, una chiara professione di fede in Dio.
Gli ascoltatori di Gesù e la società del suo tempo, non mettevano
in dubbio questa verità, anche se sbagliavano poi sulla natura di
Dio, Oggi invece la situazione è ben diversa, ed è giusto pertanto
sottolineare anche la prima parte della risposta di Gesù: la fede in
Dio.
L’ateismo si presenta sotto molti aspetti: pratico, di chi vive come
se Dio non esistesse, pericoloso e contagioso per il cattivo esem-
pio; teorico, che nega l’esistenza di Dio (tutto è frutto del caos e
cade nel nulla da cui è venuto, tutta la religione è illusione o in-
ganno). C’è poi addirittura la «teologia della morte di Dio»: Dio è
morto nel cuore degli uomini, che non ne sentono più il bisogno,
perché risolvono ormai in modo autonomo tutti i loro problemi!
La tradizione cristiana reagisce fortemente a queste tendenze:
credere in Dio non solo è possibile per la mente umana, ma dove-
roso. L’universo, misterioso in ogni sua parte anche microscopica,
ricco di bellezze, ancora in parte insondato, retto da leggi com-
plesse e sagge, sempre da scoprire e ammirare, parla di un Essere
invisibile, che, nella sua finitezza e contingenza, non si spiega da
sé. Anche lo spirito umano, così bisognoso di infinito e la coscien-
za morale sentono di avere sopra un Essere più grande.
A questa luce acquista senso il primo comandamento: «Ama Dio
cori tutto il cuore», e si comprende come, fuori di una fede auten-
tica in Lui, trionfi l’egoismo e si dimentichino i poveri e i deboli,
giungendo anche a sopprimere i più indifesi, i non ancora nati, e
gli invalidi.
Dalla seconda lettura, si potrebbe sottolineare questa espressio-
ne: «Cristo, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che
non tramonta; in lui Dio si è avvicinato a noi; egli è sempre vivo
per intercedere a nostro favore. I sacerdoti della Legge mosaica
Anno B
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erano uomini peccatori e passeggeri, ma la Parola di Dio ha costi-
tuito sacerdote il Figlio di Dio con un sacerdozio unico ed eterno a
nostro favore. Anche per questo motivo il cristiano è invitato ad
amar Dio sopra ogni cosa.
Per l’A.T., chi adempirà tale Legge avrà il possesso della terra e
una discendenza: beni terreni, però già legati in qualche modo al-
la speranza messianica. Nel N.T. essi appariranno nel loro valore
ultraterreno, il possesso escatologico della patria eterna e la vita
con Cristo, discendente di Abramo.
SOLENNITÀ di TUTTI I SANTI (Letture: Ap 7, 2-4. 9-14; I Giov 3, 1-3; Mt 5, 1-12).
La liturgia propone le beatitudini, con cui Gesù iniziò il discorso
della montagna, tracciando i lineamenti dei suoi futuri discepoli.
Si tratta di una forma letteraria augurale, non sconosciuta all’A.T.,
per insegnare certe verità non per via di ragionamento, ma pro-
mettendo premio e benedizione. Gesù ricorre qualche volta an-
che al genere opposto, la minaccia dei «guai».
Ognuna delle «beatitudini» rappresenta un codice di vita e meri-
terebbe attenta riflessione. La prima, per i poveri in spirito, nel
linguaggio biblico è per coloro che coltivano la disposizione inte-
riore dell’umanità e della povertà di fronte a Dio e ai fratelli. Non
solo distacco dai beni di questo mondo (dopo tutto i meno impor-
tanti), ma anche (questo è più difficile) da se stessi, dalla propria
volontà, sentimenti, progetti: «povero in spirito» è chi in tutto è
sottomesso al volere di Dio. Esemplari «poveri in spirito» nell’A.T.,
furono Geremia e altri profeti; nel N.T. la vergine Maria. Eviden-
temente, questa disposizione spirituale comprende anche
l’effettivo distacco dai beni terreni.
La seconda beatitudine è non soltanto per coloro che sopportano
pazientemente le penuria di beni materiali, ma hanno fame e sete
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della giustizia di Dio, per cui egli giustifica e salva gli uomini. Ciò è
degno di particolare attenzione oggi, in un mondo che soffre mol-
te ingiustizie verso i più deboli, i poveri, mentre troppi «potenti»
si riempiono la bocca di buone parole, ma solo per coprire ingiu-
stizie e violenze.
Per questo mondo sconvolto da troppi focolai di guerre e di lotte
fratricide, è valida la beatitudine per i pacifici, che si adoperano a
operare la pace, in sé e negli altri, con Dio e con i fratelli.
L’umanità ha oggi gran bisogno di tali uomini, che educhino la
gioventù alla pace e non alla violenza, alla convinzione che le con-
troversie, di qualsiasi natura, si dirimono nella pace e nel diritto.
Poi ancora la beatitudine dei perseguitati per amore della giusti-
zia. E’ vero che sovente i singoli, o la stessa cristianità si macchia-
rono della persecuzione e della violenza verso gli altri. Viceversa
però molti fratelli di fede stanno subendo la derisione del mondo
o la persecuzione velata o addirittura violenta.
