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Pubblicazione di approfondimento sulla propmozione e tutela dei diritti del progetto Go'El, Servizio Obiezione e Pace, Comunità Papa Giovanni XXIII
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PROGETTO GO’ELPROGETTO GO’EL ““ ””
IN EVIDENZA Editoriale di Giovanni Paolo Ramonda.Editoriale di Giovanni Paolo Ramonda. Pag. 3Pag. 3 Bangladesh: la situazione della malat-Bangladesh: la situazione della malat-
tia mentale.tia mentale.
Pag. 8Pag. 8
ONU: Diritto alla salute globale.ONU: Diritto alla salute globale. Pag. 4Pag. 4 Palestina: La salute è in pericolo.Palestina: La salute è in pericolo. Pag. 10Pag. 10
Italia: I bisogni di salute dei bambini disa-Italia: I bisogni di salute dei bambini disa-
bili gravi in Italia.bili gravi in Italia.
Pag. 6Pag. 6 Diritti in ControDiritti in Contro--LuceLuce
Pag. 12Pag. 12
Servizio Civile: firma l’appello.Servizio Civile: firma l’appello. Pag. 7Pag. 7 Campagna contro gli F35: Leggi, firma Campagna contro gli F35: Leggi, firma
e fai firmare l’appello.e fai firmare l’appello.
Pag. 14Pag. 14
P A G I N A 2
Quando c’è la salute….
I nostri nonni ci raccontano che ai loro tempi si e no c'era un
medico che si occupava di tutti i paesi di un vasto territorio. Tut-
tavia in pochi potevano permettersi di chiamarlo perché non si
avevano i soldi per pagarlo; se uno poi riusciva a mettere insie-
me qualche risparmio per la visita poi mancavano i soldi per
pagarsi la medicina.
E quando ci raccontano queste vicende quasi sempre la loro
conclusione è: “BEATI VOI perché vi è garantita la salute, e quan-
do c’è la salute….” .
Come dargli torto, sicuramente a noi la salute è garantita più
della loro, ognuno di noi ha un medico della mutua, ha diritto a
delle visite specialistiche, ecc ecc....
Ma poi soffermandosi ti rendi conto che tu sei un Fortunato, ma
se ti guardi intorno un pochino trovi chi non riesce a permettersi
visite specialistiche perché spesso si è costretti a ricorrere ad un
servizio privato perché il sistema pubblico è al collasso.
Infatti in tempo di crisi i nostri governanti tagliano la salute la
scuola ed il sociale.
Chissà perché ? forse perché che ha in mano le forbici , comun-
que vada non si taglia.
Le forbici tagliano solo da un lato…
Dall’ altro lato, quello delle lame ci sono sempre i soliti…
nonostante tutto, “i più”, quelli che vuoi o non vuoi sostengono
la piramide.
C’è però una semplice legge fisica che ci ricorda che quando la
base viene indebolite, prima o poi crolla anche la cima … forse
ancora non è abbastanza evidente?
In questo modo ci si rende conto che pur essendo "evoluti" sul
erogazione di un diritto comune come quello alla salute ed alle
cure, spesso e volentieri è evidente la pura "FOLLIA" di un siste-
ma sanitario che più di prima non riesce a garantire ai più deboli:
agli infermi alle famiglie con a carico figli nonni allettati, primari
bisogni come l’assistenza domiciliare, prestazioni continuative e
soprattutto sostegno umano e psicologico a chi rimane incastra-
to nella ragnatela della burocrazia sanitaria.
J.F.Kennedy diceva che “Se una società libera non riesce ad aiu-
tare i molti che sono poveri, non può salvare i pochi che sono
ricchi”
Ecco perché in questo numero vogliamo accompagnarvi in un
viaggio attraverso il "diritto alla salute" in varie realtà del mon-
do.
Domenico e Nicola
SERVIZIO OBIEZIONE E PACE
“ASSOCIAZIONE COMUNITÀ
PAPA GIOVANNI XXIII”
P R O G E T T O G O ’ E L
P A G I N A 3 N O V E M B R E / D I C E M B R E 2 0 1 1
La crisi internazionale che investe le borse finanziarie, le banche, le economie dei
nostri paesi, dell’America e dell’Europa. I politici che sfornano manovre di aggiu-
stamento dei conti. Dentro tutto questo ci sta la vita di noi tutti, ma soprattutto
della povera gente, che rincorre a volte dietro un lavoro precario la possibilità di
vivere dignitosamente, di avere accesso e soprattutto sviluppo di una salute suf-
ficientemente adeguata. Questa si scontra con problematiche globali che fanno
sì che ci sia una insicurezza alimentare diffusa a partire dai paesi dove maggior-
mente le malattie, tra l’altro endemiche, portano milioni di persone ogni anno
alla morte: hiv, tbc, polmoniti. L’accesso ai farmaci non è garantito in egual misu-
ra, e se c’è una fascia di persone che riescono ad accedere ai servizi sanitari che
peraltro non sempre sono adeguati, molti altri necessitano che qualcuno vada
da loro, nei villaggi, nelle periferie, per garantire le cure necessarie. Nel 2030 più
della metà della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane che se da una
parte sembra rendere accessibile a servizi più adeguati, dall’altra crea sempre più
fasce deboli della popolazione che crescono ai margini nelle grandi periferie ur-
bane, ma anche ai margini di una vita dignitosa. I più vulnerabili, sono donne e
bambini, e ogni anno quasi 15 milioni muoiono di malattie infettive, con gravi-
danze a rischio; infortuni sul lavoro che colpiscono soprattutto uomini, padri di
famiglia; suicidi sempre più frequenti negli ambienti carcerari, mortalità per
overdose tra gli ex-detenuti.
Tutto questo ci fa convergere ad un lavoro assiduo per la salute possibile e glo-
bale che dia modo alla popolazione mondiale di distribuire le risorse in modo
che anche le nazioni a più basso reddito pro-capite possano avere politiche so-
ciali e sanitarie adeguate e Governi che si impegnano per il bene dei loro cittadi-
ni.
