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www.moked.it Questa Storia vale una presa di coscienza "La condizione delicata degli ebrei veneziani è la metafora di un bivio che obbligava a compiere scelte forti e a prendere decisioni ferme ed al tempo stesso aperte al mondo circostante". È rav Roberto della Rocca ad aprire questo dossier, che il giornale dell'ebraismo italiano dedica al cinquecentenario dell'istituzione del Ghetto di Venezia, osservando come "una delle forze della comunità ebraica sia stata proprio quella di attingere dall'esterno, all'altro da sé, restando sempre se stessa, ma pronta a dare, di volta in volta risposte nuove. La capacità insomma di assimilare dal mondo circostante senza assimilarsi ad esso". Le persone che vivono quotidianamente il Ghetto hanno attraverso le vetrine dei negozi e delle gallerie uno sguardo che trasforma le critiche in ruvide carezze. Lo storico inglese Simon Schama raccoglie la sfida di raccontare cinque secoli di storia in venti minuti e risponde alle domande di Pagine Ebraiche, mentre sono molti i rappresentanti delle istituzioni che affermano come il valore della comunità ebraica e della sua storia gloriosa non siano scindibili dal rispetto e dall'attenzione per un presente che pone sfide complesse. Dario Calimani ed Enrico Levis si confrontano sul significato del cinquecentenario, mentre Gadi Luzzatto Voghera offre chiarimenti su molti equivoci e il rettore di Ca' Foscari racconta l'energia intellettuale sprigionata da un luogo così piccolo. L'ultima opera di Giacomo Todeschini offre una nuova lettura della storia degli ebrei italiani fra XIV e XVI secolo, mentre l'apertura ufficiale delle celebrazioni è alla Fenice, con l’israeliano Omer Meir Wellber che dirige la Sinfonia in Re Maggiore di Mahler, in una Venezia di cui Corto Maltese è guida appassionante. PERSONAGGI Venezia viva Lavorando e osservando dalle loro vetrine l’incanto dei tanti visitatori vivono il Ghetto tutti i giorni. E sono loro a raccontarne le storie. LA STORIA, LO STORICO Simon Schama Personaggio così noto da essere ri- tratto in un murales, Simon Schama è lo storico che con una prolusione apre le manifestazioni alla Fenice. ECONOMIA E SOCIETÀ La banca, il recinto Il libro di Giacomo Todeschini, La banca e il ghetto. Una storia italiana porta nuova luce sulla storia degli ebrei italiani tra XIV e XVI secolo. COMICS&JEWS Corto Maltese È lo stesso Hugo Pratt a guidare i lettori tra le sue memorie, le sue fantasie e i misteri della Venezia ebraica, che non finisce in Ghetto. Il Ghetto di Venezia ha una storia molto particolare rispetto ad altre Comunità che, nella lunga diaspora ebraica, hanno vissuto un’esperienza analoga di segregazione coatta. No- nostante Venezia detenga il copry- right del Ghetto, diversamente da Roma dove le condizioni di miseria e vessazioni perpetrate dalla Chiesa determinarono anche arretratezza sociale e culturale, nella Comunità lagunare, malgrado la segregazione fisica, persisteva una ricca vita cul- turale caratterizzata da una forte in- terazione fra ebrei e ambiente ester- no. Quella del Ghetto di Venezia è una storia di presa di coscienza di sé anche in relazione all’altro. La condizione delicata degli ebrei ve- neziani è la metafora di un bivio che obbligava a compiere scelte forti e a prendere decisioni ferme ed al tempo stesso aperte al mondo cir- costante. Intellettuali e Rabbini, co- me Leone da Modena (1571-1648), testimoniano come l’appartenenza alla minoranza ebraica imponeva a questa diversità una funzione posi- tiva, in una prospettiva di chi aven- do consciamente optato per affer- mare la propria diversità, si doveva confrontare col problema di difen- derla e di darle un senso privo di residui di emarginazione e di fru- strazione. Basti pensare come, in questa ottica, Leone da Modena, in- trodusse nella sua accademia di stu- di religiosi, insegnamenti di canto, danza, scrittura e latino cercando una mediazione fra insegnamenti religiosi e cultura "secolare". Mal- grado la struttura angusta dei ghetti ed i cancelli, durante il giorno, a Ve- nezia, si poteva uscire, comprare li- bri, lavorare, visitare amici e i non ebrei entravano spesso nel Ghetto per ascoltare lezioni e sermoni rab- binici. Fu proprio in quell'epoca che nel Ghetto di Venezia vennero aper- te numerose accademie talmudiche, che grazie al prestigio dei loro rab- bini, ebbero una tale risonanza ester- na che in breve tempo fecero di Ve- nezia un centro di primaria impor- tanza nella cultura ebraica europea. La coscienza di essere testimoni di una tradizione culturale e religiosa degna di essere perpetuata sembrava a molti ebrei offrire loro una prote- zione sufficiente. Non mancarono chiaramente coloro che rinunciaro- no agli elementi distintivi dell’ebrai- smo ma guardando alla storia della presenza ebraica a Venezia, risulta evidente che una delle forze della comunità ebraica sia stata proprio quella di attingere dall'esterno, al- l'altro da sé, restando sempre se stessa, ma pronta a dare, di volta in volta risposte nuove. La capacità in- somma di assimilare dal mondo cir- costante senza assi- / segue a P15 ú –– Rav Roberto Della Rocca direttore Educazione e Cultura UCEI Foto: Paolo Della Corte Supplemento a Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - n. 4 aprile 2016 | Registrazione al Tribunale di Roma numero 218/2009 | www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale | Stampa: CSQ Spa - Erbusco | ISSN 2037-1543 Venezia - I 500 anni del ghetto a cura di Ada Treves Speciale

Questa Storia vale una presa di coscienza

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Questa Storia vale una presa di coscienza

"La condizione delicata degli ebrei veneziani è la metafora di un bivio che obbligava a compiere scelte forti e a prendere decisioni ferme ed al tempo stessoaperte al mondo circostante". È rav Roberto della Rocca ad aprire questo dossier, che il giornale dell'ebraismo italiano dedica al cinquecentenario dell'istituzionedel Ghetto di Venezia, osservando come "una delle forze della comunità ebraica sia stata proprio quella di attingere dall'esterno, all'altro da sé, restandosempre se stessa, ma pronta a dare, di volta in volta risposte nuove. La capacità insomma di assimilare dal mondo circostante senza assimilarsi ad esso". Lepersone che vivono quotidianamente il Ghetto hanno attraverso le vetrine dei negozi e delle gallerie uno sguardo che trasforma le critiche in ruvide carezze.Lo storico inglese Simon Schama raccoglie la sfida di raccontare cinque secoli di storia in venti minuti e risponde alle domande di Pagine Ebraiche, mentresono molti i rappresentanti delle istituzioni che affermano come il valore della comunità ebraica e della sua storia gloriosa non siano scindibili dal rispetto edall'attenzione per un presente che pone sfide complesse. Dario Calimani ed Enrico Levis si confrontano sul significato del cinquecentenario, mentre GadiLuzzatto Voghera offre chiarimenti su molti equivoci e il rettore di Ca' Foscari racconta l'energia intellettuale sprigionata da un luogo così piccolo. L'ultimaopera di Giacomo Todeschini offre una nuova lettura della storia degli ebrei italiani fra XIV e XVI secolo, mentre l'apertura ufficiale delle celebrazioni è allaFenice, con l’israeliano Omer Meir Wellber che dirige la Sinfonia in Re Maggiore di Mahler, in una Venezia di cui Corto Maltese è guida appassionante.

PERSONAGGIVenezia viva

Lavorando e osservando dalle lorovetrine l’incanto dei tanti visitatorivivono il Ghetto tutti i giorni. E sonoloro a raccontarne le storie.

LA STORIA, LO STORICOSimon Schama

Personaggio così noto da essere ri-tratto in un murales, Simon Schamaè lo storico che con una prolusioneapre le manifestazioni alla Fenice.

ECONOMIA E SOCIETÀLa banca, il recinto

Il libro di Giacomo Todeschini, Labanca e il ghetto. Una storia italianaporta nuova luce sulla storia degliebrei italiani tra XIV e XVI secolo.

COMICS&JEWSCorto Maltese

È lo stesso Hugo Pratt a guidare ilettori tra le sue memorie, le suefantasie e i misteri della Veneziaebraica, che non finisce in Ghetto.

Il Ghetto di Venezia ha una storiamolto particolare rispetto ad altreComunità che, nella lunga diasporaebraica, hanno vissuto un’esperienzaanaloga di segregazione coatta. No-nostante Venezia detenga il copry-right del Ghetto, diversamente daRoma dove le condizioni di miseriae vessazioni perpetrate dalla Chiesadeterminarono anche arretratezzasociale e culturale, nella Comunitàlagunare, malgrado la segregazione

fisica, persisteva una ricca vita cul-turale caratterizzata da una forte in-terazione fra ebrei e ambiente ester-no. Quella del Ghetto di Venezia èuna storia di presa di coscienza disé anche in relazione all’altro. Lacondizione delicata degli ebrei ve-neziani è la metafora di un bivio cheobbligava a compiere scelte forti ea prendere decisioni ferme ed altempo stesso aperte al mondo cir-costante. Intellettuali e Rabbini, co-me Leone da Modena (1571-1648),testimoniano come l’appartenenzaalla minoranza ebraica imponeva aquesta diversità una funzione posi-tiva, in una prospettiva di chi aven-do consciamente optato per affer-mare la propria diversità, si dovevaconfrontare col problema di difen-

derla e di darle un senso privo diresidui di emarginazione e di fru-strazione. Basti pensare come, inquesta ottica, Leone da Modena, in-trodusse nella sua accademia di stu-di religiosi, insegnamenti di canto,danza, scrittura e latino cercandouna mediazione fra insegnamentireligiosi e cultura "secolare". Mal-grado la struttura angusta dei ghettied i cancelli, durante il giorno, a Ve-nezia, si poteva uscire, comprare li-bri, lavorare, visitare amici e i nonebrei entravano spesso nel Ghettoper ascoltare lezioni e sermoni rab-binici. Fu proprio in quell'epoca chenel Ghetto di Venezia vennero aper-te numerose accademie talmudiche,che grazie al prestigio dei loro rab-bini, ebbero una tale risonanza ester-

na che in breve tempo fecero di Ve-nezia un centro di primaria impor-tanza nella cultura ebraica europea.La coscienza di essere testimoni diuna tradizione culturale e religiosadegna di essere perpetuata sembravaa molti ebrei offrire loro una prote-zione sufficiente. Non mancaronochiaramente coloro che rinunciaro-no agli elementi distintivi dell’ebrai-smo ma guardando alla storia dellapresenza ebraica a Venezia, risultaevidente che una delle forze dellacomunità ebraica sia stata proprioquella di attingere dall'esterno, al-l'altro da sé, restando sempre sestessa, ma pronta a dare, di volta involta risposte nuove. La capacità in-somma di assimilare dal mondo cir-costante senza assi- / segue a P15

ú–– Rav RobertoDella Roccadirettore Educazione e Cultura UCEI

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Supplemento a Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - n. 4 aprile 2016 | Registrazione al Tribunale di Roma numero 218/2009 | www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale | Stampa: CSQ Spa - Erbusco | ISSN 2037-1543

Venezia - I 500 anni del ghettoa cura di Ada Treves

Speciale

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"Il mio nome è Živa". C'è già tutto,nelle parole con cui si presenta.Non è solo la voce roca: ci sonoil sentore di una volontà forte euna presenza intensa e vagamenteinquietante, che pur nel silenzio enell'immobilità, guardando le fo-tografie appese ai muri della suaIkona Gallery, emana una grintanon comune, una fame di cose ve-re e belle. Per capirne il senso pro-fondo bisogna forse tornare all'ini-zio di tutto: "Ho un fratello ge-mello, Ognjen. Sono nata a Zaga-bria nel 1945, venti minuti dopodi lui, ma non ho pianto. Così miamadre ha chiesto 'To je živa? È vi-va?" e Živa sono diventata". Sonole prime parole di un filmato -prodotto dall'Università di NovaGorica nel 2014 - in cui ŽivaKraus si racconta, a partire dal-l'immagine di una sua opera suadel 1976, in cui con il solo suonodi una vecchia cinepresa si vedeuna giovane mano ripresa in bian-co e nero che accarezza un muro.Viene sostituita dalla mano di ŽivaKraus, pittrice, curatrice, artista.La pelle segnata dagli anni, le ditache sfiorano i muri della sua Ve-nezia, e arriva il colore: "Sono ar-rivata a Venezia seguendo una vo-ce interiore... dopo la mia primapersonale, a Zagabria, avevo pen-sato di andare a Parigi ma alla finequalcosa mi ha portato qui, inquesta città unica". Un amore pro-fondo che non le impedisce di cri-ticare la città di cui ha vissuto icambiamenti, una città "che nondeve essere paragonata a nulla,perché è unica e particolare". Eramolto diversa, Venezia, e nono-stante siano molte le critiche dichi vede ora il ghetto come svuo-tato e privo di vita lei non è d'ac-cordo: "Qui era tutto grigio, tuttovuoto, non c'era nulla. Ogni pre-sente in qualche modo unisce ilpassato e il futuro. Soprattutto aVenezia. Perché Venezia è comeun teatro, dove ogni cosa apre ochiude un sipario". Conosce bene questa città, dovevive da quarant'anni e dove nel1979 ha fondato Ikona Gallery. Haavuto come prima sede uno spaziopresso il Ponte di San Moisè, e nel2003 dopo vario peregrinare è ap-prodata in Cannaregio, al Campodi Ghetto Nuovo. "Venezia ha una

dimensione sopportabile, accetta-bile, ha una dimensione umana,che obbliga a seguire il suo ritmo.La maggior parte del tempo sicammina, tutto quello che devofare, anche per la galleria, per mee per lavoro lo devo fare a piedi,e questo mi ha permesso di ap-propriarmi della città. Io sono di-ventata parte di Venezia". La suafamiglia, originaria della Moravia,si è trasferita in Croazia durantel'impero austro-ungarico, e allacrescita di Zagabria e della sua vitaculturale i suoi genitori hanno

grandemente contribuito. Dopoaver cercato rifugio in Italia, persfuggire agli orrori della secondaguerra mondiale riescono a spo-starsi in Svizzera, per poi tornarea Zagabria dopo la guerra (là rie-scono a salvare dalle macerie i restidella sinagoga, distrutta nel 1941della autorità fasciste). E Ognjen,il gemello nato venti minuti primadi lei, è ora presidente della comu-nità ebraica cittadina.Živa, invece, è stata assistente diPeggy Guggenheim - cui dediche-rà una mostra nei prossimi mesi -

per poi diventare collaboratrice ecuratrice per le Biennali di Venezia,senza abbandonare la curatela del-la galleria Sebastian di Dubrovnik.E la stessa Ikona non si occupa so-lo di mostre: nel 1989 ha apertoanche la Ikona Venezia Internatio-nal School of Photography, cheha organizzato workshop congrandissimi fotografi, e non biso-gna dimenticare che lei stessa è unartista, che l’amico Alberto Mora-via descrisse come "una realistadell'invisibile, capace di fornirci larealtà dell'energia desiderante". La

galleria, una delle prime dedicatealla fotografia in Italia, è passionema anche senso civico, la volontàdi offrire alla città che ha fatto suaqualcosa della sensibilità, dell'at-tenzione e della competenza svi-luppate in decenni a fianco dei piùgrandi fotografi. "Ogni città è co-me se avesse un corpo, così quan-do uno si dedica al proprio lavorocon onestà e passione e si apre allacittà in un certo senso è come seaprisse e mantenesse un dialogocon una entità vivente". Viva, co-me Živa.