Per quanti mancano di libertà religiosa o civile, soffrono per la fe-
de, oggi preghiere, ammirazione e riconoscenza!
La prima e seconda lettura invitano a levar lo sguardo verso la pa-
tria misteriosa e meravigliosa dei santi nel Cielo, che già hanno
oltrepassato la «grande tribolazione». La lettura dell’Apocalisse
dice ammirazione di fronte al mistero cui, fin d’ora, siamo figli di
Dio, e come tali un giorno lo vedremo. Leggendo queste parole,
forse è possibile, a primo aspetto, avere l’impressione di essere
puramente ascoltatori o spettatori di un mistero di Dio, mentre in
realtà ciascuno vi è coinvolto: si tratta di realtà soprannaturali
non da contemplarsi dal di fuori, ma da vivere. I singoli battezzati
sono questi riconciliati, questi chiamati; per questo il vangelo è
buona novella e lieto annunzio.
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XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: I Re 17, 10-16; Eb 9, 24-28; Mc 12, 38-44)
Domenica scorsa nella terza lettura si è ascoltato l’invito di Cristo
alla fede in Dio e all’osservanza del primo comandamento: il bra-
no di vangelo odierno, che fa seguito al precedente, illustra, sem-
pre con l’insegnamento del Signore, come dev’essere
quell’amore, e quali difetti evitare.
Un primo esempio è dato dagli scribi che «ostentano di far lunghe
preghiere» tranquillamente accompagnate a gravi ingiustizie. Ma
la loro preghiera non li converte, perché in essa non si avvicinano
realmente a Dio e alla sua grazia. Gesù condanna severamente
quelle espressioni formalistiche dell’amore di Dio e del prossimo,
accompagnate da vanità e ipocrisia. Anche quei ricchi che fanno le
offerte rituali, forse più per seguire una tradizione dei Padri che
non perché spinti da intima fede e amore, rendono un servizio a
Dio e ai fratelli abitudinario, legale, freddo, senza anima.
Al terzo posto la vedova che offre pochi spiccioli, togliendoli al
poco che essa ha per vivere in quella giornata: dunque si priva del
necessario, dimostra distacco e prontezza al sacrificio, vero amore
a Dio, al suo culto e al prossimo. Gesù, che legge tutto questo
nell’intimo dell’animo della donna, commenta che essa «ha getta-
to nel tesoro più di tutti gli altri», dando un po’ di se stessa e del
suo cuore. Un insegnamento analogo scaturisce dalla prima lettu-
ra. Quella vedova, la cui povertà è aggravata dalla sopravvenuta
carestia, ha una fede generosa e grande nell’uomo di Dio, Elia, e
rischia sulla sua parola, meritando così la ricompensa abbondante
del Signore, tramite un insigne prodigio.
Il Salmo responsoriale è una bellissima preghiera già detta dai po-
veri dell’A.T., che seppero, sotto il peso di ingiustizia, fame, soffe-
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renza, confidare nella Provvidenza di Dio che sostiene l’orfano e la
vedova e sconvolge le vie degli empi.
Molto interessante l’insegnamento della seconda lettura. Se il sa-
crificio di Cristo avesse avuto soltanto quel valore, anch’egli lo a-
vrebbe dovuto ripetere, e chissà quante volte, per riparare le no-
stre infinite iniquità. Ma il gesto sacrificale di Cristo è di valore in-
finito: offerto una volta per sempre, viene applicato a salvezza di
tutta l’umanità, per tutti i secoli. Quando Cristo ritornerà alla fine
dei tempi, non sarà più per espiare il peccato, come nella prima
venuta, ma per la gioia di «coloro che lo aspettano per la loro sal-
vezza», perché il peccato in lui è stato definitivamente vinto sulla
croce.
XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Letture: Dan 12, 1-3; Eb 10,11-14. 18; Mc 13, 24-38)
La terza lettura è ricca di dottrina sul tema della vita eterna e del
giudizio finale, ma riesce piuttosto difficile per il linguaggio cui fa
ricorso. E‘un brano del discorso escatologico di Gesù sulla fine di
Gerusalemme e del mondo.
Nella prima parte Gesù vuole descrivere «quei giorni», quando
finirà la presente situazione di violenza e di persecuzione, con un
intervento finale salvifico di Dio. Siccome al linguaggio umano
mancano i termini e l’esperienza per indicare quelle realtà, Gesù
costruisce „ la scenografia del tempo della fine con i colori che a-
vevano usato i profeti nel descrivere gli interventi di Dio: sconvol-
gimenti cosmici ed eccezionali sul sole e sulla luna ecc.: espres-
sioni simboliche che evidentemente non vanno prese alla lettera.
Gli eletti si raduneranno dai quattro venti! Dunque la risurrezione
di Cristo non fu un puro fatto personale, ma coinvolse tutta
l’umanità, che ascoltandolo e coltivando la speranza, potrà per-
venire alla vita vera e definitiva.
