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Fondazione ISTUD per la cultura d’impresa e gestione
XIII Ed. Programma “Scienziati in Azienda”
PROJECT WORK
L’IMPATTO DEL LAY OUT AMBIENTALE SUL
BENESSERE E SULLA PRODUTTIVITÀ DI UNA
ORGANIZZAZIONE: ANALISI NELLE AZIENDE
FARMACEUTICHE E BIOMEDICALI
Autori:
Maria Ilaria Roselli Francesco Rocco
Marcello Salis Antonio Cipriani
Lorenzo Del Giovane Marco Magliocchetti
INDICE
INTRODUZIONE pag. 1 1) BENESSERE ORGANIZZATIVO “ 2
1.1) Principali teorie organizzative “ 2 1.2) Il concetto di salute/benessere organizzativo “ 5
2) NORMATIVA SULLA SICUREZZA IN UFFICIO “ 7 3) ORGANIZZAZIONE DEGLI SPAZI IN AZIENDA “ 14
3.1)Prossemica “ 14 4) AREE AZIENDALI “ 17
4.1) Tipi di ufficio “ 18 4.1.1) Ufficio postazione singola “ 19 4.1.2) Ufficio condiviso “ 19 4.1.3) Open space “ 19 4.1.4) Flex office “ 20
5) MALATTIE PROFESSIONALI IN UFFICIO “ 22 6) AMBIENTE A MISURA D’UOMO: ERGONOMIA IN UFFICIO “ 25
6.1) Ergonomia della visione “ 25 6.2) Problemi posturali “ 26
7) MICROCLIMA, AERAZIONE E ILLUMINAZIONE NEI LUOGHI DI
LAVORO “ 28 7.1) Benessere termico “ 28 7.2) Condizioni illuminotecniche “ 29 7.3) Condizioni acustiche “ 31
8) L’EVOLUZIONE DELLA CONSAPEVOLEZZA DELLA PRODUTTIVITÀ
DEI DIPENDENTI IN RELAZIONE AL DESIGN D’UFFICIO “ 33 9) LE COMPONENTI DI DESIGN CHE AUMENTANO LA PRODUTTIVITÀ
DAI DIPENDENTI E DIMINUISCONO LO STRESS LAVORO-CORRELATO “ 36 10) MATERIALI E METODI “ 40 11) ANALISI DEL QUESTIONARIO “ 41 12) CONCLUSIONI “ 44
BIBLIOGRAFIA “ 45 QUESTIONARIO “ I
1
INTRODUZIONE
Nel mondo occidentale, la maggior parte delle persone passa gran parte del proprio tempo in
ambienti chiusi, i quali ne influenzano lo stato mentale, le azioni, le abilità e la performance
(Sundstrom, 1994). Il luogo di lavoro nei paesi industrializzati rappresenta uno degli spazi chiusi in
cui l’individuo passa una grossa percentuale della sua giornata e ciò influisce sul personale stato di
benessere.
In letteratura ci sono diversi studi che dimostrano come un ambiente di lavoro poco organizzato e
insoddisfacente possa causare una diminuzione della produttività del lavoratore, in termini di
stimolo, creatività e innovazione, effetti di cui beneficerebbe non soltanto il diretto interessato ma
anche l’azienda per cui lavora (Carnevale, 1992). D’altro canto, un ambiente di lavoro progettato
per garantire elevati livelli di benessere organizzativo e che sappia venire incontro alle specifiche
esigenze del dipendente in termini di salute ed ergonomia, avrà un outcome completamente diverso
favorendo quindi la produttività associata ad una determinata funzione.
Lo scopo di questo studio è stato analizzare in che misura l’attuazione delle norme in materia di
salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, la progettazione e un’organizzazione adeguata del
workplace possano impattare sul benessere e sulla produttività dell’individuo, in termini di migliore
performance lavorativa.
In particolare l’attenzione si è soffermata sull’analisi del workspace nelle organizzazioni aziendali
farmaceutiche e biomedicali avvalendoci di un questionario, validato da precedenti studi scientifici
(Hameed et al., 2009), che ha costituito supporto sperimentale del lavoro.
Esula dagli obiettivi di questo studio stilare un elenco delle aziende economicamente più produttive
e con un più confortevole lay-out ambientale.
Le aziende che hanno preso parte all’indagine, hanno permesso di estrapolare un dato prettamente
descrittivo e non statistico, degli obiettivi dello studio e per motivi di privacy, non è stato possibile
indicarne il nome.
2
1. BENESSERE ORGANIZZATIVO
Il benessere organizzativo può essere inteso come la capacità di un’organizzazione di promuovere e
mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori, collegato ad una
serie di variabili di natura organizzativa che ne complicano e, talvolta, ne arricchiscono la
definizione.
In letteratura c’è un ampio accordo nel ritenere che lo stato di benessere di un’organizzazione derivi
da un insieme di parametri, tra i quali non può non essere considerato anche il cosiddetto clima
organizzativo, ovvero l’atmosfera prevalente che circonda l’organizzazione, il livello del morale e
l’intensità dei sentimenti di appartenenza e di affezione e buona volontà che si riscontrano tra i
dipendenti (Mullins, 2005). Il clima influenza l’attitudine dei lavoratori a concentrarsi sulla loro
performance lavorativa e sulle relazioni personali e, a sua volta, è influenzato dal grado di
accettazione, da parte dei dipendenti, della cultura dell’organizzazione. Questa è costituita dai modi
di pensare, di sentire e di reagire acquisiti e trasmessi principalmente attraverso simboli, che
costituiscono la caratterizzazione distintiva dei gruppi di persone.
1.1) Principali teorie organizzative
Alla fine del XIX secolo si sono affermate diverse scuole classiche concentrate su due principali
teorie organizzative (Gabassi, 2003): lo Scientific Management di Taylor (1911) e la teoria di Fayol
(1916).
In particolare la teoria di Taylor aveva come obiettivo l’aumento dell’efficienza lavorativa
attraverso il miglioramento del rendimento del lavoratore, la parcellizzazione delle mansioni
esecutive, lo studio dei tempi e dei metodi per trovare la one best way, la definizione dei salari
commisurati ai rendimenti e la separazione tra progettazione ed esecuzione. I tecnici che operavano
nell’ambito di questo approccio teorico progettavano le organizzazioni esattamente come se
stessero progettando delle macchine, prestando scarsa attenzione agli aspetti umani e allo stato di
salute dei lavoratori. La teoria meccanicistica aprì nuove prospettive di ricerca, fino a far emergere
una visione dell’organizzazione totalmente contrapposta (Bonazzi, 2002).
Fayol (1916) si chiede “Cos’è il management?” e per trovare una risposta adeguata analizza la
natura della funzione di direzione, formulando una teoria amministrativa completa. Le definizioni
che Fayol ha dato del contenuto della funzione amministrativa (pianificare, organizzare, comandare,
coordinare e controllare) sono state considerate per lungo tempo princìpi fondamentali di direzione
aziendale. La visione di questo autore, che associa strategia e teoria organizzativa e sottolinea la
3
necessità di far evolvere la funzione di comando e di sviluppare le qualità di leadership, si rivelano
molto in anticipo sul suo tempo.
La scuola delle Relazioni Umane tentò di superare i limiti della prospettiva taylorista, attribuendo
sempre più importanza alla natura sociale e relazionale dell’individuo. Tale indirizzo di studio,
proposto da Mayo, si basa su elementi che erano stati precedentemente trascurati e sottolinea
l’importanza del fattore umano (Nelli, 1994). Secondo questa scuola per una buona organizzazione
è necessario migliorare le relazioni, assicurare un buon clima, attivare processi di cambiamento.
Mayo privilegia le motivazioni psicologiche del lavoratore e il desiderio di autoaffermazione
personale che, a suo avviso, anima ogni individuo. Con questo approccio, quindi, inizia ad emergere
una specifica attenzione nei confronti del tema della sicurezza non solo per ciò che riguardava la
dimensione fisica, ma anche per tutti gli aspetti legati al benessere psichico del lavoratore. La critica
principale alla scuola di Mayo riguarda la scarsa attenzione data alle motivazioni economiche; non
si teneva in considerazione che la condizione degli operai era determinata dalla loro situazione di
dipendenza economica e dall’insicurezza del posto di lavoro.
La scuola motivazionale di Maslow adotta un approccio empirico e focalizza l’attenzione
sull’adeguatezza dell’ambiente lavorativo ai bisogni degli individui (Avallone, Bonaretti 2003). In
questo approccio si ritiene che la motivazione di un comportamento nasca dalla tendenza
dell’individuo a soddisfare un dato bisogno, avvertito come una tensione interiore. Quando il
soggetto riesce a soddisfarlo rivaluta la situazione e verifica la presenza di nuovi ed ulteriori
bisogni. Maslow ha teorizzato che il comportamento della persona, anche sul lavoro, tende alla
soddisfazione di bisogni ordinati secondo una gerarchia che questo autore ha rappresentato
all’interno di una struttura piramidale (Gambini, 2008). Secondo Maslow partendo dal basso si
distinguono le seguenti categorie di bisogni umani: bisogni fisiologici, legati alla sopravvivenza
immediata; bisogni di sicurezza, fisica ed emotiva relativi alla sopravvivenza a lungo termine;
bisogno del senso di appartenenza, ad esempio identificazione con il gruppo o l’azienda, e di un
ambiente socievole e gradevole; bisogno di stima e autostima; bisogno di autorealizzazione
(Barone, Fontana 2005). Il comportamento dell’individuo tende a soddisfare prima i bisogni di
livello inferiore e solo successivamente quelli gerarchicamente superiori.
Anche la teoria della scuola motivazionale è stata criticata in quanto, nonostante appaia
condivisibile che la motivazione di un comportamento nasca dalla tendenza alla soddisfazione di un
bisogno, l’ordine e l’intensità con cui questi bisogni si manifestano non è uguale per tutte le persone
ed inoltre, questi si modificano in funzione del momento e delle circostanze (Grasso, 2002). Alcuni
studiosi hanno tentato di superare il limite insito nel modello di Maslow proponendo di classificare i
bisogni in base a categorie che non stiano in rapporto gerarchico, ma che coinvolgano in modo più
4
complesso la crescita professionale del lavoratore. Il più noto è il modello Existence-Relatedness-
Growth (E-R-G) di Alderfer (1972), secondo il quale i bisogni che i lavoratori desiderano
maggiormente soddisfare sono quelli di esistenza (cioè fisiologici e di sicurezza), quindi quelli di
relazione e infine quelli di crescita professionale e personale. La teoria motivazionalista di Herzberg
(1966), invece, ha teorizzato l’esistenza di due tipi di fattori correlati alla motivazione sul lavoro: i
bisogni correlati strettamente all’attività lavorativa che un individuo svolge, denominati fattori
igienici, e i bisogni che ruotano attorno alla crescita e allo sviluppo professionale e personale, detti
fattori motivanti. I fattori igienici includono ad esempio, la retribuzione, i benefici, la supervisione,
le condizioni di lavoro, la sicurezza del posto di lavoro; i fattori motivanti invece, riguardano la
responsabilità, la crescita, le promozioni, gli obiettivi (Kreitner, 2008). Insieme i fattori igienici e
motivanti determinano il clima di un’organizzazione, ne costituiscono rispettivamente l’aspetto
oggettivo, della struttura e della gestione, e quello soggettivo, dei fini individuali, delle aspettative e
della relazione.
