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Publius - per un'alternativa europea Numero 3, Novembre 2009.
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pag.1 EditorialePublius
pag.2 Nobel a Obama?Giulia Spiaggi
pag.4 Compendio del politico europeo (part II)
Davide Negri
pag.5 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio”
Luca Lionello
pag.6 Storiche elezioni in Giappone
Gabriele Felice Mascherpa
PubliusPer un’ Alternativa Europea
Universitari per la Federazione EuropeaNumero 3 - Novembre 2009
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
L’esito positivo del secondo referendum Irlandese per la rati5ica del Trattato di Lisbona merita un commento nell’edi‐toriale di questo terzo nume‐ro di Publius. Il tanto temuto e, 5ino alla 5ine incerto, risul‐tato è stato fortunatamente positivo e i circa tre milioni di irlandesi aventi diritto al voto hanno 5inalmente sbloccato l’entrata in vigore di un tratta‐to che riguarda circa cinque‐cento milioni di europei. As‐surdità europee che mettono in luce i fragili meccanismi su cui si basa l’Unione. Manca poco al via libera de5i‐nitivo del Trattato ora che è arrivata anche la 5irma de5ini‐tiva della Repubblica Ceca (il cui Presidente Vaclav Klaus, dichiaratamente euroscettico, ha 5inalmente abbandonato le sue resistenze). Se pensiamo però a quanto tempo c’è volu‐to per arrivare a questo pun‐to, (sono trascorsi ormai no‐ve anni dal Consiglio europeo di Nizza che metteva in moto il processo), alle traversie che
si sono succedute, (inclusi i referendum negativi in Francia, in Olanda e in Irlanda la prima volta), e soprattutto se si ricor‐dano le ambizioni iniziali di dare una Costituzione all’Unio‐ne, sembra proprio che l’elefan‐te abbia partorito un topolino.Con il nuovo Trattato di Lisbo‐na, la struttura istituzionale dell’Unione viene aggiornata nei suoi meccanismi al nuovo quadro a ventisette paesi, ma rimane inalterata nelle sue fondamenta, mantenendo la sua natura intergovernativa che lascia agli Stati e alle loro logiche nazionali le scelte nei settori politici più importanti (politica estera, politica eco‐nomica, politica 5iscale). Sem‐bra che si sia persa di vista quella visione che aveva anima‐to l’ispiratore della prima Co‐munità europea, Jean Monnet, e i padri fondatori del progetto europeo, ossia l’esigenza di una comune dimensione di destino che dovrebbe legare, in un vin‐colo indissolubile, i popoli del vecchio continente. Si nega
l’evidenza di quanto possa es‐sere vantaggioso per tutti il cercare di completare l’uni5ica‐zione politica per creare una dimensione istituzionale in cui si possano affrontare i proble‐mi veri che stanno mettendo in crisi gli stessi Stati (la crisi 5i‐nanziaria, quella economica, quella ecologica...). Da questo farraginoso processo, tuttavia, sembra poter scaturire, diffon‐dersi e imporsi sempre più, una nuova coscienza collettiva: pro‐seguire su questa strada sareb‐be inutile e suicida. Il quadro dei Ventisette è incompatibile con la prospettiva dell’uni5ica‐zione politica. Solo un nuovo slancio da parte degli Stati più ancorati al processo europeo, consapevoli di doversi assume‐re le responsabilità storiche dell'Europa in relazione ai de‐stini del mondo, potrà rilancia‐re il processo di integrazione e con esso la prospettiva della fondazione della Federazione europea.
