quanti l’hanno conosciuta è un tempo di dolore e, nello
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1 V.G.M.G. 1 settembre 2021 Carissime sorelle e carissimi fratelli, la lettera di questo numero del nostro Notiziario non può che iniziare con un ricordo grato e ricco di affetto per la nostra sorella suor Graciela Beatriz Armada che in modo così veloce e inaspettato ci ha lasciati per il cielo. Per tutte noi, Piccole Suore, per la sua famiglia e per quanti l’hanno conosciuta è un tempo di dolore e, nello stesso momento, di desiderio di crescere ogni giorno più nella fiducia e nella speranza in Colui che è il Signore della storia e conosce tutte le nostre necessità. Continuiamo a ricordare con affetto anche le sorelle della Regione Beato Giuseppe Nascimbeni e suor Ivana Mabel Lineares a cui abbiamo chiesto di continuare ad accompagnare il cammino della Regione. Insieme alle sorelle della Regione e, successivamente di tutto l’Istituto, stiamo avviando un processo di discernimento che ci aiuti a cercare il bene per la porzione di Istituto che vive in Argentina, Uruguay e Paraguay, doni nuovo slancio e vigore alle nostre comunità fiaccate in questi due anni dalla morte repentina di suor Maria Rosa Calderaro, suor Agnese Luciana Cameli e suor Graciela. Ci uniamo tutti in preghiera per questa intenzione. Mentre scrivo queste righe ancora non abbiamo il nominativo di chi sarà la prossima Regionale, mentre speriamo che, nei prossimi giorni, la consigliera suor Sonia possa partire per l’Argentina e accompagnare le sorelle in questo tempo non facile. Alla futura superiora regionale e al consiglio tutto il nostro sostegno ed incoraggiamento. Ringrazio di cuore per i tanti messaggi giunti da più parti per esprimere vicinanza, preghiera, dolore, gratitudine a Dio per aver condiviso momenti significativi con la nostra consorella. Come comunicato nella circolare 17 del 15 agosto 2021 non mi è possibile andare in Argentina causa le restrizioni ancora in vigore, quindi
quanti l’hanno conosciuta è un tempo di dolore e, nello
Carissime sorelle e carissimi fratelli,
la lettera di questo numero del nostro Notiziario non può che
iniziare con un ricordo grato e ricco di affetto per la nostra
sorella suor
Graciela Beatriz Armada che in modo così veloce e inaspettato ci
ha
lasciati per il cielo. Per tutte noi, Piccole Suore, per la sua
famiglia e per
quanti l’hanno conosciuta è un tempo di dolore e, nello stesso
momento,
di desiderio di crescere ogni giorno più nella fiducia e nella
speranza in
Colui che è il Signore della storia e conosce tutte le nostre
necessità.
Continuiamo a ricordare con affetto anche le sorelle della Regione
Beato
Giuseppe Nascimbeni e suor Ivana Mabel Lineares a cui abbiamo
chiesto
di continuare ad accompagnare il cammino della Regione.
Insieme alle sorelle della Regione e, successivamente di
tutto
l’Istituto, stiamo avviando un processo di discernimento che ci
aiuti a
cercare il bene per la porzione di Istituto che vive in Argentina,
Uruguay e
Paraguay, doni nuovo slancio e vigore alle nostre comunità fiaccate
in
questi due anni dalla morte repentina di suor Maria Rosa Calderaro,
suor
Agnese Luciana Cameli e suor Graciela. Ci uniamo tutti in preghiera
per
questa intenzione.
Mentre scrivo queste righe ancora non abbiamo il nominativo
di
chi sarà la prossima Regionale, mentre speriamo che, nei prossimi
giorni,
la consigliera suor Sonia possa partire per l’Argentina e
accompagnare le
sorelle in questo tempo non facile. Alla futura superiora regionale
e al
consiglio tutto il nostro sostegno ed incoraggiamento.
Ringrazio di cuore per i tanti messaggi giunti da più parti
per
esprimere vicinanza, preghiera, dolore, gratitudine a Dio per
aver
condiviso momenti significativi con la nostra consorella.
Come comunicato nella circolare 17 del 15 agosto 2021 non mi
è
possibile andare in Argentina causa le restrizioni ancora in
vigore, quindi
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mantengo gli impegni presi in precedenza, e dal 22 agosto al 6
settembre
sarò tra le sorelle dell’Angola, altra porzione d’Istituto colpita
da lutti e
situazioni difficili e successivamente, insieme alla vicaria suor
Arcangela
saremo in Togo fino al 28 settembre. Sia in Angola che in Togo
avremo la
gioia di ricevere la professione di alcune sorelle: 2 professioni
temporanee
in Angola e 6 professioni perpetue in Togo (non saremo presenti
invece
per le 8 professioni temporanee del Togo). Tutto poniamo sotto
la
protezione della S. Famiglia.
Proseguiamo, ora, nella sintesi ragionata delle riflessioni
che
quest’anno ci hanno accompagnato intorno al tema dell’uscire.
Prendiamo
in considerazione il periodo da marzo a giugno. Come nella
Lettera
precedente, teniamo presenti tre aspetti: il riferimento al tema
fondante
della Chiesa in uscita (cfr. EG 20-24); il vissuto di Madre Maria,
donna
completamente dedita agli altri perché radicata in Cristo;
l’esperienza della
pandemia come sfida a uscire da una logica vecchia per abbracciare
la
novità del Vangelo.
La Chiesa in uscita è una Chiesa in cui lo Spirito è all’opera e
il
frutto maturo dello Spirito è la santità. Lo Spirito spinge fuori,
sollecita a
essere liberi e creativi, rende aperti alla realtà, capaci di
riconoscere e
accogliere quanto Dio va operando nelle donne e negli uomini del
nostro
tempo. Lo Spirito plasma la vita nella modalità della cura,
dell’accompagnamento, del farsi dono. Ci rende persone, famiglie
e
comunità audaci, capaci di scommettere sul futuro e di infondere
speranza,
pronte ad avventurarsi attraverso nuovi percorsi di annuncio.
Questa è la
santità, frutto di una Chiesa che esce di sacrestia e affronta
l’avventura
della vita insieme ai propri contemporanei.
Santo è colui che ama dell’amore di Dio: lascia che Lui ami in
noi
e così la vita si espande e noi usciamo dai pregiudizi, dalle
difese,
dall’attaccamento ai nostri modi di pensare e di fare. E questo non
per uno
sforzo della volontà, ma come conseguenza naturale del radicamento
nel
Signore.
In questo anno noi Piccole Suore e i laici che condividono il
carisma di Nazareth siamo particolarmente sollecitati a riflettere
sulla
universale chiamata alla santità perché attendiamo con trepidazione
la
canonizzazione di Madre Maria e viviamo con gioia il centenario
della
nascita al cielo del Fondatore e l’inizio del processo diocesano
sulle virtù
3
eroiche di sr Pura Pagani. Quello che ci deve muovere è l’appello,
rivolto
a ciascuno di noi, per una trasformazione interiore lasciata
compiere
interamente al Signore. È questo ciò che hanno fatto i nostri
Beati.
In particolare guardiamo a Madre Maria, la cui santità è
riconoscibile nel modo di pregare: dimentica di sé, era protesa
verso il
Signore. Progressivamente, pur rimanendo imbevuta di una modalità
di
preghiera devozionale e vocale, ha saputo maturare una
dimensione
mistica, dalla quale è fiorita un’orazione interiore, silenziosa,
frutto di un
profondo incontro con il Mistero che ci abita. La sua preghiera
nasceva da
una purificazione di pensieri, parole e sentimenti, per
raggiungere
l’essenziale. Richiedeva calma, tempi prolungati, distacco da
sé.
Questo stile di preghiera, segnato da un chiaro movimento di
uscita, ha reso Madre Maria donna interiormente robusta, libera
e
flessibile. Lungi dall’essere una preghiera intimista, incentrata
sul proprio
io, ella ha saputo attingere al rapporto costante con Gesù nel
Tabernacolo
e riconosciuto nelle persone che incontrava la forza per “farsi
pane” con
Cristo, per manifestare agli altri il suo amore e raggiungere
tutti, divenendo
per loro un pane, fragrante e gustoso, di condivisione e
disponibilità.
La Madre sapeva vivere più lo spirito che la lettera, uscire
da
schemi e consuetudini esteriori per andare al cuore della vita,
incarnando
quella misericordia verso i piccoli e gli ultimi che è il modo
migliore per
imitare il Signore Gesù. Madre Maria ci insegna che “uscire da” e
“uscire
verso” sono due movimenti inscindibili che il Figlio incarnato ha
compiuto
per primo e che chiede anche a noi di percorrere per avere vita
in
abbondanza e donarla senza riserve.
Dobbiamo tuttavia riconoscere che è difficile vivere “la
preghiera”
anziché “le preghiere”, e a maggior ragione lo è per noi, che
viviamo in
un’epoca frenetica, per la quale il silenzio e l’ascolto sono un
esercizio
inutile, uno spreco di tempo. Siamo sempre di corsa, la fretta
accompagna
le nostre giornate e ci diamo poco tempo per fermarci e rientrare
in noi
stessi. Così diventa difficile attingere alla sorgente della Vita
che ci
trasmette energia, senso, direzione anche perché, immerse in questo
clima
frenetico, “temiamo” il tempo libero da impegni e, se non
abbiamo
qualcosa da fare, ce lo troviamo…
Tuttavia, l’esperienza dolorosa e prolungata della pandemia ci
ha
costretto a fermarci e a ripensare la nostra vita in tanti suoi
aspetti, a
4
discernere ciò che conta, a separare il superfluo dal necessario
per
reimpostare la vita verso una direzione di pienezza e fecondità.
Questo si
realizza solo attraverso piccole scelte quotidiane, nelle quali
sappiamo
rinunciare a ciò che ci fa ammalare nel corpo e nello spirito per
scegliere
ciò che invece ci fa vivere in modo sano, libero, aperto alla
realtà e al bene.
In questo senso il Covid-19 ci sta dando una grande mano
perché
ci scuote dal nostro torpore e dall’abitudine e ci impone di
cambiare modo
di pensare e stile di vita. È questo il tempo favorevole che non
dobbiamo
lasciarci sfuggire perché, come ci ha ricordato il Papa, non
possiamo
sprecare l’occasione di cambiamento insita nella tragedia che
stiamo
attraversando. Per cogliere questa opportunità, recuperiamo il
silenzio
contemplativo che ci fa vivere alla presenza di Dio e ci rigenera
fin nelle
profondità del nostro essere e lasciamo che nello spazio interiore
che
progressivamente gli lasciamo libero, lo Spirito lavori per creare
persone
nuove, sante della santità di Dio.
Termino questa seconda Lettera di sintesi dell’anno
ringraziando
di cuore il Gruppo Uscire della Regione Maria di Nazareth che si
è
impegnato, con passione, a presentare la tematica dell’uscire nei
notiziari
di questi mesi. Credo che tutte ricordiamo che il prossimo anno
sarà legato
alla tematica della Prossimità e attenzione al diverso, come
indicato nelle
linee formative per il sessennio.