Non è facile definire la cosiddetta scuola moderna, suddivisa dai più recenti autori in due filoni: la
scuola sistemica e le scuole contemporanee. Negli anni ’60 la scuola sistemica si proponeva come
innovativa e inseriva il fattore umano come uno degli elementi che interagivano nel determinare le
caratteristiche e il funzionamento dell’organizzazione. Il merito dell’analisi sistemica è quello di
aver sottolineato che l’individuo e l’organizzazione non sono entità isolate e chiuse, ma sono
inserite in un ambiente con il quale hanno dei rapporti di interrelazione e dipendenza (Gabassi,
2003).
Studiosi diversi concordano nel ritenere che non esistono verità assolute e principi applicabili
sempre e ovunque (Grasso, 2003). A partire da questo assunto la scuola situazionale, nata intorno
agli anni ’80, ha contribuito alla diffusione della consapevolezza che nessuna delle teorie
organizzative è adatta allo studio delle diverse circostanze; per questo occorre scegliere in base alla
situazione contingente i principi e le teorie a cui fare riferimento.
Le scuole contemporanee attribuiscono all’organizzazione un ruolo centrale nella gestione della
sicurezza e coloro che si occupano di prevenzione, si trovano nella necessità di ampliare l’ambito di
intervento, ponendo attenzione a un più generale benessere psichico e sociale oltre che fisico,
analizzando i processi organizzativi oltre che tecnici (Borgogni, Petitta 2003).
1.2) Il concetto di salute/benessere organizzativo
Tra il 1950 e il 1960, la rinascita industriale e sociale, fu caratterizzata da una visione più attiva del
soggetto lavoratore, che lo vedeva interagire con il proprio ambiente di lavoro, pur permanendo un
5
concetto di causalità di tipo lineare. Gli aspetti della sicurezza e della salute iniziarono a
comprendere campi come il Job Design, la formazione e la selezione dei dipendenti. Questo tipo di
studi va sotto il nome di Early ergonomics. Si cominciò a prestare attenzione allo stato di salute non
solo fisico, ma anche mentale del lavoratore, considerando le conseguenze psicologiche
(affaticamento, disturbi psicosomatici, ecc.) che la routinizzazione e l’insoddisfazione potevano
produrre.
Sono i cambiamenti sociali degli anni ’70 ad introdurre un’importante novità: la salute non era un
elemento da tenere in considerazione solo nel momento in cui veniva a mancare, ma bisognava
attuare politiche di prevenzione contro gli infortuni sul posto di lavoro; ciò portò allo studio dei
cosiddetti aspetti psicosociali del lavoro (Gabassi, 2007).
Negli anni ’70-’80 si focalizzò l’attenzione sulla prevenzione, Health protection, (Avallone,
Bonaretti,2003). Ben presto fu riconosciuta l’importanza della sicurezza nei contesti lavorativi e
allo sviluppo di questo tema hanno partecipato attivamente i diversi attori del mondo del lavoro a
partire dai sindacati e dai gruppi di lavoratori. Fu sempre più evidente e studiata l’influenza sulla
salute oltre che dei fattori biologici anche di quelli psicologici e sociali, così come l’importanza
della loro combinazione e interazione.
Negli anni ’90 la situazione migliorò anche con la nascita della Occupational Health Psicology
(OHP), una materia interdisciplinare nata dal convergere della psicologia della salute (health
psychology) e la salute pubblica (public health), con lo scopo di ottimizzare la qualità della vita
lavorativa e della sicurezza. In questa prospettiva, gli ambienti di lavoro sani erano caratterizzati da:
alta produttività, alta soddisfazione del lavoratore, buona sicurezza, basso assenteismo, basso
turnover e assenza di violenza. L’OHP interveniva su tre dimensioni fondamentali: l’ambiente di
lavoro, l’individuo e il rapporto lavoro/famiglia, ponendo particolare enfasi sulla prevenzione
primaria ma non trascurando nessuno degli altri livelli preventivi.
L’OHP, pur con alcuni limiti, restava l’iniziativa più improntata al superamento del concetto di
sicurezza, inglobandolo in quello più ampio di salute nell’organizzazione (Avallone, Bonaretti,
2003). Alcuni autori (Raymond,Wood e Patrick, 1990) presentarono uno strumento di valutazione
della salute organizzativa basato su cinque indici costruiti sulla base di due criteri: la caratteristica
temporale degli indicatori (attuali, retrospettivi, e di previsione) e la disponibilità/facilità di raccolta
di dati. L’obiettivo fu quello di stabilire un indice con componenti che racchiudevano misure di
eventi passati (turnover, burnout), situazioni attuali e future (bisogni di cambiamento). Lo
strumento proposto (Organizational Health Report) permetteva di stabilire una soglia dello stato di
salute di un’organizzazione, al di sotto della quale veniva richiesto un intervento “riparatore”. Una
seconda ricerca (Lyden e Klengele, 2000) mirava ad un’ottica di lungo periodo: l’organizzazione in
6
salute non valutava solo la propria capacità di lavorare efficacemente ma anche le proprie abilità di
crescere e svilupparsi.
La salute organizzativa può essere considerata come lo scenario complessivo in cui confluivano
anche gli studi sulla cultura aziendale e sullo stress. Si individuarono degli indici di “malessere”
organizzativo (symptoms) tra cui la diminuzione dei profitti, il decrescere della produttività e
l’assenteismo. Secondo il parere degli autori (Avallone, Paplomatas 2005), controllare la salute di
un’organizzazione significa, oltre che tener sotto controllo gli indici di malessere, monitorare alcune
dimensioni. Gli studi sul benessere nei luoghi di lavoro, con l’eccezione di alcuni contributi più
recenti (Cooper e Marshall (1978), Smith, Kaminstein e Makadok (1995), e Danna e Griffin
(1999)), hanno preso in esame prevalentemente il tema della sicurezza, focalizzando l’attenzione
sulla salute fisica dell’individuo. Poichè l’interesse degli studiosi è rivolto anche alle dimensioni
psichiche, questi, hanno analizzato lo stress piuttosto che il benessere globale, l’individuo stressato
piuttosto che la salute dell’organizzazione (Avallone, Bonaretti, 2003).
Avallone (2005) ritiene che la stessa definizione di salute organizzativa, comparsa negli ultimi
tempi, sia ancora incerta o generica poiché non consente di individuare le condizioni in cui
un’organizzazione si trova in un buono stato di salute ed è in grado di mantenerlo nel tempo
(Avallone, 2005).
7
2. NORMATIVA SULLA SICUREZZA IN UFFICIO
I temi della salute e del lavoro sono di fondamentale importanza per lo Stato Italiano, tanto da
essere esplicitamente tutelati fin dalla carta costituzionale.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Art. 1 “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro (omissis)”.
Art. 32 "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività (omissis)".
Art. 35 "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (omissis)".
Art. 38 "I lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio (omissis)".
Art. 41 "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (omissis)".
Le prime leggi, comunque, sulla sicurezza dei luoghi di lavoro furono introdotte in Italia nel 1930
con il codice penale (Art. 437, “Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali
destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la
reclusione da tre a dieci anni”) e nel 1942 nel codice civile (Art. 2087, “L’imprenditore è tenuto ad
adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e
la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro”) mentre le prime leggi specifiche sull'argomento risalgono agli anni cinquanta.
Una svolta importante, però, in materia di sicurezza sul lavoro si ebbe nel 1994 quando fu introdotto
il Decreto Legislativo 626 che superò le leggi precedenti pur non abrogandole formalmente, dando
una forma organica alle normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Tra le novità introdotte dal d.lgs. 626/94 abbiamo il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (art. 18) che deve essere eletto dai lavoratori stessi e deve essere consultato
preventivamente in tutti i processi di valutazione dei rischi, e l'istituzione della figura
del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione nei confronti del quale cui il datore di
lavoro è responsabile.
8
Il Decreto Legislativo 626/1994 nel 2008 è stato completamente trasfuso nel cosiddetto Testo
Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008), a sua volta successivamente
integrato dal D.Lgs. n. 106 del 3 agosto 2009 recante disposizioni integrative e correttive.
Lo scopo del Testo Unico è
- Compendiare e coordinare tutte le diverse norme emanate in tema di sicurezza sul lavoro in
un unico testo organico
- Definire un completo sistema nazionale di rilevazione e controllo delle problematiche
relative alla sicurezza sul lavoro
- Definire modelli di organizzazione e gestione della sicurezza all'interno delle aziende
- Definire univocamente responsabilità e sanzioni in funzione delle contravvenzioni / reati
commessi in tale campo.
Il Decreto Legislativo definisce anche i parametri che il luogo di lavoro, inteso come ufficio, deve
rispettare, stabilendo obblighi precisi per il datore di lavoro rispetto la salute e la sicurezza dei
propri dipendenti /collaboratori all’interno dell’ufficio messo loro a disposizione.
Il datore di lavoro deve assolvere a questo compito in prima persona e con l’ausilio
dell’RLS (Responsabile Lavoratori per la Sicurezza) e dell’RSPP (Responsabile Servizio
Prevenzione e Protezione), due delle figure che in un luogo di lavoro non possono mancare.
Nell’ambito della tutela dei dipendenti, la sicurezza sul lavoro degli uffici richiede un’attenta
valutazione e verifica rispetto molti rischi che possono minacciare gli appartenenti a questa
particolare categoria di lavoratori. I rischi da valutare per la sicurezza sul lavoro in ufficio sono sia
di natura strutturale (misure minime di abitabilità; vie di fuga e circolazione; microclima) che più
strettamente legati all’individuo (stress lavoro correlato; uso di videoterminali e illuminazione).
Il primo fattore da tenere in considerazione per la sicurezza sul lavoro negli uffici è le misure
dell’ufficio stesso, che dovranno essere tali da garantire idonei standard ambientali.
9
1.2.1. I limiti minimi per altezza, cubatura e superficie dei locali chiusi destinati o da destinarsi al lavoro nelle aziende industriali che occupano più di cinque lavoratori, ed in ogni caso in quelle che eseguono le lavorazioni che comportano la sorveglianza sanitaria, sono i seguenti: 1.2.1.1. altezza netta non inferiore a m 3; 1.2.1.2. cubatura non inferiore a m3 10 per lavoratore; 1.2.1.3. ogni lavoratore occupato in ciascun ambiente deve disporre di una superficie di almeno mq 2 1.1.2.2. I valori relativi alla cubatura e alla superficie si intendono lordi cioè senza deduzione dei mobili, macchine ed impianti fissi.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
Strettamente legato alle misure è il discorso delle vie di fuga pensate per quelle emergenze (incendi,
allagamenti, cedimenti strutturali, ecc..) che richiedano un’improvvisa evacuazione del personale
presente sul luogo di lavoro per raggiungere un luogo sicuro.
1.5.2. Le vie e le uscite di emergenza devono rimanere sgombre e consentire di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
L’attuale normativa prevede che il datore di lavoro predisponga un piano di emergenza pensato per
mettere in salvo i lavoratori e persone presenti in ufficio.
E’ importante che le vie di fuga siano sgombre da impedimenti come materiali, arredi e attrezzature,
così come per le normali vie di circolazione interne che non devono presentare ostacoli di alcun
tipo.
Correlato alle vie di fuga è il tema della segnaletica di sicurezza.
1.5.10. Le vie e le uscite di emergenza devono essere evidenziate da apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata in luoghi appropriati.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
In una struttura nella quale sono presenti uffici occorre prevedere la segnaletica di sicurezza e la
segnaletica per la trasmissione ai fruitori delle informazioni d’orientamento ed il controllo e la
gestione dei flussi.
10
In base alla combinazione di forme e colori dei segnali di sicurezza, questi si possono classificare
in: cartelli di divieto, cartelli di avvertimento,cartelli di prescrizione, cartelli di salvataggio e cartelli
antincendio.
