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Corso di Disegno e Progettazione Elementi di PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA e FUNZIONALIZZAZIONE degli SPAZI ABITATIVI a cura di Francesco Occhicone EDIZIONI edizione 2010

PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA e … · La PROGETTAZIONE, in generale, è un’attività complessa mediante la quale bisogna inquadrare una gamma di problematiche, variabili per quantità

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Corso di Disegno e Progettazione

Elementi di

PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA e FUNZIONALIZZAZIONE degli SPAZI ABITATIVI

a cura di Francesco Occhicone

EDIZIONI edizione 2010

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a mio padre

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1. GENERALITA’.

La PROGETTAZIONE, in generale, è un’attività complessa mediante la quale bisogna

inquadrare una gamma di problematiche, variabili per quantità e tipologie (esigenze), in modo che

attraverso un processo di analisi di queste, tradotte in requisiti, scaturisca il prodotto finale atteso

(sia esso un oggetto o un servizio) che risponda il più possibile alle prestazioni richieste.

Quindi qualsiasi progettazione è un processo induttivo-deduttivo che, prendendo a base del

problema tutta una serie di dati riguardanti i materiali, spazi, tempi, etc. (proprietà), porta alla

determinazione di un prodotto finale che risponda il più possibile ai requisiti richiesti. In tale

processo vi sono alcune variabili che vanno oltre alle proprietà dei materiali, agli spazi e ai tempi,

ma che comunque devono essere tenute in conto in quanto riguardanti il processo produttivo

materiale del bene o servizio progettato. Tali variabili hanno a che fare con la realizzabilità effettiva

di quanto progettato e sono variabili in termini di tempi, costi, impatto ambientale, effettiva

realizzabilità fisica del bene.

Da quanto appena illustrato è facile rendersi conto che la progettazione è un’attività la cui

complessità è palese e incontrovertibile, sia pure con gradi differenti in base al variare del bene o

servizio progettato e quindi prodotto. Essa è come un puzzle in cui ogni pezzo (e spesso i pezzi sono

migliaia!) deve trovare la giusta collocazione.

Stringendo il campo alla progettazione edile essa non potrà certo essere codificata in canoni

univocamente determinati, essendo, come è facile intuire, “figlia” dell’evoluzione tecnologica oltre

che di scelte fin troppo spesso dettate da pure ragioni di marketing aziendale delle ditte produttrici,

per dirlo in parola semplici, dalla “moda”. Fatto sta, però, che innegabilmente alcune caratteristiche

della progettazione dovranno pur sempre adeguarsi agli stili di vita più diffusi, e soprattutto una

progettazione secondo canoni medi dovrà attenersi a quanto il mercato offre e/o richiede nella

maggioranza dei casi. Non potrà di certo parlarsi di edilizia economica e popolare, in cui, fino a

qualche anno fa gli spazi erano davvero minimi, ma certamente dovrà riferirsi a metodologie

progettuali facilmente accessibili al target di maggior impatto sociale.

In definitiva, prevedere nella progettazione di alloggi multipli degli spazi funzionali per

vasche ad idromassaggio, per saune, per cucine avveniristiche supertecnologiche e attrezzature

simili non potrà certo essere ritenuto come rispondente al target di maggior impatto, visto

l’inevitabile levitazione dei costi e di conseguenza dei prezzi di vendita, con il conseguente

restringimento del segmento di mercato a campi che non erano nella richiesta iniziale. Tali

progettazioni saranno lasciate ai casi specifici, ai casi in cui il fattore “spazio” e la massimizzazione

della sua funzionalità non sono elementi fondamentali alla base della progettazione, come invece lo

sono per una progettazione ergonomica funzionale minimalista.

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Nella progettazione edile, quindi, il “grafico” che ne scaturisce non è una sommatoria di

tratti di penna o di matita raffiguranti schematicamente l’alloggio, ma bensì deve risultare il frutto

di un intenso lavoro di ricerca, conoscenza, analisi, sintesi e verifica, con un processo di successiva

approssimazione e avvicinamento al risultato cercato in base ai requisiti richiesti e alle prestazioni

attese.

In questa prima fase di approccio alla progettazione tralasciamo di analizzare in modo

particolare le problematiche inerenti l’impiego di materiali e tecnologie esecutive, rinviando ad una

fase successiva del corso la trattazione di tali tematiche; ci concentreremo, quindi, unicamente alla

progettazione ergonomica degli SPAZI ABITATIVI DEL SINGOLO ALLOGGIO.

* * * * *

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2. PROGETTAZIONE EDILIZIA ERGONOMICA.

2.1 Concetti di base.

Per la progettazione edilizia abitativa degli spazi le prestazioni richieste, in termini generali,

possono racchiudersi basate sulle seguenti principali caratteristiche: COMFORT – SICUREZZA –

PRIVACY (CSP).

Una progettazione edilizia è quindi ERGONOMICA quando risponde in modo massimale e

ottimizzato alle prestazioni di CPS. Il termine ergonomica deriva da ergonomìa, vale a dire “a

misura d’uomo, tarato – cioè – sulle dimensioni medie e proporzionali del corpo umano, delle sue

specifiche parti e degli spazi specifici impegnati per le sue azioni più comuni ed elementari”.

Il concetto di comfort è legato strettamente a concetti più elementari come la funzionalità,

l’estetica, la maneggevolezza; nel caso dell’edilizia il comfort deriva da un giusto mix degli spazi,

delle attrezzature in essi contenute, del loro corretto funzionamento, della loro estetica. Esso è

spesso accostato in parallelo al concetto di sicurezza, con la quale condivide soprattutto

l’articolazione dello spazio per la corretta funzionalità dell’attrezzatura.

La sicurezza, dal suo canto, fermo restando il corretto funzionamento assoluto

dell’attrezzatura, è quella condizione connessa con l’uso di questa mediante gli opportuni spazi,

tenendo conto delle interazioni tra le varie attività che si svolgono sia nello stesso spazio che negli

spazi adiacenti.

Il concetto di privacy, infine, viene definito come il grado della condizione ambientale con

cui un individuo viene ad essere isolato dall’ambiente che lo circonda (ivi comprendendo le altre

persone a lui prossime); tale grado, che in condizioni di privacy assoluta deve essere il massimo

possibile, riguarda l’interazione sotto tutti gli aspetti (visivi, acustici, olfattivi) con cui l’individuo

può interagire.

In un’abitazione, pertanto, le attrezzature e il loro spazio sono strumenti per lo svolgimento

di attività biologiche. L’abitazione stessa può essere definita come un’insieme di spazi funzionali

nei quali vengono svolte con discreta cadenza determinate attività. Queste ultime possono essere

suddivise in due tipi: attività elementari e attività complesse.

Possiamo definire un’”attività elementare”: “Qualsiasi azione, stato o condizione che

richiede la sussistenza contemporanea di tre elementi fondamentali:

a) spazio destinato ad essa;

b) tempo per attuarla;

c) attrezzatura fissa o pseudo-fissa necessaria per la sua attuazione”.

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Come esempio di attività elementare può intendersi il “cucinare cibi”, attività che richiede

uno spazio per l’attrezzatura (il piano-cottura oppure il forno), lo spazio necessario di manovra

(davanti all’attrezzatura), il tempo (quello necessario al completo espletamento dell’attività) (fig. 1).

fig. 1 – SMF del “cucinare cibi”

Le attività complesse, invece, si ottengono come sommatoria e/o condivisione e/o

compenetrazione di spazi riferibili a due o più attività elementari. Ad esempio, l’attività complessa

della ristorazione contempla la presenza in modo successivo, complementare e/o contemporaneo

delle seguenti attività elementari (fig. 2):

a) conservare cibi;

b) lavare cibi;

c) preparare cibi;

d) cucinare cibi;

e) consumare cibi;

f) lavare stoviglie;

g) conservare stoviglie.

fig. 2 – SMF dell’attività complessa della “Ristorazione”

* * * * * 2.2 Elenco delle attività elementari e loro legami interattivi.

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Per procedere quindi ad una progettazione ergonomica e funzionale bisogna innanzitutto

generare un elenco delle attività elementari al fine di determinarne, attraverso la presenza o meno di

legami tra le stesse e del loro grado di interazione e/o interferenza, le attività complesse presenti,

risalendo infine ad una corretta e coerente gestione degli spazi. Per fare ciò, però, dobbiamo prima

procedere alla definizione dei cosiddetti Spazi Minimi Funzionali. “Si definisce Spazio Minimo

Funzionale (SMF) quello spazio circoscritto in un’abitazione destinato all’esercizio di una

determinata attività elementare; in detto spazio, pertanto, sono compresi sia lo spazio che

materialmente è occupato dall’attrezzatura necessaria, sia lo spazio minimo per l’uso della stessa

con i requisiti di comfort, di sicurezza e di ergonomia.”

Quindi si noti che nella definizione di SMF si parla solo di “comfort”, “sicurezza” ed

“ergonomia”, ma non anche di “privacy”. Non è lecito né logico richiedere la “privacy” per ogni

singola attività elementare: per le attività elementari che richiedono privacy non sarebbe

ergonomico, economico e nemmeno fisiologico restringere lo spazio minimo funzionale in quattro

pareti. Si pensi alla funzione “bisogni fisiologici”, o anche alla funzione “dormire”: racchiudere tali

attività in quattro pareti per assicurare la necessaria privacy sarebbe anti-fisiologico in quanto

verrebbe a mancare la componente “ricambi d’aria”, oltre all’aspetto puramente psicologico. La

privacy, quindi, è una condizione che non è specifica delle singole attività elementari, ma piuttosto

di un gruppo di queste, compatibili tra loro e legate con legame forte. È ammesso riunire in

un’unica attività complessa anche attività elementari non connesse da alcun legame perché eseguite

in tempi completamente diversi e non consequenziali, ma comunque compatibili con le funzioni da

esse svolte: ad esempio “dormire” e “studiare”, entrambe richiedenti privacy ma ognuna distinta

dall’altra per tempi e posizione nell’abitazione e per questo accorpabili. Tale gruppo di attività

elementari accorpabile può essere definita “attività complessa” e lo spazio ad essa destinato viene

definito “Unità Ambientale” (U.Am.). l’accorpamento di più unità ambientali diverse da vita infine

alla cosiddetta “Unità Abitativa” (U.A.), comunemente chiamato anche “Alloggio” o

“Appartamento”. Possiamo pertanto dare le seguenti definizioni:

“Un insieme di SMF, le cui attività elementari presentano legami forti tra loro o anche

attività non aventi legami ma comunione della condizione di privacy o di comunione di spazi, viene

accorpato in uno spazio, delimitato o meno, che viene detto Unità Ambientale (ua)”.

“Un insieme di Unità Ambientali per lo più diverse tra loro viene accorpato in uno spazio

delimitato mediante pareti, che viene detto Unità Abitativa (UA)”.