Una salute globale che deve avere una priorità nei bilanci degli stati ovviamente
riducendo altri costi quali i folli armamenti che producono solo morte. Le risorse
non sono illimitate, vanno date priorità, con un’intelligenza d’amore che produca
un’economia di condivisione.
DI GIOVANNI PAOLO RAMONDA
Giovanni Paolo Ramonda è il Responsabile Generale della Comunità Papa Giovanni XXIII dal 2008.
E' colui che ha raccolto la fatico-sa e bella eredità di don Benzi, il fondatore.
Laureato in pedagogia e con un magistero in scienze religiose, Paolo dal 1984 è sposato con Tiziana e con lei "condivide" una casa famiglia di 15 persone.
P A G I N A 4
La salute globale
P R O G E T T O G O ’ E L
DI MARIA MERCEDES ROSSI
La salute, intesa secondo la definizione
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità,
non semplicemente come assenza di malat-
tia, ma come uno stato di benessere fisico,
mentale e sociale, è un diritto umano fonda-
mentale ed indispensabile per il godimento
degli altri diritti umani. Tale diritto è afferma-
to in numerose dichiarazioni e convenzioni
internazionali.
L'articolo 25.1 della Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani afferma che “ Ogni indivi-
duo ha il diritto ad un tenore di vita suffi-
ciente a garantire la salute e il benessere
proprio e della sua famiglia, con particolare
riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'a-
bitazione, e alle cure mediche e ai servizi
sociali necessari..”. Il patto internazionale sui
Diritti Economici, Sociali e Culturali offre
l'articolo più completo su questo diritto (Art.
12.1 e 12.2), ulteriormente spiegato dal com-
mento generale No.14, ma anche altre con-
venzioni lo citano in maniera esplicita (ex: art
24 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo,
art 5 della Convenzione Internazionale sulla
Eliminazione di Tutte le Forme di Discrimina-
zione Razziale, e l'art 11.1 e 12 della Conven-
zione Internazionale sulla Eliminazione di
Tutte le Forme di Discriminazione contro le
Donne).
Alle Nazioni Unite esiste anche il mandato
dello Special Rapporteur per il diritto al rag-
giungimento del più alto grado possibile di
salute fisica e mentale, che ha il compito di
studiare, monitorare e promuovere il rispetto
del diritto alla Salute.
La salute è anche al centro degli Obiettivi del
Millennio, dal momento che gli obiettivi 4
(ridurre la mortalità infantile), 5 (migliorare la
salute materna) e 6 (combattere l'HIV, la
Malaria ed altre malattie) sono direttamente
correlati ad essa, mentre tutti gli altri obietti-
vi contengono aspetti relativi alla salute.
Ciononostante, questo diritto è ancora nega-
to ad una vasta maggioranza della popola-
zione mondiale, soprattutto nei paesi a me-
dio e basso reddito.
Globalmente, circa 112 milioni di bambini
soffrono di denutrizione. Il tasso di mortalità
materna è ancora estremamente alto, spe-
cialmente in Africa ma anche in altri paesi in
via di sviluppo. Approssimativamente metà
della popolazione mondiale è a rischio di
contrarre la malaria. La tubercolosi uccide
qualcuno ogni 20 secondi e l’emergente
Tubercolosi (MDR-TB) multi-resistente ai
farmaci (XDR-TB), unita all’infezione da HIV,
di cui sono colpite un numero crescente di
persone, stanno rendendo la pandemia della
tubercolosi più minacciosa e letale.
Dei circa 10 milioni di sieropositivi nei paesi
in via di sviluppo che necessitano di cure,
solo il 36-40% riceve i farmaci anti-
retrovirali.
Troppe persone, adulti e bambini, muoiono
nel mondo di malattie che sono prevenibili e
curabili, spesso per motivi legati proprio alla
povertà, al mancato accesso ai servizi sanitari
adeguati o accesso a sistemi sanitari deboli,
alla carenza di acqua e di servizi igienico
sanitari, alle condizioni mediocri di alloggio,
ecc.
Le
malattie croniche sono in aumento a causa
delle condizioni di vita e stili di vita insalubri
e anche a causa dei cambiamenti climatici
che si verificano nel mondo. Molte persone,
adulti e bambini, muoiono nel mondo a
causa di conflitti e di guerre.
La discrepanza nell’aspettativa di vita fra
paesi ricchi e paesi poveri è enorme ed intol-
lerabile. Le disuguaglianze nello stato di
salute stanno aumentando tra i paesi. Que-
ste disuguaglianze non sono inevitabili; sono
le conseguenze drammatiche di una ingiusta
distribuzione delle risorse, e del fallimento
della politiche mondiali e dell'attuale model-
lo economico.
La crisi del cibo, la crisi finanziaria mondiale,
la minaccia del cambiamento climatico sono
elementi che rischiano di compromettere i
risultati degli obiettivi del Millennio e di
peggiorare la situazione sulla salute globale.
Alla 62° Assemblea Mondiale sulla Sanità,
sono state approvate la risoluzione 62/12
che riguarda la Primary Health Care inclu-
dendo il miglioramento dei sistemi sanitari, e
la risoluzione 62/14 che riguarda la riduzione
delle disuguaglianze, attraverso l'azione sui
fattori sociali determinanti della salute. Que-
dott.ssa Maria Mercedes
Rossi, medico missionario,
rappresentante della Comu-
nità Papa Giovanni XXIII alle
Nazioni Unite.
Per Saperne di più:
http://www.apg23.org/la-
comunita/onu
http://
www.unpastoalgiorno.org/
rappresentanza-onu.html
La Comunità Papa Giovanni XXIII, accreditata come ONG alle Nazioni Unite dal 2006 è pre-
sente con una delegata permanente, la Dott.ssa Maria Mercedes Rossi, a Ginevra dal 2009. E’ costantemente impegnata nell' advocacy per il pieno rispetto del diritto alla Salute ed ac-
cesso ai farmaci essenziali .