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto“Venezia è unica, perché unisce passato e futuro” Da Zagabria al Ghetto, la fondatrice dell’Ikona Gallery racconta la sua città d’adozione

u “Per una città che è punto di

transito del mondo, il Ghetto non

rappresenta solo la cellula della

mia galleria ma è in sé cellula di

un mosaico, di uno spazio più

grande.”

Živa Kraus (foto in alto), artista

originaria di Zagabria, vive a

Venezia, dove nel 1979 ha fondato

la Ikona Photo Gallery, dove sono

stati esposti e dove hanno

insegnato i più grandi fotografi

del mondo.

Per lei “Il Ghetto è isola nell’isola,

città nella città e in più è una

memoria completa.” Una memoria

che racconta una storia antica

ancora molto viva.

Sotto a sinistra gli oggetti scelti

dal rabbino capo di Venezia per

raccontare la sua comunità e una

vista delle case del Ghetto.

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È un rincorrersi di ricordi, a Can-naregio, da un lato all'altro del calledove si specchiano l'una nell'altrale vetrine di Enzo Aboaf e di DiegoBaruch Fusetti. A pochi passi dalCampo di Ghetto Nuovo "Lastamperia del Ghetto" è ora un lo-cale luminoso, dominato dalle im-magini di Lele Luzzati appeseovunque e dalla vecchia pressa, nonpiù in uso da anni. "Ne sono passatiquasi venti da quando abbiamo ini-ziato questa attività, ci conosconoin tutto il mondo... ma è tutto cam-biato: una volta c'erano le crociereche per noi erano importantissime,a ogni arrivo frotte di stranieri,americani soprattutto, venivano su-bito da me e compravano di tutto.Ora in pratica sono le stampe diLuzzati che mi garantiscono la so-pravvivenza". Eppure il negozio na-sconde tesori, stampe antiche digrande pregio, da sempre la grandepassione di Enzo Aboaf, i cui aned-

doti sono storia anche della faticadi una comunità, che è contempo-raneamente viva e vitale e svuotatada un drammatico calo demogra-fico. "Ero ancora ragazzino, avròavuto dodici, forse quattordici anni,e in pratica sono andato a bottega,per guadagnare qualche soldo davouna mano alla famiglia Cesana, cheaveva una grande galleria... è da lìche mi è venuta la passione per lestampe antiche. Alcune non le ven-do proprio, e non solo perché nonci sono più gli acquirenti!" Aprecon un sorriso fiero le grandi cas-settiere, mostrando immagini a vol-te sbiadite che mostrano la tracciadegli anni, e alterna il racconto del-la ristrutturazione del locale - primadi essere completamente recupe-rato è stato un bet hamidrash, perpoi diventare un deposito, e infinemagazzino della comunità - allestorie. "Questa non la sa neanchemia moglie ma mi ricordo ancorabenissimo di quell'ashkenazita ap-pena venuta giù dalla nave che vo-leva a tutti i costi comprare un Mo-sè che veniva giù dal Sinai che ave-vo messo in vetrina, sicuro di nonvenderlo. Era caro, molto, l'avevopreso da un antiquario di Padovaproprio perché mi piaceva, e arrivaquesta che mi chiede quanto vo-glio. Cerco di scoraggiarla, e lei mitira fuori la carta di credito... cosapotevo fare? Siamo andati avantiun pezzo, io continuavo a riappen-dere la stampa e lei a farmela tiraregiù. Alla fine le ho detto che unacifra così me la poteva pagare soloin contanti, ero sicuro di essermelacavata. E lei cosa ha fatto, invece?È andata qui dietro e si è tolta unadi quelle cinture che hanno gliamericani in gita qui, e ha tiratofuori un rotolo di banconote. Ah,ma era bella, quella stampa... e poiin ghetto c'era tanta gente, si lavo-

rava bene. Ora invece non ci sonopiù i negozi, le macellerie, gli strac-ciaroli". Il ghetto era vivo, pienodi persone, di attività. "Era tuttobello, il ghetto di una volta". Nonsono molto differenti le conside-razioni di Annamaria Cesana, chequasi esattamente di fronte allaStamperia del Ghetto gestisce in-sieme a suo marito Arte Ebraica,negozio passato di mano da unagenerazione all'altra. Recuperandodal retrobottega un oggetto moltoamato racconta: "I miei suocerierano abilissimi con le mani. Eranoottimi artigiani". Sono esposti -ma assolutamente non in vendita- i mosaici opera di Marco Fusetti,che aver imparato da solo graziesoprattutto all'aiuto di amici cheinvece li facevano di mestiere. Altromotivo di fierezza, che però la si-gnora Fusetti va a recuperare nelretrobottega, è un pupazzo fatto dipanno lenci, che rappresenta unpiccolo rabbino barbuto. "Li facevamia suocera, Amalia Mariani, e ave-vamo tutta una serie di rabbini coni vari oggetti rituali, che avevanoun gran successo. In effetti è da lìche si sono ispirati quelli che adessofanno i cosiddetti 'rabbinetti di ve-tro’. Se li erano studiati per bene,questi pupazzi, e ora li vendiamoanche noi". Insieme a mille oggettidei materiali più svariati, dal vetroalla filigrana d'argento. Ma motivo di fierezza è soprattuttol'ultima creazione di una famigliache ha l'artigianato nel sangue: "Peril cinquecentenario del Ghetto miomarito ha disegnato e prodotto del-le medaglie, che abbiamo studiatoin tutti i dettagli. Quella di bronzo,la più grande, rappresenta il Campodel Ghetto visto dall'alto, mentrele più piccole, che abbiamo in ar-gento, riportano le facciate dellecinque scole".

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APPUNTAMENTI31 marzo ore 16, Auditorium di Santa Margherita “Rewriting theGhetto of Venice for the 21st century”, con Doron Rabinovici(Israele/Austria) e Arnold Zable (Australia).

3 aprile ore 18, Museo Ebraico di Venezia Per la rassegna “1516-2016. IGhetti chiudono, i musei aprono” Giorgia Perugia Szulman, conservatricedello Israeli Museum: La sinagoga di Vittorio Veneto e il suo contesto storicoartistico e culturale.

4 aprile ore 18, Ateneo Veneto: Vivere a Venezia. Incontro sulla vita ela cultura ebraica nella Venezia di oggi.

7 aprile ore 10, Università Ca’ Foscari: Shylock in Germania e in Italia.

17 aprile Museo Ebraico di Venezia, Inaugurazione mostra The NewVenice Haggadah

Maggio-giugno Mestre, Rassegna “Arte e creatività ebraica” – Ciclo diincontri legati ad altrettante proiezioni di film.

aprile- maggio “Lido Incontra: I 500 anni del Ghetto.” Ciclo di teatro,musica, letture e proiezioni

5-6 maggio 2016 Sala del Piovego, Palazzo Ducale: Convegnointernazionale “ …li giudei debbano abitar unidi”. The Birth andEvolution of the Venetian Ghetto (1516-1797). A cura di Medici ArchiveProject.

6 maggio 2016 ore 18 Alliance Française, Gabrielle Gamberini presenta illibro Le premier Ghetto - primo appuntamento di una serie

9 maggio 2016 ore 18 Museo Ebraico di Venezia, per larassegna “1516-2016. I Ghetti chiudono, i museiaprono” Julie Marthe Cohen, Museo Ebraico di Amsterdamsu: Amsterdam e Venezia.

1 giugno 2016 Auditorium Fondazione Querini Stampalia,ore 16-20: Progetto Devir/Davar: I molti modi dellaverità. Tra dialogo e conflittualità.

6 giugno 2016 ore 18 Museo Ebraico di Venezia, per larassegna “1516-2016. I Ghetti chiudono, i museiaprono” Felicitas Heiman, già capo curatrice del MuseoEbraico di Vienna sul tema: "Judaica veneziana".

9 giugno- 27 novembre Galleria Ikona Gallery, Campo del Ghetto Nuovo.Inaugurazione della mostra “Art of this Century Peggy Guggenheim inPhotographs”, a cura di Ziva Kraus.

19 giugno-13 novembre Palazzo Ducale, Mostra “Venezia, gli Ebrei el’Europa”, curata da Donatella Calabi in collaborazione con MUVE.

27 giugno ore 18, Palazzo Barbarigo della Terrazza, Conferenza di DonatellaCalabi “Architettura chiusa - architettura aperta? Il Ghetto diVenezia nel contesto urbano”.

28 giugno-5 luglio Convegno: Liminal Spaces and Jewish Identity.The Ghetto of Venice: The Future of Memory in the Digital Age. Acura di Murray Baumgarten

24 luglio Teatro La Fenice - Concerto The Music of the Ghettoes. Oldand New Songs from the Jewish Tradition, con Frank London e UteLemper.

25 luglio Venice International University – Isola di San Servolo - Spettacolo dimusica e parole con Moni Ovadia e Miriam Fuks, Roby Lakatos e FrancescoLotoro.

26-31 luglio Campo di Ghetto Nuovo Il Mercante di Venezia di WilliamShakespeare in Campo del Ghetto Nuovo (Compagnia de' Colombari, USA –Università Ca' Foscari Venezia) www.themerchantinvenice.org

27 luglio ore 17-19, Scuola Grande di San Rocco – Nell’ambito del progetto“The Merchant in Venice”: “Processo a Shylock” con Ruth Bader Ginsburg,Giudice Corte Suprema USA.

Luglio Seminario Internazionale: The Ghetto as Global Metaphor – Acura della Princeton University

28 luglio ore 15-18, Sale Monumentali, Biblioteca Nazionale Marciana -Simposio: Venezia e il libro ebraico – A cura di Biblioteca NazionaleMarciana e National Library of Israel.

28 maggio/10 ottobre Palazzo Fontana, Mostre e istallazioni artisticheispirate ai testi tradizionali ebraici del collettivo internazionale Citizens Of TheTexts (OTT)

13-14 settembre Convegno, Istituto Veneto di Scienze, Lettere eArti Gli ebrei, Venezia e l'Europa tra '800 e '900. A cura di DonatellaCalabi.

12-13 dicembre Fondazione Ugo e Olga Levi Convegno: La musicaebraica dell’Ottocento. A cura di Gabriele Mancuso e Luisa Zanoncelli.

Una storia di carta e di vetroIl Ghetto è vivo. Storie di turisti e di artigiani

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a disposizione. Con l’università econ i libri. Con la conoscenzadell’arte e con il linguaggio dellatelevisione. Ora Simon Schama siappresta a sbarcare a Venezia. Ven-ti minuti per raccontare cinque se-coli. I 500 anni che ci separanodall’istituzione da parte della Se-renissima di quello che è divenutol’archetipo di tutti i ghetti, di tuttele separazioni. Appena un bagliorein Laguna, forse la sua prova piùdifficile, per spiegare il segreto delsimbolo che ha reso immediata-mente riconoscibili in tutto il mon-do le tormentate, bimillenarie vi-cende dell’ebraismo italiano.

Professor Schama, lei è considerato

il più autorevole fra gli studiosi che

vogliono mettere le chiavi della Sto-

ria nelle mani della gente. L’accade-

mia le va stretta?

La conoscenza della Storia – spie-ga – non risponde solo alle esigen-

ze degli accademici. Perché è unostudio che ci consente di capiredavvero non solo quello che è ac-caduto, ma anche quello che staaccadendo e quello che ci riservail futuro. È un modo per scanda-gliare l’animo umano. Per capirel’energia che sta alla base della suacapacità creativa.

Il primo volume della sua Storia degli

ebrei (In cerca delle parole, Monda-

dori editore per l’edizione italiana) ci

accompagna dalle origini del popolo

ebraico al 1492. Il secondo, attesissi-

mo, libro dovrà condurci fino ai gior-

ni nostri. Ma sono in molti a chiedersi

come, e da dove, riaprirà il dialogo

con i suoi milioni di lettori.

Si aprirà proprio a Venezia, e pro-prio con le vicende del primoghetto. È quello il punto di svolta,il nostro inizio per comprendereil presente. Vorrei attraversare que-sti ultimi cinque secoli e renderevisibile il percorso. Il Rinascimentoebraico, l’affermazione della parolastampata, i Lumi, il graduale, fati-coso ritorno degli ebrei nelle terreda cui erano stati cacciati, l’emi-grazione dal vecchio mondo alnuovo, Hollywood, gli orrori dellaShoah, il ristabilimento dello Statodi Israele.

Si tratta probabilmente del più at-

teso lavoro di uno storico per la

prossima stagione editoriale. Il suo

titolo risponderà alla domanda su-

scitata e lasciata in sospeso dal pri-

mo volume?

Si intitolerà Quando le parole nonbastano. Perché, fra una sconfitta eun’esaltazione, in ogni caso l’espe-rienza di persecuzione e di sepa-razione che è cominciata con ilprimo ghetto è il segno che ancoraci accompagna. Mio padre mi hainsegnato che noi siamo il popolodella Parola, che la nostra fede stanella parola. Ma la Parola da solanon sempre è stata sufficiente pertenerci al riparo dalle forze del so-spetto e dell’odio.

Ma la separazione, il ghetto, non co-

stituiscono in definitiva anche la mi-

gliore tutela dell’identità minoritaria?

L’identità ebraica è qualcosa dimolto complesso, non può essereesclusivamente misurata ed esclu-sivamente definita con la Leggeebraica. Credo che sia nostro do-vere continuare a credere in unmondo dove l’identità possa cre-scere liberamente senza subire laseparazione.

Lei, professore, ha un originale mo-

do di raccontare la Storia. La rigo-

rosa ricostruzione dei fatti si innesta

nella interpretazione artistica, nella

decodificazione della creatività

umana, nella penetrazione psicolo-

gica. L’orizzonte dell’infinito e l’at-

timo si toccano. L’estremamente

Nato nel 1945 a Londra da una famiglia ebraica, Simon Michael Schama è uno degli storici piùautorevoli al mondo, specializzato in Storia francese e olandese oltre che con una formazionespecifica in Storia dell'arte. Sua madre Gertie era un'ebrea ashkenazita di origine lituana, suopadre Arthur, un sefardita di origine turca. Esperto di Rivoluzione francese, Schama hainsegnato a Cambridge e Oxford oltre che ad Harvard, e attualmente insegna alla ColumbiaUniversity. Tra i suoi libri più importanti, che sono stati tradotti in oltre 15 lingue, Citizens eTwo Rothschilds and the Land of Israël, dedicato al rapporto tra la famiglia Rothschild e ilSionismo. Per la BBC ha curato la celebre serie di documentari “A History of Britain”, mentreper la PBS ha raccontato3000 anni di storia ebraica in“The story of the jews”. Si èschierato pubblicamentecontro il boicottaggio degliaccademici israeliani.

ú–– Guido Vitale

Harvard, un’intera classe con il fia-to sospeso. Il docente non rinunciaal suo inconfondibile aplomb bri-tannico e vola sulla grande Storiae sulle storie di tutti, spiega l’artee l’eroismo, l’identità e la politica.Tutto si frammenta e si ricomponein un caleidoscopio prodigioso,sbalorditivo. Poi, come talvolta ac-cade di fronte a ciò che è enorme-mente complesso ed estremamen-te semplice allo stesso tempo, unostudente rompe l’incanto: “Profes-sor Schama, i miei genitori nonpagano volentieri una retta di de-cine di migliaia di dollari per farmiuscire dalle sue lezioni più confusodi quanto non ci sia entrato”. Si-mon Schama si interrompe giustoun attimo, gli rivolge senza scom-porsi uno sguardo intenerito: “Ca-ro amico, questo è esattamentel’unico motivo per cui valga la pe-na di pagare una retta. Un feno-meno che si chiama educazione”.Da allora lo storico londinese hacontinuato la sua ascesa ai verticidell’accademia internazionale e og-gi è considerato una delle voci piùautorevoli della Columbia Univer-sity. Una combinazione inestrica-bile di enorme erudizione e di stra-ordinarie capacità comunicativene fanno un punto di riferimentoper il mondo accademico comeper milioni di comuni cittadini. Perlui la Storia è per tutti, è di tutti.E va raccontata con ogni mezzo

"È in tempi sia politicamente che

economicamente difficili, come

quelli che stiamo vivendo, che

abbiamo bisogno più che mai

dello sguardo lungo della storia".

