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«La psicoanalisi scommette sul fatto che è nelle esagerazioni, quando la vita va oltre misura, che cogliamo una verità. Esagerando, la psicoanalisi cerca di mettersi al livello di quell’eccesso che ci turba e ci determina.»
(Benvenuto , Leggere Freud. Dall’isteria alla fine dell’analisi)
Sigmund Freud (1856-1939)
❖Cenni biografici
❖Gli studi sull’isteria
❖La prima topica e le vie d’accesso all’inconscio
❖La teoria della sessualità e il complesso edipico
❖Dall’Edipo all’origine della religione, della morale e della civiltà
❖Al di là del principio di piacere
❖La seconda topica
❖La riflessione sulla civiltà
❖Voci critiche
Cenni biografici (pp. 348-350)
Freiberg 1856 – Londra 1939
Gli studi sull’isteria (pp. 350-353)
❖ Charcot e il metodo ipnotico
❖ La collaborazione con Breuer (il caso di Anna O.)
❖ Dall’ipnosi alle associazioni libere
❖ Transfert e Controtransfert
❖ Eziologia delle nevrosi: la rottura con Breuer e la teoria della seduzione precoce (il caso di Katharina)
❖ L’isteria oggi
Brouillet, Una lezione clinica à la Salpêtrière
Anna O.
✓ Indicazioni per la prassi terapeutica✓ Psichico ≠ Cosciente
«Invertendo il detto: cessante causa cessateffectus, ci sarà lecito dedurre da queste osservazioni che l’evento determinante continua ad agire in qualche modo ancora per anni, non indirettamente per il tramite di una catena di anelli causali intermedi, ma come causa diretta, circa come un dolore psichico coscientemente ricordato da sveglio provoca, anche dopo molto tempo, secrezione di lacrime: l’isterico soffrirebbe per lo più di reminiscenze»
(Freud, Studi sull’isteria)
«Freud ha marcato il secolo XX perché ha
imitato la servetta Lisette: chiamato come
medico a curare donne, come nel dipinto di
Steen, deviò occupandosi della lettera caduta
per terra.
Un secolo dopo Freud, il medico occidentale è
tornato a occuparsi non proprio del polso, ma
certo dei processi organici del paziente. Del
polso cerebrale direi, magari mettendo degli
elettrodi nel cranio del poveretto. Negli ultimi
decenni la psichiatria organicista sembra aver
ripreso il sopravvento, ci si aspetta che le
neuroscienze riescano a fornire quella soluzione
rapida e certa delle nevrosi che la psicoanalisi
tratta in modo lungo e incerto. Dobbiamo oggi
ridere dei neurologi così come Molière e gli altri
scrittori e pittori del Seicento si permettevano di
ridere dei medici dell’epoca?»(Benvenuto, Leggere Freud. Dall’isteria alla fine dell’analisi)Jan Steen, La visita del dottore, 1663
Quando perciò accadeva che alla
domanda: «Da quando ha questo
sintomo?» oppure: «Da dove proviene
questo?» ricevevo la risposta «Questo
davvero non lo so», agivo nel modo
seguente: mettevo la mano sulla
fronte della paziente o prendevo il
suo capo fra le mie due mani,
affermando: «Le verrà ora in mente sotto
la pressione della mia
mano […] lei vedrà
qualcosa davanti a sé o
le passerà qualcosa
per la testa, e lei questa
cosa la deve afferrare. È
proprio ciò che noi
cerchiamo».
(Freud, Studi sull’isteria)
«[…] il paziente scorge in lui [nell’analista] un ritorno –
reincarnazione – di una persona importante della sua infanzia,
del suo passato, e perciò trasferisce su di lui sentimenti e
reazioni che sicuramente spettavano a questo modello.
Il fatto della traslazione si rivela ben presto come un momento
di inaspettata importanza, da un lato come mezzo
ausiliario d’insostituibile valore, dall’altro come fonte di
seri pericoli. Questa traslazione è ambivalente; essa
comprende impostazioni positive e affettuose come anche
negative e ostili nei riguardi dell’analista, il quale di solito
viene messo al posto di uno dei genitori, il padre o la madre.
Finché è positiva, la traslazione ci rende i migliori servigi.
Essa modifica tutta la situazione analitica, lasciando in
disparte l’intento razionale di guarire e liberarsi dalle
sofferenze. In suo luogo subentra l’intenzione di piacere
all’analista, di guadagnare la sua approvazione, il suo affetto.
Essa diventa la vera molla della collaborazione del
paziente; l’Io indebolito diventa forte, sotto l’influenza della
traslazione riesce a far cose che altrimenti gli sarebbero
impossibili, fa cessare i suoi sintomi, apparentemente diventa
sano, ma solo per amore dell’analista»(Freud, Psicoanalisi)
MEDICOPAZIENTE
TRANSFERT
CONTROTRANSFERT
Anna O.
MEDICO
CHARCOT
BREUER
FREUD
TERAPIA
Ipnosi
Ipnosi
Terapia catartica
Libere associazioni
Terapia catartica
APPROCCIO
Cura della sintomatologia
Approccio eziologico
Approccio eziologico
«Non è l’ultima offesa, in sé minima, quella che
ha provocato il pianto spasmodico, la crisi di
disperazione, il tentativo di suicidio,
infirmando così il principio della
proporzionalità tra causa ed effetto: questa
piccola offesa attuale ha invece destato e
attivato il ricordo di così tante e più profonde
offese precedentemente subite, dietro le quali
tutte ancora si cela il ricordo di un’offesa grave,
mai sanata, subita durante l’infanzia.
[…] Alla base di ogni caso di isteria vi sono uno
o più episodi di esperienza sessuale precoce
della prima infanzia, episodi che il lavoro
analitico è in grado di rievocare nonostante i
decenni trascorsi.»
(Etiologia dell’isteria, 1896)
«Lascia che ti dica direttamente il grande segreto che è spuntato lentamente in me
negli ultimi mesi. Non credo più ai miei neurotica.
[…] ti racconto le ragioni che mi hanno fatto dubitare. I continui insuccessi dei
miei tentativi di portare le analisi ad una reale conclusione, lo sfuggirmi
di individui che per un certo tempo sembravano i miei pazienti più convinti, la
mancanza del completo successo sul quale avevo contato e la possibilità
di spiegarmi i successi parziali alla maniera consueta[…].
Poi, la sorpresa che in tutti i casi la colpa fosse sempre da attribuire alla
perversità del padre… e l’accorgermi dell’inaspettata frequenza
dell’isteria in ogni caso in cui si realizza la medesima condizione, mentre è
difficile credere ad una tale diffusione delle perversioni verso i
bambini… Viene, in terzo luogo, la precisa convinzione che non esista “un
segno di realtà” nell’inconscio[…]. In quarto luogo la considerazione che anche
nelle più profonde psicosi il ricordo inconscio non si fa strada, così che il segreto
delle esperienze infantili non si rivela neppure nei più confusi stati di delirio. Se
dunque si constata che l’inconscio non vince mai la resistenza del conscio,
naufraga anche la speranza che, durante il trattamento, si possa verificare il
processo opposto, cioè che il conscio arrivi a dominare completamente l’inconscio.»(Lettera a Fliess, 1897)
«Sì, adesso lo so, la testa è la testa di [mio
padre], ora la riconosco, ma non di
quell’epoca lì. Più tardi, quando sono sorti
tutti quei litigi [tra mio padre e mia madre],
allora a [mio padre] è venuta un’ira
insensata contro di me; diceva sempre che
ero io la colpa di tutto; se non avessi
chiacchierato, non si sarebbe giunti alla
separazione; […] quando mi vedeva da
lontano, la faccia gli si contorceva dall’ira e
si avventava contro di me con la mano
alzata. [...] La faccia che vedo sempre adesso
è la faccia sua quando era furibondo.»