Fig.1 Cartellonistica di sicurezza
Altro aspetto che in un ufficio va curato è quello del microclima per il quale il datore di lavoro
dovrà garantire un’adeguata manutenzione agli impianti di climatizzazione, ove presenti, in modo
che questi ultimi lavorino offrendo sempre prestazioni ottimali.
1.3.1.2. avere aperture sufficienti per un rapido ricambio d’aria; 1.3.1.3. essere ben asciutti e ben difesi contro l’umidità; 1.9.1.1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente ottenuta preferenzialmente con aperture naturali e quando ciò non sia possibile, con impianti di areazione.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
11
Il microclima dell’ambiente ufficio (ambiente chiuso, ambiente confinato) ovvero la temperatura
dell’aria, la sua umidità relativa U.R.%, il suo ricambio condizionano ed influenzano la sensazione
di benessere per chi lavora, fattori che se anomali comportano situazioni di disagio e malessere
amplificabili dall’esposizione a cui sono sottoposti i lavoratori.
Al fine, quindi, di rendere un ambiente di lavoro sano, devono essere monitorate le condizioni
microclimatiche che oltre ad influenzare gli scambi termici tra uomo ed ambiente (sensazione di
benessere) possono anche favorire la produzione o il rilascio di contaminanti nell’aria dei locali
chiusi di lavoro (confinati) . A tal proposito il ministero della Sanità definisce inquinamento indoor
(confinato) la presenza nell’aria di contaminanti fisici, chimici e biologici non presenti naturalmente
nell’aria esterna di sistemi ecologici aperti di elevata qualità.
Rispetto a temperatura e umidità vengono forniti dei parametri di massima da rispettare che sono
mostrati nella tabella sottostante.
ZONA DI BENESSERE TERMICO IN CONDIZIONI DI: lavoro sedentario e vestiario normalmente in uso nel nostro paese
PERIODO
TEMPERATURA
EFF.VA °C
UMIDITA RELATIVA
% VELOCITA ARIA
m./sec..
ESTATE
19-24
( 22 valore racc.to) 40-60 0.2
INVERNO
17,5-21,5
(19,5 valore racc.to) 40-60 0.2
Uno dei rischi maggiori per chi lavora in ufficio è quello legato allo stress lavoro correlato, aspetto
cui la legge italiana, fin dalla 626/94, ha dedicato molta attenzione fino a renderne la sua
valutazione obbligatoria nella stesura del DVR (Documento Valutazione Rischi).
Chi lavora in un ufficio non appartiene alle categorie a più alto rischio ma, di contro, sono fra
i soggetti più esposti allo stress lavoro correlato, patologia che registra ogni anno nuovi casi.
A tale lavoratore viene spesso richiesta una grande concentrazione per il conseguimento di un
determinato risultato, facendo sì che egli venga continuamente sollecitato dal punto di vista
psicologico con conseguente abbattimento della soglia di resistenza all’ansia e generando uno stato
di forte tensione emotiva.
Il datore di lavoro dovrà vigilare e prendere tutte le tutele del caso per far sì che i propri
collaboratori operino in maniera serena evitando tensioni anche fra colleghi che spesso possono
avere conseguenze negative per quanto riguarda la produttività, e quindi, il fatturato dell’Impresa.
12
Nell’ambito della sicurezza sul lavoro negli uffici, particolare attenzione è posta nei confronti degli
utilizzatori dei videoterminali, categoria di lavoratori che necessità di garanzie ad hoc. La normativa
attuale riserva un intero paragrafo (Allegato XXXIV del testo unico) all’uso dei videoterminali
L’elemento principe a tutela della salute e sicurezza del videoterminalista è l’illuminazione
dell’ufficio in generale della postazione di lavoro in particolare. Negli uffici, la maggior parte delle
informazioni trattate è di natura visiva: l’occhio è dunque uno degli organi maggiormente
sollecitati. Per evitare l’insorgere di stati di malessere, di problemi alla vista e di affaticamento
mentale, l’illuminazione deve adeguarsi qualitativamente e quantitativamente ad ogni tipo di
operazione eseguita. La luce naturale, per quanto fondamentale, non è sufficiente a garantire in un
luogo confinato, un’adeguata illuminazione in quanto il livello di illuminazione può variare
sensibilmente al mutare dei fattori quali l’ora, le stagioni, le situazioni meteorologiche e la stessa
realizzazione architettonica del locale. Alla mancata illuminazione naturale deve pertanto supplire
un illuminazione artificiale, che imiti il più possibile le caratteristiche di quella naturale. Un
impianto di illuminazione artificiale deve considerare, nel rispetto delle esigenze di risparmio
energetico, i seguenti parametri: livello di uniformità d illuminamento colore della luce e resa del
colore ripartizione della luminanza limitazione dell’abbagliamento direzionalità della luce.
1.10.1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori.
Allegato IV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
La postazione dovrebbe essere posizionata in modo che la luce naturale la colpisca lateralmente, il
videoterminalista dovrà lavorare in modo da tenere una corretta postura e con gli occhi che abbiano
una distanza dallo schermo pari a 50 – 70 cm.
Il datore di lavoro dovrà fornire adeguato arredo al videoterminalista con scrivania, sedia e
postazione multimediale che rispetti tutti i principali criteri ergonomici.
13
- Lo schermo deve essere posizionato di fronte all’operatore in maniera che, anche agendo su eventuali meccanismi di regolazione, lo spigolo superiore dello schermo sia posto un po’ più in basso dell’orizzontale che passa per gli occhi dell’operatore e ad una distanza degli occhi pari a circa 50-70 cm, per i posti di lavoro in cui va assunta preferenzialmente la posizione seduta
- Il sedile di lavoro deve essere stabile e permettere all’utilizzatore libertà
nei movimenti, nonché una posizione comoda. Il sedile deve avere altezza regolabile in maniera indipendente dallo schienale e dimensioni della seduta adeguate alle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore.
Allegato XXXIV TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
14
3. ORGANIZZAZIONE DEGLI SPAZI IN AZIENDA
Un ambiente di lavoro di qualità, ben progettato e realizzato, tutela il benessere del lavoratore e
valorizza il suo potenziale creativo. La progettazione dello spazio di lavoro in un’azienda può avere
impatto sulla produttività dell’individuo e del gruppo, sul rapporto dei dipendenti, sulle relazioni
con i clienti. Spazi senza stimoli e influenzati negativamente da frastuono o illuminazione
inadeguata, con strumenti scomodi e posizionati scorrettamente o più semplicemente luoghi di
scoraggiante bruttezza, influiscono su produttività, concentrazione, turn-over e assenteismo.
Invece è possibile progettare, organizzare, costruire ambienti di lavoro in grado di stimolare
positivamente la produzione di idee e, più in generale, il rendimento dei “ knowledge workers”, cioè
di tutti coloro che contribuiscono, con le loro competenze ad elevato contenuto di conoscenza e
creatività, a generare valore in tutti i settori dell’economia. Non è da dimenticare che la vera forza
delle aziende moderne sta nella capacità di accrescere il potenziale dei propri membri.
È strategicamente importante avere un quadro esaustivo delle modalità con cui vengono impiegati
gli spazi a disposizione, per una loro gestione sempre più efficiente ed efficace considerando anche
il costo degli spazi continuamente in crescita (Assufficio, 2008).
3.1) Prossemica
Oltre 30 anni fa l’antropologo americano Edward T. Hall nel libro”La dimensione nascosta” (1996),
coniò il termine “prossemica” per indicare la disciplina che studia le modalità con le quali gli esseri
umani interagiscono tra loro tra loro ed organizzano il proprio spazio. Una delle intuizioni più
significative di Hall è stata quella di comprendere che il confine dell’uomo è un “animale culturale”
i cui limiti vanno ben oltre quelli del suo corpo, estendendosi anche agli aspetti sensoriali e le
“dimensioni nascoste” che riguardano tutto lo spazio che lo circonda.
L’uomo è in rapporto costante sia con l’ambiente che con altri uomini. Pertanto lo spazio va anche
inteso come mezzo di comunicazione; bisognerebbe quindi preoccuparsi che lo spazio ambientale
sia adatto all’uomo e che gli spazi tra individui siano adatti alle loro interazioni.
L’uomo inoltre è un “animale territoriale”. Nel territorio l’uomo differenzia le sue attività e separa i
suoi ruoli sociali, applicando meccanismi di regolazione del sistema di convivenza sociale, e
riducendo le possibilità di sovrapposizione sia dei singoli ruoli e conseguenti stress e conflittualità.
Il processo con cui ogni individuo si rende più o meno accessibile agli altri è definito privacy.
Conoscere e capire le diversità individuali e culturali nell’uso dello spazio è uno strumento
progettuale indispensabile, se si vuole realizzare un lay-out di ufficio che rispetti i bisogni primari
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del singolo e lo faccia sentire a suo agio e che, eliminando la possibilità di conflitti, consenta una
buona interazione tra i vari operatori e all’interno del gruppo.
Da un punto di vista spaziale quindi, l’ufficio non è un territorio omogeneo ma bisogna tener conto
delle distinzioni territoriali e farle coesistere, rispettando le diverse esigenze individuali e collettive:
- uno spazio primario (da difendere dagli estranei) nella zona attorno alla scrivania;
- uno spazio secondario (deve quindi favorire la comunicazione) negli ambienti impiegati per
lavori di gruppo, riunioni, incontri;
- uno spazio pubblico nelle zone di passaggio e di servizio (altri, corridoi, ascensori, archivi,
bagni).
Nell’uomo, spazio e distanza hanno carattere dinamico in quanto sono connessi all’azione più che a
situazioni passive. Lo spazio personale è un’area psicologica più che fisica, una specie di sfera
invisibile intorno al corpo, che si espande e si contrae secondo le relazioni instaurate con gli altri nei
vari contesti sociali.
Edward T. Hall, propone la suddivisione di questo spazio in quattro distanze, ciascuna distanza in
due fasi (vicinanza e lontananza).
Le distanze sono solo indicative, e variano al mutare dei caratteri personali e dei fattori ambientali e
culturali e possono essere considerate una base di partenza nel progetto dell’ufficio:
- zona intima: si estende da 20 - 50 cm; sconfina nel contatto fisico; a questa distanza, si può
sentire l’odore, il calore dell’altro e si possono avvertire le sue emozioni; gli sguardi diretti
poco frequenti; il tono delle voce é più basso, così come il volume. E’ la distanza che si
mantiene tra le persone più intime (es. partner, amici più cari, familiari)
- zona personale: si estende da 50 a 120 cm (interazioni quotidiane con persone che si
conoscono)
- zona sociale: si estende da 1.20 a 2.40 m (contatti interpersonali con persone che non si
conoscono e per affari)
- zona pubblica: si estende oltre i 2.40 m (contatti formali fra un individuo e il pubblico).
La disposizione dei posti a sedere svolge un ruolo molto importante nelle interazioni tra persone.
In ambienti destinati ad attesa o conversazione, sono richieste diverse disposizioni dei sedili, a
seconda del diverso grado di intimità che esiste tra le persone.
In presenza di sconosciuti (per es. in una grande sala d’attesa) vengono preferiti posti nei quali non
si è costretti né a guardare, né a sfiorare con la coda dell’occhio gli altri (posizioni dei posti a sedere
parallele fra loro). Invece, in una piccola sala di attesa, si può ottenere addirittura una sorta di
attrazione sociale, se si dispongono le sedie a breve distanza e ad angolo o a semicerchio, perché un
contatto tra gli occhi può stimolare la conversazione.
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In varie situazioni dove è possibile scegliere la posizione, i posti agli angoli e alle pareti sono i
primi ad essere occupati. Ciò è dovuto alla ricerca istintiva di uno spazio protetto alle spalle, con
totale visione dell’ambiente circostante, che può essere tenuto sotto controllo e all’esigenza di uno
spazio personale più privato e protetto.