Un esempio contribuirà a chiarire i concetti. Gli SMF delle attività di: “bisogni fisiologici”,

lavarsi parziale”, lavarsi totale” e “cura della persona”, tutte legate con legami forti di tipo spazio-

temporale oltre ad essere tutte attività che richiedono privacy, vengono generalmente accorpati in

un’unica unità ambientale chiusa definita “Servizi Igienici”. Così pure le attività di “riporre abiti”,

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“vestirsi e svestirsi”, “dormire” e “studiare” sono attività che o per legami forti spazio-temporale o

per assenza di legame ma comunione della condizione di privacy, sono collegate allo stesso spazio e

i relativi SMF possono essere accorpati in un’unica unità ambientale genericamente detta “Letto”.

Possiamo ora fornire un elenco delle attività elementari che si volgono nella media delle

abitazioni italiane. Nella tabella riportata alla pagina seguente (fig. 3) è rappresentato un siffatto

elenco (non esaustivo anche se quanto più oggettivo possibile). Tali attività sono altresì poste in

relazione di interazione tra loro mediante i cosiddetti “legami”. Tra due attività elementari vi è un

legame “forte” (fondo verde/valore “2”) quando le due attività hanno un rapporto spaziale e/o

temporale molto stretto, quando, cioè vi è una consequenzialità spazio-temporale notoriamente e/o

logicamente molto spinta (ad esempio, tutte le attività connesse con la ristorazione). Il legame tra

due attività vi è legame “debole” (fondo giallo/valore “1”) quando, invece, le due attività sono, sì,

connesse per logica, ma non strettamente correlate in modo spaziale e/o temporale. Ad esempio,

“lavare abiti” e “stirare abiti” sono due attività che vengono eseguite sugli stessi oggetti (gli abiti)

ma in tempi diversi e luoghi spesso diversi, quindi il legame è debole. Deve considerarsi forte,

invece il legame tra “stirare abiti” e “conservare abiti” in quanto, pur se non svolte

necessariamente nello stesso spazio, sono azioni comunque consequenziali come tempi.

Attività che, invece, non hanno interazione alcuna non presentano alcun tipo di legame e

pertanto la casella di corrispondenza resta vuota. Infine, nell’ultima colonna sono state riportate

(fondo rosso/contrassegnate con una “X”) le attività per il quale espletamento è richiesta la

condizione di privacy. Talune di queste attività sono fortemente legate tra loro da rapporti spazio-

temporali per lo più consequenziali, qualcuna invece non ha legami particolari con altre, ma può

coesistere come spazio ad essa destinato con altri spazi per la non contemporaneità del loro

verificarsi (ad esempio, “studiare” può coesistere – dal punto di vista spaziale – con il dormire,

come già accennato prima, per la quasi totale assenza di interferenze tra le due per il loro

svolgimento in orari mediamente diversificati).

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Ascoltare musica 1 Bisogni fisiologici 2 2 2 2 2 X

Conservare abiti 2 1 2 2 Conservare cibi 2 2 1 1 2 1 2 2 2

Conservare stoviglie 2 1 1 2 1 2 2 2 Consumare cibi 1 1 2 1 2 2 2

Consumare cibi all’aperto 1 1 1 1 1 1 Consumare cibi con ospiti 1 1 1 1 1

Conversare 1 1 1 1 Cucinare cibi 1 2 2 2

Cura della persona 1 2 2 1 XDormire 2 2 1 1 2 X

Giocare 1 1 1 1 1 Guardare la TV 1 1 1 1

Hobby all’aperto 1 1 1 Lavare abiti 2 1

Lavare cibi 2 2 Lavare stoviglie 2

Lavarsi parziale 2 2 XLavarsi totale 2 X

Leggere riviste o libri 1 1 2 Operare col computer 1 2 Praticare hobby da tavolo 1

Preparare cibi Rassettare letto

Relax 1 1 Relax all’aperto 1

Ricevere ospiti Stendere abiti 1

Stirare abiti Studiare X

Vestirsi e svestirsi X

L E G E N D A

NESSUN LEGAME 1 legame debole 2 LEGAME FORTE X ATTIVITA’ CHE RICHIEDONO PRIVACY

fig. 3 – ABACO DELLE ATTIVITA’ ELEMENTARI CON LEGAMI

* * * * *

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2.3 Spazi Minimi Funzionali (SMF).

2.3.1 – La CUCINA

Nel paragrafo precedente è stata già data una definizione dello SMF: uno spazio ristretto

dell’ua in cui è compreso lo spazio d’ingombro di un’attrezzatura destinata ad una specifica attività

nonché lo spazio necessario per il suo corretto e coerente utilizzo. Vediamone un esempio.

Abbiamo una scrivania, con cui normalmente esercitiamo l’attività dello “studiare”. Lo SMF

connesso a questa attività è costituito: dallo spazio occupato dalla scrivania, dallo spazio occupato

dalla sedia o dalla poltroncina su cui sedersi per studiare nonché dallo spazio necessario per

accedere alla postazione-lavoro (cioè per spostare la sedia/poltroncina nell’atto di sedersi e alzarsi).

Altro esempio: “consumare cibi”. Questa attività in genere viene svolta in modo promiscuo

per cui l’attrezzatura è ad uso multiplo, ma ciascun utente ha una sua postazione per lo svolgimento

dell’attività. Ciascuna postazione ha uno spazio minimo funzionale che deve soddisfare ai requisiti

di CSP e contemporaneamente interferire il meno possibile con le postazioni adiacenti. Quindi lo

spazio della postazione per “consumare cibi” è costituita dalla porzione di tavolo, dallo spazio per

la posizione della sedia occupata dall’individuo utilizzatore nonché dallo spazio di manovra per

sedersi e alzarsi. Oltre a questi spazi, però, si deve tener conto che per poter consumare i pasti

principali generalmente vi è una persona addetta che provvede a servire i pasti a tavola; detta

persona deve potersi muovere con sufficiente sicurezza e disinvoltura nello spazio circostante

l’attrezzatura, almeno entro un discreto raggio d’azione, pertanto oltre agli spazi descritti poc’anzi

bisognerà lasciare lo spazio sufficiente alla persona addetta a servire perché possa muoversi con un

ipotetico vassoio tra le mani.

Giusto per fornire un ordine di grandezza delle dimensioni e degli spazi di cui si va

ragionando, la larghezza di un posto-tavola è di circa 60 cm, lo spazio occupato davanti ad esso da

una sedia occupata da un commensale è di circa 40

cm, oltre i quali vanno lasciati ulteriori circa 60 cm

per il passaggio della persona che serve a tavola. In

tal modo lo spazio minimo funzionale per un tavolo

rettangolare per sei persone avrà dimensioni

all’incirca pari a cm. 280 x 300 (dimensioni tavolo: cm.

90x150 – fig. 4). Sulle reali dimensioni dei posti-tavolo

ritorneremo in seguito.

fig. 4 – SMF di un tavolo da pranzo per sei persone

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Nei due esempi appena riportati le attrezzature non sono costituite da un pezzo monoblocco

(come invece possiamo considerare il w.c. o il lavabo), ma sono costituiti da una parte fissa (il

tavolo) e da un’attrezzatura mobile o, come l’abbiamo meglio definita al paragrafo 2.1, pseudo-

fissa, qual è invece la sedia (o poltroncina nel caso della scrivania). Il tavolo per i pasti, in

particolare, fa parte di una unità ambientale che detiene, insieme ai “servizi igienici”, il triste record

di zona più pericolosa dell’abitazione: la “cucina”. Esso è il locale che, per tipo di attrezzature

contenute e per il fatto di essere il locale dove di norma si trascorre più tempo nell’arco della

giornata in casa, costituisce il luogo a maggior rischio di infortuni domestici. Vediamo perché.

La “cucina” intesa come “angolo cottura” (quindi ad esclusione del tavolo con sedie che

sono contenute soltanto nelle “cucine-tinello”) a seconda della disposizione delle varie attrezzature

può essere di vari tipi. Le più diffuse sono: “in linea” (unica parete attrezzata), ad “Elle” (due pareti

adiacenti attrezzate), ad “U” (tre pareti continue attrezzate). ad “Ali parallele” (due pareti

contrapposte attrezzate). Altre tipologie di cucine esistenti sono quelle ad “Isola” (in cui alcune

funzioni sono staccate dal resto e posizionate al centro dello spazio di lavoro), o a “Penisola” cioè

con un piano di lavoro (che può essere adibito anche a tavolo per pasti) che si stacca dalla parete e

si protende nella stanza.

Per brevità riferiamoci ad uno dei primi due tipi e cominciamo ad esaminare come vanno

disposte le varie attrezzature in base alle attività elementari che bisogna svolgervi e in base ai

requisiti di ergonomia e di sicurezza necessari.

Generalmente, anche per le sue dimensioni d’ingombro e per come è concepita, la prima

attrezzatura che troviamo in cucina, partendo dal fondo o comunque da un estremo, è il

frigorifero/congelatore (frigo/freezer – “conservare cibi al freddo”); le sue dimensioni in pianta

sono, mediamente 60x60 cm. e l’altezza è pari all’altezza totale del resto delle attrezzature, cioè

circa 230/250 cm. Vanno sempre più affermandosi, però, sui mercati frigo di dimensioni in pianta

maggiori anche se di minore altezza: si parla di 70x70 cm o anche 70 x 80/90 cm; nella nostra

progettazione faremo, però, riferimento a quelli 60x60 perché, nonostante l’incremento, essi restano

pur sempre un segmento ristretto del mercato di elettrodomestici; nel caso ci fosse richiesto

specificamente di prevedere lo spazio per un frigo di dimensioni maggiori adegueremmo la nostra

progettazione. Dunque: 60x60 cm; per l’apertura della porta, anteriormente ad esso, dovranno

essere previsti altri 60x60 cm di spazio, onde consentire la regolare e intera apertura dell’anta; in tal

modo lo SMF diventa 60x120, ma non basta ancora, perché ad anta aperta bisogna consentire ad

una persona che fa uso dell’attrezzatura di poter operare, cioè poter accedere al frigo con un vassoio

tra le mani. Ciò porta a dover considerare, davanti al frigo stesso un ultimo spazio di cm 60x60, il

che porta lo SMF per l’attività di “conservare cibi al freddo” definitivamente a cm 60x180.

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La larghezza di 180 cm. è un “valore notevole”, nel senso che costituisce, come vedremo. La

misura minima ripetitiva di tutte le attrezzature dell’angolo cottura per cui possiamo concludere che

la dimensione di 180 cm costituisce la larghezza minima di un locale da adibire ad angolo

cottura. Inoltre la dimensione dello spazio d’uso, pari a 120 cm, è la distanza minima che dovrà

necessariamente intercorrere tra l’attrezzatura (qualunque essa sia in cucina) e l’ostacolo opposto

più prossimo (sia esso una sedia occupata, un piano lavoro, una parete o altro).

Andiamo avanti con il posizionamento ergonomico delle attrezzature dell’angolo cottura.

