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PRESENTAZIONE
Per tanti anni siamo stati depositari e custodi di questo diario
conservato in un cassetto di casa.
Papà ha scritto queste pagine durante la sua prigionia e ha
raccontato la sua esperienza e quella dei suoi compagni in un campo di
concentramento in Germania, a Buchenwald, nei pressi di Berlino, nel periodo
di guerra che va dal settembre 1943 al settembre 1945. Si serve di un
quaderno, di una penna e di una bottiglietta di inchiostro che ha portato
sempre con sé nello zaino in condizioni molto disagiate.
Dopo aver consultato tanti
documenti e aver visto diversi
filmati che ci fanno conoscere le
immagini disumane dei campi di
concentramento, e soprattutto
dopo aver visitato qualche anno fa
il campo di sterminio di Auschwitz
e aver visto ciò che papà
raccontava, abbiamo ritenuto
opportuno rendere pubblico il
diario di prigionia.
È l’esperienza di un uomo
che, in modo semplice e lineare,
racconta le sue giornate, le sue
paure, le sue angosce, le sue
emozioni miste al senso del dovere e al ricordo della famiglia lontana con cui
mantiene una “certa” corrispondenza.
Emerge continuamente l’amore per il paese natio, il senso di
religiosità diffuso in tutte le pagine e la solidarietà con popoli di altre nazioni
che condividono la stessa sofferenza.
Tante volte, quando noi eravamo bambini, abbiamo ascoltato, con
curiosità più che con interesse, dalla viva voce di mio padre, le vicende
raccontate in questo diario, ignari dei fatti e col sorriso di chi non si stanca
mai di ascoltare le “favole”.
Maria Concetta, Antonio e Giovanni
Note biografiche
Giuseppe Di Paola è nato nel 1910, da Vincenzo e Anna Maria Prestianni.
All'età di sette anni è rimasto orfano del padre, perito per effetto
della epidemia cosiddetta spagnola.
Finita la scuola elementare è stato avviato al lavoro come manovale
per contribuire al mantenimento della famiglia, composta dalla
madre, Anna Maria Prestianni, costantemente citata e ricordata nel
diario di prigionia, da Gioacchino, fratello minore non richiamato
nel diario perché morto nel 1939 durante il servizio di leva e dalla
sorella Provvidenza anch'essa richiamata nelle memorie.
E' chiamato alle armi nel 1942 in Liguria.
Il 20 ottobre 1942, durante il servizio militare, utilizzando un
apposito congedo, si sposa con Domenica Spallino, che subito
lascerà a casa per ritornare nel servizio militare.
Fatto prigioniero dai Tedeschi il 10 settembre 1943, mentre si
trovava nel 206° Battaglione a Colle San Bernardo a Loano, nei
pressi di Albenga, dopo un estenuante terribile viaggio in treno,
provato dalla fame, dalla sete “sembravamo usciti dal carcere,
(scrive nel suo diario di prigionia) qualcuno sveniva di qua e di là
per il caldo e la mancanza di aria, perché eravamo buttati in vagoni
chiusi senza neppure la possibilità di soddisfare i propri bisogni”, fu
deportato in Germania nel campo di Buchenwald III A e
successivamente a Berlino dove fu inviato al lavoro in un campo
presso la ditta “Burgmann” come muratore. A seguito dei numerosi
bombardamenti e dopo aver lavorato in vari campi, che via, via
venivano distrutti dai bombardamenti, il 23 aprile 1945 fu costretto
dai Tedeschi, insieme ai suoi compagni, a partire a piedi senza meta
“camminando per le strade non sapevamo dove andare perché
dappertutto era un inferno”.
Rifugiatosi sotto un palazzo diroccato, rimase lì per 6 giorni ”senza
poter venire fuori perché dappertutto cadevano schegge e granate”.
Il 1° maggio 1945 fu liberato dalle truppe russe ed è rientrato in
Italia il 29 agosto 1945.
La moglie Domenica Spallino è la Mimì costantemente richiamata
nel diario e che rivedrà solamente il 12 settembre 1945, al ritorno a
casa.
Dalla loro unione, nel 1946 a eventi bellici finiti, nascerà Vincenzo.
La moglie muore subito dopo il parto, nel settembre 1946 per
febbre puerperale; mentre il figlio muore un mese dopo.
Nel 1948 si è risposato con Anna Mitra; da questo matrimonio
nasceranno Maria Concetta, Vincenzo, Antonio e Giovanni.
E' deceduto nel 1996 all'età di 86 anni.
Note
La stesura del diario è iniziata il giorno 27 novembre 1943; ma i fatti
narrati iniziano con l'8 settembre 1943.
La narrazione degli eventi tra le due date (80 giorni circa) risulta
chiaramente ricostruita, con il beneficio di appunti che l'autore era
solito prendere quando attraversava nuove località.
In appendice sono riportati :
1. la "Preghiera degli italiani a Maria Santissima Castellana d'Italia"
fornita scritta dal cardinale Carlo Salotti
2. la "Preghiera alla Madonna del Buon Ritorno protettrice dei
prigionieri".
Tali testi sono stati sempre allegati e custoditi nell'ultima pagina del
diario.
Tutta la corrispondenza citata è stata smarrita.
In appendice è riportato anche un calendario (ancora da
perfezionare) che ricostruisce in maniera cronologica gli eventi
narrati nel Diario .
DIARIO DEL PASSATO IN GERMANIA
È sabato 27 novembre 1943. Buttato nella baracca n. 5, camera n. 8,
mentre sono seduto pensieroso al tavolo, sento il dovere di scrivere
su questo libretto tutto quanto mi è accaduto e mi accadrà sotto
l’incubo di una prigione assegnatami dal destino e voluta dal
Comando Tedesco, per cui tutto è duro nella sua disciplina e nei
suoi comandi.
Nonostante tutto, vorrei rivolgere un grande pensiero ai cari
familiari, che pensano tanto al mio ritorno, mentre gli avvenimenti si
sono presentati in maniera diversa.
Alla mamma, che tanto stimo, l’affetto più caro unita alla sorella in
uguale misura, poi quello della sposa come gioiello, a cui unii il mio
cuore per esserle eterno compagno nella vita piena di affanni, e
invece dopo tanti sacrifici e dopo il matrimonio, ora il destino della
patria ci divide.
Penso, anzi, sogno tutto questo, mentre amaramente piango il
flagello che mi è accaduto insieme ai miei compagni di armata.
Albenga, 8 settembre 1943
206° Battaglione costiero
Sono le ore 17. Come al solito, seduto in sala convegno, ascolto le
notizie trasmesse da Radio Londra, riguardanti i siciliani prigionieri
in Inghilterra che danno comunicazioni alle proprie famiglie.
Ad un tratto l’ascolto diventa più attento perché trasmettono
l’improvvisa notizia dell’armistizio fra l’Italia e le Nazioni Unite1. Sulla
bocca di tutti la guerra era finita, ma le condizioni assegnate all’Italia
sembravano molto dolorose.
Si correva di qua e di là come matti, anch’io uscii e mi recai presso
la signora Romanelli, una anziana donna che mi voleva tanto bene e
dove di solito, nelle ore di riposo, andavo a passare un po’ di
tempo. Mi accolse con entusiasmo offrendomi vino mentre per le
strade il vocio di tutti divampava attraverso le finestre. Feci ritorno
in caserma per avviarmi al mio servizio alla stazione con i carabinieri
e lì trovai tanti siciliani che erano di passaggio perché ritornavano
dalla Francia, e per tutta la sera brindammo con il vino. La notte
abbiamo dormito vestiti aspettando ordini, ma non è arrivato niente
di nuovo.
L’indomani, giorno 9 settembre, alle ore 14 arrivò l’ordine di partire
e lasciare le caserme. Subito prepararono un rancio speciale e via
con lo zaino pronto con il nostro corredo. Lasciai la valigia presso la
vecchia signora Romanelli e così portai con me soltanto lo zaino.
Alle ore 16 si partì per Leca 2 e su per Cisano
3 verso le montagne in
provincia di Cuneo.
1 Trattasi dei cosiddetti Alleati: Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Russia.
2 Leca, frazione del comune di Albenga, provincia di Savona.
3 Cisano sul Neva, provincia di Savona.
Tutta la notte in cammino, stanchi sfiniti, perché la strada era tutta
in salita.
Verso mezzogiorno del giorno 10 siamo arrivati sul Colle San
Bernardo dove c’era anche il 205° Battaglione residente a Loano
proprio accanto ad Albenga, il nostro posto di servizio. Lì ci fu una
colazione all’asciutta con gallette e scatolette e poco dopo ci fecero
mettere in posizione di sparo verso la strada da dove arrivavano i
tedeschi. Questi si trovavano nei pressi di Garessio4 e le notizie
diffuse erano tutte contro di noi perché gli ufficiali superiori
impartivano notizie false con l’intenzione di far fuoco.
Intanto si è scoperto il tradimento perché i superiori già fuggivano
verso Albenga e tutti noi siamo rimasti sotto il controllo dei tedeschi
e abbiamo consegnato le armi. Erano appena venti, armati di
mitraglie e cannoni, e subito ci accerchiarono; noi eravamo più di
quattromila soldati sotto la sorveglianza dei tedeschi per tutta la
notte; soltanto il chiarore delle stelle ci dava appena un po’ di luce.
Era una notte scintillante e bella, ma tutti eravamo all’oscuro di
quanto doveva ancora accadere.
L’indomani, alle 10, si diffuse la notizia che bisognava partire con i
camion senza portare corredo. Nel pomeriggio siamo partiti tutti
quanti e alle ore 15 eravamo già in fila verso Garessio, scortati dai
tedeschi armati, senza nessuna possibilità di fuggire. Promisero che
ci avrebbero condotti ad Acqui5, dove si trovava il Comando
Tedesco, per rilasciarci il nullaosta e poter andare a casa. Giunti a
Garessio, dopo sei chilometri di cammino, abbiamo trovato pronta
4 Garessio, comune piemontese in provincia di Cuneo.
5 Acqui Terme, comune piemontese in provincia di Alessandria.
per noi una tradotta6
su cui ci hanno fatto salire sopra
immediatamente.