Anche per il successo di riunioni o di gruppi di lavoro è molto importante tener conto delle
problematiche dello spazio visivo. In una riunione infatti è importante che tutte le persone possano
essere tra loro in diretto contatto visivo, e all’interno di un gruppo esistono posizioni relazionali
preferite, a seconda del ruolo che si ha all’interno del gruppo.
Attrazione o fuga sociale possono essere determinati anche dai vari elementi di arredo. Ad esempio
un tavolo da riunione quadrato creerà contemporaneamente situazioni di solito di collaborazione
con le persone che ci sono sedute di fianco e situazioni di competizione, soprattutto con chi si trova
seduto di fronte a noi.
Quando ci si siede intorno ad una tavola rotonda, invece l’importanza delle persone viene sancita in
base alla maggiore o minore lontananza dal capo (Anna Guglielmi, 2007).
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4. AREE AZIENDALI
Le aree di lavoro in azienda si distribuiscono in:
- spazi di lavoro individuale (ufficio a postazione singola)
- spazi di lavoro di gruppo (uffici condivisi)
- spazio di lavoro in cui sono organizzate aree con funzioni diverse (uffici open-space, flex
offices)
- spazi di incontro, relazione, relax (sala di attesa, archivio, area conferenze, sale meeting,
coffee area).
La “progettazione” dell’ufficio è un processo di coordinamento di varie attività: individuare i tipi di
arredi adatti a soddisfare le diverse esigenze di lavoro, dimensionare e distribuire nello spazio
disponibile i posti e le aree di lavoro, predisporre gli impianti necessari, ovvero progettare il lay-out
degli spazi di lavoro. Ciò è possibile solo partendo da un’analisi aziendale che fornisce tutte le
informazioni relative alle caratteristiche qualitative e quantitative dell’organizzazione (mansioni e
numero degli impiegati, previsioni di incremento di personale, ecc.), alle caratteristiche del flusso
della comunicazione e all’identificazione dei rischi nell’ambiente di lavoro.
La fase di elaborazione di un’azienda comprende, oltre alla ideazione degli uffici e di altri spazi di
lavoro, anche microambienti per specifici momenti di incontro: situazioni che favoriscono la
condivisione e lo sviluppo di nuove idee e zone di relax. La progettazione non riguarda quindi solo
la concezione delle attrezzature necessarie ad una attività ma anche la pianificazione delle pause
durante il lavoro. Al contrario di una macchina che normalmente può fornire lo stesso rendimento
per molto tempo, l’uomo durante il lavoro si stanca. È quindi importante prevedere periodi di pausa,
tenendo conto che molte pause corte sono molto più efficaci di una o più pause prolungate,
soprattutto nel caso di lavori semplici. Aggiungendo alcune pause di breve durata a quelle abituali si
possono ottenere netti recuperi di rendimento. Inoltre bisognerebbe dare libertà individuale di scelta
e pianificazione delle pause: queste devono offrire possibilità di contatti sociali e di rilassamento,
perciò è utile prevedere zone nettamente diverse dal resto dell’ambiente, sia da un punto di vista
architettonico che di luce e di colori (Assufficio, 2008).
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4.1) Tipi di ufficio
La crescente legislazione, la maggiore competizione sul mercato e l’aumento del numero di aziende
(grandi, medie e piccole), che gestiscono una varietà di aspetti scientifici, sono alla base della
complessa realtà del mondo farmaceutico e biomedicale.
Un mercato più ampio e una crescente varietà di tecnologie porta a un più alto livello di
specializzazione e alla necessità di creare una rete di collegamenti dentro e fuori l’azienda, per
acquisire nuove conoscenze e capacità al fine di realizzare progetti innovativi da introdurre nel
mercato.
Indipendentemente dalle dimensioni, le relazioni tra gli individui costituiscono il parametro
principale in un’azienda. In un gruppo di lavoro più grande le distanze tra i membri aumentano e le
probabilità di interazione diminuiscono.
Alcuni fattori possono influenzare la capacità e possibilità di comunicare delle persone in azienda:
le caratteristiche del layout fisico dello spazio lavoro, costituisce un fattore importante (Fredrik
Ullman, Roman Boutellier Physical layout of workspace: a driver for productivity in drug
discovery)
Ad esempio è meglio lavorare in un open space o in uffici isolati visivamente e acusticamente.
Molti suggeriscono che una soluzione non ci sia, perché il bilanciamento tra comunicazione in un
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lavoro di squadra e possibilità di concentrazione in postazione isolata, dipende ovviamente dal tipo
di attività svolta.
Di seguito sono elencati le varie tipologie di ufficio presenti che si possono ritrovare all’interno
delle aziende.
4.1.1) Ufficio postazione singola
Si tratta di un classico ufficio di lavoro individuale. Ciò permette un alto livello di privacy ma un
grado di comunicazione minimo.
È d’altronde vero il fatto che i lavoratori in molti casi hanno la necessità di concentrarsi, ovvero di
operare in un ambiente silenzioso e privo di elementi di disturbo: alcuni studi (De Marco T. e Lister
T.,1993; Mawson A., 2002) dimostrano ad esempio che un individuo ha bisogno di circa 15 minuti
per raggiungere uno stato di concentrazione sufficiente per rendere il “flusso creativo” efficace. Ciò
implica che in un’ora di lavoro senza distrazioni sono circa 45, i minuti effettivamente produttivi,
ma con solo due elementi di distrazione, i minuti di lavoro effettivo scendono a 15 soltanto.
E’ fondamentale quindi adottare criteri di progettazione dell’ambiente tali da consentire un buon
livello di privacy soprattutto per le attività più complesse.
4.1.2) Ufficio condiviso
Per ufficio condiviso si intende la comunione di un ufficio tra più persone, ognuna con una propria
postazione.
Una società statunitense ha effettuato una ricerca analizzando il comportamento all'interno di
numerose aziende ed uno dei risultati ha messo in luce come il 70% dei momenti di collaborazione
si concretizzi con meeting tra due membri rispetto a gruppi più numerosi. Così l’ufficio condiviso
può risultare come un buon compromesso tra la privacy e il silenzio permessi dall’ufficio cella e la
condivisione delle idee che offre l’ufficio open space.
Dice il proverbio: "molte menti sono meglio di una sola, ma basta che non siano troppe!"
4.1.3) Open space
Nel caso dell’ open space la disposizione degli uffici è organizzata in un unico ambiente molto
vasto, in cui le separazioni verticali necessarie sono ottenute solamente mediante un'opportuna
sistemazione di schedari, scaffalature e strutture simili in base alle esigenze.
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Di fatto sottolineano gli esperti, il lavoro in un open space ha il grosso vantaggio di costituire un
forte stimolo alla comunicazione tra i lavoratori, elemento cruciale che influenza produttività.
Alcune ricerche (CABE 2005) mettono in evidenza che per i lavoratori dell’informazione che sono
ad una distanza superiore di 50 metri, l’interazione lavorativa è molto bassa, mentre occorre tenere
conto non solo della separazione orizzontale ma anche di quella verticale (uffici disposti su più
piani diversi) e visiva. Il contatto visivo e la facilità nei movimenti può rappresentare un forte
stimolo alla comunicazione, nonostante la distanza fisica. Lo scambio verbale oltre le pareti
divisorie tra le scrivanie è spesso elemento di passaggio di informazioni importanti per il processo
produttivo.
Tutto ciò può però presentare problemi di acustica scadente, mancanza di privacy e difficoltà di
concentrazione. Stando a un'indagine condotta dal Berkeley's Center for the Built Environment su
65mila lavoratori di tutti e cinque i continenti, è l'acustica scadente il principale problema: un
impiegato su due si lamenta di essere costretto a lavorare immerso in una specie di alveare ronzante
di dialoghi altrui, i quali non favoriscono certo la concentrazione. In più se si vuole parlare con
qualcuno ci si sente “osservati” dai colleghi che, trovandosi a pochi centimetri di distanza, possono
ascoltare conversazioni private. Secondo Anne-Laure Fayard, docente al Politecnico dell'università
di New York che ha studiato a lungo l'argomento, il risultato è che negli open space le
conversazioni diventano più superficiali e inutili perché non si vorrebbe condividerle con altri
individui diversi dal nostro interlocutore.
4.1.4) Flex office
Il flex office è uno spazio flessibile in grado di adattarsi velocemente alle esigenze delle persone
grazie alle diverse tipologie di ambienti allestiti all’interno dell’ufficio e alle tecnologie disponibili
(telefoni IP, wireless, collaboration tools, software applications, archivi elettronici).
Nel flex office ai gruppi sono assegnate delle Team Zones la cui dimensione è calcolata in base al
numero dei componenti del team, delle presenze medie giornaliere e della tipologia di attività
svolte. I dipendenti non hanno postazioni assegnate ma occupano una postazione solo per il tempo
necessario a seconda del tipo di lavoro da svolgere. La Team Zone ha spazi sufficienti per meeting e
aree di supporto in condivisione con altri teams del piano.
In seguito a cambi organizzativi o a nuovi progetti, la Team Zone di un gruppo si espande o
restringe senza dover effettuare nuovi allestimenti, opere civili e trasferimenti di linee dati e
telefoni.
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Il concetto di “territorialità o di proprietà del posto di lavoro” va rivisto, per far corrispondere alle
reali organizzative il modo in cui vengono usati gli spazi e le attività che vi si svolgono durante la
giornata lavorativa.
Dobbiamo inoltre considerare che esistono diverse figure professionali che passano la maggior parte
del loro tempo presso clienti o fornitori e che, di conseguenza, passano saltuariamente in azienda,
approfittando della prima scrivania libera per svolgere temporaneamente la propria attività;
probabilmente un tempo questi funzionari avevano il loro ufficio, destinato in ogni caso a restare
vuoto per la maggior parte del tempo. La condivisione delle scrivanie rappresenta spazio e costo
risparmiati, specialmente nelle aziende commerciali. Non dimentichiamo infatti che lo spazio
ufficio, specialmente nelle città, è diventato sempre più oneroso quindi le organizzazioni hanno
dovuto necessariamente adottare misure di contenimento e di “snellimento”, cercando di ridurre i
posti lavoro e la dimensione di ognuno di essi in tutti i modi possibili.
Di conseguenza il flex office permette una configurazione rapida degli spazi senza costi aggiunti e
con rapidità di inserimento di nuove persone e tecnologie, una riduzione della quantità totale di
spazi, mantenendo però un elevato numero di sale riunioni e spazi di supporto, e facilitare il lavoro
dei project team e lo scambio di idee.
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5. MALATTIE PROFESSIONALI IN UFFICIO
Quasi una persona su due lavora oggi in ufficio: le risorse umane sono il valore fondamentale
attorno al quale si organizza l’impresa, divenendo un fattore strategico per il successo.
Investire in un ambiente di lavoro e attrezzature di buona qualità, pur essendo un costo irrisorio,
aumentano l’efficienza del personale oltre che prevenire molte malattie professionali che possono
sorgere in ufficio.
La malattia professionale è dovuta all’azione nociva di fattori di rischio dannosi, presenti
nell’ambiente in cui si svolge la prestazione lavorativa. La patologia correlata al lavoro può essere
provocata o aggravata dall’azione combinata di più cause agenti, individuali e ambientali,
professionali e non; è aspecifica e presente nella popolazione generale.
Una stima del problema sicurezza sul lavoro nel mondo è stata elaborata dall’OMS nel 2000 con
una ricerca in 191 stati, da cui emerge un quadro di patologie occupazionali in crescendo in tutta
Europa.
I risultati indicano una situazione in
assenza di condizioni di comfort
adeguate per i lavoratori, un aumento del
peso degli effetti psicologici delle
condizioni di lavoro, un aumento della
Stick Building Syndrome (serie di
disturbi che affliggono le persone che
trascorrono ore all’interno di un ambiente
chiuso).