P A G I N A 5 N O V E M B R E / D I C E M B R E 2 0 1 1
st'ultima risoluzione avvalla il lavoro della
Commissione sui fattori sociali determinanti
della salute che dà evidenza scientifica a quel-
lo che gli operatori sanitari, membri della
Comunità Papa Giovanni XXIII ,impegnati nel
servizio ai poveri nei paesi in via di sviluppo,
hanno affermato per decenni: il fatto che
l'ingiustizia sociale uccide le persone su larga
scala; che la salute e la malattia seguono un
gradiente sociale: più bassa è la posizione
socioeconomica, peggiore è la salute; e che
una vera azione per migliorare e assicurare la
salute per tutti deve ridurre la disparità fra
individui ricchi e poveri, paesi ricchi e poveri e
deve ridistribuire chiaramente il potere, il
denaro e le risorse nel nostro mondo.
È stato provato che la produzione di farmaci
generici sia una via per una significativa ridu-
zione dei prezzi dei farmaci essenziali per le
persone nei paesi in via di sviluppo che li
necessitano. Il regime dei brevetti internazio-
nali così come è stato concepito dall’Accordo
sugli aspetti dei diritti di proprietà internazio-
nale (TRIPS) rimane il principale ostacolo alla
produzione dei farmaci generici essenziali che
potrebbero salvare milioni di vite. Nei Paesi in
via di Sviluppo, inoltre, i servizi sanitari sono
ancora insufficienti, inadeguati e sproporzio-
natamente distribuiti tra zone urbane e rurali,
e c' e' il grosso problema della scarsità di
personale medico e paramedico a causa della
fuga di queste figure professionali in paesi più
ricchi e avanzati che offrono condizioni di
lavoro migliori e possibilità di formazione più
soddisfacenti.
La Comunità Papa Giovanni XXIII, col suo
ufficio di rappresentanza a Ginevra, è costan-
temente impegnata nell' advocacy per il pieno
rispetto del diritto alla Salute ed accesso ai
farmaci essenziali. In particolare, nel seguire i
lavori del Consiglio dei Diritti Umani, del Co-
mitato dei Diritti del Fanciullo, dell'Organizza-
zione Mondiale della Sanità e dell' Organo
Decisionale dell'UNAIDS (UNAIDS PCB), la
comunità cerca con interventi scritti, orali,
organizzazione di eventi paralleli e lobby coi
delegati dei Membri Stati e le agenzie inter-
nazionali, in network colla Caritas Internatio-
nalis ed altre ONG cattoliche, di essere voce
dei bambini sieropositivi che risultano essere i
più dimenticati dalle case farmaceutiche e
dalle politiche nazionali nell' accesso ai farma-
ci e ai mezzi diagnostici.
A proposito, la Comunità chiede a tutti gli
Stati Membri, specialmente quelli dei paesi
sviluppati, di impegnarsi a:
mantenere la promessa di devolvere
entro il 2015, lo 0.7 % del loro Prodot-
to Interno Lordo per la Assistenza
Internazionale allo Sviluppo, percen-
tuale che era stata promessa al Sum-
mit sugli Obiettivi del Millennio tenu-
tosi nel 2000 per raggiungere gli
obiettivi del Millennio.
concentrarsi sulla riforma della gover-
nance globale (soprattutto i criteri di
rappresentanza e di voto nelle istitu-
zioni di Bretton Woods introducendo
il criterio un paese-un voto) per raf-
forzare l’inclusione, l’uguaglianza di
espressione, la trasparenza e la re-
sponsabilità.
ripristinare il ruolo dello Stato nel
fornire i servizi essenziali di base per
la salute.
incrementare i budgets per i servizi
sociali e la salute riducendo le spese
militari.
cancellare totalmente il debito estero
per quei paesi che sono incapaci di
pagare e sono bloccati dagli obblighi
dei debito.
prendere urgenti e concrete misure
per affrontare il cambiamento climati-
co e il degrado ambientale in quanto
questi aspetti sono di fondamentale
importanza per migliorare la salute
globale.
promuovere pienamente il diritto alla
salute per tutti i bambini , così come è
stabilito nell'art. 24 della Convenzione
sui diritti del fanciullo (CRC).
affrontare i fattori sociali determinanti
della salute (povertà, sicurezza del
cibo, istruzione, questioni di genere,
conflitti, ecc...) poiché questi sono
cruciali per raggiungere la salute
pubblica globale.
elaborare politiche sulla salute, pro-
grammi e progetti basati sui diritti
umani e sull'approccio salute-
sviluppo e sulle priorità relative all'as-
sistenza sanitaria primaria.
garantire l’accesso universale al trat-
tamento anti-retrovirale e ai recenti
risultati scientifici sulla cura e sulla
prevenzione.
esercitare pressione sulle aziende
farmaceutiche e sui produttori di
apparecchiature di laboratorio per
produrre farmaci accessibili ai bambi-
ni e test di laboratorio per la identifi-
cazione precoce del virus HIV e della
tubercolosi.
fare uno stretto monitoraggio dell’e-
rogazione dei fondi a livello globale e
nazionale.
rafforzare i sistemi sanitari nazionali
prendendo misure rapide per contra-
stare il fenomeno della fuga dei cer-
velli.
rimuovere le barriere create dagli
aspetti commerciali dei diritti di pro-
prietà intellettuale per la produzione
di farmaci generici essenziali alla vita.
Integrare l’uguaglianza di genere (fra
uomini e donne) promuovendo l’em-
powerment delle donne e il loro ac-
cesso ad una migliore assistenza sani-
taria.
Un bambino disabile grave che piange
non piange perché è disabile, bisogna
capire perché lo fa.