Publius
Indice
pag.1 EditorialePublius
pag.2 Nobel a Obama?Giulia Spiaggi
pag.3 Compendio del politico europeo
Davide Negri
pag.5 Come cambia il Giappone: le elezioni di agostoGabriele Felice Mascherpa
pag.7 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio”
Luca Lionello
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L'assegnazione del premio Nobel per la pace al Presidente degli USA Barack Obama, offre l’occasione per una ri5les‐sione sul suo operato e sulla 5iducia ripo‐sta nella sua presidenza.La commissione svedese ha motivato la propria scelta sulla base della volontà manifestata dal Presidente USA di raffor‐zare la cooperazione e la diplomazia in‐ternazionale per affermare i principi democratici e la priorità data a problemi vitali come il disarmo nucleare e l'am‐biente. Anche recentemente, nel discorso pronunciato a settembre all'Assemblea delle Nazioni Unite, Obama ha sottolinea‐to il ruolo centrale che dovrebbe avere l'ONU nella risoluzione delle questioni internazionali, ruolo spesso oscurato dal persistere di forti rivalità al proprio in‐terno, e ha espresso l'impegno degli USA per una più stretta collaborazione con gli alleati. Il Presidente ha ribadito l'impe‐gno per la scon5itta del terrorismo nel rispetto dei diritti umani e l'interesse per i problemi del Medio Oriente e di tutte le
zone teatro di con5litti, in particolare riguardo alla ripresa del dialogo tra Israele e Palestina, il progressivo ritiro delle truppe dall'Iraq e la proposta di un accordo di pace in Sudan. Nell'ambito del disarmo nucleare ha illustrato l'intenzio‐ne di rafforzare i fragili presupposti del Trattato di non proliferazione e di trovare un accordo con la Russia per diminuire i rispettivi armamenti. In campo ambientale ha evi‐denziato come le nuove norme sulle emissioni in‐quinanti attuate dagli USA siano solo il primo passo per attuare una strategia globale, che preve‐da obiettivi differenziati per i paesi ricchi e per quelli meno sviluppati, per affron‐tare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Ri5lettendo sulla situazione economica Obama ha espresso la neces‐sità di nuove regole di governo del mer‐cato per evitare future crisi e per costrui‐re un modello di sviluppo che aiuti tutti i
paesi a raggiungere un adeguato livello di benessere. Per il Presidente il 5ine cui tendere deve essere il raggiungimento di una nuova situazione mondiale in cui sia possibile perseguire la pace prevenendo nuove guerre e intervenendo in aiuto dei paesi devastati dalla violenza. Obama si è
dimostrato consapevole del‐l'impotenza dei singoli paesi ad agire su tutti que‐sti fronti e ha ribadito che la collaborazione tra le nazioni è necessaria per condividere la responsabi‐lità delle scelte future. Una delle cose che colpisce
maggiormente nelle dichiarazioni di Obama è sicuramente la volontà di im‐primere una svolta radicale alla politica americana rispetto all’Amministrazione precedente. Obama si rende conto degli errori compiuti in questi anni dagli USA, che hanno puntato a mantenere un’ege‐monia globale sulla base della propria superiorità militare e tecnologica: al di là delle scelte speci5iche, rivelatesi grave‐mente controproducenti – come molte delle modalità della guerra al terrore o il con5litto in Iraq –, il problema di fondo è che l’America deve oggi fronteggiare l’ascesa di altre grandi potenze che insi‐diano il suo primato in molte aree strate‐giche e di una forte perdita di consenso a livello mondiale che rende più dif5icile la gestione dei rapporti internazionali. Inol‐tre, in questi anni, gli Stati Uniti hanno dimostrato di non essere in grado di svolgere da soli una funzione stabilizza‐trice nel mondo: impostare nuovi rap‐porti di tipo cooperativo è quindi una necessità vitale per gli USA, cui serve collaborazione a livello globale per ri‐uscire a sciogliere alcuni nodi della pro‐pria politica estera (come la questione mediorientale) e un clima internazionale più disteso per poter dedicare energie e risorse alle proprie s5ide politiche inter‐ne. A tutto ciò, inoltre, Obama aggiunge un richiamo alle grandi idealità e ai valo‐ri fondanti della grande politica – che dovrebbe essere al servizio della pace e del progresso – facendo risuonare toni e indicando prospettive da molti anni ormai scomparsi dal linguaggio dei Capi di Stato. La decisione di assegnare a Barack Oba‐ma il Nobel è quindi dovuta alle speranze che tutto il mondo ripone nel successo della sua strategia e alla 5iducia che la maggioranza della comunità internazio‐
Nobel a Obama?