Carissime sorelle e carissimi fratelli nella S. Famiglia,
desidero
proprio raggiungere tutte e tutti e ognuno in particolare.
L’Istituto ha
bisogno di voi per dare fecondità e visibilità nuova al carisma,
dono nella
Chiesa, a quanti ci accostano nelle parti del mondo dove siamo
presenti.
Preghiamo e cerchiamo di crescere nella comunione tra noi perché
ognuno
si senta sempre più Istituto, parte viva di questa bella Famiglia,
una perla
preziosa ed unica, scelta dal Signore per la gioia di molti.
Dio benedica ciascuno e doni a tutte e a tutti la sua pace,
Vostra aff.ma Madre
Suor Simona Pigozzi
(a cura di Suor Flaviana Giacomelli)
Rileggiamo ancora qualche stralcio delle circolari di Madre
Maria.
Circolare N. 1 (24.3.1926)
Carissime nella S. Famiglia
Con il cuore riboccante di gioia vi partecipo una straordinaria
grazia
concessa al nostro Istituto. Il dì 11 febbraio le nostre Suore di
Viterbo
(asilo Pio X) sono passate ad abitare una gran parte del monastero
di S.
Rosa. Ora quella è casa nostra.
Di tanto favore dobbiamo rendere grazie alla S.F. al Venerato Padre
e a S.
Rosa che si è degnata accoglierci in casa sua. Inoltre
dobbiamo
riconoscenza vivissima verso l’Eminentissimo nostro Cardinale
Protettore
Gaetano De Lai, al suo segretario Monsignor Tondini,
all'Eccellentissimo
Vescovo di Viterbo e altri Prelati i quali unitamente all'Onorevole
Senatore
Montresor lavorarono indefessamente, e non badando a viaggi e
sacrifici
riuscirono ad appianare ostacoli, difficoltà che parevano
insuperabili […]
Il 1° corso di santi spirituali Esercizi per comodità del
Predicatore sarà dal
2 all'8 Maggio e le Suore invitate dovranno essere qui il 29 o 30
Aprile, la
partenza 10 - 11 Maggio, mese consacrato a Maria SS. mamma
nostra
celeste; mese di grazie e di benedizioni. Apparecchiatevi dunque ai
S.
Esercizi colla preghiera e con umiltà di mente e di cuore.
Per vostra norma la casa di Brescia è stata chiusa, non andate per
la
fermata. Le suore nostre di Milano hanno cambiato casa, ora abitano
in S.
Francesca Romana - Via Spalanzani N. 30. L’indirizzo asilo Viterbo
è –
Monastero S. Rosa.
La casa di Marcheno e quella di Vittadone furono chiuse e questo
per poter
aprire una casa molto importante in Bologna città. In Calcinato,
con l’aiuto
della S. F., dopo appianate molte difficoltà, siamo rientrate in
casa nostra,
così quell’orfanatrofio è nostro.
Raccomando di trovare buone giovani secolari per gli esercizi che
saranno
ai primi d’agosto.
6
Auguro a tutte buona Pasqua che il Divin Risorgente sia a voi
tutte, ed a
ciascuna in particolare, apportatore di grazie specialissime,
specie di un
notevole rinnovellamento spirituale.
Pregate tanto tanto per me ch'io sempre vi ricordo salutandovi
tutte e
implorando dalla S.F. e dal Ven. Padre ogni più eletta benedizione
sulla
Superiora e su tutte. Credetemi nel Cuor di Gesù
Vostra aff.ma Madre Maria dell’Immacolata di Lourdes
Circolare N. 3 (13.4.1929)
Anche in quest'anno la morte ha visitato ripetutamente l'Istituto
delle
piccole suore della S. F. In tre mesi tre suore sono volate in
paradiso e una
di queste era superiora. Buon per loro che, venendo lo sposo, le
trovò con
la lampada accesa, come le vergini prudenti.
Carissime, stiamo sempre apparecchiate, sempre pronte a fare la
volontà
di Dio vivendo in umiltà, obbedienza e carità. Non dimentichiamo
mai le
massime del carissimo Ven. nostro Padre, cioè, di vivere in maniera
come
se ogni giorno dovessimo morire.
La vita è un volo, un lampo che passa, il tempo che il Signore ci
dà
impieghiamolo per fare molte opere buone, guadagnare anime a Gesù.
La
sposa deve tutelare gli interessi dello sposo, ebbene lavoriamo,
rendiamoci
ogni giorno missionarie nei nostri paesi, dove l’obbedienza ci ha
posto e
sforziamoci di divenire ogni giorno più umili, non in teoria, ma in
pratica
e così non temeremo né la morte né il giudizio, e un dì passeremo
da questa
all'altra vita come in un'estasi d'amore introdotte da Gesù Maria
Giuseppe
nei tabernacoli eterni, in compagnia del nostro Ven. Padre e
carissime 136
consorelle defunte.
Alla morte di una consorella defunta ricevuto l’avviso, siate
sollecite nel
mandare il denaro per la celebrazione della Santa Messa di
suffragio acciò
venga presto sollevata, liberata dal Purgatorio. Non fate come
qualche
superiora che, le 14 SS. Messe per le consorelle defunte che
avrebbe
dovuto far celebrare nel 1928, aspettò fino a marzo di quest'anno.
Se tutte
le superiore avessero fatto così, povere sorelle morte! Che ciò non
succeda
7
più, più. Mandate magari l'importo, per la S. Messa, in francobolli
che per
noi è lo stesso, ma spedite subito.
In omaggio al Giubileo sacerdotale di S.S. Pio XI noi piccole Suore
S. F.
doteremo un seminarista indigeno, che, a suo tempo, sarà sacerdote
e andrà
nella terra delle missioni a far conoscere e amare il Signore,
salvare delle
anime.
L’ideale del Carissimo Padre era di mandare le sue piccole suore in
mezzo
ai pagani e agli infedeli, come sempre si chiede a Dio con
l’orazione -
Eterno Padre ecc. – Ma l’ora nostra non è ancor giunta, e intanto
il
sacerdote Indigeno farà le parti nostre. Siate pertanto puntuali
nel fare ciò
che ora vi consiglio. Per tale dotazione occorre mandare
all’opera
Pontificia pro Clero Indigeno £. 300 annue, per sei anni.
E per raggranellare detta somma basta che ogni suora mi mandi
un
francobollo da 0,50 all’anno, e così senza toccare la cassa
dell’Istituto
avremmo quanto è necessario per quest’opera santa, meritoria.
Consoleremo il Cuore del S. Padre, appellato – “Il Papa delle
Missioni” –
Per l’acquisto del S. Giubileo non prendetevi pensiero. In tutti i
corsi di
Esercizi saranno fatte le pratiche raccomandate per l’acquisto
del
medesimo. Invece quelle suore che fecero gli esercizi in febbraio
u.s. lo
acquisteranno nelle parrocchie ove si trovano.
Fate col massimo fervore il bel mese di maggio consacrato a Maria
SS.
Onoratela più che vi è possibile esercitando tanti atti di virtù.
Date dei colpi
mortali al maledetto amor proprio. Schiacciata la testa a questo è
vinto
tutto. In questo mese prendetelo di mira con volontà risoluta, col
voglio
dei santi e vi assicuro che la nostra cara mamma Maria SS. vi
otterrà da
Gesù tanta grazia e forza per essere vittoriose. Questo è il più
bel fioretto,
l’ossequio più bello che dovete offrire alla Madonna, e vi
renderete a Lei
tanto care. I vostri sforzi siano accompagnati da fervide
preghiere. Con la
preghiera ben fatta tutto si ottiene.
Raccomandandomi caldamente alle vostre preghiere, vi prego dal
Signore
ogni sorta di benedizioni e lasciandovi nelle braccia di Gesù
Maria
Giuseppe credetemi
8
LA CASSA RURALE E IL COMITATO PARROCCHIALE
Riportiamo il testo dell’intervento di Suor Loretta Francesca
Pontalto
nell’incontro del 24 luglio 2021 tramite piattaforma.
La seconda metà dell’Ottocento è caratterizzata dalle linee del
magistero
di due pontefici e da importanti mutamenti nella vita della
Chiesa.
Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti; pontificato 1846
-1878)
Leone XIII (Gioacchino Pecci; pontificato 1878 - 1903).
Per comprendere l’azione sociale che la Chiesa svilupperà
soprattutto sul
finire del secolo, è necessario far riferimento, se pur brevemente,
a questi
due pontefici.
Pio IX (Pontefice dal 16 giugno 1846 al 7 febbraio 1878)
Gli esordi del suo pontificato parvero confermare la sua fama di
liberale.
Concesse immediatamente un’amnistia per reati politici; promosse la
lega
doganale con il Regno di Sardegna e il Granducato di Toscana;
emanò,
nel 1848, una Costituzione che introduceva notevoli ampliamenti
della
libertà e, soprattutto, un Parlamento. Quando, nello stesso 1848,
il Regno
sabaudo sfidò l’Austria per portare aiuto ai ribelli milanesi e per
scalzarla
dalla penisola, il papa, al pari degli altri sovrani italiani,
inviò un piccolo
contingente del suo esercito.
Successivamente, la sua fama di liberale, ricevette durissimi
colpi. Si ritirò
dalla Prima guerra d’indipendenza e, costretto ad abbandonare Roma
a
causa di tumulti popolari, chiese l’intervento di una potenza
straniera – la
9
per via militare, il suo potere.
Il suo pontificato, il secondo più lungo della Chiesa dopo quello
di san
Pietro, avrebbe, da allora, conosciuto un progressivo irrigidimento
politico
e dottrinale, come dimostrarono il Concilio Vaticano I e
l’enciclica Quanta
cura che conteneva Il Sillabo, dura denuncia del pensiero laico e
moderno.
Nel 1870 il Concilio Vaticano I votò, su pressione dello stesso
pontefice,
il dogma dell’infallibilità papale, suscitando forti opposizioni
tra gli stessi
partecipanti al concilio.
Il 20 settembre 1870 fu proprio Pio IX a osservare l’ingresso dei
reparti
italiani in Roma. 1
Pio IX rifiutò sempre di riconoscere il nuovo Stato italiano,
denunciato
come usurpatore dei suoi possedimenti e, con il non expedit (1874),
proibì
ai cattolici di partecipare alle consultazioni elettorali e, per
estensione, di
partecipare alla vita politica dello Stato italiano (né eletti, né
elettori).
Nacque così la famosa questione romana, uno dei grandi nodi
irrisolti nella
costruzione del nuovo Stato e che avrebbe trovato soluzione
soltanto nel
1929, con la firma del Concordato tra lo Stato italiano e Pio
XI.2
L’Opera dei congressi e dei comitati cattolici
L'Opera dei congressi e dei comitati cattolici, spesso abbreviata
in Opera
dei congressi, fu un'organizzazione cattolica italiana che dal 1874
al 1904
“mirò a riunire e a riordinare i cattolici e le associazioni
cattoliche in una
comune e concorde azione per difendere i diritti della chiesa e del
papato,
gli interessi religiosi e sociali degli italiani, secondo i
desideri e le direttive
del papa, sotto la guida dell’episcopato e del clero.