Accanto al frigo/freezer in genere si necessita di un piano di appoggio/lavoro onde consentire a chi

usufruisce del frigo di avere a portata di mano un punto dove appoggiare, anche momentaneamente,

vassoi, piatti o quanto necessario per la movimentazione delle vivande conservate in frigo. Su questi

tipi di piani si svolge l’attività che abbiamo chiamato “preparare cibi” in genere tale piano, fermo

restando la profondità fissa di 60 cm, avrà una larghezza di 60/90 cm.. Tale variabilità deriva dalle

dimensioni totali delle attrezzatura: in genere gli arredi delle cucine hanno lunghezze variabili.

Teniamo conto che la lunghezza necessaria varia al variare delle persone costituenti il nucleo

familiare, in ragione di circa 120/150 cm per ciascun componente, in virtù del volume di contenitori

per “conservare cibi” di cui si necessita. Quindi sotto il piano di appoggio/lavoro, come pure sopra

con i pensili, saranno posizionati altrettanti contenitori per la conservazione di cibi e/o stoviglie.

Anche per il comodo e sicuro accesso a questi contenitori si necessita di uno spazio di circa 100/120

cm nei quali sono sempre compresi oltre allo spazio per l’apertura dei contenitori (antine, cassetti,

cassettoni, etc.) anche lo spazio necessario per l’utente per compiere la manovra in modo agevole. I

contenitori sono destinati all’attività del “conservare cibi”. È interessante notare come questa

attività abbia lo spazio d’uso delle attrezzature di tipo promiscuo, cioè è lo stesso che viene

riservato per il “preparare cibi”. Ciò si spiega in quanto le due azioni sono consequenziali e spesso

alternative, cioè chi prepara i cibi è la stessa persona che li deve prelevare dai loro contenitori, e

potendo svolgere una sola azione per volta, è logico supporre che utilizzare lo spazio per le due

attività non costituisca interferenza. Può sicuramente accadere che sia una seconda persona a

doversi servire dei contenitori mentre la prima stia operando sul piano di lavoro. In tal caso, visto

che l’azione del conservare cibi è un’azione istantanea e che non richiede grossi tempi di

esecuzione né nel posizionare le vivande a posto, né tanto meno nel prelevarle, l’interferenza può

considerarsi minima e senza pericoli seri per le persone.

Torniamo al posizionamento delle attrezzature. Dopo questo primo piano di appoggio/lavoro

possiamo sicuramente posizionare il “piano cottura”, le cui dimensioni mediamente sono di cm

60x60, per l’attività del “cucinare cibi”. Anche in questo caso lo spazio antistante tale attrezzatura

dovrà consentire all’utente di operare in sicurezza (quindi almeno 60 cm) oltre a permettere ad altre

eventuali persone il passaggio in piena sicurezza per entrambi. Inoltre generalmente sotto il piano

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cottura viene installato anche il “forno”. Tale eventualità richiede un’attenzione particolare: infatti,

la persona che usa questa attrezzatura dovrà poterlo fare con la massima sicurezza, in

considerazione delle alte temperature che si raggiungono e che possono costituire fonte preminente

di pericolo di ustioni anche gravi: si pensi al gesto di chi deve controllare la cottura dei cibi in

forno: normalmente, aperta l’anta a ribalta del forno (che misura circa 40 cm) l’utente deve

accoccolarsi per controllare meglio la cottura. Nell’esecuzione di tale gesto l’ingombro del corpo

umano diventa di circa 70/80 cm, misurati tra le ginocchia e il bacino, il che porta almeno a 110/120

cm la distanza tra il forno e il più vicino ostacolo. Una distanza inferiore fatalmente porterebbe a

forti rischi di infortuni, se è vero che nel movimento di abbassarsi l’utente potrebbe urtare l’ostacolo

posto dietro di lui e, perdendo l’equilibrio, finire con mani e braccia nel forno, con conseguenze

sicuramente negative. È anche per questo motivo che sempre più spesso il forno si tende a

posizionarlo non più sotto il piano cottura, ma decentrato rispetto ad esso, anzi, il più delle volte,

come la colonna frigo/freezer, la colonna forno (con sviluppo verticale comprendente: contenitore –

forno – contenitore) tende a costituire la chiusura dell’altra estremità del blocco cucina; in tal modo

il forno, posto ad altezza del piano di lavoro, non richiede movimenti di abbassamento dell’utente

che, restando in piedi, può più facilmente accedere ai cibi in fase di cottura con minori pericoli di

infortuni.

Continuando ancora nella disposizione delle attrezzature, a fianco al piano cottura si

necessita sicuramente di un altro piano di appoggio/lavoro; questo per consentire, avendo a che fare

con attrezzature mobili dotate di temperature elevate e quindi con maggiori possibili cause di

infortunio, passaggi più rapidi e sicuri nella movimentazione di pentole e padelle tra il piano

cottura e il lavello; ma anche per rendere maggiormente ergonomico lo spazio. Si pensi, ad

esempio, alla massaia che sta tagliando le patate da friggere, dovrà poterlo fare in un luogo il più

vicino possibile al luogo di cottura, quindi su un piano lavoro adiacente (con annessi contenitori

sotto e sopra, pensile). Questo piano, a differenza del primo, avrà larghezza 45/60 cm, quindi

inferiore; ciò per rendere più vicina la prossima attrezzatura che, per ragioni di massima ergonomia,

non potrà essere altro che un lavello. Si pensi sempre alla nostra massaia, che nel tagliare le patate

da friggere dovrà essere molto vicina al piano cottura, ma anche molto vicino al lavello dove avrà

potuto lavarle e pelarle. Così pure il lavello non potrà essere molto lontano dal piano cottura per

evitare che, ad ulteriore esempio, per scolare la pasta la massaia non debba percorrere più di un

passo con la pentola colma di acqua bollente.

Il lavello può essere sia del tipo monoblocco, di dimensioni cm 60x90 (con una sola

vaschetta e un piano scolastoviglie oppure con due vaschette senza scolastoviglie) o cm 60x120

(con due vaschette più piano scolastoviglie); oppure può essere costituito da due vaschette separate

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e incassate separatamente nel top (così chiamato in gergo il piano di lavoro della cucina).

Comunque realizzato, in esso si svolgono le due attività di “lavare cibi” e “lavare stoviglie”.

Dopo il lavello di regola può trovarsi un ulteriore piano di lavoro/appoggio sotto il quale

spesso si può prevedere l’incasso di una lavastoviglie. Di lato al lavello difficilmente possiamo

prevedere una colonna di chiusura o comunque una parete alta, questo per evitare di costituire un

possibile intralcio a chi sta svolgendo le operazioni di lavaggio che richiedono movimenti delle

braccia spesso anche ampi e che vanno oltre l’ingombro laterale delle vaschette.

La cucina andrà così completata con la quantità di contenitori necessari per assicurare il

giusto spazio per l’intero nucleo familiare. Questi possono essere anche disposti nell’angolo che

avrà dimensioni di almeno cm. 75x75 onde consentire l’accesso nell’angolo stesso. Normalmente il

contenitore ad angolo, per la sua particolare conformazione, viene riservato alla conservazione di

vivande e/o stoviglie e/o oggettistica di raro utilizzo, visto che risulta più difficoltoso il suo accesso.

Discorso a parte merita l’attrezzatura atta al “consumare cibi”; sopra si è già accennato allo

spazio al contorno dell’attrezzatura, senza, però, scendere nel particolare del dimensionamento della

stessa. C’è da far notare che la zona occupata dal tavolo sia in cucina, ma anche nel soggiorno (sia

pure con problematiche diverse e meno invasive), deve essere oggetto di uno studio particolare in

quanto, essendo, come accennato, ad uso plurimo presenta un più alto grado di interferenze tra

individui il che aumenta il rischio di infortuni e/o semplici intralci nel comfort. Vediamo

innanzitutto come si dimensiona un tavolo rettangolare.

Ogni commensale, come accennato, ha uno spazio riservato a tavola della larghezza di circa

60 cm; la profondità della porzione di tavolo di cui può usufruire ciascun individuo è pari alla metà

della larghezza del tavolo, di regola circa 40/50 cm; dimensioni superiori sono da evitare in quanto

da un punto di vista ergonomico risulta difficoltoso accedere a distanze superiori ai 50 cm visto che

la lunghezza del braccio di una persona nella media non supera i 70 cm. che si riducono in modo

appropriato tenendo conto degli ostacoli che fatalmente si frappongono sul tavolo durante i pasti

(bottiglie, bicchieri, piatti, etc.). Dimensioni inferiori, viceversa, rendono angusto lo spazio a

disposizione per appoggiare le vivande, con scarso comfort e aumentato pericolo di infortuni (tagli,

scottature, abrasioni, etc.). In corrispondenza dei posti di bordo c’è da tener presente l’interferenza

che automaticamente nasce dall’intersezione degli spazi dei due commensali adiacenti, vale a dire

l’ultimo della fiancata e quello di capotavola. In tal modo lo spazio ad essi riservato diventa da

rettangolare a trapezoidale e perciò la lunghezza del tavolo va aumentata di circa 10/15 cm a

ciascun estremo del lato lungo per ridurre tale interferenza.

Nel caso, invece, del tavolo rotondo ci sono da fare delle considerazioni un po’ più

dettagliate e approfondite. La larghezza riservata a ciascun commensale non può essere più limitata

ai 60 cm canonici perché man mano che andiamo verso il centro del tavolo la “fetta” di questo si

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riduce fino quasi ad annullarsi, riducendo in modo drastico l’area riservata. Tale problema è più

sentito per i tavoli per un numero di persone basso (quattro o cinque) e meno per numeri più alti (da

sei fino a dieci), dove il maggiore raggio amplia la superficie a disposizione. In effetti per quattro o

cinque persone il diametro del tavolo dovrà essere pari almeno a: D = 110/120 cm; infatti,

calcolando la circonferenza con un diametro 110 si ottiene: D ● π = 110 ● 3,14 = cm 345, che

diviso per i quattro posti ci dà 85 cm circa misurati al bordo del tavolo. Il tavolo da D = 120 cm

invece è adatto maggiormente a cinque persone; infatti: D ● π = 120 ● 3,14 = cm 377 che diviso

cinque ci dà 75 cm, sempre misurato al bordo. Quindi siamo passati dai cm 85/persona circa sul

tavolo per quattro ai cm 75/persona su quello per cinque, mentre il diametro è passato dai 110 ai

120 cm.

fig. 5 – SMF di tavoli da pranzo rotondi per sei e per quattro persone Deve considerarsi che lo spazio riservato a ciascun commensale non è più un rettangolo o un

trapezio, come nel tavolo rettangolare o quadrato, bensì un segmento di corona circolare, se si

considera che il centro geometrico del tavolo potrà essere scarsamente usato come area utilizzabile

visto che è a distanza poco ergonomica dai commensali (55/60 cm). Il centro di un tavolo rotondo

(o anche ovale, come è facilmente adattabile il discorso) sarà principalmente usato per appoggiare

quelle stoviglie o vivande che vengono usate “una tantum” dai commensali (ad esempio, oliera,

saliera, acetiera, etc.). Questa area centrale è tanto più grande quanto maggiore è il diametro, che,

comunque, non potrà mai superare il valore massimo di 160/170 cm per ovvi motivi di utilizzabilità

reale in funzione del costo per realizzarlo.