Impostare nuovi rapporti di
tipo cooperativo è una necessità
vitale per gli USA
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nale gli ha dimostrato 5in dalla sua ele‐zione. Ma è innegabile che la scelta com‐piuta dalla Svezia sia stata anche prema‐tura, e che sarebbe stato sag‐gio attendere l'attuazione di alcune delle proposte del Presidente, riservando il premio come riconoscimen‐to di un reale cambiamento; anche perché nulla garanti‐sce che ci sia una risposta positiva da parte degli altri paesi alla richiesta di una maggiore col‐laborazione internazionale o che la stes‐sa America abbia la capacità di realizzare effettivamente i propositi espressi dal Presidente. I forti squilibri a livello in‐ternazionale, che generano instabilità in molte aree cruciali, sono una dura realtà che spesso spinge a scelte politiche con‐troproducenti, cui è estremamente dif5i‐cile sottrarsi, vista l’inerzia delle logiche in atto. Neppure il richiamo al ruolo ori‐ginario dell'ONU è suf5iciente, tenendo conto che questo organismo si basa sulla volontà dei singoli membri ed è legato alle logiche di potere esistenti. Queste ri5lessioni dovrebbero spingere in particolare noi europei a chiederci come potremmo raccogliere la s5ida di Obama in un mondo sempre più domina‐
to da potenze di dimensione continen‐tale e in cui gli Stati nazionali europei non hanno le risorse suf5icienti per ten‐
tare di risolvere problemi di dimensioni globale, mentre l'Unione europea, che non è ancora uno Stato, rimane im‐potente perché le sue deci‐sioni si basano tuttora sul‐l'accordo unanime tra i go‐verni dei paesi membri, so‐prattutto in settori cruciali
come la politica estera. Eppure i paesi europei hanno sempre difeso i valori sostenuti nelle dichiarazioni di Obama,
quali la libertà, la democrazia, la difesa dell'ambiente, e potrebbero essere di grande supporto in questo senso all'in‐terno della comunità internazionale. Prima però devono riprendere il cammi‐no dell'integrazione indirizzandosi verso la nascita di uno Stato federale senza il quale l'Europa perderà l'occasione di risolvere i problemi che gravano sia sul suo presente che sul suo futuro e di con‐tribuire in modo decisivo al successo degli obiettivi enunciati da Obama.
Giulia Spiaggi
1) Nella Lectio I si è ricordato che Francia e Germania costituiscono il cuore dell’Europa e che il cammino dell’integrazione europea non sarebbe iniziato senza la loro storica riappacificazione. Quali fattori hanno legato i destini di questi due paesi?
A legare i destini dei due paesi concorse‐ro due fattori: uno esterno ed uno inter‐no all’Europa. Il fattore esterno si con‐cretizzò negli anni seguenti la seconda guerra mondiale con il fallimento del‐l’impresa hitleriana. Con lo scoppio della guerra fredda il sistema mondiale degli Stati fu dominato da Usa e Urss: gli Stati europei decaddero nel ruolo di paesi satelliti. Il problema della sicurezza, per gli Stati dell’Europa occidentale (Francia e Germania occidentale in primis), aveva radicalmente cambiato natura. Non si trattava più di difendersi dai propri vici‐ni, ma tutti insieme, di difendersi sotto la leadership americana, dalla minaccia proveniente dall’Unione sovietica. Il fat‐tore interno riguardò invece la Francia. Essa si rese conto che non disponeva più
Compendio del politico europeoIL MOTORE DELL’UNIFICAZIONE EUROPEA:
LA COPPIA FRANCO-TEDESCA(parte I)
I paesi europei hanno
sempre difeso la libertà e la democrazia
Ciclo di conferenze“Quale Europa in un mondo multipolare?”
“LʼEuropa della ricerca e lʼEuropa dello spazio”
Lunedì 14 Dicembre 2009 - ore 17,00 Aula Porro, Collegio Fraccaro, piazza Leonardo da Vinci
Interviene: Giovanni Bignami[già presidente dellʼAgenzia Spaziale Italiana, professore di Astronomia e Astrofisica dello IUSS]
Presiede lʼincontro: Massimo Malcovati [già professore di Biologia Molecolare e presidente del Consiglio di corso di laurea in Medicina e Chirur-gia dellʼUniversità di Milano]
UFE - Gruppo Universitari per la Federazione Europea
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della carta russa per costruire un equili‐brio europeo destinato a contenere la Germania. La riconciliazione franco‐tede‐sca diventava quindi un obiettivo strate‐gico obbligato: per difendersi dall’ Urss e per contenere la Germania. Però riconci‐liazione significava appunto concedere ai tedeschi pari dignità: un ostacolo psicolo‐gicamente e politicamente formidabile.2) Quali furono i primi passi di una riconciliazione così difficile?
Il primo passo fu compiuto dagli ameri‐cani con il piano Marshall. Lo straordina‐rio valore di questa iniziativa sta nella richiesta degli Stati Uniti all’Europa di gestire gli aiuti in modo multilaterale e in condizioni di parità. L’OECE, ora OCSE, fu la prima organizzazione in cui ai tedeschi fu riconosciuta pari dignità.Il secondo passo fu compiuto il 9 maggio 1950: il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman lesse una solenne di‐chiarazione con cui proponeva di porre l’intera produzione carbo‐siderurgica del‐la Francia, della Ger‐mania e di qualsiasi altro paese europeo che avesse voluto ade‐rire, sotto il controllo di un’autorità comune (la CECA) in condizio‐ni di parità fra tutti i partecipanti. La proposta risolveva tutte le contraddizioni: permetteva la ricostru‐zione del sistema industriale tedesco; dava alla Germania piena dignità, ma sot‐traeva quell’industria strategica a un con‐trollo puramente nazionale. Era un pro‐getto rivoluzionario. Le opinioni pubbli‐che lo compresero e lo accettarono per‐ché faceva parte di una “visione” politica
grandiosa: gli Stati europei si sarebbero gradualmente uniti – fino ad a giungere ad un’unione federale – per evitare alle future generazioni il flagello fratricida della guerra.
