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PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO SEPSI SEVERA E SHOCK SETTICO (Dillinger R.P. et Al. - Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for management of severe sepsis and septic shok: 2008 – Intensive Care Medicine 2008) CRITERI DI ACCESSO Tutti i pazienti con sospetta od accertata diagnosi di sepsi severa o shock settico. DEFINIZIONI Infezione Un processo patologico causato dall’invasione di fluidi corporei, tessuti o cavità dell’organismo, normalmente sterili, da parte di microorganismi (virus, batteri, funghi) patogeni o potenzialmente patogeni. Sepsi Risposta infiammatoria sistemica all’infezione (S.I.R.S. – Sistemic Inflammatory Response Syndrome): infezione associata a manifestazioni infiammatorie sistemiche (1991) e/o a segni di sepsi (2201). Sepsi Severa Sepsi complicata da disfunzione d’organo – sepsi correlata o da ipotensione o da ipoperfusione tissutale. (La “soglia” di questa disfunzione varia da uno studio all’altro). Shock settico Sepsi complicata da ipotensione – sepsi correlata refrattaria all’adeguato riempimento volemico e/o da ipoperfusione tissutale. Ipotensione sepsi – correlata - PA sistolica < 90 mmHg. - PAM < 60 mmHg. - Riduzione PAS > 40 mmHg rispetto ai valori basali o < di 2 DS al di sotto dei valori normali per l’età in assenza di altre cause di ipotensione. Ipoperfusione tissutale sepsi – correlata - Shock settico - Lattati > 4 mml./l. - Oliguria (output urinario < 0,5 ml./Kg./h.)

PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO SEPSI SEVERA E SHOCK SETTICO ... · In caso di sepsi severa e shock settico, le emocolture risultano negative nel 50% circa dei casi, ma molti di questi

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PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO SEPSI SEVERA E SHOCK SETTICO (Dillinger R.P. et Al. - Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for management of

severe sepsis and septic shok: 2008 – Intensive Care Medicine 2008)

CRITERI DI ACCESSO

Tutti i pazienti con sospetta od accertata diagnosi di sepsi severa o shock settico.

DEFINIZIONI

Infezione

Un processo patologico causato dall’invasione di fluidi corporei, tessuti o cavità dell’organismo, normalmente sterili, da parte di microorganismi (virus, batteri, funghi) patogeni o potenzialmente patogeni.

Sepsi

Risposta infiammatoria sistemica all’infezione (S.I.R.S. – Sistemic Inflammatory Response Syndrome): infezione associata a manifestazioni infiammatorie sistemiche (1991) e/o a segni di sepsi (2201).

Sepsi Severa

Sepsi complicata da disfunzione d’organo – sepsi correlata o da ipotensione o da ipoperfusione tissutale. (La “soglia” di questa disfunzione varia da uno studio all’altro).

Shock settico

Sepsi complicata da ipotensione – sepsi correlata refrattaria all’adeguato riempimento volemico e/o da ipoperfusione tissutale.

Ipotensione sepsi – correlata

- PA sistolica < 90 mmHg. - PAM < 60 mmHg. - Riduzione PAS > 40 mmHg

rispetto ai valori basali o < di 2 DS al di sotto dei valori normali per l’età in assenza di altre cause di ipotensione.

Ipoperfusione tissutale sepsi –

correlata

- Shock settico - Lattati > 4 mml./l. - Oliguria (output urinario <

0,5 ml./Kg./h.)

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Il concetto di S.I.R.S. è stato introdotto dall’ACCP/SCCM nella Consensus Conference del 1991. Una più recente e condivisa revisione del concetto di sepsi (2001) ha mantenuto il concetto di S.I.R.S. ma ne ha esteso i criteri. Tale revisione enumera infatti una serie multipla di potenziali criteri per la diagnosi di sepsi.

Sistemic Inflammatory Response Syndrome - S.I.R.S.

Due o più delle seguenti:

- Temp. Corp. > 38°C o < 36°C - F.C. > 90 bpm. - Iperventilazione (FR > 20) o Alcalosi Respiratoria (PaCO2 < 32 mmHg.). - WBC > 12.000 o < 4.000. - Neutrofili Immaturi > 10%.

Bone R. American College of Chest Physicians/Society of Critical Care Medicine Consensus Conference: definitions for sepsis and organ failure and guidelines for the use of innovative therapies in sepsis. - Crit Care Med. 1992;20:864–874. ACCP/SCCM Consensus Conference on Sepsis and Organ Failure (1991) - Chest – 1992 – 101: 1644 – 1655.

Revisione dei Criteri Diagnostici di Sepsi

Diagnosi di Infezione, documentata o sospetta, e alcuni dei seguenti:

Segni e Sintomi Generali

Segni Generali di Infiammazione

- Febbre (T° centrale > 38,3°C). - Ipotermia (T° centrale < 36°C). - Tachicardia (FC > 90 bpm o > di 2SD

al di sopra del normale valore per età) - Tachipnea / Alcalosi respiratoria. - Stato Mentale Alterato. - Edema o Bilancio idrico positivo (> 20

ml.Kg. nelle 24 h.) - Iperglicemia (> 120 mg.dl. in assenza

di diabete.

- Leucocitosi (WBC > 12.000 mmc.). - Leucopenia (WBC < 4.000 mmc.). - Conta WBC normale con forme

immature > 10%. - Plasma C-reactive Protein > 2SD sopra

il range di normalità. - Plasma Procalcitonina > 2SD sopra il

range di normalità

Alterazioni emodinamiche

Segni di disfunzione d’organo

- Ipotensione arteriosa (SBP < 90

mmHg. o MAP < 70 mmHg. o

- Ipossiemia arteriosa (P/F < 300)

(ALI/ARDS).

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riduzione della SBP > 40 mmHg. negli adulti o < 2SD al di sotto dei normali valori per età).

- C.I. > 3.5 L.min. - Elevata SvO2 (SvO2 > 70%)*. - Riduzione delle resistenze vascolari

Sistemiche. - Alterazione della perfusione cutanea. - Riduzione dell’output urinario. - Inesplicabile lattacidemia e/o

aumento del deficit di basi. *Nel bambino una SvO2 > 70% (v.n. 75 – 80%) ed un CI > 3.5 – 5.5 L.min.m2., sono normali. Pertanto nessuno di questi valori deve essere utilizzato per la diagnosi di sepsi nel neonato o nel bambino.

- Inesplicata alterata funzione renale o Acuta oliguria (< 0,5 ml.Kg.h.). o Aumento Cretininemia > 0,5

mg.dl. - Anormalità della coagulazione

o INR > 1,5 o PTT > 60 sec.

- Trombocitopenia (PLTS < 100.000 mmc.) / CID.