Possiamo a questo punto generare una tabella dei diametri di tavoli rotondi assegnando a

ciascuno di essi il giusto numero di posti:

D (cm) N° posti Largh, posto (al bordo - cm)

110 4 85 120 5 75 130 6 68 140 7 62 150 8 59 160 8 63

fig. 6 – Tabella di corrispondenza tra diametro e numero dei posti in tavoli rotondi.

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Si noti che il tavolo da otto posti può essere sia 150 che 160, questo è dovuto al fatto che

aumentando di 10 cm il diametro del tavolo non si percepisce più quel guadagno netto in termini di

posto/tavolo ergonomico: infatti il nono posto porterebbe lo spazio/posto a 55 cm, un po’ stretto da

un punto di vista ergonomico; inoltre resterebbe inusabile o scarsamente utilizzata la zona centrale

del tavolo, assolutamente inaccessibile senza doversi alzare passando con buona parte del corpo al

di sopra delle vivande presenti sul tavolo, il che costituisce motivo di antiergonomia.

Allo stesso modo tavoli il cui diametro è inferiore ai 110 cm risultano poco ergonomici

perché troppo ristretti per poter servire con il giusto comfort i commensali; inoltre un tavolo

rotondo per un numero inferiore a quattro persone porterebbe a togliere tantissimo spazio vitale per

un’unità ambientale già di per sé angusta per il nucleo familiare a basso numero di componenti.

fig. 7 – Esempi di ambienti cucine.

* * * * *

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2.3.2 – I SERVIZI IGIENICI

Altra zona dell’Unità Abitativa in cui abbondano le situazioni di pericolo è indubbiamente il

locale adibito a “servizi igienici”. In esso, che è un locale per il quale deve essere assicurata la

massima privacy possibile, vengono ritrovate fondamentalmente la seguenti quattro attività

elementari:

a) bisogni fisiologici;

b) lavarsi parziale;

c) lavarsi totale;

d) cura della persona.

Per l’esercizio di queste quattro attività vi sono delle attrezzature fisse che genericamente e

generalmente vengono chiamate “apparecchi sanitari”, o “apparecchi igienici” o anche

semplicemente “sanitari”. Essi sono:

a) il “w.c.” (waterclose), detto anche “tazza”;

b) il” bidet”;

c) il “lavabo”;

d) la” vasca da bagno”;

e) il “piatto doccia”.

Non è superfluo rimarcare che non in tutti i locali per servizi igienici si trovano sempre e

contemporaneamente tutti i sanitari sopra elencati: infatti, spesso, nel servizi igienici cosiddetti “di

servizio” possono essere trovati soltanto alcuni dei pezzi citati, mancando spesso o il bidet o più

spesso la vasca o il piatto doccia.

Nella figura sottostante si riportano alcuni esempi di “bagni di servizio” (fig. 8).

fig. 8 – Esempi di bagni di servizio con dimensioni minime.

Passiamo all’analisi degli SMF di ciascun sanitario.

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Ciascuna attrezzatura sanitaria presenta delle proprie dimensioni ergonomiche e degli SMF

che devono essere assicurati pena l’incremento esponenziale dei rischi di infortunio in caso

contrario. Essi spesso sono, come per le attrezzature della cucina, posti in serie a costituire una vera

e propria parete attrezzata, cosicché di fondamentale importanza diventano gli interstizi tra di essi

come lo spazio di fronte agli stessi.

Cominciamo a vedere una disposizione-tipo (fig. 9).

fig. 9 – Esempio di bagno tipo. Nella maggior parte dei casi in prossimità della parete perimetrale del bagno, cioè quella che

prospetta verso l’esterno, troviamo o la vasca, posizionata in maniera trasversale, o più spesso il

w.c.; ciò non è per un motivo architettonico, ma ciò è dovuto soprattutto a necessità di impianti:

infatti, avere il w.c. il più vicino possibile alla parete esterna rende più immediato l’allacciamento

del tubo di scarico fognario (di diametro superiore ai 10 cm, quindi con difficoltà di spazio di

alloggiamento nel solaio sottostante) alla colonna fecale che il più delle volte corre all’esterno

dell’edificio oppure inglobata nella tompagnatura del fabbricato. Ciò, tuttavia non è una regola

costante e definitiva perché molte volte possono realizzarsi dei cavedi (casse vuote tra due pareti

ravvicinate) in cui, per tutta l’altezza del fabbricato, corrono le tubazioni costituenti le colonne

montanti idriche e la tubazione di scarico.

Le dimensioni occupate dal w.c. come sanitario sono varie e comunque mediamente pari a

cm. 40 di larghezza e cm 60/70 di profondità, ivi compreso lo spazio per l’innesto della tubazione

dello sciacquone o della cassetta a zaino. Lo SMF dovrà contemplare, oltre alle dimensioni appena

descritte, altri spazi sia di fianco che anteriormente al sanitario: infatti, la larghezza di una persona,

come al solito, può essere assunta pari a 60 cm, quindi chi utilizza il w.c. dovrà avere a disposizione

almeno 70 cm. (quindi bisogna considerare circa 15 cm a ciascun lato del w.c.) per poter

adeguatamente eseguire tutti i movimenti connessi con la funzione. Anteriormente al w.c., poi,

dovrà prevedersi uno spazio di larghezza pari alla larghezza suddetta (70 cm) e di profondità

ulteriore di circa 60 cm.; ciò per consentire all’utente di poter compiere tutte le operazioni

precedenti e successive alla funzione evacuativa (cioè spogliarsi e vestirsi). Pertanto, in definitiva,

lo SMF per un w.c. è di cm. 70x120/130 (vedasi la fig. 10 successiva).

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Generalmente a fianco del w.c. viene ubicato il bidet, un apparecchio sanitario il cui utilizzo

è prevalentemente italiano e che negli ultimi anni tende a non essere considerato più un elemento

assolutamente indispensabile. Noi, comunque, fino a quando esso non uscirà fuori produzione

perché soppiantato da eventuali funzioni surrogative continueremo a prevederlo nelle nostre

progettazioni, riservandone quindi spazi e impianti. L’attività connessa con il bidet è il “lavarsi

parziale” direttamente connesso con l’uso del w.c.. Come apparecchio esso somiglia molto al w.c.

per dimensioni esterne (circa cm. 40x60) ma richiede uno studio diversamente articolato rispetto al

precedente. Infatti, innanzitutto come modalità di utilizzo c’è una differenza fondamentale: mentre

sul w.c. ci si siede con le spalle al muro, sul bidet di regola ci si siede con la faccia al muro. Ciò è

una differenza fondamentale per vari motivi:

a) sedersi spalle al muro non comporta necessariamente l’allargamento delle gambe al di fuori della

proiezione della verticale abbassata a partire dalle spalle dell’individuo, punto più largo di questi;

quindi la larghezza dello spazio del w.c. (per il suo solo uso) di norma è inferiore a quello del bidet

dove, per normale uso, le gambe dovranno necessariamente essere allargate, il corpo deve essere

abbassato fino a sedersi, il che implica che persone di altezza media protenderanno le ginocchia fino

a larghezze intorno ai 70/75 cm e prossime alla parete.;

b) alzarsi dopo aver svolto la funzione in questione (w.c. o bidet) si svolgono movimenti diversi

proprio perché partono da usi e posizioni diverse: mentre per il w.c. alzandosi l’utente avanza per

potersi rassettare i vestiti, quindi vede davanti a sé dove si trovi l’ostacolo più prossimo, alzandosi

dal bidet l’utente retrocede per potersi asciugare, senza peraltro rendersi conto dell’ostacolo più

prossimo. Se questo dovesse essere un ostacolo alto e trovarsi troppo vicino al bidet potrebbe

causare un urto dal retro provocando una caduta in avanti con conseguenze di possibili infortuni.

Invece, se come ostacolo più prossimo di fronte al bidet dovesse esserci la vasca, i possibili danni

possono addirittura essere molto più gravi: si pensi, infatti, ad una persona che, mentre retrocede,

urta con i talloni contro un ostacolo basso come la vasca, la dinamica porterebbe la stessa ad una

caduta all’indietro, quindi nella vasca, con possibilità altissime di battere l’occipite contro la parete

opposta o contro il bordo della vasca stessa, o nella migliore delle ipotesi di battere con la schiena

contro il bordo vasca. Conseguenze, come facilmente intuibili, disastrose!

Pertanto, per evitare queste conseguenze dovrà porsi attenzione:

1) la larghezza dello SMF del bidet non sia inferiore a cm 70/80, per consentire la seduta a gambe

allargate per un corretto e comodo uso del sanitario;

2) la lunghezza dello SMF non inferiore a 120/130 cm, cioè ulteriori 60/70 cm oltre l’ingombro

dell’apparecchio, onde consentire lo spazio minimo necessario per le operazioni di retrocessione e

asciugatura in sicurezza e comodità;

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3) nel caso che di fronte al bidet ci sia la vasca e lo spazio d’uso del bidet stesso non sia superiore a

60 cm, prevedere, davanti alla vasca, un ostacolo, di altezza di almeno un metro, onde costituire un

riparo in caso si inciampo con i talloni evitando la caduta all’indietro nella vasca. Tale ostacolo

potrebbero essere costituito da un muretto basso opportunamente rivestito (utilizzabile, ad esempio,

come piano di appoggio), oppure un idonea cabina vasca in materiale di una certa resistenza agli

urti, come alluminio con plexiglass, policarbonato o vetro di idoneo spessore, o anche altri materiali

di moderna generazione che abbiano anche adeguata estetica e utilità.

4) lo spazio ai lati del bidet non dovrà essere portato in aggiunta agli spazi di altri sanitari (w.c. o

lavabo o vasca) in quanto, essendo tutti inerenti attività che richiedono privacy, saranno utilizzati da

una sola persona per volta, quindi non ci sarà il pericolo di interferenze negli spazi d’uso. In

definitiva lo SMF del bidet è, come per il w.c., pari a cm 70x120/130 (fig. 10).

fig. 10 – SMF per w.c. e bidet

La prossima apparecchiatura sanitaria che necessariamente e quindi sempre troviamo in un

servizio igienico è il lavabo. Essa è il sanitario destinato al “lavarsi parziale”, come il bidet. Ma

mentre quest’ultimo è normalmente adoperato per le abluzioni riferite alla parte inferiore del corpo

(dal bacino in giù), il lavabo è generalmente usato per la pulizia degli arti superiori, del capo e della

parte superiore del corpo. Tale tipo di attività richiede normalmente posizioni pressoché piegate in

avanti del corpo, con gambe per lo più non piegate, col busto proteso verso la vaschetta del lavabo e

il tergo proteso all’indietro per bilanciare lo spostamento del baricentro in avanti causato appunto

dal piegamento del busto. Per permettere la comoda e sicura attuazione dell’attività il sanitario

dovrà avere una profondità minima di almeno 45 cm, con una larghezza che non dovrebbe mai

scendere al di sotto dei 50 cm. (fig. 11).

fig. 11 – SMF per lavabo

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Lo spazio d’uso del lavabo, inoltre, prevede una larghezza totale (comprensiva del lavabo)

che arrivi almeno a 75 cm, onde permettere un discreto allargamento dei gomiti durante i

movimenti di abluzione; la profondità davanti al sanitario, invece, dovrà essere prevista (cioè come

spazio d’uso escluso l’ingombro del lavabo) di circa 70/75 cm, per evitare che nel movimento di

abbassarsi l’utente possa urtare con il tergo contro un possibile ostacolo dal lato opposto,

sbilanciandosi e cadendo in avanti. Quindi, in definitiva, lo SMF di progetto del lavabo è pari a

cm 75x120/130.