3) Con la CED (cioè la creazione di un esercito europeo sotto uno stato maggiore comune che avrebbe avviato alla creazione di una Comunità politica federale) si arrivò molto vicini all’unificazione federale, ma poi sfumò per il voto contrario del Parlamento francese nell’estate del ’54. Così si continuò sul binario dell’integrazione economica che cominciò con il Trattato di Roma ratificato il 1° gennaio 1958. Come visse questa fase la Francia e come concepì il processo di riconciliazione?
La Francia della Quarta Repubblica era sottoposta a fortissime tensioni a causa della debolezza delle istitu‐zioni e del suo scric‐chiolante impero colo‐niale. Poco tempo dopo il generale De Gaulle prese il potere e portò alla nascita della Quinta
Repubblica: il parlamento era fortemente indebolito, il Presidente era Capo dello Stato ed arbitro della politica estera, il governo una sua emanazione. De Gaulle seppe restituire al paese il rispetto di uno Stato forte e di istituzioni stabili: il golli‐smo consisteva appunto nell’ambizione di tornare ad essere una grande potenza nel mondo. Ma ciò avveniva a scapito del raf‐
forzamento della Comunità europea, che bisognava sviluppare sul piano economi‐co, mantenendola però politicamente de‐bole. Per questo il generale si rese conto che era necessario puntare sulla carta tedesca per riaffermare un’egemonia francese in Europa. La politica estera di De Gaulle perseguiva tre obiettivi:‐ continuare l’integrazione comunitaria finché fosse stata utile all’ammoderna‐mento dell’economia francese‐ avere mani libere in politica estera (set‐tore in cui la Comunità doveva essere te‐nuta sotto controllo)‐ instaurare un rapporto privilegiato con la Germania. Dopo la ratifica del trattato di Roma, De Gaulle volle negoziare con Adenauer un trattato bilaterale franco‐tedesco. Esso consentiva a due paesi, diversissimi per sistema politico, economico e culturale, di avvicinarsi e comprendersi per poter così coabitare all’interno delle istituzioni eu‐ropee.
4) Come visse e concepì invece la Germania il processo di riconciliazione?
La Germania usciva dalla guerra politica‐mente, economicamente e moralmente distrutta. Il fatto che la cortina di ferro passasse attraverso la Germania, era nella
coscienza di ogni tede‐sco una ferita impos‐sibile da rimarginare. Per Konrad Adenauer l’integrazione rappre‐sentava la grande oc‐casione di riscatto na‐zionale, ma prima do‐veva risolvere i suoi rapporti con la Francia.
La Germania era conscia dell’ambiguità della politica francese – essa raccontava al continente (e a sé stessa) che la sua poli‐tica avrebbe rafforzato l’Europa intera mentre in realtà la politica d’integrazione era un modo per perseguire la propria egemonia in Europa. Nonostante ciò pro‐vocasse irritazione, i tedeschi avevano due obiettivi da perseguire:‐ consolidare le proprie credenziali di democrazia stabile;‐ compensare l’assenza di peso politico con il successo economico.Per entrambi questi obiettivi aveva biso‐gno dell’integrazione europea che senza la riconciliazione con la Francia, e la ri‐cerca di un rapporto privilegiato con essa, sarebbe stata inconcepibile.
Davide Negri
La Germania aveva bisogno della
riconciliazione e dell'integrazione europea
per perseguire i suoi obiettivi politici
De Gaulle si rese conto che era necessario
puntare sul rapporto con la Germania per
riaffermare un’egemonia francese in Europa
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Nelle scuole nipponiche, l’origine del popolo giapponese non viene indagata con un serio dibattito storiogra5ico, ma come mito.I giapponesi discendono della Dea Ama‐tarasu, le isole dell’arcipelago giappone‐se sono sempre esistite, così come il po‐polo che le abita. Persino alcuni scavi archeologici, che hanno portato alla luce le rovine dei primi insediamenti di popo‐li provenienti dall’Asia centrale, sono stati interrotti, e le rovine condannate alla damnatio memoriae dell’orgoglio nazionale nipponico.I grandi cambiamenti che negli ultimi due secoli hanno interessato la società giapponese, tradizionalista e conserva‐trice, sono stati sempre dettati da fattori esterni.I cannoni delle navi del commodoro americano Perry hanno aperto il Giap‐pone alle in5luenze occidentali nel XIX secolo, il bombardamento atomico e l’oc‐cupazione americana hanno integrato l’estremo oriente per eccellenza nel bloc‐co dei paesi occidentali in funzione anti‐comunista, creando un moderno sistema “democratico” e liberale.L’ultimo importante cambiamento è arri‐vato sull’onda della grande crisi econo‐mica, rompendo un immobilismo politico che durava da sei decenni: le elezioni del 30 agosto che hanno portato il Partito Democratico del Giappone a ottenere la maggioranza assoluta, designando come nuovo premier Yukio Hatoyama.