- Inesplicata alterazione dei tests di funzionalità epatica (bilirubinemia > 4 mg.dl.)

- Alterata motilità gastrointestinale con intolleranza all’introito alimentare (Ileo paralitico ed assenza dei rumori intestinali).

Variabili di perfusione tissutale

• Iperlattacidemia (> 4 mmol.l.) • Ridotto riempimento capillare o

marezzatura della cute.

Levy MM, Fink MP, Marshall JC, et Al. – 2001 SCCM/ESICM/ACCP/ATS/SIS: International Sepsis Definitions Conference. Intensive Care Med. (2003) 29: 530 – 538.

G.R.A.D.E. System

(Grade f Recommendation, Assessment, Development and Evaluation)

Determinazione della qualità dell’evidenza

Qualità dell’evidenza

• A = Alta • B = Moderata • C = Bassa • D = Molto bassa

Metodologia di Studio

• A = RCT di alta qualità • B = RCT meno accurati o Studi osservazionali di grado molto elevato. • C = Studi osservazionali ben condotti.

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• D = Serie di casi o opinioni di esperti.

Fattori che possono aumentare la forza dell’evidenza

1. Grande magnitudine dell’effetto (Evidenza diretta, Rischio Relativo > 2 senza fattori

confondenti plausibili).

2. Magnitudine molto elevata dell’effetto (Rischio Relativo > 5 senza minacce di validità).

3. Gradiente Dose – Risposta.

Fattori che possono ridurre la forza dell’evidenza

1. Scarsa qualità nella pianificazione ed implementazione dei RCTs disponibili che

suggeriscono una elevata possibilità di bias.

2. Risultati inconsistenti (inclusi i problemi derivanti dall’analisi dei sottogruppi).

3. Evidenza indiretta (Studi che differiscono per popolazione, tipo e modalità d’intervento, gruppi di controllo, outcomes e confronti).

4. Imprecisione dei risultati.

5. Alta probabilità di bias.

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G.R.A.D.E. System

(Grade of Recommendation, Assessment, Development and Evaluation)

Fattori che determinano la forza della raccomandazione

1. Forte

2. Debole

Fattori presi in considerazione

Processo raccomandato

• Qualità dell’evidenza.

• Importanza relativa degli outcomes.

• Rischi di base degli outcomes.

• Magnitudine del Rischio relativo, inclusi i benefici, i danni ed il peso.

• Magnitudine Assoluta dell’effetto.

• Precisione della stima degli effetti.

• Costi.

• Minore è la qualità dell’evidenza,

minore è la probabilità di una forte raccomandazione.

• Se i valori o le preferenze degli outcomes variano grandemente, una forte raccomandazione diventa meno probabile.

• Maggiore il rischio, maggiore la magnitudine dei benefici.

• Maggiore la riduzione del Rischio Relativo, maggiore la forza della raccomandazione; maggiore l’aumento del Rischio Relativo di danno, minore la forza della raccomandazione.

• Maggiore il rischio assoluto di beneficio o di danno, maggiore o minore, rispettivamente, è la probabilità di una forte raccomandazione.

• Maggiore la precisione, maggiore la possibilità di una forte raccomandazione.

• Più è alto il costo del trattamento, meno facile una forte raccomandazione.

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PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO

Trattamento iniziale

Entro la 1° ora dalla diagnosi

Entro le prime 6 ore dalla diagnosi

1. Prelevi colturali appropriati.

2. Terapia antibiotica empirica a

largo spettro.

1. EGDT (Early Gold Directed

Therapy)

2. Indagini strumentali e diagnosi rapida della sede sorgente d’infezione.

3. Trattamento e controllo tempestivi

della sorgente infettiva. Stabilire un accesso vascolare ed iniziare una terapia infusionale aggressiva è la prima priorità del trattamento di tutti i pazienti con sepsi severa e shock settico. Tuttavia, in presenza di sepsi severa o shock settico ogni ora di ritardo nella somministrazione di un antibiotico efficace è associato ad un misurabile incremento della mortalità dei pazienti.

(Kumar A. et Al. – 2006 – Duration of hypotension prior to initiation of effective antimiocorobyal therapy is the critical determinant of survival in human septic shock – Crit. Care Med. 34: 1589 – 1596).

Trattamenti aggiuntivi

1. Corticosteroidi 2. Recombinant Human Activated

Protein (rhAPC) 3. Prodotti ematici sostitutivi.

Trattamenti di supporto

4. Terapia renale sostitutiva.

5. Terapia con bicarbonato

6. Profilassi della Trombosi Venosa

Profonda e dell’Embolia Polmonare.

7. Profilassi dell’ulcera da stress.

8. Decontaminazione selettiva del tratto gastrointestinale.

1. Ventilazione meccanica in caso di

ALI/ARDS sepsi correlata.

2. Sedazione, analgesia e bloccanti neuromuscolari nel pz. settico.

3. Controllo della glicemia.

Considerazioni sulla limitazione delle misure di supporto nel paziente settico.

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TRATTAMENTO INIZIALE

Entro la 1a ora

Prelievi Colturali Appropriati

Raccomandazioni

Grado di evidenza

Prelevare campioni colturali appropriati prima della somministrazione di qualsiasi antibiotico, senza ritardare la terapia antibiotica. Colture appropriate, ottenute prima della terapia antibiotica, sono essenziali:

• per confermare l’infezione • per identificare il microorganismo responsabile ed il suo

specifico antibiogramma. • per permettere la de – escalation dell’antibiotico – terapia.

La somministrazione della prima dose di antibiotico può provocare, subito dopo poche ore, una rapida sterilizzazione dei campioni ematici.

1C Per ottimizzare l’identificazione del germe in causa si raccomandano:

• Almeno 2 o più campioni di almeno 10 ml. di sangue, di cui almeno 1 percutaneo ed 1 da ogni lume di ogni catetere vascolare posizionato da oltre 48 h.

• Prelievi per esami colturali, preferibilmente quantitativi, da ogni altra sede appropriata:

Urine. Liquor. Ferite. Secrezioni tracheo – bronchiali. Ogni altra sede accessibile di sospetta sorgente

infettiva. (I campioni devono essere trasportati immediatamente al laboratorio di microbiologia o, se ciò non è possibile, conservati in ghiaccio o in frigorifero)

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Terapia Antibiotica

Raccomandazioni

Grado di evidenza

La terapia antibiotica ev deve essere iniziata il più precocemente possibile, entro la prima ora dalla diagnosi di shock settico (1B) e di sepsi severa (1D) (I prelievi colturali appropriati dovrebbero essere eseguiti prima dell’inizio della terapia antibiotica, ma ciò non dovrebbe ritardare la pronta somministrazione dell’antibiotico – terapia)

1B (shock settico) 1D (sepsi severa)

1D

La terapia antibiotica iniziale empirica dovrebbe includere la scelta di uno o più farmaci:

• di dimostrata attività contro il presunto microorganismo (batterio o fungo) responsabile dell’infezione.