A questo punto corre l’obbligo far notare che tutti i pezzi fin qui trattati hanno come

dimensione di profondità minima una dimensione unica di circa 120/130 cm, il che costituisce la

larghezza minima di un servizio igienico “di servizio” in un’abitazione, con componenti disposti su

un'unica parete attrezzata.

Per l’attività del “lavarsi totale” vi è la possibilità di usufruire di due tipi di attrezzature

igieniche: la vasca da bagno e il piatto doccia. I due sanitari potrebbero essere previsti entrambi,

ma il più delle volte, per ragioni di spazio, se ne prevede uno solo dei due, soprattutto quando si è in

presenza di un unico locale per servizi igienici. In tal caso, ma anche nel caso di più servizi per il

servizio principale, in genere viene previsto il montaggio della vasca. Vediamo innanzitutto lo SMF

della vasca da bagno.

Tale igienico ha dimensioni medie di progetto pari a cm 70x170 (ovviamente senza

considerare la variante con opzione di idromassaggio, che comporta il montaggio di vasche con

dimensioni maggiorate sia per l’alloggiamento dell’impianto di compressione aria, sia per

consentire una fruizione con maggiore comfort dell’igienico stesso). Le vasche da bagno che si

trovano in commercio possono, però, avere anche altre misure inferiori, almeno limitatamente alla

lunghezza, che può essere anche di 160 o 150 cm, mentre una vasca di lunghezza 130 o 110 cm

contiene al suo interno una conformazione “a seduta” cioè una parte del fondo è rialzato di circa 20

cm per favorire la posizione seduta nell’apparecchio. Questi tipi di vasche sono meno diffusi della

vasca di dimensioni normali e vi si ricorre solo in casi eccezionali.

Come può evincersi anche dalla successiva fig. 12, lo spazio d’uso della vasca media

contempla uno spazio solo anteriormente, potendosi montare l’igienico completamente incassato tra

pareti lungo tre lati (due lati corti e un lato lungo). Lo spazio antistante, limitatamente ad una

larghezza di minimo 70 e massimo 100 cm, dovrà avere una profondità appropriata onde

consentire l’ingresso e l’uscita in sicurezza dalla vasca nonché l’operazione di asciugatura che

comporta movimenti alquanto articolati. Tale profondità, pertanto, non dovrà essere inferiore a

70/75 cm, cosicché lo SMF per la vasca da bagno è pari a cm 170x150.

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fig. 12 – SMF per vasca da bagno.

Nel caso, invece, si stia progettando un bagno con previsione di montaggio del piatto doccia,

questo ha fondamentalmente dimensioni quadrate, anche se ultimamente si stanno sempre più

affermando piatti con dimensioni rettangolari, maggiormente ergonomici e funzionali. Le

dimensioni minime di un piatto doccia sono di cm. 70x70, ma in questo caso tale igienico non può

essere incassato (neanche con apposito box-doccia) in quanto lo spazio di movimento sarebbe

troppo angusto e di reale scomodità per l’utente. Le dimensioni minime per prevedere una doccia

incassata o dotata di box sono almeno di cm. 75x75, con uno spazio d’uso anteriore di profondità di

almeno 55/60 cm, per cui lo SMF di una doccia dovrà essere pari a 75x130 cm (nel caso di

incasso su tre lati) o 120x75 cm (nel caso di uscita dall’angolo), per i casi come quelli riportati

nella figura 7. (fig. 13).

fig. 13 – SMF per doccia.

Per tutti gli spazi fin qui trattati, ogni attrezzatura sollevata da terra che serva come

contenitore (armadietti pensili, cassetta di scarico, mensole, etc.) e sotto la quale è previsto il

passaggio di una persona non dovrà avere un’altezza da terra inferiore a cm 200/220, mentre

l’altezza di sedie e sedili vari (w.c., bidet, etc.) avrà un’altezza non superiore a cm. 40. (figg. 14 e 15).

fig. 14 – SMF per attrezzature del bagno.

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fig. 15 – Altezze di progetto negli SMF.

* * * * *

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2.3.3 – Il SOGGIORNO.

Dopo aver trattato delle zone dell’abitazione dove maggiori sono i rischi di infortuni e

pertanto dove maggiore deve essere l’attenzione da porre nella progettazione degli spazi, passiamo

alla trattazione dell’articolazione delle attività elementari, e quindi di quelle complesse, che si

compiono prevalentemente di giorno (connesse quindi con il “soggiornare”) e che generalmente

non richiedono una privacy spinta. Tali attività in genere non compaiono mai da sole in unità

ambientali a se stanti, ma scaturiscono dall’accorpamento di varie attività elementari appunto in

attività complesse.

Una prima attività che viene svolta prevalentemente di giorno e che normalmente non

richiede privacy è il “ricevere ospiti”, attività che il più delle volte viene svolta in un’unità

ambientale identificata come “salotto”. Questo è un insieme di attrezzature diversamente

dimensionate destinate ad accogliere, in posizione il più confortevole possibile, gli abitanti

dell’appartamento più almeno un ospite. Infatti, per assicurare un corretto dimensionamento al

salotto sembra opportuno, in virtù della considerazione degli SMF, considerare un numero di posti

“a sedere” pari agli abitanti dell’alloggio aumentato di una unità. Ad esempio, un’abitazione per

quattro persone dovrà avere un salotto con cinque posti. Ciascun posto a sedere potrà essere singolo

(poltrona) o promiscuo (divano a due o più posti), ma ultimamente si sono sempre più andati

affermando sul mercato dell’arredamento salotti monoblocco con posti componibili di varie forme;

si possono ottenere così divani a più posti disposti in linea come in curva, sia concava che convessa,

ad angolo o a semicerchio, e così via in una miriade di possibilità arredative e funzionali.

Il “posto a sedere” occupa uno spazio di circa 60 cm di larghezza per circa 75 cm di

profondità; nel caso di poltrone e divani a queste misure vanno aggiunti 15 cm circa per i braccioli

laterali e altrettanti 15/20 cm per lo schienale. In base a queste considerazioni una poltrona occuperà

uno spazio di 95x95 cm, mentre un divano occuperà uno spazio di 90x[(N•60)+15+15] cm, dove “N

= numero posti”. Un divano, cioè per tre persone avrà dimensioni medie: 95 x 210 (= 3•60+15+15)

cm, mentre uno da due posti sarà mediamente 95x150 cm (fig. 16 e fig. 17).

fig. 16 – SMF di una poltrona

fig. 17 – SMF di un divano a tre posti

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Lo spazio d’uso del salotto sarà limitato ovviamente alla zona anteriore alle sedute; la

profondità di tale spazio non sarà superiore ai 40 cm, misura necessaria abbastanza ampia per

consentire il passaggio di una gamba di una persona in presenza di altre gambe di persone sedute,

ma non troppo ampia in modo da non staccare troppo la seduta dal quasi sempre presente tavolino

poggia-vivande che si accoppia al salotto, al fine di consentire ai fruitori di non allungarsi troppo o

addirittura alzarsi per raggiungere il tavolino e prendere o posare le vivande.

Lo spazio in cui vengono associati poltrone e divani non può essere logicamente codificato,

visto che esso, per quanto importante, può ritenersi decisamente uno spazio accessorio che andrà

gestito nel modo migliore possibile. Infatti, il più delle volte non è tanto il “ricevere ospiti” che

determina la corretta posizione delle attrezzature, piuttosto lo svolgimento di un’altra attività più

frequente quale può essere il “guardare la TV”. Detta attività andrà progettata in modo ergonomico

per una serie di motivi:

a) la TV non dovrà essere posizionata a meno di un metro dall’utente per ragioni di salute (posizioni

eccessivamente ravvicinate incidono negativamente sulla vista e su altre parti del corpo umano a

causa delle radiazioni dell’apparecchio; inoltre l’eccessiva vicinanza a schermi di notevoli

dimensioni – dai 30 pollici in su – non permette una visione panoramica ottimale);

b) bisogna ritrovare uno spazio adeguato per il posizionamento dell’apparecchio TV in modo che

possa essere visibile in modo comodo da tutti i posti a sedere in salotto;

c) il posizionamento della TV di regola non deve trovare collocazione in punti posti di fronte a

sorgenti di luce naturale (porte-balconi o finestre) specialmente se queste prospettano su lati

dell’appartamento esposti al sole basso sull’orizzonte (Est o Ovest); tale circostanza, infatti,

provocherebbe il riflesso della luce diretta sullo schermo andandone a condizionare (a volte in

modo decisivo) la corretta visione;

d) tra il salotto e l’apparecchio TV non devono essere frapposti ostacoli che ne possano

parzializzare o annullare la possibilità di visione.

Sulla scorta di tali considerazioni si vede quanto il corretto dimensionamento e disposizione

del salotto e delle sue attrezzature complementari (mobile-bar, tavolino, porta-riviste, TV, etc.)

investa un certo numero di problematiche e dovrà avvenire nella sua organicità e non

indipendentemente l’una attrezzatura dall’altra; di contro, in questo arduo compito si è salvati dalla

scarsità di punti di particolare criticità e pericolosità, il che ci permette di poter accettare qualche

compromesso in più in ordine alla perfetta ergonomia degli spazi.

Il soggiorno, in genere, non è costituito solamente dell’unità ambientale “salotto”; molto

spesso a questa viene accoppiata un’altra unità ambientale detta “pranzo”. Comunemente questa

u.a. viene confusa direttamente con il “soggiorno”, che spesso identifica l’arredamento

comprendente il tavolo da pranzo e i “contenitori” ad esso abbinati. In definita la zona “pranzo” non

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risulta altro che un naturale “prolungamento” della cucina con la quale deve necessariamente

esserne collegata in modo il più stretto possibile. In questa u.a. l’attività principale è il “consumare

cibi con ospiti” o anche solamente “consumare cibi” nel caso che manchi il “tinello”. Di tale attività

e degli spazi ad essa connessi e destinati si è già discusso nel paragrafo 2.3.1 in cui sono altresì

riportati gli SMF. Si riporta qui di seguito la fig. 18 a solo titolo di esempio di u.a. destinata al solo

“consumare cibi”.

fig. 18 – SMF unità ambientali per “consumare cibi”.