Era tutto bello perché sognavamo la famosa idea di andare a casa,
ma quanto accadde in seguito, nessuno lo avrebbe mai pensato.
Si passò da Acqui, ma nessuno osava scendere perché doveva
passare in mezzo ai tedeschi armati.
Si proseguì per Mantova, mentre il desiderio della casa incominciava
a fuggire dalla mente. Ma che fare? Giunti a Piacenza la gente del
luogo correva alle porte del treno portando conforto e offrendo
pane e uva. Gli italiani del nord correvano con l’intenzione di
incontrare i propri familiari e qualcuno trovò quanto desiderava.
Giunti a Mantova, come era stato previsto, siamo rimasti fermi per
mezza giornata aspettando buone notizie. Si vedevano passare altre
tradotte cariche di prigionieri come noi e comunicavano la notizia
che il Duce era di nuovo al potere.
Si riprese il cammino per Trento e poi, verso mezzanotte, eravamo
arrivati a Bolzano, dove abbiamo avuto l’ultimo conforto delle
donne italiane che ci hanno offerto anche pane e mele.
Il cuore piangeva già perché ormai era sicuro il viaggio in Germania,
mentre, proseguendo il cammino, si lasciava il territorio italiano e si
abbandonava la speranza di tornare a casa.
Ogni speranza fu perduta perché la mattina del 14 ci siamo fermati
nella città di Innsbruck7.
La mattina del giorno 15 ci siamo trovati a Camben Saale8, e la sera
ci siamo fermati a Naumburg. Stanco per il viaggio e per il pensiero
fisso non riuscivo più a comprendere dove mi trovavo.
6 Convoglio ferroviario adibito al trasporto di reparti militari.
7 Capoluogo del Tirolo settentrionale e dello Stato Federato Austriaco del Tirolo.
La mattina del 16 fece giorno alla stazione di Luckenwalde, e lì fermi
fino a mezzogiorno quando abbiamo lasciato il treno perché
eravamo arrivati.
Non restava altro da fare che guardarci in faccia l’uno con l’altro per
vederci neri e sporchi di carbone a causa del terribile viaggio e la
sofferenza della fame. Sembravamo usciti dal carcere, qualcuno
sveniva di qua e di là per il caldo e la mancanza di aria perché
eravamo buttati in vagoni chiusi senza neppure la possibilità di
soddisfare i propri bisogni.
Eravamo inquadrati per dieci e avviati verso il campo di
smistamento che si trovava a pochi chilometri dal paese. Il luogo era
pieno di altri italiani ma anche di persone di altre razze. Abbiamo
preso posto in una tenda di grande estensione, che portava il n. 8
ed era lunga m. 35 x 12.
La stessa sera, sfiniti come eravamo, ci diedero un po’ di rancio fatto
di brodo e patate e abbiamo dormito su di un po’ di circelli di
paglia, ci siamo addormentati come se fossimo ubriachi di vino
forte.
Siamo tutti in attesa di qualche novità riguardante la nostra fine e i
giorni passano vedendo arrivare altri italiani, anch’io speravo tanto
di vedere arrivare qualcuno dei miei cari per portarmi conforto, ma
invano.
Il pane si vedeva da lontano, era tra le cose che si desideravano di
più, e così cominciai a capire quanto valeva un tozzo di pane.
8 Saale, località nel territorio tedesco.
Alle ore 15 del pomeriggio c’era la zuppa, la mattina invece c’era la
divisione del pane: era una forma di gr. 1500 da dividere in sette
persone9.
Passavamo giornate di penitenza aspettando notizie, non sapevamo
che fare e tutto il giorno si respirava la polvere che c’era nella tenda
perché là dentro c’era solo paglia.
Il giorno 23 c. m. ci portarono a fare il bagno e la disinfestazione
della biancheria, hanno fatto il controllo dei bagagli e hanno
portato via tante cose.
Feci ritorno alla tenda n. 7, anche lì c’era molta polvere, c’era da
morire, e ci si dormiva in 550 persone, buttate a terra come animali
in una stalla.
Il giorno 29, in mezzo a tanta gente che incontravo, fui preso di
sorpresa dall’abbraccio di mio figlioccio Vincenzo Di Paola10
che per
me fu di grande gioia. Era un incontro che io già prevedevo dato
che avevo visto tanti militari che venivano da Merano. Ho incontrato
anche altri castelbuonesi come ad es. il pastore Vincenzo Sferrino
che abita nel rione dei Cappuccini e così eravamo tanti paesani: io,
Ippolito, Mercanti, Sferrino e mio figlioccio Vincenzo.
La mattina del 4 ottobre ci hanno detto che dovevamo partire per
un’altra destinazione, così con alcuni di loro ci siamo divisi.
Io rimasi con Ippolito, il treno cominciò a salire verso Berlino; siamo
arrivati alle sette di sera, era quasi buio, eravamo stupiti delle rovine
che avevamo visto alla stazione centrale di Berlino.
Ci hanno portati subito col tramvai in un campo destinato per noi e
siamo arrivati dopo appena 20 minuti. Qui abbiamo trovato un
9 Secondo il racconto fatto a viva voce dall’autore, ogni giorno il pane era diviso da un commilitone diverso, al quale
spettavano, per quel giorno, anche le molliche.
10
Trattasi di un cugino di età inferiore, figlioccio di cresima, partito per fare il militare, si trovò coinvolto nella guerra.
posto migliore per dormire: brande e traversini, così, dopo aver
girato per un mese, ho potuto riposare bene.
Il giorno 9 ottobre fui inviato al lavoro in un campo grande con il
Comando 31 presso la ditta Burgmann dove ho trovato lavoro con
piccone e badile per fare fondamenta per baracche.
Il lavoro era un po’ duro, ritornavo “a casa” stanco per il mancato
esercizio dopo tanto tempo che non lavoravo più.
Il sonno era pesante, mi faceva dimenticare tante cose che mi
inquietavano la mente, soprattutto mi pesava il pensiero della casa
e della famiglia.
Dopo due giorni di lavoro, presi una slogatura al braccio sinistro e
mi hanno dato due giorni di riposo.
Giunse il giorno 20 ottobre dedicato al ricordo più bello della mia
vita quando unii il cuore alla mia Mimì11
, compagna per sempre che
spero di godere. A mezzogiorno ho trascorso delle ore tristi, di
pianto, pensando i bei momenti trascorsi ai piedi dell’altare in
occasione del mio matrimonio. Il cuore batteva sempre più forte e
non avevo nessuno accanto a me per darmi coraggio.
Il giorno 23, sabato, fui pagato per la prima volta con buoni che non
valevano niente, e per dieci giorni di lavoro ho preso £ 4,20.
Abbiamo supplicato tante volte il padrone per darci da mangiare a
mezzogiorno, finalmente un giorno incominciò a dare dieci patate
bollite a ciascuno di noi. Era un buon pranzo, perché non si poteva
più stare in piedi a causa della debolezza per la fame dato che
avevamo solo il rancio del campo, che era fatto soltanto di acqua e
spinaci.
11
La sposa di cui parla nell’introduzione, Domenica Spallino. morta prematuramente nel 1946, in seguito al parto.
Il giorno 25 ci diedero n. 75 sigarette che abbiamo pagato £.1,20 in
buoni che valevano solo dentro il campo per comprare le sigarette e
il sapone. Il vitto del lager era di 300 grammi di pane e la zuppa
solo di spinaci sporchi di terra perché non erano lavati. La mattina,
la sveglia veniva fatta alle 4.15 con il grido di “Austen” che significa
“in piedi” e guai a chi rimaneva disteso sulla branda perché
passavano le guardie e ci facevano alzare a colpi di bastonate.
Alle cinque e mezzo eravamo già tutti fuori dalla porta pronti per il
controllo, ed a quell’ora avevamo già mangiato il pane e ci avevano
dato il caffè.
Per la strada, lungo il percorso, sia all’andata che al ritorno dal
lavoro, ci davano ordine di camminare al passo come i militari e, chi
non obbediva, era lasciato senza pane.
Abbiamo trascorso pochi giorni in questo campo; in mezzo a noi
c’era un cappellano militare, un frate cappuccino che celebrava la
Messa per tutti noi nei giorni festivi comprese tutte le domeniche.
Siamo arrivati al giorno di Tutti i Santi e, siccome in Germania non è
festa, siamo andati tutti al lavoro, però il cappellano, per non farci
mancare la Messa, ha predisposto che tutti all’ora della sveglia ci
trovassimo già in chiesa ed essere così liberi per l’orario del lavoro.
La stessa cosa avvenne l’indomani, il giorno dei morti.
Per noi fu un sacrificio lavorare i giorni di festa, inoltre da quel
giorno in poi aumentò la sofferenza perché non ci diedero più la
zuppa a mezzogiorno sul luogo di lavoro.
Il freddo si faceva sentire abbastanza, tanto che non potevamo
tenere i piedi fermi ed eravamo costretti a lavorare per non soffrire
il freddo.
Siamo arrivati al giorno 12 novembre ed ecco che, dopo tante
suppliche, ho ricevuto una doppia cartolina per poter scrivere a
casa, per me fu un sollievo anche se conteneva pochissime righe.
La sera del giorno 18 c.m. ci hanno dato un’altra cartolina uguale
alla prima e inoltre una cartolina più piccola per inviarla alla Croce
Rossa Internazionale per informare le famiglie dei prigionieri e
subito mi affrettai a scrivere per far sapere ai miei cari che ero
ancora vivo e sano fino ad oggi domenica 21/11/1943.