• In grado di penetrare in adeguata concentrazione all’interno del presunto sito d’infezione.

Deve tenere conto: • Storia del paziente, allergie o tossicità da farmaci, malattie

concomitanti e stato immunitario. • Patterns di suscettibilità dei patogeni comunitari, delle

strutture socio-sanitarie ed ospedaliere. • Possibile colonizzazione (e non infezione) nei pazienti con

malattie croniche inveterate. Deve essere di spettro abbastanza ampio da coprire tutti i potenziali patogeni, compresi MRSA (se la loro prevalenza è significativa) e le specie di Candida prevalenti (spt. nei pazienti a rischio di candidemia).

1B

Il regime antibiotico empirico a largo spettro, deve essere rivalutato giornalmente allo scopo di ottimizzare l’attività, prevenire lo sviluppo di resistenze, ridurre la tossicità ed i costi del trattamento. La terapia antibiotica empirica a largo spettro deve essere mantenuta, a pieno dosaggio, fino a quando non si dispone dell’isolamento del microorganismo e del suo relativo antibiogramma. Solo in questo momento è possibile avviare una de-escalation allo scopo di ridurre l’incidenza di superinfezioni (VRE, Clostridium difficilis, Candida species). Il dosaggio di ogni singolo antibiotico non è sempre di facile determinazione, tenendo conto che il paziente settico ha spesso:

• Un’alterata funzione epatica e renale.

1C

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• Un’abnorme Volume di Distribuzione. La monitorizzazione della [C] plasmatica dei singoli farmaci e la consulenza infettivologica possono essere molto utili in ICU. La normale durata del trattamento antibiotico è di circa 7 – 10 giorni; terapie più prolungate sono necessarie in caso di.

• Scarsa risposta clinica. • Presenza di foci infettivi non aggredibili. • Pazienti immunodepressi o neutropenici.

1D

Se si riconosce che la causa della sindrome è di origine non infettiva, la terapia antibiotica deve essere interrotta prontamente per minimizzare il rischio

• di infezione da parte di germi resistenti. • di reazioni avverse da farmaci.

In caso di sepsi severa e shock settico, le emocolture risultano negative nel 50% circa dei casi, ma molti di questi casi sono probabilmente veri casi di sepsi, causati da batteri o funghi sfuggiti all’indagine emocolturale. Pertanto la decisione di proseguire, restringere o interrompere la terapia antibiotica deve essere presa sulla base di un accurato giudizio e su precise informazioni cliniche.

1D

Suggerimenti

Grado di evidenza

Si suggerisce una Terapia antibiotica empirica a largo spettro combinata, nei pazienti con sepsi severa e shock settico :

• con sospetta od accertata infezione da Pseudomonas (2D) • con neutropenia (2D)

2D

Quando usata empiricamente la terapia antibiotica combinata non dovrebbe essere somministrata per più di 3 – 5 giorni. La de-escalation e la più appropriata monoterapia dovrebbero essere intraprese non appena è noto l’antibiogramma. Anche se non esistono studi o metanalisi che abbiano dimostrato in modo convincente che la terapia combinata produca un esito clinico superiore sui singoli patogeni in un particolare gruppo di pazienti, la terapia combinata ha dimostrato, in alcuni modelli sperimentali in vitro, un effetto sinergico contro particolari patogeni, ma questa sinergia è di difficile definizione e previsione in vivo. Nei pazienti neutropenici e/o con sospetta od accertata infezione da Pseudomonas, la terapia combinata potrebbe essere biologicamente plausibile e clinicamente utile, anche se non vi è alcuna dimostrazione

2D

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evidente di un miglioramento dell’outcome del paziente Nei casi di sospetta od accertata infezione da Pseudmonas, l’antibioticoterapia combinata potrebbe aumentare la probabilità che almeno un farmaco sia effettivamente attivo contro quel determinato ceppo e che possa, quindi, incidere positivamente sull’esito del paziente.

TRATTAMENTO INIZIALE

Entro le prime 6 ore

EGDT (Early Gold - Directed Therapy)

(River’s Protocol)

Raccomandazioni

Grado di evidenza

Il protocollo di River deve essere iniziato non appena viene riconosciuto lo stato di ipoperfusione (ipotensione persistente dopo fluid challenge iniziale o iperlattacidemia > 4 mMol.l.) senza ritardi dovuti ad es. al trasferimento del paziente in ICU. Durante le prime 6 ore, l’iniziale trattamento dell’ipoperfusione sepsi – correlata dovrebbe includere tutti gli obiettivi elencati di seguito, come parte di un unico protocollo di trattamento:

• CVP 8 – 12 mmHg. (12 – 15 mmHg. in MV). • MAP > 65 mmHg. • Output urinario > 65 mmHg. • ScvO2 > 70% o SvO2 > 65%.

1C

Lo studio di River (RDT – single – center study) ha dimostrato un miglioramento del tasso di mortalità a 28 giorni nei pazienti con shock settico sottoposti a trattamento rianimatorio aggressivo che hanno raggiunto tutti gli obiettivi sopra-elencati nelle prime 6 ore dall’ingresso nel DE.

(River E. et. Al. – Early Goal – Directed Therapy in the treatment of severe sepsis and septic shock – N. Eng. J. Med. 345: 1368 – 1377).

Molti lavori più recenti supportano la validità del protocollo EGDT di River. CVP target di 12 – 15 mmHg. nei pazienti:

• Ventilati Meccanicamente. • Con conosciuta e preesistente riduzione della compliance e/o disfunzione diastolica

ventricolare.

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• Con Ipertensione Polmonare significativa. • Con aumento della P. addominale.

Nonostante le importanti limitazioni sull’utilizzo della CVP o di ogni altra pressione di riempimento (PCWP) come surrogato per la guida del riempimento volemico, la misurazione della CVP è ancora, attualmente, la misura più facile da ottenere per guidare la terapia infusionale. Tuttavia potrebbe essere più vantaggioso guidare la terapia infusionale su valori target di flusso o forse su indici volumetrici ed anche sui cambiamenti del microcircolo. La tecnologia esistente permette la misurazione di tali parametri al letto del paziente, ma deve diventare più accessibile e soprattutto la loro utilità deve essere ancora validata. Vi è un generale consenso nel considerare equivalenti le misurazioni intermittenti o continue della ScvO2 e della SvO2: entrambe sono considerate accettabili. Inoltre, sebbene la lattacidemia non sia un parametro preciso come misura dello stato metabolico tissutale, elevati livelli di lattato (> a 4 mmol.l.) nella sepsi, supportano un trattamento rianimatorio aggressivo.