* * * * *

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2.3.4 – Le CAMERE DA LETTO.

Dopo aver trattato delle zone dell’abitazione dove maggiori sono i rischi di infortuni e pertanto

dove maggiore deve essere l’attenzione da porre nella progettazione degli spazi (“cucina” e “servizi

igienici”) e aver trattato delle funzioni connesse con il “soggiornare”, passiamo alla trattazione

dell’articolazione delle attività elementari, e quindi di quelle complesse, connesse con il “dormire”.

Tale attività in genere, come quelle appena analizzate, non compare mai da sola ma deve

necessariamente essere associata ad altre attività elementari senza le quali il “dormire” normalmente

non viene effettuata. Le attività complementari come il “vestirsi e svestirsi” e il “conservare abiti”

sono attività strettamente connesse con il dormire e pertanto se ne devono prevedere i necessari

spazi a diretto contatto o quanto meno nelle più immediate vicinanze dello spazio per il “dormire”.

L’attività del “dormire” può essere contemplato sia come dormire “promiscuo” (che può

essere “doppio” o “matrimoniale”) e il dormire “singolo. Cominciamo a trattare del “dormire

promiscuo” visto che contempla più implicazioni di interazione tra individui. Primo caso: dormire

matrimoniale. Tale attività prevede l’utilizzo di un’attrezzatura, il “letto”, che deve avere, come si

suol dire, due piazze, cioè essere di dimensioni doppie rispetto a quelle della stessa attrezzatura del

“dormire singolo”; le sue dimensioni medie sono di 180 cm di larghezza e 210 cm di lunghezza.

Ciò per consentire che ciascun utente del “dormire matrimoniale” possa usufruire di un spazio

adeguato senza ingenerare interferenze eccessive con il condividente. Tale attività, essendo

piuttosto statica e senza particolari necessità, non richiede grande attenzione in sé quanto invece ne

richiede la progettazione dello spazio d’uso dell’attrezzatura. Infatti, per recarsi “a letto” l’utente

dovrà godere di uno spazio tale da permettergli di poterlo fare in modo agevole e sicuro. Tale spazio

viene dimensionato ergonomicamente in base alla percorrenza e all’ingombro trasversale della

persona, vale a dire che avrà larghezza di 60 cm e lunghezza pari al perimetro libero del letto

(generalmente circa tre lati, escludendo quindi la testiera). In tal modo lo SMF funzionale del

“dormire matrimoniale” diventa di cm 300x270, cioè:

larghezza 300 (=180+60+60) ● lunghezza 270 (=210+60) (fig. 19).

fig. 19 – SMF per letto matrimoniale (“dormire promiscuo”).

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In genere lo spazio d’uso del letto è uno spazio ad uso plurimo: esso, infatti, viene spesso

anche usato per l’attività di “svestirsi e vestirsi”, attività necessaria prima e dopo il “dormire”.

Inoltre lo stesso spazio, ma questa volta non legato in alcun modo se non per la comunione

dell’attrezzatura, viene utilizzato per l’attività del “rassettare letto”, vale a dire per riordinare

l’attrezzatura dopo averla usata. Tale attività in genere è staccata da quella principale dal punto di

vista temporale, potendone essere differita di un tempo non definito.

Annesso, e spesso interconnesso, allo spazio d’uso del letto vi deve essere anche lo spazio

per l’attività del “conservare abiti”. Tale attività è più articolata del “dormire” in quanto le

attrezzature sono varie e spesso distinte per tipologia di abiti. In effetti, i contenitori per abiti vanno

dal semplice comodino (un mobiletto di dimensioni ridotte, in genere non superiori a 60x50/60 cm),

al cassettone (il cosiddetto “vecchio” comò, dotato di cassetti molto ampi e avente dimensioni

medie di 150x60 cm), all’armadio (contenitore di maggiori dimensioni in cui avviene la

conservazione della maggioranza degli abiti, avente dimensioni medie di 280/320x60 cm). Per

ognuno di queste attrezzature vi sono i rispettivi SMF.

Cominciamo dal “comodino”. Esso, come detto, è il più piccolo, con dimensioni medie

60x50/60 cm, nel quale vengono conservati normalmente gli indumenti intimi e quelli per la notte.

Avendo anche spesso funzione di appoggio notturno di oggetti personali (orologio, occhiali, libri,

etc.) esso è posto a diretto contatto con il letto in prossimità della testiera e ai lati di esso,

occupando così la larghezza dello spazio d’uso del letto ed avendo uno spazio d’uso, a sua volta,

promiscuo con lo spazio d’uso del letto stesso. Non vi è generalmente interferenza anche perché i

due spazi, anche se promiscui, sono utilizzati dallo stesso utente, il quale lo userà o per l’una o per

l’altra attività. In tal modo lo SMF del comodino diventa 60x120/130 cm (profondità dello spazio

d’uso davanti al comodino = 70 cm per posizione abbassata dell’utente).

Passiamo al “cassettone”. È un contenitore in genere non alto più di un normale tavolo

(quindi non superiore a 90 cm); le sue dimensioni di ingombro in media sono di circa 150x60 cm,

mentre lo spazio d’uso deve contemplare due semispazi: il primo, di larghezza circa 50 cm per

l’apertura dei cassetti, il secondo semispazio onde consentire alla persona che lo sta utilizzando di

poter stare in piedi davanti al cassetto aperto in posizione longitudinale, quindi bastano altri circa 50

cm, per un totale della profondità d’uso di cm 100; anche un cassetto basso non comporta

necessariamente uno spazio d’uso oltre i 50/60 cm visto che la larghezza del cassettone di 150 cm

consente un abbassamento anche in atteggiamento laterale rispetto ad esso, il che non implica

particolari scomodità. In tal modo lo SMF del cassettone diventa 150x160 cm. Si noti che lo spazio

d’uso del cassettone in genere può interferire con altri spazi d’uso, come quello del “dormire”

(passaggio), del “vestirsi e svestirsi”, senza creare particolari esigenze; infatti, le attività citate

generalmente non vengono eseguite in modo contemporaneo. Anche l’attività del “vestirsi” fatto da

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una persona contempla, come attività complementare e non contemporanea il “prelevamento” di

abiti dai contenitori. Per questo motivo la posizione che più spesso viene ritrovata al cassettone è

quella di fianco al letto. Occorre far notare che secondo le più recenti tendenze tale attrezzatura

spesso non viene più considerata come indispensabile, trascurandone la sussistenza; in tal modo

tutte le problematiche con essa connesse vengono a cadere.

In definitiva la larghezza minima della camera da letto matrimoniale scaturisce dalla somma:

cm 60 (comodino = passaggio letto) + 180 (letto) + 160 (cassettone con spazi d’uso promiscui) =

cm 400.

Discorso analogo viene altresì svolto per l’”armadio”, che il più delle volte trova posto

addossato alla parete di fronte al letto. Esso, di profondità media di cm 60, necessita di uno spazio

d’uso così articolato: 50 cm per l’apertura delle ante, 70/80 cm per consentire all’utente di poter

riporre e/o prelevare indumenti in modo comodo e sicuro. Lo SMF dell’armadio, quindi è pari a cm

300x190 (=60+50+80).

In tal modo scaturisce la larghezza minima di una camera da letto matrimoniale: cm 210 (letto) +

190 (armadio con spazio d’uso) = cm 400. Quindi una camera matrimoniale “normalizzata” ha

dimensioni cm 400x400. Si riportano qui di seguito alcuni esempi di camere matrimoniali (fig. 20).

fig. 20 – Esempi di camere da letto matrimoniali.

Non è raro, però, il caso in cui la funzione di “conservare abiti” ricoperta dall’armadio non

viene ritrovata nello stesso ambiente dove si dorme, ma viene realizzato per essa un piccolo

ambiente (adiacente alla camera da letto a accessibile solo da essa) specificamente destinato,

chiamato “cabina armadio” o anche “guardaroba”. Tale locale avrà dimensioni ristrette in quanto

vi entra, in genere, una sola persona alla volta che non interferirà quindi con altri componenti della

famiglia. Gli spazi consequenziali dell’armadio, quindi si riproducono in questo ambiente con

esclusione dello spazio occupato dalle ante che in genere mancano. Mancando l’armadio in camera

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da letto matrimoniale questa potrà avere anche dimensioni del solo letto e spazi d’uso, cioè di circa

320x300 cm.

Passando ad esaminare le camere per il “dormire singolo” o il “dormire doppio (non

matrimoniale)”, possiamo sicuramente affermare in modo non banale che la funzione del

“dormire” (singolo, doppio o matrimoniale che sia) si estrinseca sempre con gli stessi spazi e con le

stesse attrezzature; ovviamente nel “dormire singolo” il letto è ad una piazza, quindi dimensioni

pari a 90x210 cm. Ciò che è stato previsto, quindi, per le altre funzioni legate con il “dormire

matrimoniale” può essere qui riportato pari pari, ma adeguandone gli SMF in quanto si sviluppano

su un lato solo del letto mentre l’altro spesso è addossato alla parete. Quest’ultima eventualità

costituisce una variante di cui bisogna tener conto quando dobbiamo assicurare anche lo spazio per

rassettare il letto, quindi prevedere almeno due lati liberi dell’attrezzatura. Se il letto risulta

incassato, come avviene per esempio negli arredi cosiddetti “a ponte” (fig. 21), esso dovrà essere

necessariamente di dimensioni inferiori rispetto al vuoto del ponte, proprio per consentire un

agevole rassetto del letto.

fig. 21 – SMF per letto singolo con tipologia “a ponte”.

Lo SMF del dormire singolo, pertanto può riassumersi in cm 160x270. La fig. 22 contribuirà

a comprendere meglio l’articolazione degli spazi.

fig. 22 – SMF per letto singolo (“dormire singolo”).

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Nel caso, invece, che il dormire sia “doppio” gli spazi non necessariamente devono essere

raddoppiati in quanto bisogna solo aggiungere, a fianco del comodino (in questo caso ad uso

promiscuo), lo spazio per l’altro letto. Lo spazio dei 70 cm intermedio e lo spazio ai piedi dei letti di

60 cm risultano più che sufficienti per lo svolgimento promiscuo della funzione del “vestirsi e

svestirsi” (vedasi fig. 22), con una dimensione minima per il “dormire doppio” di 250x270 cm.

fig. 23 – SMF per letti singoli (“dormire doppio”).

Naturalmente la disposizione della fig. 23 non è l’unica cui si può pervenire, dipendendo

molto anche dalle dimensioni degli ambienti in cui si va ad operare, spesso dettate da dimensioni

standard di ambienti vicini (“Letto Matrimoniale”, “Bagni + disimpegno”, etc.); inoltre nella fig. 23

non risultano ancora reperiti gli spazi per la “conservazione degli abiti” (indispensabile) nonché

altri spazi che in genere vengono ritrovati anch’essi nelle “camerette” (come vengono comunemente

chiamati questi ambienti), vale a dire lo spazio per “studiare”, per “operare col computer”,

“leggere”, “relax”, etc. Tutte queste funzioni dovranno trovare la giusta collocazione nello stesso

ambiente che quindi dovrà necessariamente essere considerato più ampio dei 270x250 cm

riscontrabile nella fig. 23.