Durante questa settimana, avendo scaricato dei grossi blocchi di
cemento, mi sono fatto una slogatura alla schiena, però non mi è
stata riconosciuta dal medico, quindi sono stato costretto a lavorare
offrendo ogni sacrificio al Signore perché mi desse la forza di
sopportare tutto.
La sera di giorno 23, appena abbiamo finito di mangiare, ci fu un
allarme improvviso che faceva prevedere un terribile incendio su
Berlino e così continuò per tutta la settimana.
Non bastò aver visto da lontano il fuoco, ma abbiamo notato che la
sera del primo dicembre gli americani erano intenzionati a cercare
le batterie contraeree che stavano accanto al nostro campo, allora
tutto ad un tratto hanno buttato degli spezzoni illuminanti12
e tutto
il campo si illuminò a giorno e sono saltate per aria le due cucine e
una baracca. Appena ci siamo accorti da dentro i rifugi che il Campo
era in fiamme, siamo scappati tutti fuori, spaventati, a cercare la
propria roba, il proprio bagaglio e portarli via, mentre alcuni dei
nostri compagni hanno trovato tutto bruciato. Le fiammate, col
vento, minacciavano un inferno dappertutto; la mia baracca era
salva ma lo scompiglio durò per tutta la notte al calore delle
fiamme.
12
Bombe americane.
Si sono bruciati anche i magazzini dei viveri, ma la mattina seguente
il pane è stato distribuito alla porta e così ognuno di noi è tornato a
lavorare.
Arrivati sul posto di lavoro, abbiamo visto che era caduta una grossa
bomba proprio sul magazzino del cemento, abbiamo trovato un
grande scompiglio perché si erano smarriti anche gli attrezzi di
lavoro compresa la macchina del bitume.
Il forte spostamento d’aria aveva colpito dodici baracche tutte
complete e le aveva rovinate a tal punto che non potevano più
essere usate come abitazione, ma erano diventate mucchi di tavole
da bruciare.
La sera, al ritorno dal lavoro, per quattro sere, si dovette andare a
prendere il rancio13
in un altro campo giù verso Britz, dove c’erano i
francesi; eravamo molto stanchi ma occorreva fare anche quella
strada per poter mangiare, o meglio bere, un po’ di acqua calda e
nient’altro.
Facevamo la strada tutta di corsa perché i tedeschi ci
accompagnavano con i bastoni lungo la strada che era 4 Km.
Venne il giorno 8 dicembre, la festa dell’Immacolata, anche questa
fu una giornata lavorativa.
Per le strade era tutto ghiacciato tanto che non si poteva
camminare e occorreva stare a braccetto l’uno con l’altro per non
cadere e facendo fatica per arrivare sul posto di lavoro. Tutto era
pieno di neve anche al lavoro e stavamo con i piedi ghiacciati per
tutta la giornata. Il tempo peggiorava sempre più ed eravamo
costretti a bruciare legna sul lavoro dalla mattina alla sera per fare
un po’ di calore.
13
Pasto.
Siamo arrivati al 20 dicembre e ci hanno dato un modulo per far
arrivare il pacco da casa. Ci hanno dato lo stesso modulo una
seconda volta la sera del giorno 23 insieme a una cartolina che
subito inviai a casa con gli auguri per le prossime feste. Appena ho
finito di scrivere, ecco un forte allarme su Berlino, si è sviluppato un
incendio con un immenso chiarore ma era distante dal nostro
campo.
E’ il giorno di Natale, sono contento perché è passato questo giorno
senza soffrire molto la fame perché mi ero dato da fare alla meglio
nei limiti del possibile. A mezzogiorno torno dalla Messa dopo aver
fatto anche la comunione assieme ad altri compagni come pure
dopo aver versato tante lacrime per il mancato conforto della cara
mamma a cui pensavo tanto. Nulla di straordinario per quanto
riguarda il rancio, considerata la giornata natalizia, ma fu una festa
che durò tre giorni.
La sera del giorno 27, subito dopo il rancio, ci fu un allarme
improvviso e siamo andati al rifugio con tutto il bagaglio e giù “la
batteria” che sparava a gran forza mentre il nemico si divertiva a
buttar giù “spezzoni” dando fuoco a tutta la regione di Rudow
colpendo anche il posto del mio lavoro cioè Altglienicke dove
l’indomani, andando a lavorare, non abbiamo trovato più le
baracche perché erano state incendiate. La mia gavetta14
, che
tenevo tanto stretta, si è bruciata pure, dato che la sera precedente
l’avevo lasciata lì.
La sera, ritornando al campo, abbiamo trovato tanti altri italiani che
dovevano dormire da noi dato che il loro campo era stato preso di
mira dalle bombe dirompenti e qualcuno di loro era pure passato
all’altra vita, ma questi erano venuti senza portare niente, neppure
un fazzoletto in tasca.
14
Contenitore di alluminio per il cibo.
Oggi 1° gennaio è festa anche qui come pure ieri, non si va al lavoro
e siamo rimasti tutta la giornata dentro la baracca senza uscire
perché fuori c’è molta neve. L’aria è tutta bianca per la neve, e fiocca
di continuo. Stanotte ho fatto un brutto sogno che mi ha fatto stare
male per tutta la giornata: ero al fianco della mia Mimì e ho avuto
un brutto pensiero per tutto il giorno. Mi svegliai col mal di testa e
ce l’ho ancora. Illusione!
E’ notte e termino la giornata facendo bollire la biancheria per farla
asciugare dato che domani è domenica. La notte successiva ecco un
nuovo allarme che ci portò al rifugio dalle due alle quattro
passando delle ore infelici.
Oggi è domenica 9 gennaio 1944 e tutti quelli del Comando 31
siamo stati avvisati che la nostra ditta di lavoro chiude e noi siamo
licenziati.
Subito dopo siamo stati assegnati ad un’altra ditta, quella di Paolo
Grestza che faceva le strade nello stesso campo. Come primo
giorno, ci portarono a lavorare a Tempelhof, nell’aeroporto a
sgomberare tutto il materiale provocato dalle bombe.
Si andava fuori a scaricare, e così ho trovato un po’ di patate, cosa
che non mi era mai capitato fino ad oggi. Ritornai “a casa” tutto
soddisfatto sia per le patate trovate sia perché avevo fatto la strada
in treno ed ero meno stanco, così la sera, prima di andare a dormire,
passai il tempo a cucinare le patate.
L’indomani, martedì, siamo tornati di nuovo nello stesso lavoro cioè
Altglienicke sempre alla dipendenza della ditta Grestza, qui ci siamo
trovati peggio che alla Brüggemmann, avendo per master15
un
uomo senza cuore che non aveva nessuna compassione per noi.
15 Maestro nel lavoro.
L’indomani, mercoledì, siamo andati a dormire in altre baracche
perché la baracca dove dormivo io era stata chiusa per 48 ore a
causa della disinfestazione. Ho passato tutta la notte su una sedia e,
l’indomani mattina presto, inquadrati alla porta, ci hanno portato a
fare il bagno perché alcuni compagni avevano preso i pidocchi e
così tutti, comprese le coperte, dovevamo passare attraverso la
disinfestazione e dovevamo recarci in un altro campo più grande a
Berlino, distante un’ora e mezza di tranvai. La sera, quando tornai,
avevo preso un forte raffreddore e così, fatta la visita medica, rimasi
a riposo.
Il lavoro con la nuova ditta si faceva ancora più pesante e noioso
perché quell’uomo tanto cattivo ci trattava a calci nel sedere e
pretendeva tanto lavoro da noi.
Con la ditta Brüggemmann, quella di prima, eravamo a posto
perché le domeniche ci davano il supplemento pane, invece qui
c’era più lavoro e senza supplemento.
Allora, per questo motivo, abbiamo fatto ricorso al Comando
tedesco per provvedere in merito.
I tedeschi si interessarono e promisero di farci passare ad un altro
comando.
Venne la domenica 16 gennaio e subito tre compagni furono
cambiati. Il comando 26 B. rimase per coloro che erano puniti,
perché subito dopo siamo stati cambiati tutti.
La domenica successiva cioè 23 c.m. sono stato cambiato anch’io
passando ad un comando molto diverso per mezzo del Serg. Corso
Benigno, che mi voleva tanto bene. Come ringraziamento gli ho
regalato le mie sigarette che per i prigionieri avevano tanto valore.
Adesso sono al Comando 41 che ci fa lavorare in città, proprio a
Wilmersdorf e mi trovo tanto bene e mangio bene tutti i mezzodì. Il
lavoro è molto più leggero e non si fa quasi niente.
I pulia16
sono due, uno più buono dell’altro; si va con il camion per
la città a caricare e scaricare tegole, carta, tavoli, ecc.
La mattina si parte più tardi e la sera si torna più presto senza fare
strada a piedi ma sull’esban17
. Poi la sera, alla fine del lavoro, ci
aspettava la zuppa rimasta nella cucina, che si trovava lungo la via
per andare al “Biurò”.
È la sera del 26 gennaio e mi diedero una cartolina e un modulo per
pacco che ho spedito a Mimì.
L’indomani sera, altre due cartoline e un altro modulo, spedite pure
a Mimì.
Appena ho finito di mangiare scrissi subito a casa, ed ecco si sentì
subito un allarme che sembrava venire dalla zona di Rudow. Ci
siamo preoccupati moltissimo, tanto che non credevo di rimanere
vivo. Si trattò di migliaia di spezzoni dentro il campo, ma non bruciò
niente, mentre fuori dal lager era tutto fuoco nelle case dei civili.