Suggerimenti

Grado di evidenza

Se durante le prime 6 ore di rianimazione, in caso di sepsi severa o shock settico, i target ScvO2 > 70% e/o SvO2 > 65% non vengono raggiunti, nonostante la terapia infusionale aggressiva con raggiungimento della CVP (e della MAP) target, il protocollo di River prevede:

• Trasfusione di EC fino ad ottenere un valore di Hct > 30% e/o • Somministrazione di dobutamina (max 20 mcg.Kg.min.).

Sulla base della valutazione clinica al letto del paziente ed alle personali preferenze, una volta raggiunt la CVP e la MAP target con adeguata terapia infusiva, il clinico può decidere o la trasfusione di EC oppure l’infusione di dobutamina per aumentare la DO2 ed elevare la ScvO2 o la SvO2 ai valori target. Il lavoro di River non permette di valutare il contributo relativo delle due componenti (aumento del contenuto o della gittata cardiaca) sul miglioramento della sopravvivenza.

2C

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TRATTAMENTO INIZIALE

Entro le prime 6 ore

Diagnosi e Controllo della sorgente

infettiva.

Raccomandazioni

Grado di evidenza

La diagnosi della specifica sede anatomica del processo infettivo è indispensabile per il controllo tempestivo dell’infezione; ad es., fascite necrotizzante, peritonite diffusa, colangite, infarto intestinale, ecc.. devono essere diagnosticate od escluse il più rapidamente possibile, entro le prime 6 ore dalla diagnosi di sepsi severa e shock settico.

1D

La diagnostica per immagini deve essere avviata prontamente allo scopo di confermare la sorgente potenziale di infezione. Alcuni pazienti, anche nelle strutture sanitarie più organizzate e dirette da personale esperto, possono essere così instabili da impedire l’esecuzione di alcune procedure invasive o il trasporto al di fuori dell’ICU. In questi casi è d’obbligo la valutazione del rapporto rischio – beneficio e l’indagine ecografica al letto del paziente può essere di grande utilità. Campioni colturali devono essere prelevati da ogni sede infettiva identificata ed accessibile.

1C

E’ fortemente raccomandato che tutti i pazienti che si presentano con sepsi severa e shock settico siano valutati per la presenza di un focus infettivo suscettibile di trattamento specifico: ad es.

• Drenaggio chirurgico di un ascesso addominale, di un empiema toracico, di un artrite settica.

• Revisione ed asportazione chirurgica di un tessuto necrotico infetto (pielonefrite, colangite, pancreatite necrotica con sovra infezione, mediastinite, infarto intestinale, ...)

• Rimozione di qualsiasi device potenzialmente infetto (catetere vascolare infetto, catetere vescicale, infezione di dispositivo intrauterino infetto, …).

• Controllo definitivo di qualsiasi sorgente di possibile contaminazione microbiologica (resezione intestinale in caso di diverticolite, colecistectomia in caso di colecistite gangrenosa, amputazione in caso miosite necrotizzante da Clostridium, …).

1C

Se l’intervento chirurgico definitivo non è possibile o controindicato, il 1D

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controllo della sorgente infettiva richiede almeno l’applicazione di misure meno invasive , come ad es. il drenaggio percutaneo di un ascesso o il drenaggio endoscopico dell’albero biliare, .. Se si sospetta l’infezione di un device intravascolare, esso deve essere prontamente rimosso dopo aver stabilito un altro nuvo accesso.

1C

Suggerimenti

Grado di evidenza

In caso di pancreatite, con sovra infezione di tessuto peripancreatico necrotico, il controllo chirurgico definitivo deve essere ritardato fino alla completa demarcazione tra tessuti sani e tessuti necrotici.

2B

Un RCT di confronto tra trattamento chirurgico precoce e ritardato in caso di pancreatite necrotizzante, ha dimostrato un outcome migliore nel gruppo trattato tardivamente. Tuttavia, esiste un ampio margine d’incertezza su quanto l’intervento chirurgico debba essere ritardato in questi casi e, soprattutto, se i risultati di questo studio possano essere applicati anche ai casi di sovrainfezione dei tessuti peripancreatici necrotici. La scelta del metodo ottimale di controllo della sorgente d’infezione nei pazienti affetti da sepsi severa o shock settico, deve ponderare molto attentamente il rapporto rischio – beneficio legato allo specifico intervento, così come i rischi del trasferimento del paziente in sala operatoria. L’intervento chirurgico può causare ulteriori complicazioni come sanguinamento, fistole, o lesioni d’organo accidentali. L’intervento chirurgico va preso in considerazione quando interventi meno invasivi sono inadeguati, o quando persiste un’incertezza diagnostica nonostante le valutazioni radiologiche. Ogni situazione clinica richiede che vengano prese in considerazione:

• Le scelte disponibili. • Le preferenze del paziente. • Il parere degli esperti.

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TRATTAMENTO INIZIALE

Entro le prime 6 ore

Fluidoterapia

Raccomandazioni

Grado di evidenza

La terapia infusionale aggressiva può essere eseguita sia con colloidi naturali o artificiali o con cristalloidi. Non vi è alcuna evidenza che supporta la maggiore efficacia di un tipo rispetto all’altro: cristalloidi e colloidi devono essere considerati equivalenti. Lo studio SAFE indica che la somministrazione di albumina è egualmente sicura ed efficace della somministrazione di cristalloidi. Si è riscontrata solo una insignificante riduzione del tasso di mortalità con l’uso di colloidi all’analisi di un sottogruppo di pazienti settici (p 0,09). Precedenti meta-analisi di piccoli studi di pazienti in ICU non hanno dimostrato differenze tra colloidi e cristalloidi. Anche se la somministrazione di hydroxyethyl starch porebbe aumentare il rischio di ARF nei pazienti con sepsi, dati contrastanti precludono raccomandazioni definitive. Poiché il volume di distribuzione è molto più grande per i cristalloidi che per i colloidi, la rianimazione con cristalloidi richiede una maggior quantità di liquidi per ottenere gli stessi end-points emodinamici, ma con il risultato di un maggior edema interstiziale. Inoltre, i cristalloidi sono meno costosi.

1B

Anche se la fluidoterapia iniziale ha come obiettivo il raggiungimento di una CVP di almeno 8 mmHg. (12 mmHg. nei pazienti ventilati meccanicamente), è spesso richiesta un ulteriore fluidoterapia.