Per comprendere l’importanza di questa vittoria è necessario spiegare la situazio‐ne politica giapponese dell’ultimo mezzo secolo.Il sistema partitico del Giappone è, per numerosi aspetti, simile alla Prima Re‐pubblica italiana, e simili sono le condi‐zioni in cui si è evoluto nell’ambito della guerra fredda. La costituzione imposta dagli statunitensi nel 1946 ridusse l’Im‐peratore a semplice 5igura simbolica, disarmò il paese e consegnò la difesa nelle mani del Pentagono. L’elite al pote‐re creò il miracolo economico giappone‐se barattando il benessere economico con una politica paternalistica. Il Partito
Democratico Liberale ha potuto virtual‐mente governare come se fosse l’unico partito, grazie al sistema elettorale (un maggioritario che avvantaggiava le circo‐scrizioni elettorali rurali, più conserva‐trici), relegando le opposizioni progres‐siste e nazionaliste a un ruolo perenne‐mente subalterno, o spingendole alla lotta extraparlamentare.I sindacati furono in gran parte domati grazie alla collaborazione con la Yakuza, la ma5ia nipponica.Il PLD diventò una sorta di una nuova casta nobiliare, con tanto di dinastie (l’ex premier Aso è il nipote del primo mini‐stro del 1946), delegando le decisioni
Come cambia il GiapponeLe elezioni di agosto
Scheda personaggio - Jean MonnetJean Monnet nacque nel 1888 a Cognac
(Francia). Riconosciuto come uno dei “Padri fondatori” dell’Europa fu l’ideatore del testo che sarà la Dichiarazione Schuman, che oltre ad istituire la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), de5inisce l’obiettivo 5inale del processo di integrazione europea, ovvero la creazione degli Stati Uniti d’Euro‐pa. Nel 1955, dopo la grave crisi causata dal ri‐5iuto della Francia di rati5icare la Comunità europea di difesa (CED), Monnet diede vita al Comitato d'azione per gli Stati Uniti d'Europa con il quale, sino alla 5ine della sua vita, invi‐tò instancabilmente la classe politica euro‐pea a non abbandonare la via intrapresa del‐l'unità del continente.
...Non possiamo fermarci, quando intorno a noi il mondo intero è in movimento. Ho detto chiaramente che la Comunità che abbiamo creata non è Zine a se stessa? Essa è un processo di trasformazione che continua quello da cui sono uscite, nel corso di una precedente fase storica, le nostre forme nazionali di vita. Come le nostre province, ieri, così i nostri popoli oggi devono imparare a vivere assieme sotto regole e istituzioni comuni liberamente accettate, se vogliono raggiungere le dimensioni necessarie al loro progresso e continuare a dominare il loro destino. Le nazioni sovrane del passato non sono più il luogo dove si possono risolvere i problemi attuali. E la Comunità stessa non è che una tappa verso le forme di organizzazione del mondo di domani.JEAN MONNET, Cittadino d’Europa, Rusconi, 1978
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operative a una corrotta burocrazia di funzionari statali. Questo sistema ha prodotto tanto il successo economico del dopoguerra, tanto lo spaventoso debito pubblico degli anni Novanta.La struttura economica, già in affanno per la globalizzazione, è stata comple‐tamente incrinata dall’avvento della cri‐si: mentre gli impiegati nipponici vengo‐no licenziati, salutando a malincuore il welfare state, le aziende pensano a de‐localizzare in altri paesi asiatici, o ad assumere nuovi dipendenti cinesi, apparentemente più brillanti e ambi‐ziosi.Queste le condizioni della vittoria del PDG, che ha realizzato per la prima volta l’alternanza partitica, ma ha anche aperto un ventaglio di nuove questioni che il governo dovrà af‐frontare nel suo mandato; a comin‐ciare dall’implementazione del Fon‐do Monetario Asiatico (istituito a marzo da alcuni paesi dell’estremo oriente tra cui Cina e lo stesso Giap‐pone) con la possibilità di sostituire il dollaro come moneta per le transazioni petrolifere ed eventualmente la creazio‐ne di un sistema monetario asiatico.Vi è poi la questione di una politica estera più attiva e l’acquisizione di una
capacità difensiva autonoma. Tra i temi più scottanti che il passato governo d o v e t t e affrontare c i f u
l’accordo segreto con gli USA per stanziare armi atomiche nel paese, opzione presa in considerazione alla luce dell’instabilità dello scenario asiatico, con la politica di potenza esercitata dalla Cina e i coup de théâtre del regime nordcoreano.Il tema del riarmo è caro anche al nuovo governo, che però dovrà fare i conti con gli alleati di coalizione del Partito Buddista, strenuo difensore della “Costituzione di Pace”.La generazione che ha visto le pro‐prie città incenerite dall’atomica e che non ha voluto il ripetersi della tragedia, è ormai scomparsa. I nuovi giapponesi vivono con fru‐strazione l’evolversi della situa‐zione economica mondiale e il crollo delle certezze che li hanno accompagnati 5ino ad ora. E’ pos‐sibile che il Giappone del XXI seco‐lo ambisca svolgere nuovamente un ruolo di potenza, con tutte le drammatiche conseguenze che que‐sto comporta.