(Freud, Casi clinici 2. Miss Lucy R., Katharina…)
«Dora – come ogni isterica – non si lascia accalappiare dalle
interpretazioni finali, comprese quelle, acutissime, di Freud e di
Lacan. Ma, come nei suoi sogni e sulle rive del Garda, fugge via…
Essa fugge via anche dal sapere psicoanalitico che pur l’ha non
posseduta ma direi abbracciata, e immortalata. L’isterica si sfila via
dalla stretta psicoanalitica […]. Forse la
“verità fondamentale” dell’isteria è proprio
questa: il suo oscillare tra varie verità
fondamentali senza decidersi. […] Come ogni
isterica, Dora anela alla libertà, per cui cento
ne pensa, e nessuna ne fa.
[…] Il nevrotico è fondamentalmente qualcuno
che anela alla libertas, al privilegio. Ma il
guaio è che da una parte il nevrotico, come il
bambino, non vuole servire nessuno, dall’altra
però vuole essere come tutti gli altri – uno che serva a
qualche cosa, vuole anch’egli svolgere il suo
ministerium. È questo il double bind, l’impossibile.
[…] L’analista, rinunciando ad adattare il paziente, lo
adatta de facto. Lo adatta a che? A servire, come tutti.
Servire a qualche cosa, agli altri. Questa è la sola
grazia che ci sia concessa in questa vita: poter essere grati agli altri
del fatto che ci hanno consentito di servire a qualche cosa.
Così l’isterica attrae tanti – in particolare donne – perché mette in
scena paradigmaticamente il viaggio della donna oggi, in un’epoca
in cui essa è costretta – per il cambiamento storico del modo di
vivere – ad abbandonare la confortevole e chiusa Casa del Padre, e
a marciare verso una casa sconosciuta, che sarà comunque un
risveglio dal sogno.»(Benvenuto, Leggere Freud. Dall’isteria alla fine dell’analisi)
La prima topica e le vie d’accesso all’inconscio (pp. 354-357)
❖ La prima topica
❖ La psicoanalisi e la ricerca di vie d’accesso all’inconscio
❖ L’interpretazione dei sogni
❖ Psicopatologia della vita quotidiana
❖ Il motto di spirito
❖ Psicoanalisi e interpretazione letteraria
❖ Critiche all’approccio psicoanalitico
«La rappresentazione più rozza di questi sistemi – e cioè la
rappresentazione spaziale – è per noi la più comoda. Paragoniamo
quindi il sistema dell’inconscio a una grande anticamera, in cui gli
impulsi psichici giostrano come singole entità. Comunica con
questa anticamera una seconda stanza più stretta, una specie di
salotto, in cui risiede anche la coscienza. Ma sulla soglia tra i due
vani svolge le proprie mansioni un guardiano, che esamina,
censura i singoli impulsi psichici e non li ammette nel salotto se
non gli vanno a genio. Comprenderete subito che non fa molta
differenza se il guardiano respinge un impulso non appena esso
compare sulla soglia, o se lo caccia via dopo che è entrato nel
salotto. È solo questione del grado della sua vigilanza e della sua
tempestività nel riconoscimento. L’attenerci a questa immagine ci
permette ora un ulteriore ampliamento della nostra nomenclatura.
Gli impulsi nell’anticamera dell’inconscio sono sottratti allo
sguardo della coscienza, che infatti si trova nell’altra stanza:
inizialmente essi sono destinati a restare inconsci.
Se si sono già spinti fino alla soglia e sono stati rimandati
indietro dal guardiano, ciò significa che sono inammissibili
alla coscienza. In tal caso li chiamiamo rimossi. Ma anche gli
impulsi che il guardiano ha ammesso oltre la soglia non sono
per questo diventati necessariamente coscienti; lo possono
diventare solo se riescono ad attirare su di sé lo sguardo
della coscienza. A buon diritto chiamiamo perciò questo
secondo vano il sistema del preconscio. In questo sistema il
diventare cosciente mantiene soltanto il senso descrittivo
[…]. Incorrere nella rimozione significa invece, per ogni
singolo impulso, che il guardiano non gli consente di
penetrare dal sistema dell’inconscio in quello del preconscio.
È lo stesso guardiano con cui facciamo conoscenza sotto
forma di resistenza quando cerchiamo di eliminare la
rimozione mediante il trattamento analitico.»
(Freud, Introduzione alla psicoanalisi)
CONSCIO
PRECONSCIO
INCONSCIO
«Ho dovuto rendermi conto che si tratta, anche qui, di uno di quei casi, non rari, in cui un’antichissima credenza popolare, tenacemente conservatasi, sembra essersi avvicinata alla verità delle cose più del giudizio della scienza che vige attualmente. Debbo affermare che il sogno ha effettivamente un significato e un procedimento scientifico nell’interpretazione del sogno è possibile».
«Nel corso di questi studi psicoanalitici mi sono imbattuto nell’interpretazione del sogno. I pazienti che io avevo impegnato a raccontarmi tutte le idee e i pensieri che si imponevano loro di fronte a un determinato argomento, mi raccontavano i loro sogni, dimostrando così che un sogno è inseribile nella concatenazione psichica che, partendo da un’idea patologica, va inseguita a ritroso nella memoria. Non ci volle dunque che un passo per trattare il sogno come un sintomo e per applicare al sogno il metodo d’interpretazione già elaborato per il sintomo». (IS)
LAVORO ONIRICO
CONTENUTO MANIFESTO DEL SOGNO
LIBERE ASSOCIAZIONI
CONTENUTO LATENTE
DEL SOGNO
• condensazione
• spostamento
«A questo punto la prima e più importante obiezione è che i sogni degli adulti hanno
di solito un contenuto incomprensibile, che non consente affatto di riconoscervi un
appagamento di desiderio. La risposta è questa: questi sogni hanno subito una
deformazione; il processo psichico che sta alla loro base avrebbe dovuto trovare in
origine tutt’altra espressione verbale. Dovete distinguere il contenuto onirico
manifesto, che ricordate vagamente al mattino e rivestite con fatica di parole,
apparentemente in modo arbitrario, dai pensieri onirici latenti, che dovete
supporre presenti nell’inconscio. Questa deformazione onirica è lo stesso processo
che avete imparato a conoscere nell’indagine sulla formazione dei sintomi isterici;
essa indica che anche nella formazione del sogno interviene lo stesso antagonismo
di forze psichiche che interviene nella formazione del sintomo. Il contenuto
onirico manifesto è il sostituto deformato dei pensieri onirici inconsci, e questa
deformazione è opera di forze di difesa dell’Io, di resistenze che nella vita vigile
impediscono del tutto ai desideri rimossi dell’inconscio l’accesso alla coscienza:
queste resistenze si riducono nello stato di sonno, mantenendo tuttavia una forza tale
da imporre ai pensieri inconsci un travestimento che li maschera. Per questo
il sognatore riconosce il significato dei suoi sogni altrettanto poco quanto l’isterico
la connessione e il significato dei suoi sintomi.»(Cinque conferenze sulla psicoanalisi)
Il sogno dell’esame
Il sogno di Irma
Johann Heinrich Füssli, Incubo
«Alla domanda se ogni sogno possa
essere interpretato, bisogna
rispondere di no […]. Anche nei
sogni meglio interpretati è spesso
necessario lasciare un punto oscuro,
perché nel corso dell’interpretazione
si nota che in quel punto ha inizio
un groviglio di pensieri onirici che
non si lascia sbrogliare, ma che non
ha nemmeno fornito altri contributi
al contenuto del sogno. Questo è
allora l’ombelico del sogno, il
punto in cui esso affonda
nell’ignoto [Unerkannte].»