1C

La fluidoterapia iniziale deve essere eseguita con la tecnica del “fluid challenge” mentre la fluidoterapia di base deve essere continuata per mantenere il miglioramento emodinamico (PA, FC, diuresi). La tecnica del “ fluid challenge” deve essere distinta dalla semplice infusione continua di lquidi; si tratta di una tecnica nella quale una grande quantità di liquidi viene somministrata in un limitato periodo di tempo, con attento monitoraggio per valutare la risposta del paziente ed evitare lo sviluppo di edema polmonare.

1C

1D

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La tecnica “fluid challenge” nei pazienti con sospetta ipovolemia deve essere iniziata con almeno 1000 ml. di cristalloidi o 300 – 500 ml. di colloidi in circa 30 min. Una velocità d’infusione maggiore può essere necessaria nei pazienti con ipoperfusione tissutale sepsi – correlata. La velocità d’infusione deve essere sostanzialmente ridotta quando le pressioni di riempimento (CVP e/o PCWP) aumentano senza un contemporaneo miglioramento emodinamico.

1D

Nei pazienti con sepsi severa e shock settico, il grado di deficit del volume intravascolare è molto variabile, imprevedibile e difficilmente misurabile. La venodilatazione e la permeabilità capillare fanno si che la maggior parte dei pazienti richiedano una fluidoterapia aggressiva continua per almeno le prime 24 ore di trattamento. Durante questo periodo l’input è tipicamente maggiore dell’output, ed il bilancio input/output non è di nessuna utilità per giudicare la necessità della fluido rianimazione.

TRATTAMENTO INIZIALE

Entro le prime 6 ore

Vasopressori

Raccomandazioni

Grado di evidenza

La Pressione Arteriosa Media deve essere mantenuta > a 65 mmHg. La somministrazione di vasopressori è richiesta come misura di sostegno vitale per mantenere la pressione di perfusione nei casi di ipotensione grave e minacciosa per la vita, anche quando l’ipovolemia non è stata ancora corretta. Al di sotto di certi valori di PAM l’autoregolazione, in alcuni distretti vascolari, viene perduta e la perfusione diviene linearmente proporzionale ai valori di pressione. Pertanto alcuni pazienti possono richiedere una terapia con vasopressori per ottenere una minima pressione di perfusione per mantenere un adeguato flusso tissutale. La somministrazione di NA guidata all’ottenimento di una PAM di almeno 65 mmHg. ha dimostrato di preservare la perfusione tissutale. In aggiunta, per stabilire la MAP target è necessario prendere in considerazione l’eventuale presenza di comorbidità pre-esistenti. Ad es. una MAP di 65 mmHg. potrebbe essere troppo bassa in un

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paziente con una storia di ipertensione severa incontrollata, mentre una MAP inferiore potrebbe essere adeguata in un giovane normotensivo. E’ importante correlare la MAP target con altri end-points supplementari che valutano la perfusione globale e regionale, come la [C] sierica del lattato e la diuresi. La fluido-rianimazione è un aspetto fondamentale del management emodinamico dei pazienti con shock settico e dovrebbe idealmente essere ottenuta prima dell’uso di vasopressori ed inotropi, ma l’uso precoce di vasopressori come misura d’emergenza nei pazienti con shock settico severo è frequentemente necessario. Quando ciò capita, un grande sforzo deve essere diretto verso un rapido svezzamento dai vasopressori mantenendo il supporto fluido terapico. La NA e la DOPA rappresentano i vasopressori di prima scelta per correggere l’ipotensione in caso di shock settico (da somministratre attraverso un Catetere Venoso Centrale non appena disponibile). La DOPA aumenta la MAP e la gittata cardiaca, principalmente attraverso un aumento dello stroke volume e della frequenza cardiaca. La NA aumenta la MAP attraverso i suoi effetti vasocostrittivi, con piccoli cambiamenti della frequenza cardiaca e minore incremento dello stroke volume rispetto alla DOPA. La NA è più potente della DOPA e può essere più efficace nel trattamento dell’ipotensione in caso di shock settico. La DOPA può essere particolarmente utile nei pazienti con compromissione della funzione sistolica ventricolare ma causa maggiore tachicardia e può essere maggiormente aritmogena. Inoltre la DOPA influenza anche la risposta endocrina dell’asse ipotalamo – ipofisario e possiede effetti immunosoppressivi. Non esiste una principale evidenza di alta qualità, tale da raccomandare una catecolamina rispetto ad un’altra. Esiste molta letteratura contrastante sugli effetti della scelta di vasopressori o vasopressori – inotropi nel trattamento dello shock settico. Studi umani ed animali suggeriscono alcuni vantaggi della NA e della DOPA sull’adrenalina (per la potenziale tachicardia e per gli effetti svantaggiosi sulla circolazione splancnica e per l’iperlattacidemia) e sulla fenilefrina (diminuzione dello stoke volume). Non esiste del resto nessuna evidenza che l’uso dell’adrenalina risulti in un outcome peggiore, e dovrebbe essere la prima scelta in alternativa alla NA e alla DOPA. La fenilefrina è l’agente adrenergico che produce minori effetti tachicardizzanti, ma come agente vasopressore puro potrebbe determinare una diminuzione dello stroke volume.

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Basse dosi di DOPA non devono essere usate per la protezione renale.

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Un ampio RCT e diverse meta – analisi che hanno confrontato basse dosi di DOPA con placebo non hanno dimostrato alcuna differenza, né degli outcomes primari (picco serico di creatinina, necessità di terapia renale sostitutiva, diuresi, tempo di recupero della funzionalità renale), né degli outcomes secondari (sopravvivenza, dimissione dalla T.I. od ospedaliera, durata della permanenza in ICU o della degenza ospedaliera, e dell’incidenza di aritmie). Pertanto, i dati disponibili non supportano la somministrazione di basse dosi di DOPA allo scopo di mantenere la funzione renale. Tutti i pazienti che richiedono l’impiego di vasopressori dovrebbero essere monitorizzati con una linea arteriosa non appena possibile e se le risorse disponibili lo permettono. Negli stati di shock la misurazione non invasiva della PA è comunemente inaccurata; l’uso di una cannula arteriosa consente una più appropriata e riproducibile misurazione della PA. Permette inoltre una misurazione in continuo della PA, così che le decisioni terapeutiche possono essere basate sul valore immediato e riproducibile di PA.