Questa riflessione all’apparenza banale
nasconde un’esperienza di vita che ho
avuto modo di approfondire negli anni
vivendo con mio figlio Pio.
Di fronte ad un bambino disabile grave
che non parla e interagisce con difficoltà
con l’ambiente circostante e quindi an-
che con le persone, si rischia a volte di
sottovalutare o non dar proprio peso a
dei segnali che in altri bambini sarebbero
presi immediatamente in considerazione,
come un lamento o un pianto incessan-
te.
L’esperienza del dolore accomuna tutto il
genere umano, la manifestazione della
sofferenza varia per intensità e modalità
da persona a persona.
Alcune manifestazioni, come il pianto,
sono immediatamente comprensibili,
meno note lo sono altre, di tipo fisico,
legate al dolore come un aumento della
frequenza cardiaca o di quella respirato-
ria, la comparsa di nausea, vomito o su-
dorazione.
Un bambino disabile grave ha spesso
vari motivi per cui provare dolore: un’e-
sofagite da reflusso gastro-esofageo che
gli provoca dolore dopo i pasti o, se gra-
ve, in continuazione, problemi ortopedici
(scoliosi, lussazione delle anche, malfor-
mazioni ossee), lesioni da decubito, stipsi
ed altre problematiche che si possono
riscontrare con una certa frequenza.
La presenza di diverse patologie in con-
temporanea, spesso serie e invalidanti
rende difficile la comprensione del moti-
vo effettivo per cui soffre in quel mo-
mento il nostro bambino.
Il risultato è che si arriva facilmente tardi
a comprendere la causa del dolore fa-
cendo sperimentare al nostro bimbo una
prolungata esperienza dolorosa.
Ho conosciuto un bambino disabile gra-
ve autistico che, a seguito di una non
diagnosticata esofagite da reflusso, per il
dolore che sentiva, aveva sviluppato
un’avversione per il mangiare che lo sta-
va portando ad un deperimento grave: è
stato necessario confezionare una PEG
(un accesso diretto allo stomaco per via
percutanea), sostenerlo con un’alimenta-
zione idonea che passasse, con una
pompa, attraverso questo accesso, effet-
tuare un intervento chirurgico correttivo
sullo stomaco e sei mesi di riabilitazione
alimentare prima di ritornare ad un’ali-
mentazione normale.
Nel caso di mio figlio, avendo un idroce-
falo associato a malformazioni multiple
cerebrali, reflusso gastro-esofageo ed
un’epilessia resistente a vari trattamenti,
quando cinque anni fa iniziò a manife-
stare il suo dolore con un pianto incon-
solabile, ci vollero quasi due mesi prima
di poter arrivare a capire quale ne fosse
la causa ed agire di conseguenza.
Mi sto rendendo conto che sarebbe au-
spicabile la nascita e la diffusione sul
territorio nazionale di un’esperienza, in
altri campi (ad esempio quello oncologi-
co) già collaudata, di ambulatorio multi-
disciplinare dedicato.
A mio avviso questo avrebbe almeno
due benefici rilevanti: la possibilità di una
gestione integrata dei bisogni di salute
di questi bambini con la collaborazione
di diversi specialisti e l’alleggerimento
del carico che grava sulle spalle delle
famiglie che si vedono costrette a viag-
giare continuamente per l’Italia per far
effettuare ai propri figli quelle indagini
diagnostiche o quelle terapie che spesso
vengono effettuate solo in ambienti spe-
cialistici.
Molto importante sarebbe poi organiz-
zare dei corsi di aggiornamento specifici
per pediatri ed infermieri che già lavora-
no e formare le nuove generazioni di
professionisti sui bisogni di salute di
bambini con così tanti e complessi pro-
blemi.
Le famiglie andrebbero poi prese in cari-
co in maniera organica spiegando loro la
situazione attuale ed i possibili sviluppi,
istruendoli su ciò che dovrebbero loro
stessi monitorare a casa in modo da ave-
re un riscontro precoce dell’evoluzione
della salute del bambino e fornendo loro
le informazioni circa i diritti di cui gode il
loro figlio derivanti dal riconoscimento
della sua invalidità o della condizione di
handicap (legge 104/92).
I bisogni di salute
dei bambini disabili gravi in Italia
DI Guido Camanni
Dr Guido Camanni, 38 anni,
specialista in Malattie Infettive,
lavoro come medico presso il
Reparto di Pediatria dell’Ospe-
dale di Foligno (PG). In Comu-
nità, con mia moglie, dal 2001,
responsabile di una Casa Fa-
miglia dal 2004; padre adotti-
vo di tre bambini disabili ed
affidatario di altri due ragazzi
ed una bambina.
P A G I N A 6
P R O G E T T O G O ’ E L
Con un appello ed una raccolta firme, Cnesc (Conferenza nazionale enti di servizio civile), Forum nazio-
nale del servizio civile e Rappresentanza nazionale dei giovani in servizio civile, ossia le principali realtà
in Italia sul tema, avviano i primi passi della campagna "Non tagliate il futuro dell’Italia!" in difesa del
servizio civile nazionale. «Operare tagli indiscriminati al Servizio Civile - si legge nel manifesto della
campagna - significa non dare ai giovani le adeguate opportunità per fare la propria parte per la comu-
nità, relegandoli ai margini della crescita sociale, culturale e democratica del Paese». Per questo,
«affinchè l’Italia riprenda a crescere» investendo sui giovani «rendendoli protagonisti del futuro», orga-
nizzazioni del Terzo settore, di enti locali, e migliaia di giovani «rivolgono un appello a tutti i Parlamen-
tari perché si oppongano ai tagli al Servizio Civile Nazionale previsti nella Legge di Stabilità 2012: non
tagliate il futuro dell’Italia!».
Firma la petizione on-line
Firma la petizione on-line
Circa il 16,05% della popolazione adulta ben-
galese è affetta da disturbi mentali (1). La
malattia mentale è diffusa sia nelle comunità
rurali sia in quelle urbane, probabilmente
nella stessa misura dei Paesi sviluppati.