1 Notizie tratte da http://www.150anni-lanostrastoria. it : Pio IX,
la parabola di un papa che si credeva liberale;
https://it.wikipedia.org/Papa PioIX 2 https://it.wikipedia.org/: la
questione romana.;
https://www.fattiperlastoria.it/questione-romana: il conflitto tra
lo Stati italiano e la Chiesa.
10
Il movimento raccolto nell’Opera dei congressi era tutto stretto
intorno al
papa «prigioniero», con una struttura gerarchizzata e capillare,
concatenata
a livello nazionale, regionale, diocesano e parrocchiale, per far
vibrare
anche nel cuore del più umile dei fedeli il dramma di una chiesa
che si
confrontava con il mondo moderno”.3
Le sue origini possono essere fatte risalire ad un'assemblea di
cattolici
riuniti a Venezia il 2 ottobre 1871 per celebrare il terzo
centenario della
battaglia di Lepanto. In quel contesto fu annunciata l'iniziativa
di fondare
anche in Italia l'Opera sovra ogni altra importantissima dei
Congressi
cattolici e l’idea di convocare nel più breve termine possibile un
primo
Congresso dei cattolici italiani.
Durante il primo Congresso, convocato sempre a Venezia dal 12 al
16
giugno 1874, vennero gettate le fondamenta dell'organizzazione e fu
letta
la dichiarazione di principi, ripresa poi in apertura di ogni
successivo
congresso: «Il Congresso è cattolico e non altro che cattolico…
Il
Cattolicesimo è dottrina completa, la grande dottrina del genere
umano. Il
Cattolicesimo non è liberale, non è tirannico, non è d'altra
qualità. [...] Il
Cattolicesimo è la dottrina che il Sommo Pontefice, insegna o solo
dalla
sua Cattedra o congiuntamente con i Vescovi, successori degli
Apostoli.
Ogni dottrina difforme da quella è scisma ed eresia. Al supremo
giudizio
del Sommo Pontefice il Congresso sottopone le sue
deliberazioni».
Scopo fondamentale dell'Opera dei congressi era quello di tutelare
i diritti
della chiesa, ridotti ai minimi termini dopo l'unificazione
italiana, e di
promuovere le opere caritative cristiane (dopo il loro scioglimento
imposto
dalla legislazione antiecclesiastica) coordinando le attività
delle
associazioni laicali cattoliche. In ambito nazionale
l'organizzazione si
uniformava al divieto pontificio contenuto nel non expedit (le
direttive
pontificie erano chiare: nessun partito cattolico in Italia per il
momento,
ma solo azione cattolica).
L'Opera dei congressi era organizzata in modo gerarchico e
accentrato, con
sede centrale a Venezia e una struttura periferica articolata in
comitati
3 Cfr R. Cona, Parrocchie e movimento cattolico nel secondo
Ottocento in AA.VV., Vita
religiosa e sociale dal periodo austriaco all’età liberale. Le
visite pastorali. Atti
dell’incontro di studio svoltosi a S. Fermo Maggiore il 19 novembre
1983, Verona, 1984,
p. 56.
congressi nazionali, in cui si discutevano le questioni di
maggiore
rilevanza per il movimento cattolico. Nell'adunanza plenaria del 27
agosto
1881 venne denominata “Opera dei congressi e dei comitati cattolici
in
Italia” «per indicare che essa era insieme Opera di organizzazione
e
associazione distinta e autonoma da ogni altra associazione
cattolica».4
Successivamente conobbe un rapido sviluppo, radicandosi
soprattutto
in Lombardia e nel Veneto, promuovendo una vasta attività economica
e
sociale con la fondazione di casse rurali, società di mutuo
soccorso e
cooperative.
Nel 1887, al congresso di Lucca, l’attività dell’associazione
venne
organizzata in cinque sezioni:5
Battista Paganuzzi
V) Musica sacra ed Arti del disegno.
In particolare la seconda sezione era organizzata nel modo
seguente:
Istituzioni Sociali ed Economiche di carattere generale
Casse rurali ed Istituti di Credito
Istituzioni Sociali ed Economiche del settore manifatturiero
Istituzioni Sociali ed Economiche a favore delle classi
rurali.
L’Opera organizzò venti Congressi:
• I: Venezia, 12-16 giugno 1874
• II: Firenze, 22-26 settembre 1875
• III: Bologna, 9 ottobre 1876 (sospeso dall'autorità
pubblica
dopo la prima giornata)
• IV: Bergamo, 10-14 ottobre 1877
• V: Modena, 21-24 ottobre 1879
• VI: Napoli, 10-14 ottobre 1883
4 A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi
(1874-1904) Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in
Italia, Roma, 1958, p. 63, n. 70. 5 https://it.wikipedia.org/:
Opera dei congressi e dei comitati cattolici
• XV: Milano, 30 agosto-3 settembre 1897
• XVI: Ferrara, 18-21 aprile 1899
• XVII: Roma, 1-5 settembre 1900
• XVIII: Taranto, 2-6 settembre 1901
• XIX: Bologna, 10-13 novembre 1903
• XX: Modena, 9-13 novembre 1910
L’attività dell’Opera dei congressi fu sostenuta dai pontefici, in
particolare
da Leone XIII. Il movimento intransigente respirava nel clima
ultramontano diffuso durante tutto l’Ottocento in molti paesi
europei.
L’ultramontanesimo si esprimeva in atteggiamenti non solo di
obbedienza
e di adesione, ma anche di rispettosa devozione al papato romano di
fronte
ai vari problemi della chiesa e della società moderna,
sviluppando
molteplici aspetti, che andavano dal piano dottrinale e dogmatico,
a quello
devozionale, giuridico, letterario, politico, sociale.
Leone XIII (Pontefice dal 20 febbraio 1878 al 20 luglio 1903)
Leone XIII, che trovò ispirazione nella sua opera di rinnovamento
della
chiesa nel pensiero di Tommaso d'Aquino, è ricordato nella storia
dei papi
dell'epoca moderna come il pontefice che ritenne che fra i compiti
della
chiesa rientrasse anche l'attività pastorale in campo
socio-politico. Se con
lui non si ebbe la promulgazione di ulteriori dogmi dopo
quello
dell'infallibilità papale, solennemente proclamato da papa Pio IX
durante
il Concilio Vaticano I, egli viene tuttavia ricordato quale primo
papa delle
encicliche. Egli ne scrisse infatti ottantasei, con lo scopo di
superare
l'isolamento nel quale si trovava la Santa Sede dopo la fine dello
Stato
Pontificio con la perdita del potere temporale in seguito alla
presa di Roma
(20 settembre 1870) e l'Unità d'Italia.
13
Ancora come vescovo di Perugia manifestò le sue capacità di
amministratore fermo e chiaro e divenne noto per le sue
posizioni
favorevoli alla conciliazione tra cattolicesimo e cultura
contemporanea, un moderato di larghe vedute.
Leone governò la chiesa per più di 25 anni, manifestando doti
eccezionali
e ottenendo grandi successi per la chiesa e per tutto il mondo
cattolico del
tempo. La sua opera più grande fu il tentativo di riconciliare la
chiesa
con l’epoca moderna, offrendo una risposta cristiana alle
acute
questioni sociali, politiche e culturali del suo tempo.
Le sue posizioni contro il socialismo, il comunismo e il nichilismo
nella
Quod apostolici muneris (28 dicembre 1878), contro la massoneria
nella
Humanum genus (20 aprile 1884), la sua trattazione del matrimonio
nella
Arcanum illud (10 febbraio 1880) sono improntate alla più
autentica
tradizione dottrinale cattolica. Ma ciò che maggiormente lo
distinse fu
l’apertura del dialogo fra la chiesa e il mondo moderno.
In molte delle sue encicliche egli sviluppò la sua teoria, per lo
più
modellata sul pensiero di Tommaso d’Aquino, dello Stato
cristiano,
dando rilievo all’indipendenza e alla dignità dello Stato. Nella
enciclica
Aeterni Patris (4 agosto 1879) pose in evidenza l’importanza della
teologia
e della filosofia di Tommaso d’Aquino, approvando ufficialmente
la
filosofia neoscolastica.
In Vaticano promosse lo studio dell’astronomia e delle
scienze
naturali, esortando gli studiosi cattolici a studiare e ricercare
in modo
obiettivo; il 18 agosto 1883 aprì l’Archivio Vaticano agli studiosi
di ogni
confessione (l’archivio e la biblioteca del Vaticano furono, da
allora in poi,
centri di studi storici d’importanza internazionale); Leone XIII
si
dimostrò un progressista anche in materia di scienze bibliche,
fissando
nella Providentissimus Deus (18 novembre 1893) nuovi criteri
scientifici per la ricerca biblica.
Uomo e papa ben consapevole del valore del mistero
dell’incarnazione,
dedicò 11 encicliche a Maria e al Santo Rosario, una all’opera
redentrice
di Cristo e una all’Eucarestia. Istituì la festa della Sacra
Famiglia e,
sviluppando una iniziativa di Pio IX, nell’anno giubilare del 1900
consacrò
l’intero genere umano al Sacro Cuore di Gesù.
14
Leone XIII è noto anche per essere il primo papa, dopo quasi mille
anni di
storia, a non esercitare più in forma attiva il potere temporale,
fatta
eccezione per l'ambito della Città leonina, fino alla soluzione
della
Questione romana” sancita con i Patti lateranensi l'11 febbraio
1929.6
Leone XIII e la questione sociale
Anche l’aspetto politico del pontificato di papa Leone XIII è
sicuramente
da ricordare. In un'allocuzione concistoriale del marzo 1878, il
pontefice
ribadì le ragioni temporali della Santa Sede, ma con un tono
meno
aspro di quello del suo predecessore Pio IX, sicché parve aprirsi
la
possibilità di una qualche conciliazione con il Regno d’Italia,
subito
compromessa però dall'atteggiamento anticlericale del governo
della
sinistra storica al potere. Leone cercò quindi, poggiando
sull'opinione
pubblica cattolica internazionale, di tenere viva la questione
romana e di
ottenere, mediante l'appoggio delle potenze straniere, una
restaurazione
del potere temporale, ma la manovra fallì.
Un'allocuzione concistoriale del maggio 1887, in cui Leone
auspicava un
atteggiamento conciliativo anche da parte italiana, sollevò ancora
una
volta le speranze, presto svanite però per una ripresa di
anticlericalismo. Negli anni successivi, Leone non riuscì a
ottenere un
miglioramento dei rapporti della Chiesa con l'Italia.7
I cattolici - e quasi tutti gli italiani – vivevano un profondo
dilemma,
conseguente al “non expedit”: essere buoni fedeli o buoni cittadini
del
“nuovo” Stato?
Dentro una società con la concitazione liberale da una parte e
l’ansia di
socialismo dall’altra, ma entrambe con tanti dubbi sulla strada da
scegliere,
Leone XIII vuole entrare nella nuova società, vuole creare il
cattolicesimo
sociale, vuole la presenza della chiesa e dei cattolici dentro la
società, e
che siano anch’essi protagonisti.