«risultano, se si applica loro il metodo dell’indagine psicoanalitica, come ben motivati e determinati da motivi ignoti alla coscienza.»
«risultano, se si applica loro il metodo dell’indagine psicoanalitica, come ben motivati e determinati da motivi ignoti alla coscienza.»
Ricavo un certo numero di esempi da Wilhelm Stekel. "Il seguente esempio svela una porzione sgradevole dei miei pensieri inconsci. Premetto che nella mia qualità
di medico ho sempre di mira l'interesse dei miei malati, e mai il mio guadagno, cosa del resto naturale. Mi trovo presso un'ammalata alla quale presto assistenza medica nella sua convalescenza dopo grave malattia.
Abbiamo passato giorni e notti difficili. Sono felice di trovarla migliorata, le dipingo in rosei colori le gioie di un soggiorno ad Abbazia e concludo: 'Se Ella, come spero, non lascerà presto il letto...' Evidentemente questo
sbaglio nacque da un motivo egoistico dell'inconscio, dal desiderio di conservare ancora più a lungo questa ricca cliente, desiderio che è assolutamente estraneo alla mia coscienza vigile e che respingerei sdegnato.”
Un dottore, allontanandosi dal capezzale di una signora disse al marito, con una stretta di mano:
«il suo aspetto non mi piace». «A me il suo aspetto non piace da
molto tempo», si affrettò a convenire il marito.
Come è vero Dio, signor dottore, stavo seduto accanto a Salomon
Rothschild e lui mi ha trattato proprio come un suo pari, con
modi del tutto familionari! (Heine)
A questo proposito esiste un altro motto di spirito del signor N.: egli sentì un signore, anche lui ebreo, fare un’osservazione antipatica sul carattere degli ebrei. «Sinor Hofrat», disse,
«conoscevo bene il vostro antesemitismo; ma mi giunge nuovo il vostro antisemitismo».
In questo caso è alterata una sola lettera, e, questa modifica si noterebbe ben poco se si pronunciasse la frase senza marcare
l’intenzione polemica. Questo esempio ci ricorda altre modifiche con cui il signor N. realizza i suoi motti di spirito, ma la differenza
è che in questo caso non c’è condensazione; ogni cosa che va detta è detta nel motto di spirito: «So che prima anche voi
eravate un Ebreo; quindi sono sorpreso che voi parliate male degli Ebrei.»
«Come vai?» chiede il cieco allo zoppo. «Come vedi» risponde
lo zoppo al cieco.
«Il sintomo diventa infatti la modalità attraverso cui l’inconscio comunica il materiale esperienziale che non
avrebbe consentito la vita, se mantenuto a livello cosciente, e che, tuttavia, stipato nell’inconscio, non può
rimanere muto, ma manda segnali che condizionano il comportamento del paziente in maniera patologica. Solo
risalendo alla radice che ha innescato il meccanismo di rimozione è possibile che il paziente si liberi del sintomo
che, appunto, è solo un linguaggio dell’inconscio. La malattia diventa, in un certo senso, una richiesta alla
coscienza perché rammenti e riordini il conflitto antico.» (Andreoli, Freud)
«Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta
con parole poco lusinghiere. Chi di psico-analisi s’intende,
sa dove piazzare l’antipatia che il paziente mi dedica.
Di psico-analisi non parlerò perché qui entro se ne parla
già a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio
paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di
psicoanalisi arricceranno il naso a tanta novità. Ma egli
era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo
passato si rinverdisse, che l’autobiografia fosse un buon
preludio alla psico-analisi. Oggi ancora la mia idea mi
pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che
sarebbero stati maggiori se il malato sul piú bello non si
fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia
lunga paziente analisi di queste memorie.
Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia
però ch’io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii
che ricaverò da questa pubblicazione a patto egli riprenda
la cura. Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse
quante sorprese potrebbero risultargli dal commento
delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!…
Dottor S. .
«Io vi dico: bisogna
avere ancora un caos
dentro di sé per
partorire una stella
danzante.
Io vi dico: voi avete
ancora del caos
dentro di voi.
Guai! Si avvicinano i
tempi in cui l’uomo
non partorirà più
stella alcuna.»
(Z)
«[…] Foucault, per la prima volta e non di passaggio, fa i conti con Freud e in particolare con il Freud dell'Interpretazione dei sogni. Freud avrebbe il torto, agli occhi di Foucault, di avere infine preso partito, nonostante tutto (cioè nonostante il fatto che l'Interpretazione dei sogni inauguri un' epoca), per l’idea ottocentesca che il sogno sia una "rapsodia di immagini" da interpretare e quindi da tradurre in una forma di pensiero. Per Foucault, invece, il sogno è un’esperienza fondamentale dell'esistenza umana. Fin dall’antichità - afferma Foucault - l'uomo sa che nel sogno incontra ciò che egli è e ciò che sarà: incontra la propria libertà, il proprio destino, la propria destinazione mortale. Perciò la morte è così importante nel sogno, ed è forse per questo - suggerisce Foucault -che Freud si è arrestato di fronte alla questione dei sogni di morte. Dunque i sogni - come d' altronde si è sempre creduto - "dicono la verità". Ma come la dicono? Attraverso un vestito di immagini, figure, metafore, allusioni, al modo dei poeti e dei letterati? Certamente, ma se ci fermassimo qui non avremmo ancora compreso perché il sogno è un'esperienza fondamentale. Per farlo, dovremmo scalfire lo schema mentale secondo il quale l'immagine è una copia indebolita della realtà. Freud (e in seguito Lacan, che nel testo di Foucault è significativamente citato) dà grande rilievo all' immagine ma poi finisce col trascurarne il movimento cercando dietro le immagini le parole, riducendo il linguaggio dell'immaginazione a un fatto di parole. Le immagini sarebbero parole velate, dunque da svelare.»