Nel 2005, secondo dati Eurostat relativi
ad 12 Stati membri, oltre la metà delle
malattie professionali riconosciute a
livello europeo comprendeva patologie
dell’apparato muscolo scheletrico.
Nella tabella relativa alle malattie
professionali riconosciute in UE per il
2005, le prime 3 voci (sindrome del
tunnel carpale, epicondiliti, tendinopatie)
pari al 52,5% del totale, sono malattie riconducibili in buona parte a malattie che si originano in
ambito lavoro in ufficio.
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Le patologie muscolo scheletriche correlate al lavoro, riguardano patologie a carico delle strutture
osteo-muscolo-neuro-tendinee e delle borse, caratterizzate da impegno funzionale costante dei vari
distretti dell’arto superiore (spalla, gomito, mano, polso) e di altri distretti corporei quali il rachide e
le ginocchia.
Un secondo tipo di patologie importanti per chi lavora in ufficio è quello dell’astenopia
occupazionale, sindrome definibile come insieme di segni e sintomi a carico dell’apparato oculo-
visivo che insorge in relazione all’attività lavorativa qualora l’apparato cerchi di conseguire, con
fatica e stress, risultati funzionali eccedenti le proprie capacità (cioè se l’occhio viene sforzato più
di quanto possa tollerare).
I sintomi sono originati dal sovraccarico di meccanismi fisiologici oculari come: accomodamento,
convergenza, secrezione lacrimale, ecc. e sono molto comuni per chi dedica parecchie ore ad un
lavoro come quello in ufficio, con un notevole impegno visivo. È da notare che per contrastare i
fenomeni stressanti legati a difficoltà in questa area (p.es. abbagliamento, illuminamento non
idoneo, ecc.) si può essere indotti ad assumere posture incongrue, che a loro volta producono effetti
indesiderati, aggravando le patologie muscolo scheletriche.
Le patologie da stress sono un importante aspetto della società moderna, in particolare nell’ambito
delle malattie correlate all’attività lavorativa. Disturbi psicosomatici correlabili a stress lavorativo,
coinvolgono una percentuale tra 75% e 90% del totale della popolazione lavorativa mondiale.
Le risposte che i vari soggetti hanno, di fronte a situazioni stressanti sul posto di lavoro, dipendono
sia da fattori psicologici, sociali, organizzativi e da condizioni soggettive (percezioni individuali
delle situazioni), sia da condizioni oggettive (condizioni dell’ambiente circostante: p.es. quantità di
luce e temperatura, rumore, inquinamento, ecc.).
La curva giornaliera del rendimento di un individuo varia molto durante la giornata, sia per motivi
biologici, con picco durante la mattinata, una discesa dopo mezzogiorno, una risalita con un nuovo
picco a metà pomeriggio e infine una ridiscesa in serata, sia con carichi intellettuali e fatica psichica
causati da: livello di responsabilità, difficoltà delle attività svolte, monotonia del lavoro, condizioni
ambientali inadatte, brevità del tempo a disposizione, necessità di elevate prestazioni.
E’ quindi importante prevedere periodi di pausa, tenendo conto che molte pause sono più efficaci di
una o più pause prolungate. Inoltre bisognerebbe dare la libertà individuale di scelta e
pianificazione delle pause: queste devono offrire possibilità di contatti sociali e di rilassamento,
perciò è utile prevedere zone nettamente diverse dal resto dell’ambiente, sia da un punto di vista
architettonico che di luce colori.
In situazioni lavorative di disfunzionalità protratte nel tempo, possono originarsi sintomi che
possono interessare sia la sfera psichica, sia effetti patologici su organi e apparati quali il sistema
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cardiovascolare, l’apparato gastrointestinale, l’apparato osteoarticolare (dolori rachidei, periartrite
scapolo-omerale, tensioni muscoli cingolo scapolo-omerale) (Assufficio, 2008).
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6. AMBIENTE A MISURA D’UOMO: ERGONOMIA IN UFFICIO
L’ergonomia ha per oggetto tutte le relazioni instaurate dall’utente in ogni tipo di attività, e ciò
comprende oggetti, macchine, ambiente e anche persone.
La qualità ergonomica di un oggetto deve essere adeguata allo scopo e a modo d’uso, quindi
bisogna preoccuparsi di progettare non solo l’oggetto in sé, ma anche le relazioni che si instaurano
tra oggetto, utente e ambiente.
L’ergonomia va considerata anche come scienza del comfort, che aiuta a progettare gli spazi in
modo da trasformare l’ambiente in un insieme gradevole e stimolante.
Nel moderno lavoro di ufficio, il lavoratore opera con video display terminal (VDT), spesso per
parecchie ore e senza interruzione.
L'operatore al VDT è così legato ad un'attività di interazione uomo-macchina, in cui i movimenti
fisiologici sono molto ristretti, l'attenzione è rivolta in maniera fondamentale al monitor ed
entrambe le mani sono fisse sulla tastiera. Pertanto tali operatori sono molto più sensibili, a causa
di queste prolungate esposizioni, nei confronti di situazioni ergonomiche non corrette, quali
inadeguate condizioni di illuminazione o arredi non confortevoli. Sono stati così lamentati sforzi
visivi con disagi alla vista e posture scomode con costrizioni muscolari. Un assetto ergonomico
corretto diventa fondamentale nelle attività con impiego di videoterminali, in quanto è ormai
dimostrato che la causa fondamentale delle possibili conseguenze sul benessere dell’operatore,
dovute all’impiego di attrezzature munite di videoterminali, è principalmente il non rispetto delle
norme ergonomiche per le attrezzature di lavoro, il posto di lavoro e l’ambiente di lavoro.
6.1) Ergonomia della visione
Gli obiettivi dell’ergonomia della visione nell’ambito dei sistemi di lavoro sono:
- creare un ambiente luminoso idoneo assicurando sempre, ove possibile, il ricorso
all’illuminazione naturale;
- rendere ottimale la percezione delle informazioni visive.
I disagi alla vista possono essere tranquillamente minimizzati ed a volte addirittura eliminati,
attuando misure di bonifica ambientale e di natura organizzativa, spesso di facile realizzazione,
quali:
- realizzare possibilmente l’illuminazione dell’ambiente di lavoro con luce naturale, regolabile
con tende o veneziane, ovvero con luce artificiale. Per ottenere un maggior comfort visivo,
l’illuminamento non dovrebbe essere eccessivo e dovrebbe essere realizzato con fonti
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luminose poste al di fuori del campo visivo e che non abbiano un’intensità molto diversa da
quella degli oggetti e superfici presenti nelle immediate vicinanze, in modo da evitare
contrasti eccessivi;
- avere lo schermo del PC possibilmente diritto davanti a voi e ad una distanza dagli occhi
pari a circa 50-70 cm. Per gli schermi piccoli (portatili da 13 pollici) la distanza visiva non
dovrebbe mai essere inferiore a 40 cm. Per gli schermi grandi (fino a 19 pollici) la distanza
visiva non dovrebbe mai superare i 90 cm. Con gli schermi da oltre 21 pollici potete
tranquillamente lavorare ad una distanza visiva di oltre 90 cm.
Lo sguardo verso la metà dello schermo deve essere inclinato di circa 30 gradi verso il basso.
Affinché lo schermo possa essere regolato in maniera ottimale in funzione della direzione dello
sguardo deve essere almeno:
- regolabile in avanti e indietro;
- regolabile in altezza.
6.2) Problemi posturali
Un lavoro prolungato nella stessa posizione, sia seduti che in piedi, può causare discomfort. Gli
addetti ai VDT si lamentano spesso di lombalgie e di cefalee di tipo muscolotensivo, la causa deve
essere ricercata proprio nell'impegno cui è sottoposta la muscolatura del rachide sia nelle sue
attività dinamiche per i movimenti delle mani, delle braccia e della colonna e sia per le attività
statiche per le contrazioni muscolari prevalentemente isometriche.
Chi deve consultare numerosi documenti stampati e opere ha bisogno di più spazio di chi lavora
esclusivamente al videoterminale. Per lavorare in maniera confortevole, la vostra scrivania deve
avere:
- una larghezza minima per gli arti inferiori di 70 cm;
- una profondità minima all’altezza delle ginocchia di 60 cm;
- una profondità minima alla pianta del piede di 80 cm.
La superficie non deve essere fredda e i colori tenui. Scrivanie di metallo, vetro o pietra sono ideali
per arredare un appartamento secondo il vostro gusto. Per potersi concentrare sul lavoro non sono
assolutamente consigliabili. Per evitare di affaticare inutilmente gli occhi, la scrivania non deve avere
eccessivi riflessi. Sono pertanto preferibili superfici opache.
I colori ideali per le scrivanie sono i toni di grigio, verde, marrone e beige.
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Avete regolato la scrivania all’altezza giusta quando potete appoggiare completamente gli
avambracci sulla scrivania senza dover alzare le spalle. La scrivania, misurata da terra fino
all’angolo
superiore, deve poter essere regolabile di 68–84 cm. Gli appositi mobili per ufficio sono quasi
generalmente adatti per l’intera dimensione della scrivania.
Per quanto riguarda il sedile di lavoro deve:
- essere stabile
- permettere all’utilizzatore una certa libertà di movimento ed una posizione comoda
- avere dimensioni adatti alla persona che lo deve utilizzare
- avere altezza regolabile e schienale regolabile in altezza ed inclinazione.
L’altezza giusta della sedia è quella che garantisce di stare di fronte al video, con i piedi ben
poggiati al pavimento e coscia e polpaccio che formano un angolo retto, la schiena poggiata allo
schienale nel tratto lombare con gli avambracci appoggiati sulla scrivania che formano con il
gomito circa un angolo retto.
Scrivere a computer rappresenta un notevole sforzo per le articolazioni della mano e delle dita.
Soprattutto se la tastiera è posizionata male e non è ergonomica. Posizionate la tastiera in modo tale
che sia parallela al bordo della scrivania. La distanza ideale tra la tastiera e il bordo della scrivania
dovrebbe essere circa 20 centimetri. Così potete comodamente appoggiare la mani sulla scrivania o
sul poggia polsi. Non appoggiate la tastiera su un ripiano sottostante la scrivania o un ripiano
scorrevole. Di solito questo tipo di ripiani non offrono sufficiente spazio e limitano notevolmente la
mobilità durante il lavoro.
Anche il mouse deve soddisfare determinati requisiti: mentre lo si usa sarà opportuno tenere la
mano, il polso e l’avambraccio in posizione neutra, rispetto alla tastiera, la mano deve essere tenuta
rilassata e le dita distese, appoggiata completamente sul mouse senza dover esercitare alcuna
pressione con i tasti che si trovano immediatamente sotto le dita e la rotellina integrata per far
scorrere i testi, facilitando così il lavoro (Beccali, Maristella, 2003).
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7. MICROCLIMA, AREAZIONE E ILLUMINAZIONE NEI LUOGHI DI
LAVORO
7.1) Benessere termico
Il microclima è il complesso dei parametri fisici ambientali che caratterizzano l’ambiente locale e
che assieme ai parametri individuali, quali l’attività metabolica e l’abbigliamento, determinano gli
scambi termici tra l’ambiente stesso e gli individui che vi operano.
Le temperature ambientali “ideali” variano da persona a persona e la stessa temperatura corporea
varia nella’arco della giornata e delle stagioni.
Un microclima non idoneo spesso genera problemi di insoddisfazione, calo di concentrazione,
riduzione di prestazioni, e di conseguenza, perdite economiche per le organizzazioni.
