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41 uesta settimana il menù è DA NON SALTARE Cuco a pagina 2 Q PECUNIA&CULTURA Guglielminetti a pagina 5 Frangioni a pagina 9 Monaldi a pagina 6 Pasolini, la lotta e la cultura RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 Giocare a fare politica Lascia o raddoppia La cultura di Renzi presa sul serio La leggerezza del ferro ICON ISTANTANEE AD ARTE Tutti per lui... Zavattini Con la cultura si mangia, si può vivere e si può anche prosperare. Quando facevo il liceo ho fatto la comparsa al Teatro Pergolesi di Jesi e, se volete, posso anche cantare! Laura Boldrini Presidentee della Camera 19 luglio 2013

presa sul serio - ruminatiolaica.files.wordpress.com · amabili discettazioni da tre soldi. Ma la redazione, senza prendersi troppo sul serio, non rifugge il confronto ... mai consentito

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41uesta settimanail menù è

DA NON SALTARE

Cuco a pagina 2

Q

PECUNIA&CULTURA

Guglielminetti a pagina 5

Frangioni a pagina 9

Monaldi a pagina 6

Pasolini, la lottae la cultura

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

Giocarea farepolitica

Lasciaoraddoppia

La cultura di Renzipresa sul serio

La leggerezzadel ferro

ICON

ISTANTANEE AD ARTE

Tutti per lui...Zavattini

Con la cultura simangia, si puòvivere e si puòancheprosperare.Quando facevoil liceo hofatto la comparsaal TeatroPergolesi diJesi e, se volete,possoanchecantare!

Laura BoldriniPresidentee della Camera

19 luglio 2013

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.2

Abbiamo una sola ambizione:essere un luogo libero di di-battito e attenzione attorno aitemi della cultura, senza ce-

dere alla banalizzazione (stigmatiz-ziamo, perciò, la trita retorica sulla“cultura come petrolio” o, specular-mente, quella della “cultura non com-mestibile”) né alla acquiescenza almain stream del discorso pubblicosulla cultura. Più volte abbiamo soste-nuto che la cultura merita, come altrebranche della vita della nostra società,una strategia seria e non interventispot, una “politica industriale” fatta dirigorosa programmazione di investi-menti e realistiche previsioni dimedio-lungo periodo. Spesso le no-stre fedeli collaboratrici Sorelle Marxe i loro più austeri e ideologici parenti,Cugini Engels e Zio di Trotzky, irridonoamaramente con sferzanti note satiri-che agli aspetti più ridicoli o superfi-ciali di “protagonisti” pubblici oprivati che intervengono sulla culturacome se fossimo al bar impegnati inamabili discettazioni da tre soldi. Mala redazione, senza prendersi tropposul serio, non rifugge il confrontoserio quando il caso lo richiede. E, incerta misura, l’intervista del sindacoMatteo Renzi su “la Repubblica”dell’11 agosto scorso ci sembra rientrifra questi. Nello spazio forzatamentelimitato di un’intervista, Renzi af-fronta alcune questioni della culturache, almeno nelle intenzioni, hannoun respiro strategico. Lasciamo daparte, perché strategiche non sono, ledichiarazioni sulla volontà di ripren-dere le ricerche dell’affresco leonar-diano della Battaglia di Anghiari, doveperò va almeno detto ciò che eglistesso dice per la ricerca delle ossadella Gioconda a Sant’Orsola: se sitrovassero dei lacerti del dipinto diLeonardo, “che ci fai”? Infatti, unacosa è certa: non l’intero affresco névaste parti leggibili si trovano dietrol’affresco del Vasari giacché l’adora-zione che l’architetto di Palazzo avevaper Leonardo (seconda solo a quellaper Michelangelo) non gli avrebbemai consentito di coprire l’opera delMaestro con una sua. Dunque, se sitrovassero lacerti dell’opera, cosa si fa?Si stacca quella di Vasari, per metterladove? Così decontestualizzando il Sa-lone, dove rimarrebbero solo piccoleed illeggibili parti del progetto di Leo-nardo, e il ciclo vasariano. Diversa-mente, sarebbero staccabili i lacertidell’affresco di Leonardo, che eglistesso interruppe riconoscendone ilfallimento, senza perderli completa-mente? E per esporli dove? Questesono domande cui si dovrebbe ri-spondere prima di tentare (o riten-tare) la ricerca, la cui assenza ci dicequalcosa sulla serietà del progetto.Ma affrontiamo, invece, di petto laquestione strategica che Renzi pro-pone nell’intervista: la costituzione diun’unica Fondazione della cultura, il1° gennaio 2014, che dovrà gestire, “tuttigli spazi del Comune, comprese Cascine

La redazione di Cultura [email protected]

DA NON SALTARE

La culturadi Renzipresasul serioe Forte”. Un’idea niente affatto pere-grina che, se depurata di alcune incon-gruenze ed eccessive semplificazioni(in parte dovute all’indole dell’uomoe in parte forse a non precisa cono-scenza delle cose), varrebbe di per séun programma di legislatura nel set-tore. Le incongruenze: Renzi cita frale strutture da mettere in rete “cose”non di proprietà comunale (il Car-mine, il Museo Marino Marini, maper certi aspetti anche lo Stibbert e ilForte di Belvedere). La semplifica-zione: rubricheremo in questa catego-ria l’idea di comprendere sotto unasola gestione, simultaneamente esenza una adeguata preparazione(tutto dovrebbe partire il 1° gennaio2014), funzioni e strutture così di-verse (musica, musei, manutenzioneordinaria e straordinaria di beni mo-bili e immobili, parchi monumentali,archivi e patrimonio librario, attivitàculturali varie, card museale e rapporticon le associazioni). E’ del tutto irrea-listico (a meno di fare un gran pasti-che) che tutto ciò possa starearmonicamente insieme in una sortadi Big Bang culturale. Può, invece, es-sere un obiettivo raggiungibile pergradi e con una adeguata prepara-zione, fatta di analisi accurata dellefunzioni, delle loro implicazioni ge-stionali-giuridiche e delle risorse(economiche, strumentali e di perso-nale) necessarie; appunto, un obiet-tivo di legislatura. L’idea, invece, di unatto taumaturgico che in un colposolo armonizzi cose e funzioni così di-verse è per lo meno superficiale.Come, del resto, qualcuno ha propo-sto in Regione Toscana per l’Ort, laFondazione Sistema Toscana e altro

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.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.3DA NON SALTARE

chiara che in caso di inadempienzadella Provincia entro il 1° gennaio, ilComune subentrerà e la “metterà aposto” con i fondi europei: coraggiosaassunzione di impegno (che, fra l’al-tro, ricondurrebbe nelle mani di chine ebbe le originali responsabilità, inquanto allora Presidente della Provin-cia, il bandolo di una matassa assaicomplicata). Ma il punto è che la ri-strutturazione di un contenitore comequesto deve essere concepita conte-stualmente alla sua destinazione d’usoe non può essere improvvisata. Peresempio, se si decidesse di risolvere aSant’Orsola il problema della man-canza di una moschea per la comunitàislamica di Firenze e provincia (sullacui realizzazione il sindaco si era purimpegnato più volte nel corso dell’at-tuale mandato amministrativo), allorail progetto di ristrutturazione do-vrebbe essere concepito secondo que-sta finalità. Se, invece, se ne volessefare un centro commerciale naturaleo un albergo (Dio ce ne scampi e cene liberi!), allora gli architetti dovreb-bero fare un diverso progetto. E nonpuò che essere il soggetto pubblico aguidare questo processo.E’ questo il tema che Renzi proponeanche per l’ex tribunale di San Fi-renze, riferendo delle diverse propo-ste private ricevute e della valutazioneche il Comune ha fatto di voler inse-rire questo immobile nella rete diquelli pubblici da gestire. Questesono operazioni strategiche, chehanno bisogno di tempi e strumentiadeguati. Nel caso di San Firenze nonvi è dubbio che i tempi giusti coinci-devano con quelli del completa-mento del nuovo Palazzo di Giustiziadi Novoli e che, dunque, i ritardi ac-cumulati sono da ascrivere alla re-sponsabilità della precedente GiuntaComunale.Per questo – ed è la modesta propostache avanziamo a Renzi – i tempi ade-guati per una seria programmazionedella destinazione funzionale delgrande complesso del convento diSanta Maria Novella sono oggi, men-tre va completandosi (l’orrenda)nuova Scuola Sottoufficiali dei Cara-binieri di Castello dove dovrà trasfe-rirsi quella attualmente collocata nelconvento. Questo potrebbe essere unaltro grande progetto di legislatura, dainiziare a concepire adesso per pro-grammarlo nei prossimi 3-4 anni e re-stituire alla città uno dei più grandicomplessi architettonici, dalle molte-plici valenze storiche, inserito in uncontesto artistico e museale straordi-nario, capace di consentire una letturadiacronica dell’evoluzione della città,dall’alto Medioevo fino ai giorni no-stri.Renzi ha scommesso 50 euro sulla suaricandidatura a sindaco di Firenze: senon è una boutade politica, sarebbeinteressante se egli si volesse misurarecon questi temi. Noi non abbiamouna sede accogliente per discuterneed intervistarlo, ma se vuole po-tremmo discuterne su una panchinain piazza S.Maria Novella.