(Rovatti, “I sogni muoiono all’alba”, Repubblica, 22 gennaio 1994)
«È nello spazio della pura visione che la follia dispiega i suoi poteri. Fantasmi e minacce, pure apparenze del sogno e destino segreto del
mondo: la follia detiene in questo caso una forza primitiva di rivelazione: rivelazione che l’onirico è reale, che la sottile superficie dell'illusione si
apre su una profondità innegabile, e che il momentaneo brillio dell’immagine lascia il mondo in preda a simboli inquieti che si eternano
nelle sue notti; e rivelazione inversa, ma altrettanto dolorosa, che tutta la realtà del mondo sarà assorbita un giorno nell’Immagine fantastica, nel
momento intermedio dell’essere e del nulla che è il delirio della pura distruzione: il mondo già non è più, ma il silenzio e la notte non si sono ancora chiusi del tutto su di lui; esso vacilla in un ultimo scoppio, in un
estremo disordine che precede immediatamente l’ordine monotono del compimento. È in questa immagine subito abolita che giunge a perdersi
la verità del mondo. […] Dall’altro lato, con Brandt, con Erasmo, con tutta la tradizione
umanistica, la follia è accolta nell’universo del discorso. Essa viene raffinata, sottilizzata, ma anche disarmata.»
(M. Foucault, Storia della follia)Bosch, La nave dei folli
«Anche dall’incubo peggiore […] saremmo dunque delusi di essere risvegliati, perché ci ha comunque dato da pensare l’insostituibile, una verità o un senso che la coscienza rischia
di dissimularci al risveglio o di addormentare di nuovo. Come se il sogno fosse più vigile della veglia, l’inconscio più pensante della coscienza, la letteratura e le arti più
filosofiche, più critiche, in ogni caso, della filosofia.Mi rivolgo dunque a voi nella notte come se all’inizio fosse il sogno. Cos’è il sogno? E il
pensiero del sogno? E la lingua del sogno? Potrebbe esserci un’etica o una politica del sogno che non ceda né all’immaginario né all’utopia, che non sia dunque rinunciataria,
irresponsabile ed evasiva?[…] Bandire il sogno senza tradirlo […], è quel che occorre fare, secondo Benjamin […]:
risvegliarsi, coltivare la veglia e la vigilanza, pur restando attenti al senso, fedeli agli insegnamenti e alla lucidità di un sogno, avendo cura di quel che il sogno dà da pensare,
soprattutto quando ci dà da pensare la possibilità dell’impossibile. […] Bisognerebbe, pur risvegliandosi, continuare a vegliare sul sogno. Da questa possibilità
dell’impossibile, e da quel che occorrerebbe fare per tentare di pensarla altrimenti, di pensare altrimenti il pensiero, in una incondizionatezza senza sovranità indivisibile, al di
fuori della modalità che ha dominato la nostra tradizione metafisica, tento a modo mio di trarre alcune conseguenze etiche, giuridiche e politiche, si tratti del tempo, del dono,
dell’ospitalità, del perdono, della decisione – o della democrazia a venire.»(Derrida, Il sogno di Benjamin)
La teoria della sessualità e il complesso edipico (pp. 357-360; 362-364)
❖ Risemantizzazione della sessualità
❖ Sessualità infantile
❖ Le fasi dello sviluppo sessuale
❖ Il complesso edipico (il caso di Hans)
❖ Il complesso di Elettra
❖ Critiche
❖ L’enigma del femminile in Freud: Analisi terminabile e interminabile
«In primo luogo la
sessualità è sciolta dai suoi
legami troppo stretti con i
genitali, è definita come una
funzione somatica più vasta
tendente al piacere la quale,
solo secondariamente, entra
al servizio della
procreazione. In secondo
luogo, abbiamo annoverato
tra gli impulsi sessuali
anche tutti gli impulsi
solamente affettuosi o
amichevoli, per i quali
adoperiamo, nel linguaggio
corrente, la parola
polivalente amore.»
(Freud, Autobiografia)
«Le nevrosi sono il negativo delle perversioni»
Jung
✓Libido✓Eziologia della nevrosi
«Si vede facilmente che il maschietto vuole avere la madre
soltanto per sé, avverte come incomoda la presenza del
padre, si adira se questi si permette segni di tenerezza verso
la madre e manifesta la sua contentezza quando il padre
parte per un viaggio o è assente. Spesso dà diretta
espressione verbale ai suoi sentimenti, promette alla madre
che la sposerà. Si penserà che ciò è poca cosa in confronto
alle imprese di Edipo, ma di fatto è abbastanza, in germe è
la stessa cosa […]
Quanto alla femmina, esso [il complesso edipico] si
configura in modo del tutto analogo, con le necessarie
varianti. L’attaccamento affettuoso al padre, la necessità di
eliminare la madre come superflua e di occuparne il posto, e
una civetteria che mette già in opera i mezzi della futura
femminilità, contribuiscono a dare della bimbinetta un
quadro incantevole, che ci fa dimenticare il lato serio e le
possibili gravi conseguenze che giacciono dietro questa
situazione infantile. Non trascuriamo di aggiungere che
spesso gli stessi genitori esercitano un’influenza decisiva sul
risveglio dell’atteggiamento edipico del bambino […].»(Freud, Introduzione alla psicoanalisi)
COMPLESSO DI EDIPO
De Chirico, Edipo e la Sfinge
«La visita fu breve. Il padre cominciò col dire che,
nonostante tutte le spiegazioni, la paura dei cavalli non
era diminuita. Dovemmo anche convenire che tra i
cavalli, di cui aveva paura, e i moti palesi di tenerezza
verso la madre, non c’erano molte relazioni. Ciò che
sapevamo non era certo in grado di spiegare i
particolari che appresi soltanto allora: che lo infastidiva
soprattutto ciò che i cavalli hanno davanti agli occhi e il
nero intorno alla loro bocca. Ma mentre guardavo i due
seduti davanti a me e ascoltavo la descrizione dei
cavalli che incutevano paura, mi venne
improvvisamente in mente un altro pezzo della
soluzione, tale, come capii, da sfuggire proprio al padre.
Chiesi a Hans in tono scherzoso se i suoi cavalli
portassero gli occhiali, e il piccino disse di no; poi se il
suo papà portasse gli occhiali, e anche questa volta egli
negò, nonostante fosse evidente il contrario; gli chiesi
ancora se con il nero intorno alla “bocca” non intendesse
dire i baffi, e infine gli rivelai che egli aveva paura del
suo papà, e proprio perché lui, Hans, voleva tanto bene
alla mamma. Credeva che perciò il babbo fosse
arrabbiato con lui, ma non era vero, il babbo gli voleva
bene lo stesso e lui gli poteva confessare tutto senza
paura.
[…] Sappiamo che questa parte dell’angoscia di Hans ha due componenti: paura
del padre e paura per il padre. La prima proviene dall’ostilità verso il padre, la
seconda dal conflitto tra tenerezza, che qui è esagerata per reazione, e ostilità.