Il miglior presupposto per un ambiente gradevole da un punto di vista microclimatico, è quello di
mettere in atto tutte le misure utili a raggiungere condizioni di confort in modo naturale e in
particolare:
- buon isolamento termico delle pareti e delle superfici vetrate che si affacciano verso
l’esterno;
- possibilità di schermare l’irraggiamento solare diretto, mediante dispositivi più o meno
oscuranti, quali frangisole, tende veneziane, tende riflettenti;
- presenza di buoni rapporti aeranti e di una loro corretta distribuzione sulle diverse pareti, per
favorire una buona ventilazione naturale.
Nel caso in cui ciò non sia sufficiente, vanno adottati ulteriori provvedimenti, che modificano le
condizioni ambientali agendo su una o più caratteristiche fisiche in modo da portare gli indici di
qualità all’interno degli intervalli di confort. Ciò significa, tanto per il riscaldamento quanto per il
raffreddamento, quasi sempre ricorrere ad impiantistica specifica.
La qualità dell’aria all’interno degli ambienti di lavoro è un altro importante fattore di benessere
individuale. Si stima che circa il 20% del tempo perso per “assenze per malattia” può essere
sensibilmente ridotto grazia ad una migliore circolazione dell’aria in ufficio.
Negli ambienti di lavoro, l’aria è caratterizzata dalla presenza sia di sostanze che provengono
dall’interno delle costruzioni (originate dalla stessa presenza umana o da emissioni di materiali e
attività) che dall’esterno, ma che non sono naturalmente presenti nell’aria esterna di sistemi
ecologici di alta qualità.
Data la vastità degli agenti potenzialmente inquinanti nell’aria degli ambiente di lavoro è
impossibile utilizzare un indicatore sintetico di inquinamento dell’aria valido in generale.
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Esiste tuttavia un indicatore di qualità indiretto, la concentrazione di CO2, che risulta ottimamente
correlato all’insoddisfazione espressa dagli occupanti di un ambiente e a cui viene quindi
unanimemente riconosciuta una buona capacità descrittiva dell’inquinamento degli ambienti
confinati di tipo antropico.
I requisiti sulla portata d’aria richiesta per cercare di mantenere le concentrazioni di CO2, entro i
valori di qualità opportuni, è necessario trovare la giusta combinazione tra aerazione naturale e
ventilazione artificiale.
Con il termine aerazione naturale si indicano gli scambi d’aria tra il locale in esame e l’ambiente
circostante che avvengono sotto la spinta della pressione generata tra interno ed esterno del locale
sia per effetto della differenza di temperatura, sia per effetto della diversa pressione d’aria tra
interno ed esterno del locale.
L’aerazione naturale non ha il solo scopo di assicurare un adeguato ricambio d’aria per ridurre la
presenza di inquinanti nell’ambiente chiuso, ma serve anche a controllare il valore di umidità
relativo (che è necessario mantenere tra il 40 e il 60%) e a favorire una migliore termoregolazione
corporea negli ambienti caldi. Essa inoltre limita la formazione di concentrazioni esplosive o
asfissianti di aereodispersi, riducendo il rischio di incendi.
La ventilazione forzata è realizzata tramite l’uso di ventilatori, a volte inseriti in un sistema di
condizionamento e trattamento dell’aria, che prelevano aria dall’esterno dell’edificio e la
distribuiscono utilizzando una canalizzazione.
Si ricorre a questo tipo di ventilazione quando:
- l’aerazione naturale è insufficiente;
- si devono rimuovere inquinanti diffusi a bassa tossicità;
- sono richiesti parametri certi di qualità dell’aria in termini di rinnovo, filtrazione e
depurazione.
Anche in presenza di sistemi di ventilazione forzata, all’interno di ambienti confinati e affollati, è
importante garantire il ricambio d’aria. I valori ottimale sono di 30 m3/h per ogni persona, fino ad
un massimo raccomandabile di 50 m3/h/persona.
7.2) Condizioni illuminotecniche
L’illuminazione dell’ufficio è una complessa miscela di elementi da equilibrare nella progettazione
del posto di lavoro.
Possono essere considerati quattro diversi tipi di illuminazione utilizzabili per l’ambiente di ufficio:
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- luce naturale, proveniente da finestre, lucernari e porte in vetro, da privilegiare in ogni
occasione, in quanto il rendimento sul lavoro è direttamente collegato alla quantità di luce
naturale, che incrementa l’attenzione e la prontezza di riflessi;
- illuminazione generale dell’ambiente, ottenuta con fonti dirette (corpi illuminanti montati a
soffitto) o indirette (corpi illuminanti montati a soffitto, a parete o sul posto di lavoro);
- illuminazione locale, che interessa una piccola zona all’interno dello spazio d lavoro;
- illuminazione puntuale, usata per aggiungere interesse visivo, illumina le zone scure e
modella gli spazi.
Un illuminazione sfavorevole condiziona il rendimento del lavoratore, costringendolo a continue
correzioni con conseguente affaticamento visivo, irritazione agli occhi, emicranie, problemi dovuti
ad una postura errata assunta per compensare i difetti di illuminazione. Le condizioni ottimali si
ottengono con un illuminamento di circa 2000 lux del piano di lavoro; con valori di illuminamento
inferiori si ha un progressivo calo del rendimento e un conseguente aumento del numero di
potenziali errori.
E’ importante bilanciare l’illuminazione ambientale con quella locale e puntuale, in modo da ridurre
i contrasti tra zone in ombra e zone più illuminate, che affaticano la vista dell’operatore.
Inoltre bisogna considerare che l’illuminazione di un ambiente è data non solo dal flusso luminoso
emesso dalle sorgenti naturali e artificiali, ma anche dalla luce rinviata ripetutamente dalle superfici
che direttamente o indirettamente sono investite dalle radiazioni luminose. Luci vivide riflesse sullo
schermo e differenti livelli di illuminazione di un ambiente, producono soprattutto a chi lavora al
computer, notevole affaticamento visivo.
Bisogna considerare che l’età media dei lavoratori si sta progressivamente innalzando: le capacità
visive si riducono con l’età acuendo i problemi legati alla scarsa illuminazione.
Un buon ambiente per lavorare, è quello che riproduce all’interno piccole repliche, anche
simboliche, dell’ambiente naturale esterno (luce, calore, colori, profumi, panorami, sensazioni
tattili, piante, ombre). Le condizioni sensoriali infatti influenzano le nostre percezioni, il nostro
umore ed anche il rendimento.
E’ indispensabile che la distribuzione della luce all’interno del campo visivo, sia tale da permettere
all’occhio di adattarsi con facilità (e con il minimo sforzo) a luminanze diverse dei diversi oggetti.
L’apparato visivo è soggetto ad affaticarsi in misura tanto più elevata, quanto maggiori sono le
differenze di luminanza e contrasti di luminanza elevati possono creare abbagliamento (condizione
visiva di discomfort e/o riduzione della capacità di vedere); per contro luminanze, e contrasti di
luminanza troppo bassi possono influenzare le condizioni di visibilità e dar luogo ad un ambiente di
lavoro monotono e non stimolante.
31
Sono differenze accettabili di luminanza quelle che non superano il rapporto massimo di 1/3 o di
3/1 (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul lavoro, 2006).
7.3) Condizioni acustiche
Il rumore negli uffici di lavoro è responsabile di un abbassamento della concentrazione fino al 35%.
Un ambiente è influenzato negativamente da:
- livello sonoro: è un parametro soggettivo, un suono viene percepito come fastidioso in
funzione della quantità di rumore che permea tutto l’ambiente.
- Intelligibilità della conversazione: la capacità di distrarre di una conversazione è superiore a
quella del rumore di una macchina perchè il contenuto può essere compreso ed interessare
l’ascoltatore.
- Percorso dell’onda sonora: le onde si propagano sfericamente ed essendo l’aria un fluido, le
onde lambiscono gli ostacoli e ci girano attorno; i lavoratori sottoposti ad una azione diretta
delle onde sono quindi maggiormente esposti a distrazioni.
Il rumore diventa un fattore di disturbo quando interferisce con la conversazione o con l’impegno
mentale (Assufficio, 2008).
L’unità di misura del livello sonoro è il decibel (dB), che definisce la sensazione sonora e negli
uffici si distinguono due tipi diversi di rumore:
32
- di fondo: costituito dalla somma dei rumori presenti in un ufficio (l’impianto di
condizionamento, i rumori del traffico esterno, la voce delle persone);
- i picchi sonori disturbanti: conseguenza di rumori improvvisi (le macchine utilizzate in
ufficio come stampanti, calcolatrici, telefoni).
Negli ambienti non insonorizzati i picchi possono raggiungere e superare il livello di 75 dB ad un
metro di distanza dalla fonte sonora.
Il controllo dei rumori che si propaga fra ambienti si basa sull’uso di materiali fonoisolanti.
Negli uffici a pianta aperta talvolta il livello sonoro disturbante deriva da una riflessione
incontrollata dell’onda sonora sulle superfici, quindi, si devono usare materiali di rivestimento
fonoassorbenti.
Esistono differenti tipologie di ufficio (a cella, condiviso, open-space) ad ognuna di esso è associata
una diversa percezione del rumore e quindi del benessere associato.
Non esistendo livelli di rumorosità fissati per questo tipo di ambienti. Il riferimento di "buona
tecnica" può essere rappresentato dalla raccomandazione ISO R 1996, che per gli ambienti comuni
di dattilografia e centri meccanografici fissa il limite a 55 dBA. Limiti ovviamente minori di 50-60
dBA, se le attività richiedono grande attenzione.
I livelli di rumorosità degli uffici (intorno a 60 dBA), non causano quindi deficit uditivi, ma
affaticamento mentale e sensoriale con spostamento temporaneo della soglia uditiva; annoyance,
con difficoltà alla concentrazione, stanchezza precoce, diminuzione del rendimento ed effetti extra-
uditivi.
Gli effetti extrauditivi si possono manifestare già per livelli di 65-70 dBA e sono dovuti alle
connessioni che il sistema di ricezione sonoro ha a vari livelli del Sistema Nervoso Centrale: si
tratta, ad esempio, di variazioni della pressione arteriosa in soggetti predisposti, facilità a gastrite e
diminuzione della acuità visiva.
In materia di prevenzione dal disturbo acustico si dovrebbe prestare particolare attenzione alla
localizzazione degli uffici (problematica del rumore urbano), al trattamento delle facciate, alla
presenza di vetri e pareti non riflettenti, alla riduzione della concentrazione di personale, ad evitare
la soluzione open-space, ad intervenire sulle fonti di ventilazione, stampanti,calpestio. (Cappello,
2007).
33
8. L’EVOLUZIONE DELLA CONSAPEVOLEZZA DELLA PRODUTTIVITA’
DEI DIPENDENTI IN RELAZIONE AL DESIGN DI UFFICIO.
Alla fine del XIX secolo, i lavoratori erano trattati come se fossero delle macchine.
L’ufficio veniva concepito come business per la fabbricazione di un prodotto. Gli uffici erano
progettati per centinaia di lavoratori non qualificati, che eseguivano qualunque compito, di routine o
altamente specializzato.
Le scrivanie erano allineate in una struttura a griglia su piani di lavoro aperto. Questo, in quel
periodo costituiva un modello per determinare efficienza e controllo (Asirvatham, 1999).
Successivamente si è sviluppato il concetto di organizzazione di ufficio, con l’introduzione di
sistemi di archiviazioni, l’aumento della presenza di macchinari, e l’ingresso delle donne in ufficio
come forza lavoro.
In questo periodo, i dipendenti cominciarono a cercare il modo di umanizzare lo spazio lavoro per
aumentare la soddisfazione personale e migliorare lo stato d’animo, aspetti importanti per
aumentare la loro produttività (Klein, 1982).