che, appunto, mostra una scarsa pre-parazione e pazienza e una tendenzaa semplificare che rischia di produrreuna pericolosa implosione.Detto ciò l’idea di un unico soggettogestore di diverse strutture e funzioniafferenti direttamente alla politicapubblica è, appunto, assai seria e im-portante. Mettiamo l’accento sul ter-mine gestione giacché, a nostromodesto avviso, il coordinamento el’integrazione delle politiche afferiscealla funzione politica e non a quellamanageriale e, dunque, spetterebbeall’assessore alla cultura (che, invece,nelle parole di Renzi viene relegatoalla selezione del curatore della NotteBianca) e non alla Fondazione per laCultura. Non vi è dubbio che la ge-stione integrata sotto un unico sog-getto di funzioni culturalirelativamente omogenee non potràche consentire economie di scala nellagestione di risorse, maggior coordina-mento di orari e cartelloni e miglioreaccesso dei cittadini ai beni e alle atti-vità culturali gestiti. Ciò che serve perrealizzare un simile progetto è un par-ticolareggiato studio e piano di analisidelle funzioni e delle risorse, con si-mulazione dei risultati nel breve emedio periodo e analisi delle diverseforme giuridiche possibili e della go-vernance necessaria: un vero piano in-dustriale, non una leggerissimascheda per conferenza stampa. Un la-voro di lunga lena che dovrebbe, però,partire dalle urgenze e dalle strutturepiù rilevanti. E questa, senza alcundubbio, a Firenze si chiama nuovoTeatro del Maggio Musicale. La nuovastruttura, secondo quanto annunciatodal sindaco, sarà definitivamentepronta nella prossima primavera: èquindi già tardi per dotarsi di un seriopiano di gestione che, inevitabil-mente, contempli anche l’individua-zione di un soggetto diverso dallaFondazione del Maggio Musicale Fio-rentino (assolutamente inadatta a ge-stire una simile struttura). Di questotema qualcuno di noi ebbe a scriverein tempi non sospetti (Unità – To-scana il 7 novembre 2011 e il 24 di-cembre 2012): ora è davvero urgente.Se Renzi vuole davvero dare seguito aquanto dichiarato, dovrebbe concen-trarsi su questo e fare del nuovo teatro(insieme, forse, alla Pergola) il nucleoportante della gestione della costi-tuenda Fondazione per la Cultura. Sa-rebbe questa un’operazione tutta sua,di cui ascriversi legittimamente il me-rito (a differenza di quanto fa con lacostruzione del teatro, per il quale isoldi sono stati trovati perlopiù daaltri – segnatamente Regione Toscanae Ministero – e non dal Comune).Renzi dice chiaramente che “la Fon-dazione sarà totalmente pubblica” econ un netto “profilo manageriale”:questa è una sfida importante che var-rebbe l’attenzione di tutta la città.L’intervista di Renzi pone, forse nondel tutto consapevolmente, il temadella programmazione dell’utilizzo dispazi e immobili storici vuoti. Il sin-daco parla di S.Orsola, per la quale di-

Fondazione unica,per gestione comunedei beni culturalifiorentini.Partiamo da quie discutiamone

24 agosto. La storiadella Toscana da que-st'anno ha un giornoin più da aggiungere alsuo calendario. E per que-sto bisogna ringraziare lalungimiranza politicadell'assessora Cristina Scaletti e ilfrizzante intuito del direttore de LaNazione Gabriele Cané, che nel caldoestivo di Firenze si sono illuminati ehanno scovato l'idea per far rimbal-zare il nome della nostra gloriosa re-gione dall'Alpi alle Piramidi, dalManzanarre al Reno. Anzi ancheoltre, nello spazio. Quindi i due, mobi-litando da una parte la gioiosa mac-china da guerra di ToscanaPromozione (a caccia di un evento dapromuovere) e dall'altra la tremendaforza del quarto potere e dei suoi gior-nalisti inflessibili, si sono inventati unbell'aperitivo collettivo con tuffo tuttiper mano sul litorale, da Carrara al-l'Argentario, nel nome dell'amore fra-terno. Un arcobaleno che metteinsieme il meglio che la Toscana puòmostrare, dall'enogastronomia allospettacolo. Naturalmente è stato ungrande successo, tanto che la mac-china organizzatrice è già all'operaper la prossima edizione, di cui pos-siamo già anticipare l'evento cloudopo l'aperitivo e il tuffo collettivo: lapartita di calcio scapoli-ammogliatisu tutti gli arenili. Tanto con altri240mila euro sai quanti palloni sipossono comprare…

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Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

www.facebook.com/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARXI CUGINI ENGELSLO ZIO DI TROTSKY

Lascia o raddoppia

In realtà il nome Adele Larapace che compare come autrice del libro “Le strategie dellapensione”, è lo pseudonimo di Ginetta Guerri, classe 1937. Più che per puro caso, lo ab-biamo scoperto grazie alla soffiata di un amico che vive alla Garbatella. La sedicenteLarapace, è una fra le 535.752 persone superfortunate (moglie di Umberto Bossi com-presa) che a tutt’oggi godono dell’antico e folle vitalizio concesso a chi aveva lavorato, nelpubblico impiego, 14 anni, 6 mesi e 1 giorno. Nel tomo la babypensionata si vanta di es-sere stata la ideatrice della Legge che il Governo di Mariano Rumor fece approvare nel1973. Non si sa quanto ci sia di vero nel suo raccontare che fu l’unica donna che riuscì asedurre il cinquattottenne Presidente del Consiglio. La Ginetta narra particolari, certevolte anche scabrosi, della sua strategia per attrarre il politico democristiano, prima tra-vestendosi da uomo e poi facendoci sostituire, nell’assoluto buio di uno scantinato di Pa-lazzo Chigi dal fratello maggiore Franco. Di sfumatura in sfumatura racconta numerosiincontri, tutti in luoghi non illuminati, avuti con Mariano prima di riuscire ad ottenerela legge. Davvero di cattivo gusto questa confessione (ancorchè vera) che vuole farci credereche il massimo disastro della previdenza sociale italiana sia dipeso dalle presunte debo-lezze di un politico originario dell’allora codino e baciapile, Veneto.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

Il dado è tratto e, dunque,Matteo Renzi vincerà lagara per la segreteria del

PD (è noto che il Nostrocorre solo per arrivare primo) macontinuerà anche a fare il sindaco diFirenze (giacché anche lì non ce n'èper nessuno se decide di candidarsi).Quindi, doppia carica, diciamo “scon-sigliata” - viste le molteplici eccezioni- dal Codice Etico del Pd, ma soprat-tutto faticosa, impegnativa. Si è su-bito scatenata la ridda dei favorevolie contrari, tanto che il giovane Renziha messo subito lacosa in mano aisuoi consiglierigiuridicichiedendoun parerepro veri-tate. Lascelta è ri-caduta sulfidato GianiEugenio, poli-tico navigato, conlaurea in giurispru-

Un nuovo conflitto è alleporte. Pare che BarackObama abbia presotempo per l'attacco allaSiria per risolvere unaben più spinosa que-stione: la crisi diplomatica del Mono-poly. Infatti, l'ambasciatore USA aRoma, David Thorn, ha girato al Presi-dente la lettera che 7 deputati PD glihanno inviato per segnalare un pericolocapitale per la finanza mondiale. Pare,infatti, che l'azienda statunitense Ha-sbro che produce lo storico gioco da ta-vola “Monopoly” non solo abbiasostituito le proprietà immobiliari (davia Verdi a Corso Accademia) con pac-chetti azionari della multinazionali,ma abbia addirittura osato eliminare lacasella “Prigione” dal gioco. Tutto ciò inaperto contrasto con la politica etica ditutela dei consumatori del PresidenteObama: una vera minaccia soprattuttoverso i giovani per i quali “Monopoly”costituisce “la prima alfabetizzazioneai meccanismi del libero mercato” e checosì invece torna “ad esaltare la turboeconomia che ha aperto la crisi finan-ziaria 2008, con il messaggio diseduca-tivo che, in caso di violazione delleregole, non si viene neanche puniti”. Lalettera si chiude con la richiesta al go-verno USA di “valutare eventuali prov-vedimenti delle autorità competenti”,grande esempio di libero mercato, nonc'è che dire! Posto che a nessuno è datosapere quali sarebbero queste autoritàcompetenti. Tuttavia, Obama ha presomolto sul serio l'iniziativa dei deputatiPD e ha richiamato l'ambasciatoreUSA presso la repubblica di “Mono-poly” e con essa ha rotto le relazioni di-plomatiche. Pare che stia studiandoanche una operazione di polizia inter-nazionale per impedire una escalationdel conflitto. Inoltre ha aperto duenuovi fronti caldi: contro “Risiko” pereliminare la Jakuzia e l'Alberta perchédiseducative giacché il gioco rappre-senta la prima alfabetizzazione dei gio-vani alla geografia e contro “Scrabble”(Scarabeo) per eliminare neologismi pe-ricolosi in quando codici cifrati del ter-rorismo internazionale. Un grande successo per la diplomaziada tavolo dei Magnifici 7: Anzaldi,Berlinghieri, Biffoni, Bobba, Bonac-corsi, Gelli, Magorno.

Giocarea farepolitica

Libiamo, libiamone’ lieticalici denza e, soprattutto, massimo esperto in

fatto di doppi incarichi. E la risposta èstata chiara, inequivocabile: “Nessunproblema”. Pare che il parere conti-nuasse così: “io di incarichi ne ho cumu-lati 7 o 8!”, ma poi si è preferitosostituire con un bell'omissis. Le dichia-razioni a mezzo stampa del prode Euge-nio hanno poi chiarito tutto, un veroparla-come-mangi: “Mi sembra che laposizione di Renzi sia giusta (dunque,la mia è super-giusta). A Firenze ha co-struito una bella squadra (la Fiorentinae mi ha messo nel CdA!). Ognuno dinoi ha ruoli molto precisi (e io ne ho più

d'uno!). Dobbiamo anche pensare alvantaggio che può significare per

Firenze avere il segretario delpartito più importante in Pa-lazzo Vecchio (e quindi ancheper me!). Penso ai fondi per ilTeatro Comunale (e vuoi chenon mi tocchi anche lì una bella

poltroncina!), al Fus, ma ancheagli interventi per la tramvia

(così si fa una bella inaugurazione,la terza, senza aprire un cantiere!)”. E

vai, avanti, verso nuove avventure.

