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Publius Per un’ Alternativa Europea Universitari per la Federazione Europea Numero 3 - Novembre 2009 distribuzione gratuita Giornale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani L’esito positivo del secondo referendum Irlandese per la rati5ica del Trattato di Lisbona merita un commento nell’edi‐ toriale di questo terzo nume‐ ro di Publius. Il tanto temuto e, 5ino alla 5ine incerto, risul‐ tato è stato fortunatamente positivo e i circa tre milioni di irlandesi aventi diritto al voto hanno 5inalmente sbloccato l’entrata in vigore di un tratta‐ to che riguarda circa cinque‐ cento milioni di europei. As‐ surdità europee che mettono in luce i fragili meccanismi su cui si basa l’Unione. Manca poco al via libera de5i‐ nitivo del Trattato ora che è arrivata anche la 5irma de5ini‐ tiva della Repubblica Ceca (il cui Presidente Vaclav Klaus, dichiaratamente euroscettico, ha 5inalmente abbandonato le sue resistenze). Se pensiamo però a quanto tempo c’è volu‐ to per arrivare a questo pun‐ to, (sono trascorsi ormai no‐ ve anni dal Consiglio europeo di Nizza che metteva in moto il processo), alle traversie che si sono succedute, (inclusi i referendum negativi in Francia, in Olanda e in Irlanda la prima volta), e soprattutto se si ricor‐ dano le ambizioni iniziali di dare una Costituzione all’Unio‐ ne, sembra proprio che l’elefan‐ te abbia partorito un topolino. Con il nuovo Trattato di Lisbo‐ na, la struttura istituzionale dell’Unione viene aggiornata nei suoi meccanismi al nuovo quadro a ventisette paesi, ma rimane inalterata nelle sue fondamenta, mantenendo la sua natura intergovernativa che lascia agli Stati e alle loro logiche nazionali le scelte nei settori politici più importanti (politica estera, politica eco‐ nomica, politica 5iscale). Sem‐ bra che si sia persa di vista quella visione che aveva anima‐ to l’ispiratore della prima Co‐ munità europea, Jean Monnet, e i padri fondatori del progetto europeo, ossia l’esigenza di una comune dimensione di destino che dovrebbe legare, in un vin‐ colo indissolubile, i popoli del vecchio continente. Si nega l’evidenza di quanto possa es‐ sere vantaggioso per tutti il cercare di completare l’uni5ica‐ zione politica per creare una dimensione istituzionale in cui si possano affrontare i proble‐ mi veri che stanno mettendo in crisi gli stessi Stati (la crisi 5i‐ nanziaria, quella economica, quella ecologica...). Da questo farraginoso processo, tuttavia, sembra poter scaturire, diffon‐ dersi e imporsi sempre più, una nuova coscienza collettiva: pro‐ seguire su questa strada sareb‐ be inutile e suicida. Il quadro dei Ventisette è incompatibile con la prospettiva dell’uni5ica‐ zione politica. Solo un nuovo slancio da parte degli Stati più ancorati al processo europeo, consapevoli di doversi assume‐ re le responsabilità storiche dell'Europa in relazione ai de‐ stini del mondo, potrà rilancia‐ re il processo di integrazione e con esso la prospettiva della fondazione della Federazione europea. Publius Indice pag.1 Editoriale Publius pag.2 Nobel a Obama? Giulia Spiaggi pag.3 Compendio del politico europeo Davide Negri pag.5 Come cambia il Giappone: le elezioni di agosto Gabriele Felice Mascherpa pag.7 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio” Luca Lionello

Publius 3

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Publius - per un'alternativa europea Numero 3, Novembre 2009.

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pag.1  EditorialePublius

pag.2 Nobel a Obama?Giulia Spiaggi

pag.4 Compendio del    politico europeo (part II)

Davide Negri

pag.5 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio”

Luca Lionello

pag.6 Storiche elezioni in Giappone

Gabriele Felice Mascherpa 

PubliusPer un’ Alternativa Europea

Universitari per la Federazione EuropeaNumero 3 - Novembre 2009

distribuzione gratuita

Giornale degli studentidell’Università di Pavia.

Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi

e di domani

L’esito  positivo  del  secondo referendum  Irlandese  per  la rati5ica del Trattato di Lisbona merita  un commento nell’edi‐toriale  di questo  terzo nume‐ro  di Publius.  Il  tanto  temuto e,  5ino  alla  5ine  incerto,  risul‐tato  è  stato  fortunatamente positivo e i circa tre milioni di irlandesi aventi diritto  al voto hanno  5inalmente  sbloccato l’entrata in vigore di un tratta‐to  che  riguarda  circa  cinque‐cento  milioni  di  europei.  As‐surdità  europee  che mettono in luce i fragili meccanismi su cui si basa l’Unione. Manca poco  al via  libera de5i‐nitivo  del  Trattato  ora  che  è arrivata anche la 5irma de5ini‐tiva  della  Repubblica  Ceca  (il cui  Presidente  Vaclav  Klaus, dichiaratamente  euroscettico, ha 5inalmente abbandonato  le sue  resistenze).  Se  pensiamo però  a quanto tempo c’è volu‐to  per arrivare a  questo  pun‐to, (sono  trascorsi   ormai no‐ve anni dal Consiglio  europeo di Nizza  che metteva in moto il processo), alle traversie che 