Si riportano alla pagina seguente immagini esemplificative di quanto appena descritto. Nella

fig. 24 cono visibili esempi di armadiature (in genere vige sempre la buona norma, come in cucina,

di assicurare a ciascun componente della famiglia una lunghezza di armadio di almeno 150 cm),

mentre nella fig. 25 sono illustrate alcune tipologie di scrivanie con i relativi spazi.

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fig. 24 – Ingombri di armadiature.

fig. 25 – SMF di varie tipologie di scrivanie (anche postazioni computer).

A solo titolo esemplificativo, peraltro non esaustivo, si riportano ancora di seguito, nella fig.

26 di pagina seguente, alcune piante schematiche di “camerette”.

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fig. 26 – Esempi di camere da letto “singole” e “doppie”.

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2.3.5 – La “CIRCOLAZIONE”.

Una volta determinati gli spazi per le attività elementari e complesse che normalmente si

svolgono nell’abitazione “media” e ricondotte queste a spazi delimitati, racchiusi o meno in pareti,

corre la necessità di analizzare gli spazi connessi con il collegamento comodo e sicuro tra le varie

u.a.. Tali spazi, definiti genericamente “circolazione” sono il cosiddetto “tessuto connettivo”

dell’intero alloggio: infatti, come in un corpo umano la pelle costituisce il tessuto di connessione

che tiene insieme e collega tra loro tutte le parti del corpo, così gli spazi adibiti alla “circolazione”

domestica consentono i collegamenti necessari onde assicurare il comodo e sicuro utilizzo dei vari

spazi e quindi lo svolgimento ergonomico di tutte le attività previste.

Spesso nelle abitazioni degli ultimi anni gli spazi di connessione non vengono definiti con

pareti, restando piuttosto delineati dai “bordi” degli spazi delle varie attività (vedasi, ad es., lo

spazio tra “salotto” e “pranzo” che può essere destinato alla interconnessione non solo delle due

attività che divide, ma anche come zona di passaggio per altri spazi domestici). Il tessuto connettivo

tradizionale, invece, è costituito da locali più o meno estesi, di forme varie ma per lo più

rettangolari. Tali spazi assumono diversi nomi a seconda del variare di taluni parametri; i nomi più

comuni sono: “corridoio”, “disimpegno”, “office”. In effetti la distinzione tra i tre nomi è più che

altro “accademica”, cioè tutti rientrano nella classe dei “disimpegni”, quindi tutti possono essere

definiti con tale nome.

In via accademica la differenza tra i tre tipi deriva dalla loro diversa conformazione.

Il “corridoio” è un locale di forma prevalentemente rettangolare allungata in cui la

dimensione della lunghezza è di molto preponderante rispetto a quella della larghezza (ad es., si

pensi al corridoio di un albergo, sul quale si aprono le porte delle varie camere) (fig. 27). In esso

spesso accade che le porte sono posizionate solamente alle due estremità del rettangolo, ma cneh

qualche porta saltuaria mediana non ne altera la nomenclatura.

Il “disimpegno”, invece, può avere forma diversa dal semplice rettangolo, ma la

predominanza è la percentuale di varchi rispetto al totale dell’estensione delle sue pareti (fig. 28).

Infine, l’”office” (che, al contrario della “fonica” traduzione dall’inglese, non significa

“ufficio” ma piuttosto “spazio di manovra”) è uno spazio, spesso quadrato o anche rettangolare, di

dimensioni ridotte e con i lati di dimensioni simili tra loro; esso è per lo più un luogo di rapido

passaggio, con le pareti costituito prevalentemente da porte che possono essere in numero di due,

tre o quattro (fig. 29). Quando permette di accedere, ad esempio, da una cucina o da un soggiorno ad

un servizio igienico con accesso non diretto, esso prende spesso il nome di “zona-filtro”, nome

dovuto al fatto che per le sue caratteristiche morfologiche limita il passaggio da un ambiente

all’altro di odori e rumori che potrebbero molestare la privacy o comunque essere non in conformità

con norme e/o usanze igieniche.

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Spesso nelle zone adibite alla circolazione domestica è facile riscontrare la presenza di

contenitori “a muro” (come appunto in fig. 27), cioè armadi e/o ripostigli ricavati tra le pareti e

chiusi solo anteriormente da pannelli mobili in legno o altro materiale. In tal caso la larghezza delle

vie di circolazione deve assicurare la compresenza di una persona intenta a riporre o prelevare abiti

e/o oggetti mentre un’altra persona dovrà passarle alle spalle senza determinare pericolo per

nessuna delle due. Avendosi, in genere, un uso piuttosto saltuario dei contenitori a muro non è

necessario prevedere la promiscuità dello spazio d’uso e di quello di passaggio (che comporterebbe,

per le considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, una larghezza totale non minore di 180 cm

davanti all’armadio, assolutamente esagerata in funzione di spazi spesso ristretti in cui ci si trova ad

operare), ma solo la presenza delle persone, quindi larghezza non inferiore a 110/120 cm.

fig. 27 - corridoio

fig. 28 - disimpegno

fig. 29 - office Discorso a parte merita la zona denominata “ingresso”, nella quale, oltre alla normale

circolazione degli abitanti dell’alloggio, dovrà essere resa di dimensioni tali da poter accogliere in

modo alquanto comodo ospiti (“ricevere ospiti”). Inoltre, anche nel caso di una famiglia che rientri

insieme dovrà esserci uno spazio sufficiente perché ciascun componente possa in modo abbastanza

agevole togliere soprabiti o quanto non più necessario. Ciò comporta uno spazio che dovrà

contenere almeno tre persone in piedi; nel caso di ricevimento di ospiti dovrà comprendere oltre alla

persona che va ad aprire il portoncino d’ingresso anche una media di due persone che devono essere

ospitate. Pertanto lo spazio dove è ubicato il portoncino dovrà essere di ampiezza maggiore della

larghezza di un normale corridoio (quindi maggiore di 110/120 cm),

dovendo oltretutto contenere un’attrezzatura adeguata per la

conservazione temporanea dei soprabiti stessi. Una dimensione minima

di 150x150 cm, quindi, sembra assicurare uno spazio coerente con il

genere di attività di cui si sta parlando. A tal proposito può farsi

riferimento alla fig. 30 in cui si riporta un esempio di “ingresso”.

* * * * *

fig. 30 - ingresso

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3. ZONE OMOGENEE DELL’ALLOGGIO. Ma le varie “unità ambientali” – di cui finora si è discusso – come vanno aggregate

nell’unità abitativa? Il “bagno” piò essere posizionato vicino alla cucina o va necessariamente

posto in prossimità delle camere da letto? Di queste e di altre domande similari ne potremmo fare

tante; cerchiamo, quindi, di fornire qualche risposta in merito.

In ogni Unità Abitativa dovrebbe essere facilmente individuabile una suddivisione in macro-

zone che chiamiamo genericamente “omogenee”; col termine adoperato si intendono indicare quei

“macro-spazi” in cui siano raggruppate, in modo diversamente articolato, tutte quelle attività che

siano caratterizzate da una o più delle seguenti condizioni:

a) correlate con “legami forti”;

b) accomunate da condizioni di privacy;

c) accomunate da condizioni di non privacy.

Tali macro-zone sono individuate in numero di tre per ciascun alloggio: “zona-giorno”,

“zona-notte”, ”area di interconnessione e filtro” (fig. 31).

fig. 31 – schema di suddivisione in macrozone di un alloggio

Nella prima zona possiamo in genere ritrovare la cucina e il soggiorno-salotto; infatti, questa

macro-zona racchiude una serie di unità ambientali in cui si svolgono attività elementari più o meno

strettamente interconnesse con legami forti o che comunque abbiano in comune il fatto rilevante di

venir svolte tutte di giorno (da cui discende il nome).

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Nella seconda zona, invece, trovano collocazione tutte le attività che richiedono una certa

privacy rispetto alle attività diurne di cui appena citato, quindi tutte le attività connesse con il

“dormire”, attività elementare eminentemente notturna. Le unità ambientali facenti parte della zona-

notte sono, quindi, tutte le camere da letto. Spesso in questa zona andrà ritrovato anche almeno uno

dei locali per “servizi igienici”, visto che sono strettamente legati con la funzione “dormire”. Più

spesso, però, questi locali li si fa rientrare nella terza zona, detta di “interconnessione e filtro”, ma

che con unica parola potrebbe essere chiamata “di servizio”; infatti, in questa zona trovano

collocazione tutte quelle aree destinate alla circolazione, al collegamento spaziale tra due o più

unità ambientali, ma anche qualcuno dei locali di servizi igienici presenti nell’alloggio onde

renderlo più facilmente accessibile da chi frequenta la zona-giorno e abbia necessità di fruire del

servizio senza per questo costringere la persona a recarsi nella zona notte. Tale zona viene chiamata

anche “zona-filtro” perché, mediante uno spazio isolabile mediante pareti e porte, può contribuire

all’isolamento acustico oltre che visivo tra la zona-giorno (zona in cui la vita ha dei notevoli

coinvolgimenti dei sensi) e zona-notte (dove invece i sensi dovranno essere sollecitati il meno

possibile).

Nella disposizione dei vari ambienti, già organizzati in macro-zone per motivi di

funzionalità interna, bisogna anche far riferimento all’impatto ambientale dovuto a fattori esterni,

quali il “soleggiamento”, l’”esposizione”, la “sicurezza”, la “rumorosità”etc. Per quanto riguarda il

soleggiamento è ovvio che si preferisce il più possibile orientare gli ambienti in cui si soggiorna per

più tempo verso punti ben soleggiati: ad esempio, la cucina dovrebbe essere ben esposta verso Est o

verso Ovest, così come il soggiorno-salotto verso Sud. In effetti non sempre è possibile riuscire a

garantire il giusto soleggiamento a tutti gli ambienti; è opportuno, comunque, sforzarsi il più

possibile di evitare almeno il verificarsi di circostanze sfavorevoli, come ad esempio potrebbe

essere una cucina esposta a Nord, o anche il soggiorno scarsamente soleggiato.

Generalmente si tende ad orientare verso il Nord i servizi igienici, locali in cui la

permanenza è ridotta in termini di tempo e nei quali le attività svolte poco hanno a che vedere con

la presenza o meno di sole.

Le camere da letto potranno trovare una giusta collocazione verso Nord o verso Est; ma

anche rivolte verso Ovest o verso posizioni intermedie con il Nord non si considerano

incongruenze. L’attività del “dormire”, infatti, viene svolta prevalentemente di notte, quando cioè la

luce del sole non c’è; essa potrebbe essere solamente una “dolce caratteristica del risveglio(!)” se la

camera è ad Est, ma non certo c’è da scandalizzarsi se il sole non lo si vede affatto quando ci si

sveglia!.