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.5PECUNIA&CULTURA

Lo sterminato Patrimonio culturaleitaliano vive un momento moltodifficile e complesso in cui oc-corre, da una parte, garantire ur-

gentemente la sua salvaguardia evalorizzazione, dall’altra trovare velo-cemente nuove forme di coinvolgi-mento capaci di appassionarepersone, reti e comunità. In questo senso continuare a leggere,e mai rileggere, alcune delle note,scritte ormai quaranta anni fa, di PierPaolo Pasolini sulla cultura apre aun’esperienza intellettuale che può,anzi deve, ispirare tutti i portatori dicapitale culturale a sentirsi parte incausa di una lotta il cui inizio comin-cia ogni giorno e la cui fine non puòesistere. La critica pasoliniana individua il de-clino, ancora odierno, della figura del-l’intellettuale: “L’intellettuale è dovel’industria culturale lo colloca: perchée come il mercato lo vuole. In altreparole, l’intellettuale non è più guidaspirituale di popolo o borghesia inlotta (o appena reduci da una lotta).Ma, per dirla tutta, è il buffone di unpopolo o di una borghesia in pacecon la propria coscienza e quindi incerca di evasioni piacevoli.” Pasolini indica quale dovrebbe esserela motivazione di questa lotta: “Peramare la cultura occorre una forte vi-talità. Perché la cultura – in senso spe-cifico o meglio classista – è unpossesso e niente necessità di una piùaccanita e matta energia che il deside-rio di possesso” e suggerisce quale siail contesto di questa lotta: “La poesianon è merce perché non è consuma-bile. È ora di dirlo: questa di parago-nare l’opera d’arte a un prodotto e isuoi destinatari a dei consumatoripuò essere una divertente metaforama nient’altro. Se qualcuno dice unacosa del genere è un imbecille, la poe-sia non è prodotta in serie, cioè non èun prodotto. E un lettore può leggereuna poesia un milione di volte senzaconsumarla. Anzi forse la milione-sima volta la poesia gli potrà sembrarepiù strana e nuova e scandalosa che laprima volta.” Pasolini pone a riguardo dei Beniculturali un ammonimento de-ciso e pessimista: “I monumenti,le cose antiche, le facciate dei pa-lazzi, tutto questo, reso antropo-morfico e come divinizzato inuna Figura unica e cosciente, si èaccorto di non essere più amato, disopravvivere. E allora ha deciso di uc-cidersi: un suicidio lento e senza cla-more, inarrestabile. Se un bambinosente che non è amato e desiderato –si sente “in più” – inconsciamente de-cide di ammalarsi e morire e ciò ac-cade. Così stanno facendo le cose delpassato, pietre, legni, colori.”Oggi, nell’era della condivisione edella partecipazione digitale, l’analisipasoliniana torna d’attualità per dueragioni di fondo: la prima tocca l’im-pegno degli intellettuali e degli artisti

che non devono cercare ossessiva-mente un’avanguardia, spesso espres-sione del mercato culturale, madevono presidiare la retroguardiadella cultura ponendo al centro della

loro azione la tutela del Patrimonioculturale; la seconda, invece, riguardala ricerca di quella “milionesimavolta” che, grazie agli strumenti dellarete diviene una prospettiva reale se,e solo se, a tutti venga concesso, a di-verso livello e titolo, di venire coin-volti in un processo socioculturale diresponsabilità culturale collettiva.

di Mario Guglielminettitwitter @mariogug e [email protected]

lottapossibilità

cultura

la

di

la

“èPer me

lui

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.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.6

La “Collezione Minima” di Cesare Za-vattini rappresenta una straordinariatestimonianza di pensiero e azione,una meditazione sul significato del-

l’arte nella vita come il miglior modo di co-gliere lo spessore antropologico dell’Artee dell’artista. Si tratta certamente di un col-lezionismo capace di intuire la nobiltàdell’estetica contemporanea, di compren-dere come ogni singolo artista sia in gradodi afferrare nessi e sensi esistenziali del mo-dern, esprimendoli secondo l’idea diun’Arte capace di emozionare e rappresen-tare. La collezione ritrae in toto la figura diZavattini, ideologicamente eclettico, ri-belle, dinamico, in continua evoluzione eancora da scoprire, poiché singolarità eoriginalità sembrano essere i tratti distin-tivi di un personaggio che è riuscito a co-gliere l’essenza e la sensibilità della pitturaitaliana del Novecento, organizzandolacome un’enciclopedia di ampio respiro, inun piccolo formato denso di possibilità. Ispirandosi a questa strana e singolare col-lezione - oggi smembrata fra galleristi eprivati - e alla passione che ha spinto Za araccogliere in quarant’anni quasi 1500opere d’arte, è stato chiesto ad artisti e per-sonaggi dell’arte contemporanea di ricor-dare il padre del Neorealismo, realizzandoun’opera su tavola in quel famoso formato.Una produzione artistica di non facile ese-cuzione, in cui gli artisti coinvolti hannomesso alla prova creatività e spinte forma-tive, manifestando e valorizzando il pro-prio talento oltre la consueta normapittorica. Ne emerge un quadro generaledi forme, colori, idee e aspirazioni, visionie concetti, attraverso il quale non solo èpossibile gustare la specificità di ogni sin-gola opera, ma anche assaporare il gustocontemporaneo e una certa linea criticacapace di rendere l’artista testimone delproprio tempo. Le centotrentadue tavo-lette verranno presentate in quella che fula casa-studio di Ottone Rosai a Firenze,rimanendo in mostra fino al 18 settembre,per poi essere trasferite alla Biblioteca Na-zionale Centrale di Firenze, nella quale il20 settembre avverrà la cerimonia di con-segna delle opere che resteranno in dona-zione ed entreranno a far parte del suoprestigioso “Fondo d’artista”, contenenteopere di tutti i maggiori artisti del Nove-cento. Saranno in esposizione e verrannodonate anche le 110 tavolette della mostra“Dove sta Za”. 110 artisti per i 110 anni diZavattini, l’evento cardine, inauguratosi aFiesole il 20 settembre 2012 nello spazioespositivo più piccolo del mondo “Qua-dro 0,96”, che ha dato modo al curatore eagli ideatori di riproporre in una nuovaveste questa seconda manifestazione.Se da una parte l’evento mette in evidenzale peculiarità stilistiche dell’Arte contem-poranea, dall’altra si delinea un complessosistema di segni artistici che comunicanoe si amalgamano, creando frammenti in-terpretativi dell’attuale presente storico, ri-vivendo la passione per l’arte e la culturache ha animato la Collezione Minima el’originalità poetica di un intellettuale toutcourt, che oggi sembra essersi spenta e as-sopita, in nome di una fruibilità disincan-tata.

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

Parliamotanto di...

Gli artisti Andrea Abati, Lorenzo Acciai, Loriano Aiazzi, Fabrizio Ajello, Francesco Alarico, PaoloAmerini, Roya Amini, Silvia Ancillotti, Silvia Bacci, Nora Bachel, Stefania Balestri, Consuelo Bellini,Riccardo Benvenuti, Franco Bertini, Chiara Bettazzi, Nebojša Bogdanović, Fabiana Bonucci, Ales-sandra Borsetti Venier, Jean-François Bory, Leonardo Bossio, Piero Brachi, Caterina Brezzo, GloriaCampriani, Carlo Cantini, Myriam Cappelletti, Ivano Cappelli, Giancarlo Cardini, Silvia Cardini,Paolo Carradori, Alessandro Casini, Cinzio Cavallarin, Riccardo Cocchi, Valentina Colella, CarloMarcello Conti, Mattia Crisci, Andrea Dami, Jakob De Chirico, Pier Giorgio De Paoli, Lucia DeSantis, Luca De Silva, Adolfina De Stefani, Luca Di Castri, Gabriele A. Di Maio, Tamara Donati,Graziano Dovichi, Laura Facchini Van der Bol, Fabio Massimo Faggi, Riccardo Farinelli, GigliolaFazzini, Fernanda Fedi, Lidia Fiabane, Luca Ficini, Giovanni Fontana, Raffaella Formenti, IgnazioFresu, Gabriella Furlani, Walter Fusi, Beatrice Gallori, Antonella Gandini, Mauro Gazzara, DelioGennai, Lorenzo Giandotti, Roberto Gianinetti, Carlo Gianni, Gino Gini, Roberto Giovannelli,Federica Gonnelli, Raffaello Gori, Patrizia Gozzini, Silvia Grazzini, Mario Guarducci, Carlo Gua-rienti, I Santini del Prete, Lee Jaffe, Donato Landi, Bruno Larini, Cinzia Lo Russo, Paolo Lumini,Aldo Lurci, Riccardo Macinai, Gustavo Maestre, Salvatore Magazzini, Riccardo Lanciotto Magris, Guglielmo Malato, Attilio Maltinti, Antonello Mantovani, Andrea Marini, Dora Markus, EnzoMinarelli, Massimo Mion, Fernando Montagner, Fernanda Morganti, Bruna Nocenti, MuratOnol, Virginia Panichi, David Gioni Parra, Lia Pecchioli, Roberto Pedrazzoli, Guido Peruz, Fran-cesco Pescioni, Stefano Pezzato, Alessandro Pierattini, Beatrice Pieroni Lubè, Roberto Pisanelli,Letizia Pistolesi, Antonio Poce, Giampiero Poggiali, Rudy Pulcinelli, Stefania Puntaroli, GiovanniRaffaelli, Augusto Ranfagni, Enzo Risaliti, Omar Ronda, Sarenco, Stefania Scarnati, LucianaSchinco, Gue Schmidt, Veronica Selvanetti, Rolando Sforzi, Vittorio Simonini, Skim, Fausta Squatriti,Tijana Stanković, Antje Sträter, Lolita Timofeeva, Maurizio Tozzi, Tommaso Tregnaghi, TommasoVassalle, Paolo Vegas, Marta Vezzoli, Simona Vignali, Virginia Zanetti

Omaggioa CesareZavattini

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.7OCCHIO X OCCHIO

Quando un fotografo vede e fo-tografa se stesso, ottiene unaimmagine che corrisponde alsuo immaginario, e mostra

quello che egli crede di essere e chevuole fare credere di essere. Lo stessoaccade quando un fotografofotografa unaltro fo-tografo,p r o i e t -tando sudi questo,cosciente-mente omeno, lapropria im-magine. Alfred Stie-glitz (1864-1946) hasegnato il pas-saggio fra duemondi, la suavita oscilla fraEuropa ed Ame-rica, le sue operef o t o g r a f i c h eoscillano fra il pit-torialismo e la“straight photography”, e la sua atti-vità di gallerista oscilla fra la fotogra-fia e le avanguardie artistiche. Natonel New Jersey si trasferisce a diciottoanni a Berlino, inizia a fotografare vin-cendo dei premi e continuando glistudi di fotografia a Vienna. Nel 1890torna a New York, diventa socio delCamera Club e dal 1897 al 1902 pub-blica la rivista Camera Notes. Orga-nizza nel 1902 la prima mostra diPhoto-Secession, l’ala americana delpittorialismo, e dal 1903 al 1917 di-rige la rivista Camera Works, ripu-diando il pittorialismo per lafotografia diretta. Fra il 1905 ed il1917 dirige la galleria 291 nellaQuinta Strada, affiancando alle mo-stre di fotografia quelle degli artistidell’avanguardia europea. Nel 1924sposa GeorgiaO’Keeffe, ed oltreal corpo dellamoglie, fotografale nuvole, “equi-valenti” dei suoistati d’animo.Fino al 1946dirige la Inti-mate Gallerye An Ameri-can Place.Stieglitz halasciato al-cuni auto-ritratti edè stato fo-tografatodai foto-grafi cheh a n n oi n c r o -ciato lasua strada.

di Danilo [email protected] Il volto

fotografodel

Autoritratto (1894)

Autoritratto (1894)