Sono parole di Simon Schama,

scritte per un articolo dedicato

all'insegnamento della storia nel-

le scuole e pubblicato nel 2010

dal Guardian. Giorgio Albertini

nell'introduzione del suo I giorni

che hanno cambiato la storia

d’Italia. Momenti storici e prota-

gonisti che hanno determinato il

destino del nostro Paese, volume

appena portato nelle librerie da

Newton Compton, scrive: "Sotto-

lineare quei giorni che tracciano

la nostra specificità è necessario

per definire l’identità italiana,

per creare punti saldi che ogni

cittadino dovrebbe conoscere

per evitare di 'spezzare il legame

della memoria nazionale, unico

filo che tiene

unita una co-

munità distinguendola da una

scena globale sempre più omo-

geneizzata'". La citazione conte-

nuta nella citazione è ancora di

Schama, che crede profondamen-

te nel potere della storia, in quel-

la che chiama "la magia della sto-

ria, che è sempre anche una ne-

goziazione poetica". C'è una

grande fame di narrazione, spie-

ga ancora mentre rac-

conta come lavorare per

le produzioni televisive

gli abbia permesso di

raggiungere una audien-

ce di dimensioni altri-

menti impensabili. "Le immagini

sono potenti, sono un mezzo

straordinario per far passare

messaggi e informazioni che al-

trimenti non sarebbero colti, o

risulterebbero molto pesanti, ma

che sono assolutamente essen-

ziali in un periodo storico come

il nostro, in cui gli stereotipi lun-

gi dall'ammorbidirsi tendono a

diventare sempre più rigidi. E la

storia più essere vista come una

scienza del passato, una discipli-

na da ricercatori e studiosi, op-

pure come un argomento più vi-

vo, che anche quando racconta

fatti distanti parla dell'attualità,

ed è sempre capace di coinvol-

gere e far pensare". Ed è proprio

per aiutare e sostenere chi sui

fatti storici vuole appoggiarsi

che Albertini, storico, archeolo-

go, e docente di Nuovi linguaggi

La magia della storia, negoziazione poetica

G. AlbertiniI GIORNI CHE HANNOCAMBIATO LA STORIAD’ITALIA Newton Compton

Vitto

rio G

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Gior

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Albe

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghettoSimon Schama: “La Storia che racconto è un’arte” Il grande studioso inglese e la sua prospettiva ebraica, dall’accademia alla divulgazione

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Al MEV, un museo a porte aperteAperto al pubblico nel 1954, il

Museo Ebraico di Venezia era

composto allora di sole due

stanze, con

l'intento di

permettere

sia agli ap-

partenenti

alla Comuni-

tà sia ai visi-

tatori di godere della bellezza

degli oggetti esposti e di poter

accostarsi alla cultura ebraica,

tanto vituperata durante il fa-

scismo. Riordinato negli anni

’70 e successivamente ampliato

e rinnovato, espone prevalen-

temente oggetti offerti da pri-

vati nel corso dei secoli. Alcuni

poi, forgiati proprio per essere

donati a una delle sinagoghe

del ghetto, riportano scritte

dedicatorie utili per ricostruire

la storia delle famiglie che a

Venezia avevano soggiornato.

Sorge ovviamente nel cuore

del ghetto, unicum urbanistico

che ha mantenuto quasi inal-

terata nei secoli la propria

struttura architettonica e che

custodisce al suo interno ben

cinque sinagoghe risalenti al

XVI secolo, di cui tre inserite

nel percorso di visita guidata

che completa l'itinerario mu-

seale diffuso. Il MEV vuole non

solo contribuire alla diffusione

della conoscenza dell’ebraismo,

per combattere pregiudizi e

sempre nuove forme di antise-

mitismo, ma anche far cono-

scere la storia di una delle più

importanti Comunità ebraiche

europee, presente sulla laguna

già dal Medioevo. Per il previ-

sto intervento complessivo di

restauro, ampliamento e rin-

novo dell'intera area museale

già da tempo la Comunità

ebraica di Venezia ha affidato

alla Fondazione Venetian Heri-

tage" una campagna di raccol-

ta fondi internazionale, e a fine

marzo la simbolica posa della

prima pietra del nuovo MEV

apre la strada al futuro.

complesso e l’enormemente sem-

plice infine si sovrappongono. Inse-

gna nelle maggiori università e in-

canta i milioni di cittadini che spe-

rano di trovare educazione e cultura

attraverso le semplificazioni del

mezzo televisivo. Da dove deriva,

come si impara questa formula?

Capire la Storia significa capire larealtà e viaggiare contemporanea-mente in un’altra dimensione. Met-te in gioco anche la comprensionedell’arte e della letteratura. Èun’idea di cui possiamo trovaretraccia, per esempio, anche nelleMemorie di Adriano di MargueriteYourcenar, o nei libri di UmbertoEco, che rimpiangiamo proprio inquesti giorni. Non basta il lavoroscientifico. Senza rinunciare al ri-gore, dobbiamo mettere in giocoanche la nostra capacità creativa.

Nella conoscenza storica possiamo

trovare gli strumenti per costruire

la nostra vita, la nostra identità?

La società in cui viviamo non haancora terminato di essere alle pre-se con la minaccia della separazio-ne. Anzi i nuovi tribalismi in ag-guato sono profondamente preoc-cupanti. La migliore difesa per tut-ti, e per gli ebrei in particolare, èproprio l’impegno di studiare laStoria come una materia viva, in-terpretare il paesaggio culturalenel suo complesso. Opporsi a tuttele barriere.

Le produzioni della BBC e dellaPBS hanno messo milioni e mi-lioni di cittadini in condizione dicapire la complessità della storiae della cultura. In cinque ore ditrasmissione hanno fatto viaggia-re i telespettatori lungo cinquemillenni senza uno sbadiglio.È noto per fermarsi a discuternecon tutti, anche con i semplicicittadini che la riconoscono come

un’icona della divulgazione cul-turale, anche con la sua fioraia.Eppure continua a diffidare deisocial network.Lavoro nelle università. Scrivo.Cerco di divulgare. Partecipo allegrandi produzioni della televisionedi qualità, perché credo sia impor-tante raggiungere le grandi massee restituire loro la conoscenza dellastoria. Ma non sento il bisogno diimmergermi nel cretinismo fram-mentario dei segnali che viaggianosulla rete, mettermi a discutere conquelli che campano disseminandoil sospetto, la cultura del complot-tismo e dell’odio.

Proprio la lotta al complottismo e al

sospetto l’ha portata negli scorsi a

pubblicare sul Financial Times una

denuncia molto forte dell’antisemi-

tismo mascherato da antisionismo.

La cultura della sinistra è malatadi sospetto e antisemitismo. Una

miscela di ignoranza e frustrazioneche prende le mosse dalla legittimapossibilità di criticare l’operato diuno specifico governo israelianoper sfociare in effetti in un odiopreconcetto nei confronti delloStato ebraico e di tutti gli ebrei. Èora di opporsi con forza a questapericolosissima degradazione. Conil naufragio delle teorie del socia-lismo marxista, le energie militantiche si erano accumulate hanno bi-sogno di uno sbocco. I problemidi Israele esistono, quelli dei pale-stinesi anche. Ma non sono diversio più gravi degli altri focolai di crisiin giro per il mondo di cui nessu-no, men che meno i militanti diuna sinistra senza cervello, pensa-no di preoccuparsi. Come mai laloro indignazione è così stretta-mente selettiva. O, per metterla inaltri termini, come mai è così facileodiare gli ebrei?

Torniamo alla storia ebraica, a come

trasmetterla alle nuove generazioni.

Il grande tema da porre al centrodell’attenzione, per noi ebrei comeper tutti gli altri, è che non pos-siamo fare a meno della storiaebraica. E la storia ebraica non puòesistere, non potrebbe essere com-presa, se non esistesse la storia de-gli altri. Né la grande storia po-trebbe essere concepita, se non cifosse una storia ebraica. Il tema èche relazione c’è stata e ci potràessere fra gli altri e noi. Se gli ebreipossono o non possono vivere inmezzo agli altri popoli. Se lo vo-gliono fare, se sono in grado diraccogliere la sfida. E se sono au-torizzati a farlo. Una prova dellaverità per tutte le società in cui vi-viamo. E per noi, in primo luogo.

dell’arte contemporanea presso

l’Accademia di Belle Arti Europea

dei Media di Milano, oltre che il-

lustratore, ha scritto un volume

che "rimette le cose in ordine".

Si legge: "Cos’è successo il 20 set-

tembre? Che cosa il 24 maggio o

il 22 marzo? Sapete dare una ri-

sposta? Molti ovviamente sì, al-

cuni no, eppure quante volte sia-

mo passati in vie e piazze che

portano nel loro nome tali indi-

cazioni temporali? Sono date fa-

mose, che segnano momenti fon-

danti della nostra storia, che

hanno formato la memoria na-

zionale di noi italiani e che di-

stinguono la nostra comunità

dalle altre. Però, non tutti i gior-

ni in cui è successo qualcosa di

memorabile nominano un viale

alberato della nostra città; il ri-

cordo di alcuni, la maggior parte,

rimane relegato ai libri di storia,

appannaggio solo di pochi addet-

ti ai lavori". Alcune delle date

scelte da Albertini sono impre-

scindibili, come il 25 aprile o il 2

giugno, altre invece sono frutto

di scelte più particolari e speci-

fiche. Ma sono tutte date

che compongono la trama

della nostra Storia e che

concorrono a creare punti

saldi che ogni cittadino do-

vrebbe conoscere per evitare di

spezzare il legame della memo-

ria nazionale, date che hanno

modellato l’essenza del Paese

nella politica, nella scienza, nella

cultura, nell’arte, nel costume,

nel bene e nel male. Perché, dice

ancora Schama, "The seeding of

amnesia is the undoing of ci-

tizenship", seminare amne-

sia è lavorare al disfacimento

della cittadinanza. E a chi chiede

a cosa serva la storia propone al-

cune risposte: "L'analisi dei fatti

e la capacità di decidere quale

sia la versione più credibile di un

evento, la conoscenza analitica

della natura del potere e la com-

prensione delle dinamiche fra le

società, unita alla familiarità con

le follie della guerra che porta

a distinguere fra conflitti giu-

sti e ingiusti. Questo è quello

che può donare una disciplina.

E, in definitiva, tutto l'insegna-

mento della storia è un entrare

nella vita degli altri, che è in as-

soluto il modo migliore per im-

parare la tolleranza".

Gior

gio

Albe

rtini

Gior

gio

Albe

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La Fenice è un'istituzione centralenella storia più recente di Veneziae importante per chiunque ami lamusica, un teatro che porta un no-me dal valore simbolico forte. Leimmagini dell'incendio che 20 annifa fece credere al mondo che nonci fossero possibilità di salvare unodei suoi teatri più belli, e la storiadella rinascita dalle sue stesse ce-neri hanno una portata che entraimmediatamente in risonanza conla riscoperta e la fama che il ghettodi Venezia sta avendo in tutto ilmondo in occasione del cinque-centenario della sua istituzione."Aprire le celebrazioni è per noimotivo di orgoglio, e un appunta-mento immancabile, cui abbiamoaderito immediatamente e senzaalcuna esitazione". Sono le paroledi Fortunato Ortombrina, direttoreartistico del teatro, che con pacatasicurezza sottolinea come si trattidi un'occasione la cui rilevanza vaben al di là del legame con la cittàe con la comunità ebraica: "Stiamoparlando di storia della civiltà edell'umanità - continua - di eventila cui importanza travalica qualsiasiconfine". Già da tempo la Fenicededica una serata speciale al Gior-no della Memoria, un concerto ilcui programma viene studiato concura e attenzione ogni anno, "Maper questa occasione abbiamo pre-so in considerazione diverse pos-sibilità, è stato subito chiaro chedovevamo sforzarci di andare piùin là, di guardare più lontano. Ab-biamo voluto scegliere qualcosache avesse una portata universale,così anche se con il Maestro Wel-lber abbiamo preso in considera-

zione varie opzioni la scelta è ca-duta quasi naturalmente sulla pri-ma Sinfonia in Re maggiore di Gu-stav Mahler. Non celebra solo ilrapporto con la natura, incorporasapori e sonorità popolari che ri-portano all'idea di una Europagrande, dall'identità definita". Quasiun augurio e una speranza, che Or-tombrina esprime in assoluta con-sonanza con Omer Meir Wellber,il giovane direttore d'orchestraisraeliano che, in Italia da otto anni,ha da tempo stabilito un felice estabile rapporto con l'orchestra del-

la Fenice. "L'ho trovato a Bassanodel Grappa - ricorda il direttore ar-tistico - era lì per dirigere l'Aida.Introdotto gradualmente nel teatroha confermato la mia prima im-pressione: è curioso, vitale, vivace,bravissimo nel coinvolgere le per-sone con cui lavora e nel fare giocodi squadra". Un entusiasmo che sispecchia nelle parole di Wellber, ilgiovane Maestro il cui italianoscorrevole mostra come l'ambien-tamento sia completo: "Sono statoaccolto meravigliosamente dallaFenice. Sono in Italia da otto anni,

ma la proposta di venire a Veneziami ha fatto sentire come se miavessero offerto una gita a Disney-land. Vivere qui è difficile, certo, itempi sono lunghi e tutto è piùcomplicato, ma così come ci sonodei lati negativi ce ne sono anchedi positivi, come in ogni cosa". En-tusiasta dell'orchestra, che consi-dera una delle migliori in Italia no-nostante non sia pienamente rico-nosciuto il suo valore, Wellber -considerato uno dei giovani diret-tori d'orchestra più di talento dellasua generazione - è stato assistente

di Daniel Baremboim sia alla Ber-liner Staatsoper Unter den Lindenche alla Scala di Milano. "Vivere aVenezia impone delle limitazionialla vita quotidiana, spostarsi è piùfaticoso, e il modo di vivere con-diziona la musica, e anche la vitadell'orchestra. I musicisti qui sonoabituati ai tempi lunghi, hanno piùpazienza, lasciano più spazio altempo, all'ascolto, e in definitivaall'atmosfera. Si adattano alle con-dizioni della vita di tutti i giorni".E non si tratta solo di tempi: nellegiornate molto umide gli strumenti

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto

u “A mayse mit…” presenta una

galleria di ritratti nei quali i

protagonisti si fanno fotografare

immersi nella loro vita di tutti i

giorni, in ambienti a loro familiari

e circondati dagli oggetti

quotidiani.

E proprio da questi, poi,

scaturisce la testimonianza,

prima molto intima e privata e

poi sempre più ampia e collettiva,

di storie personali e uniche che

portano “le cose materiali” a farsi

man mano “cose della vita”.

Un gioco al quale Amos Luzzatto e

sua moglie, Laura Luzzatto

Voghera (foto a destra), si sono

prestati con grande disponibilità.

A sinistra: il ninzioletto del

Sotoportego del Gheto.