[…] Hans è veramente un piccolo Edipo, che vorrebbe togliere di mezzo,
sopprimere il padre per essere solo con la bella madre, per dormire con lei. Questo
desiderio era nato durante le vacanze estive, quando l’alternarsi di presenza e
assenza del padre aveva richiamato l’attenzione del bambino sulla circostanza da
cui dipendeva l’ambita intimità con la madre. Tale desiderio si contentava allora di
tradursi nella speranza che il padre sarebbe “partito”, speranza cui
successivamente la paura di essere morso da un cavallo bianco poté direttamente
collegarsi […]. Più tardi, probabilmente solo a Vienna, dove non c’era più da far
conto sulla partenza del padre, il desiderio si era ampliato fino ad assumere il
seguente contenuto: il padre avrebbe dovuto partire per sempre, essere “morto”. La
paura provata di fronte al padre, che derivava da questo desiderio di morte rivolto
contro di lui ed era quindi normalmente spiegabile, costituì il maggior ostacolo
dell’analisi finché non venne chiarita durante la consultazione nel mio studio.
[…] In verità tuttavia il nostro Hans non è uno scellerato, e neppure un bambino
in cui le tendenze crudeli e violente della natura umana si dispieghino ancora
irrefrenate in questo stadio della vita.
[…] Hans inoltre ama profondamente suo padre, anche se ne desidera la morte […]
Non dobbiamo scandalizzarci di una simile contraddizione; la vita emotiva
dell’uomo si compone appunto di tali antinomie; anzi, se così non fosse, non vi
sarebbe forse né rimozione né nevrosi.»
(Freud, Casi clinici. Il piccolo Hans)
«Quando, nel fiore degli anni, Leonardo si
imbattè nuovamente nel sorriso di
beatitudine ed estasi, che una volta era
stato sulle labbra della madre mentre lo
vezzeggiava, si trovava da molto tempo
sotto il dominio di una inibizione che gli
impediva di desiderare mai più simili
carezze da labbra di donna. Ma era
diventato un pittore e quindi lottò per
riprodurre il sorriso con il suo pennello,
dandolo a tutti i suoi dipinti (sia che li
eseguisse egli stesso, sia che li facesse fare
ai suoi allievi sotto la sua direzione) da
Leda a Giovanni Battista e a Bacco.»
(Freud, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci)
Leighton, Elettra sulla tomba di Agamennone, 1869
«[…] quest’idea dell’inferiorità della
bambina e della donna rispetto
all’uomo risponde a una cultura che è
stata dominante fino a trent’anni fa e
che di certo non veniva messa in
discussione nella Vienna dei primi
del Novecento.»(Andreoli, Freud)
COMPLESSO DI ELETTRA
«[…] l’interpretazione offerta da Freud
attenga non già alle dinamiche umane in
generale, quanto, piuttosto, a una
particolare società, quella viennese, in un
dato momento storico.
Il rapporto diadico madre-figlio era tipico di
quella nazione e di quella classe sociale a
cui Freud si rivolgeva: la borghesia. Freud
si occupò, infatti, di giovani rampolli di
agiate famiglie, come Dora o il piccolo Hans,
in parte di cultura ebraica – a cui lui stesso
apparteneva –, una cultura dove la figura
del padre è centralissima […]. Quindi,
sostenere che la vita infantile si leghi al
complesso di Edipo e che tutto sia
funzionale ad esso non è che lo specchio di
un’epoca, non una verità assoluta.»
Malinowski isole Trobriand
RIFIUTO DELLA FEMMINILITÀ
NEVROSIANALISI
(terminabile o interminabile?)
«La fine dell’analisi è insomma sempre – sembra dire Freud –
un’interruzione; non perché essa non sia giunta alla mitica «normalità
psichica completa», ma perché il fine ultimo non è stato raggiunto! E
questo fine non è stato raggiunto perché era un fine impossibile:
chiedere la Luna. È proprio perché non si raggiunge il fine che
l’analisi finisce; ma in questo fallimento brilla proprio il suo
possibile successo. Perché se ogni essere umano tende a qualcosa che
non potrà avere mai, capire finalmente che non potrà mai averlo
potrebbe essere proprio ciò che alla fine avrà. Ci si rassegna al
possibile, o si chiederà apertamente l’impossibile, ma senza il
camuffamento nevrotico che spaccia l’impossibile per possibile.
Per Freud la fine dell’analisi sembra quindi essere un’interruzione di un
percorso che proprio interrompendosi raggiunge il suo bersaglio.»
(Benvenuto, Leggere Freud)
«Come se questo esser femminili
che ci costa tanto, oggi, fosse un
rassegnarsi ad amare, dato che
amare è sempre una forma di
accoglienza dell’altro, ma anche di
soggezione all’altro. Optando per
un amore attivo, maschile,
conquistatore, l’umanità si
scontrerebbe con una «roccia
storica» pagando il duro prezzo
dell’Unbehagen, del malessere,
dell’insoddisfazione, della nevrosi.»
(Benvenuto, Leggere Freud)
«Edipo è sempre aperto in un
campo sociale aperto. Edipo
esposto ai quattro venti, ai
quattro angoli del campo
sociale (neanche 3+1, ma 4+n).
Triangolo mal chiuso, triangolo
poroso o sgocciolante, triangolo
scoppiato donde sfuggono i
flussi del desiderio verso altri
luoghi.» (Deleuze e Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e
schizofrenia)
«Mi ripeteva in seduta, per l’ennesima volta, fino a che punto sua
madre era invadente, inopportuna, esagerata nella necessità di
comunicare con lei per telefono. E come sempre, suo padre non
mostrava nessun interesse per lei, per la sua vita professionale, che le
riusciva così bene, e per la sua vita sentimentale, sempre complicata
ecc. “Quante volte sua madre la chiama in settimana?” le chiedo io in
seduta. “Mi chiama ogni due, tre settimane,” mi risponde la paziente.
“Non mi sembra molto,” le faccio notare. E aggiungo: “Forse non è
tanto l’invasione da parte di sua madre che l’opprime, ma la posizione
di rifiuto che lei assume nei suoi confronti”.
Ho fatto un’interpretazione, non c’è dubbio, un’interpretazione
classica, oserei dire “freudiana”. La giovane donna in un primo tempo
rifiuta violentemente la mia ipotesi, accusandomi di essere come suo
padre, che non la capisce. […] Ma nelle sedute successive la giovane
donna comincia ad associare diversamente, senza andare per forza
nella mia direzione, ma abbandonando i sentieri battuti di quello che
lei conosceva già sulla sua storia famigliare (mia madre m’invade e
mio padre non mi ama). Fare oscillare il senso concentrato su di uno
scenario fisso permette l’“apertura” dell’Edipo: l’importante non era
mostrare alla paziente che non era vero che sua madre l’assillava, ma
cercare di staccarla dalle significazioni conosciute, incollate al
godimento del sintomo. E in più, io stessa entravo in scena come
quarto elemento, separato dalle figure parentali: non era più una
partita a tre!»
«La psicoanalisi si vanta di restituire agli
uomini la loro capacità di godere, turbata
dalle nevrosi. Come se la semplice
espressione «capacità di godere» non
bastasse a ridurre al minimo la
medesima, ammesso che esista. E come se
una felicità che è il prodotto di un calcolo
non fosse il contrario della felicità,
un’ulteriore irruzione di condotta
istituzionalmente pianificata nell’ambito sempre più contratto dell’esperienza. »
Dall’Edipo all’origine della religione, della morale e della civiltà(pp. 360-362)
❖ Totem e tabù
❖ il complesso edipico,
❖ la nascita della civiltà, della morale e della religione
❖ Critiche
❖ L’avvenire di un’illusione
«Sappiamo che il bambino dell’uomo non può compiere il suo percorso verso
la civiltà senza attraversare una fase ora più ora meno evidente di nevrosi.