si  sono  succedute,  (inclusi  i referendum negativi in Francia, in Olanda e in Irlanda  la prima volta), e soprattutto se si ricor‐dano  le  ambizioni  iniziali  di dare  una Costituzione all’Unio‐ne, sembra proprio che l’elefan‐te abbia partorito un topolino.Con il nuovo Trattato  di  Lisbo‐na,  la  struttura  istituzionale dell’Unione  viene  aggiornata nei  suoi  meccanismi  al  nuovo quadro  a  ventisette  paesi,  ma rimane  inalterata  nelle  sue fondamenta,  mantenendo  la sua  natura  intergovernativa che  lascia  agli  Stati  e  alle  loro logiche  nazionali  le  scelte  nei settori  politici  più  importanti (politica  estera,  politica  eco‐nomica,  politica  5iscale).  Sem‐bra  che  si  sia  persa  di  vista quella visione che aveva anima‐to  l’ispiratore  della  prima  Co‐munità europea, Jean Monnet, e i  padri  fondatori  del  progetto europeo, ossia l’esigenza di una comune  dimensione di destino che dovrebbe  legare, in un vin‐colo  indissolubile,  i  popoli  del vecchio  continente.  Si  nega 

l’evidenza  di  quanto  possa  es‐sere  vantaggioso  per  tutti  il cercare di completare l’uni5ica‐zione  politica  per  creare  una dimensione  istituzionale  in cui si  possano  affrontare  i  proble‐mi veri che stanno mettendo in crisi  gli  stessi  Stati  (la  crisi  5i‐nanziaria,  quella  economica, quella  ecologica...).  Da  questo farraginoso  processo,  tuttavia, sembra poter  scaturire,  diffon‐dersi e imporsi sempre più, una nuova coscienza collettiva: pro‐seguire su questa strada sareb‐be  inutile  e  suicida.  Il  quadro dei  Ventisette  è  incompatibile con  la  prospettiva  dell’uni5ica‐zione  politica.  Solo  un  nuovo slancio da parte  degli Stati più ancorati  al  processo  europeo, consapevoli di doversi assume‐re  le  responsabilità  storiche dell'Europa  in  relazione  ai  de‐stini del mondo, potrà rilancia‐re il processo  di integrazione e con  esso  la  prospettiva  della fondazione  della  Federazione europea. 

Publius

Indice

pag.1  EditorialePublius

pag.2 Nobel a Obama?Giulia Spiaggi

pag.3 Compendio del politico europeo

Davide Negri

pag.5 Come cambia il Giappone: le elezioni di agostoGabriele Felice Mascherpa 

pag.7 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio”

Luca Lionello

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L'assegnazione  del  premio  Nobel  per  la pace  al  Presidente  degli  USA  Barack Obama,  offre  l’occasione  per  una  ri5les‐sione sul suo operato e sulla 5iducia ripo‐sta nella sua presidenza.La  commissione  svedese  ha motivato  la propria  scelta  sulla  base  della  volontà manifestata dal Presidente USA di raffor‐zare  la cooperazione  e  la diplomazia  in‐ternazionale  per  affermare  i  principi democratici e la priorità data a problemi vitali  come  il  disarmo  nucleare  e  l'am‐biente. Anche recentemente, nel discorso pronunciato  a  settembre  all'Assemblea delle Nazioni Unite, Obama ha sottolinea‐to  il  ruolo  centrale  che  dovrebbe  avere l'ONU  nella  risoluzione  delle  questioni internazionali, ruolo spesso  oscurato  dal persistere  di  forti  rivalità  al  proprio  in‐terno, e ha espresso  l'impegno degli USA per una più stretta collaborazione con gli alleati.  Il  Presidente  ha  ribadito  l'impe‐gno  per  la  scon5itta  del  terrorismo  nel rispetto dei diritti umani e l'interesse per i problemi del Medio Oriente e di tutte le 

zone  teatro  di  con5litti,  in  particolare riguardo  alla  ripresa  del  dialogo  tra Israele  e  Palestina,  il   progressivo  ritiro delle truppe dall'Iraq e la proposta di un accordo di pace in Sudan. Nell'ambito del disarmo nucleare ha illustrato l'intenzio‐ne di  rafforzare  i  fragili  presupposti  del Trattato  di  non  proliferazione e  di  trovare un accordo  con la  Russia  per  diminuire  i rispettivi  armamenti.  In campo  ambientale  ha  evi‐denziato  come  le  nuove norme  sulle  emissioni  in‐quinanti  attuate  dagli  USA siano solo  il primo passo  per attuare una  strategia globale,  che  preve‐da obiettivi differenziati per i paesi ricchi e per quelli meno  sviluppati, per  affron‐tare  le  conseguenze  dei  cambiamenti climatici.  Ri5lettendo  sulla  situazione economica Obama ha  espresso  la  neces‐sità  di nuove  regole di governo  del mer‐cato per evitare future crisi e per costrui‐re un modello di sviluppo che aiuti tutti i 

paesi  a  raggiungere  un  adeguato  livello di benessere. Per  il Presidente  il 5ine cui tendere deve essere il raggiungimento di una nuova situazione mondiale in cui sia possibile  perseguire la pace prevenendo nuove guerre e intervenendo  in aiuto dei paesi devastati dalla violenza. Obama si è 

dimostrato  consapevole  del‐l'impotenza  dei  singoli paesi ad agire su tutti que‐sti fronti e ha ribadito  che la  collaborazione  tra  le nazioni  è  necessaria  per condividere la responsabi‐lità delle scelte future. Una delle cose che colpisce 