Creare un invitante spazio di lavoro era l’idea base del design del “Larkin Building” in Ohio nel
1906, realizzato da Frank Lloyd Wright. Il palazzo aveva servizi come aria condizionata, una
biblioteca per i dipendenti, una sala musica e un centro fitness. Oggi questi servizi sono
ampiamente riconosciuti come strumenti per ridurre lo stress dei dipendenti e aumentare
produttività e migliorare lo stato d’animo (Cole, 2001). Tuttavia per quel periodo storico queste idee
erano abbastanza rivoluzionarie.
Il design dell’ufficio come strategia diventa una scienza nella seconda decade del XX secolo.
Con l’avvento dell’industrializzazione si sviluppa infatti l’idea di separare la costruzione
dell’edificio dalla realizzazione dei suoi ambienti interni. In questo periodo l’Associazione
Nazionale dei Managers di Ufficio era sotto la direzione di Fredrick Taylor (Klein, 1982). I
managers di ufficio acquisiscono la consapevolezza di poter migliorare l’efficienza e di ridurre i
tempi di produzione investendo in design e materiali.
Le macchine in ufficio erano collocate in posti dove il loro rumore potesse costituire non fonte di
distrazione, le sale degli archivi centrali erano situate dove potevano essere facilmente accessibili.
Inoltre i responsabili di ufficio calcolavano la produttività in base ai tempi di produzione (Klein,
1982).
Leffingweel suggeriva che la posizione della scrivania e della sedia dovevano integrare i concetti di
fisiologia e psicologia. Egli proponeva che la scrivania, per esempio doveva essere semplice e
luminosa. La superficie non doveva essere troppo lucida per prevenire l’abbagliamento, e neanche
34
troppo scura, poiché il contrasto della carta bianca sul tavolo scuro poteva causare affaticamento,
fattore che poteva portare ad un aumento dei livelli di stress e ridurre la produttività.
Dopo la seconda guerra mondiale, gli interni degli uffici erano generalmente standardizzati e
organizzati in base allo status dei dipendenti nell’azienda. Il top del design era presente negli uffici
dei dirigenti, con enormi spazi, finestre e cura dello stile delle sedie. Il design di questi ambienti
dava enfasi alle richieste fisiche e psicologiche dell’individuo (Klein, 1982).
Solo in seguito ci si rese conto dell’influenza di questi fattori sull’umore e lo stato d’animo dei
dipendenti e quindi sulla produttività. Per esempio nel 1960, fu scoperto che un’illuminazione ben
progettata aveva effetti positivi sull’umore dei dipendenti, che a sua volta aumentava la produttività
(Pelegrin-Genel, 1996).
Robert Propst, in seguito sviluppò un nuovo concetto di design di arredo, che sottolineava
l’importanza della motivazione dell’individuo e l’espressione del lavoro. Rather semplicemente
progettò aree di lavoro aperte (open space); Propst provò a creare un equilibrio tra privacy acustica
e controllo dei rumori, oltre che progettare uno spazio di accesso aperto tra managers e dipendenti.
Alcune società approvarono questa filosofia, combinando open spaces e network amichevole degli
spazi, facilitando la comunicazione tra i dipendenti (Klein, 1982).
Nel 1970, la struttura cubicolo fu implementata con l’intenzione di migliorare la comunicazione tra
i dipendenti e per aumentare la produttività. Tuttavia in alcuni casi, questa struttura rilevò effetti
opposti nei casi in cui i dipendenti erano più interessati ad avere la loro privacy (Bencivenga, 1998).
Nel 1982, l’architetto Michael Brill, completò uno studio "Office Environment on Productivity and
Quality of Working Life”, che dimostrò un forte desiderio dei lavoratori a stare con gli altri e portò
a credere che la soddisfazione nell’ambiente di lavoro avesse una diretta relazione con la
performance lavorativa. La performance lavorativa in questo caso fu misurata con diversi fattori: la
quantità e la qualità del lavoro, rispetto delle scadenze, assunzione di responsabilità, creatività,
andare d’accordo con gli altri e affidabilità (Klein, 1982).
Vischer J.C. (2006), descrive il confort ambientale come una piramide di tre categorie.
Alle base della piramide c’è il comfort fisico: i bisogni umani di base sono la sicurezza, l’igiene e
l’accessibilità ad un ambiente. La soddisfazione di questi bisogni assicura che l’ambiente è abitale.
Sopra i bisogni di base, c’è il comfort funzionale: definito come la performance del lavoratore
nell’esecuzione di compiti e attività nel workspace. Per esempio, un’illuminazione appropriata, un
arredo ergonomico, stanze dedicate a meeting e a lavori di gruppo, aiutano ad assicurare un comfort
funzionale. In cima alla piramide c’è il comfort psicologico: ovvero il senso di appartenenza, di
proprietà, di controllo su uno spazio di lavoro. Il modello indica che, sebbene una debolezza in
35
un’area di comfort, può essere compensata dai punti di forza in un’altra, l’effetto positivo
cumulativo del comfort di un lavoratore dipende da tutti e tre gli aspetti.
36
9. LE COMPONENTI DI DESIGN CHE AUMENTANO LA PRODUTTIVITÀ
DEI DIPENDENTI E DIMINUISCONO LO STRESS LAVORO-CORRELATO.
Secondo Asirvatham (1999), il modello dell’ambiente di lavoro del 1960, esiste ancora oggi,
sebbene c’è più enfasi sulla connessione tra produttività e ambiente di lavoro. Oggi, la chiave è
integrare l’ambiente fisico con la tecnologia, le procedure gestionali, e le attività lavorative. In
alcuni delle attività di business di oggi, l’obiettivo è provare a essere creativi e innovativi piuttosto
che richiedere risultati standardizzati. D’altro canto, Allie (1996) sostiene che i dipendenti di oggi
sono particolarmente vulnerabili allo stress lavoro correlato. C’è maggiore automazione, meno
personale, carichi di lavoro più pesanti e scadenze più brevi.
A causa di questi fattori di stress, è importante creare un ambiente di lavoro salutare e eliminare le
inerenti fonti del problema.
I seguenti fattori potrebbero rivelare il modo di come sistemi fisici, tecnologici e logici lavorano
insieme per promuovere il processo lavorativo e aumentare la produttività dei lavoratori
diminuendo il loro stress.
Open space e produttività. Oggi nelle organizzazioni c’è una gerarchia un po’ meno rigida, con una
maggiore collaborazione della gente nell’ambiente di lavoro. Diverse evidenze sostengono che un
ambiente aperto può facilitare il contributo dei membri di un team alla produttività. Gli spazi lavoro
sono destinati ad aumentare le interazioni informali, non solo a risparmiare denaro e spazio (Wah,
1998).
Uno dei modi per aumentare lo spazio aperto e aumentare l’interazione tra dipendenti, è organizzare
lo spazio lavoro come “cubicolo” (piccola stanza), introdotto nel 1970. Tuttavia, uno dei problemi
derivanti dall’ uso del cubicolo è che i lavoratori possono percepire lo stress, per la mancanza di
privacy (Bencivenga, 1998).
Wallace (2001), sosteneva che il cubicolo non deve essere eliminato, ma i lavoratori, insieme con i
designers, devono cercare di trovare il modo di usare il cubicolo per aumentare la produttività.
Spazi aperti e flessibili sono i concetti chiave secondo Asirvatham (1999). Egli sostiene che
l’apertura ha almeno due vantaggi: essa permette ai managers di sorvegliare i propri dipendenti e di
favorire gli incontri tra le persone, per risolvere velocemente e facilmente dei problemi.
Allo stesso tempo, il bisogno di privacy può essere soddisfatto in vari modi: uffici call center
separati, stanze destinate esclusivamente a conferenze, usare pareti di vetro separatorie.
Teamwork. La pressione della competitività nel business di oggi è incombente, e i lavoratori si
ritrovano a non lavorare fisicamente insieme per molto tempo, ma devono pensare insieme
37
(Monroe, 1999). Poichè il teamwork è diventata una delle maggiori componenti dell’ambiente
lavorativo attuale, creare un workspace che supporti questo aspetto, sarebbe importante.
Monroe (1999), sottolinea che un ambiente fisico che si nutre di interazione, con spazi destinati a
conferenze formali o che favoriscono incontri casuali nei corridoi e nelle aree break, è importante
per la comunicazione. Secondo Hower (1995), il livello di comfort di un lavoratore, corrisponde
alla quantità di spazio che lo circonda. Uno spazio eccessivamente ampio può spesso essere
disorientante e può far sentire il lavoratore vulnerabile. E’ tuttavia importante avere una varietà di
spazi che racchiudano tutti gli stili lavorativi degli individui e le personalità e che offrano la
possibilità di promuovere l’individualità e l’interazione di gruppo.
Asirvatham (1999) e Umlauf-Garneau (2001) sostengono che non è importante solo un ambiente di
lavoro aperto, ma è necessario realizzare anche aree ricreative, per permettere ai lavoratori di
conversare sui vari progetti e apprendere dall’interazione con gli altri. Questi aspetti possono
migliorare l’apprendimento e supportare il concetto di team, aumentando la produttività dei
lavoratori (Arend, 2000).
Ergonomia. Una recente indagine di 350 maggiori aziende, ha evidenziato che l’82.5% sostiene che
una buona ergonomia rende i dipendenti più produttivi (Danner, 2001).
Miles (2000), aggiunge che l’ergonomia è diventato un aspetto molto importante nel workplace.
Essa implica l’adattamento del lavoro e degli spazi lavoro al lavoratore. Applicando i principi
ergonomici, il lavoratore può ridurre i costi medici, diminuire l’assenteismo e si può influire
positivamente sul lavoratore sia psicologicamente che fisicamente. L’ergonomia riduce il
discomfort fisico, la fatica e la tensione. Come risultato lo stress per i lavoratori è ridotto con
aumento della produttività.
Miles (2000), sostiene inoltre che migliorare l’ergonomia delle sedie, i colori delle pareti e il design
delle aree lavoro, mostra effetti positivi sulla riduzione dello stress. Per esempio, la città di
Portland, Oregon, ha studiato problematiche relative all’arredo. Come risultato dello studio, l’85%
dei dipendenti riportava un aumento nel loro livello di comfort, il 64% riportava meno fatica, il 72%
riportava un miglioramento nell’abilità di raggiungimento degli obiettivi sul lavoro e il 66%
riportava una riduzione del dolore associato al lavoro (Shihadeh-Gomaa, 1998).
Karen (2004) ha concluso dicendo che l’ergonomia delle sedie continua a essere una richieste
preponderante sul lavoro, in quanto responsabile della riduzione dello stress e del malessere nei
lavoratori. Migliorando il comfort e la buona postura, è possibile impattare significativamente sulla
produttività di un azienda.
Illuminazione. Frank (2000), sostiene che l’illuminazione è un elemento critico per un ambiente di
lavoro confortevole. Egli sostiene che i dipendenti lavorano in maniera più confortevole e
38
produttiva con livelli di luce più bassi. Secondo l’indagine Steelcase Workplace Index (rilasciata nel
dicembre 1999), il 56% dei lavoratori in ufficio rispondeva che una ridotta illuminazione nel
workplace causava loro stanchezza e lacrimazione agli occhi, mentre il 30% diceva che causava mal
di testa. Inoltre il miglioramento delle condizioni di illuminazione nello spazio lavoro poteva ridurre
la stanchezza visiva e il mal di testa nell’86% dei soggetti esaminati.
Hower (1995), sottolineava che la luce influenza il sistema endocrino, il ritmo cardiaco, le malattie
stagionali e l’orologio biologico, oltre a regolare la fatica e lo stress. Egli sosteneva che è
importante porre attenzione alla quantità e qualità dell’illuminazione nel workplace:
- livelli di illuminazione: alti livelli di illuminazione aumentano l’attenzione dei lavoratori.