Il che si spiega con il fatto che egli deve domare con atti di rimozione,
dietro ai quali di norma si nasconde un motivo di angoscia, le
numerosissime pretese pulsionali, inutilizzabili in futuro, che non è
in grado di reprimere con il lavoro razionale della mente. Gran parte
di queste nevrosi infantili […] vengono spontaneamente superate durante la
crescita. Le rimanenti potranno essere eliminate, anche in una fase
successiva, con il trattamento psicoanalitico. In modo del tutto simile
potremmo supporre che nel corso della sua secolare evoluzione
l’umanità, nel suo insieme, si sia trovata in condizioni analoghe alle
nevrosi; e per gli stessi motivi, perché nelle fasi di ignoranza e di
debolezza intellettuale ha messo in atto le rinunce pulsionali
indispensabili alla convivenza umana solo attraverso forze
puramente emotive. […] In questa prospettiva, la religione rappresenta la
nevrosi ossessiva universale dell’umanità, e al pari di quella del
bambino scaturisce dal complesso edipico, dal rapporto con il padre.
Se si accetta questo punto di vista, si può prevedere che il distacco dalla
religione debba avvenire con la fatale inesorabilità di un processo di
crescita e che noi ora ci troviamo in pieno in questa fase evolutiva.»
«Si viene cosí a creare un patrimonio di rappresentazioni nato dal bisogno di rendere
sopportabile l’inermità umana […]. Appare evidente che questo patrimonio protegge
l’individuo in due direzioni: dalle minacce della natura e del destino, e dai danni
provocati all’interno della società stessa. In sintesi si dice: la vita in questo mondo è al
servizio di uno scopo superiore che non è facile indagare, ma che in ogni caso mira a un
perfezionamento dell’essere umano. […] Su ciascuno di noi veglia una provvidenza
benevola e solo apparentemente severa, la quale impedisce che possiamo diventare il
gingillo di forze della natura strapotenti e implacabili; la stessa morte non è un
annientamento, né un ritorno all’inorganica assenza di vita bensì l’inizio di un nuovo tipo di
esistenza sul cammino verso un superiore sviluppo. E, considerato dall’altro punto di vista,
le leggi morali istituite dalle nostra civiltà dominano anche gli avvenimenti mondiali,
ma vengono fatte osservare con potere e coerenza incomparabilmente maggiori
dall’autorità di un giudice supremo. Tutto il bene alla fine viene ricompensato, tutta la
malvagità punita, se non in questa forma di vita certamente nelle successive esistenze che
iniziano dopo la morte.
[…] E la superiore saggezza che governa questo corso degli eventi, l’infinità bontà che in
essa si esprime, la giustizia che per suo tramite si impone, sono le qualità degli esseri divini
che hanno creato anche noi e il mondo in quanto tale. O più precisamente di quell’unico
essere divino nel quale nella nostra civiltà si sono condensati tutti gli dèi del passato. Il
popolo che per primo fu capace di realizzare siffatta concentrazione delle qualità divine era
non poco orgoglioso del progresso compiuto. Aveva fatto emergere quell’essenza paterna
che da sempre si celava dietro ogni figura divina; in fondo si trattava di un ritorno ai
prodromi dell’idea di dio. Adesso che dio era uno solo, i rapporti con lui potevano ritrovare
l’intimità e l’intensità che caratterizzano il rapporto del bambino con il padre.»
Al di là del principio di piacere(pp. 364-365)
❖ Pulsioni e principio di costanza
❖ Al di là del principio di piacere
«La pulsione ci appare
come un concetto limite
tra lo psichico e il
somatico, come il
rappresentante psichico
degli stimoli che
traggono origine
dall’interno del corpo e
pervengono alla psiche,
come una misura delle
operazioni che vengono
richieste alla sfera
psichica in forza della
sua connessione con
quella corporea»(Freud, Pulsioni e loro destini)
PULSIONE
Principio di realtà
Principio di costanza o principio di piacere
Inconscio e organizzazione dell’economia
pulsionale
Pulsione (Trieb)
Drang (spinta)
fonte: somatica
meta: soppressione
Diversamente dall’istinto può
1 – mutare oggetto2 – differire la soddisfazione
PRINCIPIO DI REALTÀ PRINCIPIO DI
PIACERE
Dati empirici che smentirebbero la sua teoria
Sogni traumatici
Giochi infantili
Transfert
«nevrosi di destino»
Nevrosi di guerra
Spettacolo tragico
Soddisfazioni
sostitutive?
EROSTHANATOS
«Il bambino aveva un rocchetto di legno con un pezzo di spago arrotolato; ebbene, mai gli venne in mente di trascinarselo dietro per il pavimento, di usarlo, per esempio, come un carrettino. Quel che invece gli piaceva fare era tenere in mano lo spago e scagliare con consumata precisione il rocchetto dietro la spalliera a tendina del suo letto, di modo che l’aggeggio sparisse; contemporaneamente egli emetteva il suo caratteristico “o-o-o-o”. Quindi ritirava il rocchetto dal nascondiglio e salutava la sua riapparizione con un festoso “da!” [“eccolo!”]. Questo, dunque, era l’intero gioco: scomparsa e ritorno.»
(Freud, Al di là del principio di piacere)
✓Storia della civiltà
✓Psiche individuale
EROSTHANATOS
«Un comportamento «primario»
è la coazione a ripetere,
ritenuta da Freud un elemento
fondamentale per valutare
l’inconscio. Con la coazione a
ripetere il soggetto tenta di
bloccare, e addirittura negare, il
flusso dell’esistenza, come se la
reiterazione dell’azione potesse
dominare lo scorrere del tempo.
Si tratta di una modalità
indiretta, non consapevole, fatta
di scappatoie simboliche per
esprimere la voglia di morire.
Freud la definisce un sintomo di
morte.»
(Andreoli, Freud)
La seconda topica(pp. 365-370)
❖ Dalle stanze alle istanze
❖ Il difficile equilibrio dell’Io
52. Contenuto della coscienza. Il contenuto della nostra coscienza è tutto ciò che negli anni dell’infanzia ci fu regolarmente richiesto senza motivo da parte di persone che veneravamo o temevamo. Dalla coscienza viene dunque suscitato quel sentimento della necessità («questo devo farlo, questo no»), che non domanda: perché devo? In tutti i casi in cui una cosa viene fatta con «giacché» e «perché?», l’uomo agisce senza coscienza; ma non per questo contro di essa. La credenza nell’autorità è la fonte della coscienza: questa non è dunque la voce di Dio nel petto dell’uomo, bensì la voce di alcuni uomini nell’uomo. (UTU II, 52)
«L’Io può quindi essere paragonato, nel suo rapporto con l’Es, al cavaliere che deve domare la potente forza del cavallo, con la differenza che il cavaliere cerca di farlo con mezzi propri, mentre l’Io lo fa con mezzi presi a prestito. Si può proseguire nell’analogia. Come il cavaliere, se non vuole essere disarcionato dal suo cavallo, è costretto spesso a ubbidirgli e a portarlo dove vuole, così anche l’Io ha l’abitudine di trasformare in azione la volontà dell’Escome se si trattasse della volontà propria.» (L’Io e l’Es)
- p. n. contr.