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Suggerimenti

Grado di evidenza

Epinefrina, fenilefrina e vasopressina non dovrebbero essere somministrate come farmaci di prima scelta nel trattamento dello shock settico. La vasopressina (0,03 U./min.) può essere successivamente aggiunta alla NA, prevedendo comunque un effetto equivalente alla NA da sola. In caso di shock settico, sono stati riportati livelli sierici di vasopressina più bassi di quanto previsto per uno stato di shock. Alcuni studi mostrano che le [C] di vasopressina risultano elevate nelle fasi precoci dello shock settico, ma persistendo lo stato di shock, le [C] di vasopressina, nella maggioranza dei pazienti, tra le 24 e 48 ore, diminuiscono fino al range di normalità. Ciò è stato definito “deficienza relativa di vasopressina”: infatti, in presenza di ipotensione ci aspetteremmo elevati valori di vasopressina. Ma il significato di tale deficienza relativa è sconosciuto. Basse dosi di vasopressina possono essere efficaci nell’aumentare la PA nei pazienti con ipotensione refrattaria agli altri vasopressori, e possono avere altri benefici effetti fisiologici. La terlipressina ha effetti simili alla vasopressina ma possiede una lunga durata d’azione. Il recente studio VASST, randomizzato - controllato, non ha dimostrato

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alcuna differenza di outcome nel confronto tra i gruppi trattati con sola NA e quelli che ricevevano NA e Vasopressina. Un’analisi a priori di un ben definito sottogruppo ha mostrato che la sopravvivenza dei pazienti che, al momento della randomizzazione, ricevevano una dose di NA < di 15 mcg. min. era migliore con la vasopressina. Tuttavia bisogna sottolineare che il razionale pre – trial di questo studio era volto ad esplorare i potenziali benefici nei pazienti che richiedevano dosi di NA > a 15 mcg.min. Elevate dosi di vasopressina sono state associate ad ischemia cardiaca, digitale e splancnica; esse dovrebbero essere riservate a quelle situazioni nelle quali gli altri vasopressori hanno fallito. L’adrenalina è l’agente alternativo di prima scelta nei casi di shock settico scarsamente responsivo alla NA e alla DOPA.

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TRATTAMENTO INIZIALE

Entro le prime 6 ore

Inotropi

Raccomandazioni

Grado di evidenza

L’infusione di dobutamina deve essere presa in considerazione in presenza di disfunzione miocardica come suggerito dalle elevate pressioni di riempimento associate ad una bassa gittata cardiaca. La dobutamina è l’inotropo di prima scelta per i pazienti con misurata o sospetta bassa gittata cardiaca in presenza di pressioni di riempimento ventricolare adeguate (o di valutazione clinica di adeguato riempimento volemico) e di adeguata MAP. I pazienti settici che rimangono ipotesi dopo adeguata rianimazione volemica possono avere una gittata cardiaca ridotta, normale o elevata. Il trattamento con una combinazione di inotropi e vasopressori come NA e DOPA è raccomandato se la gittatta cardiaca non è misurata. Quando è possibile tale misurazione, in aggiunta a quella della PA, un vasopressore come la NA può essere separatamente per raggiungere specifici target di MAP e di gittata cardiaca.

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La strategia di aumentare l’indice cardiaco a valori predeterminati sopranormali non è raccomandabile.

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Due ampi prospettici clinical trials che includevano pazienti critici ricoverati in ICU con sepsi severa, hanno fallito nel dimostrare benefici dall’incremento della DO2 verso valori sopranormali con l’uso di dobutamina. Questi studi non avevano come target specifico i pazienti affetti da sepsi severa e nemmeno le prime 6 ore di rianimazione; le prime 6 ore di rianimazione dell’ipoperfusione sepsi – correlata necessitano di un trattamento separato da quello degli ultimi stadi della sepsi severa.

TRATTAMENTO AGGIUNTIVO

Corticosteroidi

Raccomandazioni

Grado di evidenza

Dosi di corticosteroidi comparabili con dosi di idrocortisone > di 300 mg.die, non devono essere usate in caso di sepsi severa o shock settico allo scopo di trattare lo shock settico. Due RCT e diverse meta – analisi concludono che per la terapia della sepsi severa e dello shock settico, alte dosi di corticosteroidi risulatano inefficaci o addirittura dannose. Alte dosi di corticosteroidi possono essere impiegate solo in presenza di patologie mediche che lo richiedano.

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I corticosteroidi non dovrebbero essere somministrati nel trattamento della sepsi in assenza di shock. Non vi sono tuttavia controindicazioni a proseguire una terapia corticosteroidea in corso o all’utilizzo di dose – stress di steroidi nei pazienti con insufficienza corticosurrenale. Non esistono studi specificamente mirati ai pazienti con sepsi severa in assenza di shock che offrano supporto all’uso di dose – stress di steroidi in questa popolazione di pazienti. Gli steroidi possono essere indicati in presenza di una storia di terapia steroidea in corso nel periodo precedente la sepsi o di documentata disfunzione surrenalica. Un recente studio preliminare sull’utilizzo di dose – stress di steroidi in pazienti affetti da polmonite comunitaria fornisce risultati incoraggianti ma necessita di ulteriore conferma.

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Suggerimenti

Grado di evidenza

La somministrazione ev di idrocortisone deve essere presa in considerazione solo negli adulti affetti da shock settico che rimangono ipotensivi o poco responsivi alla fluido – rianimazione e alla terapia con vasopressori. I corticosteroidi non devono essere utilizzati nei pazienti con shock settico responsivi alla fluidoterapia e ai vasopressori. Lo studio di Annane, uno studio francese RCT multicentrico, condotto su pazienti con shock settico non responsivo alla fluido – rianimazione e alla terapia con vasopressori, ha dimostrato un significativo miglioramento dello stato di shock ed una riduzione del tasso di mortalità nei pazienti con Insufficienza Surrenalica Relativa (definita come aumento della cortisolemia < a 9 mcg./100 ml. dopo test di stimolazione con ACTH). Anche due più piccoli RCTs addizionali hanno dimostrato effetti significativi sulla reversibilità dello shock con la terapia steroidea. Tuttavia un recente ed ampio studio multicentrico europeo (CORTICUS) non ha dimostrato alcun beneficio in termini di mortalità della terapia steroidea in caso di shock settico. Ha però dimostrato una più rapida risoluzione dello shock settico nei pazienti che hanno ricevuto steroidi. Inoltre, l’uso del test di stimolazione con ACTH (responders e non-responders) non ha dimostrato la capacità di identificare i pazienti con la più rapida risposta dello stato di shock. Esiste un’importante differenza tra lo studio francese di Annane ed il CORTICUS: lo studio di Annane ha reclutato soltanto i pazienti con shock settico con ipotensione non responsiva alla terapia con vasopressori, mentre il CORTICUS include pazienti con shock settico, senza riguardo della risposta alla terapia con vasopressori. Anche se i corticosteroidi appaiono promuovere una rapida risposta in alcuni pazienti con shock settico, la mancanza di un chiaro miglioramento della mortalità, insieme ad un aumentato rischio di infezione e di miopatia, ha temperato l’entusiasmo per la grande diffusione del loro uso. Pertanto, c’è stato un grande accordo sull’abbassamento del grado di raccomandazione sull’uso dei corticosteroidi rispetto alle linee guida precedenti.