6 https://it.cathopedia.org/wiki/Papa_Leone_XIII 7 Cfr articolo di
Eugenio Russomanno, Leone XIII. Il rispetto dell’uomo e della sua
dignità, 06.11.2012 in https://it.clonline.org/.
15
E delinea una concezione dello stato, della libertà e della
“democrazia”.
Fu proprio Leone XIII a usare per la prima volta le due parole
“democrazia
cristiana”, verosimilmente ispirate da Giuseppe Toniolo; o forse fu
lo
stesso pontefice a ispirare l’esimio sociologo Toniolo).
Leone XIII considera che anche in Italia, nonostante
l’arretratezza
economica e industriale, emerge la cruda realtà del duro
proletariato e
comprende che vi sono nazioni che, con l’industrializzazione
hanno
innestato delle marce in più.
Sa che in Germania e in altri Paesi europei ha una grande risonanza
il
Manifesto di Marx (1848) e vengono dibattute le grandi questioni
sociali
contemporanee, come la necessità per l’operaio di associarsi per
fini
primari ed immediati, quali la riduzione degli orari di lavoro,
l’aumento
dei salari, il divieto dei lavori pesanti ai fanciulli e alle
donne. Erano le
prime pietre miliari, che furono poi alla base delle idee sociali
dibattute dai
partiti cattolici sorti nei vari Paesi.
Un altro grosso segnale viene dall’Inghilterra, il Paese che aveva
visto per
primo il nascere della rivoluzione industriale e i gravi problemi
ad essa
connessi e dove era sorta la prima associazione sindacale della
storia. Non
erano mancati preti audaci che non stavano in sacrestia, ma
svolgevano
attività di difesa dei diritti del lavoro, andavano nelle
fabbriche, nelle
grandi miniere e nei porti a incontrare e a parlare con i
lavoratori.
In Italia il pontefice cerca una soluzione alla “questione romana”,
una
conciliazione tra il Vaticano e il governo italiano che aveva nel
Crispi
l’esponente più significativo della linea anticlericale.
Era ormai necessario anche in Italia un intervento chiarificatore
della
chiesa su tutto il problema sociale. E l’intervento ci fu con
l’enciclica
Rerum novarum, con la quale si realizzò una svolta nella chiesa
cattolica,
ormai pronta ad affrontare le sfide della modernità come guida
spirituale
internazionale.
“Era chiaro che la seconda rivoluzione industriale stava cambiando
il volto
dell’Europa: il mondo contadino scandito dai ritmi della natura e
dai
rintocchi del campanile iniziava a sfaldarsi, nasceva la fabbrica,
il lavoro
operaio, un movimento socialista ateo e anticlericale, le città
brulicavano
di nuovi arrivati sradicati dalla campagna, nuove opportunità e
nuove
spaventose ingiustizie.
16
Scrisse George Bernanos: «La famosa enciclica di Leone XIII, voi
la
leggete tranquillamente, coll’orlo delle ciglia, come una
qualunque
pastorale di quaresima. Alla sua epoca, ci è parso di sentirci
tremare la
terra sotto i piedi».
Forse sarà suonato strano ad alcuni cattolici del tempo leggere
su
un’enciclica - ovvero un atto così solenne di magistero -
ragionamenti
competenti e accorati sulla necessità di stabilire un minimo
salariale, un
tetto nell’orario di lavoro e condizioni più degne nell’impiego dei
fanciulli.
Tutte cose che a noi oggi appaiono scontate (o quasi) ma nel 1891
un
padrone poteva far lavorare nella sua fabbrica, legalmente, bambini
di 10
anni. Leone XIII non era certo un rivoluzionario, ma il solo
chiedere
l’intervento dello stato per assicurare una soglia così minima di
diritti per
i lavoratori gli costò l’accusa di “papa socialista”.8
La chiesa si ergeva a guida dell’uomo contemporaneo, offrendogli
gli
strumenti per superare un periodo di grave crisi. Leone XIII
raccolse la
grande ansia non solo dei cattolici in lunga attesa da trent’anni,
ma
l’angoscia dei figli più umili, cattolici o no; raccolse le ardenti
posizioni
innovatrici di tanti sacerdoti e vescovi ed intervenne. Prendendo
coscienza
della condizione di crisi e di disagio morale, oltre che materiale
ed
economico, in cui le masse dei lavoratori erano venute a trovarsi a
seguito
del vertiginoso sviluppo industriale, con la Rerum novarum (15
maggio
1891) diede un vigoroso impulso allo sviluppo del cattolicesimo
sociale e
alle nuove tendenze di “democrazia cristiana” e indicò alcuni
principi ben
fermi:
il compito dello stato di promuovere la prosperità pubblica e
privata quando l’iniziativa dei privati non basti;
il valore umano del lavoro che non può essere considerato
come
una semplice merce;
la condanna della lotta di classe, ma al tempo stesso il diritto
degli
operai di associarsi per la tutela dei loro diritti.
L’enciclica ebbe un grande successo e suscitò ovunque
l’interessata
ammirazione di chi sentiva che veniva finalmente offerta la
possibilità di
giungere alla soluzione di tanti problemi; le masse lavoratrici si
resero
8 Da “L’Osservatore Romano”, 30 settembre 2019.
17
conto che avevano ormai trovato nella chiesa una potente e
disinteressata
alleata e nel Papa un difensore strenuo dei loro diritti troppo
volte
ingiustamente calpestati. Anche nel campo liberale moderato
suscitò
commenti favorevoli. Quelle parole erano rimedi spirituali e civili
che in
un certo senso stemperavano gli animi.
L’enciclica, definita dai cattolici la “Magna Carta del Lavoro”
9,
proponeva una terza via tra il conservatorismo dei partiti liberali
e
l'atteggiamento eversivo dei socialisti, definendo
l’orientamento
dell’azione politica e sociale dei nascenti sindacati e partiti
cattolici.
L’elemento cardine del pensiero sociale di Leone XIII è il
rispetto
dell’uomo e della sua dignità.
Tutto ciò che può ledere questo principio fondamentale viene
condannato,
in particolare la deificazione del denaro, del progresso, della
tecnica e della
capacità di controllo e sfruttamento della natura.
Un altro fattore innovativo fu l’attenzione nei confronti dei
compiti dello
Stato in materia sociale. Secondo il Papa, lo Stato ha il dovere di
rimuovere
le cause del conflitto tra operai e padroni, diventando arbitro e
legislatore
attento ai diritti e ai doveri di tutte le classi sociali.
In questo senso a Leone XIII fu giustamente attribuito il nome di
"Papa dei
lavoratori" e di "Papa sociale": con la prima enciclica
esplicitamente
sociale nella storia della chiesa cattolica formulò i
fondamenti
della dottrina sociale della chiesa, traendone i principi
soprattutto dal
pensiero di Tommaso d'Aquino.
Paolo VI lo ha definito «vero avvocato del popolo e fondatore
della
sociologia cristiana, la scienza della buona società vissuta
secondo i
principi cristiani».10
Se il non expedit aveva impedito ai cattolici la partecipazione
alla vita
politica, non ne aveva però impedito l’azione sociale. Leone XIII
ne fu il
sostenitore convinto ed anche per l’Opera dei congressi
manifestò
apprezzamento e incoraggiamento.
18
Particolare rilevanza ebbe il IX Congresso italiano dell’Opera
dei
congressi e dei comitati cattolici tenutosi a Vicenza (14-17
settembre
1891) nel quale si poté registrare una fruttuosa novità, perché don
Luigi
Cerutti (1865-1934), cappellano di Gambarare (Venezia), lanciò
l’idea
delle cassi rurali cattoliche. Egli come profeta fece da apripista
nel
cogliere la dirompente novità del messaggio cooperativistico che
già
circolava in Italia, sull’esempio delle casse rurali tedesche
fondate da
Guglielmo Federico Raiffeisen. Al Congresso di Vicenza don
Luigi
Cerutti “rese pubblico il suo manifesto di mobilitazione dei
cattolici nel
campo della cooperazione di credito, per il riscatto delle masse
rurali: si
trattava di un modesto volantino, fatto circolare tra i
congressisti, nel
quale, riconosciuta l’importanza fondamentale della questione
operaia,
denunciava senza mezzi termini l’esistenza di una non meno
grave
questione rurale. Il contadino non salverà la sua identità umana e
cristiana
con le sole pratiche di pietà o con la sola appartenenza ad
associazioni
religiose: egli ha bisogno di uno strumento adeguato e tale
strumento è
appunto la Casse Rurale.11
Don Luigi Cerutti l’aveva fondata a Gambarare (Venezia) il 26
febbraio
1890.
La positiva esperienza maturata in un anno costituiva una prova
della
validità della proposta che egli aveva avanzata.
La visione sociale di Leone XIII aveva profondamente influenzato,
dal
punto di vista teorico, il pensiero dei cattolici impegnati e dato
nuove
motivazioni per la loro azione. Termini come “salario “ ed
“operaio”
diventarono da allora in poi sempre più importanti nei dibattiti
successivi,
e favorirono gli studi su temi di cruciale importanza, come la
proprietà e il
credito. Anzi, con il termine “operaio” si cominciò ad indicare non
solo i
lavoratori dell’industria, ma anche quelli dell’agricoltura, con i
problemi
sempre legati alla crisi agraria che l’inchiesta Jacini aveva posto
in luce.
11 Cfr. Q. Bortolato, Mons. Giuseppe Nascimbeni (1851-1922),
parroco, fondatore, beato. Dal microcosmo gardesano alla dimensione
mondiale, Tip. Andreis, Malcesine (VR), 2001, p. 272.
19
Mali come la pellagra, l’analfabetismo, l’alcolismo e l’usura
affliggevano
il settore.
“I cattolici più sensibili decisero di imboccare questa strada per
ragioni
non solo religiose ed umane,ma anche politiche, con lo scopo di
sbarrare
la strada alla propaganda socialista, che stava facendo progressi e
proseliti.
Il piano del Cerutti era semplice: per salvare materialmente il
contadino
dalla miseria, strapparlo dalle grinfie dei padroni liberali ed
alle sirene del
«vangelo socialista» non erano più sufficienti le sole pratiche di
pietà o le
processioni, e proponeva le casse rurali come significativo passo
in avanti
per il mondo rurale, enumerandone i grandi vantaggi”.12
Era chiaro che l’enciclica Rerum novarum e il magistero sociale di
Leone
XIII avevano portato ad una svolta significativa la riflessione e
l’impegno
dei cattolici nel sociale, superando quel senso piuttosto rigido di
chiusura,
di difesa, di condanna che aveva caratterizzato gran parte del
pontificato
precedente.
“Infatti, dopo esperienze di durata più che decennale, finalizzate
alla
promozione del laicato di attività devozionali e caritative,
nell’ultimo
decennio dell’Ottocento, in ritardo rispetto alla realtà italiana
ed all’azione
dei cattolici di altri paesi, il movimento cattolico italiano
attivò cooperative
agricole, casse rurali, associazioni assicurative di mutuo
soccorso, ecc.,
tutte rigorosamente confessionali, entrando in concorrenza con
i
programmi politici ed economici della borghesia liberale e del
proletariato
socialista”.13
L’organizzazione cattolica intransigente attecchì nel fertile
terreno veneto.