A prima vista potrebbe sembrareun romanzo avvincente, in cui siintrecciano vicende famigliari, storiaeuropea e vita ebraica, un raccontoche parte dalle viuzze dei villaggicon le “botteghe color cannella”,dipinti da Chagall e animati dallamusica dei klezmoyrim, attraversale campagne e raggiunge le grandicapitali per inebriarsi dei colori diGustav Klimt e sentire la magia deiteatri d’opera. Successi, conquiste,amori e passione, ma anche lutti,profonda sofferenza e senso di la-cerazione. Potrebbe davvero sem-

brare un romanzo avvincente, senon fosse che è la biografia di Gu-stav Mahler.Nasce nel 1860 a Kaliště, un pic-colo villaggio della Boemia, da Ber-nhard, proprietario di una distilleria,un uomo autoritario, impulsivo eambizioso e da Maria, una ragazzaebrea di buona famiglia che per unamenomazione alla gamba si vedecostretta ad accettare un matrimo-nio senza amore, da cui nasceranno14 figli di cui sei che moriranno an-cora infanti. Il 1860 è l’anno delle riforme poli-tiche ed educative in terra ceca, unpunto di passaggio fondamentalenel lungo processo di emancipa-zione degli ebrei che vedrà il punto

d’arrivo con lo Statuto del 1867. So-no gli anni delle grandi emigrazionidalle campagne verso i centri in-dustrializzati della Boemia e Ber-nhard Mahler sceglie di trasferirsia Jihlava. Come i suoi correligionarilo fa per i figli, vuole che abbianoquanto è stato negato alla sua ge-nerazione. È questo il contesto incui cresce Gustav Mahler, bambinoprodigio con un talento straordi-nario per la musica; lui è uno diquei tanti ragazzi ebrei, figli di ne-gozianti e contadini che aspiranoal riscatto sociale e all’integrazioneattraverso l’istruzione e la cultura.La sua generazione ha ricevuto ineredità l’esperienza dell’illuminismoebraico e delle riforme educative

di Giuseppe II e vive il delicato pas-saggio della creazione di nuovi mo-delli identitari che si vanno forman-do in quegli anni a seguito dellenuove realtà demografiche e poli-tiche. Da un lato vi è il forte sensodi appartenenza alla cultura e allalingua tedesca, simbolo del lungoprocesso di emancipazione e dal-l’altro la riscoperta della compo-nente ceca. In Boemia a partire dal-la seconda metà del 1800 cresce ilbisogno di ritrovare una storia co-mune e autentica e dei punti di ri-ferimento saldi attraverso cui rico-noscere se stessi in una società. Es-sere ebrei, tedeschi, cechi. Appar-tenere, relazionarsi, dare vita a nuo-ve forme di cultura e di narrazione

di sé attraverso la letteratura, l’artee la musica ma a volte anche conpiccoli gesti quotidiani. Non a casoPraga sarà conosciuta come la “ca-pitale dei tre popoli” e agli inizi del‘900 le diverse “nazionalità” avran-no ciascuna differenti scuole e ate-nei, cliniche, circoli intellettuali ecaffè letterari. Gustav Mahler crescee si forma in questo melting pot,radicato nella millenaria culturaebraica e desideroso di dare vita a“sintesi creative inedite”, per usareuna felice espressione coniata dal-l’antropologo Adriano Favole. Lui, ebreo, ceco, tedesco, assimila-to, illuminato e colto viaggia moltoe conosce Praga, Vienna, Budapest,dove incontra intellettuali e artistie intreccia relazioni importanti, an-che se talvolta difficoltose. “Piccolo,nervoso, senza pace e una testa me-

Alla Fenice per ascoltare la grande sinfoniaDietro le quinte del mitico teatro, il valore simbolico di un concerto unico

Mahler, una vita da romanzoú–– Maria TeresaMilanoebraista

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non tengono l'accordatura, non èpossibile lavorare come da routine,bisogna adeguarsi e accettare lecondizioni, ma, dice Wellber "poiesci dalle prove e ti trovi nella ma-gia della nebbia veneziana...". Nonc'è mai un concerto come un altro,spiega, ma il valore del lavoro delmusicista forse può stare anche inquesta capacità di adattarsi, e diadeguarsi alle limitazioni del luogo."Per questa occasione cercavamoun pezzo importante, che fosse an-che rappresentativo... ci siamo ar-rivati rapidamente. La scelta eraovvia: la prima di Mahler è unagrande sinfonia, importante nellastoria dell'ebraismo moderno. Por-ta a problematiche moderne, c'èdentro tutto, dalla visione laica del-la vita a Israele, dal fascismo al

kletzmer. Quasi sempre i progettigiusti sono giusti fin dall'inizio, ecosì è stato per questo". Dal 2009direttore musicale della RaananaSymphoniette Orchestra, fondatanel 1991 per aiutare l’integrazionedegli ebrei immigrati in Israele,Wellber è anche molto impegnato

nell’attività educativa dei giovanimusicisti: ambasciatore dall’orga-nizzazione no-profit Save a Child’sHeart, che ha sede in Israele masi occupa della chirurgia cardiacapraticata ai bambini dei paesi invia di sviluppo, è il fiero iniziatoree cofondatore di Sarab – Strings

of Change, il progetto educativoche offre una formazione musicaleai giovani delle comunità beduinedel deserto del Negev, a Rahat."Avevo bisogno di cose belle daraccontare, perché come tutti gliartisti israeliani in maniera del tuttoscollegata da chi sono io e dallemie opinioni sono considerato unportavoce del mio paese. E avevobisogno di argomenti che non por-tino immediatamente a discuteredi politica. Mi sono impegnato afondo in cose belle, e importanti,un argomento positivo". Non evitagli argomenti controversi, né la po-litica, Wellber, che tiene molto asottolineare come il cinquecente-nario del ghetto di Venezia nonsia un'occasione da celebrare: "Èun anniversario importante, ma va

assolutamente ricordato che si trat-ta di un argomento complesso".Una storia triste, che porta a me-morie cupe, ma anche una consi-derazione di cui non si può nontenere conto: "La forzatura a cuifurono sottoposti gli ebrei del ghet-to di Venezia, la stessa che ovun-que limitava la libertà di movimen-to degli ebrei, e non solo quella, èforse anche la ragione per cuil'ebraismo è l'unica religione, fraquella antiche, che non si è persaper strada. Spero se ne parli. Nonsiamo più chiusi nei ghetti, questopossiamo festeggiarlo, ma comesempre nell'ebraismo le cose nonhanno mai una lettura univoca. El'antisemitismo moderno è un ar-gomento di cui non si deve smet-tere di parlare".

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"Gli ebrei non sono più intelligenti degli altri, ma di

sicuro sono più inquieti. La precarietà assoluta, gior-

no per giorno, le espulsioni e la necessità di forgiare

un'identità che si contrapponga all'identità cristiana

dominante ha ge-

nerato nel tempo

una grande ansia,

che qualche volta

ha prodotto effet-

ti positivi".

Questo uno degli

spunti proposti da

Riccardo Calimani

in una lezione dedicata alla storia

del ghetto di Venezia dalle origini ai nostri giorni,

tema che ha affrontato in diversi libri pubblicati

negli anni, a partire dall'appena ristampato Storia

del Ghetto di Venezia, uscito originariamente nel

1985 e che ora la casa editrice Mondadori ha voluto

tornare ad offrire ai lettori.

Vita quotidiana del Ghetto

“Le cose della vita”, ritratti di ebrei

Ho concepito “Le cose della vita” come un progetto fotografico mul-timediale, in più tappe, che attraverso la narrazione degli aspetti in-dividuali di alcuni dei protagonisti delle diverse comunità ebraicheitaliane vuole arrivare a tracciare una storia corale. Ogni tappa si com-pone di una galleria di ritratti nei quali i soggetti si fanno fotografarecompletamente immersi nella loro vita di tutti i giorni, in ambienti aloro familiari e circondati dagli oggetti quotidiani. L’immagine chiededi non essere guardata passivamente, ma invita a una lettura minu-ziosa e attenta della composizione in un coinvolgente gioco di continuirichiami e rimandi fra passato e presente, fra narratore e ascoltatore.Ogni ritratto contiene sei spunti funzionali allo sviluppo di sei storiele cui tracce vengono fornite nel pannello di apertura della mostra.Si lascia poi al visitatore il gioco di decifrare le risposte nei diversiritratti, coadiuvandolo con l’inserimento di didascalie complete cheoffrono la descrizione degli oggetti/simbolo e la narrazione dei motiviper i quali sono stati scelti. A integrare le informazioni, oltre le dida-scalie scritte, accompagnano il percorso testi e approfondimenti informato audio e video e una serie di informazioni geolocalizzate.

Paolo Della Corte, fotografo

ravigliosa”, scriverà la moglie Alma,che ci regala il ritratto di un uomodalla personalità complessa in cuiritroviamo l’origine e il senso dellesue composizioni. Perché la suamusica è lo specchio della sua sto-ria identitaria; è un mosaico, in cuiciascuno può riconoscere echi dif-ferenti, dal klezmer ai linguaggi delNovecento ed è certo interessanteindividuarli e analizzarli separata-mente, ma per comprendere l’uo-mo Mahler e la sua personalità hasenso considerarli insieme, in quan-to voce di quel tassello di vita ebrai-ca nel Mitteleuropa, di relazioni trale società, di sinergie culturali.Non è un romanzo affascinante, mala biografia di un uomo del suotempo, che ci racconta un pezzofondamentale di storia dell’Europa,ovvero di tutti noi.

R. CalimaniSTORIA DEL GHETTO DI VENEZIAMondadori

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non si comprende più, una voltache l'opera è venuta al mondo".Un processo difficile, di cui scrisse:"Quale lotta, quale tortura, qualeangoscia l'accompagnano, qualefelicità perfino, quando il figlio èsano e vigoroso". Il concerto del 29 marzo prevedel'esecuzione della Sinfonia n. 1 inre maggiore detta Titano, nella suaversione definitiva in quattro mo-vimenti. Composta da "Langsam,schleppend, wie ein Naturlaut – ImAnfang sehr gemächlich"(Lento,strascicato, come un suono della

natura – All’inizio molto tranquil-lo), "Kräftig bewegt, doch nicht zuschnell" (Vigorosamente mosso manon troppo presto), "Feierlich undgemessen, ohne zu schleppen" (Solen-ne e misurato, senza strascicare) e"Stürmisch bewegt", (Tempestosa-mente agitato), secondo Henry-Louis de La Grange potrebbe pa-rialmente risalire al 1884, ma il la-voro fu compiuto tra il 1885 e ilmarzo 1888. Mahler ne diresse laprima esecuzione il 20 novembre1889 a Budapest, per poi rivederela partitura nel 1893 e correggerla

nuovamente prima di darla allestampe nel 1899 operando inter-venti decisivi nella strumentazione,ampliando l’organico e insieme al-leggerendo la scrittura. Nella edi-zione del 1906 si trovano poi ul-teriori correzioni, che non riguar-dano solo la strumentazione: laSinfonia era inizialmente in cinquemovimenti, il secondo dei quali,un Andante che portava il titolo"Blumine" fu dopo alcune incertez-ze soppresso. A proposito dellevarie modifiche effettuate nel tem-po, anche alla denominazione dei

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto"Credi che quando si ha qualcosada dire ci si possa risparmiare?".Questo rispondeva Gustav Mahlera chi si preoccupava per l'assolutadevozione alle sue stesse esigenzecreative. Assillato dal desiderio diessere ascoltato e compreso, so-vrastato da dubbi e inquietudinisulle sue composizioni così comesul mistero della creazione musi-cale stessa, era spesso tormentato.Una figura complessa e per certiaspetti controversa, quella delcompositore boemo, che non haperò fatto esitare il direttore arti-stico della Fenice Fortunato Or-tombrina nella scelta della PrimaSinfonia in Re maggiore comeapertura delle manifestazioni peril cinquecentenario dell'istituzionedel ghetto di Venezia. Una deci-sione presa in totale accordo conil direttore Omer Meir Wellbernon solo per la portata universaledi un pezzo che guarda lontano,ma anche perché "Nella prima sin-fonia oltre al rapporto con la na-tura, la musica incorpora sapori esonorità popolari che riportano al-l'idea di una Europa grande, dal-l'identità definita". Un augurio euna speranza che si mescolanocon il piacere di far risuonare nellastorica sala le note di un compo-sitore che è stato anche un grandedirettore d'opera. Molto aperto allamusica dei suoi contemporanei, daBusoni a Schönberg, amico ed esti-matore di Bruckner, di Brahms diArnold Schönberg e di RichardStrauß, nonostante una latente ri-valità, dopo essersi diplomato alConservatorio frequentò la facoltàdi Filosofia dell'Università di Vien-na. Quando componeva, general-mente d'estate durante le vacanze,per concentrarsi si rinchiudeva inuna casetta di legno - costruita nel'900 apposta per lui - dove avevaun tavolino, una sedia e uno scaf-fale dove pare trovassero posto so-lo opere di Goethe e di Kant. Di-venuta ora sede museale, la "Kom-ponierhäuschen" di Mahler, sullariva del Woerthersee, è il luogoove si isolava: non sopportava diavere nessuno intorno, al punto daavere periodi (come scrive Hen-ry-Louise De La Grange in GustavMahler, la vita, le opere, EDT) di"incantamento perpetuo" che lofacevano "vivere in un mondo aparte, interamente penetrato dalmistero della sua creazione". Diessa diceva che "Talvolta, all'insa-puta di se stessi, e attraversoun'ispirazione venuta da un altroluogo, si costruisce qualcosa che

“Là dove dominano oscure sensazioni”Fra tormento e inquietudini, il cuore ferito di Gustav Mahler

Piera Di Segni

“È un progetto di gruppo, non èla visione di un singolo artista: stia-mo condividendo le nostre idee ei nostri pensieri, lavoriamo tutti in-sieme e il risultato sarà opera diuna squadra che collabora su tut-to”. Spiegava così qualche mese faa Sorgente di vita Jacqueline Ni-cholls, artista inglese coordinatricedel progetto “Nuova Haggadah”di Venezia, ideato da Beit Venezia– Casa della Cultura Ebraica, unadelle tante iniziative promosse peril Cinquecentenario del ghetto.All’iniziativa è dedicato il serviziotelevisivo “Artisti in campo”, an-dato in onda su Raidue il 1 no-vembre 2015 e reperibile sul sitowww.rai.tv , un archivio nel qualesi possono trovare le puntate apartire dal 2009. Otto artisti di va-ria provenienza, Belgio, Gran Bre-tagna, Svezia, Stati Uniti e Israele,che non si conoscevano prima, so-no stati insieme per tre settimane:hanno visitato la città, il ghetto, ilmuseo ebraico e le sinagoghe. Gi-rando per calli e campielli, su e giùsui ponti e lungo i canali, circon-dati da meravigliose opere d’arte,dentro e fuori dal ghetto, gli autorihanno colto tante suggestioni. Epoi si sono messi all’opera. Li ab-biamo ripresi durante una giornatadi lavoro, ospiti della Scuola In-ternazionale di Grafica: prima glischizzi e i disegni, poi l’incisionee le prove di stampa. A loro di-sposizione la tradizione, il mestieree i macchinari della prestigiosa se-

de. “Ci sono torchi per tutte le tec-niche di stampa d’arte, sono i com-puter del Rinascimento. Abbiamoquelli per la xilografia, per la lito-grafia e la serigrafia. Il nostro è unospazio in cui vengono stampatorie incisori da tutto il mondo” spie-

gava il direttore della scuola Lo-renzo De Castro. L’ispirazione perla nuova opera viene da un’anticaHaggadah stampata proprio a Ve-nezia nel 1609. Diceva HillelSmith, uno degli artisti “Io illustro‘Ma nishtanà’ la domanda che po-

ne il figlio più piccolo all'inizio delseder di Pesach e che vuol dire:‘perché questa sera è diversa dallealtre sere?’ Per dare questa sensa-zione di diversità, di cose strane einusuali, per catturare questa me-raviglia del bambino, ho disegnato

Venezia, le immagini della vita

u Al progetto “Nuova Haggadah”

di Venezia, ideato da Beit Venezia

- Casa della Cultura Ebraica, è

dedicato “Artisti in Campo”, uno

dei tanti servizi televisivi che

Sorgente di Vita ha trasmesso

sulla città lagunare, da cui sono

tratte le immagini in alto.