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Il test di stimolazione con ACTH non è più utilizzato per identificare il sottogruppo di adulti con shock settico che dovrebbero ricevere corticosteroidi. Lo studio di Annane suggerisce che coloro che non rispondono al test di stimolazione con ACTH (aumento del cortisolo < 9 mcg.dl. 30 – 60 min. dopo test di stimolazione con ACTH) erano più soggetti al

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beneficio con steroidi rispetto a quellli con risposta positiva; tuttavia all’analisi globale della popolazione ha dimostrato un certo beneficio indipendenetemente dai risultati del test e l’osservazione della potenziale interazione tra uso di steroidi e test con ACTH non si è rivelato statisticamente significativo. Lo studio CORTICUS non ha dimostrato alcuna evidenza nella capacità del test ACTH di distinguere i Responders dai Non - responders. Inoltre, i tests di determinazione della cortisolemia utilizzati, determinavano la cortisolemia totale (la quota libera + la quota legata alle proteine). Il rapporto tra quota libera e quota legata, varia con la concentrazione serica delle proteine. Quando i tests immunologici sono stati confrontati con metodi di spettrometria di massa, i metodi immunologici si sono rivelati imprecisi, potendo sovrastimare o sottostimare i livelli attuali di cortisolo, influenzando così l’assegnazione dei pazienti tra responders e non – responders. Anche se il significato clinico non è chiaro, è ora riconosciuto che l’etomidato, quando usato per l’induzione per l’intubazione, sopprime l’asse HPA. I pazienti con shock settico non dovrebbero ricevere desametazone se l’idrocortisone è disponibile. Anche se il desametazone è stato spesso proposto per l’uso fino alla stimolazione con ACTH,non vi è alcun suggerimento a praticare il test dell’ACTH in questo contesto. Il desametazone può causare un’immediata e prolungata soppressione dell’HPA.

2B

E’ suggerita l’aggiunta di una dose orale giornaliera di fludrocortisone (50 mcg.die.) se l’idrocortisone non è disponibile e se lo steroide sostituente non ha attività mineralcorticoide. Il fludrocortisone è considerato opzionale se è utilizzato l’idrocortisone. Poiché l’idrocortisone ha un’intrinseca attività mineralcorticoide, è molto controverso se e come debba essere aggiunto il fludrocortisone.

2C

E’ suggerito che lo svezzamento della terapia steroidea venga avviato fin dal momento in cui il paziente diviene indipendente dalla somministrazione di vasopressori. Non vi sono studi comparativi tra terapia steroidea di “durata fissa” e “regime guidato clinicamente”, o tra una cessazione scalare o improvvisa della terapia steroidea. Tre RCT hanno utilizzato un protocollo a “regime di durata fissa”; in due RCT la terapia è stata scalata dopo la risoluzione dello shock; in 4 RCTgli steroidi erano scalati dopo diversi giorni; in 2 RCT gli steroidi

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sono stati interrotti bruscamente. Uno studio cross – over ha dimostrato un rebound emodinamico ed immunologico in seguito alla brusca interruzione dei corticosteroidi. Rimane tuttavia incerto se l’interruzione brusca o scalare della terapia corticosteroidea influisca sull’outcome dei pazienti.

TRATTAMENTO AGGIUNTIVO

Proteina C Reattiva Ricombinante (Recombinant Human Activated Protein –

rhAPC)

Raccomandazioni

Grado di evidenza

Si raccomanda che i pazienti adulti con sepsi severa e basso rischio di mortalità, la maggioranza dei quali si collocano con un APACHE II score < 20 o con una sola insufficienza d’organo, NON ricevano rhAPC.

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Suggerimenti

Grado di evidenza

E’ suggerito che i pazienti adulti con disfunzione d’organo sepsi – correlata associata ad una valutazione clinica di alto rischio di mortalità, la maggior parte dei quali si collocano in un APACHE II score > 25 o multipla disfunzione d’organo, ricevano rhAPC se non vi sono controindicazioni (Grade 2B – Grade 2C per i pazienti chirurgici entro 30 giorni dall’intervento). Nella decisione, anche le controindicazioni relative dovrebbero essere prese in considerazione.

2B 2C

Le evidenze sull’uso dell’rhAPC negli adulti è principalmente basato su due RCTs:

• PROWESS (2001) (1690 pazienti, interrotto precocemente per la sua EFFICACIA) • ADDRESS (2005) (2613 pazienti interrotto precocemente per la su FUTILITA’).

Ulteriori informazioni provengono dallo studio osservazionale open – label ENHANCE, il quale suggerisce che la precoce somministrazione di rhAPC è associata ad un out come migliore. Lo studio PROWESS ha documentato che l’uso della rhAPC è associato:

• Una riduzione assoluta della mortalità per tutte le cause del 6,1%

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• Una riduzione del rischio relativo (RRR) del 19,4% (CI 95% 6,6 – 30,5%) • NNT (Numbers needed to treat) 1:16.

Tuttavia, questi risultati sono stati ottenuti sull’analisi di alcuni sottogruppi di pazienti e l’analisi di sottogruppi di pazienti è soggetta a potenziali errori (errori di selezione e di campionamento dei pazienti nei vari sottogruppi) dovuti all’assenza di una diretta intenzione di trattamento. Analisi successive, hanno dimostrato un aumento della riduzione del RA e del RR con l’aumentare del rischio di mortalità dei pazienti, stabilito sia con APACHE II score, sia con il maggior numero di disfunzione d’organo Queste analisi hanno comunque fornito la base per la raccomandazione dell’uso dell’rhAPC nei pazienti con alto rischio di mortalità (APACHE II > 25) e di più di una disfunzione d’organo. Lo studio ADDRESS ha coinvolto 2613 pazienti,

Di nuovo, il dibattito si è focalizzato sull’analisi dei sottogruppi; un’analisi ristretta ad un piccolo sottogruppo di pazienti con APACHE II score > 25 o più di una disfunzione d’organo, ha fallito nel mostrare alcun beneficio; e questi gruppi di pazienti presentavano anche una mortalità più bassa rispetto a quella rilevata dallo studio PROWESS.

giudicati a basso rischio di morte al tempo dell’arruolamento; la mortalità a 28 giorni per tutte le cause è stata del 17% con placebo e del 18,5% nei pazienti trattati con APC (RR 1,08, CI 95% 0,92 – 1,28).