Oggi 28 gennaio siamo “a casa” senza lavorare, perché il tranvai non
viaggia a causa dei danni provocati dalle bombe nel percorso fra
Neukölln e Rudow. Il nemico attentava sempre alle nostre baracche
ed ecco la sera, di ritorno alla solita ora, appena abbiamo finito di
mangiare, sono venuti giù spezzoni in gran quantità senza bruciare
niente. Durante la notte, in modo speciale alle ore tre, ecco di
nuovo spezzoni, stavolta proprio su di noi e bruciarono due
baracche, la 3a e la 4
a, senza nessuna possibilità di spegnere il fuoco.
16 In tedesco Polier = capocantiere 17 In tedesco S-Bahn = Strassenbahn = tram
La mia baracca fu pure colpita, però è stata salvata da due
compagni che si erano nascosti dentro rischiando la vita perché,
quando si trattava di allarme, i tedeschi ci facevano uscire a colpi di
bastone per farci andare nel rifugio.
L’indomani siamo rimasti di nuovo “a casa” senza uscire, per riparare
le rovine del lager, dopo tutto quello che era successo.
In questi giorni fu un su e giù continuo verso il rifugio sia di notte
che di giorno, e i danni furono abbastanza rilevanti sia nel campo
che al centro di Berlino.
I vecchi pulii18
non potevano venire più a prenderci perché le strade
erano tutte rotte; ed ecco che mercoledì 2 febbraio 1944 siamo
andati tutti in città, trasportati dai camion delle SS, dove bruciavano
le macerie dei palazzi e ci mettevano tanta paura.
Lì abbiamo fatto molta fortuna, abbiamo trovato tante cose da
mangiare ed era quello che noi andavamo cercando. Alcuni però
erano sfortunati perché dovevano andare a spegnere il fuoco in
posti di precipizio dove c’erano muri che crollavano. La vita migliorò
un poco perché a causa dei bombardamenti la gente diventava
buona con noi e ci dava quanto poteva: o patate o bollini per
comprare il pane.
Sabato 5 febbraio siamo ritornati sul posto del nostro lavoro e
l’indomani, domenica, abbiamo preso il supplemento pane, la
margarina e il salame.
Tutto andava bene in quel periodo ma gli allarmi erano continui e
forti e stavamo di più nel rifugio perché non sapevamo che cosa
volevano fare di noi.
18
Macchine di trasporto belliche.
Nevicava sempre ed era tutto bianco davanti ai nostri occhi e non si
poteva più camminare. Io ero già con le scarpe rotte di sotto e di
sopra e tutte le domeniche, come al solito, alle dieci, c’era sempre
l’adunata e dovevo stare in piedi per 2 ore con i piedi ghiacciati e
non ne potevo più. Giorno 13 fui costretto a prendere gli zoccoli di
legno perché le scarpe non le riparava nessuno ed ecco su e giù con
quegli zoccoli ai piedi che mi trascinavo a forza perché non c’ero
abituato.
È il 20 febbraio: carnevale. È una delle più belle giornate, c’è il sole
dopo aver nevicato tutte le notti e le baracche sono tutte bianche,
piene di neve. C’è l’adunata per il saluto al nuovo cappellano che è
arrivato oggi e ha fatto una conferenza con intervalli di preghiere
rivolte a Dio per i nostri cari e ci ha raccontato anche la sua
prigionia.
Il rancio che passava il campo in questo periodo era bruttissimo,
non si poteva mangiare assolutamente; io ne facevo a meno perché
avevo le patate che procuravo a Wilmersdorf. Il mio rancio lo davo
quasi sempre a Vincenzo Ippolito, perché lui non trovava mai niente
nel luogo dove andava a lavorare perché apparteneva al Comando
30.
Anche oggi ci hanno dato i moduli e una grande cartolina per una
lunga corrispondenza e fui molto contento di aver scritto tante cose
per la prima volta e far sapere mie notizie a casa.
È mezzogiorno e subito corriamo al rifugio perché le sirene
annunciano l’arrivo degli inglesi.
Il 25 febbraio spedii una cartolina alla signora Barona Lina a Loano.
Dopo dieci giorni di riposo, cioè senza allarmi, ecco che stanotte, 5
marzo, abbiamo sentito gli inglesi di nuovo vicino a noi sempre per
molestarci.
In questi giorni mi feci fare una cassetta da Embri, che pagai con un
pacchetto di tabacco preso proprio in queste sere.
Il giorno 12 marzo ho spedito una lettera alla mia Mimì.
Il mese continua sempre con cattivo tempo, con neve e freddo,
tutte le notti nevica, ma al momento attuale non ci sono allarmi.
Oggi è S. Giuseppe. Fece giorno con l’annuncio che si doveva
andare a lavoro. Ma tutti ci siamo messi a brontolare ed ecco che
poi il lavoro fu evitato facendoci fare un’adunata per eseguire degli
esercizi di ginnastica molto stancanti. In seguito ci fu la Messa a cui
presi parte tutto commosso pensando che ricorre il mio onomastico
e la mia mamma oggi mi pensa tanto.
Quanto ho pianto durante la Messa! Ma poi, per distogliere un po’ il
pensiero, pranzai assieme ai miei compagni cioè Ippolito, Romito e
Li Vecchi, offrendo loro delle patate che io avevo procurato dato
che era il mio onomastico.
Il giorno prima, cioè la vigilia, i tedeschi che avevo sul lavoro come
master e che mi volevano tanto bene, mi avevano preparato dei
regali e la sera me li hanno dati tutti e tre, augurandomi ogni bene.
Erano il signor Chivo, il signor Boch e il signor Mendensoch, il
gobbo. I regali erano dei viveri che ho consumato assieme ai
compagni al pranzo della festa. La sera di S. Giuseppe abbiamo
chiuso la festa con un po’ di musica avendo trovato un mandolino
nella baracca, ma dopo aver finito, ecco subito un allarme e così la
festa si concluse con un forte spavento correndo verso il rifugio. Era
un ricognitore che prendeva fotografie della zona.
Il giorno 21 si sentì una grossa formazione americana, che era di
ritorno e ha sganciato delle bombe in gran quantità e ha colpito un
rifugio sul luogo di lavoro dove erano i compagni del Comando 33.
Era appunto mezzogiorno e, poveretti, spaventati, rimasero vivi per
miracolo perché la bomba dapprima non esplose, ma appena sono
usciti fuori, in mezzo a tutta la polvere, ecco che la bomba esplose
causando delle rovine in quel rifugio.
L’indomani, alla stessa ora, ecco un’altra bomba, ma stavolta su
Berlino.
È la sera del 24 marzo: c’è un allarme proprio a Rudow e ci siamo
spaventati tanto, andai a letto quasi a mezzanotte pensando molto
in quelle ore alla mia chiesetta19
. È la mattina di giorno 25, mi sono
alzato e ho pianto tanto pensando che in quei momenti la mia
chiesetta, nel giorno della festa, era senza di me; andai al lavoro e
per tutta la strada ho pianto.
Arrivato al lavoro ecco subito un allarme. A mezzogiorno di nuovo,
alle tre del pomeriggio di nuovo, fino alla sera quando sono arrivato
a letto.
È domenica 26 e spedii una lettera a casa a Mimì, assieme a un
modulo per il pacco.
Il tempo continua sempre con neve e fa molto freddo.
Il 7 aprile, venerdì santo, è vacanza secondo l’usanza dei tedeschi e
l’indomani si lavora per mezza giornata. La sera del sabato santo c’è
stato tre volte l’allarme su Berlino ma non è caduta nessuna bomba.
È già Pasqua, giorno di Alleluia, ed è una bella giornata di sole, sono
soddisfatto perché ho pranzato di nuovo con i compagni, però a
mezzogiorno, puntualmente, un allarme interrompe il pranzo.
Tutte le mattine si parte per la medesima strada di Neukölln e poi in
treno per Wilmersdorf.
19
Si tratta della chiesa dell’Annunziata in Piazza Castello, vicino casa sua, a cui ha dedicato tutta la sua vita come
volontario.
Giorno 12 spedii una lettera a casa. Ci fu un ordine improvviso per
quanto riguarda l’igiene. Hanno pelato la testa a tutti a causa dei
pidocchi e così rimasi a capo scoperto per tanti mesi.
Oggi domenica 16 aprile ho trascorso una giornata infelice perché i
tedeschi hanno controllato la biancheria per vedere se c’erano abiti
civili nascosti da qualche parte. L’adunata durò per l’intero giorno
aspettando la fine del controllo per tutti quanti. Quanta roba
portarono via! Anche roba che ognuno di noi possedeva ancora
dalla naia.
La sera del 17 aprile, ritornando dal lavoro, ecco una grande gioia:
ho trovato la prima cartolina proveniente da casa, che portava la
data 1/3/1944.
Quanta commozione provai dopo tanto tempo che non leggevo più
uno scritto della mia Mimì, a cui ero legato da tanta stima e fiducia
e ci tenevo a rivederla.
Sentii la notizia della cara sorella che si era già sposata. Oh quanto
ho pianto povero me! E con tutto il cuore!
È la sera del 24, al ritorno dal lavoro trovai già la lettera civile che mi
ha spedito Mimì e apprendevo tante notizie; la lettera conteneva
anche poche parole della sorella scritte all’interno della busta, con la
data 12 marzo.
È il giorno 25 aprile: siamo andati tutti in un altro campo per fare la
disinfestazione, intanto nella stessa giornata disinfestarono le nostre
baracche.
La sera di sabato, giorno 29, al ritorno dal lavoro, eravamo tutti
pronti per la puntura al torace sinistro che mi provocò febbre alta e
l’indomani sono rimasto tutta la giornata coricato sulla branda.
Oggi 1° maggio siamo “a casa” a far festa come è abitudine in
Germania perché anche qui è festa del lavoro.
Il 12 maggio sono passato al Comando 73 e ho cambiato anche il
lavoro. Qui mi sono trovato molto bene perché mi hanno messo al
Ministero dell’Aeronautica. Nell’Ufficio erano tutte donne e trovai
modo di cambiare sigarette per patate in gran quantità e così per
mangiare mi sono trovato benissimo.