A sinistra lo scrittore e saggista

veneziano Riccardo Calimani, che

ha tra altre cose raccontato le

origini del suo cognome.

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singoli movimenti, lo stesso Ma-hler scrisse a Max Marschalk nelmarzo 1896: "Il titolo (Titan) e ilprogramma hanno la loro ragione:a suo tempo i miei amici mi in-dussero a stendere una sorta diprogramma per facilitare la com-prensione della Sinfonia. Solo inun secondo momento, dunque,avevo trovato i titoli e le spiega-zioni. Se questa volta li ho trala-sciati non è solo perché li consi-dero del tutto insufficienti, anzi,neppure appropriati, ma perchého fatto l'esperienza degli errori aiquali inducono il pubblico. Ma ècosì con ogni programma! Mi cre-da, anche le sinfonie di Beethovenhanno il loro programma interiore,e con la più approfondita cono-scenza di tali opere cresce anche

la comprensione del giusto per-corso delle idee e del sentimento.Così sarà alla fine anche per le mieopere. A dire il vero, a propositodel terzo movimento (Marcia fu-nebre) c’è il fatto che ho avuto lostimolo esterno dalla nota imma-gine infantile (Il funerale del caccia-tore). Ma in questa pagina è irrile-vante ciò che viene rappresentato,importa soltanto il clima espressivoche si deve definire, e dal qualepoi d'un tratto, come il fulmine dauna nuvola nera, erompe il quartotempo. È semplicemente il gridodi un cuore ferito nel profondo,preceduto dall’afa greve della mar-cia funebre, ironica e sinistra. Iro-nica nel senso della eironeia di Ari-stotele". Qualche giorno dopo, in-dotto a ulteriori precisazioni, scris-

se: "In quanto a me, so che nonfarei certo musica sulla mia espe-rienza finché la posso riassumerein parole. La mia esigenza di espri-mermi musicalmente, sinfonica-mente, inizia solo là dove domi-nano le oscure sensazioni, sulla so-glia che conduce all''altro mondo',il mondo in cui le cose non siscompongono più nel tempo enello spazio. Come trovo banaleinventare musica su un program-ma, così considero insoddisfacentee sterile voler dare un programmaa un'opera musicale. Con ciò noncambia il fatto che l'occasione perun’immagine musicale è certamen-te un’esperienza dell’autore, dun-que pur sempre qualcosa di abba-stanza concreto per essere rivestitodi parole".

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SORGENTE DI VITA

Sorgente di Vita è la rubrica di vitae cultura ebraica di Raidue a curadell’Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane. In ogni puntata ci sonoservizi su vari argomenti: feste etradizioni ebraiche, vita familiare edelle comunità, cultura e spettacoli,storia e società in Italia, in Israele,nel mondo, profili di personaggi,attualità. Si realizzano anche pun-tate monografiche o reportage sutemi particolari. La rubrica nascedalla collaborazione tra la redazionedell’Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane, che cura i contenuti,e quella della Rai che si occupa dellarealizzazione tecnico-artistica delprogramma. Sorgente di vita va inonda ogni due domeniche, in al-ternanza con Protestantesimo alleore 1,20 circa. Ha due repliche: illunedì successivo, più o meno allastessa ora, e il lunedì della settima-na dopo alle 7,30 del mattino. Per informazioni:[email protected]

le lettere ebraiche di ‘ma nishtanà’come le case dell'architettura ve-neziana”. Il risultato finale: 25 ac-queforti, tante tavole delle stessedimensioni, per illustrare il libroche si legge durante il seder di Pe-sach. Un altro servizio di Sorgente

di vita pubblicato sul sitowww.rai.tv legato ai temi del Cin-quecentenario è “Il ghetto in cam-po” realizzato in occasione dellaGiornata Europea della CulturaEbraica e andato in onda il 26 ago-sto 2012. Un itinerario attraverso

i luoghi della Venezia ebraica gui-dato da alcuni esponenti della co-munità: dal Campo di Ghetto Vec-chio a quello di Ghetto Novo, tantiscorci suggestivi per raccontarecinque secoli di storia e di arte.Scorrono le immagini delle stu-

pende sinagoghe, l’antica Scola te-desca, gioiello di architettura cin-quecentesca, la piccola cupola del-la scola Canton, i tendaggi rossidelle Scole sefardite, la semplicitàdella Scola italiana. Un patrimonioartistico che racconta l’attaccamen-to alla tradizione, alla cultura e laresistenza identitaria degli ebreiveneziani nonostante la costrizionenel ghetto. Sempre sul web si puòtrovare un profilo del noto saggistae scrittore veneziano, Riccardo Ca-limani, dal titolo “Pagine di storia”,in onda il 29 giugno 2014. “Il co-gnome della mia famiglia nasce daCalonimos, che in greco vuol dire‘buon nome’. In latino diventa ‘Ca-limanus’, il figlio di ‘Calimanus’ sichiama ‘Calimani’. La famiglia èarrivata in Italia nei primi secolidell’era volgare, poi dopo varie pe-regrinazioni nel ‘500 sono arrivatia Venezia”: la storia di un’anticafamiglia ebraica si intreccia conquella del ghetto di Venezia. Unavicenda che Calimani ha appro-fondito nei suoi libri di divulgazio-ne storica e che ha ispirato alcuniromanzi, come racconta nel ser-vizio di Sorgente di vita a lui de-dicato.

u “Il ghetto in campo” è il titolo

del servizio realizzato da

Sorgente di vita in occasione

della Giornata Europea della

Cultura Ebraica di alcuni anni

addietro. I luoghi della Venezia

ebraica raccontati da alcuni

esponenti della comunità che

hanno guidato la troupe

attraverso cinque secoli di storia

e di arte fra tradizioni, cultura e

identità.

u Sopra e a sinistra due fra gli otto artisti che per tre settimane hanno visitato ghetto, città, museo ebraico e

sinagoghe girando fra calli e campielli per cogliere le tante suggestioni messe poi nell’opera collettiva.

u La "Komponierhäuschen" di Mahler, sulla riva del Woerthersee, è il

luogo dove Gustav Mahler si isolava per comporre. Nella costruzione -

costruita nel '900 apposta per lui - avevano posto un tavolino, una sedia

e uno scaffale con opere di Goethe e di Kant.

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto

ú–– Michael Calimani

In principio furono gli ebrei tede-schi e quelli italiani che abitavanonelle zone limitrofe di Venezia, poigli spagnoli e infine i levantini.Una popolazione che al suo piccomassimo raggiunse i 5000 indivi-dui concentrati in uno stretto spa-zio vitale. Questo è il Ghetto diVenezia, un luogo concepito comestrumento di controllo sociale dal-la Serenissima e poi di fatto dive-nuto, con tutti i limiti del caso,luogo di incontro tra popoli e cul-ture. Un laboratorio sperimentale

di genti dalle origini e tradizionidiverse che, proprio nello storicocrocevia fra Oriente e Occidente,dovettero imparare a conviverescendendo spesso a compromessiper affrontare unitamente le con-dizioni ostili in cui versavano.Da questa fucina multiculturalenella segregazione emersero per-sonaggi decisamente singolari: Le-on da Modena in primis, rabbinobrillante che giocava a dadi, cheoltre a scrivere libri dissipò enormi

quantità di denaro. Simone Luz-zatto, prominente rabbino e stra-ordinario polemista, che in un mo-mento di crisi scrisse un testo adifesa dell'importanza economicadegli ebrei a Venezia, facendo rien-trare un’espulsione ormai annun-ciata. Infine Sara Copio Sullampoetessa e figura singolare cheospitò nel suo salotto letterarionobili veneziani e che a causa delsuo anticonformismo fu accusatadi aver negato l’immortalità del-

l’anima. Un mosaico di esperienzepersonali e condivise che per se-coli attraversarono e si intreccia-rono alla storia della Serenissimaben oltre quelle porte entro le qua-li erano rinchiuse.A distanza di 500 anni ci si inter-roga ora se del Ghetto degli ebreisia rimasto solo un museo a cieloaperto o se persistano ancora leradici di quello spirito identitarioche Simone Luzzatto definiva“l’identità dell’essenzialità”.

“Un quesito di non facile soluzio-ne” ammette Rav Scialom Bah-bout, rabbino capo della Comu-nità ebraica di Venezia da menodi due anni, ma che all’apparir delvero conosce profondamente leconsuetudini e le persone che dasempre hanno caratterizzato il mi-crocosmo dell’ebraismo veneziano.

Quest’anno il 29 marzo 2016 saran-

no 500 anni dal giorno in cui venne

istituito il Ghetto di Venezia. Quali

Rav Bahbout: “La società deve interrogarsi”

ú–– Paolo Gnignatipresidente della Comunitàebraica di Venezia

La premessa d’obbligo ad ogni di-scorso sulla ricorrenza dei 500 annidalla istituzione, il 29 marzo 1516,da parte della Serenissima Repub-blica, del Ghetto di Venezia comeluogo di dimora coatta degli Ebrei,è che si tratta non certo di una ce-lebrazione, bensì di una data chenon è possibile, tanto in una pro-spettiva ebraica che civile, lasciarpassare inosservata. Non si tratta diuna celebrazione per l’ovvia ragioneche non è certo da celebrare la con-

dizione di clausura in cui gli Ebreivennero costretti a vivere subendouna serie di gravosissime restrizionipersonali. Tanto meno è da celebra-re il fatto che a partire dal ‘500 iltermine Ghetto venga usato anchedai Papi per individuare il luogo incui gli Ebrei sono rinchiusi nei ter-ritori dello Stato della Chiesa, assu-mendo progressivamente il signifi-cato universale di luogo di segrega-zione e discriminazione, immaginee sinonimo di esclusione e minorità.L’anniversario vuole ricordare che i

nostri antenati riuscirono a rendereil Ghetto un luogo di sviluppo dellaTradizione ebraica e un croceviaculturale dove ebrei di diverse pro-venienze costruirono splendide Si-nagoghe, fecero stampare per primiil Talmud e molti altri libri e sepperoindomitamente, nei secoli, sino al-l’abbattimento dei portoni del Ghet-to, mantenere una propria forteidentità. Sottolineare i 500 anni del-l’istituzione del Ghetto vuol diregettare un ponte verso un futuro incui il Ghetto continui ad essere un

centro dell’identità ebraica, idealeluogo di incontro di ebrei delle piùdiverse provenienze e quindi di co-struzione di vita e cultura ebraica.Il Ghetto, simbolo di esclusione, inuna prospettiva rovesciata divieneil simbolo di una minoranza che hasaputo preservare la propria identitàculturale e che ha saputo dialogaree influenzare con la propria culturala società circostante, divenendouno degli elementi determinantidell’emergere dei principi su cui sibasa quella che ci auguriamo possa

essere oggi una condivisa identitàculturale europea. Diviene il simbolodi una Tradizione ebraica capace diesprimere una cultura che, basatasu principi di autolimitazione, diascolto, di tolleranza, di rispetto del-la vita, sa mettersi in relazione conla società circostante, superare le re-strizioni imposte e quindi divenireil simbolo della libertà che si con-quista attraverso l’affermazione diquesti principi. È formidabile il messaggio che pos-siamo veicolare nella società attuale,quello di un’incrollabile fiducia nel-l’uomo, essenziale per affrontarel’oggi e il futuro.

Il cinquecentesimo anniversario del Ghetto

di Venezia, il più antico al mondo, segna

uno spartiacque di consapevolezza fonda-

mentale. Si tratta infatti di un'occasione,

davvero unica, per approfondire una sto-

ria secolare che parla la lingua amara della

negazione, della sopraffazione e del di-

sprezzo. E soltanto molto dopo - con l'ab-

battimento di mura e cancelli - quella dol-

ce del riscatto e della libertà.

Il Ghetto è il paradigma dell'esclusione: la

sospensione del diritto, il rifiuto estremo

dell'Altro. Come ci insegna la Storia, è un

atteggiamento che viene sempre pagato

a caro prezzo. E a pagare non sono soltan-

to le comunità perseguitate, ma anche

quelle società che - istituendo i ghetti, ser-

randone convintamente le porte - finisco-

no per incamminarsi verso un abisso che

ha come esito le più feroci abiezioni e bar-

barie. A provarlo sono le inquisizioni e i

pogrom dei secoli passati. O ancora, in

“A Venezia, insieme per la libertà”Un’occasione unica di conoscenza della Storia e del presente

u Fra le iniziative per i 500 anni

del Ghetto vi è anche la mostra

fotografica “A mayse mit… si

narra una storia”, un progetto

crossmediale a cura di Paolo della

Corte e Serena Guidobaldi che

attraverso la narrazione delle

vicende personali vuole tracciare

la storia corale del contributo alla

cultura, alla vita intellettuale e

all’arte del nostro Paese dovuto

alla presenza in Italia della

millenaria minoranza ebraica tra

legami, scambi e interazioni con

la società circostante. Fra i primi

ad aderire il rav Scialom Bahbout,

rabbino capo della Comunità

veneziana (foto a sinistra). A

destra il Campo del Gheto Nuovo

visto dall’alto. Per info

www.amaysemit.wordpress.com

“La nostra incrollabile fiducia”

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sono i motivi secondo lei che ci

spingono a ricordare questa ricor-

renza?

Gli ebrei hanno sempre conside-rato la memoria un elemento fon-damentale, nei secoli hanno di si-curo ricordato gli eventi positivie ancor più quelli negativi. Il ter-mine Zakhor, ricorda, è un impe-rativo e tale memoria deve esserescolpita nel nostro cuore. In ognicaso la nascita del Ghetto è unproblema esterno al mondo ebrai-co e non degli ebrei.

Cosa intende dicendo che è più un

problema esterno?

È un problema della società civileche dovrebbe interrogarsi sul per-ché si è deciso di rinchiudere gliebrei nel Ghetto, di prendere dellepersone e di rinchiuderle in unserraglio limitando la loro auto-nomia. Gli ebrei hanno sempre volutomantenere la propria identità,espressa però nella libertà e nonnell’isolamento. Gli anticorpi nonsono ancora ben sviluppati e pri-ma che possano essere ripropostesoluzioni simili sarà meglio fareun’attenta riflessione. In questo il

ricordo della nascita del primoGhetto può essere fondamentale.

Come è stato affrontato nei secoli

dal mondo ebraico il problema del-

la separazione?