maggiormente  nelle  dichiarazioni  di Obama  è  sicuramente  la  volontà  di  im‐primere una  svolta  radicale  alla  politica americana  rispetto  all’Amministrazione precedente.  Obama  si  rende  conto  degli errori  compiuti in questi anni dagli USA, che hanno  puntato  a  mantenere  un’ege‐monia  globale  sulla  base  della  propria superiorità militare e tecnologica: al di là delle  scelte  speci5iche,  rivelatesi  grave‐mente  controproducenti  –  come  molte delle modalità della guerra al terrore o  il con5litto  in Iraq –,  il problema di fondo è che  l’America  deve  oggi  fronteggiare l’ascesa di  altre grandi potenze che  insi‐diano il suo primato in molte aree strate‐giche e di una forte perdita di consenso a livello mondiale che rende più dif5icile la gestione dei rapporti internazionali. Inol‐tre,  in  questi  anni,  gli  Stati  Uniti  hanno dimostrato  di  non  essere  in  grado  di svolgere da soli una  funzione  stabilizza‐trice  nel  mondo:  impostare  nuovi  rap‐porti  di  tipo  cooperativo  è  quindi  una necessità  vitale  per  gli  USA,  cui  serve collaborazione  a  livello  globale  per  ri‐uscire a  sciogliere alcuni nodi della pro‐pria  politica  estera  (come  la  questione mediorientale) e un clima  internazionale più disteso  per  poter dedicare energie e risorse alle proprie  s5ide politiche inter‐ne.  A  tutto  ciò,  inoltre,  Obama  aggiunge un richiamo alle grandi idealità e ai valo‐ri  fondanti  della  grande  politica  –  che dovrebbe essere  al servizio della  pace e del progresso  – facendo  risuonare toni e indicando  prospettive  da  molti  anni ormai scomparsi dal linguaggio  dei Capi di Stato. La  decisione di assegnare a Barack  Oba‐ma il Nobel è quindi dovuta alle speranze che  tutto  il  mondo  ripone  nel  successo della  sua  strategia  e  alla  5iducia  che  la maggioranza  della  comunità  internazio‐

Nobel a Obama?

Impostare nuovi rapporti di

tipo cooperativo è una necessità

vitale per gli USA

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nale  gli  ha dimostrato  5in dalla  sua ele‐zione. Ma è innegabile che la scelta com‐piuta dalla Svezia sia stata anche prema‐tura, e che sarebbe stato sag‐gio attendere l'attuazione di alcune  delle  proposte  del Presidente,  riservando  il premio come riconoscimen‐to di un reale cambiamento; anche  perché nulla garanti‐sce  che  ci  sia  una  risposta positiva da  parte degli  altri paesi alla  richiesta di  una maggiore col‐laborazione  internazionale o  che  la stes‐sa America abbia la capacità di realizzare effettivamente  i  propositi  espressi  dal Presidente.  I  forti  squilibri  a  livello  in‐ternazionale,  che generano  instabilità  in molte aree cruciali,  sono una dura realtà che spesso spinge  a scelte politiche con‐troproducenti, cui è  estremamente dif5i‐cile sottrarsi,  vista l’inerzia delle  logiche in atto. Neppure il richiamo al ruolo ori‐ginario  dell'ONU  è  suf5iciente,  tenendo conto che questo organismo si basa sulla volontà  dei  singoli membri  ed  è  legato alle logiche di potere esistenti. Queste  ri5lessioni  dovrebbero  spingere in  particolare  noi  europei  a  chiederci come  potremmo  raccogliere  la  s5ida  di Obama in un mondo sempre più domina‐

to  da  potenze  di  dimensione  continen‐tale  e  in  cui  gli  Stati  nazionali  europei non hanno  le risorse suf5icienti per  ten‐

tare  di  risolvere  problemi  di dimensioni  globale,  mentre l'Unione  europea,  che  non  è ancora uno Stato,  rimane  im‐potente  perché  le  sue  deci‐sioni  si  basano  tuttora  sul‐l'accordo  unanime  tra  i  go‐verni  dei  paesi  membri,  so‐prattutto  in  settori  cruciali 

come  la  politica  estera.  Eppure  i  paesi europei  hanno  sempre  difeso  i  valori sostenuti  nelle  dichiarazioni  di  Obama, 

quali  la  libertà,  la  democrazia,  la  difesa dell'ambiente,  e  potrebbero  essere  di grande  supporto  in questo  senso  all'in‐terno  della  comunità  internazionale. Prima però devono  riprendere il cammi‐no dell'integrazione indirizzandosi verso la nascita di uno  Stato  federale  senza  il quale  l'Europa  perderà  l'occasione  di risolvere  i  problemi  che  gravano  sia  sul suo presente che sul suo  futuro e di con‐tribuire  in  modo  decisivo  al  successo degli obiettivi enunciati da Obama.

Giulia Spiaggi

1) Nella Lectio I si è ricordato che Francia e Germania  costituiscono il cuore dell’Eu­ropa  e  che  il  cammino  dell’integrazione europea  non  sarebbe  iniziato  senza  la loro  storica  riappacificazione.  Quali  fat­tori hanno  legato  i  destini  di  questi  due paesi?

A legare i destini dei due paesi concorse‐ro due fattori: uno esterno ed uno inter‐no  all’Europa.  Il  fattore  esterno  si  con‐cretizzò  negli  anni  seguenti  la  seconda guerra  mondiale  con  il  fallimento  del‐l’impresa hitleriana. Con lo  scoppio della guerra  fredda  il  sistema  mondiale  degli Stati fu dominato da Usa e Urss: gli Stati europei  decaddero  nel  ruolo  di  paesi satelliti.  Il  problema della sicurezza, per gli Stati dell’Europa occidentale (Francia e Germania occidentale in primis), aveva radicalmente  cambiato  natura.  Non  si trattava più di difendersi dai propri vici‐ni, ma tutti insieme, di difendersi sotto la leadership  americana,  dalla  minaccia proveniente dall’Unione  sovietica.  Il  fat‐tore  interno  riguardò  invece  la  Francia. Essa si rese conto che non disponeva più 

Compendio del politico europeoIL MOTORE DELL’UNIFICAZIONE EUROPEA:

LA COPPIA FRANCO-TEDESCA(parte I)

I paesi europei hanno

sempre difeso la libertà e la democrazia

Ciclo di conferenze“Quale Europa in un mondo multipolare?”