Gabriele Felice Mascherpa
9 Novembre 1989-2009: Una celebrazione per capire l’EuropaIl 9 novembre è stato celebrato in Europa il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Questo evento, come la presa della Bastiglia per la Rivoluzione francese, ha segnato la storia dell'Europa e del mondo, dando inizio al crollo dell'Unione sovietica e dei regimi "autocratici" dell’Europa dell’Est, alla disfatta dell’ideologia comunista, alla 5ine del bipolarismo americano‐sovietico. Alla caduta del Muro non potevano che seguire profondi cambiamenti nell'assetto politico ed economico: occorreva stabilire nuovi con5ini e nuovi equilibri di potere.L’Unione Europea ha appro5ittato della crisi del blocco orientale allargandosi verso est e ha rafforzato con l’Euro la propria coesione economica, la Germania ha potuto riuni5icarsi e porre le basi per affrancarsi dai vincoli di potenza scon5itta della Seconda Guerra Mondiale.Nel mondo, la 5ine del bipolarismo ha determinato l'affermarsi della supremazia politico‐militare degli Stati Uniti. Ma si è rivelata una fase di breve durata, come sembrano indicare le recenti dif5icoltà militari degli USA nel Medio Oriente e l'attuale crisi 5inanziaria ed economica. Nuovi Paesi stanno intanto emergendo: fra questi la Cina è quella che più di tutti sta assumendo un ruolo da protagonista nello scenario mondiale, non solo sul piano economico ma anche su quello politico e, in prospettiva, militare.Ci troviamo oggi in una situazione in cui non è possibile de5inire con esattezza quanti e quali sono i protagonisti che regolano i rapporti tra gli Stati nel mondo. Possiamo però affermare che quelli europei non rientrano fra questi. Essi hanno perso il loro predomino mondiale con la 5ine della Seconda Guerra Mondiale, che ha sancito la loro subordinazione alle due superpotenze USA e URSS. Nonostante i successi del processo di integrazione europea nei quarant’anni successivi, la caduta del muro di Berlino non è stata sfruttata come spinta verso il suo completamento con la creazione dell’unione politica; i governi europei hanno invece ripreso ad agire in base alle vecchie logiche nazionali ed hanno ricominciato a manifestarsi le vecchie divisioni che hanno preceduto la Seconda Guerra Mondiale.Le conseguenze dell’assenza in Europa di uno Stato federale suf5icientemente forte da far fronte alla nuova situazione sono state disastrose. Il vuoto di potere creato dalla dissoluzione dell’URSS non ha potuto essere colmato e abbiamo assistito nell’area balcanica e in quelle a ridosso della Russia al ritorno in Europa della guerra con centinaia di milioni di morti. L’Europa ha poi subito duramente le conseguenze negative della globalizzazione con le delocalizzazioni, le immigrazioni incontrollate e l’attuale crisi economica i cui sbocchi sono ancora per noi molto incerti.