Le diocesi si organizzarono con i comitati diocesani, e i
comitati
parrocchiali si diffusero in modo capillare. Nella diocesi di
Verona il
comitato diocesano fu fondato nel 1879 e il card. Luigi di Canossa
offrì
sostegno e incoraggiamento per la diffusione dei comitati
parrocchiali.
I comitati parrocchiali e le società di reciproca carità, a cui era
chiesto di
ramificarsi per rispondere a tutti i bisogni che emergevano dalla
vita della
parrocchia, erano interpellati dai risvolti sociali e religiosi
della crisi
economica.
20
L’idea lanciata dal Cerutti al Congresso di Vicenza offrì nuovo
impulso
alla diffusione delle casse rurali cattoliche.
Secondo il Gambasin, nella diocesi di Verona “il movimento
cattolico non
prese piede fino a quando non scesero in campo i sacerdoti
«sociali» e
«fisiocrati», come don Giuseppe Baldo, don Giuseppe Trecca,
don
Giuseppe Nascimbeni, quei sacerdoti, cioè, che di fronte alla
gravità delle
condizioni economiche delle campagne seppero rimboccarsi le maniche
e
farsi contadini con i contadini”.14
“Dopo il 1891 don Giuseppe Manzini, leader carismatico di
grande
penetrazione tra le masse contadine, attuò nel territorio di
Legnago, nella
Bassa veronese, un’azione di recupero morale ed economico delle
classi
più povere: fu un’iniziativa che costituì un’esperienza trainante
per il
movimento cattolico veronese, dirompente per la sua novità rispetto
alla
prima intransigenza, che era stata la dote peculiare dei cattolici
veneti dopo
il 20 settembre 1870. Tutti questi fermenti di novità stavano ad
indicare
che per i credenti era giunta al termine l’epoca dell’illusione di
restituire
Roma al papa, e che era scoccato all’orologio della storia il
momento di
un’azione attiva ed efficace”.15
Nel distretto di Legnago, il capoluogo della Bassa veronese in cui
più forti
erano stati cambiamenti del mondo agricolo, le sofferenze dei
poveri e la
propaganda socialista, don Manzini, sostenuto ed affiancato
dall’arciprete
don Davide de Massari e da don Giuseppe Trecca, fondò la prima
cassa
rurale della diocesi nel 1892 e ne fu propagandista nelle
assemblee
diocesane, ben presto galvanizzate dalla sua oratoria capace di
suscitare
profondi entusiasmi e di convincere circa la necessità di una
partecipazione
14 A. Gambasin, Gerarchia e laicato in Italia nel secondo
Ottocento, Antenore, Padova, 1969, p. 155. 15 Q. Bortolato, Mons.
Giuseppe Nascimbeni (1851-1922), parroco, fondatore, beato.
Dal microcosmo gardesano alla dimensione mondiale, cit., pp.
306-307, n. 135.
Don Giuseppe Manzini (1866-1956) fu figura di primissimo piano
nella storia religiosa e sociale di Verona dall’ultimo decennio
dell’Ottocento fino alla Liberazione. Svolse la sua attività a
diretto contatto con gli ambienti rurali della Bassa veronese e fu
apostolo dell’urgenza degli interventi da attuare per risolvere i
gravi problemi di natura socio- economica con i nuovi mezzi
propagandati dal Cerutti. Al suo fianco operò il quasi coetaneo don
Giuseppe Trecca (1871-1955), futuro biografo del Nascimbeni.
21
responsabile e solidale dei poveri per il superamento dei propri
bisogni
economici.16
Nell’assemblea dell’aprile del ’94 egli celebra i trionfi delle
prime casse
rurali e dopo questa adunanza la diffusione delle casse rurali
assume un
ritmo travolgente a fronte del ristagno di quelle dei liberali fino
ad un totale
di 77 nel ’97; dal ’95 esse sono sostenute da un apposito istituto
di credito,
la Banca cattolica; dal ’96 sono controllate sotto il profilo
morale e
amministrativo da una Confederazione diocesana. Le casse rurali
aderenti
alla Confederazione diocesana nel 1898 erano 84.
Le casse rurali cattoliche avevano queste caratteristiche: la
confessionalità,
la circoscrizione limitata, preferibilmente parrocchiale, e la
responsabilità
solidale e illimitata dei soci, con l’intento di smuovere l’inerzia
del
contadino, animarlo ad un sempre maggior senso di
responsabilità
facendogli sentire la solidarietà non solo come apportatrice di
vantaggi
economici, ma anche come un dovere umano e cristiano.17
Le nuove istituzioni creditizie, oltre che aiutare economicamente
molte
famiglie nella piccola impresa, avevano lo scopo di diffondere uno
spirito
di fattiva collaborazione, incoraggiando un miglioramento morale
e
religioso dei soci.
Proprio secondo questo modo di sentire le necessità dei suoi
parrocchiani,
don Giuseppe Nascimbeni attivò l’istituzione della Cassa Rurale
a
Castelletto nel 1896. “Sempre aperto e sensibile ad ogni iniziativa
atta a
procurare il bene dei suoi parrocchiani, fece sue le ansie e le
sollecitazioni
della chiesa espresse nelle encicliche di Leone XIII e nei
movimenti
cattolici a favore delle masse operaie e, sull’esempio dei suoi
confratelli,
aggiunse alle altre opere sociali già attuate a Castelletto, anche
la Cassa
Rurale.18
Dal discorso del Cerutti al Congresso di Vicenza alla decisone
del
Nascimbeni erano trascorsi cinque anni. Molto probabilmente il
parroco
16 Cfr. ibidem, p. 307, n. 135. 17 Cfr R. Cona, Parrocchie e
movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., pp. 76-77. 18
Beatificationis et canonizationis Servi Dei Iosephi Nascimbeni
sacerdotis fundatoris Instituti Parvarum Sororum a S. Familia
(1851-1922). Positio super virtutibus, Tip. Guerra, Roma, 1983, VI
parte, p. 169. D’ora in poi: Positio super virtutibus Iosephi
Nascimbeni.
22
attese i risultati della gestione non solo finanziaria, ma anche
morale e
sociale, di questi enti di nuova concezione, e cercò in questo
tempo di
tessere una rete di opinioni favorevoli al nuovo tipo di banca, che
esponeva
in prima persona lo stesso parroco e l’onorabilità della
parrocchia, nella
convinzione che la cura del benessere materiale avrebbe portato
frutti
anche nel campo spirituale.
La Cassa Rurale Cattolica di Castelletto (1896-1935)
[L’argomento doveva essere illustrato nell’incontro del 17 gennaio
u.s., in
apertura dell’anno nascimbeniano, ma essendosi protratta in quel
contesto
la trattazione dell’aspetto storico di Verona, all’istituzione
della Cassa
Rurale di Castelletto è stato dedicato uno spazio piuttosto
breve.
Il testo scritto, tuttavia, è stato riportato in Notizie di Casa
Nostra, maggio-
giugno 2021, pp. 37-40; alle pp. 32-37 il paragrafo: “Uscite di
sacrestia!:
don Giuseppe Nascimbeni e l’impegno nel sociale” illustra come le
tante
iniziative di carattere creditizio siano state poste in atto da
sacerdoti attenti
alle indicazioni del magistero e che, di fronte alla gravità delle
condizioni
economiche delle campagne, seppero rimboccarsi le maniche e
farsi
contadini con i contadini.
Si rimanda a questo articolo per conoscere come l’iniziativa
creditizia sia
stata coraggiosamente attuata a Castelletto da don Nascimbeni nel
1896].19
I comitati parrocchiali nella diocesi di Verona
19 Il tema è ampiamente documentato in Positio super virtutibus
Iosephi Nascimbeni, VI parte, pp. 169-195; cfr anche: G. Trecca,
Monsignor Giuseppe Nascimbeni, Castelletto di Brenzone, 1932, pp.
96-97; M. Gecchele, Contemplazione e azione. Le Piccole Suore della
Sacra Famiglia nei primi cento anni di vita, Tipolitografia “La
Grafica”, Vago di Lavagno (Verona), 1994, pp. 335-340; Q.
Bortolato, Mons. Giuseppe Nascimbeni (1851-1922), parroco,
fondatore, beato. Dal microcosmo gardesano alla dimensione
mondiale, cit., pp. 271-278.
23
principale del movimento cattolico. Nella diocesi di Verona, il
comitato
diocesano era stato istituito nel 1879; l’anno successivo, il 17
giugno nel
palazzo vescovile era stata riunita la prima adunanza diocesana
dei
comitati parrocchiali.
In occasione della prima adunanza dei comitati parrocchiali erano
state
portate alla ribalta alcune resistenze che si interponevano
all’accoglienza
dell’apostolato laicale moderno.
Nella diocesi di S. Zeno faceva problema la definizione del ruolo
del laico
che, secondo la teologia del Vaticano I, doveva essere semplice
esecutore
e mandatario, con vincoli di dipendenza gerarchica, anche
nello
svolgimento di un’azione temporale nel mondo.20 L’ingerenza dei
laici era
ritenuta un fatto inaudito nella storia e l’apostolato laicale
rivestiva un
carattere di sussidiarietà e di contingenza, come una necessità
per
l’insufficienza numerica del clero.
Il card. Luigi di Canossa incoraggiava e sosteneva la diffusione
dei
comitati parrocchiali con esortazioni quaresimali, con riunioni
diocesane
e con visite pastorali. Anche il vescovo veronese, come avveniva in
tutto
il Veneto, aveva scritto due circolari vescovili, invitando
caldamente i
parroci ad adoperarsi per l’istituzione del comitato parrocchiale
in ogni
parrocchia, mediante la scelta di alcuni fra i parrocchiani “più
intelligenti
e fervorosi”.21
L’azione del comitato nasceva dalla parrocchia in cui
crescevano
particolari pratiche di pietà, si celebravano i riti che
consacravano i
momenti salienti della vita del cristiano dalla nascita al
matrimonio, alla
morte, si organizzavano processioni e sagre campestri, e
terminava
nell’ambiente politico-sociale
“Entro l’ambito parrocchiale il comitato continuava a svolgere
la
tradizionale azione delle associazioni religiose, sostenendo le pie
unioni e
le pratiche di devozione, attendendo alla catechesi e praticando la
carità
20 Sul ruolo del laico cfr. A. Gambasin, Gerarchia e laicato in
Italia nel secondo Ottocento, cit., pp. 13-14; R. Cona, Parrocchie
e movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., pp. 57-60. 21
Archivio Curia Vescovile di Verona (ACVVr), Lettere pastorali e
circolari di Luigi di Canossa, 3 gennaio 1887 e 17 marzo
1879.