“LʼEuropa della ricerca e lʼEuropa dello spazio”

Lunedì 14 Dicembre 2009 - ore 17,00 Aula Porro, Collegio Fraccaro, piazza Leonardo da Vinci

Interviene: Giovanni Bignami[già presidente dellʼAgenzia Spaziale Italiana, professore di Astronomia e Astrofisica dello IUSS]

Presiede lʼincontro: Massimo Malcovati [già professore di Biologia Molecolare e presidente del Consiglio di corso di laurea in Medicina e Chirur-gia dellʼUniversità di Milano]

UFE - Gruppo Universitari per la Federazione Europea

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della  carta  russa per  costruire  un  equili‐brio  europeo  destinato  a  contenere  la Germania. La  riconciliazione  franco‐tede‐sca diventava  quindi  un obiettivo  strate‐gico  obbligato: per difendersi dall’  Urss e per  contenere  la  Germania.  Però  riconci‐liazione significava appunto concedere ai tedeschi pari dignità: un ostacolo psicolo‐gicamente e politicamente formidabile.2) Quali furono i primi passi di una riconci­liazione così difficile?

Il  primo  passo  fu compiuto  dagli  ameri‐cani con il piano Marshall. Lo straordina‐rio  valore  di  questa  iniziativa  sta  nella richiesta  degli  Stati  Uniti  all’Europa  di gestire gli aiuti in modo multilaterale e in condizioni di parità. L’OECE, ora OCSE,  fu la prima organizzazione in cui ai tedeschi fu riconosciuta pari dignità.Il secondo  passo fu compiuto  il 9 maggio 1950:  il  Ministro  degli  Esteri  francese Robert  Schuman  lesse  una  solenne  di‐chiarazione  con  cui  proponeva  di  porre l’intera  produzione carbo‐siderurgica  del‐la  Francia,  della  Ger‐mania  e  di  qualsiasi altro  paese  europeo che avesse voluto ade‐rire,  sotto  il  controllo di  un’autorità  comune (la CECA)  in  condizio‐ni  di  parità  fra  tutti  i partecipanti.  La  proposta  risolveva  tutte le contraddizioni: permetteva la ricostru‐zione  del  sistema  industriale  tedesco; dava alla Germania piena dignità, ma sot‐traeva quell’industria strategica a un con‐trollo  puramente  nazionale.  Era  un  pro‐getto  rivoluzionario.  Le  opinioni  pubbli‐che  lo  compresero  e  lo  accettarono  per‐ché  faceva parte di una  “visione” politica 

grandiosa:  gli  Stati  europei  si  sarebbero gradualmente  uniti  –  fino  ad a  giungere ad  un’unione  federale  –  per  evitare  alle future  generazioni  il  flagello  fratricida della guerra.

3) Con la CED (cioè la creazione di un eser­cito  europeo  sotto  uno stato maggiore  comune che  avrebbe  avviato alla  creazione  di  una Comunità  politica  fede­rale)  si  arrivò  molto vicini  all’unificazione federale,  ma  poi  sfumò per il voto  contrario del Parlamento  francese  nel­l’estate del ’54. Così si continuò sul binario dell’integrazione economica  che  cominciò con  il  Trattato  di  Roma  ratificato  il  1° gennaio  1958.  Come  visse  questa  fase  la Francia  e  come concepì  il  processo  di  ri­conciliazione?

La  Francia  della  Quarta  Repubblica  era sottoposta  a  fortissime tensioni  a  causa  della debolezza  delle  istitu‐zioni  e  del  suo  scric‐chiolante  impero  colo‐niale. Poco  tempo  dopo il  generale  De  Gaulle prese  il  potere  e  portò alla nascita della Quinta 

Repubblica: il parlamento  era fortemente indebolito,  il  Presidente  era  Capo  dello Stato  ed  arbitro  della  politica  estera,  il governo  una  sua  emanazione.  De  Gaulle seppe restituire al paese il rispetto di uno Stato  forte e  di  istituzioni stabili:  il golli‐smo consisteva appunto nell’ambizione di tornare ad essere una grande potenza nel mondo. Ma ciò avveniva a scapito del raf‐

forzamento  della  Comunità  europea,  che bisognava  sviluppare sul piano  economi‐co, mantenendola però  politicamente de‐bole.  Per  questo  il generale si  rese conto che  era  necessario  puntare  sulla  carta tedesca  per  riaffermare  un’egemonia francese  in  Europa.  La  politica  estera  di De Gaulle perseguiva tre obiettivi:‐  continuare  l’integrazione  comunitaria finché  fosse  stata  utile  all’ammoderna‐mento dell’economia francese‐ avere mani libere in politica estera (set‐tore in cui  la Comunità doveva essere  te‐nuta sotto controllo)‐  instaurare  un  rapporto  privilegiato  con la Germania. Dopo  la  ratifica  del  trattato  di Roma, De Gaulle  volle  negoziare  con  Adenauer  un trattato  bilaterale  franco‐tedesco.  Esso consentiva  a  due  paesi,  diversissimi  per sistema politico, economico e culturale, di avvicinarsi e comprendersi per poter così coabitare  all’interno  delle  istituzioni  eu‐ropee.

4) Come visse e concepì invece la Germania il processo di riconciliazione?    

La Germania usciva dalla guerra politica‐mente,  economicamente  e  moralmente distrutta.  Il  fatto  che  la  cortina  di  ferro passasse attraverso la Germania, era nella 

coscienza di ogni  tede‐sco  una  ferita  impos‐sibile  da  rimarginare. Per  Konrad  Adenauer l’integrazione  rappre‐sentava  la  grande  oc‐casione  di  riscatto  na‐zionale, ma  prima  do‐veva  risolvere  i  suoi rapporti con la Francia.  