I quartieri ebraici, le giudecche,sono sempre esistiti, nel meridionead esempio erano presenti da pri-ma del ‘500, quartieri dove gliebrei si riunivano spontaneamentein libertà e dove non esistevanomura a isolarli dalla società circo-stante. Il ghetto è stata un espe-rienza obbligata che di certo nonha aiutato il con-

ú–– Luca ZaiaGovernatore del Veneto

La presenza degli ebrei nel terri-torio di quella che sarebbe diven-tata la Repubblica Veneta, grandecentro mercantile a cavallo traoriente e occidente, risale a parec-chi secoli fa. Con il passare deltempo gli ebrei sarebbero diventatia Venezia un nucleo considerevolee accreditato. È del 1516 il decretocon cui la Serenissima sentì il bi-sogno di dare organizzazione alla

presenza ebraica e dispose che tuttidovessero risiedere in una sola zo-na della città. A Venezia nacquecosì il primo Ghetto d'Europa,dando origine al termine che oggiviene usato per indicare luoghi eforme di emarginazione. Ma ilGhetto a Venezia è stato pure luo-go di prestigiosa elaborazione cul-turale. Il fiorire della stamperia inebraico, ad esempio, con le sueedizioni contribuì a rendere Vene-zia il più importante centro edito-riale d'Europa e distinse la città la-gunare nel contesto culturale ebrai-co dell’epoca. Anche oggi il Ghet-to veneziano non è solo luogo dimemoria ma crogiolo di attivitàrivolte alla promozione della cul-tura, della storia e della tradizioneebraica. Quella di Venezia è una comunitàebraica vivace sul piano culturale,punto di riferimento per la ricchez-za e lo spessore delle iniziative chevengono realizzate. Passato e pre-sente si fondono insieme scanditi

da una transizione fatta di storia,arte e cultura.Quest’anno ricorre il Cinquecen-tenario della nascita del Ghetto.Una ricorrenza che va colta comeoccasione per approfondire e co-noscere il patrimonio storico, ar-tistico, letterario, filosofico, religio-so che lo caratterizza. Il Ghettoebraico, nel 2016, sarà al centro dimanifestazioni e iniziative che af-fronteranno temi di interesse in-ternazionale, nazionale, cittadino,prendendo spunto dalla storiaebraica veneziana. Con la comu-nità ebraica c’è sempre stata unaintensa collaborazione, nel 2012la mostra itinerante “Gli Ebrei aVenezia 1938-1945. Una Comunitàtra persecuzione e rinascita” ha vo-luto essere un gesto di grande at-tenzione per un’esperienza storicache non deve essere relegata nelpassato ma di monito in ogni tem-po. Nella storia del Ghetto di Veneziasi riflette in larga misura la storiadi Venezia che fa emergere anchela forza e il coraggio di una comu-nità a cui la storia della Repubblicaveneta deve tantissimo. Spero cheil ricordo degli eventi storici cheaccompagnarono la vita del Ghet-to di Venezia serva a farci rifletteresu quanto avviene intorno a noiancora oggi.

tempi più recenti, i diversi stadi della ca-

tena persecutoria forgiata dal nazifasci-

smo. Se i Ghetti nazisti poterono funzio-

nare in modo così efficace, almeno dal

punto di vista dei loro fautori, è perché

gli stessi vollero ispirarsi in tutto e per

tutto a quell'infamia varata ed entusiasti-

camente affinata molte generazioni prima

da papi, capi di governo, dogi e ammini-

stratori locali.

Interrogarsi sul Ghetto, e in particolare su

quello di Venezia, significa anche appro-

fondire il tema della resilienza. E cioè della

capacità umana di adattarsi alle situazione

più complesse e di superare traumi e osta-

coli. Gli ebrei veneziani costituiscono uno

straordinario esempio in questo senso e

la loro altissima testimonianza intellet-

tuale, culturale e religiosa nei secoli del-

l'esclusione è prova di un amore per la vita

e per questa città più forte di ogni avver-

sità. Per le ragioni precedentemente elen-

cate sarebbe tuttavia fuorviante vedere

in questo anniversario una festa, la gioiosa

e retorica celebrazione del raggiungimen-

to di un traguardo. Obiettivo degli orga-

nizzatori, degli amici della Comunità ebrai-

ca veneziana e del qualificato gruppo di

lavoro che ha elaborato un programma

articolato e di altissimo livello, è invece

quello di farne un nuovo punto di parten-

za per ragionare attorno a quelle vicende

e all'attualità della loro lezione in una plu-

ralità di linguaggi ed espressioni culturali

adatta a un pubblico ampio.

Una grande occasione di conoscenza che

– sono certo – non sarà sprecata.

Renzo Gattegna

Presidente dell’Unione delle Comunità

Ebraiche Italiane

ú–– Luigi BrugnaroSindaco di Venezia

L'istituzione del Ghetto, volutadalla Repubblica di Venezia 500anni fa a seguito dell'aumentatoafflusso di ebrei in fuga dalle guerredella Lega di Cambrai, non fu cer-to un gesto di inclusione: nono-stante gli assidui, anche se alterni,rapporti con la città, la vita degliebrei all'interno di questa zona cir-condata da canali e con pochipunti di accesso, era rigidamentenormata. La serai cancelli veniva-no chiusi e solodi giorno si pote-va uscire, ma conun segno distin-tivo che facilitas-se immediata-mente l'identifi-cazione. In cambio la popolazioneebraica aveva libertà di culto (equindi di costruire i propri templie pregare sui propri libri...) e pro-tezione in cambio di guerra.Fu quindi un'emarginazione coatta,ma attraverso di essa si preserva-rono al meglio i valori di un'iden-tità che ha saputo creare e custo-dire un importante patrimonio sto-rico artistico e un isolamento chein realtà non impedì, in momentidiversi, frequenti e proficui contatti

e rapporti tra eruditi ebrei e intel-lettuali cristiani .Con la caduta della Repubblica el'avvento di Napoleone gli ebreidiventarono cittadini a pieno titolo,come tutti gli altri, e il risiedere nelGhetto non fu più un obbligo. Leabitazioni nel Ghetto furono pro-gressivamente abbandonate da chipoteva permettersi un'abitazionealtrove e il quartiere, nella primametà del '900, si configurava comeuna zona degradata. La sua riscoperta e la presa d'atto

del suo enor-me valoreurbanistico estorico-arti-stico, dopogli anni buidelle perse-cuzioni raz-ziali e delle

deportazioni che anche a Veneziafecero molte vittime, è cosa rela-tivamente recente.Oggi il Ghetto è uno dei luoghipiù noti e tra i più visitati della cit-tà, che è fiera di quanto è stato fat-to e di quanto ancora si farà perdiffondere la storia, il patrimonio,le tradizioni degli ebrei nostri con-cittadini in un'ottica di rispetto,tolleranza e inclusione che esten-diamo a tutti gli abitanti delle Cittàdi Venezia.

Luogo di inclusioneCultura e storia prestigiosa

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto

La storia dell’ebraismo è costellatadi tormenti e persecuzioni a ca-denza regolare. La Shoah ne è sta-ta il culmine atroce. Il popoloebraico ha rafforzato la propriaidentità anche (non certo soltanto!)esercitando la memoria del pre-giudizio e della discriminazione dicui è stato oggetto nei secoli. Noncredo che un’altra cultura, oltrealla nostra, abbia puntato tanto sul-la memoria. La nostra non è maicelebrazione, ossia atto di esalta-zione o glorificazione. È invece ilritrovarsi insieme nell’atto dico(m)-memorazione, l’unirsi nelricordo che di norma, ove nel caso,si conclude con un kaddish.L’istituzione del primo ghetto for-male della storia costringe a rifles-sioni di vario genere. Non si tratta,in effetti, del primo ghetto in as-soluto. In Marocco c’erano le mel-lah, a Tunisi la hira, che in Algeriasi chiamava harrah, e al Cairo ha-rat al yahud; in Spagna juderìa.Nessuno si è mai sognato di direo di pensare che l’isolamento, lasegregazione, fossero un privilegiodi cui andare lieti e fieri, qualcosada festeggiare con concerti e beidiscorsi di inaugurazione. Nessunoha mai pensato che vivere in po-sizione subalterna fosse una chan-ce, una porta aperta sulla stradadel successo e della gioia. Solo acerti storici in cerca di originalità,cui non dispiace il revisionismo ela decontestualizzazione, solo a lo-ro piace far credere che gli ebreidel 1500 e del 1600 e del 1700 fos-sero lieti di vivere come vivevanoe di essere trattati come erano trat-tati. Ora, è vero che il Ghetto diVenezia non era il Ghetto di Ro-ma. Non c’era la beneamata in-fluenza del Papa, innanzitutto, el’illuminata Repubblica Serenissimateneva alla sua indipendenza po-litica e alla sua moderazione reli-giosa. C’era tuttavia un’Inquisizioneoperante. E gli ebrei, dentro alGhetto, erano dei paria, residentistranieri senza diritto di cittadi-nanza, accettati finché ritenuti utili,

ricattabili a scadenza regolare,sempre a rischio di cacciata, senzapoter rivendicare alcun diritto,tranne quello di pagare laute tasse.Gente ammassata in un’area ridot-ta, costretta a una promiscuità ta-lora indecente e indecorosa che –se volessimo anche noi rileggerela storia con gli occhi di oggi – de-finiremmo bestiale.Questo fenomeno di degradazionedell’ebreo che è stato il Ghetto diVenezia non può essere conside-rato un ‘meno peggio’; non si pos-sono considerare soltanto le puntedell’iceberg, le eccellenze culturalidi pochi – Elia Levita, Leon Mo-dena, Simone Luzzatto – o le ric-chezze di alcuni eletti gruppi fa-miliari. Ricordarsi di loro ed esal-tare un’epoca significa dimenticar-si, come fa spesso la storia, le mol-titudini che hanno sofferto e patito,che hanno vissuto la loro unicapossibilità di vita avvilite nell’abie-zione. Ben peggio dei loro con-temporanei non ebrei.Sull’istituzione del ghetto e sullavita che vi si condusse o sulle ac-quisizioni culturali che vi ebberoluogo, si possono organizzare con-vegni e seminari, confronti e di-battiti. Non eventi clamorosi cherischino di essere vissuti, da chi liorganizza e da chi ne fruisce, comegioiose apoteosi di una storia checon la realtà ha ben poco a che

fare. Quando le porte del Ghettofurono chiuse, non era poi cosìlontano il ricordo dei tre ebrei diPorto Buffolè che nel 1480 furonocondannati e bruciati in Piazza S.Marco, per il solito presunto omi-cidio rituale. Non era ancora ghet-to, ma era già Ghetto. Su un gradino dell’Aron haKodeshdella Scola Canton, in Ghetto

Nuovo, è inciso il ricordo di Mor-dechai ben Menachem Baldosa,un ebreo assassinato, “scannatocome un capretto”, nel 1672. Unebreo che non ha certamente avu-to giustizia, perché la giustizia pergli ebrei non era forse propriamen-te contemplata. Sarebbe bello eappropriato che, nella mente dichi celebrerà con concerti, mostre

e rappresentazioni la chiusura delGhetto nel 1516, ci fosse quell’epi-grafe e quell’incidente, a simbolodi tutti i diritti che la storia e lacultura occidentale hanno negatoa un intero popolo. E che qualcu-no, per i tre di Porto Buffolé, perMordechai Baldosa e per gli altridi cui forse non ricordiamo e nonsappiamo, recitasse un kaddish.

L’occasione giusta per ricordare i diritti negatiUna storia costellata di tormenti e di persecuzioni, che ha rafforzato l’identità ebraica

ú–– Dario Calimanianglista

fronto con il mondo esterno. Dicerto l’esperienza del ghetto di Ro-ma fu una realtà più feroce rispettoa quello di Venezia dove moltedelle imposizioni paventate nonvennero messe in pratica e dovele continue minacce di espulsionenon vennero mai messe in atto ve-ramente.

C’è da ricordare poi che il ghetto

durante la giornata era in continuo

fermento, un crocevia di interessi

commerciali e culturali.

La reazione migliore fu quella disviluppare le proprie risorse pecu-liari aprendosi al mondo nono-stante la segregazione. Mercanti,poeti, letterati e figure di spiccoche influirono sul sentire della so-cietà esterna al Ghetto e che die-dero un contributo cruciale allacultura ebraica mondiale, si pensisolamente al peso che ebbe l’edi-

toria veneziana nella produzionedei testi ebraici.

Un’editoria in ebraico più che

ebraica visto che nella realtà un

ebreo non poteva propriamente

stampare i libri, ma solo collabora-

re alla loro realizzazione.

I grandi stampatori veneziani, daBragadin a Giustinian, si avvale-vano di correttori di bozze e cu-ratori di testi ebrei e si contende-vano il diritto di stampare i testifondamentali della tradizioneebraica. Venezia è conosciuta nelmondo ebraico proprio per laquantità di libri in ebraico stam-pati. Si pensi al Talmud di Geru-salemme e alla struttura attualedel Talmud babilonese, con il testodella Mishnà al centro e i com-mentari ai lati, che fu realizzataper la prima volta dal tipografoDaniel Bomberg agli inizi del ‘500proprio a Venezia.

Cinquecento anni di separazione

che hanno però unito diverse tra-

dizioni ed ebrei provenienti da re-

altà culturali agli antipodi.

Gli ebrei per motivi spesso praticihanno fatto sempre di necessitàvirtù, hanno cercato di trovare ciòche poteva unirli senza lasciarsivincere dallo sconforto. Di certole differenti nationi del Ghetto era-no diverse per lingua, costumi econdizioni economiche. Da unaparte i tedeschi e gli italiani deditiai banchi di pegno e alla strazzariadall’altra i ponentini e i levantinigrandi mercanti internazionali.L’elemento religioso li accomuna-va, ma per molto tempo, fino allanascita del giudaico-veneziano,mantennero le loro lingue di ori-gine: l’yiddish, il ladino. Si puòdire che da un certo punto di vistail Ghetto ha però rappresentatoun’esperienza che ha permesso laconservazione dell’identità ebraica

u Il governo della Repubblica, con

decreto del 29 marzo 1516, stabilì

che gli ebrei dovessero abitare

tutti in una sola zona della città,

nell'area dove anticamente erano

situate le fonderie, "geti" in

veneziano.

I primi ebrei a uniformarsi al

decreto provenivano dall'Europa

centro-orientale, e fu proprio a

causa della loro pronuncia

(secondo una non documentata

tradizione lagunare) che il

termine veneziano "geto" venne

storpiato in "gheto" originando il

termine che oggi viene usato per

indicare diversi luoghi di

emarginazione.

Il "Gheto" veniva chiuso durante

la notte, mentre custodi cristiani

percorrevano in barca i canali

circostanti per impedire eventuali

sortite notturne.