24
cristiana, ma aveva spostato sempre più il suo campo di azione
dalla
pratiche di pietà all’impegno politico ed economico nelle casse
rurali e
nelle associazioni di mutuo soccorso, si serviva della stampa,
dei
pellegrinaggi e di tutti gli strumenti culturali e tecnici che
avevano
cominciato a diffondersi in quei tempi”.22
Sul finire del secolo i comitati parrocchiali, a cui era stato
chiesto di
ramificarsi per rispondere a tutti i bisogni che emergevano dalla
vita della
parrocchia, interpellati dai risvolti sociali e religiosi della
crisi economica,
mostravano di essere ormai giunti al capolinea.
Se dal 1874 al 1890 è preminente nei comitati la preoccupazione di
far
conoscere statuti e finalità delle preesistenti confraternite, di
promuoverne
la diffusione e nello stesso tempo di assorbirle nell’Opera, dagli
anni ’90 i
comitati cessarono di essere la rassegna delle confraternite, il
loro campo
di azione si spostava sempre più dalle pie pratiche alla politica
e
all’economia; si estendeva il campo della cura pastorale oltre i
tradizionali
confini chiesastici o delle confraternite, fino al municipio, alla
scuola, alla
banca, al giornale, al partito e al sindacato.23
La pubblicazione della Rerum novarum del 1891 costituì uno
spartiacque
nella storia del movimento laicale. Il 1897 che costituì
l’apogeo
dell’intransigentismo per l’organizzazione imponente dell’Opera
dei
congressi, registrava a Verona solo sessantaquattro comitati
parrocchiali.24
È noto però che il 26 maggio 1898 il prefetto di Verona, su
indicazione del
ministero degli interni, decretava lo scioglimento di tutte le
società che si
denominano cattoliche con i comitati diocesani e i comitati
parrocchiali
perché “mirano a sovvertire le istituzioni che ci reggono”.25
Questo
scioglimento fu sospeso qualche mese più tardi su istanza del
vescovo
Canossa.
Il conte Teodoro Ravignani, incaricato dal vescovo a presiedere
l’Opera
dei Congressi a Verona – un compito che egli conservò fino allo 22
Q. Bortolato, Mons. Giuseppe Nascimbeni (1851-1922), parroco,
fondatore, beato. Dal microcosmo gardesano alla dimensione
mondiale, cit., p. 306, n. 133. 23 Cfr. A. Gambasin, Gerarchia e
laicato in Italia nel secondo Ottocento, cit., pp. 154- 159. 24 A.
Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei congressi
(1874-1904), cit., pp. 668- 669. 25 Cfr. R. Cona, Parrocchie e
movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., p.78.
25
scioglimento definitivo nel 1904 - dimostrava la sua preoccupazione
per il
progressivo declino dei comitati parrocchiali. Nel giugno 1900 egli
con
rammarico confidava al Paganuzzi, Presidente dell’Opera dei
Congressi:
“Fredda e sonnolenta è purtroppo oggimai la vita dei comitati di
questa
diocesi. Né le altre associazioni di indole economica se ne
interessano gran
fatto, perché attendono un po’ troppo alla sola economia”.
Anche don Manzini constatava, un mese dopo, nell’adunanza
diocesana:
“L’opera principale del movimento cattolico è il comitato
parrocchiale, ma
è riuscita questa opera fra noi? No pur troppo, nonostante gli
sforzi del
comitato diocesano e le benedizioni del vescovo. E ciò per quali
ragioni?
Se si dicesse per colpa del clero, egli si leverebbe a difesa; sarà
dunque per
colpa delle umane cose”.26
Il comitato parrocchiale di Castelletto
Da una dichiarazione inviata da don Nascimbeni il 28 dicembre 1897
alla
curia vescovile, interessata a conoscere la statistica esatta delle
opere
religioso-sociali esistenti nelle varie parrocchie della diocesi,27
si evince
che erano attive nella parrocchia di Castelletto due opere
religioso-sociali:
1) la Cassa Rurale di cui era Presidente il parroco don
Giuseppe
Nascimbeni, con 81 soci; 2) Il Comitato Parrocchiale di cui era
presidente
il Sign. Brighenti Antonio, con 14 membri attivi.
Vi è poi un’ulteriore esplicitazione: “Al Comitato Parrocchiale
aderiscono
tutte le associazioni Cattoliche della Parrocchia: Confraternita
del SS.
Sacramento, Oratorio Maschile, Oratorio Femminile, Madri
cristiane,
Congregazione dei Terziari e Istituto della Sacra
Famiglia”.28
26 Le affermazioni del conte Ravignani e di don Manzini sono tratte
da cfr. R. Cona,
Parrocchie e movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., p.
78. 27 A.C.V.Vr., Circolari Vescovili, b.18, Lettera inviata agli
arcipreti della città e della diocesi dal canonico G.Batta Peloso,
vicario generale vescovile e assistente ecclesiastico del comitato
diocesano, in data 26 dicembre 1897. 28 A.S.F.C., Busta Documenti
vari. Relazione del Nascimbeni alla curia vescovile,
28.12.1897.
26
Come si può notare, il comitato parrocchiale di Castelletto
presentava una
sua specificità, dato che la sua presidenza era affidata ad un
laico e dato
che al comitato aderivano tutte le associazioni cattoliche,
dalle
confraternite, agli oratori, all’Istituto della Sacra Famiglia, di
recente
fondazione.
Si ipotizza che, essendo il comitato costituito da quattordici
membri, le
varie associazioni della parrocchia vi partecipassero in
rappresentanza.
Nella mente del vescovo Canossa il parroco sarebbe dovuto essere
“il
capo” del comitato parrocchiale29, ma ormai, sul finire del
secolo,
venivano rivalutati la figura e il ruolo del laico e si
riscoprivano le
dimensioni ecclesiali della sua azione in rapporto alla sua
appartenenza
sacramentale alla chiesa.
Giova ricordare che la vitalità di questo comitato parrocchiale si
situava
nel periodo di maggior decadenza dell’Opera dei congressi nella
diocesi
veronese. Anche la parrocchia di Castelletto aveva dunque maturato
una
sua identità che vedeva l’associazionismo di vecchio e di nuovo
conio, più
che e in termini di confronto, in termini di collaborazione. Si
andava
preparando un fronte comune all’incombente minaccia del
socialismo.
Non si hanno notizie più esaustive riguardo al Comitato
parrocchiale di
Castelletto, né riguardo la data della sua istituzione, né riguardo
i tempi
della sua azione e non si conoscono nemmeno i nomi di coloro che
vi
facevano parte.
Potrebbe essere anche questa una via da esplorare; forse si
scoprirebbero
tanti altri filoni auriferi che consentirebbero di scoprire nuove
ricchezze e
di guardare al Fondatore come un uomo attento alle indicazioni
della
Chiesa e, al tempo stesso, profondamente vicino a quel “povero
popolo”
che ha profondamente amato, anche attraverso l’attuazione di
quelle
iniziative in campo socio-economico che contribuivano a riscattarlo
dalla
miseria, che lo incoraggiavano a coltivare i frutti economici e
morali della
solidarietà tra i poveri attraverso uno spirito di cordiale
collaborazione.
Suor Loretta Francesca Pontalto
29 A.C.V.Vr., Circolari Vescovili, b.18, 17 maggio 1879; 30 marzo
1881.
27
Tibagi – 1 luglio 2021
Ricordiamo con gioia i fratelli e le sorelle della Piccola Casa di
Nazareth
che ieri, 1 luglio 2021, a Tibagi (Brasile) hanno rinnovato le
Promesse
Evangeliche di Vita, nella Celebrazione Eucaristica delle ore 19:00
nella
Parrocchia Nossa Senhora dos Remédios a Tibagi, per il terzo
anno:
Arivan Freitas Machado e Janice Alberti Gomes Machado, Marli
Aparecida Shutz Rozeng e Lucinei de Jesus Mello Souza.
Eleviamo l’inno di lode e di ringraziamento a Dio per la loro
condivisione
del carisma.
SUOR PURA PAGANI
OMELIA 2 LUGLIO 2021 - S. ZENO IN MOZZO - MATTEO 9,9-13
La breve pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato
potrebbe
risuonare come una pagina autobiografica. È Matteo che ricorda il
suo
primo incontro con Gesù, l’incontro che ha cambiato radicalmente la
sua
vita. Questo incontro è sigillato dal verbo che lui ricorda in quel
brano che
abbiamo appena ascoltato, quell’invito esplicito di Gesù:
“Seguimi”,
“Seguimi”.
Mi viene spontaneo, fermando l’attenzione su questa pagina del
Vangelo,
rivedere il dipinto straordinario di Caravaggio che si trova a Roma
nella
Chiesa di S. Luigi dei Francesi, dove questo grande pittore
descrive la
meraviglia, lo stupore di Matteo, che si sente peccatore, ma
chiamato dal
Santo dei Santi, che è Gesù.
Il Caravaggio annota, proprio nella sua bravura artistica, questo
stupore,
questa meraviglia: “A me rivolgi questo invito?”. Gesù insiste
“Seguimi”.
“Proprio te, peccatore, furfante, che sei lontano dalla verità, che
sei lontano
dalla giustizia, Io chiamo proprio te, ti chiamo a seguirmi”. S.
Agostino
spiega questo verbo “seguire” in una maniera stupenda:
“imitare”,
“seguire” Gesù.
Matteo cambia radicalmente la sua vita, da peccatore diventa
apostolo, da
apostolo diventa evangelista, colui che consegna alle prime
comunità
cristiane il messaggio del Vangelo. Eppure vediamo che
dall’incontro con
Matteo nasce un’intesa, una comunione, un dialogo, vorrei dire
anche
un’amicizia di Gesù con il mondo dei peccatori, dei pubblicani.
Gesù non
disdegna di fermarsi a tavola con loro.
Riflettendo su questa pagina del Vangelo, mi è venuto spontaneo
collegare
l’esperienza religiosa, cristiana, di Piccola Suora della S.
Famiglia, della
Serva di Dio Suor Pura Pagani.
Ovunque è passata, Suor Pura ha lasciato un segno. È stata una
donna
capace di accogliere, di condividere le sofferenze, le miserie, i
dolori, il
peccato stesso della gente.
San Zeno non venivano
soltanto le persone pie,
grazie all’accoglienza di
cominciavano un
lontano da Dio a colui che
indica la strada per
che la sua missione non è
rivolta ai giusti, ma ai
peccatori, perché non
malati. Gesù lo vediamo
come medico e medicina.
medicina: medico perché sapeva fare la diagnosi della situazione
delle
persone; medicina perché dava lo strumento, la medicina giusta, per
poter
cambiare vita, per mettersi sulla strada di Dio. Ed è quello che il
Signore
chiede a ciascuno di noi.
Penso che potremmo meravigliarci e stupirci quando il Signore fa a
noi la
proposta di seguirlo, di imitarlo. Potremmo dire: “Ma chi sono io,
ci sono
tante persone migliori di me”, eppure Gesù fissa lo sguardo su di
noi.