La  Germania  era  conscia  dell’ambiguità della politica francese – essa raccontava al continente (e a sé stessa) che la sua poli‐tica  avrebbe  rafforzato  l’Europa  intera mentre in realtà la politica d’integrazione era  un  modo  per  perseguire  la  propria egemonia in Europa. Nonostante ciò  pro‐vocasse  irritazione,  i  tedeschi  avevano due obiettivi da perseguire:‐  consolidare  le  proprie  credenziali  di democrazia stabile;‐  compensare  l’assenza  di  peso  politico con il successo economico.Per  entrambi questi obiettivi aveva  biso‐gno  dell’integrazione  europea  che  senza la  riconciliazione  con  la  Francia,  e  la  ri‐cerca di un rapporto privilegiato con essa, sarebbe stata inconcepibile. 

Davide Negri

La Germania aveva bisogno della

riconciliazione e dell'integrazione europea

per perseguire i suoi obiettivi politici

De Gaulle si rese conto che era necessario

puntare sul rapporto con la Germania per

riaffermare un’egemonia francese in Europa

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Nelle  scuole  nipponiche,  l’origine  del popolo  giapponese  non  viene  indagata con  un  serio  dibattito  storiogra5ico,  ma come mito.I  giapponesi  discendono della Dea Ama‐tarasu,  le  isole dell’arcipelago  giappone‐se  sono sempre esistite, così come il po‐polo  che  le  abita.  Persino  alcuni  scavi archeologici, che hanno portato alla  luce le rovine dei primi insediamenti di popo‐li  provenienti  dall’Asia  centrale,  sono stati  interrotti,  e  le  rovine  condannate alla  damnatio  memoriae  dell’orgoglio nazionale nipponico.I  grandi  cambiamenti  che  negli  ultimi due  secoli  hanno  interessato  la  società giapponese,  tradizionalista  e  conserva‐trice, sono stati sempre dettati da  fattori esterni.I  cannoni  delle  navi  del  commodoro americano  Perry  hanno  aperto  il  Giap‐pone  alle  in5luenze  occidentali  nel  XIX secolo, il bombardamento atomico e l’oc‐cupazione  americana  hanno  integrato l’estremo oriente per eccellenza nel bloc‐co  dei paesi occidentali  in funzione anti‐comunista,  creando un moderno sistema “democratico” e liberale.L’ultimo  importante cambiamento è arri‐vato  sull’onda  della  grande  crisi  econo‐mica, rompendo un immobilismo politico che durava da sei decenni: le elezioni del 30  agosto  che  hanno  portato  il  Partito Democratico  del Giappone  a ottenere  la maggioranza  assoluta,  designando  come nuovo premier Yukio Hatoyama.

Per  comprendere  l’importanza di questa vittoria è necessario spiegare la situazio‐ne politica giapponese dell’ultimo mezzo secolo.Il  sistema  partitico  del  Giappone  è,  per numerosi  aspetti,  simile  alla  Prima  Re‐pubblica  italiana,  e  simili  sono  le condi‐zioni in cui si è evoluto nell’ambito della guerra  fredda.  La  costituzione  imposta dagli  statunitensi  nel 1946 ridusse  l’Im‐peratore  a  semplice  5igura  simbolica, disarmò  il  paese  e  consegnò  la  difesa nelle mani del Pentagono. L’elite al pote‐re creò  il miracolo  economico giappone‐se  barattando  il  benessere  economico con una politica paternalistica.  Il Partito 

Democratico  Liberale  ha  potuto  virtual‐mente  governare  come  se  fosse  l’unico partito,  grazie  al  sistema  elettorale  (un maggioritario che avvantaggiava le circo‐scrizioni  elettorali  rurali,  più  conserva‐trici),  relegando  le  opposizioni  progres‐siste e  nazionaliste a  un  ruolo  perenne‐mente  subalterno,  o  spingendole  alla lotta extraparlamentare.I  sindacati  furono  in gran  parte  domati grazie  alla collaborazione con la Yakuza, la ma5ia nipponica.Il  PLD  diventò  una  sorta  di  una  nuova casta nobiliare, con tanto di dinastie (l’ex premier  Aso  è    il nipote del primo mini‐stro  del  1946),  delegando  le  decisioni 

Come cambia il GiapponeLe elezioni di agosto

Scheda personaggio - Jean MonnetJean Monnet  nacque  nel  1888  a  Cognac 

(Francia).  Riconosciuto come uno  dei  “Padri fondatori” dell’Europa fu l’ideatore del testo che sarà la Dichiarazione Schuman, che oltre ad istituire la Comunità europea del carbone e  dell’acciaio  (CECA),  de5inisce  l’obiettivo 5inale del processo  di  integrazione  europea, ovvero  la  creazione  degli Stati Uniti d’Euro‐pa. Nel 1955, dopo  la grave crisi causata dal ri‐5iuto  della Francia  di rati5icare  la  Comunità europea di difesa (CED), Monnet diede vita al Comitato d'azione per gli Stati Uniti d'Europa con il quale, sino alla 5ine della sua vita, invi‐tò  instancabilmente  la  classe  politica  euro‐pea a non abbandonare la via intrapresa del‐l'unità del continente.