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Se il Trattato di Lisbona, come appare ormai certo, entrerà in vigore, si potrà 5inalmente concludere una fase del pro‐cesso di integrazione europea tanto tra‐vagliata, quanto – perlomeno – chiari5ica‐trice circa lo stato attuale dell'Unione e il suo possibile futuro. Guardando indietro agli ultimi dieci anni è evidente la crisi profonda in cui versa il processo di uni5i‐cazione: una costituzione fasulla, tre refe‐rendum negativi, un trattato che essen‐zialmente non cambia nulla, ma che sten‐ta ad essere rati5icato da tutti i paesi. Il metodo gradualista concepito da Monnet e utilizzato per cinquanta anni di integra‐zione non funziona più o almeno non permette di raggiungere l'obbiettivo 5ina‐le che i Padri fondatori si erano posti, vale a dire l'uni5icazione del continente. Spetta ora alla classe politica e ai cittadini euro‐pei comprendere quanto questo 5ine ul‐timo di unità rimanga necessario e quindi elaborare una nuova strategia per realiz‐zarlo. L’attenzione oggi è rivolta più che mai alla Germania e alla nuova coalizione di go‐verno uscita dalle urne lo scorso 27 set‐tembre. La riconferma piuttosto scontata di Angela Merkel e la vittoria dei liberali guidati da Guido Westerwelle non garan‐tisce nessun cambiamento netto dell'Eu‐ropolitik tedesca, ma crea un equilibrio di potere nuovo, capace forse di portare a scelte più coraggiose di quelle alla portata della Grosse Koalition. Se l'interesse prio‐ritario di quest’ultima era sostenere il quadro comunitario, messo evidentemen‐te in crisi dalla bocciatura della Costitu‐zione, il nuovo governo dovrà farsi carico di un progetto politico nuovo per l'Europa se vuole evitare l'impasse de5initiva del‐l'Unione e risolvere tutta una serie di problemi interni alla Germania. In verità i programmi elettorali dei due partititi non hanno toccato che in modo super5iciale la questione europea. Entrambi ostili all'in‐gresso della Turchia nell'Unione, la CDU menziona timidamente la necessità di sviluppare una politica di sicurezza ed estera comune, mentre l'FDP si sbilancia parlando addirittura di esercito europeo. In particolare secondo la CDU dovranno essere cedute all'Unione quelle compe‐tenze che meglio possono essere esercita‐te a livello europeo, ma i prossimi proget‐ti dovranno comunque salvaguardare il ruolo degli Stati membri e quindi il meto‐do intergovernativo.
Nonostante buona parte della classe politica europea sia an‐cora consapevole dell'impor‐tanza storica del processo di integrazione, e ne riconosca la necessità, rimane ancora forte, purtroppo, l'incapacità di ac‐cettare la crisi dello Stato na‐zionale e questo fatto, unita‐mente alla totale assenza di un progetto politico concreto per l'Europa, sta trascinando il processo di integrazione in un vicolo cieco. La responsabilità di contrastare questa deriva pesa in primis sullo Stato più potente e sviluppato del con‐tinente, e cioè la Germania. E' questo l'unico paese, in Euro‐pa, che può illudersi di reggere da solo il confronto con gli altri grandi della terra senza peccare troppo di vanità come i francesi o di ingenuità come gli inglesi. Per quanto appa‐rentemente meno irrealistica, tuttavia, questa rimane un’il‐lusione che si infrange contro una crisi sempre più forte che investe sia la questione del‐l’identità nazionale, sia l'ormai storica paura di potenza, sia i limiti 5isiologici e le fragilità di uno Stato medio‐piccolo. La Germania non può giocare sullo scacchiere globale lo stesso ruolo dei grandi paesi continen‐tali, anche se cerca di fare del suo meglio perché gli altri non se ne accorgano. Negli ultimi dieci anni la sua politica estera si è mossa in due direzioni fondamentali. In‐nanzitutto ha cercato di mantenere stabi‐le il quadro comunitario, forte degli
enormi vantaggi derivati dall'allargamen‐to ad Est, dal mercato unico e dall'euro. Allo stesso tempo però la Germania ha iniziato a giocare un ruolo indipendente, sforzandosi di perseguire i propri interes‐si e le proprie ambizioni al di là dei limiti cronici dell'Unione. Oltre all'ormai noto progetto North Stream e alla richiesta di diventare membro stabile del Consiglio di
Sicurezza – che il paese, nonostante le recenti dichiarazioni di segno contrario a questo proposito, continua ad usare come arma politica – , negli ultimi anni la Ger‐mania ha sviluppato una serie di progetti indipendenti in ambito commerciale e militare scegliendo come partner privile‐giati la Russia, alcuni paesi dell'Africa cen‐trale e altri dell'Estremo oriente. Anche nella questione Opel, la scelta di Magna, di proprietà della russa Sberbank, rispet‐to a FIAT, è stata certamente in5luenzata dalla volontà di Berlino di privilegiare il rapporto con un partner strategico come la Russia, piuttosto che creare ulteriori legami all'interno del quadro europeo.Se è vero che la Germania sta ormai cer‐cando di sviluppare una prospettiva di potenza indipendente dal processo di uni5icazione del continente, la sua voca‐zione europea ha radici profonde e la s5i‐da dell'integrazione ritorna spesso come risposta naturale a molte delle paure e delle ambizioni nazionali. Ben venga allo‐ra che il governo tedesco inizi a conside‐