Rispetto alla situazione negli Stati vicini, il
servizio di salute mentale in Bangladesh pre-
senta molte criticità e debolezze. Soltanto una
piccola parte dei malati psichiatrici usufruisce
di servizi messi a diposizione dalle strutture
pubbliche.
I farmaci sono comunemente utilizzati per il
trattamento della malattia mentale, ma sono
poco accessibili per il loro costo o per la di-
sponibilità sul mercato; la terapia elettrocon-
vulsiva viene utilizzata per il trattamento rapi-
do ed efficace nei pazienti con depressione
grave, mentre vengono eseguiti diversi tipi di
psicoterapia per le persone con problemi
emotivi e psicologici.
Anche se i servizi di salute mentale sono di-
sponibili a Dhaka e alcune altre città, gran
parte della popolazione vive nelle zone rurali
in Bangladesh, dove questo tipo di servizi è
assai carente.
Il numero di personale qualificato è inoltre
ancora di molto inferiore rispetto alle necessi-
tà reali.
A tali difficoltà si aggiunge il permanere pres-
so la maggioranza della popolazione bengale-
se di pregiudizio, superstizione, ignoranza,
nonostante le campagne di informazione
promosse dalla Disabled Peoples' Organisa-
tion di Kushtia e da diverse ONG locali e
internazionali, la malattia mentale è ancora
spesso ritenuta come qualcosa di cui temere,
vergognarsi o ridere. Si pensa infatti comune-
mente che essa sia causata da forze sopran-
naturali o da spiriti maligni e la maggior parte
degli individui affetti non sia curabile. Vi sono
inoltre numerosi malati di mente che cercano
l’aiuto di guaritori religiosi e tradizionali, fa-
chiri, kabiraj e maghi.
La situazione gia’ grave del malato mentale si
aggrava notevolmente in caso di pazienti
donne in eta’ fertile, che spesso divengono
vittime di abusi. Non sono rari i decessi dei
neonati che vivono sulla strada insieme alle
madri con ritardo mentale o patologia psi-
chiatrica.
In Bangladesh odiose pratiche coercitive un
tempo applicate diffusamente ai pazienti-
come l’uso delle catene o il loro isolamento-
sono ora riconosciute come violazioni dei
La situazione della malattia mentale
in Bangladesh
P A G I N A 8
P R O G E T T O G O ’ E L
A CURA DI SARA FOSCHI
diritti fondamentali e allo stesso tempo non utili ai fini della tera-
pia. Negli ultimi anni, sono stati introdotti nel mercato alcuni far-
maci psicotropici utili per il trattamento dei pazienti, compresi
quelli violenti.
La Comunita’ Papa Giovanni XXIII è presente al fianco dei malati
psichiatrici attraverso un Servizio psichiatrico, nato dalla necessità
di rispondere alle esigenze delle persone con problemi psichici che
altrimenti sarebbero abbandonate a loro stesse, molte volte scac-
ciate dalle famiglie oppure sopportate a fatica. I pazienti vengono
seguiti lungo tutto il percorso di cura, che dura da circa 6 mesi a
più di tre anni secondo la loro patologia. Le visite psichiatriche
sono condotte ogni venerdì dal dottore S. M. Fariduzzaman, un
medico specializzato in psichiatria che lavora da tempo presso il
Khulna Medical College and Hospital in qualità di Assistant Profes-
sor.
Attualmente il servizio ha in cura circa 400 pazienti che vengono
assistiti presso il dispensario ogni venerdi, ma nei casi di maggiore
necessita’ o abbandono, la Comunita’ accoglie all’interno del villag-
gio i malati sia per tempi brevi, necessari ad un assestamento del
paziente, che a tempo indeterminato nei casi di bisogno più gravi.
__________________________________________________
1. Nonostante i continui sforzi nazionali e internazionali volti a migliorare
l’economia del Paese e le prospettive demografiche (la popolazione ammon-
ta a circa 140 milioni), il Bangladesh rimane una nazione in via di sviluppo. Il
suo reddito pro capite nel 2010 era di 1241 US$ (a parità del potere d'acqui-
sto). UNDP, Human Development Report 2009 Data, 2010.
2. Islam Rezaul and Howard Robert, Psychiatry in Bangladesh, Psychiatric
Bulletin 1993 17: 492-494.
OPURBO e PUSPO
Due anni fa, al nostro cancello, si e’
presentata Puspo, una donna che
oltre ad avere evidenti problemi
psichiatrici era anche incinta. In
seguito abbiamo anche saputo che
la donna era scesa col treno a
Khulna, la citta’ piu’vicina al nostro
villaggio, sbagliando fermata, do-
po essersi persa .
All’arrivo Puspo era molto spaesa-
ta e aveva atteggiamenti violenti
nei confronti di chi cercava di avvi-
cinarsi a lei, ma era anche affamata
e ci ha chiesto un piatto di riso.
Da quel giorno abbiamo deciso di accoglierla.
L’accoglienza di Puspo non è stata facile, visto che lei era com-
pletamente disorientata e inoltre la cura che stava facendo, dato
il suo stato interessante, non risultava indicata per preservare la
salute del bambino.
Anche il momento del parto è stato difficile, ma Puspo ha dato
alla luce uno splendido bambino a cui abbiamo dato nome Opu-
rbo, e nonostante la madre si e’ rifiutata da subito di accudirlo
noi siamo stati costantemente al suo fianco prendendoci cura di
entrambi.
Adesso Opurbo ha due anni e vive all’interno di una delle case-
famiglia del villaggio della missione assieme a tanti altri piccoli.
La madre invece e’ accolta in un’altra casa del villaggio, piu’ indi-
cata per lei, e queto perché anche il medico ci ha consigliato, per
la particolare patologia della donna, di tenerli vicini ma separati.