...Non  possiamo  fermarci,  quando  intorno  a noi  il mondo  intero è in movimento. Ho detto chiaramente  che  la  Comunità  che  abbiamo creata non  è Zine a  se stessa?  Essa  è un pro­cesso  di  trasformazione  che  continua  quello da cui sono uscite, nel corso di una precedente fase storica,  le nostre forme nazionali di vita. Come le nostre province, ieri, così  i nostri po­poli  oggi  devono  imparare  a  vivere  assieme sotto  regole e istituzioni  comuni  liberamente accettate,  se  vogliono  raggiungere  le  dimen­sioni necessarie al loro progresso e continuare a dominare il  loro destino. Le nazioni sovrane del passato non sono  più il luogo dove si pos­sono risolvere i problemi attuali. E la Comuni­tà  stessa  non  è che una  tappa verso le  forme di organizzazione del mondo di domani.JEAN MONNET, Cittadino d’Europa,  Rusconi, 1978

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operative  a  una  corrotta  burocrazia  di funzionari  statali.  Questo  sistema  ha prodotto tanto il successo economico del dopoguerra,  tanto  lo  spaventoso  debito pubblico degli anni Novanta.La  struttura  economica,  già  in  affanno per  la  globalizzazione,  è  stata  comple‐tamente  incrinata dall’avvento della  cri‐si: mentre gli impiegati nipponici vengo‐no  licenziati,  salutando  a malincuore  il welfare  state,  le  aziende pensano  a de‐localizzare  in altri  paesi  asiatici,  o  ad assumere  nuovi  dipendenti  cinesi, apparentemente più brillanti e ambi‐ziosi.Queste le condizioni della vittoria del PDG,  che ha  realizzato  per  la prima volta  l’alternanza  partitica,  ma  ha anche  aperto  un  ventaglio  di  nuove questioni  che  il  governo  dovrà  af‐frontare  nel  suo  mandato;  a  comin‐ciare  dall’implementazione  del  Fon‐do  Monetario  Asiatico  (istituito  a marzo  da  alcuni  paesi  dell’estremo oriente  tra  cui  Cina  e  lo  stesso  Giap‐pone)  con  la possibilità di sostituire il dollaro  come moneta per  le  transazioni petrolifere  ed eventualmente la creazio‐ne di un sistema monetario asiatico.Vi  è  poi  la  questione  di  una  politica estera  più  attiva e  l’acquisizione  di  una 

capacità  difensiva  autonoma.  Tra  i  temi più  scottanti  che  il  passato  governo d o v e t t e  affrontare c i  f u 

l’accordo  segreto  con  gli  USA  per stanziare  armi  atomiche  nel  paese,  opzione    presa  in  considerazione  alla luce  dell’instabilità  dello  scenario asiatico,  con  la  politica  di  potenza esercitata dalla Cina e  i  coup de théâtre del regime nordcoreano.Il tema del riarmo è caro anche al nuovo governo, che però dovrà fare i conti con gli  alleati  di  coalizione  del  Partito Buddista,  strenuo  difensore  della “Costituzione di Pace”.La generazione che ha visto  le pro‐prie  città  incenerite dall’atomica  e che non ha voluto il ripetersi della tragedia,  è  ormai  scomparsa.  I nuovi  giapponesi vivono  con fru‐strazione  l’evolversi  della  situa‐zione  economica  mondiale  e  il crollo  delle certezze  che  li  hanno accompagnati 5ino  ad ora. E’  pos‐sibile che il Giappone del XXI seco‐lo  ambisca  svolgere  nuovamente un  ruolo  di  potenza,  con  tutte  le drammatiche conseguenze che que‐sto comporta.

Gabriele Felice Mascherpa

9 Novembre 1989-2009: Una celebrazione per capire l’EuropaIl 9 novembre è stato celebrato  in Europa il ventesimo  anniversario  della  caduta del Muro di Berlino.  Questo  evento,  come  la presa della Bastiglia per la Rivoluzione francese, ha segnato la storia dell'Europa e del mondo, dando  inizio al crollo dell'Unione sovietica e dei regimi "autocratici" dell’Europa dell’Est, alla disfatta dell’ideologia comunista, alla 5ine del bipolarismo  americano‐sovietico. Alla caduta  del  Muro  non  potevano  che  seguire  profondi  cambiamenti  nell'assetto  politico  ed economico: occorreva stabilire nuovi con5ini e nuovi equilibri di potere.L’Unione  Europea  ha  appro5ittato  della  crisi  del  blocco  orientale  allargandosi  verso  est  e  ha rafforzato con l’Euro la propria coesione economica, la Germania ha potuto riuni5icarsi e porre le basi per affrancarsi dai vincoli di potenza scon5itta della Seconda Guerra Mondiale.Nel  mondo,  la  5ine  del  bipolarismo  ha  determinato  l'affermarsi  della  supremazia  politico‐militare degli Stati Uniti. Ma  si è rivelata  una fase di breve durata,  come sembrano  indicare le recenti dif5icoltà militari degli USA  nel Medio Oriente e  l'attuale crisi 5inanziaria ed economica. Nuovi Paesi stanno intanto emergendo: fra questi la Cina è quella che più di tutti sta assumendo un ruolo da protagonista nello scenario mondiale, non solo sul piano economico ma anche su quello politico e, in prospettiva, militare.Ci  troviamo  oggi  in  una  situazione  in  cui non è  possibile  de5inire con esattezza  quanti e  quali  sono  i  protagonisti  che  regolano  i rapporti  tra  gli  Stati  nel  mondo.  Possiamo  però  affermare  che  quelli  europei  non  rientrano  fra  questi.  Essi  hanno  perso  il  loro predomino mondiale con la  5ine della Seconda Guerra Mondiale,  che ha sancito  la loro subordinazione alle due superpotenze USA e URSS.  Nonostante  i  successi  del  processo  di  integrazione  europea  nei  quarant’anni  successivi,  la caduta  del  muro  di  Berlino  non  è  stata  sfruttata  come  spinta  verso  il  suo  completamento  con  la creazione  dell’unione politica; i  governi europei  hanno  invece  ripreso  ad agire  in base alle  vecchie logiche nazionali  ed hanno  ricominciato  a manifestarsi  le vecchie divisioni  che  hanno  preceduto  la Seconda Guerra Mondiale.Le conseguenze dell’assenza in Europa di uno  Stato  federale suf5icientemente forte da far  fronte alla nuova situazione sono state disastrose.  Il vuoto di potere creato dalla dissoluzione dell’URSS non ha potuto  essere  colmato  e  abbiamo  assistito  nell’area balcanica  e  in  quelle  a  ridosso  della Russia  al ritorno  in Europa della guerra con centinaia di milioni di morti. L’Europa ha poi subito duramente le conseguenze  negative della  globalizzazione con  le  delocalizzazioni,  le  immigrazioni  incontrollate  e l’attuale crisi economica i cui sbocchi sono ancora per noi molto incerti.