Gertrude Kasebier – Stieglitz nel 1902

Autoritratto nel 1907

Paul Strand – Stieglitz nel 1924Edward Steichen – Stieglitz nel 1915

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.8

Clusone, Val Seriana in Lombardia.Nord. A fianco della Basilica diS..Maria Assunta e S.GiovanniBattista un piccolo-grande capo-

lavoro di cui è ricco il nostro distrattopaese: sulla facciata dell’Oratorio dei Di-sciplini (una confraternita di flagellanti),costruito nel XIV secolo, un affresco stra-ordinario sui temi della Morte, realizzatoda un autore sconosciuto nel 1485. “no èomo così forte che da mi po’ scampare”, silegge nel cartiglio che commenta la partecentrale dell’affresco, il Trionfo dellaMorte (tema diffuso nell’Europa meridio-nale). Sul lato sinistro l’Incontro dei tre vivie dei tre morti (caccia col falcone, ispiratoad una leggenda diffusa in tutta Europa neisecoli XIII e XIV). Sotto la Danza Maca-bra (tema tipico di tutto il nord Europa,dalla Finlandia fino alla Croazia e appuntoil nord Italia) in cui la Morte di ciascunodanza a coppia con i vivi. Un capolavoro,di cui intuisci le molte implicazioni cultu-rali e non solo artistiche. E immagini ditrovare risposta alla tua curiosità intellet-tuale nell’adiacente Museo della Basilica.Che ti accoglie in un vasto androne am-modernato, con scale “coloniali” e l’im-mancabile (ma scarno) bookshop. Nellediverse sale ti aspetti ti venga presentata lastoria di quel meraviglioso affresco, non-ché quella dei Disciplinati e alcuni degli af-freschi strappati dal portico esterno erestaurati nel 1972. Invece sei totalmentefrastornato da una confusa e incompren-sibile accozzaglia di “oggetti”, religiosi enon, antichi e contemporanei (una mostradi tre artisti contemporanei disseminatanelle sale, totalmente incongrui e non dia-loganti con il museo). Un caos che ti stor-disce e che ti rende impossibile capirealcunché né delle opere esposte, né dellastoria svoltasi attorno all’Oratorio. Unasala con modellino della Basilica e opere(mah?) di un contemporaneo, attraversatala quale ti trovi in una più piccola con qual-che traccia di storia dei Disciplini e 4 pre-gevoli parti di affreschi posti sulle paretiopposte e interposti da due drappi storicidella confraternita che però rendono illeg-gibili gli affreschi e i drappi stessi: una in-comprensibile violenza allestitiva.Riprendi fiato passando nel presbiterio af-frescata con un pregevole ciclo della vitadi Gesù, in 42 quadri, realizzata nel 1470da un notevole pittore locale, con una bel-lissima pala d’altare di scuola veneta: vera-mente un esempio strepitoso di goticoquattrocentesco. Peccato, però, che ilmuseo non ti spieghi assolutamenteniente del perché e di come questo capo-lavoro internazionale si trovi qui. In com-penso, però, nelle altre sale del museo tiviene offerto un meschot (un “miscuglio”in lingua locale) davvero indigeribile di tal-volta pregevoli dipinti e arredi sacri, testi-monianze di visite pastorali di cardinali (daS.Carlo Borroneo a papa GiovanniXXIII), pianole e abiti talari, immaginisacre di varia età e fattura (fino al kitch mo-derno del bambin Gesù a lato di due no-tevoli pale d’altare) e scrittoi. Verrebbevoglia, a fronte di tanto inutile e dannososforzo di allestimento (che non deve ne-anche essere costato poco) di chiamare

Stazione di posta

di Barbara Setti e Simone Silianitwitter @Barbara_Setti e [email protected]

di Franco [email protected]

Fu Gino Gerola a farmi conoscere, allafine degli anni Settanta, il giovanePaolo Codazzi in una serata di presen-tazione di un suo libro al Parterre dipiazza della Libertà.Ne seguì un invitoa visitare la sua libreria a Porta Ro-mana che accolsi ben volentieri. Du-rante questo incontro Codazzi miespresse, con uno slancio che poi ri-sultò essere suo felice dato caratteriale,il desiderio di dare vita ad una nuovaentità editoriale.L'idea rimase così, come un impegnoinformale fra di noi , che avrebbe do-vuto trovare in seguito qualche esito.C'era, in quegli anni, la necessità di unripensamento sul tumultuoso muta-mento epocale nella ricerca di un co-dice atto a rilevare costanti e variantidella letteratura. Il progetto si soffermò sul tema dellecorrispondenze, intese come scrittureconvincenti in quanto tali e per le ar-gomentazioni che accomunasse unaciviltà letteraria in divenire.L'impegno, visto a posteriori, risultavacoerente ai bisogni del tempo. Non a caso la testata,nel1983, fu Sta-zione di posta.Da un lato Paolo Codazzi poneva inessere tutto il suo entusiasmo di neo-fita, dall'altro io curavo la parte tecnica

POLVERE DI MUSEI

PIANETA POESIA

e relazionale con esiti evidenti se unostudioso come Ferruccio Masini definìla rivista come un pugno sul tavolo neiconfronti dell’establishment.Stazione di posta non è stata, dunque,una rivista di poesia ma, fino a un certomomento, una fucina di riflessioni divaria natura sull'attuale vergate da com-pagni di viaggio e, all’origine, “battez-zata” non a caso da Gerola con l'auguriodi continuare lo spirito aperto del Quar-tiere.“È significativo che un giovane comePaolo Codazzi senta la necessità di met-tersi insieme al relativamente giovane,Manescalchi (redattore di «Quartiere»,a suo tempo, ricordiamolo), per avviareuna nuova rivista. Non solo, ma colle-gandola a quella vecchia matrice, aquelle indicazioni e dati di percorso, evi-dentemente ancora validi, nella loro so-stanza. Si chiama Stazione di posta. Quii vocabolari sono piuttosto taccagni,anzi, alcuni, la denominazione interanon la riportano neanche: roba troppovecchia, evidentemente. I significati, co-munque, si affacciano subito da folle diricordi, letture, film, storie di ogni ge-nere e sono quanto mai suggestivi: car-rozze in arrivo e in partenza, gente cheva, che viene, che sosta e ogni movi-mento può dare luogo almeno a unapiccola avventura. Non è un posto fissoe delimitato come il «quartiere». E unospazio aperto, dinamico, magari pieno di

imprevisti. ”Poi, come in ogni percorso di gruppo,naturalmente le visioni si articolano: lalegittima finalità di Paolo, di porsi comeeditore e di procedere per monografieprevalse sullo spirito del convivio lette-rario che aveva caratterizzato i primianni in cui Pratolini e Maccari avevanoaperto un dialogo con le nuove genera-zioni.Questo mio studio ha tuttavia per temail rapporto fra i movimenti letterari at-traverso le riviste e dunque, pur conser-vando un affetto fraterno verso unamico con cui ho condiviso un tratto distrada, diciamo che l'interesse va a queinumeri e a quegli anni nei quali GavinoLedda, Raffaele Nigro, Inisero Crema-schi, Gilda Musa e tanti altri firmaronopagine dialogiche su quella Stazione diposta che, in quanto tale, documenta iltransito di poeti e narratori con cui av-venne un fruttuoso scambio di carte.Più che testi, contesti e pre-testi che oraassumono il valore di una vita pulsante eche, come tale, può essere rivisitata.

Dansemacabrein Val Seriana

manda, a cominciare dai realizzatori.Forse, ci sarebbe da riflettere sulla neces-sità di realizzare un museo, nel senso tra-dizionale del termine. Il problema difondo è che oggi non si riesce a svolgereuna soddisfacente narrazione del territo-rio, cui invece questo affresco rimande-rebbe. Il territorio, le chiese, gli affreschinarrano già abbondantemente, senza bi-sogno di inutili accozzaglie di cianfrusagliee pregevoli opere che chiamiamo impro-priamente “museo”, questo territorio, soloche si sia in grado di renderlo comprensi-bile con vari strumenti: dalle attività cul-turali alle biblioteche e archivi, dai percorsituristico-culturali ai supporti (tecnologicie non) di visita ai vari luoghi, dalle pubbli-cazioni a, talvolta, anche musei. Occorreperò, a monte di tutto ciò, un reale inte-resse a comprendere il vero genius loci cheogni territorio racchiude in sé.E’, forse, proprio questa caduta d’interesseper questi temi che costituisce il più pre-occupante analfabetismo di ritorno diqueste terre. Per battere il quale occorre-rebbe curiosità, ricerca, approfondimento,passione e poi, solo poi, tecnica per alle-stire un museo leggibile e comprensibile,con meno oggetti forse ma con più filo lo-gico, esperienzialità, racconto. Voto per ilmuseo: 3. Ma un 10 pieno all’ignoto arti-sta che, alla fine del Quattrocento, ci ha re-galato un capolavoro assoluto e allaConfraternita dei Disciplinati committentidell’affresco.

Foto di RebeccaMais

una sorta di Pronto Intervento della So-vrintendenza (che magari ha anche colla-borato all’allestimento, ma non lo potremomai sapere perché nessun supporto icono-grafico o pannello ha il bene di farci saperea chi si debba l’allestimento). Ma perché,ci domandiamo, fare questi musei? Il pro-blema è proprio che nessuno se lo do-

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.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.9ICON

Giampiero Niccoli lavora suipieni e sui vuoti creandoopere che, in contrasto col ma-teriale usato, sappiamo leg-

gere come i fogli di un libro che si apree si richiude. Una delle opere più evo-cative è proprio quella della copertinadi questo catalogo: un volume che siapre verso destra e verso sinistra. Le“pagine” sono da una parte copertecon foglia di argento e dall'altra d'orotanto da aumentare la piacevolezzadell'inganno, la materia dura e pesantesi sfoglia con tanta docilità da farla ap-

parire quasi inconsistente, come se sitrattasse di petali e di foglie leggere.Giampiero raggiunge le tre dimen-sioni partendo dalla levigata superficiedi metallo, quello che vediamo sembraessere nato pochi istanti prima quasiprodotto da un colpo di vento che sol-leva la carta. Anche per questo si hal'impressione che, cessato il vento,tutto torni al suo posto dato che ogniforma può rientrare nel vuoto che halasciato, appare naturale che ci ritornicreando un sottile gioco di concavi econvessi che danno alle opere unaaspetto dinamico, tanto che, girandoloro intorno, possiamo apprezzare, dapunti di vista diversi, infinite imma-gini. E' arduo ricercare collegamenticon altri linguaggi e movimenti, anchese nell'immediato il materiale, il coloredella ruggine e il piegarsi del ferro ciricordano per un attimo le grandiopere di Richard Serra, ma è solo unflash di memoria soggettivo. Anchepensare a due grandi artisti fiesolanicontemporanei, ambedue maestri delmetallo, come Gidon Graetz e DianaBaylon (recentemente scomparsa)non ci aiuta a trovare assonanze o in-fluenze, tanto più che Giampiero harespirato molto più il fuoco e il ferroche le tradizionali atmosfere delleesposizione artistiche. Ci conviene ri-manere in Bottega ritrovando tutte leopere che sono coerenti ad un sottilelinguaggio surreale, del resto tutta lalunga storia della lavorazione del ferroin arte ha sempre perseguito effetti di“maraviglia” che permettono al pe-sante l'apparir leggero. Le sculture cheNiccoli ha disposto nello spazio espo-

di Aldo [email protected] L’inganno

gioiosodella leggerezza

del ferroFoto dall’archivio Roberto Minuti

Fuori stagioneMINUTAGLIE

Le sculturedi Giampiero

Niccoli al Basolato di Fiesole

sitivo del Basolato di Fiesole, pur fe-deli ad un “taglio” omogeneo, varianopassando da nette geometrie astratte afigure la cui espressione è spesso lasintesi di un ammiccamento ironico,come del resto è nella natura di Giam-piero :uomo e artista pieno di ottimi-smo e giovialità.