Qui a Tempelhof anche il rancio a mezzogiorno era buono e come
pulia c’era un uomo molto bravo.
È il 13 maggio ed ho scritto una lettera a casa, più tardi ho trovato
da cambiare delle sigarette con un’altra lettera e così ne spedii due
nello stesso giorno.
Giorno 26 ho spedito un’altra cartolina, indirizzata alla mamma. La
sera del 12 maggio avevo ricevuto una cartolina di risposta dalla
signora Barona Nina da Loano spedita il 2 aprile e ho provato una
grande gioia: la signora mi diceva che voleva spedito subito il
modulo per pacco perché aveva il piacere di rispedirmi il pacco per
sovvenire ai miei bisogni.
Siamo arrivati al 21 giugno, il lavoro come al solito è nel rifugio di
Tempelhof. C’è stato un forte bombardamento su tutta Berlino e al
termine dell’incursione si formò una fitta nebbia nel cielo della città
e improvvisamente fece buio. Tutto bruciava attorno a noi e in tanti
posti c’erano delle rovine. Il mese di giugno è finito senza belle
giornate, ma sempre con la pioggia.
Oggi domenica 2 luglio ho ricevuto una cartolina dalla mia Mimì
spedita in data 20 aprile.
Oggi 9 luglio ho ricevuto un’altra cartolina da Mimì spedita in data
30 aprile. Oggi è una giornata molto calda.
Oggi 2 agosto ho ricevuto due cartoline da casa: una portava la
data del 12/5/44 e l’altra del 1/6/44, queste sono state le più recenti
tra quelle che ho ricevuto.
Ci hanno riferito che il giorno 20 luglio Hitler ha subìto un attentato
nel suo palazzo, accanto a lui c’erano altri due generali, uno dei
quali morì subito.
È mezzogiorno del 6 agosto e c’è un terribile allarme, sono cadute
diverse bombe e tante squadriglie da 17 apparecchi che sorvolano il
cielo di Berlino. Appena è finito l’allarme, abbiamo mangiato un
rancio improvvisato fatto di pasta con carne, era proprio buono.
Il giorno 15 agosto ci fu una improvvisa adunata, ci hanno chiesto
se qualcuno voleva passare come civile. Seguì un silenzio generale
da parte di tutti non sapendo di che cosa si trattasse. Abbiamo
chiesto una proroga perché ciascuno potesse riflettere che senso
potesse avere questa firma al fine di diventare liberi. La sera del
giorno 18 ecco che un ufficiale tedesco superiore ci ha costretti a
prendere una decisione e ha schierato la guardia armata intorno a
noi. Parlò tramite l’interprete dicendo che era stato un ordine dato
dal fürer, che per ognuno di noi corrispondeva alla libertà. abbiamo
firmato due fogli, uno andò a loro ed uno restò nelle nostre mani.
Tutti abbiamo firmato senza volerlo, ma ad un certo momento ecco
che il 23 sera, ritornando dal lavoro, abbiamo trovato il cancello
spalancato e senza guardie.
L’indomani mattina abbiamo cambiato il comando e siamo passati
all’80. Qui ci fanno viaggiare verso Mariendorf, dove c’era da
costruire un canale lungo 18 chilometri. le ore di lavoro erano
troppe: dalle 6,15 alle 19. il canale doveva proseguire verso
Marienfelde e poi verso la fabbrica di Groβbeeren.
Oggi 20 settembre sono rimasto “a casa” con la febbre per aver
preso un’influenza viaggiando sopra il camion all’aperto. Fui
ricoverato all’infermeria per una settimana e non mangiavo più
niente. La febbre mi arrivò fino a 39.
Domenica 24, all’infermeria hanno cucinato il riso arrivato dall’Italia,
quello che avevamo al campo io e i miei compagni Ippolito e Li
Vecchi. Poi ecco arrivare Mercanti che era in cerca di me, perché da
un anno non ci eravamo più visti. Oh che festa potere stare tutti
assieme. Poi siamo usciti insieme e abbiamo brindato con birra a
Neukölln.
Domenica 15 ottobre sono stato alla stazione radio di Witzleben in
piazza Adolf Hitler per trasmettere notizie a casa. Abbiamo fatto il
sorteggio nella camerata e venne fuori proprio il mio nome. La
trasmissione ha comunicato quanto segue:
“A Berlino, Di Paola Giuseppe da Castelbuono (Palermo), invia
affettuosi abbracci alla moglie, alla mamma e alla sorella ed assicura
di stare bene. Arrivederci, a presto.”
La stessa comunicazione assieme a me l’ha fatta anche Ippolito.
Il 29 ottobre, domenica, sono stato di nuovo alla radio, avendo
avuto la preferenza da parte di tutti i compagni della camerata. Il
contenuto della trasmissione era il seguente:
“ Berlino, ottobre 1944, Di Paola Giuseppe da Castelbuono
(Palermo), assicura di stare bene e abbraccia tanto la sua Mimì,
mamma, sorella e famiglia, si augura di ritornare presto. Ciao.”
La stessa cosa venne eseguita il 12 novembre con queste parole:
“Berlino, novembre 1944, parla Di Paola Giuseppe da Castelbuono
(Palermo). Col pensiero sempre a te, o Mimì, privo di tue notizie da
giugno, sto bene, auguro per voi tutti la stessa cosa. Sono assieme
ad altri paesani che tu conosci, fai coraggio. Ti abbraccio assieme a
mamma e sorella e tuoi cari, sempre tuo Peppino. Ciao.”
È domenica 26 novembre, giornata di pioggia e neve, ci siamo
riuniti nella “stanza” di Ippolito per cucinare delle patate che io
portavo tutte le sere da Groβbeeren dove c’erano i campi pieni e
così le davo anche agli altri.
Mentre si cucinava, ecco arrivare tutti i paesani cioè Mercanti,
Raimondi, Ippolito e Abbate, così tutti abbiamo mangiato quello
che c’era.
Quanto fui contento quel giorno!
In questo mese, cioè novembre, ho lavorato sempre a Berlino, in
città, per cercare le porte del gas sotto le macerie e qui mi sono
trovato bene tanto che il rancio del campo quasi sempre lo davo
agli altri perché io avevo cose buone da mangiare (quello che
trovavo tra le macerie).
Il primo dicembre tornai a lavorare a Groβbeeren per battere i tubi
pieni di ruggine.
Il giorno 4 dicembre mi hanno dato un telegramma da scrivere,
fatto di 25 parole, per inviarlo alla Croce Rossa di Ginevra (Svizzera).
Il giorno 12 dicembre ho spedito un altro messaggio identico al
primo, pure di 25 parole.
In questi giorni ho saputo per mezzo di altri che mio figlioccio
Vincenzo si trova a Wildau, e allora la mattina di Natale, alzatomi
prestissimo, col buio, mi avviai a Neukölln per prendere il treno per
Grünau.
Ah, che impresa! Sotto il treno c’era un morto e la linea era bloccata
e abbiamo aspettato lì per due ore, c’era molto freddo, 14 gradi
sotto zero ed era tutto ghiacciato. Arrivato a Wildau, mi hanno
mandato in un altro posto e mi ero quasi perduto. Ritornato
indietro, ho trovato finalmente il lager, ma era già l’una ( le tredici),
c’era tanto freddo ma ho avuto la gioia di trovarlo. Lo trovai ancora
a letto, subito si alzò e prese il rancio.
Siamo partiti per Rudow, siamo arrivati di sera e lo portai a ballare a
Schönefeld. Siamo ritornati a mezzanotte e rimase a dormire
assieme a me nella stessa branda.
Oh quanta gioia dopo tanto sacrificio e tutto il freddo che avevo
preso quel giorno di Natale!
L’indomani siamo stati di nuovo assieme e lo accompagnai a
Neukölln.
Giorno 27 ho cambiato Comando, mi mandarono ad Erkner in una
fabbrica di catrame, benzina e benzola.
Il giorno di Capodanno è venuto di nuovo Vincenzo, così passai
tutte le feste assieme a lui perché lo stimavo come un figlio vero, e
siamo andati di nuovo a ballare a Schönefeld. Dormì di nuovo con
me e poi l’indomani siamo stati a Berlino a passeggio.
Nella giornata di Capodanno abbiamo scritto un messaggio tutti
assieme perché c’erano con noi pure gli altri paesani.
Dal giorno 2 gennaio cominciai a fare il turno di lavoro la notte,
dalle 5,30 di sera alle 4,15 del mattino. Ah! Che sofferenza questo
lavoro a causa del freddo e senza dormire! Nel primo periodo mi
sembrava di essere diventato cretino.
La notte del 5/1/1945 un forte bombardamento ha rotto la linea del
tram che unisce Neukölln a Rudow, e così la mattina siamo tornati a
piedi.
Siamo al 1° febbraio e un forte bombardamento colpisce la zona di
Rudow e Schönefeld. La mattina seguente, al ritorno dal lavoro, un
altro bombardamento colpisce Köpenick e non si poteva più
passare con il treno.
Il giorno 3 febbraio, trovandomi sul posto di lavoro, a mezzogiorno
in punto, ci fu un violento allarme al centro di Berlino; c’era un
presidio di migliaia di apparecchi americani che bombardavano
diverse località. Tutto era in fiamme e tutto era color fumo mentre
la zona di Köpenick ardeva totalmente. Le strade che andavano
verso Erkner erano tutte rotte. Il treno non funzionò più per
settimane intere e quel giorno ho dovuto fare a piedi tutta la strada
da Erkner fino a Neukölln e poi fino a Rudow, siamo partiti alle due,
appena finito il lavoro e siamo arrivati alle undici di notte.