Livelli più bassi di luce possono aumentare la memoria e la focalizzazione sull’obiettivo,
risultando in questo modo utili per compiti che richiedono concentrazione e il prendere
decisioni;
- fonte di luce: la luce naturale proveniente dalle finestre, atri e soffitti permette di migliorare i
livelli di comfort. Welch (1996) notava che la sindrome da deprivazione di luce solare,
causata dalla mancanza di adeguata luce naturale, è riconosciuta come una forma di
depressione tra i lavoratori;
- posizionamento della luce: è importante avere un equilibrio tra luce diretta, luce orientate al
compito e luce indiretta. La cosa più importante è comunque avere luce naturale sufficiente
nel workspace.
superfici riflettenti: i colori interni e le superfici di lavoro dovrebbero essere scelte per minimizzare
l’incidenza di luce riflessa dallo schermo dei videoterminali e da altre superfici riflettenti.
Colore. Gioca un ruolo importante sulle risposte emotive e fisiologiche del lavoratore. Il colore può
essere rasserenante, rinvigorente, stonato o responsabile di stress. Il rosso per esempio, è stato
mostrato stimolare una risposta del sistema nervoso simpatico. D’altro canto, il rosso sembra
indurre un aumento dello stress quando comparato al blu, che è un colore più rilassante (Pelegrin-
Genel, 1996).
Le stanze dipinte con colori freddi danno il senso grandezza e il tempo spesso in queste stanze è
sottostimato. Le persone possono anche sentire più freddo. Negli uffici attuali è importante
selezionare i colori sulla base delle attività che devono essere svolte in determinati ambienti
(Hower, 1995).
Rumore e Acustica. Cooper, Dewe, and O’Driscoll (2001), suggeriscono che condizioni di rumore
ridotte possono avere un severo impatto sulla salute fisica del lavoratore e sul suo benessere
psicologico. Questo assunto conferma quanto scoperto da Hower (1995), il quale sostiene che livelli
39
elevati di rumore possono causare irritazione, aumentare lo stress e ridurre la produttività,
soprattutto in un open space. Tuttavia è importante scegliere finiture interne e arredi che non
riflettono le onde sonore.
Smith (2001), sostiene che il personale che lavora in un ufficio rumoroso, mostra livelli elevati di
adrenalina, che può inficiare sulla loro produttività.
Spazi di comfort aggiuntivi. Oggi nelle aziende ci sono spazi addizionali per aumentare la
produttività dei dipendenti: stanze dedicate all’esercizio fisico, ai video games, aree ricreative,
stanze per la meditazione, librerie con poltrone e aree break. In alcune aziende, i lavoratori hanno
accesso a spazi e aree break esterni (Umalauf-Garneau, 2001).
40
10. MATERIALI E METODI
La finalità principale di questo studio è stata quella di valutare l’impatto dell’ambiente di lavoro, in
particolare dell’ufficio, sulla produttività e sul benessere del personale impiegato in un’azienda
farmaceutica e/o biomedicale.
Per l’indagine, abbiamo scelto di utilizzare un questionario strutturato che, dopo essere stato
visionato ed approvato dal responsabile delle risorse umane dell’azienda, è stato poi somministrato
e compilato online dai dipendenti impiegati nelle varie funzioni aziendali (es. area marketing, R&S,
area controllo di gestione, HR, ecc).
Il questionario (vedi Allegato), anonimo, compilato da 30 dipendenti (16 Femmine e 14 Maschi)
con un’età compresa principalmente tra 30 e 50 anni (77% dei dipendenti), è costituito da 40
domande a risposta multipla e per alcune di esse è prevista la possibilità di motivare la risposta data.
Le domande sono state suddivise in 5 macro-aree:
- Introduction: dati relativi a età, ruolo, tipo di ufficio e area funzionale in cui è impiegata la
persona;
- Safety (suddivisa a sua volta in 5 micro-aree: Acustica, Microclima, Illuminazione,
Aerazione, Ergonomia e Impianti elettrici): valuta la tutela delle condizioni di sicurezza e
comfort della persona;
- Workspace: valuta la percezione soggettiva degli spazi destinati al singolo individuo, al
gruppo e all’interazione con gli altri colleghi;
- Layout del workspace e produttività: valuta l’impatto soggettivo che l’ambiente ufficio ha
sulla propria performance;
- Esigenze percettive dell’ambiente di lavoratore: verifica se le persone, all’interno del
proprio spazio di lavoro, hanno la possibilità di personalizzare l’ambiente e in che modo.
41
11. ANALISI DEL QUESTIONARIO
L’analisi del questionario ha permesso di evincere che il numero di donne che lavorano nel settore
farmaceutico e biomedicale è di poco superiore a quello degli uomini, 53% e 47% rispettivamente,
e che i dipendenti lavorano principalmente in
un ufficio condiviso, cioè una stanza con
due/tre postazioni, che permette da un lato di
massimizzare gli spazi a disposizione e
dall’altro la veloce condivisione delle
informazioni tra persone che lavorano nella
stessa area aziendale.
Gli altri tipi di ufficio, in particolare open-space e ufficio postazione singola, sono invece utilizzati
solo dal 30% dei dipendenti. E’ utile tenere in considerazione quest’ultimo parametro per la
valutazione dei dati successivi. Dato che il questionario, come già accennato, ha lo scopo di valutare
come la persona percepisce il proprio ambiente di lavoro in relazione al benessere e alla produttività
abbiamo chiesto come veniva vissuto l’ambiente rispetto ai parametri di Acustica, Microclima,
Illuminazione, Aerazione, Ergonomia e Impianti elettrici.
Dall’analisi di Safety si evince che il dipendente considera mediamente buone le condizioni attuali
della propria postazione di lavoro, infatti circa l’80% delle persone che hanno risposto al
questionario afferma che le condizioni attuali sono favorevoli allo svolgimento della propria
attività.
Entrando nel dettaglio si osserva che, per quanto riguarda l’illuminazione, la principale fonte di luce
è garantita da sistemi artificiali ottimali. Metà delle persone considera comunque insufficiente la
quantità luce naturale.
Stessa situazione per l’analisi del microclima e dell’aerazione. Metà delle persone ritiene che il
ricambio d’aria naturale sia insufficiente alle proprie esigenze, ma che buone condizioni per la
propria attività siano mantenute da sistemi di aerazione artificiale.
L’impossibilità di regolare manualmente la temperatura da parte del personale (sistema di
termoregolazione centralizzato), trasmette tuttavia a circa il 40% dei dipendenti l’idea di un azienda
che risulta poco propensa a considerare le esigenze soggettive di termoregolazione.
Fig. 2: Percentuali di lavoratori allocati
nei diversi tipi di ambienti lavorativi
42
Negli uffici delle aziende farmaceutiche non sembrano esserci molte fonti di rumore che possano
distrarre i dipendenti, infatti solo il 30% dei dipendenti ritiene che ci siano molte fonti di distrazione
dovute a questo fattore. Quello che risulta interessante
però è che una delle fonti principali di rumore è
l’interazione con gli altri colleghi. In particolare i
colleghi che si fermano a parlare con tono di voce alto
in momenti di pausa o che parlano al cellulare. Lo
stesso cellulare che squilla è percepito come fonte di
disturbo. Questo fastidio influisce sul 50% dei
dipendenti, che ritiene che l’azienda non faccia
abbastanza per mantenere un ambiente acusticamente
adatto alla propria attività.
Per quanto riguarda la percezione del workspace, oltre il 90% degli intervistati ritiene che il proprio
luogo di lavoro favorisca le interazioni con i colleghi (considerando che il 70% delle persone che
hanno risposto lavorano in un ufficio condiviso), ma questo a discapito della propria privacy. Inoltre
il lavoro dei colleghi può diventare esso stesso fonte di distrazione, riducendo il vantaggio di
produttività che può dare l’ufficio condiviso, se non ben strutturato.
Per quanto riguarda le aree comuni invece, vengono viste mediamente come spazi di aggregazione,
ma soggette a regole aziendali che ne riducono l’utilizzo a pochi minuti. Questa limitazione
percepita dal dipendente, è sicuramente una chiara scelta aziendale per mantenere alto il livello di
attenzione della persona sul proprio lavoro perché, come evidenziato precedentemente, per
mantenere alta la soglia di attenzione è preferibile fare più pause, ma solo di pochi minuti durante la
giornata di lavoro.
In ultima analisi, abbiamo chiesto ai dipendenti di indicarci aree relax che desidererebbero avere in
azienda e che potenzialmente potrebbero favorire il loro stato di benessere psico-fisico. Dalle
risposte ottenute, si evidenzia il desiderio della creazione, da parte dell’azienda, di aree per la lettura
e di altre destinate ad uso palestra.
In conclusione possiamo dire che l’ufficio medio di un’azienda farmaceutica e/o biomedicale
favorisce lo svolgimento delle attività lavorative da parte del dipendente, assicura una buona
collaborazione tra colleghi, ma probabilmente non crea condizioni adatte allo sviluppo della propria
creatività, come lo stesso 70% degli intervistati afferma.
Fig.3: Percezione dell’inquinamento
acustico da parte dei dipendenti
43
Fig.4: Percezione dell’ambiante lavorativo
rispetto allo svolgimento della propria
attività lavorativa
Fig.5: Percezione dell’ambiente lavorativo
rispetto alla capacità di stimolare la propria
creatività
Idoneo alla propria attività
44
12. CONCLUSIONI
E’ quindi evidente come un buon ambiente di lavoro e attrezzature di buona qualità aumentano
l’efficienza del personale, mentre ambienti di lavoro inidonei e attrezzature non corrette, incidono
sulla salute degli operatori e ostacolano l’efficienza, o la riducono drasticamente.
Il costo del personale rappresenta circa l’80% del totale dei costi di un ufficio; i costi di gestione
(affitto, comunicazioni, riscaldamento, elettricità, ecc.) rappresentano circa il 19%; i costi
dell’arredo solo l’1%.
Di conseguenza la redditività di un’azienda dipende totalmente dalla redditività delle risorse umane
(capacità di esprimere idee innovative, di concentrarsi, di comunicare, di non fare errori, di essere in
buona salute e efficienti).
Per avere un ambiente di lavoro confortevole e di buona qualità, bisogna:
- eliminare ogni potenziale fonte di rischio per gli utenti;
- disporre di spazi consoni alle diverse funzioni;
- avere un lay-out che tenga conto delle necessità di correlazione;
- disporre di buoni parametri di temperatura, umidità e ventilazione;
- tenere sotto controllo i suoni, con adeguati provvedimenti di fono-isolamento e fono-
assorbimento;
- avere una corretta progettazione di luci (ed ombre), diversificate ed adeguate ai diversi
compiti;
- intervenire anche cromaticamente, per fornire stimoli differenziati ed evitare monotonia;
- rispettare la correttezza ergonomica.
E’ necessario inoltre che tutto ciò sia corretto non solo in fase di prima installazione, ma anche nei
momenti successivi, quando ai mutamenti aziendali corrisponderanno anche modifiche
nell’organizzazione dei vari posti di lavoro. E’ fondamentale quindi avere spazi e impianti flessibili
e che possano facilmente adeguarsi alle modificazioni nel tempo degli spazi di lavoro.
La qualità ambientale dell’ufficio si propone la sensibilizzazione e il coinvolgimento di tutti gli
attori del processo decisionale in un’organizzazione (imprenditori, dirigenti, architetti, medici del
lavoro, managers, designers, ecc), per la realizzazione di un ambiente di lavoro che garantisca
creatività, innovazione e produttività.
45
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