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.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.10

diSandro Bini

Notturni urbaniIl brivido lungo e misterioso

della notte in città

Firenze 2004-2013

LUCE CATTURATA

Sandro Bini - Coverciano - Firenze 2012

Quello che dispiace del dibattitoche sembra essersi riacceso sulfuturo della tramvia di Firenze(di per sé necessario, il silenzio

stava diventando assordante) è che, an-cora una volta, abbia imboccato i binaridella polemica politica, laddove serietàvorrebbe - e i casi europei che spessovengono citati ne sono la testimo-nianza – che ogni confronto tra alter-native tecniche (tracciato insuperficie/tracciato in sotterranea) av-venisse in prima istanza sulla base di ac-curate analisi costi-benefici, utilizzandoparametri comuni: costi di costruzionedell'infrastruttura e delle fermate, costidi gestione a regime, bacino di utenzapotenziale, tempi di realizzazione, inse-rimento urbanistico, ecc.. Finchéognuno si appella all'evidenza delleproprie ragioni non si va da nessunaparte. Dei pregi e difetti della linea 2 dellatranvia sappiamo ormai tutto. Per l'ipo-tesi “tramvia sotterranea” – sostenutaanche da Eugenio Giani nell'intervistadel 19/7 su “La Nazione” – moltomeno: si fa riferimento a un costo pre-sunto di 70-80 mln €/km derivante daun “vecchio” (quanto vecchio?) studiodi fattibilità, che, a questo punto, misembrerebbe logico rendere pubblico.Pronto a ricredermi di fronte ai dati, mafrancamente la cifra mi sembra sotto-stimata (al netto del fatto che non si facenno ai costi di gestione, ovviamentemolto più alti nelle infrastrutture inter-rate – pensiamo solo alle scale mobili,alla sicurezza, ecc.: quello che contanon sono infatti solo i costi iniziali, maanche i tempi di ammortamento equindi l'equilibrio economico dell'ope-razione).Riguardo all'esempio di Strasburgo ci-tato giustamente da Giani come unodegli esempi più funzionali e meglioriusciti in Europa, occorre precisareche in quella città la tramvia non attra-versa il centro storico in sotterranea,ma in superficie, percorrendo solo unbreve tratto in galleria in corrispon-denza della stazione ferroviaria cen-trale, per favorire l'interscambiotreno/tram. Un ulteriore tratto inter-rato di ca. 1 km è collocato fuori dalcentro, e serve per attraversare una fer-rovia e un'autostrada. L'unica tramviain Francia che attraversa il centro nelsottosuolo mi risulta essere a Rouen:uno dei primi sistemi moderni realiz-zati nel paese (1994), che a distanza dianni continua a essere criticato (anchenel recente volume Atlas du tramwaydans les villes françaises pubblicato concontributi del Ministero della Cultura)per il forte impatto delle rampe checonducono al sottosuolo, simili aquelle costruite lungo la linea 1 a Fi-renze in fondo a Viale Talenti (nell'ipo-tesi di percorso interrato se nedovrebbe realizzare una sul Lungarnodella Zecca). Altri esempi sono rintrac-ciabili in Germania, ma si tratta di lineeche attraversano tessuti ricostruiti neldopoguerra e a profondità non parti-

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.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.11IL DIBATTITO SÌ

di Francesco Alberti*

Foto di Maurizio Berlincioni

Un tramchiamatopolitica

colarmente elevate. Un esempio è Kar-lsruhe, dove per liberare la superficie daun traffico di mezzi pubblici divenutoeccessivo (non è evidentemente il no-stro caso), si stanno realizzando alcunitronchi di tunnel per ben 5,8 km com-plessivi a 13-14 m di profondità, concosti al km molto superiori a quelli ven-tilati per Firenze. Bisogna poi conside-rare che nel nostro centro èimpensabile scavare a meno di 20-25metri di profondità. Significa che le fer-mate (Piazza Repubblica, zona SantaCroce), vanno concepite come edificidi 7-8 piani conficcati nel sottosuolo,con le necessarie sovrastrutture di su-perficie: accessi, prese d'aria, ecc.. Perfarci un'idea possiamo andare a vederele fermate della metropolitana automa-tica di Brescia da poco entrata in fun-zione, facendo anche in questo caso ledovute distinzioni: le due stazioni cheservono il centro sono infatti collocatefuori dal perimetro antico; il sistema èpoi a tutti gli effetti una sia pur piccolametropolitana, non integrabile a unatramvia, con fermate poste a distanzemolto maggiori. Tutto questo per ribadire che non sipossono valutare due soluzioni alterna-tive senza tener conto dei pregi e dei di-fetti di entrambe. Verifichiamopuntualmente (aggiornando eventualistudi già disponibili), pubblichiamo idati e poi ciascuno potrà consapevol-mente decidere di mantenere (o cam-biare) la propria idea di partenza sucosa sia meglio per la città. Ovvia-mente, il prima possibile.*Ricercatore di Urbanistica Professore diProgettazione Urbana presso il Diparti-mento di Architettura dell'Università diFirenze

di Michele Morrocchitwitter @michemorr

ODORE DI LIBRI

Paolo Poli lasciò Firenze sul finiredegli anni 50 tuttavia la sua città na-tale, la sua infanzia rifredina, sonol’imprinting di una vita favolosa, stra-ordinariamente naturale nel suo es-sere completamente diversa. Merito,ci spiega l’attore, di una famiglia liberae laica come solo certa borghesia ita-liana del XIX secolo ha saputo essere.Questi racconti, insieme agli episodistraordinari e crudeli di una vita traarte, poesia e marchette, sono il succodi Sempre fiori, mai un fioraio, auto-biografia di Paolo Poli in forma diconversazioni al ristorante con PinoStrabioli, E’ un libro leggero, aneddo-tico, gradevolissimo, in cui la pesan-tezza, la frustrazioni e le inevitabilitristezze di Poli, son coperte con il ce-rone della vita sempre volta, nono-stante gli ottanta e passa anni (ciperdoni il maestro che delle dive l’etàandrebbe sempre celata), al futuro;pur se in presenza di un passato densoe capace di schiacciare chiunque. Così

cattivo, perfido persino, ma innocentequando racconta amori, colleghi esveltine in una vita conformementetrasgressiva, mai sopra le righe pur es-sendo completamente oltre la linea,ottusa e bigotta, del comune senso delpudore. Ma in Poli non c’è mai ribel-lione, rivendicazione, atto manifesto epolitico, la sua è rivendicazione dinormalità, di poter aver posto nellegozzaniane case borghesi della fin desiécle. Gusto invece straordinaria-mente fine ed educato che traspare inuna memoria culturale enciclopedica,in una conoscenza dell’arte e della let-teratura da grande colto (la laureaschernita ma rivendicata continua-mente lo testimonia) e da amante pro-fondo del bello, forse triste per lamaggioranza di fiori ricevuti tra case ecamerini rispetto ai fiorai, ben più am-biti, trattenutisi dopo la consegna acui il lieto fine di Franca Valeri tenta diporre rimedio.

Paolo Poli con Pino Strabioli, Sempre fiori mai un fioraio.

Ricordi a tavola, Rizzoli, 2013

Paolo Poli, straordinario normale

si passa dagli aviatori milanesi, corrottiper presenziare agli spettacoli, a San-dro Penna, Moravia, Pasolini (che de-testava Poli per la sua spavalda eofferta femminilità), alla famiglia,l’amata madre, il padre compagno digiochi, le città e il teatro, faticoso mairrinunciabile. Un Poli felicemente

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.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.12

Una nuova tipologia merceolo-gica avanza nel centro sto-rico: la Haidresser-ArtGallery. In Parione, a Firenze,

ad esempio, di fronte alla bella fian-cata michelozziana in bionda pietraforte di Santa Trinita, da tempo, En-rico Lepore ha creato un raffinato sa-lone tutto al femminile (con qualcheeccezione) per curare e pettinare lebelle signore fiorentine. Ma prima di“pensionarsi”, ha tirato su Gregorio,un giovane apparentemente un po’trasgressivo ma professionalmenteassai bravo e all’avanguardia nellasperimentazione di “tecniche rigene-ranti” sulle chiome femminili, franew-design e visual communication.Fin qui innovazione professionalema nulla di particolarmente singo-lare. Il fatto è che Gregorio ha pen-sato bene di chiamare a “bottega” lasua compagna, Maho Sato, nata aTokyo nell’80 e ormai fiorentiniz-zata. Presto discuterà la sua tesi al-l’Accademia di Belle Arti su “Lacerimonia del tè tra performance earte relazionale”. Intanto, Maho hacominciato a scrostare gl’intonaci deivani, fra vasche, bacini per shampo,tinte e varie foggie di phon; così ap-paiono le prime pitture parietali, tec-nicamente realizzate in acrilico,acquarello, matite colorate e colla.Una “tecnica mista” che dà conto diuna sperimentazione in corso che stariversandosi in questa singolareHairdresser-Gallery.Dopo un tirocinio in Giappone chel’ha vista impegnata nell’Interior De-sign e scenografia di eventi (moda,mostre, show) Maho reimposta lasua creatività a Firenze, iscrivendosiall’Accademia. La sua cifra creativa sinutre di un’armonia rilassante e dina-mica insieme, propria del grandepensiero filosofico giapponese. E’ nel2012 che Maho Sato ha la svolta de-finitiva del suo percorso artistico. Cisono due passaggi autobiografici cheval la pena ricordare; il primo: “Ungiorno ho provato ad applicare unrossetto rosso sulle mie labbra e im-mediatamente il mio stato d’animo siè sentito bene e ho desiderato illumi-nare ogni cosa attorno a me e aglialtri con il colore”. Il secondo: “... inquesto momento ho perso il miosguardo per la mia arte e per la miavita, però mentre dipingevo questoquadro ho ricevuto molta forza: avolte piangevo, a volte volevo scap-pare da questa realtà, ma piano pianoho cominciato a trovare la luce, lasperanza, la tranquillità e la passione,traversando tutti questi stati d’animo.Alla fine, ho capito che, inconscia-mente, avevo fatto ‘arte-terapia’, conil mio quadro e con me stessa”. Cosìcon l’hair-styling-care di Gregorio cisaranno queste pareti “orientaliz-zanti”, quasi ad evocare ciò che ac-cadde alla Villa del Poggio Imperialedue secoli or sono. Intanto, per ilprossimo autunno, si programmi unavisita in questa nuova Galleria.