Ero mezzo morto sia per la stanchezza che per la paura provata nel
sentire scoppiare continuamente le bombe lungo la strada. La sera,
giunti a Treptower Park, ho sentito un altro allarme fortissimo,
perché hanno bombardato la località dove io mi ero fermato per
ripararmi dalle bombe.
Quanto spavento ho preso quella sera! Quella è stata, secondo me,
la giornata più nera per le incursioni su Berlino.
È il 26 febbraio, arrivano di nuovo le famose formazioni americane
con l’intenzione di provocare la fine. Hanno portato spezzoni per
fornire tutte le case e bombe, come il giorno 3, per distruggere con
tanta furia Ostkreuz e tanti altri posti.
Il crollo delle case dava un aspetto assai pauroso, anche lo scoppio
delle bombe era terribile e mancava poco o niente per rimetterci la
pelle.
Dal 3 febbraio in poi, tutti i giorni, ci furono sempre allarmi senza
cessare.
Verso il 20 febbraio molti miei compagni andarono a lavorare con la
Volsturna per fare barricate e trincee sulle strade di Berlino. Tutto
era un flagello, specialmente nelle migliori strade.
Il giorno 11 marzo improvvisamente ci fecero cambiare campo
andando 2 chilometri più in giù verso Neukölln. Abbiamo trovato un
campo sporco e tutto trascurato, dove prima c’erano i francesi, ed
era senza acqua.
Il giorno 18 marzo ecco di nuovo arrivare gli americani a
mezzogiorno per rompere ancora quello che rimaneva in piedi; tra
notte e giorno fecero proprio un gran fracasso e buttarono giù dei
manifestini.
Il giorno 24 marzo toccò proprio a Marienfelde, la fabbrica dei carri
armati, che fu presa in pieno.
Il 28 marzo, di nuovo su Marienfelde, la fabbrica fu colpita in pieno
e fu distrutta definitivamente e non si è potuto più lavorare.
Il giorno 5 aprile mi toccò il turno di andare al fronte con il camion
per prendere le patate per la fabbrica. La sera portai tante di quelle
patate (circa 8 chili) che fui a posto sino alla fine assieme ai miei
compagni. Con un po’ di patate comprai le scarpe e così mi calzai.
Il giorno 7 aprile ho ricevuto l’ultima lettera da casa, ho appreso
tante notizie che ne fui soddisfatto. La lettera portava la data del
25/8/1944.
In questi giorni si va al lavoro con il camion perché la ferrovia non
funziona più.
È il 20 aprile, nelle ore del mattino ecco delle formazioni sorvolare
su Berlino picchiando forte dappertutto, con ripetuti allarmi e in
diversi momenti per la durata di 4 ore.
Le notti passavano in maniera orribile, piene di freddo e dormendo
sempre in branda.
Il giorno 19 siamo stati per l’ultima volta sul posto di lavoro, dato
che il fronte sembrava più vicino a noi, il rumore era molto forte e si
sentiva il rimbombo dei carri armati che si avvicinavano. L’offensiva
fu più forte giorno 15 e sino alla fine gli apparecchi venivano a
bassa quota mitragliando tutto. Da tutte le parti si sentivano arrivare
e pensavamo che fosse la fine.
Giunti al mattino di giorno 23, dopo aver dormito per tre notti nel
rifugio anziché nella branda, si diffonde la notizia di prepararci per
la marcia e partire immediatamente.
Ci diedero subito il pane per due giorni, cioè 400 gr e la margarina e
con lo zaino sulle spalle si parte.
Dappertutto piovevano granate e si sentivano i rimbombi del
cannone. Camminando per le strade non sapevamo dove andare
perché dappertutto era un inferno. Ci avevano dato l’ordine di
recarci a Jungfernheide, in un altro campo. C’era una pioggia
violenta proprio in quelle ore e così, bagnati dalla testa ai piedi,
correvamo sempre.
Fece buio e pernottai sotto una casa diroccata dietro la stazione di
Wilmersdorf e l’indomani, presto, mi obbligarono a partire. Lungo la
strada ho trovato una carretta20
, ho messo tutto lì sopra per
alleggerire il peso sulle spalle perché non ne potevo più. Arrivati in
quel posto, non abbiamo trovato nulla perché tutto il campo era
stato bruciato. Rimasti per la strada tutti quanti, rischiavamo di
perderci l’uno con l’altro perché cercavamo di non essere presi dalle
granate che arrivavano da tutte le parti. Abbiamo pernottato in una
buca e l’indomani su per le vie di Spandau dove c’era di peggio.
Siamo ritornati di nuovo a Berlino nello stesso posto della sera
precedente dove c’erano altri italiani in Elisabeth straβe proprio nel
cortile della radio davanti la torre della stazione di Witzleben.
Il ritorno da Spandau fu proprio brutto in quanto abbiamo
attraversato una strada che era tutta piena di militari e c’era un
20
Mezzo di trasporto improvvisato.
obiettivo addirittura pieno di automezzi e, pur avendo visto la morte
con gli occhi, raggiunsi questo posto dove restai sino alla fine.
Il posto era sotto un palazzo diroccato che non dava l’aspetto di un
obiettivo da guerra e così siamo rimasti fermi lì.
Chiusi lì per 6 giorni nell’ultimo combattimento senza poter venire
fuori perché dappertutto cadevano schegge e granate.
Rimasti senza acqua, abbiamo cucinato col fango che c’era fuori
dopo aver piovuto.
La sera del primo maggio, non sapendo più come fare, ho rivolto la
preghiera al cuore di Gesù perché mi salvasse e mi portasse a casa
nel mese di giugno, a Lui consacrato.
Ecco che l’indomani mattina non abbiamo sentito sparare più e sul
tardi ci siamo affacciati fuori e abbiamo trovato tutto per terra: sia
armi che munizioni.
Sembrava che fosse finito tutto.
Giù per le strade si vedevano i russi che venivano fuori di qua e di là
intrecciando con noi relazioni di affetto con strette di mano. Il loro
arrivo non ha dato una impressione da rozzi dato che erano
considerati così, ma con noi e con gli stessi tedeschi furono gentili
a parte l’eccezione di alcuni che dovevano vendicarsi con i tedeschi
per tutto quello che avevano fatto. Hanno tolto gli orologi alle
donne e hanno fatto quello che non era lecito fare.
Ho visto tante cose e mi è dispiaciuto vederle, hanno massacrato le
donne e le case in malo modo.
Quante sigarette e quanti sigari hanno dato i russi agli italiani!
Quante agevolazioni ci diedero! E dopo una settimana
incominciarono a darci anche le tessere per il pane.
Nell’ufficio c’erano le file dei tedeschi, ma a noi italiani era dato il
privilegio di entrare per primi. Nelle rivendite per le strade era la
stessa cosa e i tedeschi guardavano come stupiti, stavano lì per
giornate intere e poi rimanevano senza pane.
Ah che flagello! Le case erano vuote, la gente sfollata, e noi le
abbiamo rovistate portando via tutto ciò che volevamo, sia alimenti
che vestiti.
Nelle case era tutto in frantume. Quante patate e quanta pasta
abbiamo trovato per non parlare dello zucchero che abbiamo preso
con i sacchi.
E ancora le bottiglie dei liquori prese dai ristoranti insieme ai russi
che rompevano tutto; abbiamo trovato pure vino con le damigiane
che abbiamo portato al nostro alloggio. Inoltre le bottiglie della
birra con le casse, insomma c’era tutto quello che volevamo.
Abbiamo fatto una vita da poltroni: mangiare e dormire a volontà e
nessuno ci diceva niente, in tutti i magazzini noi eravamo i padroni
accompagnati pure dai russi con le armi.
Dopo un po’ di settimane si sentiva dire che tutti gli stranieri
andavano via, i russi ci dicevano che potevamo andare giù a casa,
ma da dove partire se non c’era nessun mezzo, né treno né altro?
Sentivamo dire che ci portavano tutti verso Biesdorf e
Friedrichsfelde dove c’era un luogo di concentramento per tutti. Io
non ci volevo andare perché non era la nostra direzione, invece era
al contrario.
Aspettai ancora tanti giorni perché c’erano tante cose da poter
mangiare ed era un peccato lasciarle, specialmente la carne, ma poi
ho sentito che al Comando i russi davano un “lascia passare” per
andare al fiume Elba, dove potevo trovare gli americani, allora andai
pure io, ma per colpa degli altri non partii subito.
Dopo due giorni precisi siamo partiti lasciando tante patate e
portandone dietro tante altre come pure la farina.
Giorno 22 maggio ci siamo avviati verso il fiume Elba, siamo passati
da Magdeburg. Arrivati a Potsdam abbiamo trovato il blocco dei
russi che non ci fecero andare avanti ma ci fecero cambiare strada
verso Biesdorf.
La sera abbiamo pernottato per le strade di Berlino, essendo sempre
a piedi e per giunta dovevamo tirare con noi i carri carichi di viveri
per mangiare e anche le cassette personali.
Siamo arrivati l’indomani, 23 maggio, e abbiamo trovato gli altri giù
per il bosco senza baracche, e così subito ci siamo accomodati
procurando tavole e mettendo delle tende che avevamo portato
con noi.
In questi periodo di trasferimento, ecco arrivare il cattivo tempo,
venivano giù delle piogge mentre a Berlino c’era un caldo
eccezionale da non poter portare addosso la giacca pesante.
Qui tutto procede bene per quanto riguarda il vitto perché sia
all’ora della sveglia, cioè alle sette, che all’ora di pranzo (alle due) e
poi alle sette di sera, c’era per tre volte il rancio di riso, patate e
carne.
Il pane, 400 gr, veniva dato tutti i giorni, ma c’era anche chi
ammazzava cavalli di qua e di là e così c’era sempre carne da
mangiare in abbondanza.
Il pane che avevamo nelle cassette a volte si perdeva perché c’era
tanto ben di Dio come per esempio a Biesdorf abbiamo cucinato le
tagliatelle con i fagioli.