- Spazio e tempo
- Bene e male
- distinzione desiderio/
realtà
«Per quanto riguarda la superstizione dei logici, non mi stancherò mai
di tornare sempre a sottolineare un piccolo, esiguo dato di fatto, che
malvolentieri questi superstiziosi sono disposti ad ammettere, vale a
dire, che un pensiero viene quando è «lui» a volerlo, e non quando «io»
lo voglio; cosicché è una falsificazione dello stato dei fatti dire: il
soggetto «io» è la condizione del predicato «penso». Esso pensa: ma
che questo «esso» sia proprio quel famoso vecchio «io» è, per dirlo in
maniera blanda, soltanto una supposizione, un'affermazione,
soprattutto non è affatto una «certezza immediata». E infine, già con
questo «esso pensa» si è fatto anche troppo: già questo «esso» contiene
un'interpretazione del processo e non rientra nel processo stesso. Si
conclude a questo punto, secondo la consuetudine grammaticale:
«Pensare è un'attività, a ogni attività compete qualcuno che sia
attivo, di conseguenza».
[…] forse un bel giorno ci si abituerà ancora, anche da
parte dei logici, a cavarsela senza quel piccolo «esso» (nel
quale si è volatilizzato l'onesto, vecchio io).» (Nietzsche, Al di là bene e del male, 17)
«Spinto così dall’Es, stretto dal Super-io, respinto dalla realtà, l’Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l’armonia tra le forze e gli influssi che agiscono in lui e su di lui; e noi comprendiamo perché tanto spesso non ci è possibile reprimere l’esclamazione: “La vita non è facile!”.»
(Freud, Introduzione alla psicoanalisi)
«Il povero Io [...] è costretto a servire tre severissimi padroni, deve sforzarsi di mettere d’accordo le loro esigenze e le loro pretese. Queste sono sempre fra loro discordanti e appaiono spesso del tutto incompatibili; nessuna meraviglia se l’Io fallisce così frequentemente nel suo compito. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il Super-io, l’Es.»
(Freud, Introduzione alla psicoanalisi)
«se la rimozione scatena la
malattia, lo scopo della cura
è quello di permettere al
soggetto di trovare un
accomodamento alla
pulsione, invece di
respingerla o di reprimerla
rinforzando le difese dell’Io
(attraverso la rimozione).»
(Lippi, Freud)
«L’intenzione degli sforzi terapeutici della psicoanalisi è in definitiva di rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. È un’opera della civiltà.»
(Freud, Introduzione alla psicoanalisi)
«La teoria psicoanalitica di Freud è dunque profondamente schopenhaueriana. Nella separazione di inconscio e coscienza e nella loro descrizione risuona potente il mondo come volontà e rappresentazione, con una differenza, però, che mentre Schopenhauer invita con la noluntas, con la non-volontà, a rinunciare al gioco della volontà e a togliere la maschera alla sua rappresentazione, Freud sta, come del resto Nietzsche, dalla parte della rappresentazione che però Freud legge, a differenza di Nietzsche, non come liberazione dellepulsioni, ma come salvaguardia dalle pulsioni. Volendoci esprimere in termini nietzschiani potremmo dire che l’intenzione di Freud non è la liberazione del dionisiaco, ma la liberazione dal dionisiaco, quindi ‘ascesi’ e ‘rinuncia’ schopenhaueriana. Sollevata la maschera della cura delle pulsioni, ciò che rimane è il trionfo della morale e le dimissioni dell’estetica: “In ogni tempo,” scrive infatti Freud, “si è assegnato alla morale il massimo valore come se tutti se ne aspettassero importanti conseguenze.
Ed è vero che la morale, come è facile riconoscere, tocca il punto più vulnerabile di ogni civiltà. Perciò essa va intesa come un esperimento terapeutico, come uno sforzo per raggiungere, attraverso un imperativo del Super-io, ciò che finora non fu raggiunto attraverso nessun’altra opera di civiltà”. E ancora: “L’intenzione degli sforzi terapeutici della psicoanalisi è in definitiva di rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. È un’opera della civiltà”. Da Eraclito a Goethe, “la natura ama nascondersi”. Con Freud l’itinerario che si dischiude porta a scoprire il nascondimento segreto. L’ipotesi è illuministica, la categoria che la presiede è il progresso della civiltà sulla natura, la metafora che fa da sfondo è il colonialismo: “Dov’era l’Es, deve subentrare l’Io”. La morale che ne scaturisce non è quella degli asceti, ma quella dei conquistatori. L’inconscio non è eterna creatività di forme, “spettacolo per sempre nuovi spettatori”, ma landa da civilizzare, terra disponibile per le opere della ragione. Il pessimismo di Schopenhauer, da cui Freud era partito, si risolve nell’ottimismo della ragione che, scoperto il segreto della natura, non è più rappresentazione illusoria, ma struttura d’ordine che trasforma il caos in cosmo, la natura in cultura.
Con Freud nasce una morale del tutto nuova regolata non più dell’ascesi, ma dal lavoro, dall’opera di civiltà. Il suo dover-essere non ha in vista un altro mondo, ma la colonizzazione di questo mondo, il suo ordinamento. La ragione umana, che era rappresentazione finché la natura conservava il suo segreto, ora diventa la verità del ‘mondo’ che è stato strappato alla ‘natura’. Espansione del cosmo e riduzione del caos. Freud non ha scoperto l’inconscio, che semmai ha scoperto Schopenhauer, Freud ha scoperto le regole per aver ragione dell’inconscio; la sua ‘psicologia’ è una celebrazione della potenza della ragione. Ma in che cosa consiste la ragione di Freud? E soprattutto che cosa maschera? Volontà di vita, nient’altro che volontà di vita.»
(Galimberti, Idee: il catalogo è questo)Ricoeur
La riflessione sulla civiltà(pp. 370-373)
❖ Il disagio della civiltà
❖ Altre opere
❖ Critiche
«Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna […] pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo.»
(Platone, Repubblica)
«E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del
mutamento e proverebbe pietà per loro? –Certo. – Quanto agli onori ed elogi che
eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse più acuto nell’osservare gli
oggetti che passavano e più rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme,
indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e
preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e
patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? – Così penso anch’io, rispose; [e] accetterebbe di patire di
tutto piuttosto che vivere in quel modo.»
«Ho imparato ad andare:
da quel momento
mi lascio correre.
Ho imparato a volare:
da quel momento non voglio
più essere urtato per
smuovermi.
Adesso sono lieve,
adesso io volo,
adesso vedo al di sotto di
me, adesso è un dio a
danzare,
se io danzo.» (Z)
«Dove era l’Es, deve subentrare l’Io.
È un’opera della civiltà.» (Freud, Introduzione alla psicoanalisi)
«L’umanità ha sempre barattato
un po’ di felicità per un po’ di sicurezza.»