di Francesco Gurrieri

SILENZI ASSORDANTI

Maho Sato

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

Una trappola per topi sposati

Un nuovo taglio dell’arte

Trappola per topi doppia, “matri-moniale” si direbbe, in legno,primi '900Frutto di una mente tanto inge-gnosa quanto diabolica e, di si-curo, perversamente ostile aipiccoli topi di campagna.Del cibo veniva messo in fondo aibuchi, poi i due cappi, in ferro, ve-nivano fatti passare attraverso leapposite fessure fino a quandonon aderivano perfettamente alla

circonferenza del buco e qui fissaticon del filo di cotone che passava daparte a parte. Trappola pronta!Il topino visto il cibo in fondo altunnel e non riuscendo a raggiun-gerlo perché il buco è ostruito dalfilo, rode il tracotante ostacolo...eZAC! Il cappio "slacciato" scattacome una molla verso l'alto e in unsol colpo impicca il malcapitato, che,in un certo senso, si giustiza da sololenendo così eventuali ed ipotetici

sensi di colpa del crudele inventore.Visto che queste mini forche pertopi venivano posizionate soprat-tutto nei granai nel vano tentativo diproteggere i sacchi di grano, perchémai un topo con tutto quel ben diDio intorno si andava ad infilare inun piccolo buco oscuro? Chissàforse per cambiar menu o forse per-chè irrimediabilmente curioso...E lacuriosità, si sa, a volte può essere fa-tale!

Dalla collezione di Rossano

a cura di Cristina [email protected]

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.13VIAGGI

Disegni di PamTesti di Aldo Frangioni

La nuova serie di disegni di Pam mi ricorda le immagini che ci ap-paiono, chiusi gli occhi, nel passaggio dalla veglia al sonno. Breve emisterioso momento nel corso del quale i pensieri coscienti comin-ciano a mescolarsi con quelli che, nel sonno, sono governati comple-

tamente dall'inconscio. Mi intriga tentarne la descrizione, ne pos-sono uscire solo frammenti di immagini e pensieri. Sono sicuro chequesto lavoro interesserà almeno due lettori: io e Pam

Aldo Frangioni

Questa storia che il viaggio non è la metanon mi ha mai convinto. Io sonoproprio contento quanto ritornoa casa e ritrovo, come ora, il mioletto. Per me il bello delviaggio è il ritorno a casa.Tutte quelle facce adaspettare il bagaglio:come il gatto e la civettain attesa della preda.Penso a cosa sarà diVienna e Budapestnella mia mente fraun anno? La cupola èancora lì, bello ritro-varla nello sfondo divia dello Statuto...avere le ali di unafarfalla... non vedol’ora di tornare... Il

volo numero... parteun altro aereo... maperché mi trovo in taxicon tutta questa gentenudo?....

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.14

Era l’estate e l’autunno del 1968 in-sieme al critico letterario ClaudeBonnefoy direttore della rivista“Arts”, Foucault programma una

serie di incontri nei quali parlare del suorapporto con la scrittura. Il bel rischio. Con-versazione con Claude Bonnefoy (trad. it. diAntonella Moscati, Cronopio, pp. 86, 10euro) è la trascrizione del primo di quegliincontri che poi si interrompono. È unmodo per esporre la propria autobiografiarimanendo da essa a distanza, mettendoledavanti lo strumento professionale, ma alcontempo intimo e quotidiano dello scri-vere. Foucault rievoca la sua infanzia e ado-lescenza, la sua provenienza da unafamiglia di medici di provincia che non at-tribuiscono tanta importanza alla scrittura.È solo più tardi, verso i trent’anni che Fou-cault scopre che la scrittura può essereanche un piacere. Trovandosi all’estero,nell’impossibilità di potersi esprimerecompiutamente in un’altra lingua, la scrit-tura diventa per lui lo strumento in cui ildiscorso si manifesta in modo più proprio.In tale più esplicita dualità di interno ed

di Marco [email protected]

ODORE DI LIBRI

La scopertadella scritturadi Foucault

di Simonetta [email protected]

ICON

La mostra di F-utili Gioielli è alla suaquarta edizione e quest'anno verrà pre-sentata nella prestigiosa cornice delMuseo Marino Marini. Questo appun-tamento molto particolare con l'artecontemporanea nasce dal sogno di ungruppetto di orafi ed artisti di metterea disposizione la propria creatività perrendere un pò più bello un pezzettinodi quel  mondo che bello non è. Que-sto sogno diventa reale con l'incontrodi un altro, quello di Emergency che daanni, ogni giorno, offre aiuto, compe-tente e gratuito, a chi non crede più dipoterlo ricevere. Nasce così l'idea didare un contributo,   attraverso l'arte, almantenimento dell'Ospedale Pedia-trico che Emergency  ha a Goderich inSierra Leone. Idea che è molto piaciutaed ha coinvolto tanti altri artisti (que-st'anno sono più di 90). Le loro crea-zioni, gioielli e libri d'artista, ideate perl' evento, che in questa edizione hacome titolo HELP, vengono donateper essere messe all'asta, dopo quattrogiorni di esposizione,  con una baseminima simbolica. Il ricavato è devo-luto a Emergency per il suo ospedalecosì che anche il pubblico, che neglianni scorsi ha partecipato numerosoall'asta,  comprando questi oggettiunici nella loro realizzazione e nellaloro forza ispiratrice, diventa uno deiprotagonisti  della realizzazione di que-sto sogno di solidarietà.Museo Marini 11-14 settembre 2013Asta sabato 14 settembre ore 15.30

Gioielli d’artistaper Emergencyal Museo Marini

a cura di Aldo [email protected]

L’APPUNTAMENTO

L’associazione culturale BAU presenta il de-cimo numero della rivista/laboratorio BAUContenitore di Cultura Contemporanea, unadelle più originali e significative pubblicazionid’artista attive oggi in Italia. Già approdata inimportanti musei, biblioteche e collezioni, dalMART di Rovereto alla Tate Modern di Lon-dra, dal 2004 BAU si presenta annualmentesotto forma di “scatola” formato UniA4 in tira-tura di 200 copie, con contributi numerati e fir-mati di numerosi autori italiani e internazionali.In dieci anni, la “rete” di BAU ha coinvolto sei-cento autori da oltre trenta nazioni. Al numeroDieci della pubblicazione hanno aderito 105autori attivi nelle più diverse discipline, alcunidei quali saranno presenti alla “Barbagianna:una casa per l’arte contemporanea” di Pontas-sieve stasera con originali installazioni, perfor-mance, letture e video-proiezioni. L’incontro sisvolgerà dalle ore 18. alle 22 con pausa cena in-torno alle ore 20.Intervengono: Luca Brocchini - introduzione,Artifex Mumia - Trittico Bianco, installazione,Antonino Bove - La formula dell’immortalità,performance |GianLuca Cupisti - “BohèmeBoreale (cantiere di un pianeta in costru-zione)”, video e lettura poetica, Graziano Dovi-chi - Ricorda/MI, installazione, L&L (LucaGiorgi & Luca Leggero) - BAU .NET, interpre-tazione sonora di un frammento della partituragrafica contenuta in BAU Dieci, LeRane - LaCucina delle Rane,performance culinaria inte-rattiva, Paolo Lumini - Toccaferro, video eazione, Fulgor C. Silvi - Elogio dell’Assenza,performance, Vittorio Simonini - Poesie colfuoco e col metallo, installazione e perfor-mance.

Dieci volteBAUa Pontassieve

espressiva della lingua straniera o la co-scienza di rimanere intrappolato dentroun dispositivo. Il mutamento di prospet-tiva riguardo la scrittura avviene anche nelmomento in cui si definiscono meglio gliobiettivi del suo metodo. Per Foucault, lafollia, il sapere, il potere, la soggettività el’etica – i temi della sua ricerca – sono dellestrutture che si possono e si debbono ca-pire da come si sono storicamente co-struite. In prima istanza è irrilevante efuorviante stabilire se esse siano filosofi-camente legittime o se rispecchiano veritàuniversali. Archeologia e genealogia perFoucault significano capire come la follia,il sapere, il potere, la soggettività e l’eticaabbiano raggiunto certe forme, si siano or-dinati nel discorso. La mossa metodolo-gica di Foucault è non cercare dicomprendere che cosa essi siano, macome siano diventati paradigmi politici,sociali, psicologici. In ogni ricerca archeo-logica vi sono delle discontinuità, degliscatti che accelerano improvvisamente eche talvolta fanno cambiare anche la dire-zione di scavo. La scrittura diventa perFoucault l’immagine della registrazione ditali discontinuità.

esterno, lo scrittura sembra però somi-gliare ad un dispositivo di soggettivazione:un modo per costruire sé e per rilanciarela propria presenza nella presa pubblicadella parola. A partire da questa fase, pro-prio per difendersi dal dispositivo dell’au-torialità della scrittura che fa diminuirel’importanza del discorso e aumentarequella di chi lo scrive, Foucault a volte neisuoi interventi sceglie l’anonimato. Fou-cault dice di non sentirsi scrittore e gioca avedersi come uno scrivente che percepiscela scrittura come obbligo e non come vo-cazione. Ma a ben vedere il cambiamento di pro-spettiva sulla scrittura non riguarda sol-tanto la volontà di sopperire alla carenza

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.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.15ICON

di Ilaria [email protected]