La mattina del 27 maggio è arrivato l’ordine di partire essendosi
raccolti già un buon numero di italiani che affluivano da tutte le
parti della Germania: donne, bambini e vecchi di tutti i tipi.
Si partì a piedi trascinando le solite carrette e facendo la strada
verso Strausberg che si trova a 35 Km da Biesdorf.
Giunti la sera molto stanchi, abbiamo trovato altri che erano arrivati
la stessa giornata e ci hanno dato delle stanze per riposarci la notte.
Qui danno i viveri da cucinare: patate, carne, piselli, zucchero, sale e
pane (600 gr a testa).
Qui sono arrivati anche tanti ufficiali superiori come maggiori,
capitani e colonnelli.
Giorno 30 maggio ci chiamarono per fare le schede personali
marcando data di cattura e di liberazione, numero di stalag21
e
indirizzo di casa, paese e provincia.
Oggi, giorno 31, ricorre la festa del Corpus Domini e qui piove.
Il giorno 7 giugno sono arrivati quattro mila italiani, al solito
incolonnati, con carretti provenienti da Bernard e tra questi,
guardando a destra e a sinistra, fui chiamato da Vincenzo Di Garbo,
il figlio del farmacista che si fece riconoscere, dato che io non lo
avevo conosciuto perché era molto magro in viso.
Stamane, 9 giugno, ho incontrato tra gli ufficiali superiori, il
colonnello Martorana, col quale ci siamo scambiati un saluto
affettuoso, da paesani, e tutti i giorni lo avvicinavo per avere
qualche consiglio o chiedere notizie del nostro paese. Gli abbiamo
offerto un po’ di zucchero che volentieri accettò perché ne era
sprovvisto.
Abbiamo chiesto al Comando russo, per mezzo dei nostri ufficiali,
notizie del rimpatrio. Ci hanno risposto che sarebbe passato ancora
21
Stalag o stammlager è un termine utilizzato per indicare i campi di prigionia tedeschi per i prigionieri di guerra. Gli
stalag furono in uso sia nella prima che nella seconda guerra mondiale per i prigionieri militari non ufficiali.
molto tempo; allora abbiamo chiesto il permesso di poter scrivere a
casa per dare notizie dello scampato pericolo.
È il giorno 12 del mese di giugno e ci hanno detto che potevamo
farlo a patto che ognuno di noi procurava per sé carta e inchiostro.
Allora andai dal colonnello che mi diede la carta e diversi
chiarimenti in merito.
Scrissi due lettere, sperando che almeno una potesse arrivare nelle
mani di Mimì.
Giorno 17 mattina: tutto il 3° Battaglione, per ordine del Comando
russo, dovette spostarsi a distaccamento e fu così che, camminando
per 13 Km, siamo arrivati a Sternebeck dove siamo stati assegnati
per il tempo che rimaneva. Qui c’era un bosco fertile, però mancava
il panorama, infatti il posto dove mi trovavo io con i compagni della
12a Compagnia, era il peggior posto perché era una fossa accanto
ad un laghetto.
Il giorno 24 giugno ho scritto un’altra lettera a Mimì e ne ho spedito
pure una allo zio Vincenzo in data 25.
Dal 20 giugno sino alla metà di luglio, tutti i giorni e tutte le notti
pioveva con qualche improvvisata di tempesta e tuoni.
Giorno 11 luglio ho spedito di nuovo una lettera a Mimì in busta
bianca che mi fu data.
La mattina del giorno di S. Anna, 26 luglio, alle ore tre ci fu la sveglia
per partire subito lasciando Sternebeck, ma poi la partenza fu
sospesa provvisoriamente e si ripartì alle tre del pomeriggio.
Tutti incolonnati verso Fürstenwalde, la sera abbiamo pernottato a
Müncheberg e l’indomani mattina, appena fece giorno, si riprese il
cammino per la prossima destinazione. La sera abbiamo pernottato
di nuovo al chiarore delle stelle, alle porte di Fürstenwalde.
L’indomani, a mezzogiorno, siamo entrati in città a prendere posto
nelle case dove fecero sgombrare i tedeschi. Qui incontrai di nuovo
mio figlioccio Vincenzo e abbiamo provato tanta gioia da entrambe
le parti.
Giorno 7 agosto abbiamo ricevuto di nuovo l’ordine di sgombrare la
città da tutti gli stranieri, ed ecco tutti incolonnati verso Storkow.
Alcuni ci arrivarono, ma circa settemila ci siamo fermati prima in un
paesino, a Kolpin. Qui c’era un grande lager con baracche spaziose,
ma eravamo molto numerosi e il mio battaglione fu costretto a
pernottare fuori in mezzo al bosco creando delle tende provvisorie.
La stessa notte, appena fece buio, ecco venir fuori un forte
temporale accompagnato da lampi e tuoni, una cosa mai vista in
Germania e durò tutta la notte. Non restò niente all’asciutto, tutti
bagnati da capo a piedi, abbiamo tagliato pezzi di legna per farli
bruciare e poterci asciugare senza nemmeno dormire.
Notte di paura in questo viaggio che accresce sempre più la
monotonia del destino.
Con mio figlioccio Vincenzo siamo di nuovo divisi a causa dello
spostamento.
Qui tutti i giorni e le notti continuano le forti piogge, ma ormai
siamo nella piccola baracca costruita da noi dentro il campo.
Il giorno 10 agosto, passeggiando distratto per il campo, sentivo di
essere inseguito da un giovane e, non avendolo visto in faccia, non
mi sono accorto che era un paesano che mi aveva riconosciuto e mi
inseguiva perché voleva assicurarsi della mia identità. Finalmente, ad
un tratto, venne fuori con domande strane chiedendomi a quale
paese dell’Italia appartenevo. Gli risposi di scatto che ero della Sicilia
e precisamente venivo da Palermo. Egli pretende ancora di sapere il
paese e subito facciamo conoscenza perché era un mio
compaesano ed era, per la precisione, Scancarello Vincenzo abitante
in via Li Volsi 44. Così godiamo di questa conoscenza paesana e
siamo contenti sia lui che io.
Giunti al 25 agosto finalmente si parla della partenza che sarà
immediata, infatti il primo turno partì giorno 27 e così fu anche per
me che proprio il 28 mi misi in movimento con la mia colonna verso
la stazione di Königs Wusterhausen dove siamo rimasti a dormire
quella notte sotto il chiarore delle stelle. In quel posto ho dovuto
lasciare il carrettino, per necessità di carico, quel carrettino che mi
ha fatto compagnia per tante tappe.
A mezzogiorno del 29 agosto finalmente ci siamo sistemati sul
treno in viaggio verso il Sud.
La sera del 3 settembre siamo giunti a Mittenwalde. Il posto era
pieno di caserme ben messe dove potevamo rifugiarci tutti, proprio
tutti. C’era pure un locale di smistamento, ci hanno dato del brodo
caldo e caffè. Fino ad ora siamo stati sempre a cucinare per la strada
dato che i Russi ci hanno fornito dei viveri a sacco per 6 giorni, ma
ormai si mangia per conto degli Americani.
L’indomani, appena svegli, siamo andati tutti per la disinfestazione e
poi, subito, con i camion abbiamo raggiunto la stazione perché il
treno ci attendeva.
L’indomani siamo arrivati al Brennero, stazione confinante, e lì ci fu
un controllo generale perché nessuno degli stranieri varcasse il
confine. Lì c’era la Banca Nazionale che dava il visto per lo scambio
delle marche in lire italiane.
Ripartiti la stessa notte, siamo giunti a Bolzano, abbiamo trovato un
posto di ristoro, abbiamo mangiato della pasta con carne e pane.
Ho trascorso la notte senza dormire per la gioia di avere raggiunto il
suolo patrio tanto desiderato.
Si prosegue avanti per Pescantina, un po’ prima di arrivare a Verona.
Qui lasciamo il treno per trovare il campo ed un centro alloggio. Ci
hanno dato da mangiare ed in più £ 1000 come acconto, tutto
questo accompagnato dalla licenza.
Lo stesso giorno incontrai il dottore Mazzola nel centro alloggio, si
stava preparando dei fogli di viaggio per raggiungere Novara dove
era sua moglie. Allora fecero le tradotte, una per il Nord e una per il
Sud Italia.
Appena fu pronta quella per il Sud, l’indomani stesso, ecco partire
un viaggio per Bologna e anche lì ci fu una lunga sosta per darci da
mangiare; nel mentre si scatenò un forte temporale che ci
accompagnò lungo il viaggio e, ironia della sorte, eravamo in vagoni
scoperti. Il terribile fastidio che ci dava il tempo perché era
incostante, era niente per noi; era più importante che il treno tirava
avanti sempre verso Roma.
Le donne e i bambini assieme a noi erano pure in cerca della loro
casa mentre i lampi, i tuoni e le saette battevano a bassa quota e
facevano tanta paura.
Il treno proseguiva verso Sud facendo la strada dell’Adriatico e
abbandonando quella di Firenze perché era tutta in rovina.
Siamo passati da Rimini e Forlì, giorno 7 si raggiunge Iesi e avanza
anche il famoso temporale. Qui siamo fermi tutta la giornata per
poter asciugare gli indumenti tutti bagnati. C’è anche un posto di
ristoro con pastina, pane, mele e vino, ma le notti passavano senza
chiudere occhio sia a causa della grande gioia per il desiderio di
calpestare di nuovo l’Italia, ma anche perché il maltempo
aumentava ed era sempre più fastidioso.
La strada apparentemente aveva un brutto aspetto per le rovine alle
rotaie lungo la catena ferroviaria. Gli occhi sono stanchi di vedere le
rovine fumanti delle stazioni d’Italia, tutto sembrava perduto.
Mentre i suoi giovani figli offrono la loro vita nei campi di prigionia,
l’Italia soffre a causa del continuo martellamento del nemico.