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La seconda parte del discorso risponde sul «quando»: in fondo
queste realtà escatologiche stanno avvenendo continuamente: la
vita umana cammina verso di esse senza posa, e continuamente
nell’arco dell’esistenza si decide il futuro di ognuno, che così ha
una sua parusia e un suo giudizio.
Però ci sarà un giorno finale - noto solo a Dio - quando Cristo con-
segnerà il Regno al Padre; il giorno del grande giudizio chiuderà la
storia terrena.
Questo duplice aspettò di una unica realtà, già avvenuta e che sta
avvenendo, e allo stesso tempo attesa per l’ultimo giorno, forse
spiega anche la duplice e misteriosa risposta di Gesù: la realizza-
zione del Regno è nota solo al Padre, e intanto si può dire che es-
sa è già presente nella generazione attuale. D’altra parte ciò era
semplice per i discepoli di Gesù che, da buoni ebrei, non sapevano
immaginare un giudizio su Gerusalemme che non fosse pure giu-
dizio sul mondo intero.
Il brano va letto ricordando che Cristo non vuole offrire un catalo-
go dei segni premonitori, quasi per avvertirci quando la fine sarà
imminente, ma vuole inculcare un senso di responsabilità che e-
scluda ogni fanatismo, e induca a vivere in una tensione vigilante
e serena.
Nella prima lettura si incontra una delle affermazioni più chiare di
tutto l’A.T. sulla salvezza escatologica. Veramente il testo sembra
limitare il suo interesse al popolo ebreo; però la rivelazione suc-
cessiva chiarirà il valore universale dell’affermazione: ogni uomo
va incontro al premio o alla pena, a seconda se avrà fatto il bene o
il male e se avrà «indotto» anche i suoi fratelli alla giustizia.
La seconda lettura Invita ancora una volta a riflettere sul sacrificio
di Cristo, posto a confronto con i sacrifici precedentemente offerti
dagli altri sacerdoti dell’A.T. Questi «offrono sempre gli stessi sa-
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crifici», ma non ottengono mai in modo definitivo lo scopo di e-
spiare i peccati. Cristo invece, con un unico sacrificio ha reso per-
fetti coloro che «accettano di essere da lui santificati»: è però una
purificazione «in divenire», perché su questa terra non si sarà mai
perfetti e già in patria, ma sempre in cammino.
SOLENNITÀ DI N.S.G.C. RE DELL’UNIVERSO (Letture: Dan 7, 13-14; Ap 1, 5-8; Giov 18, 33-37)
Che cosa significhi parlare di Cristo re dell’universo e come vada-
no intese queste espressioni e la festa liturgica odierna, lo dice
Gesù stesso nel vangelo di oggi: «Il mio regno non è di questo
mondo». Noi siamo in assemblea liturgica non per celebrare un
regno di potenza terrena, sfarzo o dominio su gli uomini, tanto
meno un regno di violenza: Gesù non vuole essere iscritto tra i
monarchi terreni, ma ha scelto di essere povero ed umile in mez-
zo a noi.
Davanti a Pilato rivendica una regalità diversa da quella terrena, e
non stupisce che il magistrato romano non comprenda nulla.
Nel mondo si fa scempio della verità che viene sconvolta, taciuta
e calpestata in mille modi, in vista dei propri interessi. Forse, sorte
peggiore ancora tocca alla Verità religiosa, per molti motivi, so-
prattutto perché essa è scomoda, impone degli obblighi, mette in
crisi la te. Per questo gli uomini la trascurano, la osteggia-
no,vivono come se non esistesse, la problematicizzano all'infinito,
fanno scudo della sua difficoltà alla propria pigrizia.
Gesù è venuto a rendere testimonianza alla Verità, e in primo luo-
go proprio a questa Verità così calpestata, quella religiosa. Con la
sua testimonianza Cristo vuole che combattiamo le nostre ipocri-
sie, le mille scuse che si hanno per non prendere sul serio la sua
Parola, per non farne oggetto di attenta riflessione e di testimo-
nianza.
Anno B
112
Nella prima lettura, la visione del profeta Daniele: ecco
all’improvviso venire sulle nubi del cielo un «figlio di uomo» (u-
mano, ma che ha qualche cosa di straordinario) cui Dio concede
potere, gloria e regno eterno su tutti i popoli: un potere che non
tramonterà più, con qualità indubbiamente sproporzionate per un
re di questo mondo.
Il contesto biblico, e più ancora la successiva rivelazione chiari-
ranno che questo «figlio d’uomo» non è altri che il Messia vincito-
re, insieme con tutti i suoi seguaci. Non fu difficile per la prima
generazione cristiana riconoscere in Cristo questo singolare «figlio
dell’uomo e figlio di Dio».
La brevissima seconda lettura è costituita da pochi versetti dal li-
bro dell’Apocalisse: più che un’esortazione, si tratta di una pre-
ghiera di lode a Cristo, testimone fedele delle promesse di Dio
all’umanità, primogenito dei morti e dei risorti : che ha il dominio
su, tutto l’universo.
I cristiani oggi devono ripetere la lode e il ringraziamento a Cristo,
che seguono.
Coloro che sono stati «purificati nel suo sangue» sono già entrati
infatti a far parte del suo Regno e del suo sacerdozio.