Scrivo dall'aeroporto di Sofia, men-tre aspetto il mio volo, per ingan-nare un'attesa inversamenteproporzionale alla mia voglia di

tornare in Italia. Leggo le cose che scri-vono i miei contatti sui social network e misento lontana anni luce. So cosa è successonel mio paese in questo inizio agosto mada qui sembra un'altra cosa. Nella mia testala priorità va alle chiese ortodosse, ai bas-sorilievi traci, ai resti della battaglia diVarna, 1444. Non è stata una vacanza maseguire un festival è una delle cose che pre-ferisco, oltre a perdermi nei musei. Con ilmio inglese fresco di studio ho fatto praticada traduttore, consapevole dei miei limiti:il più lo ha fatto il clima del festival dovel'inglese assumeva sfumature bulgare, da-nesi, turche, greche, tedesche. Riguardo lefoto dei giurati e mi accorgo che non è co-mune l'incontro, nello stesso luogo di tantenazionalità, compresa quella dell'italianoche accompagno. Lui è qui come vincitoredella precedente edizione del VideoholicaVideoart Film festival che si tiene sul MarNero. E a proposito di mare, oggi vorreistare lì, senza far nulla. Ho avuto solo iltempo di metterci i piedi, nel Mar Nero maè comunque qualcosa. Un posto lontanis-simo è diventato familiare e la mia norma-lità è stata il mix linguistico dei giurati.Tutto normale insomma, nella misura incui si può considerare normale vedere 300film in pochi giorni. Videoholica è il piùimportante festival dell'area, concepito

di Danilo [email protected]

LUCE CATTURATA

I volti e le mascheredi Nilo Capretti

Un ritratto è sempre viziato dall’ambi-guità fra rassomiglianza ed adula-zione, “celebra” e “glorifica” ilpersonaggio prima ancora di “rappre-sentarlo”, mostra dei tratti simili aitratti “fisici” del volto, ma soprattuttouna immagine “credibile” e “simbo-lica” della personalità raffigurata. Ilvolto, “segno” esplicito e leggibile, siassocia ai “segni” altrettanto espliciti eleggibili dello status sociale. Nel ri-tratto fotografico non cambia molto,a parte l’illusione della rassomiglianza“automatica”, quasi una “coincidenzaperfetta” di tipo “indicale” fra il mo-dello e la sua immagine. Questo equi-voco inganna e condiziona il mondodella cultura e della fotografia permolto tempo, perché niente assomi-glia meno al nostro volto delle sueimmagini fotografiche. Di fronte allafotocamera il personaggio si atteggia,modifica la propria espressione, im-persona un modello ideale, e lo imitariuscendo ad alterare i propri tratti so-matici, fino a rendersi praticamenteirriconoscibile. Davanti agli altri cia-scuno indossa una maschera, più o

meno elaborata ed aderente al perso-naggio che vuole interpretare, e si ècreduto che il compito del bravo ri-trattista fosse quello di “strappare” lamaschera per rivelare il “vero” volto e

la “vera” personalità. Il “ritrattopsicologico” è l’altra faccia (percosì dire) del ritratto fotografico,e mira a denudare e smascherare ipersonaggi, rivelandone la veranatura, la cosiddetta “anima”, ov-vero quasi sempre la fragilità e lamiseria. Nilo Capretti sfrutta una terzapossibilità, pone davanti alla “ma-schera” una seconda maschera,ancora più elaborata, caratteriz-zata ed esasperata. Il volto cessadi essere un “segno indicale” e di-venta “icona”, non rappresenta ilpersonaggio ma l’idea che suscita

e fornisce di se stesso, fino a raggiun-gere forti sfumature “simboliche”.Il volto non viene nascosto die-tro una sola maschera, ma dietrouna serie di maschere. Quando sicrede di averle strappate tutte, sene trova un’altra che mostra unanuova ipotesi della realtà. Alvolto vengono associati i “segni”che indicano lo status sociale o laprofessione del personaggio, eandando oltre, anche il retroterraculturale, le aspirazioni, le ambi-zioni, le abitudini, le passioni, equanto altro ci identifica e ci ca-ratterizza davanti agli altri. Il

gioco diventa complesso, fra il perso-naggio e gli attributi che lo circon-dano si instaura un rapportoarticolato, che si sviluppa autonoma-mente in ogni immagine, rischiandodi diventare artificioso, e talvolta per-fino pericolosamente ambiguo, mal’ambiguità fa parte delle regole. Illuogo comune è in agguato dietrol’angolo, l’effetto facile anche, le vena-ture kitsch percorrono ogni imma-gine e talvolta affiorano, per essereutilizzate e messe in evidenza da unaaccurata régia. La “mise en scéne” diogni immagine è studiata e raffinata,la costruzione per simboli è pianifi-cata, caso per caso, alla ricerca dell’ef-fetto voluto, fino a mettere il “volto”in secondo piano. Le nuove ma-schere, imposte dal fotografo ed ac-cettate con ironia e complicità dalpersonaggio, lo trasportano in una re-altà fittizia, nata dall’immaginazione edall’introspezione. Nel gioco dei mascheramenti che sve-lano quello che si cela dietro le ma-schere, è compresa la maschera piùimportante di tutte, quella sotto laquale si cela il fotografo. Dietro ogni“ritratto” si cela una sorta di “autori-tratto”, perché ogni immagine foto-grafica, parla di tre cose, dell’oggettoraffigurato, del come è stata fatta, edin una buona misura, di colui che laha fatta.

Pontorme (Empoli)7-14 settembre 2013

come un forum di arte video che contasulla partecipazione internazionale perpresentare al pubblico un programma digrande valore. Parallelamente alle proiezioni, gli eventidel festival comprendono mostre, dibattitie workshop, in materia di video e arte con-temporanea, coordinati dai vari professio-nisti invitati per l'occasione.Gli eventi del festival si svolgono in unagalleria tradizionale, spazi museali e spaziesterni non convenzionali per far incon-trare l'ambiente dei professionisti dell'artecontemporanea e il pubblico ampio. Il fe-stival si rivolge ai professionisti così comecoloro che non hanno avuto contatti conl'arte contemporanea per cercare unnuovo significato all'ambiente creativo. Vi-deoholica presenta opere di artisti famosima offre agli emergenti l'opportunità disperimentare pratiche professionali inno-

vative nel campo dell'arte contemporanea.Tutto il lavoro è svolto da una organizza-zione non-profit con sede a Varna che sioccupa di organizzazione, realizzare e sup-portare diverse arti contemporanee. I suoiinterventi culturali si svolgono in Bulgaria

Al cinemasul Mar Nero

Tanihgui Negene Domog, di Sanchir-chimeg Vanchinjav (Mongolia/Ger-many), vincitore 2013

e in vari paesi europei ed extraeuropei at-traverso la collaborazione con partner cul-turali locali, nazionali e internazionali.L'associazione riunisce artisti, curatori, cri-tici d'arte e altri professionisti dell'arte pro-venienti da tutto il mondo e dove le

persone coinvolte possono comunicare,scambiando idee ed esperienze. Detto cosìè ben poca cosa rispetto ai meeting a cui,da esterna, ho partecipato negli spazi delGraffiti, del Gallery, del Contemporary artbar, ma vi dovrete fidare della mia parola.

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.16PAROLE

di Matteo [email protected]

Achi pensa che la Poesia nonabbia forza vorrei raccontareuna storia. La storia di un ra-gazzo come tanti che, per

chissà quale strana alchimia, si ritrovòcon un’insolita passione: non l’istintoirrefrenabile a calciare la palla, non ilgusto per le auto ed i motori, non l’at-titudine ormonale di diventare og-getto del desiderio altrui. Egli ereditòl’attitudine a passare il tempo nel ri-cercare se stesso e gli altri tra le pagine,il gusto per la parola d’effetto ed il di-scorso raffinato, l’istinto a trovare af-finità nello scambiarsi versi ecitazioni. Era inevitabilmente attrattodalla Poesia!Fino a quando la sua occupazione fulo studio e la lettura, egli credette cheil mondo fosse composto da poeti eloro fruitori in grado di sostenere con-versazioni su tipi sepolti ormai da se-coli e sviscerare concetti da lineeracchiuse in volumi polverosi e questasua convinzione lo spingeva a credercidavvero e credere in sé stesso a talpunto che anche altri se ne persuade-vano. Ma il giorno che dovette chiuderequel libro ed alzare lo sguardo almondo si accorse di quanto diversoera ciò che gli altri cercavano, vole-vano, ferivano per ottenere. Ed egli siferì, cadde e cadendo si trascinò die-tro la sua giovane famiglia. Furonoanni difficili, quelli, anni in cui se, perun verso, il ragazzo, giovane uomoormai, scopriva le miserie della vita,dall’altro ne assaggiava anche i tesoridietro il sorriso dei suoi figli e la forzadi un grande Amore. E dai pochi versiche incideva allora traspariva la rasse-gnazione di chi è costretto a relegareuna passione così intensa tra gli ultimidei suoi pensieri.Ma una passione, soprattutto se èforte come quella della Poesia ingrado di scomporre e ricomporre ituoi pensieri, trova sempre il modoper riprendere il suo posto e (lui fu ilprimo a sorprendersene) anche sta-volta tornò a galla, prorompente, con-vincendo prima gli altri che sé stesso.Se ne persuase solo quando trovò chequella sua rinnovata attività era la ri-sposta alla domanda lasciata comeeco per troppo tempo e ciò gli bastòper crederci di nuovo!Crederci fino al punto di sentire la vo-glia che più persone possibile ci cre-dessero e non perché illuso che non cisiano energie altrettanto potenti macasomai convinto dal fatto che la di-sciplina che più eleva l’uomo dalfango è l’Arte e che Arte più astraentedella Poesia, per la quale basta un fo-glio o ancor meno una voce, non cisia.L’uomo avrebbe tutte le ragioni pergettare la spugna e dedicarsi al puropragmatismo che le sue attività quo-tidiane gli suggeriscono, ma quellaforza azzera la maggior parte delleobiezioni illuminando di entusiasmotutto ciò che fa e niente per ora lo può

storia

poesia

Una

di

fermare: la sua battaglia è quella perconvincere e convincersi che la vitanon è misera come la trovò alzando gliocchi quel giorno e che forse ancormeno misera sarebbe invitando gliocchi degli altri ad abbassarsi su paroleche sono veramente, finalmente pa-role. La sua è la battaglia per raggiun-gere lo Stato della Poesia. Ed è appenainiziata.

di Francesco [email protected]