«[…] questo predominio della vita fantastica e dell’illusione scaturita dal desiderio non appagato è determinante per la psicologia delle nevrosi. Abbiamo scoperto che per i nevrotici ciò che conta non è la realtà comune, oggettiva, ma quella psichica. Un sintomo isterico poggia quindi su una fantasia, non sulla ripetizione di un’esperienza vissuta effettiva, un senso di colpa nevrotico ossessivo poggia sul fatto che vi è un proponimento malvagio mai tradotto in atto. Proprio come nel sogno e nell’ipnosi, nell’attività psichica della massa l’esame di realtà soccombe alla forza dei moti di desiderio investiti affettivamente.»
(Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io)
istinto gregario
legami libidici
«Come psicologo professionale, egli
accoglie acriticamente, staticamente, il
contrasto socialità-egoismo, in cui non
riconosce l’opera della società repressiva e
il segno dei fatali meccanismi che egli
stesso ha descritto. O piuttosto, egli
oscilla, senza rigore teorico, e
conformandosi al pregiudizio, tra la
negazione della rinuncia all’istinto come
repressione contraria alla realtà e
l’esaltazione di questa rinuncia come sublimazione promotrice di cultura.»
Voci critiche(pp. 376-379)
❖ Le fratture della psicoanalisi
❖ La psicoanalisi come «terza ferita narcisistica»
❖ Lo statuto epistemico della psicoanalisi
❖ La problematicità dell’efficacia terapeutica della psicoanalisi
❖ Psicoanalisi e sessualità
❖ Psicoanalisi e controllo
«Non so quante guarigioni si possano attribuire
alla psicoanalisi freudiana, non so se Dora sia
stata felice dopo l’analisi, ma certo, al di là dei
risultati terapeutici, Freud ha offerto un’idea
capace di sconvolgere la cultura e il modo di
pensare di un’epoca. Per questo va collocato tra
tutti quei grandi pensatori e teorici che hanno
fatto la storia dell’uomo, non necessariamente
curandolo. La scoperta dell’atomo e delle sue
particelle, per esempio, ha sovvertito le scienze e
ha aperto straordinarie prospettive per le
conoscenze umane, ma ha anche permesso che si
arrivasse a costruire la bomba atomica.
Se, dunque, non posso ritenere valida la teoria di
Freud dal punto di vista scientifico, psichiatrico e
terapeutico, sicuramente la considero, insieme al
suo geniale fondatore, una tappa che ha cambiato
la cultura e, con la cultura, ha cambiato la storia.»
«Se la psicoanalisi non può più
essere scienza, sia almeno arte. E,
anche se l’arte è meno rassicurante
della scienza, non le è preclusa la
via delle belle creazioni. E chi sa
mai se sotto la richiesta di salute
rivolta da ogni paziente al suo
analista, l’uno e l’altro condizionati
dalla maestà del linguaggio medico,
non ci sia in fondo la domanda più
modesta, ma forse più praticabile,
che è poi quella di una bella
creazione?»
«quel non so che di vacuo e
di meccanico che si osserva
in molti di coloro che sono
stati sottoposti con successo
all’analisi, non va attribuito
solo alla malattia, ma anche
alla guarigione, che spezza ciò che libera.»
«Così avvizzirà la viva immagine della ragione in fiamme. Il gioco così familiare di mirarci all’altro termine di noi stessi nella follia, e di protenderci all’ascolto di vociche, venute da molto lontano, ci dicono da vicino ciò che siamo; quel gioco […] non sarà più, e per sempre, se non un rituale i cui significati saranno stati ridotti in cenere. […] Quale sarà il supporto tecnico di questo mutamento? La possibilità per la medicina di padroneggiare la malattia mentale come una qualsiasi affezione organica? Il controllo farmacologico preciso di tutti i sintomi psichici? O una definizione delle deviazioni del comportamento abbastanza rigorosa da permettere alla società di prevedere agevolmente per ciascuna di esse il conveniente modo di neutralizzazione? O altre modificazioni ancora, nessuna delle quali forse sopprimerà realmente la malattia mentale, ma che avranno tutte il significato di cancellare dalla nostra cultura l’immagine della follia?So bene che avanzando quest’ultima ipotesi io contesto ciò che è comunemente ammesso: che i progressi della medicina potranno far scomparire completamente la malattia mentale, come già la lebbra e la tubercolosi; ma so che una cosa sopravvivrà, e cioè il rapporto tra l’uomo e i suoi fantasmi, il suo impossibile, il suo dolore senza corpo, la sua carcassa durante la notte; che, una volta messo fuori circuito ciò che è
patologico, l’oscura appartenenza dell’uomo alla follia sarà la memoria senza età di un male cancellato nella sua forma di malattia, ma irriducibile come dolore. A dire il vero, questa idea presuppone come inalterabile ciò che, senza dubbio, è la cosa più precaria, molto più precaria delle costanti del patologico: il rapporto di una cultura proprio con ciò che essa esclude, e più precisamente il rapporto della nostra cultura con quella verità di se stessa, lontana e contraria, che nella follia essa scopre e ricopre.[…] Questo soltanto si saprà, che noi altri, occidentali vecchi di cinque secoli, siamo stati sulla faccia della terra quei tali che, tra molti altri aspetti fondamentali, abbiamo avuto questo, strano quant’altri mai: abbiamo mantenuto con la malattia mentale un rapporto profondo, patetico, forse per noi stessi difficile da descrivere, ma impenetrabile a tutto il resto, e nel quale abbiamo provato il più vivo dei nostri pericoli, e la nostra verità, forse la più vicina. Si dirà non già che noi siamo stati a distanza dalla follia, ma dentro la distanza dalla follia.»
(Foucault, La Folie, l'absence d'oeuvre, maggio 1964, in Storia della follia)
«Freud […] ha sfruttato la struttura che avvolge il personaggio medico; ha ingrandito le sue virtù di taumaturgo, preparando uno statuto quasi divino alla sua onnipotenza. Ne ha fatto lo Sguardo assoluto, il silenzio puro, il Giudice che punisce e ricompensa in un giudizio che non accondiscende neppure al linguaggio; ne ha fatto lo specchio in cui la follia, in un movimento quasi immobile, s’innamora e si disamora di se stessa.[…] ll medico, come figura alienante, resta la chiave della psicanalisi. Forse perché non ha soppresso quest’ultima struttura, e perché vi ha riportato tutte le altre, la psicanalisi non può e non potrà ascoltare le voci della sragione né decifrare per se stessi i simboli dell’insensato. La psicanalisi può risolvere qualcuna delle forme di follia, ma rimane fuori del dominio incontrastato della sragione. Essa non può né deliberare né trascrivere né, a più forte ragione, spiegare ciò che v’è di essenziale in questo lavorio. A partire dalla fine del XVIII secolo, la vita della sragione si manifesta ormai soltanto nella folgorazione di opere come quelle di Hölderlin, di Nerval, di Nietzsche o di Artaud: assolutamente irriducibili a queste alienazioni che guariscono, resistenti per forza propria a questo gigantesco imprigionamento morale […].»
(Foucault, Storia della follia)