In questo modo la mamma e il piccolo Opurbo hanno comunque
modo di vivere assieme, in un ambiente protetto, che riesca a
rispondere alle esigenze di entrambi.
N O V E M B R E / D I C E M B R E 2 0 1 1 P A G I N A 9
DIRITTO ALLA SALUTE
IN PERICOLO IN PALESTINA
Le restrizioni di movimento a cui è sottoposto il popolo palestinese sono pratica quotidiana nei Territori Palestinesi Occupati. Ma nel caso di emergenze mediche queste restrizioni possono esse-
re questione di vita o di morte.
“Ogni giorno ci sono persone malate che
devono attraversare il check-point. Coloro che
non sono in grado di camminare hanno biso-
gno di un coordinamento speciale con gli
israeliani, così come tutti coloro che devono
passare il check-point di notte, quando è
chiuso. Prima del muro di separazione ci met-
tevamo 15 minuti per raggiungere Jenin, ora
invece più di un'ora”.
Con questa parole Abu Rami, membro del
Consiglio di Barta'a, responsabile dell'assi-
stenza dei malati, ha descritto le dure condi-
zioni in cui sono costretti a vivere gli abitanti
di questo villaggio dopo la costruzione del
muro di separazione. Barta'a si trova nel nord
della Cisgiordania, a pochi chilometri dalla
città di Jenin, ma è stata tagliata fuori dal
muro: ora sorge nella “Seam Zone”, l'area
racchiusa tra il muro di separazione e la Linea
Verde. In quest'area vivono circa 33000 pale-
stinesi, residenti in 36 diverse comunità. Per
accedere agli altri villaggi della Cisgiordania, e
quindi anche per ricevere l'assistenza sanita-
ria, queste persone sono costrette ad attraver-
sare un check-point. E a subire tutto ciò che
ne consegue.
“Aiutare le persone ad attraversare il check-
point in condizioni di emergenza fa parte del
mio lavoro, ma purtroppo ho ricordi molti
brutti legati a questa esperienza” ha continua-
to Rami – ricordo come se fosse ieri il giorno
in cui è morta mia madre. Stava male da tem-
po, ma improvvisamente durante il giorno le
sue condizioni sono peggiorate. Ho contatta-
to gli israeliani per ottenere il permesso di far
partire un'ambulanza da Jenin. In 20 minuti
l'ambulanza è arrivata, siamo partiti alla volta
del check-point ma lì le autorità israeliane
hanno iniziato a perquisire il veicolo e poi ci
hanno rispedito indietro. Molto probabilmen-
te erano di mal umore”.
Rifiuto che è stato fatale. “Dopo varie contrat-
tazioni, ho avuto il permesso di trasportare
mia madre all'ospedale di Jenin con la mia
auto. Ma tempo prezioso era stato sprecato.
Mia madre è morta poco dopo aver attraver-
sato il check-point. E persino tornando verso
casa i soldati hanno perquisito a lungo l'auto,
con mia madre morta all'interno. E' stato terri-
bile”.
E anche con le donne gravide il trattamento è
il medesimo. “Le donne nelle ultime settimane
di gravidanza lasciano le proprie case molti
giorni prima della data del parto per essere
sicure di arrivare in tempo in ospedale” ha
aggiunto Rami.
Infatti secondo uno studio realizzato a luglio
2011 dalla rivista medica inglese Lancet, tra il
2000 e il 2007 il 10% delle donne palestinesi
incinte ha subito dei ritardi mentre si recava in
ospedale per partorire. Di conseguenza si è
registrato un drammatico aumento del nume-
ro di parti in casa, poiché le donne, per paura
di non arrivare in ospedale in tempo, preferi-
vano partorire in casa.
L'autrice della ricerca, Halla Shoabi dell'Uni-
versità americana Ann Arbor, ha calcolato che
in questo arco di tempo 69 bambini sono nati
presso i check-point militari israeliani. Inoltre
6 giovani madri e 5 bambini sono morti, una
conseguenza che secondo Halla rappresenta
un crimine contro l'umanità.
Le restrizioni di movimento imposte dalle
autorità israeliane sulla popolazione palesti-
nese provocano infatti, come conseguenza
diretta,una violazione dei altri diritti umani
fondamentali, come ad esempio il diritto alla
salute e spesso conducono ad esiti fatali.
“Sono stato male una notte” ha raccontato M.
H., un ragazzo palestinese del campo profughi
di Aida (area di Betlemme) – ma non c'era
nessun amico che potesse accompagnarmi
all'ospedale perchè nessuno aveva il permes-
so per arrivare a casa mia”. M. abita a cento
metri dal campo di Aida, ma il muro di sepa-
razione lo ha tagliato fuori dal resto della
Cisgiordania. Ora per andare a trovare i suoi
genitori è costretto a camminare per più di
mezz'ora e ad attraversare il terribile check-
point di Betlemme. E' totalmente separato dai
suoi amici che non hanno il permesso di pas-
sare al di là del posto di blocco di Betlemme.
“Per fortuna mi ha aiutato una mia amica
spagnola, senza di lei non sarei riuscito ad
arrivare all'ospedale. Il dottore mi ha detto
che se fossi arrivato due ore più tardi, avrei
rischiato di avere conseguenze irrimediabili”.
I principali servizi medici specialistici sono
concentrati a Gerusalemme Est , tuttavia essi
sono inaccessibili per la maggior parte della
popolazione palestinese. Le restrizioni di ac-
cesso alla città santa sono iniziate ben prima
A CURA DI CHIARA CRUCIATI E ANNA CLEMENTI
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la costruzione del muro di separazione. Già a partire dal 1993 tutti i
palestinesi che non avevano la cittadinanza israeliana o la residenza a
Gerusalemme Est erano obbligati a chiedere un permesso speciale per
accedere alla città. E la stessa cosa valeva per i permessi sanitari. Un
sistema lungo e complesso per vedere il proprio diritto alla salute rico-
nosciuto. Spesso i permessi non venivano concessi agli uomini di età
compresa tra i 15 e i 30 anni, “per motivi di sicurezza”. E anche chi riu-
sciva ad ottenerlo poteva stare a Gerusalemme per un periodo molto
limitato di tempo, e spesso i familiari non avevano il permesso.