STRANIERI INFATUATI

Fra i pittori americani che elesseroFirenze a patria e -ancora più signifi-cativamente- sintetizzarono quel vi-tale connubio artistico che è la cifradello stile toscano, un misto di mo-dernità e rielaborazione del passato,spicca John Singer Sargent (1856-1925), cui Francesca Bardazzi eCarlo Sisi hanno dedicato una mo-stra a Palazzo Strozzi nel 2012.Figlio di agiati borghesi di Philadel-phia, Sargent nacque a Firenze,anche se la sua internazionalità glivalse l'epiteto di “hotel boy”, proprioperché gli alberghi costituiscono lasua seconda casa, fra un viaggio el'altro lontano da Firenze, la città cheper lui esercitava “un'attrazione fa-tale”. Sargent è il primo americano avantare un autoritratto nel CorridoiVasariano, un onore che lo stesso pit-tore vide come una sorta di canoniz-zazione del pantheon degli artisti chetanto aveva osservato nelle sue nu-merose visite ai musei e alle chiese, ilpassatempo preferito dei villeggiantie residenti anglo-americani. Amico intimo di Henry James, ilquale contribuì a renderlo celebre inAmerica (Sargent la visitò per laprima volta solo a 20 anni), il pittoreè spesso associato al grande scrittoreper la sottile psicologia dei suoi qua-dri, specie i ritratti, che racchiudonouna lettura dell'animo umano in cui

la tecnica moderna si mescola agliechi del passato. I membri della co-munità angloamericana, che Sargentconosce bene e riflette sulla tela conun misto di affetto e ironia, sono ri-creati grazie a una mescolanza disemplicità compositiva tipica deigrandi maestri classici e un tocco pit-toresco precipuamente anglosas-sone. Per esempio, nel ritratto diVernon Lee (1881), alla quale Sar-gent era legato da un'amicizia pro-fonda, la scrittrice ci appareanticonvenzionale, nel vestito severodal taglio maschile, (la “pervertitaVioletta”, come la definì scherzosa-mente l'anglista e amico Enrico Nen-

cioni), ma al contempo dinamica neitratti veloci del pennello, che neemulano la vivacità intellettiva e l'in-domito spirito creativo. Anche i luoghi subiscono una trasfi-gurazione tipicamente impressioni-sta. Gli studi d'architettura appaionocome capricci immaginari che adot-tano prospettive fantastiche e me-scolano paesaggi e opere d'artefacendosi beffe del naturalismo,come nello straordinario Studio diarchitetture (1910c), un pasticcioche intreccia il loggiato degli Uffizi aigiardini di Boboli. “Art”, scrive Sar-gent, “is a point of view and geniusway of looking at things”.

John Singer Sargentimpressionista anglofiorentino

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.17OLTRE IL GIARDINO

di Fabrizio [email protected]

poesia

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

La chiesa e il Cenacolo di Ognissanticonservano pregevolissime opered’arte, fra le quali il “Sant’Agostino” diSandro Botticelli, dove il Santo è ri-tratto con un’espressione intensa e me-ditativa.Se però osserviamo con attenzione illibro che sovrasta la testa del Santo, ve-diamo che circa a metà di quello chesembra un testo incomprensibile c’èuna crocetta, che pare sia stata messa lìper evidenziare qualcosa. Ingrandendo ulteriormente, si riesce aleggere, in mezzo a semplici sequenzedi lettere senza senso, alcune frasi com-piute:“Dov’è fra’ Martino?E’ scappato.E dove è andato?E’ fuori della Porta al Prato”Botticelli, che passava giornate intere adipingere nella chiesa di Ognissanti,evidentemente doveva essersi accortodella scappatelle (amorose?) di un fratee non aveva resistito alla tentazione didenunciarle: per essere assolutamentecerto che fra’ Martino si accorgesse diessere stato “beccato”, Botticelli avevapensato bene di fare anche un segno diriferimento.Se Botticelli era un buontempone,anche gli architetti ci mettevano del

loro (evidentemente la zona dovevaispirare). Guardate, poco prima dellachiesa di Ognissanti, la terrazza del pa-lazzo al numero civico 12; tutti gli ele-menti architettonici sono capovolti: imensoloni con le volute al contrario, lebasi dei colonnini al posto dei capitellie viceversa etc..

Tutto nacque intorno al 1530 quando iVespucci, che erano proprietari del pa-lazzo e di tutta la strada (il giovaneAmerigo fu battezzato nella chiesa diOgnissanti), chiesero ad Alessandrodei Medici l’autorizzazione a realizzareuna terrazza. Alessandro, che era statonominato Duca di Firenze dopo l’asse-

dio del 1529-1530 aveva però preciseidee circa l’urbanistica; non a casoaveva avocato a sé tutte le concessioniedilizie, perché aveva intenzione di daremaggiore respiro alle strade cittadine, eaddirittura stava facendo abbattere bal-coni e terrazze sporgenti.Figurarsi se il Duca concedeva l’autoriz-zazione a una nuova terrazza! Per duevolte rispose con un “no!” secco alle ri-chieste dei Vespucci; la terza volta, infa-stidito, rispose “Sì alla rovescia”, cioè dinuovo no.I Vespucci, utilizzando abilmente unavirgola, interpretarono quel diniegocome “Sì, alla rovescia” e diedero man-dato in tal senso all’architetto. Visto il ri-sultato del “palazzo alla rovescia”, ilDuca di Firenze stette allo scherzo enon fece impiccare i Vespucci, comeaveva in animo.Un altro bello spirito doveva essereGiovanni da Verrazzano, che di Ve-spucci seguì le orme: durante il suoviaggio del 1524 risalì le coste delnuovo mondo da Cape Fear fino allabaia dell’Hudson, dove oggi sorge NewYork: tutte le isole, le baie, i promontoriche incontrava, li battezzava con topo-nimi ispirati alla sua terra d’origine. Se inomi non fossero stati successivamentecambiati, oggi incontreremmo, lungo lecoste degli Stati Uniti, l’Annunziata, Li-vorno, l’Impruneta, Careggi, Vallom-brosa, Monte Morello e San Gallo.

Borgo OgnissantiUna viadi buontemponi

di Gabriella Carapelli

Una

di

incredibili di piante, spesso ricercateanche all’estero. Fra i tanti elementi ri-scontrabili nei progetti, si segnala l’ortoche viene spesso inserito nei giardini,tema che appare oggi di grande attualità.Nello studio verrà meglio a fuoco anchel’attività imprenditoriale di Pietro Por-cinai, che fonda a Firenze ben tre societàlegate alla sua professione: “Il Giardino”,“Arno” e “Fito”. Quanto è stato generalmente felice ilrapporto con i privati tanto problema-tico appare invece quello con l’ammini-strazione comunale. Le moltepolemiche all’interno del dibattito cit-tadino, che questa ricerca viene sve-lando, potrebbero avere un significatoanche per l’oggi, a conferma di quanto ègià stato scritto sulla attualità della le-zione ambientale di Porcinai che pur“straniero in patria”, come lo definiràZevi nel 1979, non si sottrae dall’occu-

parsi dei problemi della città. Negli anniSessanta del ‘900, sempre speranzoso dipoter realizzare il sogno di sempre e cioèun corso di specializzazione per archi-tetti di giardini, scriverà all’allora presidedella Facoltà di Architettura, RaffaelloFagnoni: “Sono fermamente convintoche in questa epoca aridamente “utilita-ria” il verde potrebbe essere l’espres-sione visibile di un nuovo modo dipensare meno materialista”. Un caroamico ricorda di aver chiesto a Porcinai,sullo scorcio di una carriera tanto bril-lante che lo aveva reso famoso, cono-sciutissimo, appunto, più all’estero chein Italia, come mai Firenze non gliavesse dato una laurea ad honorem. Por-cinai, fedele a se stesso, aveva risposto:“quale honorem… non mi confonderecon l’Accademia”.

Lo studio dei giardini realizzati daPietro Porcinai nel Comune di Fi-renze, tra il 1932 e il 1984, per lopiù sconosciuti, permetterà di ap-

profondire le conoscenze su questo ar-tista e di aggiungere un elemento nonirrilevante alla storia della città. La ri-cerca condotta da chi scrive e da MartaDonati, per l’Associazione Pietro Porci-nai, è iniziata nel 2010, centenario dellanascita dell’artista, col finanziamentodella Regione Toscana e verrà pubbli-cata entro l’anno dalla casa editrice Pa-cini. Oggi, dopo un minuzioso lavorod’archivio e la verifica di molti sopral-luoghi, si possono fornire alcuni nu-meri: 120 progetti realizzati (13 non piùesistenti), 73 quelli rimasti sulla carta in-sieme a svariate questioni urbanistiche.A Firenze, Porcinai declina il giardino atutte le scale: piantagioni per stabili-menti industriali, sistemazioni di piazze,proposte urbanistiche, giardini di pa-lazzi, di ville, giardini connessi all’ediliziadelle aree di nuova espansione, impiantisportivi, piccoli giardini urbani, giardinipensili e terrazze, serre, allestimenti dimostre, addobbi per feste e matrimoni,arredi. La tipologia più interessante, cer-tamente la meno indagata, è quella delpiccolo giardino urbano, frequentata so-prattutto negli anni 40/50, che in nomedi una razionale funzionalità del verdedomestico, ne innova profondamente ildisegno. Vastissimo il materiale stretta-mente legato alle piantagioni con liste

John Singer Sargentimpressionista anglofiorentino

120voltePorcinai

Sopra Particolare di una terrazza alle-stita negli anni Sessanta sotto di unpiccolo giardino urbano realizzato nel1943 Foto di Gabriella Carapelli

Gianfranco Chiavacci, California, agosto 1972

CCUO

.com sabato 7 settembre 2013no41 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

Pochi giorni fa ho ritro-vato questo ritratto diGianfranco scattato inun pomeriggio d’estatein una località collinaredella East Bay Area, amezz’ora d’auto da SanFrancisco, luogo predi-letto dai primi amantidel volo con i "gliders"(parapendio). Nel-l’estate del 1973 Gian-franco ed io abbiamofatto coppia fissa perpiù di un mese duranteun indimenticabile emitico viaggio nella Ca-lifornia di quegli anni.Gianfranco è stato ungrande artista e per meanche un grande amico.Ho deciso di riproporrequesto suo ritratto ailettori di CuCo per ri-cordare loro che in que-sto periodo potrannovivere un’esperienzadavvero straordinaria sedecideranno di visitare“Binaria”, la grande mo-stra di 140 opere che èospitata dal CentroEspositivo CollicolaArti Visive di Spoletoed è stata inaugurata inoccasione della 56a edi-zione del Festival deidue Mondi. Gianfrancoè stato un maestro dellasperimentazione cheper cinquant’anni hacondotto ricerche teori-che e prodottolavori, tra pit-tura, scultura efotografia, apartire dalla bi-narietà, ovverodalla riflessionesul rapporto trascienza, infor-matica ed im-magine.La mostra èstata curata daPiergiorgioFornello eGianluca Mar-ziani, direttoredel Centro, conla collabora-zione di AldoIori. Resteràaperta fino al29 Settembreed è davvero unappuntamentoda non per-dere!

Dall’archivio di M

aurizio Be

rlincion

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[email protected]