BAHBOUT da P11 /

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La data del 29 marzo 1516 è unmomento forte nella storia ebraicanel suo complesso. Il decreto delSenato della Repubblica Veneta chedestinava agli ebrei una porzionedella città, nella contrada di SanGirolamo - sede in precedenza diuna fonderia semi-abbandonata(“geto”) - costituiva un tornante si-gnificativo per la vita di tutti gliebrei, non solo veneziani. Questoperché, dopo tante espulsioni oconversioni forzate - in analogiacon quanto avvenuto nella città la-gunare - da allora un po’ dapper-tutto, nei paesi del Mediterraneo,si moltiplicarono i “Ghetti” che da-vano asilo a quanti erano obbligatia risiedere in una ben precisa zonarecintata della città. Anche in precedenza, a Veneziaavevano abitato ebrei, ma l’ammis-sione di residenti ebrei era statasempre contrastata, sia da parte del-le autorità religiose (sempre attentea proteggere dalla contaminazionei loro fedeli) sia da parte dei patrizi,che desideravano custodire il mer-

cato di Rialto da potenziali con-correnti. In passato, nel periodomedievale – comunque - qualsiasiraggruppamento ebraico dovevaessere di piccole proporzioni equanto mai provvisorio. Dal 29marzo 1516, invece, un qualcheprecario equilibrio tra due forzecontrastanti si era venuto a rag-giungere, tra una via di accesso piùo meno stabile per gli ebrei a Ve-nezia, e una recinzione che li te-nesse all’esterno della città. Da allora, sino all’abbattimento nelluglio 1797 dei portoni che limita-vano l’accesso al quartiere e sinoall’innalzamento di un albero dellalibertà, simbolo della Rivoluzionefrancese, il Ghetto - nato come spa-zio di segregazione e di umiliantediscriminazione - apparteneva agliebrei che ne fecero un microcosmoquanto mai colorato per la varietàdelle mercanzie e dei banchi chevi avevano sede, spezzandone ognisenso di marginalità. E questo an-che se agli ebrei non era concessodi possedere alcuno dei suoi edifici,dovendo anzi essi pagare degli af-fitti sempre più onerosi, mano amano che le condotte venivano rin-novate, con l’obbligo di rientrarvila notte e di pagare le guardie checontrollavano i cancelli e pattuglia-vano su barche i canali. Da allora

– pur tra luci ed ombre – esso è ri-masto storicamente uno spaziopubblico ebraico, con una natura euna funzione diversa nel tempo,ma che nel tempo gli ebrei hannosaputo inventare e reinventare inun complesso equilibrio che l’am-pio affresco di Cecil Roth Gli ebreiin Venezia, nei lontani anni Trenta,ha fatto rivivere in pagine ricche dipathos e di partecipazione. La piùrecente Storia del Ghetto di Veneziadi Riccardo Calimani(tradotta in varie lin-gue e riedita da poco)ha poi raccolto il tor-tuoso cammino dellediverse Nazioni chel’hanno costituito(ognuna con i propririti e idiomi), offrendouna vivida descrizione delle lororelazioni reciproche e degli altale-nanti rapporti con il governo cit-tadino, in un insieme di storie af-fascinanti che hanno trasceso e su-perato le mura del Ghetto. Gli ebreidi Venezia hanno sempre mante-nuto infatti salde connessioni nonsolo con mercanti, rabbini, pelle-grini, medici di tutte le maggioriComunità d’occidente e d’oriente,ma anche con la popolazione ve-neziana, quando, ad esempio, nellesinagoghe era segnalata la presenzadi qualche predicatore di grido, ovi era la curiosità di assistere a festetradizionali, a concerti o spettacoli. Nei secoli, quindi, a partire dalGhetto, si è dato vita a percorsi che- intrecciandosi con altri - hannoconcretizzato negli anni il contri-buto della minoranza ebraica allaformazione dell’identità culturaleitaliana ed europea, a cominciaredal fiorire degli intensi traffici com-merciali e spirituali con i diversinuclei della diaspora, mentre l’ac-curatezza e la perizia dell’editoriaebraica veneziana rendevano famo-sa e prestigiosa in tutta Europa lasua produzione libraria (il Talmudè tuttora stampato secondo l’im-postazione iniziale di Daniel Bom-berg!). Nelle calli del Ghetto e nei suoi ca-nali ritroviamo forme e tracce checi parlano delle rotture, delle feritee delle sofferenze dei nostri antenatima che ci invitano anche a nuovipercorsi - ricchi di memorie e dirappresentazioni - che possano an-

cor oggi costituire un paradigmaper affrontare le sfide assai difficilicon cui la società odierna è chia-mata a confrontarsi, in un discorsoculturale di ampio respiro, il cui si-gnificato vada ben oltre quello diuno spazio esclusivamente ebraico,in cui né gli attori né il pubblicosono necessariamente ebrei. A par-tire dal prossimo giugno, la mostraa Palazzo Ducale, curata da Dona-tella Calabi, su Venezia, gli Ebrei e

l’Europa costituirà intal senso un evento si-gnificativo nell’illustra-zione della ricchezzadei rapporti tra ebreie società civile attra-verso materiali storicied artistici, ed elabo-razioni multimediali.

Una preziosa parziale testimonian-za di tale ricchezza è il volume, ap-pena uscito, di Umberto Fortis suL’attività letteraria nel Ghetto –Vene-zia 1550-1650 attraverso le figuredi rabbini come Leon Modena oSimone Luzzatto, o di poeti comeSalomon Usque o Sara Copio Sul-lam. Nel corso del 19esimo secolo (edurante i primi decenni del 20esi-mo) il Ghetto si veniva a spopolareprogressivamente degli ebrei, peruna sorta di ambivalenza di questiverso un quartiere sentito solo co-me simbolo di indigenza e segre-gazione, preferendo essi trasferirsiin zone più centrali e ritornarvi in-vece solo in occasione delle prin-cipali festività, come ci illustra Si-mon Levis Sullam in Una comunitàimmaginata. Gli ebrei a Venezia(1900-1938). E la zona ebraica re-stava degradata anche sul piano ar-chitettonico e urbanistico, tanto danon comparire per lungo temponelle guide e negli itinerari turistici.Solo verso la metà degli anni Set-tanta la sede della Comunità, l’uf-ficio del presidente e il Centro so-ciale e culturale ritornarono nelGhetto, anche se nel frattempo lapopolazione ebraica ivi residentesi era assai assottigliata, mentre ivisitatori vi giungevano in misurasempre crescente da ogni parte delmondo. Vengono poste sulle muradel campo di Ghetto Nuovo delleformelle in bronzo, monumento diArbit Blatas ispirato alle vicendedelle deportazioni (che anche nella

città lagunare hanno visto la tragicascomparsa di oltre 240 ebrei). Difronte a tali radicali mutamenti, lacittà, lo Stato, i Comitati interna-zionali di raccolta fondi hanno ma-nifestato il loro interesse, sostenen-do anche in concreto un’opera disalvaguardia monumentale, che ve-de attualmente impegnato – al dilà dell’Atlantico – il Venitian Heri-tage secondo un progetto redattosu incarico dell’Unesco. Il Museo ebraico (il cui nucleo ori-ginario risale agli anni Cinquanta),dove - con oggetti rituali e arazzi- viene illustrata la storia e la quo-tidianità della Keillà, potrà avereuna nuova vita più consona alle at-tuali metodologie espositive. E l’im-portante Biblioteca-Archivio che –accanto a preziosi manoscritti - rac-coglie migliaia di libri antichi, potràessere meglio valorizzata e integratanei percorsi museali. La riaperturarecente di un ristorante casher po-trà a sua volta offrire una felice ri-visitazione di proposte culinariedalle più diverse origini. Il Ghetto- secondo le parole del filosofoMassimo Cacciari, già sindaco dellacittà - potrà divenire così uno dei‘luoghi’ emblematici di Venezia, unsuo topos che continuamente ci in-terroga e ci “provoca” in ciò anchefavoriti anche dall’afflusso massicciodi turisti che - nell’ambito di uncrescente interesse culturale per ilmondo ebraico in genere - vi giun-gono da ogni parte, attratti dallesue antiche sinagoghe e dalle suepietre silenziose che - magicamente- rendono visibili alcuni passaggifondamentali della cultura biblicae talmudica, della tradizione caba-listica e della storia ebraica in ge-nerale. La giornata del 29 marzo 2016 -che verrà ricordata alla Fenice dallostorico della Columbia UniversitySimon Schama, dando voce ad al-cuni aspetti salienti della storia delGhetto prima dell’esecuzione dimusiche di Mahler sotto la dire-zione dal Maestro Omer Meir Wel-lber – potrà essere così l’appunta-mento iniziale di una serie di eventiche – dall’integrazione delle vec-chie, multiformi radici in parte ta-gliate, in parte conservate – pos-sano ispirare prospettive nuoveche, da un centro rinnovato - at-traverso la reinvenzione di itinerariculturali e spirituali molteplici – ri-diano corpo e futuro a una comu-nità piccola ma ricca di storia, ingrado comunque di affrontare condeterminazione le difficoltà e le sfi-de dell’oggi.

ú–– Enrico Levispsicoterapeuta

Il gh

etto

di V

enez

ia -

500

anni

di v

ita

Un microcosmo vivo e coloratoLe vecchie e multiformi radici possono ispirare prospettive nuove

per quegli ebrei sparsi per il mon-do a rischio di assimilazione.

Esempio di questa commistione ri-

sulta essere il minhag veneziano.

Di certo il minhag veneziano(complesso di liturgie sinagogali)è unico al mondo: un insieme diinfluenze provenienti dalle singolenazioni del Ghetto, riti diversi sucome ordinare le singole preghieree arie di provenienza prima ashke-nazita poi sefardita con influenzeitaliane. Difficile identificare le spe-cifiche contaminazioni, sarebbeperò interessante avviare uno stu-dio approfondito in merito.

Quali benefici auspica che portino

i 500 anni del Ghetto alla Comunità

ebraica di Venezia?

La Comunità di Venezia è già unarealtà internazionale. Dobbiamocaptare maggiormente il turismoculturale ebraico rendendo il ghet-

to un centro vitale di studi sul-l’ebraismo.Oggi la massa critica è determi-nata dal turismo mordi e fuggi chevisita le sinagoghe, il museo ebrai-co, magari viene al tempio a Shab-bat. Dobbiamo diventare una co-munità luogo di studio aperto cheoffra al mondo strumenti culturaliunici. I 500 anni del Ghetto possono es-sere l’occasione per affermare chetale luogo non può essere un’iconasterile, ma deve rappresentare unesempio di vita e cultura ebraica.Dobbiamo attuare un TikkunOlam, un perfezionamento delmondo, a partire da un perfezio-namento della realtà ebraica ve-neziana. Credo che una visionedall’esterno possa aiutarci aun’analisi più profonda del passatoper ragionare in conclusione suquello che vogliamo per il nostrofuturo.

Page 14: Questa Storia vale una presa di coscienza

In occasione dei 500 anni del Ghetto, sarà

aperta a Palazzo Ducale la mostra "Venezia,

gli ebrei e l’Europa.

1516-2016". Il 17 mar-

zo uscirà, per Bollati

Boringhieri, il libro

che la curatrice, la

storica Donatella Ca-

labi, ha dedicato al "Recinto degli ebrei",

che verrà presentato a Venezia il 29 dello stesso mese,

da Paolo Rumiz, Dario Disegni e Stefano Jesurum. La pa-

rola "ghetto", oggi utilizzata continuamente sui quotidiani

e dai media spesso si riferisce a casi di "isolamento" fisico

anche molto differenti fra loro, oltre che lontani geogra-

ficamente e politicamente. È quindi necessario ripensare

oggi, cinquecento anni dopo la sua istituzione, alla lunga

storia del ghetto veneziano, alle sue molte contraddizioni,

alla sua complessità, al significato di "segregazione" che

questo termine è andato man mano assumendo. Così co-

me anche, per converso, è necessario riflettere sul "co-

smopolitismo" che a questa vicenda è strettamente le-

gato. Conoscerla meglio porta alla consapevolezza che

l’identità ebraica è parte

integrante dell’identità eu-

ropea e farlo ora, a venti-

sette anni dalla caduta del

muro di Berlino (1989), in

un continente libero e riu-

nificato ma incapace di go-

vernare le nuove ondate di

paura innescate da una

quantità abnorme di migranti, può forse contribuire a

cogliere la sfida che l’Europa ha di fronte a sé: quella di

evitare una nuova stagione di muri di cemento e di bar-

riere di filo spinato, quella di ovviare al pericolo di un

mondo costituito da "un arcipelago di ghetti".

Provando a fare chiarezza sugliequivoci – nei quali spesso cadonoi turisti meno accorti che si aggi-rano curiosi fra le calli e i campi diVenezia – è opportuno sottolineareche il Ghetto di Venezia non è sta-to il primo “ghetto” del mondo, eche non ha nulla a che fare con ighetti istituiti dai nazisti. La primaaffermazione fa scandalo (speciese espressa nell’ambito delle ma-nifestazioni per ricordare i 500 annidalla istituzione del Ghetto di Ve-nezia), ma sul piano sociologico ècosì. Al più si può affermare che ilGhetto di Venezia è stato il primoluogo di residenza coatta per gliebrei che è stato chiamato conquesto nome, ma dev’essere chiaroche prima del 1516 esistevanoquartieri separati di residenza pergli ebrei: Judengasse, Giudecche,Juderìas, a volte con regole nondissimili da quelle imposte dallaSerenissima. Ecco, così può fun-zionare. Sulla questione poi dei na-zisti, va veramente avviato un per-corso di acculturazione collettiva:Hitler e i suoi seguaci hanno co-scientemente utilizzato quello chepuò essere definito in termini mo-derni un “brand” storico, per farpassare un messaggio chiaro chemantiene purtroppo una sua effi-cacia nel tempo. Per lui gli ebreipotevano al più vivere (prima dellasoluzione finale) in Ghetti, indos-sando la loro stella gialla e mante-nendosi ben divisi dalla popolazio-

ne. E nell’immaginario collettivo –complici alcuni film e una genera-lizzata ignoranza degli avvenimentistorici – purtroppo per molti fra ivisitatori di Venezia “tutti gli ebreivivono in ghetto e il ghetto l’haistituito il Nazismo.” Non è così.Secondo uno dei padri della so-ciologia, Louis Wirth (Il ghetto. Ilfunzionamento sociale e psicologicodella segregazione, Res Gestae,2014), il ghetto assume in età mo-derna e contemporanea due acce-zioni ben riconoscibili: da un latosarebbe una forma sociale che ac-compagna i processi di migrazione(le little Italy, China ecc. negliUSA, i cosiddetti quartieri etnici),e in seconda battuta sarebbe unaforma stabile di dominio eun’espressione di pregiudizio raz-ziale, specie nell’Europa storica.

Esiste quindi una grande attualitànella riflessione sul concetto diGhetto: i fenomeni migratori, a cuile nostre società si sono ormai abi-tuate senza riuscire a fornire rispo-ste convincenti ed efficaci, e nellostesso tempo il riemergere di pre-giudizi e tensioni razziali che sisperavano seppellite e condannatedall’esperienza storica del secondoconflitto mondiale, fanno di questotema uno dei luoghi fondamentalidella memoria del nostro tempo.Ma la riflessione sociologica nonsi ferma qui e include nei temi re-lativi alla ghettizzazione delle realtàche in diversi modi possono esserericondotte all’esperienza storica chea Venezia ha trovato un nome. Al-l’idea di ghetto possono così essereassociati luoghi come il lazzaretto,storico antecedente degli odierni

ospedali, ma luogo di segregazionecoatta causata da sospette e inco-noscibili malattie da tener ben se-parate dalla collettività. E di certoil manicomio risponde a caratteri-stiche non dissimili: di nuovo unluogo gestito sulla base di regoledi esclusione, per preservare la so-cietà di maggioranza da una pre-senza inaccettabile e incompresa. Naturalmente il campo di concen-tramento, estensione brutale dellapiù tradizionale prigione. Ma anchela caserma e – perché no? – il po-stribolo. Ma se volgiamo lo sguar-do alle grandi realtà urbane extra-europee, come non considerareesempi di segregazione le grandiconcentrazioni umane delle Favelasdel Sud America, o i quartieri del-l’emarginazione nera delle grandimetropoli Statunitensi? O ancora

– in senso orgogliosamente posi-tivo – come stupirsi dei fenomenidi autosegregazione giovanile digruppi che amano definire i proprispazi autonomi con il termine“ghetto”, luoghi di vita alternativalontana dal modello imposto dalconsumismo capitalistico? Si trattain tutti questi casi di luoghi di se-gregazione sociale che dall’espe-rienza del Ghetto hanno tratto mo-delli funzionali che si sono ripro-dotti in ogni tempo e a tutte le la-titudini, e che non accennano ascomparire. Per questo motivo, separliamo da un punto di vista so-ciologico, la data del 1797, anno incui le porte del Ghetto venezianovennero abbattute, non rappresentase non una tappa di una storia checontinua nel presente e non accen-na ad estinguersi.