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Se  il  Trattato  di  Lisbona,  come  appare ormai  certo,  entrerà  in  vigore,  si  potrà 5inalmente  concludere  una  fase  del  pro‐cesso  di  integrazione  europea  tanto  tra‐vagliata, quanto – perlomeno – chiari5ica‐trice circa lo stato attuale dell'Unione e il suo  possibile  futuro.  Guardando  indietro agli  ultimi  dieci  anni  è  evidente  la  crisi profonda in cui versa  il processo  di uni5i‐cazione: una costituzione fasulla, tre refe‐rendum  negativi,  un  trattato  che  essen‐zialmente non cambia nulla, ma che sten‐ta  ad  essere  rati5icato  da  tutti  i  paesi.  Il metodo  gradualista concepito da Monnet e utilizzato per cinquanta anni di integra‐zione  non  funziona  più  o  almeno  non permette di raggiungere l'obbiettivo  5ina‐le che i Padri fondatori si erano posti, vale a dire l'uni5icazione del continente. Spetta ora alla classe politica e ai cittadini euro‐pei  comprendere  quanto  questo  5ine  ul‐timo di unità rimanga necessario e quindi elaborare una  nuova strategia per  realiz‐zarlo. L’attenzione oggi è rivolta più che mai alla Germania  e  alla  nuova  coalizione  di  go‐verno  uscita dalle  urne  lo  scorso  27 set‐tembre. La riconferma  piuttosto  scontata di Angela Merkel e la vittoria dei liberali guidati da Guido Westerwelle non garan‐tisce  nessun  cambiamento  netto  dell'Eu‐ropolitik tedesca, ma crea un equilibrio di potere  nuovo,  capace  forse  di  portare  a scelte più coraggiose di quelle alla portata della Grosse Koalition. Se l'interesse prio‐ritario  di  quest’ultima  era  sostenere  il quadro comunitario, messo evidentemen‐te  in  crisi  dalla  bocciatura  della Costitu‐zione,  il nuovo governo  dovrà farsi carico di un progetto politico nuovo per l'Europa se  vuole  evitare  l'impasse  de5initiva  del‐l'Unione  e  risolvere  tutta  una  serie  di problemi interni alla Germania. In verità i programmi elettorali dei due partititi non hanno toccato che in modo super5iciale la questione  europea. Entrambi ostili  all'in‐gresso  della  Turchia  nell'Unione,  la  CDU menziona  timidamente  la  necessità  di sviluppare  una  politica  di  sicurezza  ed estera  comune, mentre  l'FDP  si sbilancia parlando  addirittura di esercito  europeo. In  particolare  secondo  la  CDU  dovranno essere  cedute  all'Unione  quelle  compe‐tenze che meglio possono essere esercita‐te a livello europeo, ma i prossimi proget‐ti  dovranno  comunque  salvaguardare  il ruolo degli Stati membri e quindi il meto‐do intergovernativo. 

Nonostante  buona  parte  della classe politica europea  sia  an‐cora  consapevole  dell'impor‐tanza  storica  del  processo  di integrazione,  e ne riconosca la necessità, rimane ancora forte, purtroppo,  l'incapacità  di  ac‐cettare  la  crisi dello  Stato  na‐zionale  e  questo  fatto,  unita‐mente alla totale assenza di un progetto  politico  concreto  per l'Europa,  sta  trascinando  il processo di integrazione in un vicolo  cieco.  La  responsabilità di  contrastare  questa  deriva pesa  in  primis  sullo  Stato  più potente  e  sviluppato  del  con‐tinente,  e cioè  la Germania. E' questo  l'unico  paese,  in  Euro‐pa, che può illudersi di reggere da  solo  il  confronto  con  gli altri  grandi  della  terra  senza peccare troppo di vanità come i  francesi  o  di  ingenuità  come gli  inglesi.  Per  quanto  appa‐rentemente  meno  irrealistica, tuttavia,  questa  rimane  un’il‐lusione  che si  infrange  contro una crisi sempre più forte che investe  sia  la  questione  del‐l’identità nazionale, sia l'ormai storica  paura di potenza,  sia  i limiti 5isiologici e le fragilità di uno  Stato  medio‐piccolo.  La  Germania non può  giocare  sullo  scacchiere  globale lo stesso ruolo dei grandi paesi continen‐tali, anche se cerca di  fare del suo meglio perché gli altri non se ne accorgano. Negli ultimi dieci anni la sua politica estera si è mossa  in due direzioni  fondamentali.  In‐nanzitutto ha cercato di mantenere stabi‐le  il  quadro  comunitario,  forte  degli 

enormi vantaggi derivati dall'allargamen‐to  ad  Est,  dal mercato  unico  e  dall'euro. Allo  stesso  tempo  però  la  Germania  ha iniziato  a giocare  un  ruolo  indipendente, sforzandosi di perseguire i propri interes‐si e le proprie ambizioni al di là dei limiti cronici  dell'Unione.  Oltre  all'ormai  noto progetto  North Stream  e alla richiesta  di diventare membro stabile del Consiglio di 