Anche la rumorosità dell’ambiente esterno potrà avere una parte importante nella

disposizione delle unità ambientali nell’alloggio: prospettare su una strada trafficata o su una

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ferrovia o volgere alcune finestre verso un vicino aeroporto potrà sicuramente condizionare la

posizione di alcune camere: infatti, non sembra certo di tutto riposo una camera da letto che si apre

verso una fonte pressoché continua di rumore, essendo certamente più opportuno posizionarla

prospettante dal lato opposto, anche se questo dovesse essere esposta a Sud e il soggiorno ritrovarlo

a Nord! Sono quelle tali situazioni di compromesso con le quali fatalmente non esiste progettazione

con le quali non sia necessario scontrarsi e che rendono tutte le progettazioni “mai perfette”!

Si riportano di seguito alcuni esempi di progettazione di alloggi di dimensioni e consistenze

variabili a seconda del numero di abitanti (figg. 32 – 33 – 34 – 35)..

fig. 32 – monolocali (uno o due persone)

fig. 33 –bilocali ( due o tre persone)

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fig. 34 –trilocali ( quattro persone)

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fig. 35 –quadrilocali ( cinque persone)

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4. ZONE ESTERNE E PERTINENZE – Giardini, Parcheggi, Garages. 4.1.1 – Il Giardino.

Questo spazio non rappresenta certamente una condizione assolutamente indispensabile per

l’esistenza di un alloggio, anzi, nella maggior parte dei casi questo è uno spazio che non viene

affatto ritrovato al servizio di un alloggio. Esso in genere può trovarsi come accessorio di un

appartamento al piano rialzato di un “edificio in linea” (un edificio viene definito “in linea”

quando è composto da un certo numero di appartamenti asserviti da una scala in comune dalla

quale avviene l’accesso) oppure, seppure di dimensioni minime, al servizio di “villette a schiera”

(un edificio viene definito “villette a schiera” quando è composto da un certo numero di villette

affiancate, con affaccio da due lati opposti e con accessi singoli che avvengono da una strada in

comune). È sicuramente, invece, un’area irrinunciabile in una “villa singola” o anche in una “villa

doppia” (un edificio viene definito “villa singola” quando costituisce un edificio monoifamiliare

isolato dotato di terreno tutto intorno all’edificio variamente attrezzato; si definisce, invece, “villa

doppia” quando è composto da un due ville affiancate, con affaccio su tre lati opposti, un lato in

comune e con accessi singoli che avvengono dalla strada) in quanto rientra nella definizione stessa

della tipologia edilizia. Attrezzare un giardino esula dagli scopi di questo corso, essendo frutto di

una scienza specifica ed appropriata (quale è la Botanica) per la quale è necessaria la presenza di

esperti della materia. Si rinvia, pertanto, ad un eventuale corso specialistico l’attingimento di notizie

più dettagliate.

* * * * *

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4.1.2 – Le “aree aperte” al servizio dell’alloggio e ad esso connesse.

Solo un accenno all’attrezzatura delle aree esterne agli alloggi e alle pertinenze.

Le aree esterne all’alloggio e più a diretto contatto con esso devono essere distinte nel caso

di cui trattasi di appartamenti situati al piano terra o alloggi dei piani elevati. Nel primo caso le aree

esterne si integrano con zone coltivate a giardino, più a diretto contato con il verde, quindi

sicuramente più ampie e di maggiore facilità nella loro attrezzatura e dimensionamento.

Discorso più articolato meritano gli spazi esterni agli appartamenti situati ai piani superiori:

in questo caso essi assumono i nomi di “balcone” (se ha dimensioni ridotte in larghezza e in

lunghezza; se è piuttosto lungo spesso viene denominato “balconata”), “loggia” (se ha dimensioni

più ampie e articolate del balcone), “terrazzo” se le sue dimensioni consentono lo svolgimento di

varie attività anche micro-sportive (ad es., tennis-tavolo, calcio balilla, o anche calcetto, minibasket,

etc.).

Nel caso del balcone (o della balconata) le attività che vi si possono svolgere sono

sicuramente limitate, in genere una persona per volta può accedervi per l’attività di “stendere abiti

(lavati)”, oppure per “depositare attrezzature mobili” (come scope, secchi, pattumiere, etc.). su esso

normalmente risulta pressoché impossibile svolgere l’attività di “consumare cibi all’aperto”.

Questa attività, invece, può più facilmente essere svolta su una loggia, uno spazio

sicuramente più ampio di un balcone almeno nel senso della larghezza per cui le dimensioni non

sono mai inferiori a cm 200x200; solo in tal modo, infatti, potrà essere collocato almeno un piccolo

tavolo di 100x100 cm intorno al quale almeno tre persone possono trovare posto per consumare

cibi. Ovviamente su di essa possono svolgersi anche altre attività all’aperto, anche se, com’è ovvio

gli spazi a loro disposizione sono veramente limitati.

In ultimo c’è il terrazzo, uno spazio decisamente più ampio da sfruttare in modo vario e

polivalente: “hobby all’aperto”, “consumare cibi all’aperto”, “praticare micro-sport all’aperto”,

“giardinaggio”, etc.. Di questo non ci sono particolari studi in ordine agli spazi in quanto è da

considerarsi una disponibilità accessoria all’alloggio e sfruttabile secondo la fantasia e le possibilità

degli utenti.

In tutti i tre casi appena citati, comunque, particolare attenzione andrà posta nella

progettazione del parapetto, che dovrà evitare le cadute dall’alto; esso, pertanto, non dovrà essere di

altezza inferiore ai 90 cm, dovrà sopportare una spinta orizzontale di almeno 120 kg/m e, nel caso

non sia costituito da muretto pieno per non occludere il soleggiamento delle unità ambientali che

asserve, dovrà essere realizzato in modo da evitare che persone piccole (in particolare bambini) non

debbano poter attraversare le eventuali inferriate.

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4.1.3 – Parcheggi e Garages.

Per completare il discorso sugli SMF delle unità abitative, anche se le aree che si sta per

presentare non fanno materialmente parte dell’alloggio ma ne rappresentano soltanto delle

pertinenze, si riportano qui di seguito le dimensioni inerenti “posti auto all’aperto” e “garages”,

cioè gli spazi destinati agli autoveicoli. Ormai le auto, in numero di due e anche più per famiglia,

fanno parte attiva del vivere quotidiano e rappresentano un elemento imprescindibile anche nel

mercato immobiliare: il valore di mercato di un appartamento, infatti, può essere sensibilmente

influenzato (in termini percentuali anche del 10-15% in più o in meno) se esso gode o meno di

posto auto di pertinenza. Pertanto dimensionare correttamente un’abitazione significa fatalmente

dotare e dimensionare correttamente anche il posto auto e/o il garage.

Premesso ciò, in considerazione delle dimensioni medie di un’auto di media cilindrata di

oggi (all’incirca pari a m 5,00x1,70) ogni posto necessita di circa 12-14 mq di spazio all’aperto. Se

a questo si aggiunge l’incidenza dello spazio di manovra oltre che di accesso e di deflusso, si ottiene

che un “parcheggio” per più autoveicoli dovrà essere dimensionato in modo da conteggiare almeno

tra i 18 e i 26 mq per ciascuna auto, a seconda se lo spazio di manovra asserva una o due file di

auto. Ad esempio, se bisogna prevedere il parcheggio di 20 automobili su due file contrapposte

bisognerà ritrovare un’area libera di circa 400 mq, dei quali circa 240-260 mq sarà quella parte di

area destinata allo stazionamento dei veicoli e la restante area per la necessaria circolazione e

manovra. Nella figura che segue si riportano alcuni casi esemplari (fig. 36).

fig. 36 – esempi di posti auto e spazi di manovra

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Nel caso, invece, di posti auto al chiuso e al diretto servizio dell’alloggio si parla non più di

“posti auto” ma di “box auto” (dal termine inglese “box” = scatola, per indicare il volume chiuso in

cui si deposita il veicolo) o anche detto “garage”. Questo potrà essere a uno o a due posti; in ogni

caso in genere si dimensiona in modo che ciascun posto auto incida per una superficie ad esso

destinata di circa 16-20 mq. Ovviamente nel loro dimensionamento dovrà tenersi conto di assicurare

la giusta e sicura accessibilità del/i veicolo/i allo spazio all’uopo destinato; le dimensioni di un box

auto singolo, infatti, non dovranno mai avere una lunghezza inferiore ai 5,00 m né una larghezza

inferiore ai 2,50 m; ciò per assicurare: a) che l’intero veicolo entri nel box consentendo una totale e

sicura chiusura della porta di accesso; b) che la larghezza del veicolo in relazione alla larghezza del

box consenta al guidatore di uscire dall’auto in modo agevole.

Infine l’altezza netta di ciascun garage, specialmente quando questi sono ubicati nel piano

interrato o seminterrato di un edificio, per ragioni si sicurezza in ordine ai carburanti contenuti nel

serbatoio per i quali c’è il pericolo di scoppio e/o di incendio, non dovrà mai essere inferiore a 3,30

m (se il piano accoglie più di nove auto) o a 2,50 m (se invece le auto non superano tale limite. Il

limite di 3,30 m è imposto dalla normativa antincendio, dovendosi assicurare l’ingresso di

un’autopompa dei VV.FF. in caso appunto di incendio; nel caso di numero ridotto di auto, invece, si

presume che l’autopompa possa fermare fuori e raggiungere il luogo dell’incendio solamente con le

manichette.

La prossima figura chiarirà meglio quanto descritto in ordine alle superfici (fig. 37).

fig. 37 – esempi di box auto (per uno o due veicoli)

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Elementi di PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA e

FUNZIONALIZZAZIONE degli SPAZI ABITATIVI

INDICE

1. GENERALITA’ …………………………………………………. Pag. 3 2. PROGETTAZIONE EDILIZIA ERGONOMICA ……………… “ 5 2.1 Concetti di base ……………………………………………… “ 5 2.2 Elenco delle attività elementari e loro legami interattivi ……. “ 7 2.3 Spazi Minimi Funzionali (SMF) …………………………….. “ 10 2.3.1 – La CUCINA ……………………………………… “ 10 2.3.2 – I SERVIZI IGIENICI …………………………….. “ 17 2.3.3 – Il SOGGIORNO ..………………………………… “ 24 2.3.4 – Le CAMERE DA LETTO ...……………………… “ 27 2.3.3 – La CIRCOLAZIONE ……..……………………… “ 34 3. ZONE OMOGENEE DELL’ALLOGGIO ……….……………… “ 36 4. ZONE ESTERNE E PERTINENZE – Giardini, Parcheggi, Garages. “ 41 4.1.1 – Il Giardino ……………………………………….. “ 41 4.1.2 – Le “aree aperte” al servizio dell’alloggio e ad esso connesse ………………………………………… “ 42 4.1.3 – Parcheggi e Garages ……………………………… “ 43

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