La situazione è precipitata a partire dal 2007, dopo la costruzione del
muro intorno a Gerusalemme: ora l'accesso alla città santa, e quindi alle
cure mediche, è molto più limitato e anche per i pochi fortunati che lo
ottengono, le file ai check-point sono interminabili, specialmente di
mattina. Secondo i dati della Società della Mezzaluna Rossa Palestinese
(PRCS), nel 2009 sono stati registrati 440 casi di ritardo o di blocco
delle ambulanze presso i check-point dei Territori Palestinesi Occupati
- e due terzi sono avvenuti presso i posti di blocco che conducevano a
Gerusalemme.
Ed il problema non riguarda solo i malati ma anche il personale medi-
co: molto spesso i medici e gli infermieri che vivono in Cisgiordania
arrivano in ritardo al proprio posto di lavoro a Gerusalemme a causa
delle lunghe attese e dei ritardi ai check-point. “Il 70% delle nostre
infermiere vengono dalla Cisgiordania e i casi di ritardo sono quotidia-
ni. Il problema principale ai posti di blocco è che spesso non viene
riconosciuta l'impronta digitale. Proprio una settimana fa due dottori e
un'infermiera sono stati rimandati a casa perchè la loro impronta non è
stata riconosciuta” ha raccontato Salam Kana'an, direttrice del reparto
di infermieristica della clinica ostetrica del PRCS.
Ritardi che troppo spesso portano a conseguenze fatali.
Chiara Cruciati e Anna Clementi, svolgono il loro
servizio civile nazionale presso l’Alternative In-
formation Center, organizzazione mista israelo-
palestinese che dal 1984 opera nei Territori Oc-
cupati e in Israele per porre fine dell’occupazione
militare.
Il Progetto Go’El collabora con l’Alternative In-
formation Center dal 2002.
www.alternativenews.org/italiano
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Diritti in Contro-Luce
Contro In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle don-
ne, Amnesty International ha esortato l'Unione europea e tutti gli stati del Consiglio d'Europa a
firmare e ratificare la Convenzione sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza sulle donne e
la violenza domestica, adottata dal Consiglio stesso.
Ad oggi, 17 paesi del Consiglio d'Europa hanno firmato la Convenzione, l'Unione europea ancora
no.
Negli ultimi due anni, la Commissione europea e il Consiglio dell'Unione europea, sotto le presi-
denze di Svezia, Spagna e Belgio, hanno realizzato passi avanti significativi per contrastare la vio-
lenza sulle donne, attraverso l'adozione di una Carta delle donne, di una strategia per l'uguaglian-
za di genere e la promessa di una strategia europea per combattere la violenza sulle donne. Tutta-
via, a queste azioni non è ancora corrisposto un impegno concreto.
Ulteriori informazioni
La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e
la violenza domestica è un trattato internazionale dettagliato e giuridicamente vincolante, che
contiene misure per la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e i procedimenti pe-
nali per i colpevoli.
Adottata nel corso della sessione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 10 e 11
maggio 2011 a Istanbul, la Convenzione è stata salutata da Amnesty International come un impor-
tante passo verso la fine della violenza sulle donne in Europa. Entrerà in vigore una volta sarà stata
ratificata da 10 stati.
La Convenzione è aperta agli stati membri del Consiglio d'Europa ma possono aderirvi altri stati e
la stessa Unione europea. Finora, è stata firmata da 17 paesi mentre nessuno l'ha ancora ratificata.
L'Italia non ha ancora firmato la Convenzione.
Fonte: Amnesty international
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Luce
Da qualche anno a questa parte, i popoli tribali di tutto il mondo, che per secoli si sono visti sottrarre le
loro terre ed hanno subito violenze e oppressioni di ogni tipo, stanno riportando una vittoria dopo l’altra
nei confronti di governi e società che intendono sfruttare le risorse naturali presenti nei loro territori. Ora
è tempo di buone notizie: a livello globale, la situazione sta migliorando ed esiste più di una ragione per
essere ottimisti, come ha reso noto Survival International– organizzazione non governativa e non profit,
che dal 1969 anni si batte per il riconoscimento dei diritti dei popoli nativi e non accetta denaro da alcun
governo.
Innanzitutto, possiamo affermare che oggi le notizie delle sopraffazioni perpetrate ai danni dei popoli
tribali fanno il giro del mondo e sono annoverate fra i titoli di testa di giornali e telegiornali. Ne è un
esempio emblematico la tribù degli Yanomami in Brasile (foto in alto, Survival Int.) : una campagna d’in-
formazione internazionale ha garantito loro il diritto a vivere nella loro terra ancestrale – che è anche una
delle maggiori aree protette del pianeta.
I tribunali di tutto il mondo emettono sempre più sentenze che sono sia favorevoli ai nativi, sia vincolanti
per i governi.
(Fonte: http://www.ilcambiamento.it/popoli_nativi/futuro_popoli_tribali_survival_ottimista.html )
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Perchè dire Perchè dire NONO al cacciabombardiere Fal cacciabombardiere F--35 Joint Strike 35 Joint Strike
Fighter?Fighter?
Anche se il Governo tiene bloccata da tempo (almeno dalla fine 2009) la decisione definitiva, l’Italia a breve potrebbe perfeziona-re l’acquisto di oltre 130 cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35: un programma che ad oggi ci è costato già 1,5 mi-liardi di euro ne costerà almeno altri 15, solo per l’acquisto dei velivoli, arrivando ad un impatto di 20 miliardi nei prossimi anni. Senza contare il mantenimento successivo di tali velivoli.