Rimane ancora forte l'incapacità di accettare la crisi dello Stato nazionale
Il nuovo governo tedesco eil “nodo di Gordio”
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rare, per quanto timidamente, come ne‐cessaria la creazione di una difesa euro‐pea, purché diventi un pro‐getto politico serio. In un articolo uscito su Der Spie‐gel il direttore del Global Public Policy Institute di Berlino, Thorsten Benner, si è rivolto direttamente ai due vincitori delle elezioni chie‐dendo loro più coraggio per far giocare alla Germania un ruolo guida nella prossima fase dell’uni‐5icazione europea. Bisognerà aspettare la formazione del governo per conoscere i primi progetti concreti, ma se la Merkel e Westerwelle avranno effettivamente il coraggio di accelerare il processo di inte‐grazione dovranno comunque inventarsi qualcosa di nuovo rispetto all'ennesima riforma unanime dei Trattati. Rispetto ai tempi della Presidenza tedesca del‐l'Unione del 2007 si sono ormai consoli‐dati una serie di limiti insuperabili. Il primo è l'evidente impossibilità di avan‐zare a ventisette o trenta paesi. L'ipotesi di negoziare un nuovo trattato e di sottoporlo alla rati5ica unanime oltre che dif5icile sarebbe del tutto inutile: man‐cherebbe semplicemente il consenso di tutti i paesi membri rispetto a qualunque cessione sostanziale di sovranità o supe‐ramento del metodo intergovernativo.
Esiste poi il chiaro stop della Corte costi‐tuzionale tedesca. Qualunque trattato che
punti a cedere poteri sostan‐ziali a livello europeo sarebbe semplicemente incostituzio‐nale perché il superamento della dimensione confederale e la fondazione di un potere politico nuovo e autonomo necessita di un atto costituen‐te e non di un semplice accor‐do di diritto internazionale. Se
la Germania, come è auspicabile, vorrà proporre un accelerazione del processo di integrazione le si offrono essenzialmente due strade. La più facile consiste nel realizzare delle collabora‐zioni rafforzate con i Paesi vicini in campo economico ed eventualmente militare. Si tratta di una soluzione debo‐le, dovendo questi settori es‐sere coordinati all'unanimità senza creare nessun potere europeo autonomo. Scegliendo invece una soluzione più coraggiosa e drastica la Germania dovrebbe proporre una rivolu‐zione interna al sistema europeo, crean‐do un’unione federale con i paesi pronti a seguirla, all'interno della più grande cor‐nice comunitaria. Esiste una corrente interna alla CDU che fa capo all'ex Mini‐
stro degli interni Schaeuble che già in passato si era fatta promotrice di un si‐mile progetto. Purtroppo in questo mo‐mento tale soluzione viene scartata, date le illusioni di gran parte del mondo poli‐tico ed economico di fare giocare alla Germania un ruolo autonomo, e la dif5i‐coltà di far condividere alla Francia un progetto serio di Kerneuropa. Eppure per quanto arduo, il salto verso l'unione fe‐derale rimane l'unico modo per superare l'impasse in cui l'Europa versa da dieci anni e per risolvere molti dei problemi
economici e sociali che gli Sta‐ti nazionali non sanno più affrontare. Se l'Europa non si farà presto Stato i primi a pagarne il prezzo saranno gli stessi paesi membri, in ter‐mini di benessere dei loro cittadini e di funzionamento delle istituzioni democrati‐che. Se la Germania avrà il coraggio di tagliare il nodo di Gordio che imprigiona il pro‐
cesso di uni5icazione garantirà non solo a se stessa benessere e stabilità, ma per‐metterà a un continente intero di evitare il declino e di giocare un ruolo attivo nel mondo multipolare.
Luca Lionello
Publius - Per un’alternativa europeaNumero 3 - Novembre 2009
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Direttore responsabile: Laura FilippiRedazione: Giovanna Albonico, Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Laura Filippi, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Opizzi, Carlo Maria Palermo, Giulia Spiaggi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l
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Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009
Iniziativa realizzata con il contributo della Commissione A.C.E.R.S.A.T dell’Universi-tà di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.Distribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Se l'Europa non si farà
presto Stato i primi a pagarne
il prezzo saranno gli
stessi cittadini europei
Il nuovo governo tedesco
dovrà farsi carico di un forte progetto politico
per l'Europa