Rivolge lo stesso invito che ha rivolto a Matteo, a Suor Pura. Lo
rivolge a
ciascuno di noi, “Seguimi”, “Imitami”, “Vieni con me, segui le mie
orme,
lascia da parte quel mondo che non ti ha soddisfatto per nulla, ti
indico Io
la strada per raggiungere la vera felicità, il vero benessere, ti
indico la
strada per star bene con te stesso e con gli altri”.
30
Sono convinto che Suor Pura questo lavoro lo ha fatto prima di
tutto su se
stessa per diventare utile, preziosa per gli altri.
Solo se curiamo noi stessi riusciamo a curare anche i nostri
fratelli, solo se
abbiamo un po’ di attenzione verso noi stessi riusciamo a essere
utili e
preziosi verso gli altri.
Questa capacità di Suor Pura di donarsi totalmente agli altri,
nasceva
proprio perché Suor Pura prima di tutto ha voluto “guarire” se
stessa.
Se voi avete avuto modo di conoscere Suor Pura, voi sapete il
cammino
che ha dovuto fare di sofferenza, di umiliazione, di croce per
raggiungere
quel grado di santità che la Chiesa, ci auguriamo,
riconoscerà.
Adesso abbiamo iniziato il processo per la beatificazione; si sta
svolgendo
un processo minuzioso, lento, prima di proclamarla beata.
[Anche riguardo a Maria Domenica Mantovani, religiosa delle
Piccole
Suore della Sacra Famiglia, figlia spirituale del Beato
Giuseppe
Nascimbeni, dobbiamo dire ancora “Beata Maria Domenica
Mantovani”,
ma ci auguriamo di poterla invocare come santa. Già tutto è fatto,
manca
solo che venga stabilita la data e che Papa Francesco la
dichiari
ufficialmente Santa per la Chiesa universale].
Miei cari, il Signore ci ha parlato attraverso l’esperienza di
Matteo; il
Signore ci parla attraverso l’esperienza di fede di Suor Pura,
adesso tocca
a noi fare la nostra parte. Quel “seguimi” sentiamo rivolto a
ciascuno di
noi. Dobbiamo seguire, imitare Lui perché questo è il cammino che
porta
alla vocazione primaria: la santità.
Tutti dobbiamo puntare in alto, alla santità. Il Signore ha portato
alla
santità Matteo, ha portato alla santità, non ancora dichiarata,
Suor Pura,
ma ricordatevi che la santità non è un’opzione per il cristiano; è
lo scopo;
è la vocazione primaria. Tutti dobbiamo puntare in alto, alla
santità.
Buon cammino a ciascuno di voi; lo dico, soprattutto, un buon
cammino
per me.
FAMIGLIA IN TOGO” - 4 luglio 2021
“Il granello gettato nella nostra terra togolese, quindici anni fa,
è in piena
crescita”; è su queste parole che Suor Julienne Sépopo Zoli delle
Piccole
Suore della Sacra Famiglia ha aperto la celebrazione pubblica del
giubileo
di cristallo, quindici anni di presenza della sua Congregazione in
Togo, il
4 luglio 2021.
Celebrazione nel corso della quale 24 Suore Juniores hanno
rinnovato i
loro voti nella Congregazione delle Piccole Suore della Sacra
Famiglia,
professando castità, povertà e obbedienza.
Nella sobrietà, la Messa di circostanza è stata presieduta dal RP
Jean Noël
Akpabie, responsabile della quasi-parrocchia “St Jean Baptiste de
Yokoè
e concelebrata dal RP Jean-Pierre Sadè, responsabile aggiunto,
nella
cappella della Congregazione a Yokoè.
Per la circostanza, il RP Akpabie ha ricordato alle suore che i
voti non sono
un diploma. Esse sono soprattutto delle inviate di Dio, sono
chiamate ad
operare per essere dei cammini di grazia per tutti. Le ha esortate
ad essere
segni significativi di Dio.
Suor Marie-Rose Afomale, che ha fatto la sua prima rinnovazione dei
voti,
si è sentita ricolma di gioia in questo giorno. “Come ogni vita, il
mio
cammino non è stato facile, è contemporaneamente impegno e
bellezza.
Tutto ciò che ho potuto fare è stato pura grazia”.
“Ogni rinnovazione mi ricorda la mia prima professione, ciò mi
permette
di crescere, di maturare nella formazione, di imparare ad
accogliere i
disegni di Dio nella mia vita” ha dichiarato Suor Jeanne
Gbevon.
Edmond Vidzro - JRI, Promotore di eventi,
Direttore della redazione Virgomaria
Casa Madre 4 luglio 2021
Omelia
In questo felice giorno della rinnovazione dei vostri voti, vorrei
rivolgermi
a voi carissime Sylvie e Florentine in modo speciale raccontando
un
aneddoto. Per il suo compleanno, una bambina che ama moltissimo
gli
animali chiede ai suoi genitori di regalarle un bel cane. Il giorno
della festa,
a metà pasto, durante la presentazione dei doni, i genitori
conducono in
sala da pranzo un grosso cane, un pastore tedesco la cui
grandezza
imponente era quasi uguale a quella della bambina. Colpita
dalle
dimensioni colossali del cane, che ovviamente non poteva essere
avvolto
33
in una confezione regalo, la bambina guarda i genitori con gli
occhi
spalancati e attoniti e sussurra timidamente: “Grazie per il
regalo; ma
ditemi: è proprio a me che offrite questo cane? Non è piuttosto me
che
offrite al cane? Quello che stava aspettando era un cagnolino con
cui
giocare. Quello che le viene offerto, invece, è piuttosto un vero
cane da
guardia che considererà lei, la sua padrona, come un piccolo
giocattolo. Ed
è questo ribaltamento dei ruoli che la spaventa, giustamente.
Carissime sorelle, non è questa la forte emozione che ci coglie
quando
pensiamo seriamente al nostro cammino nella vita consacrata? Non
è
questo il sentimento di stupore e timore che proviamo per la
grandezza
della nostra missione? Chi di noi non si è mai interrogato
sull'immensità
del compito da svolgere? Diciamolo in tutta sincerità: la vita
consacrata è
un mistero così grande che il cristiano che se ne rende conto
veramente
non può fare a meno di mormorare, come questa bambina intimidita,
in
tutta umiltà: è un dono offerto a me o, piuttosto, sono io un dono
per gli
34
altri? Come dice la prima piccola suora Madre Maria Domenica
Mantovani: “Non abbiamo paura di niente, coraggio e fiducia”.
In questo giorno importante del vostro cammino, la Provvidenza ha
voluto
che i testi sacri parlino di san Paolo che si trova davanti ai
corinzi in una
situazione analoga a quella sperimentata dal Signore davanti alla
sua gente:
come nell’aneddoto appena raccontato, è ben difficile capire e
far
comprendere come sia possibile che la potenza di Dio possa
passare
attraverso persone che sembrano segnate dalla “debolezza”.
Anche
Ezechiele narra per ben due volte la sua vocazione, senza tacere
la
drammaticità della sua situazione al cospetto dei suoi fratelli,
davanti ai
quali è testimone fino a patire nella propria carne e nel proprio
cuore ciò
che è chiamato ad annunciare.
Carissime suore Sylvie e Florentine, la vita in cui vi impegnate
ancora non
è propriamente un'oasi di felicità la cui quiete non sarà turbata
da difficoltà.
Al contrario, anche la vita religiosa presenta dolori e
afflizioni.
A volte poi, come nel caso di Gesù, le sofferenze vengono dalla
Comunità
stessa, cioè dalle persone che amiamo e a cui ci dedichiamo. Nei
momenti
di difficoltà, ricordatevi la frase di Madre Maria Domenica
Mantovani che
avete scelto: “Non abbiamo paura di niente, coraggio e
fiducia”.
Perché un profeta è rifiutato dalla gente della sua stessa casa? Ci
sono
diverse ragioni che potrebbero spiegare tale avversione, che
potrebbe
portare anche alla persecuzione.
Innanzitutto, c'è la pretesa di conoscere bene le origini di Gesù:
la sua
gente, la sua famiglia, la sua parentela, la sua storia, i suoi
pregi e difetti.
“Cosa può uscire di buono, nuovo, speciale da quest'uomo che ha le
nostre
stesse origini?". Quindi troppa "familiarità" con il profeta può
renderlo
inascoltato al suo messaggio. Dimentichiamo presto che non è un
eletto
del popolo, ma un inviato di Dio. Ricordatevi sempre che siete
mandate in
missione in Italia da Dio.
C'è anche il rifiuto del cambiamento. Agli uomini piace la novità
intorno
a loro ma non in loro; non sono pronti a correre il rischio di
mettere in
discussione le situazioni e le loro convinzioni. Tuttavia, un
profeta è
essenzialmente un uomo che annuncia la novità di Dio e l'esigenza
della
conversione. Non sorprende quindi che il suo messaggio si scontra
con il
35
baluardo di idee preconcette e tradizioni consolidate, che
imprigionano il
popolo.
C'è anche la tendenza a voler esercitare dei diritti sui
profeti.
Vorremmo imporre loro tante cose, in nome della loro appartenenza
al
popolo. Quando succederanno quelle avversioni, non abbiamo paura
di
niente, coraggio e fiducia.
Il vero profeta non è un cortigiano; non è al servizio di alcun
nazionalismo
partigiano. Serve solo la verità. La sua missione consiste nello
spianare nei
cuori la via per la quale Dio passa e va incontro agli uomini. Non
ha altro
interesse da difendere che quello della verità e della
libertà.
Siate dunque a vostra volta Suore le cui parole e gesti
rasserenano, persone
piene della presenza di Dio che stanno accanto agli altri per
condividere i
loro dolori, alleviare le loro sofferenze, guarire le loro ferite,
dare loro
ragioni per vivere e per morire. Potete compiere questa missione
solo
essendo umili, semplici, convinte della vostra scelta e vivendo
seriamente
i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. E per
finire: non
abbiamo paura, coraggio e fiducia.
Don Rodrigue Akakpo
Yokoé 4 luglio 2021
Omelia 4 luglio 2021
Es 2,2-5; 2Cor 12, 7-10; Mc 6, 1-6 - “Non è il carpentiere, il
figlio di Maria, il fratello di
Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone?”
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
la pagina del Vangelo è semplice e senza artifici. Gesù sperimenta
una
cocente delusione a casa sua, nel suo villaggio. Gli abitanti di
Nazareth
riconoscono in Gesù una saggezza e un potere straordinario: “Da
dove
viene ciò? Cos’è questa saggezza che gli è stata data, e i miracoli
che si
realizzano con le sue mani?”, ma si rifiutano di riconoscere in lui
un inviato
di Dio. “Non è il carpentiere?” Il profeta, l’inviato di Dio come
dovrà
essere per essere creduto. Coltiviamo la tolleranza e soffriamo che
Dio
37
coscientemente o incoscientemente lo zelo missionario di un inviato
di
Dio.
Gli uomini sono gli stessi da sempre. La limpida proclamazione di
Mosè
nel Dt 19,15 “In mezzo a voi, tra i vostri fratelli, il Signore
vostro Dio farà
sorgere un profeta come me, e voi l’ascolterete” non è stata
sufficiente. Per
parlare agli uomini Dio sceglie sempre degli esseri che sono loro
vicini e
se per caso invia un angelo, questi appare quasi sempre sotto forma
umana:
l’angelo Raffaele a Tobia e l’angelo Gabriele a Maria.