Siamo quindi in gioco, come partner privilegiato, nel più grande progetto aeronautico militare della storia, costellato di problemi, sprechi e budget sempre in crescita, mentre diversi altri paesi partecipanti - tra cui Gran Bretagna, Norvegia, Olanda, Danimarca e gli stessi Stati Uniti capofila! - hanno sollevato dubbi e rivisto la propria partecipazione. In questo periodo di crisi e di mancanza di risorse per tutti i settori della nostra società, diviene perciò impor-tante effettuare pressione sul Governo italiano affinché decida di rivedere la propria intenzione verso l’acquisto degli F-35, sce-gliendo altre strade più necessarie ed efficaci sia nell’utilizzo dei fondi (verso investimenti sociali) sia nella costruzione di un nuovo modello di difesa. L'esempio del programma Joint Strike Fighter deve quindi servire come emblema degli alti sprechi legati alle
spese militari e della necessità di un forte taglio delle stesse verso nuovi investimenti più giusti, sensati, produttivi.
Per questo noi diciamo:
NO allo spreco di risorse per aerei da guerra sovradimensionati e contrari allo spirito della nostra Costituzione
SI all’utilizzo di questi ingenti risorse per le necessità vere del paese: rilancio dell’economia, ricostruzione dei luoghi colpiti da disastri naturali, sostegno all’occupazione
NO alla partecipazione ad un programma fallimentare anche nell’efficienza: il costo per velivolo è già passato (prima della pro-duzione definitiva) da 80 milioni di dollari a 130 milioni di dollari (dati medi sulle tre tipologie)
SI all’investimento delle stesse risorse per nuove scuole, nuovi asili, un sostegno vero all’occupazione, l’investimento per la ricerca e l’Università, il miglioramento delle condizioni di cura sanitaria nel nostro Paese
NO al programmi militari pluriennali e mastodontici, pensati per contesti diversi (in questo caso la guerra fredda) ed incapaci garantire Pace e sicurezza
SI all’utilizzo delle risorse umane del nostro Governo e delle nostre Forze Armate non per il vantaggio commerciale dell’indu-stria bellica, ma per la costruzione di vera sicurezza per l’Italia
NO al soggiacere delle scelte politiche agli interessi economici particolari dell’industria a produzione militare e dei vantaggi che essa crea per pochi strati di privilegiati
SI al ripensamento della nostra difesa nazionale come strumento a servizio di tutta la società e non come sacca di privilegi e potere
Firma anche tu l'appello proposto dalla nostra mobilitazione o scarica il modulo da far
firmare
Aderisci: Come persona - Come organizzazione
Servizio Obiezione e Pace
Progetto Go’El
“Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII”
Nel 1998 da una intuizione profetica di don Oreste Benzi, nasce il
Progetto Go’El, all’interno della Comunità Papa Giovanni XXIII.
L’anima del Progetto Go’El è garantire il sostegno diretto a persone
e gruppi che, dal basso e sempre optando per la scelta assoluta di
nonviolenza, lottano nelle proprie società, per la tutela e afferma-
zione dei diritti umani.
Come nella tradizione biblica, il Go’El era al fianco dell’oppresso e
camminava con lui verso la liberazione, così il Go’El odierno condi-
vide le battaglie, le fatiche, a volte la disperazione degli ultimi.
Sempre con la forza della nonviolenza per rimuovere le cause gene-
ratrici di ingiustizia.
Nella visione della costruzione di una società più giusta per tutti e
soprattutto per i più deboli, quella che don Oreste Benzi definiva
come “la società del gratuito” – dove non esistono più oppressi e
oppressori, poveri e ricchi, ma tutti possono godere dei beni della
Terra, secondo il proprio bisogno - ogni persona ha diritto a eserci-
tare pienamente i suoi diritti.
La strada assegnata al Progetto Go’El è di supportare quelle parti
della società civile che nei diversi contesti e aree si impegnano per
costruire la “società del gratuito”.
La peculiarità del Progetto Go’El si basa sulla consapevolezza che
un cambiamento radicale di questo sistema sociale vessatorio possa
avvenire solo partendo dalla costruzione di relazioni umane pro-
fonde, tra chi è oppresso, chi lotta per l’affermazione dei diritti
negati, e chi si mette in suo ascolto e decide di sostenerlo. Da rela-
zioni umane importanti che hanno al centro la liberazione dei de-
boli ed oppressi nascono le intuizioni e le azioni nonviolente di
lotta.
Da questa consapevolezza e da queste intuizioni si sono sviluppate
nel tempo diverse azioni di intervento :
Al fine di sostenere gruppi e associazioni locali nello sviluppo di
strategie di promozione dei diritti umani abbiamo promosso l’avvio
di microprogetti di cooperazione decentrata in campo educativo,
formativo ed informativo. La forza della consapevolezza dei propri
diritti violati e la capacità di intuire nuove strade di crescita, posso-
no aprire strade di liberazione inaspettate!
Abbiamo inviato giovani volontari opportunamente formati presso
i partner locali delle azioni progettuali nella consapevolezza che
come la loro presenza può contribuire positivamente con il proprio
lavoro, al miglioramento delle attività del progetto, così la loro
esperienza di condivisione diretta con chi lotta per affermare i pro-
pri diritti, può formare ed educare positivamente il giovane ai valo-
ri della solidarietà e giustizia. Nulla è più determinante di una testi-
monianza diretta, nell’operare il cambiamento!
Abbiamo promosso azioni di informazione dal basso ed autopro-
dotta nella consapevolezza che la testimonianza, il racconto diano
valore e coerenza all’esperienza di condivisione diretta nel fare una
informazione che parli al cuore delle persone e porti l’opinione
pubblica ad aprirsi ad una analisi approfondita sulla realtà i fatti.
Vedendo non si può far finta di non sapere, e non si può fare a me-
no di denunciare. E’ una responsabilità !
E questo, nell’impegno del Progetto Go’El, il nostro dare voce a chi
non ha voce.
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