La riduzione del rischio relativo di morte era numericamente più basso nel sottogruppo dei pazienti sottoposti a chirurgia recente (n = 502) nello studio PROWESS (30.7% placebo cs 27,8% APC), quando confrontati con la popolazione globale (30,8% placebo vs 24,7% APC). Nello studio ADDRESS, i pazienti con chirurgia recente e singola organo disfunzione che hanno ricevuto APC hanno avuto una mortalità a 28 giorni significativamente più elevata (20,7% vs 14,1%, p=0,03, n=635). L’incidenza di seri eventi avversi non differisce significativamente nei 3 studi, ad eccezione del serio sanguinamento, il quale accade più frequentemente nei pazienti trattati con APC:

• PROWESS 2% vs 3,5% (p=0,06) • ADDRESS 2,2% vs 3,9% (p< 0,01) • ENHANCE – open – label 6,5%

L’incidenza di emorragia intracranica è stata: • PROWESS 0,1% (placebo) vs 0,2% (APC) (n.s.). • ADDRESS 0,4% (placebo) vs 0,5% (APC) (n.s.) • ENHANCE 1,5%

Inoltre, gli studi di registro sull’uso dell’rhAPC, riportano un tasso di sanguinamento più elevato rispetto a quello riportato dai trials clinici; ciò suggerisce che il reale rischio di sanguinamento nella pratica corrente può essere più grande di riportata dallo studio PROWESS e ADDRESS. I due RCTs nei pazienti adulti, sono metodologicamente forti, precisi e permettono una diretta evidenza relativamente ai tassi di mortalità. Le conclusioni sono tuttavia limitate dall’inconsistenza non adeguatamente risolta dalle analisi dei vari sottogruppi (per ciò la designazione di una qualità di evidenza moderata). Tuttavia, i risultati sono consistentemente falliti nel dimostrare qualche beneficio nel sottogruppo di pazienti a basso rischio di morte, dimostrando invece, in modo consistente, un incremento del rischio di importante sanguinamento. Pertant, sia per i pazienti a basso rischio che per i pazienti pediatrici, l’evidenza è stata classificata di alta qualità.

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Per gli adulti esiste una probabile riduzione della mortalità nei pazienti con valutazione clinica di alto rischio di morte (APACHE II > 25 o con multipla disfunzione d’organo). Probabilmente non vi sono benefici nei pazienti a basso rischio di morte (APACHE II < 20 o singola disfunzione d’organo). Mentre non sono chiari gli effetti sui pazienti con più di una disfunzione d’organo ma con APACHE II < 25; in tali circostanze si potrebbe far uso della valutazione clinica (APACHE II score) del rischio di morte e il numero di organi insufficienti. Vi è un certo incremento del rischio di sanguinamento con la somministrazione di APC che può essere ancora più elevata nei pazienti chirurgici e nel contesto di procedure invasive. La decisione sull’utilizzazione dell’rhAPC dipende dalla valutazione della probabile riduzione di mortalità vs l’incremento del sanguinamento e dei costi della terapia.

TRATTAMENTO AGGIUNTIVO

Somministrzione di Prodotti Ematici

Raccomandazioni

Grado di evidenza

Una volta risolta l’ipoperfusione tissutale, la trasfusione di emazie concentrate è raccomandata per valori di Hb < 7.0 g.dl. fino al raggiungimento di valori target compresi tra 7 e 9 g.dl., a meno che non sussistano:

• Ischemia miocardica • Ipossiemia severa. • Emorragia acuta. • Cardiopatia cianogena. • Acidosi lattica.

Il valore ottimale di emoglobina, nei pazienti con sepsi severa, non è stato specificamente investigato. Il Transfusion Requirements in Critical Care trial suggerisce che un valore di emoglobina di 7 – 9 g.dl. quando comparato con quelli compresi tra 10 e 12 g.dl., non ha dimostrato alcuna associazione con l’incremento di mortalità negli adulti. La trasfusione di emazie concentrate nei pazienti settici aumenta il trasporto di O2 (DO2) ma usualmente non determina un aumento del consumo di O2. Il valore soglia di 7 g.dl. contrasta con il protocollo EGDT che utilizza il valore target di ematocrito del 30% nei pazienti con bassa ScvO2 durante le prime 6 ore di rianimazione dello shock settico.

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L’uso dell’eritropoietina non è raccomandato come specifico trattamento dell’anemia associata a severa sepsi, ma può essere usata quando i pazienti settici hanno altre ragioni accettate per l’uso di eritropoietina come insufficienza renale associata alla compromissione della produzione di globuli rossi.

1B

La somministrazione di antitrombina per il trattamento della sepsi severa e dello shock settico, non è raccomandato. Anche se l’analisi post – hoc di un sottogruppo di pazienti con sepsi severa e alto rischio di morte per tutte le cause ha mostrato una migliore sopravvivenza nei pazienti che ricevevano antitrombina III, l’antitrombina non può essere raccomandata attualmente fino a che altri trials siano stati completati. Un trial clinico in fase 3 su alte dosi di antitrombina non ha dimostrato alcun effetto benefico sulla mortalità globale a 28 giorni negli adulti con sepsi severa e shock settico. Alte dosi di antitrombina sono state associate con un incremento del rischio di sanguinamento quando somministrate con eparina.

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Suggerimenti

Grado di evidenza

Il plasma fresco congelato non deve essere usato per correggere le anormalità di laboratorio della coagulazione, in assenza di sanguinamento o di una procedura invasiva programmata. Anche se l’impatto della trasfusione di plasma fresco sull’outcome dei pazienti critici, non è stata ancora valutata da studi clinici, diverse organizzazioni professionali raccomandano la trasfusione di plasma fresco congelato in caso di deficit documentato dei fattori della coagulazione (aumento del PT, INR o PTT) e la presenza di sanguinamento attivo o in previsione di un intervento chirurgico o di una procedura invasiva. La trasfusione di plasma fresco congelato nei pazienti non sanguinanti con lievi anormalità del PT, usualmente non sono in grado di correggere il PT. Non vi sono studi che suggeriscono che la correzione di un’anormalità coagulativa più severa sia di qualche beneficio nei pazienti non sanguinanti.

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Nei pazienti con sepsi severa, si suggerisce che la trasfusione di piastrine dovrebbe essere eseguita quando la conta è < 5000/mmc.indipendentemente dai segni appaenti di sanguinamento. La trasfusione di piastrine deve essere presa in considerazione quando

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la conta di PLTS è compresa tra 5000 e 30000 con un rischio significativo di sanguinamento. Un valore di PLTS più elevato (> 50000) è tipicamente richiesto in previsione di un intervento chirurgico o di una procedura invasiva. Le linee guida per la trasfusione di PLTS sono derivate dal consenso di opinioni e dall’esperienza nei pazienti sottoposti a chemioterapia. La decisione deve essere presa tenendo conto:

• Eziologia della trombocitopenia. • Eziologia della disfunzione piastrinica. • Del rischio di sanguinamento • Della presenza di disordini concomitanti. •