Noi tutti qui presenti siamo interpellati come voi che state per
rinnovare i
vostri voti. Siamo degli inviati di Dio, occorre prenderne
coscienza. Il
mondo e la sua atmosfera in cui noi siamo missionari, Dio lui
stesso lo
descrive così bene nella prima lettura: “Figlio d’uomo, io ti mando
ai figli
di Israele, verso un popolo di ribelli che si è rivoltato contro di
me e ha il
viso duro e il cuore ostinato. A loro io ti mando e dirai: “Così
parla il
Signore Dio…Che ascoltino o non ascoltino sapranno che c’è un
profeta
in mezzo a loro”. Siamo profeti, siamo dei segni di Dio là dove
siamo
inviati.
Per finire, permettetemi un aneddoto familiare: un uomo incontra
una
giovane che porta in spalla il suo fratellino e prova pietà per
lei: “Tu porti
un pesante fardello”. La giovane guarda l’uomo, sorride e gli
risponde;
“Non è un fardello, è mio fratello”. Quando siamo delusi e stanchi
per il
38
peso degli uomini, ricordiamoci che sono nostri fratelli e andiamo
avanti
con gli occhi fissi su Gesù in croce.
Rendiamo grazie a Dio e lodiamolo, lui che ci ha fatto l’onore di
inviarci
in missione. Domandiamogli di rafforzare la nostra fede, la nostra
speranza
e la nostra carità perché né le delusioni né i successi intralcino
la nostra
generosità e il nostro coraggio missionario. Che l’ospite, lo
straniero, il
malato o il vicino semplicemente sia sempre per noi un cammino di
grazia.
39
Suor Luana Mariela Diblasi – Suor Florentine Balom – Suor Adriana
Collini
40
Omelia
Cari fratelli e sorelle, nella Festa dell’Assunzione celebriamo il
momento
in cui la Beata Vergine Maria fu accolta nella celeste gloria di
Gesù suo
Figlio […].
La Solennità che stiamo celebrando va colta alla luce della
Risurrezione.
Infatti l’Assunzione al cielo di Maria è un canto alla vittoria di
Cristo sul
peccato e sulla morte. Nella Beata Vergine Maria assunta in cielo
la
promessa della Risurrezione dei nostri corpi alla fine dei tempi ci
viene
assicurata perché in Lei il mistero della nostra risurrezione è già
avvenuto.
Anzitutto la celebrazione di questa Solennità della Madonna assunta
ci
spinge a imitare le virtù della nostra Madre celeste, Colei che la
Chiesa ci
presenta come: Icona perfetta di fede, serva obbediente e
disponibile,
discepola fedele, donna attenta, umile e discreta, madre paziente e
sposa
perfetta, (e modello di consacrazione per le persone
consacrate).
41
L’imitazione della Madonna Santissima ci porta ad essere come
lei
discepoli e imitatori di Gesù Cristo.
Ora mi rivolgo a voi, Suor Christine e Suor Fleur che oggi
rinnovate i
vostri voti in questa famiglia religiosa. Vorrei ricordarvi queste
parole su
cui ci siamo molto soffermati ieri durante il nostro ritiro
spirituale: la
Chiesa ha bisogno delle persone consacrate per diffondere il buon
profumo
di Cristo in questo nostro mondo.
La Beata Vergine Maria ci sostenga nel nostro cammino di fede e
sempre
interceda per noi.
Casa Madre – 15 agosto 2021
La gioia dell’ammissione al noviziato di Melissa ha ridestato in
tutte le
Piccole Suore in Italia e nel mondo la speranza che altre giovani
seguano
la chiamata di Cristo: “Vieni e seguimi” anche nella terra che ha
dato
origine alla nostra famiglia religiosa.
Trovata la perla preziosa, Melissa lascia con gioia quanto
possiede. È un
espropriarsi per conseguire il di più, è un lanciarsi
nell’avventura
dell’Amore di Dio, il Tutto che riempie la vita e la rende segno
luminoso
della Sua Presenza.
Con Melissa si apre il noviziato a Roma – Viale Vaticano il 22
agosto
2021. La maestra delle novizie è Suor Monica Belussi.
43
Melissa con la maestra delle novizie e con la Madre
Melissa con la sua comunità della Nuova Casa Gioiosa –
Castelletto
44
28 agosto 2021
Moi, Je suis la vigne, et vous, les sarments (Gv 15,15)
Rendiamo grazie a Dio, fonte di ogni bene, per il suo sguardo
amorevole
su di noi.
Con gioia, fiducia e disponibilità, osiamo rispondere, con la
professione
religiosa tra le Piccole Suore della Sacra Famiglia, per seguire
Cristo nel
mistero di Nazareth. Per questo, vi invitiamo ad unirvi a noi, alla
nostra
comunità e alle nostre famiglie con la preghiera che sarà per noi
un segno
di amore, di comunione e di fraternità.
Francisca GNAGUIMBA; Honorine DOSSOU; Léonie AKODEGNO;
Marie Reine ADENYO; Nicole KOLA; Rosaline AKOMAKLO; Sandra
AGBOGAN; Virginie KOTOKO
“Rinnovarsi ad ogni battito del cuore - Fondatore
Rendiamo grazie a Dio, fonte di ogni bene, per il suo sguardo
amorevole
su di noi.
Con gioia, fiducia e disponibilità, osiamo rispondere, con la
professione
religiosa tra le Piccole Suore della Sacra Famiglia, per seguire
Cristo nel
mistero di Nazareth. Per questo, vi invitiamo ad unirvi a noi, alla
nostra
comunità e alle nostre famiglie con la preghiera che sarà per noi
un segno
di amore, di comunione e di fraternità.
46
MISSIONARIA MONDIALE 2021
«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At
4,20)
Cari fratelli e sorelle,
quando sperimentiamo la forza dell’amore di Dio, quando
riconosciamo la sua
presenza di Padre nella nostra vita personale e comunitaria, non
possiamo fare a
meno di annunciare e condividere ciò che abbiamo visto e ascoltato.
La relazione
di Gesù con i suoi discepoli, la sua umanità che ci si rivela nel
mistero
dell’Incarnazione, nel suo Vangelo e nella sua Pasqua ci mostrano
fino a che
punto Dio ama la nostra umanità e fa proprie le nostre gioie e le
nostre sofferenze,
i nostri desideri e le nostre angosce (cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. past. Gaudium
et spes, 22). Tutto in Cristo ci ricorda che il mondo in cui
viviamo e il suo bisogno
di redenzione non gli sono estranei e ci chiama anche a sentirci
parte attiva di
questa missione: «Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli
che troverete,
chiamateli» (Mt 22,9). Nessuno è estraneo, nessuno può sentirsi
estraneo o
lontano rispetto a questo amore di compassione.
L’esperienza degli Apostoli
La storia dell’evangelizzazione comincia con una ricerca
appassionata del
Signore che chiama e vuole stabilire con ogni persona, lì dove si
trova, un dialogo
di amicizia (cfr Gv 15,12-17). Gli Apostoli sono i primi a
riferirci questo,
ricordando perfino il giorno e l’ora in cui lo incontrarono: «Erano
circa le quattro
del pomeriggio» (Gv 1,39). L’amicizia con il Signore, vederlo
curare i malati,
mangiare con i peccatori, nutrire gli affamati, avvicinarsi agli
esclusi, toccare gli
impuri, identificarsi con i bisognosi, invitare alle beatitudini,
insegnare in
maniera nuova e piena di autorità, lascia un’impronta indelebile,
capace di
suscitare stupore e una gioia espansiva e gratuita che non si può
contenere. Come
diceva il profeta Geremia, questa esperienza è il fuoco ardente
della sua presenza
attiva nel nostro cuore che ci spinge alla missione, benché a volte
comporti
sacrifici e incomprensioni (cfr 20,7-9). L’amore è sempre in
movimento e ci pone
in movimento per condividere l’annuncio più bello e fonte di
speranza:
«Abbiamo trovato il Messia» (Gv 1,41).
Con Gesù abbiamo visto, ascoltato e toccato che le cose possono
essere diverse.
Lui ha inaugurato, già oggi, i tempi futuri ricordandoci una
caratteristica
47
essenziale del nostro essere umani, tante volte dimenticata: «siamo
stati fatti per
la pienezza che si raggiunge solo nell’amore» (Enc. Fratelli tutti,
68). Tempi
nuovi che suscitano una fede in grado di dare impulso a iniziative
e plasmare
comunità, a partire da uomini e donne che imparano a farsi carico
della fragilità
propria e degli altri, promuovendo la fraternità e l’amicizia
sociale (cfr ibid., 67).
La comunità ecclesiale mostra la sua bellezza ogni volta che
ricorda con
gratitudine che il Signore ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,19).
La «predilezione
amorosa del Signore ci sorprende, e lo stupore, per sua natura, non
può essere
posseduto né imposto da noi. […] Solo così può fiorire il miracolo
della gratuità,
del dono gratuito di sé. Anche il fervore missionario non si può
mai ottenere in
conseguenza di un ragionamento o un calcolo. Il mettersi “in stato
di missione” è
un riflesso della gratitudine» (Messaggio alle Pontificie Opere
Missionarie, 21
maggio 2020).
Come gli Apostoli e i primi cristiani, anche noi diciamo con tutte
le nostre forze:
«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At
4,20). Tutto ciò
che abbiamo ricevuto, tutto ciò che il Signore ci ha via via
elargito, ce lo ha donato
perché lo mettiamo in gioco e lo doniamo gratuitamente agli altri.
Come gli
Apostoli che hanno visto, ascoltato e toccato la salvezza di Gesù
(cfr 1 Gv 1,1-
4), così noi oggi possiamo toccare la carne sofferente e gloriosa
di Cristo nella
storia di ogni giorno e trovare il coraggio di condividere con
tutti un destino di
speranza, quella nota indubitabile che nasce dal saperci
accompagnati dal
Signore. Come cristiani non possiamo tenere il Signore per noi
stessi: la missione
evangelizzatrice della Chiesa esprime la sua valenza integrale e
pubblica nella
trasformazione del mondo e nella custodia del creato […]
Un invito a ciascuno di noi
Il tema della Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno, «Non
possiamo
tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20), è un invito
a ciascuno di
noi a “farci carico” e a far conoscere ciò che portiamo nel cuore.
Questa missione
è ed è sempre stata l’identità della Chiesa: «essa esiste per
evangelizzare» (S.
Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). La nostra vita di
fede si indebolisce,
perde profezia e capacità di stupore e gratitudine nell’isolamento
personale o
chiudendosi in piccoli gruppi; per sua stessa dinamica esige una
crescente
apertura capace di raggiungere e abbracciare tutti. I primi
cristiani, lungi dal
cedere alla tentazione di chiudersi in un’élite, furono attratti
dal Signore e dalla
vita nuova che Egli offriva ad andare tra le genti e testimoniare
quello che
avevano visto e ascoltato: il Regno di Dio