Per avere un’idea del misfatto compiuto che ha colpito il cuore
dell’Italia, basta posare lo sguardo solo per dieci minuti nel tratto
del Po dove il nemico, a forza di mine, ha buttato nel fiume
un’opera d’arte come la costruzione di un enorme ponte. Il ponte
era provvisoriamente trasformato in una passerella stretta dove
passava appena un solo binario, ma si vedeva un grosso numero di
operai prestare l’aiuto rapido ai rifacimenti perché lungo il percorso
ferrato molti e molti tedeschi, scortati da guardie americane,
pagavano col proprio sudore il misfatto da loro compiuto.
Stamane 8 settembre, attraversando Spoleto, giungevamo a Terni
come posto di assistenza e di rifornimento viveri. Era un luogo
pieno di fabbriche d’armi di cui non esisteva più pietra su pietra
tanto da non poter identificare il posto della stazione.
La sera dello stesso giorno (8 settembre) siamo giunti a Roma
Prenestina, stazione indicata per l’arrivo dei reduci dalla Germania.
Qui c’è un posto di ristoro: abbiamo trovato un grandissimo salone
che poteva ospitare 1.000 uomini per il solo pranzo; ognuno di noi,
appena prese posto, era padrone della sua pasta, del suo secondo,
compreso pane, mela e vino. Si poteva entrare per mezzo del foglio
di licenza che ci avevano concesso a Pescantina.
La sera, all’imbrunire, giunti a Cava dei Tirreni, abbiamo trovato un
altro posto di ristoro simile a quello di Roma.
L’indomani mattina, giunti a Villa S. Giovanni, subito abbiamo preso
il traghetto e mi “versai” nella mia Sicilia, proprio a Messina. Qui
fermi per una giornata, siamo stati portati in un posto di ristoro
militare dove tutto era preparato bene. La sera, alle dieci, eccoci in
movimento sul treno che andava a Palermo.
Passammo tutta la notte svegli a sentire le ultime scosse di quel
macchinone e, verso il mattino, allo spuntar dell’alba, ecco apparire
le sospirate tracce della stazione di Castelbuono.
Oh quante vicende ho passato! Non ne potevo più!
Subito sono sceso dal treno e mi sono avviato verso la strada che
indicava il mio paese. Fu così che trovai un calessino con dei paesani
che attendevano tutti i giorni l’arrivo dei rimpatriati reduci.
Quanta felicità! Ero trionfante.
Trovai mio cugino Gioacchino22
intento ad aspettare suo fratello
Vincenzo, ed ecco su per la strada a piedi perché le tante persone
che incontravo, festosamente, mi impedivano di poter salire sul
calesse perché tutti volevano ascoltare la mia parola.
Che ansia correva nel petto!
Sognavo l’abbraccio dei cari che mi attendevano: sentivo già le
parole care della mia buona mamma che, all’arrivo del suo unico
figlio, doveva dedicarsi tutta a me; mi tremavano le braccia
sognando l’abbraccio della mia Mimì. Il tempo però era incostante e
mi proibiva di godere tanta felicità come desideravo.
Arrivati al cimitero, e poi alle porte del paese, ecco venire giù un
temporale che ci fece confondere; l’arrivo doveva essere festoso,
invece ci fu una sosta in via Cefalù per mettere giù la roba dal
calesse e ci siamo bagnati dalla testa ai piedi.
La gente, e poi i vicini, che mi hanno visto, corsero a casa mia ad
annunziare il mio arrivo; fu allora che vidi spuntare giù quella
vecchietta ed amata mamma con le braccia aperte verso di me,
dietro a lei c’era la sorella ed assieme la cara Mimì che anch’esse,
22
Fratello del figlioccio Vincenzo.
anche se ancora lontane, lanciavano bacioni per aver rivisto il loro
unico Peppino che da tempo non aveva dato più sue notizie.
La pioggia in quell’istante si fermò e così ci incamminammo su
verso la mia casetta in mezzo ai miei carissimi che stampavano
bacioni senza tregua.
Conclusione
Eccomi a casa mia dove tutto regnava nell’ordine più grande e qui
baciai più volte il gradino dell’uscio affinché mi obbligasse a non
lasciare mai più la casetta che ho sempre amato tanto.
I parenti tutti correvano all’impazzata dalle loro case compreso i
cuginetti che mi vollero sempre tanto bene e tutta l’intera giornata
hanno fatto una grande festa, la più solenne e la più cara che si
potesse fare, chiudendo la serata con il ballo in onore del grande e
desiderato mio ritorno.
Castelbuono lì 12 settembre 1945.
La preghiera degli Italiani
a Maria Santissima Castellana d’Italia
O Maria, madre di quel Cristo che agonizzò sulla croce per stabilire fra gli
uomini il patto di una fraternità pacifica, ricorriamo a te in quest’ora tragica, la
più orrenda e la più terrificante che abbiano visto i secoli; e, fiduciosi nel tuo
patrocinio possente, ti scongiuriamo perché l’umanità contaminata da tanto
sangue e sconvolta da tante barbarie distruggitrici, rinsavisca e ritrovi, sulle vie
dell’amore la sua dignità e la sua salvezza.
Tu che fosti sempre venerata dai nostri padri, che consacrarono al tuo nome
superbe e gigantesche cattedrali; che sulle mura turrite e sulle porte delle cento
città ti dedicarono statue, ricordi imperituri di devozione profonda; che
impressero la tua immagine benedetta nelle loro monete; che ti cantarono il
cantico sublime nel poema di Dante, e sulle tele e sul marmo immortalarono la
tua effige col genio dei nostri sommi artisti: salva la Patria.
Tu che mostrasti una predilezione singolare per l’Italia, dove volesti che fosse
trasportata sulle ali degli angeli la tua casa di Nazareth, non permettere che
piede straniero venga a contaminare questa terra di santi e di eroi, la quale già
versò tante lacrime, conobbe immense sventure e subì perfino l’onta del duro
servaggio. Tu che acclamata dagli avi nostri, patrona e castellana d’Italia ne
rivendicasti le libertà comunali sui campi insanguinati di Legnano, ne difendesti
la fede e la civiltà nelle acque di Lepanto e nell’ultima guerra ti erigesti sul
monte Grappa a baluardo delle italiche milizie, ascolta la preghiera del nostri
soldati, marinai ed avieri che dalla terra, dal mare e dal cielo ti elevano
supplicanti le mani perché il loro eroismo sia degnamente premiato. Proteggi in
quest’ora di angoscia la Patria, dove tutto un popolo da ogni focolare, da ogni
tugurio, da ogni paese, da ogni città, da ogni tempio innalza a te un grido
accorato, ma vibrante di viva speranza. È il grido dei vecchi che ignorano la
sorte dei figli, il grido delle spose piangenti, il grido degli orfani che non hanno
più padre, il grido dei morti che offrono il loro sacrificio per la salvezza
dell’Italia. Levati, ancora una volta, o Vergine santa, sul cielo azzurro della
patria e contemplando le rovine fumanti delle nostre gloriose città contro le
quali si scagliarono strumenti efferati di sterminio e di morte, distendi il tuo
candido manto dalle Alpi rocciose alle isole appassionate, e, allargando le tue
braccia materne dall’una all’altra marina, stringi al tuo petto l’Italia, la benedici,
la conforti e la salvi.
Carlo Cardinale Salotti
Preghiera alla
Madonna del Buon Ritorno
Protettrice dei prigionieri
«Soldati d’Italia catturati nell’adempimento del dovere, ci rivolgiamo fidenti
a Te, o Madonnina del Buon Ritorno. Animati dalla storia gloriosa della Tua
protezione, in terra e in mare, sui nevai e nei deserti, Ti preghiamo con fede viva, in
questa dolce novena che riempie i santuari e i cuori delle tue laudi gioiose.
Anzi tutto Ti preghiamo per le famiglie che sentono la mancanza dei loro cari.
Fa che le tribolazioni e le ansie della loro attesa spasimosa siano placate dal
ritorno dei combattenti e degli esuli.
Ti preghiamo inoltre per i nostri fratelli che combattono. Proteggili tutti; in
terra, in mare, in cielo; le pattuglie isolate e le ferree divisioni; chi marcia vittorioso e
chi cade disperso; chi T’invoca nella foga dell’assalto e chi Ti supplica sulla barella
sanguinante delle sue ferite. Prendili sotto il Tuo presidio i nostri bravi soldati di tutte
le armi. E la tua corona di stelle diventi per essi corona di vittorie.
Ti preghiamo infine per noi, prigionieri in terra lontana, strappati dalla gloria
della battaglia e dall’affetto della famiglia. Fa che la nostra lunga sofferenza non sia
vana, ma fiorisca in virtù e tempri la nostra bella giovinezza alle battaglie di domani,
ai sacri doveri dell’avvenire.
Noi siamo soldati senz’armi, ma come per Tua misericordia certi ciechi
vedono la luce superiore e certi sofferenti godono di una gioia sovrannaturale, così Ti
chiediamo che, per Tua grazia la nostra preghiera diventi arma potente presso il
Cuore di Gesù, che noi creduti inutili diventiamo la misteriosa armata la quale,
alzando le mani a pregare, rende invitti quelli che combattono alle frontiere.
Aprici, o Madonna, il cancello chiuso e portaci con Te ai lidi benedetti della
Patria, dove i cuori riprenderanno i loro palpiti e le menti i loro pensieri e le mani le
loro occupazioni: dove tutti insieme Ti erigeremo il Santuario promesso che dirà ai
posteri una delle Tue innumerevoli misericordie: quella del Buon Ritorno concesso
agli esuli in tribolazione».
FRA GINEPRO
Sestri Levante (Genova)
Con approvazione ecclesiastica
Ricordo della Messa di mezzanotte celebrata al campo di Rudov – Berlino.