Sicurezza  –  che  il  paese,  nonostante  le recenti dichiarazioni di segno contrario a questo proposito, continua ad usare come arma politica  –  ,  negli  ultimi  anni la Ger‐mania ha sviluppato  una serie di progetti indipendenti  in  ambito  commerciale  e militare scegliendo  come partner  privile‐giati la Russia, alcuni paesi dell'Africa cen‐trale  e  altri  dell'Estremo  oriente.  Anche nella  questione Opel,  la  scelta  di Magna, di proprietà della russa Sberbank, rispet‐to  a  FIAT,  è  stata  certamente  in5luenzata dalla  volontà  di  Berlino  di privilegiare  il rapporto  con un partner  strategico  come la  Russia,  piuttosto  che  creare  ulteriori legami all'interno del quadro europeo.Se è vero  che la Germania  sta  ormai cer‐cando  di  sviluppare  una  prospettiva  di potenza  indipendente  dal  processo  di uni5icazione  del  continente,  la  sua  voca‐zione europea ha radici profonde e la s5i‐da dell'integrazione  ritorna  spesso  come risposta  naturale  a  molte  delle  paure  e delle ambizioni nazionali. Ben venga allo‐ra che  il governo tedesco  inizi a conside‐

Rimane ancora forte l'incapacità di accettare la crisi dello Stato nazionale

Il nuovo governo tedesco eil “nodo di Gordio”

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rare,  per  quanto  timidamente,  come ne‐cessaria la creazione di  una difesa euro‐pea,  purché  diventi  un  pro‐getto  politico  serio.  In  un articolo  uscito  su  Der  Spie‐gel  il  direttore  del  Global Public  Policy  Institute  di Berlino,  Thorsten Benner,  si è rivolto direttamente ai due vincitori  delle elezioni chie‐dendo loro  più coraggio per far  giocare  alla  Germania  un ruolo  guida  nella prossima fase  dell’uni‐5icazione europea. Bisognerà aspettare la formazione  del  governo  per  conoscere  i primi progetti concreti, ma se la Merkel e Westerwelle  avranno  effettivamente  il coraggio di accelerare il processo di inte‐grazione  dovranno  comunque  inventarsi qualcosa  di  nuovo  rispetto  all'ennesima riforma unanime dei Trattati. Rispetto ai tempi  della  Presidenza  tedesca  del‐l'Unione del 2007 si sono  ormai consoli‐dati  una  serie  di  limiti  insuperabili.  Il primo  è l'evidente  impossibilità di  avan‐zare  a ventisette o  trenta paesi. L'ipotesi di  negoziare  un  nuovo  trattato  e  di sottoporlo  alla rati5ica unanime oltre che dif5icile  sarebbe  del  tutto  inutile:  man‐cherebbe  semplicemente  il  consenso  di tutti i paesi membri rispetto a qualunque cessione sostanziale di sovranità o  supe‐ramento  del  metodo  intergovernativo. 

Esiste poi il chiaro  stop della Corte costi‐tuzionale tedesca. Qualunque trattato che 

punti  a  cedere  poteri  sostan‐ziali a livello europeo sarebbe semplicemente  incostituzio‐nale  perché  il  superamento della  dimensione  confederale e  la  fondazione  di  un  potere politico  nuovo  e  autonomo necessita di un atto costituen‐te e non di un semplice accor‐do di diritto internazionale. Se 

la  Germania,  come  è  auspicabile,  vorrà proporre un accelerazione del processo di  integrazione le si offrono  essenzialmente  due strade.  La  più  facile  consiste nel realizzare delle collabora‐zioni  rafforzate  con  i  Paesi vicini in campo  economico ed eventualmente  militare.  Si tratta di una soluzione debo‐le, dovendo  questi  settori  es‐sere  coordinati  all'unanimità senza  creare  nessun  potere europeo  autonomo.  Scegliendo  invece una soluzione più coraggiosa e drastica la Germania dovrebbe proporre una rivolu‐zione  interna al  sistema  europeo,  crean‐do un’unione federale con i paesi pronti a seguirla, all'interno della più grande cor‐nice  comunitaria.  Esiste  una  corrente interna  alla CDU che  fa capo  all'ex Mini‐

stro  degli  interni  Schaeuble  che  già  in passato  si era  fatta  promotrice  di  un  si‐mile  progetto.  Purtroppo  in  questo  mo‐mento  tale soluzione viene scartata, date le illusioni di gran parte del mondo poli‐tico  ed  economico  di  fare  giocare  alla Germania un ruolo  autonomo,  e  la  dif5i‐coltà  di  far  condividere  alla  Francia  un progetto serio di Kerneuropa. Eppure per quanto  arduo,  il  salto  verso  l'unione  fe‐derale rimane l'unico modo per superare l'impasse  in  cui  l'Europa  versa  da  dieci anni  e  per  risolvere  molti  dei  problemi 

economici e sociali che gli Sta‐ti  nazionali  non  sanno  più affrontare.  Se  l'Europa non si farà  presto  Stato  i  primi  a pagarne  il prezzo  saranno  gli stessi  paesi  membri,  in  ter‐mini  di  benessere  dei  loro cittadini  e  di  funzionamento delle  istituzioni  democrati‐che.  Se  la  Germania  avrà  il coraggio  di tagliare  il nodo  di Gordio  che  imprigiona  il pro‐

cesso di uni5icazione garantirà non solo a se  stessa  benessere  e  stabilità,  ma  per‐metterà a un continente  intero di evitare il declino  e di giocare un ruolo attivo  nel mondo multipolare.

Luca Lionello

Publius - Per un’alternativa europeaNumero 3 - Novembre 2009

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Direttore responsabile: Laura FilippiRedazione: Giovanna Albonico, Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Laura Filippi, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Opizzi, Carlo Maria Palermo, Giulia Spiaggi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l

Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.

Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009

Iniziativa realizzata con il contributo della Commissione A.C.E.R.S.A.T dell’Universi-tà di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.Distribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

Se l'Europa non si farà

presto Stato i primi a pagarne

il prezzo saranno gli

stessi cittadini europei

Il nuovo governo tedesco

dovrà farsi carico di un forte progetto politico

per l'Europa