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto

D. CalabiVENEZIA E IL GHETTOBollati-Boringhieri

ú–– Gadi LuzzattoVoghera storico

u Prima di assumere il significato

che ha oggi nella letteratura

talmudica, la "mayse" - parola

yiddish che nella pronuncia

sefardita è ma’aséh -

corrispondeva alla novella

medievale, una narrazione breve

nella quale ci si può facilmente

identificare. Proprio come accade

con i racconti dei protagonisti di

“A mayse mit…” dalla cui viva

voce - grazie al supporto della

facoltà di Nuove Tecnologie

dell’Accademia di Belle Arti per la

parte audiovisiva - si possono

ascoltare aneddoti, curiosità

artistiche, linguistiche e

urbanistiche di una comunità che

ha molto inciso sulla storia della

Serenissima. A sinistra: un Bar

mitzvah nella Sinagoga spagnola,

a destra uno scorcio del Ghetto.

Riflettere sulla segregazione per capire il presenteÈ necessario fare chiarezza su un luogo fondamentale della memoria del nostro tempo

Separazione e cosmopolitismo

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u Donatella Calabi

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Quando il Ghetto di Venezia vienedesegregato una grande energia in-tellettuale si sprigiona da questopiccolo grande luogo, andando abeneficiare l'intera città. Ansiosi difar valere i diritti finalmente con-quistati e di contribuire alla costru-zione dell'Italia unita, gli ebrei ve-neziani lasciano il segno anche al-l'università, nata nel 1868 come pri-ma Business school di Italia e se-conda in Europa. Tra i suoi fonda-tori c'è il grande economista LuigiLuzzatti, che diventerà più avantianche Presidente del Consiglio. Ca'

Foscari, come l'ateneo si chiameràpoi, avrà ben due rettori ebrei, loscrittore Enrico Castelnuovo (neglianni 1905-1914) e l'economista Gi-no Luzzatto. Arrivato a Venezia nel1922 per occupare la prima catte-dra italiana di Storia economicapresso il “Regio Istituto superioredi scienze economiche e sociali” edivenirne poi direttore, Luzzattoperde la cattedra del 1938 a causadelle Leggi Razziali e ritorna comeRettore nel periodo 1945-1953. Ca'Foscari è anche ateneo dove gli stu-di ebraici si coltivano da molte pro-spettive diverse: l'insegnamentodella lingua ebraica costituisce unodei capisaldi degli studi di Linguee letterature orientali fin dal 1950,quando viene assunto per la primavolta dal rabbino Elio Toaff. Fortedi questa tradizione, che oggi con-

tinua ad arricchirsi di molti inse-gnamenti e ricerche, come anchedi prestigiose collaborazioni con leuniversità di Tel Aviv e Ebraica diGerusalemme, Ca' Foscari ha ade-rito con convinzione al programmadel Cinquecentenario del Ghettodi Venezia. A sottolineare l'incre-dibile “viaggio” che ha portato laparola “Ghetto” a diventare cate-goria universale, due convegni in-corniceranno un ricco programmain cui Ca' Foscari collaborerà convarie istituzioni cittadine e interna-zionali. Nei giorni 1-2 marzo 2016"The Ghetto reconsidered: Mino-rity and Ethnic Quarters in Textsand Images", a cura di EmanuelaTrevisan Semi, considererà la va-rietà dei quartieri ebraici e di altreminoranze in chiave comparativa.Nei primi giorni di luglio, un sim-

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milarsi ad esso. Venezia conta oggipoco meno di 500 ebrei che ancoraconservano tratti caratteristici e in-teressanti che difficilmente si riscon-trano in altre comunità anche graziea una storia omogenea. Gli ebrei ve-neziani che da generazioni risiedonoa Venezia sono rimasti in città conscarse migrazioni, e diversamenteda altri posti, un ebreo di Veneziapuò definirsi da sempre veneziano.Si può affermare che gli ebrei vene-ziani hanno sviluppato un partico-lare sentimento di orgoglio “nazio-nale” di minoranza che attraversouna tenacissima resistenza ha con-quistato un suo proprio diritto diappartenenza alla città, diritto irri-nunciabile per chi vive in uno stessoluogo da tanti secoli. E molti ebreiveneziani ancora usano il dialettogiudeo veneziano. L’importanza diun indicatore come quello della co-noscenza e della trasmissione di taledialetto ci testimonia come l’identitàebraica si fonde con la “venezianità”.Serviva soprattutto come elementosegreto di difesa in un ambiente didiffidenza in quanto non era com-prensibile per i non iniziati. Si puòquindi vedere in esso la funzionepsicologica e sociale che svolge inun gruppo di minoranza da cui tra-spare la necessità di fermare quellinguaggio particolarissimo che siaffidava soltanto alla tradizione oralee che consegnava un patrimonio disaggezza, di cultura popolare chepiù di tre secoli di vita avevano pro-dotto. Ci sono ancora oggi a Vene-zia forme di particolare attaccamen-to che si tramandano di generazionein generazione. La più evidente è ilriconoscersi in uno spazio che rap-presenta da sempre con i suoi “cu-stodi” la memoria storica degli ebreidi Venezia. Uno spazio in cui con-vivono e operano ebrei di diversaestrazione e provenienza geograficae culturale. Nonostante le fisiologi-che tensioni, questo scenario mul-ticulturale si inserisce in quella se-colare politica della civiltà venezianadi cui la comunità ebraica è parteintegrante da almeno 500 anni e do-ve i “ponti", non solo architettonici,ma metaforici, hanno sempre rap-presentato punti di incontro del-l'ebraismo nelle sue varie espressioni(Sefardita, Ashkenazita, Levantina,Italiana). Il Ghetto di Venezia è unluogo che ancora evoca il miracolodella sopravvivenza di una piccolaminoranza che ha saputo allinearsidalla parte della vita, che non haabdicato ai suoi valori e non si è la-sciata umiliare dalla segregazione.

L’Università e gli ebrei, storia mai finitaL’energia intellettuale di un piccolo grande luogo, per tutta la città

ú–– Michele Bugliesi Rettore di Ca’ Foscari

Il cosiddetto “serraglio degli ebrei” non fu soltanto

lo spazio di un’umiliante discriminazione, ma fu an-

che luogo di intensa attività culturale e di parte-

cipazione attiva alla vita letteraria della società ve-

neta e italiana. Il periodo che va dal 1550 al 1650 è

comunemente ritenuto come il momento di mag-

gior stabilità interna dell’”università de gl’hebrei”:

lo distingue, tra l’altro, sotto un profilo culturale,

proprio la presenza di un’élite intellettuale che ha

agito nella piena consapevolezza della necessità di

un’apertura verso la civiltà contemporanea, proprio

per difendere i più alti

valori della tradizione

ebraica. I testi proposti

da Umberto Fortis e pub-

blicati da Belforte voglio-

no essere la testimonian-

za tangibile di un feno-

meno che non trova ri-

scontro simile, nell’arco di

tempo considerato, in nessun’altra comunità d’Italia

o d’Europa.

posio su "The Ghetto as GlobalMetaphor", a cui parteciperannoimportanti sociologi e scrittori, ana-lizzerà proprio la metamorfosi delGhetto da categoria ebraica vene-ziana a metafora transnazionale. Ilfestival di letteratura Incroci di Ci-viltà ospiterà invece una sessionespeciale sul Ghetto, con scritti ori-ginali di Arnold Zable e Doron Ra-binovici. Il progetto più ambiziosoche Ca' Foscari offrirà al program-ma sarà la prima messinscena nellastoria del “Mercante di Venezia” diShakespeare nel campo del Ghetto,luogo ideale di ambientazione deldramma che vede protagonistal'ebreo Shylock. In una fruttuosacollaborazione tra i massimi stu-diosi internazionali dell'opera (daJames Shapiro a Stanley Wells aStephen Greenblatt) e la compa-gnia teatrale italo-americana Co-lombari, questo progetto coordi-nato dai docenti cafoscarini ShaulBassi e Maria Ida Biggi vuole af-frontare quest'opera controversasenza timori e senza sottovalutarela sua ambivalenza. Il “Mercantedi Venezia” e Shylock sono statisenza dubbio usati come veicolodi antisemitismo in vari momentidella storia; ma d'altra parte lo stes-so personaggio è servito a generaresimpatia e comprensione verso laminoranza oppressa. Portare l'ope-ra nel campo dove per secoli han-no vissuto gli ebrei veneziani incarne e ossa è una grande respon-sabilità che questo progetto si as-sume pienamente, e il dialogo con-tinuo e proficuo con la ComunitàEbraica garantisce il massimo ri-spetto del luogo e delle sue tradi-zioni. Che questo evento teatralenon cerchi facili messaggi, ma vo-glia essere un'occasione di appro-fondimento critico, è dimostratoda un ultimo importante eventocollegato alla messinscena, ovve-rosia un “processo” simulato a Shy-lock e Antonio con veri avvocatie presieduto dalla Giudice della

Corte Suprema degliStati Uniti Ruth BaderGinsburg, prestigiosis-sima personalità delmondo giuridico inter-nazionale. Ca' Foscari

contribuisce così a valorizzare imolteplici significati del Ghetto diVenezia.

Umberto FortisL’ATTIVITÀLETTERARIA NEL GHETTO Belforte

Il serraglio della cultura

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto

L’ultimo lavoro di Giacomo To-deschini, La banca e il ghetto. Unastoria italiana, è un libro importan-te che apre nuove prospettive diinterpretazione e ricolloca in unaluce nuova la storia degli ebrei ita-liani tra il XIV e il XVI secolo. Essopone un nesso molto stretto tral’affermarsi della banca cristiana inItalia nel XV secolo e la chiusuradegli ebrei italiani nei ghetti. Unabanca, quella cristiana, che è un’in-venzione tutta italiana, il frutto spe-cifico della struttura politica edeconomica delle città e degli Statiitaliani fra Due e Cinquecento. Lastoria del prestito ebraico viene in-terpretata da Todeschini in un’ot-tica, fin dalla sua origine, di strettosia pur marginale rapporto con ilprestito cristiano, e la sua crescentemarginalizzazione si traduce allafine in una separazione anche spa-ziale, oltre che economica e finan-ziaria, dal mondo cristiano: il ghet-to. Giacomo Todeschini non è unostorico economico tradizionale, at-tento solo a privilegiare i flussi mo-netari e le trasformazioni econo-miche rispetto alla società e allacultura. È uno storico sottile, at-tento alle mentalità, ai sistemi in-terpretativi, al modo in cui le fun-zioni economiche e finanziarie so-no percepite nel Medioevo che hatanto studiato, e ai rapporti tra isistemi ideologici cristiani e quelliebraici. Nulla di puramente fattualenelle sue interpretazioni, ma men-talità, culture, percezioni che gui-dano e modificano le funzioni eco-nomiche e i rapporti tra diversimondi culturali. Eppure in questosuo ultimo libro si sente, soprat-tutto nella seconda parte, quelladedicata al ghetto, la mancanza diun criterio interpretativo religiosoche affianchi quello prevalente-mente politico ed economico sucui si muove. Economico e natu-ralmente finanziario, perché è nellacrescente divaricazione tra creditocristiano e usura ebraica che crescel’estraneità dell’ebreo alla città, finoalla ghettizzazione. Politico, perchétale situazione è da lui ricondotta

alla mancanza di un potere politicocentrale e al frazionamento poli-tico delle città stato rinascimentaliitaliane. In quest’ottica, però, ilghetto, in cui tan-to importante èla funzioneconversionisti-ca, appare solocome un mezzodi separazione emarginalizzazio-ne, non di con-trollo e conver-sione. Il che, se può forse valereper il ghetto di Venezia, non è cer-to sufficiente a spiegare la genesidi quello romano e degli altri ghet-ti cresciuti sulla spinta delle auto-rità ecclesiastiche.Due terzi del libro sono dedicatiall’analisi del prestito ebraico e delsuo stretto rapporto con la bancacristiana, della sua realtà nei diversiluoghi in cui si stabilisce attraversole condotte, del modo in cui è in-terpretato nella società cristiana.Il quadro che Todeschini ne tracciaè attento alle situazioni specifichee alle differenze, ma in generale viemerge un’immagine che contrad-dice nettamente la vulgata secondocui il prestito ebraico dipendevasostanzialmente dal bisogno di li-quidità delle nuove realtà politiche

cittadine ed era segno di una so-stanziale convivenza tra il mondocristiano e quello ebraico. La ri-lettura che Todeschini fa dei do-cumenti che regolavano la perma-nenza nelle città dei banchieriebrei, le condotte, offre piuttostoun quadro di separazione che diconvivenza e sottolinea il fatto che

si tratta sempre di concessioni adpersonam, segnale dell’incapacitàda parte cristiana di consideraregli ebrei come gruppo organizzatoin forma comunitaria. La visionedominante vede invece una sostan-ziale convivenza tra ebrei e cristianinelle città del centro e nord Italiadove vivono gruppi di ebrei pre-

statori, cancellata poi dall’esaurirsidella funzione finanziaria degliebrei e dall’emergere della bancacristiana, attraverso la fondazionead opera dei francescani dei Montidi Pietà. Su questa vulgata sempli-ficatrice si abbatte la scure dell’ana-lisi dell’autore: i banchi ebraici sonofin dal loro crearsi affiancati daibanchi cristiani, con la differenzache adempiono a una funzione as-sai più marginale di quelli cristiani,cioè al prestito su pegno, destinatoa sovvenire ai bisogni delle fascepiù basse. Ma soprattutto, assai di-verso è il loro rapporto con il po-tere politico, che resta sempre in-certo per gli ebrei, che rimangonostranieri, come restano vive la lorodiversità e la loro inaffidabilità, nu-trita nell’immaginario cristiano da

ú–– Anna Foastorica

La banca e il ghetto, una storia tutta italiana

Finanza cristiana e politica di esclusioneLa banca ha avuto un’origine italiana, tardomedie-vale e cristiana, anche se le logiche con le quali que-sta realta e stata costruita venivano da molto piulontano: Babilonia, l’Egitto, la Grecia e Roma, latarda antichita cristiana. Queste origini remotehanno forse contribuito alla formazione di un lin-guaggio bancario che lascia ancora oggi intravedere,al di la della prosa quotidiana e domestica del ri-sparmio e del deposito, il mistero del credito e delrinvio della resa dei conti a data incerta.Il ghetto, invece, e stato per secoli pensato e rappre-sentato come una realta estremamente concreta ecircoscritta. Che il suo nome venisse o meno dal«getto» di fonderia veneziano, o dal «ghet» ebraico(il ripudio), i ghetti – istituiti in Italia nella stessaepoca della fondazione delle banche pubbliche cri-stiane – erano visti come un luogo di separazione,di segregazione piu o meno assoluta e umiliante, diestraniazione. Il ghetto, quindi, e stato a lungo de-scritto in termini di spazio paradigmatico. Netta-mente perimetrato, misurabile, topografico,cartografabile, e stato tramandato dalla memoriastorica e dalla memoria individuale come un labi-

rinto di strade strette, di case buie, di angoli inquie-tanti e di stracci. Ed e stato pensato non come illuogo di un’economia, ma piuttosto come una sortadi anfratto vergognoso in cui la gente per bene ri-schiava di impelagarsi in faccende di denaro ri-schiose e disonorevoli. Al contrario della «banca», il«ghetto» e sembrato racchiudere, per stereotipo,tutto quanto appariva il contrario dell’onore, del de-coro inerente alla condizione cristiana, fatta co-m’essa era fra medioevo ed eta moderna, nel«Rinascimento», di ricchezze e fasti visibili e invisi-bili. Il valore che le cose avevano posseduto nelmondo dei mercati segnati dal potere politico e dallalegge cristiani come veri e autentici si riteneva de-stinato a spegnersi nel «chiuso» del ghetto, intesocome simbolo murato del rifiuto delle verita cri-stiane.L’immagine di un’opposizione fra banca e ghetto,fra vitale movimento produttivo dell’economia cri-stiana e statico riprodursi di un’economia ebraicadel riciclaggio e del sordido, ha raggiunto la dot-trina degli economisti del Novecento, da Sombart aWeber, nonostante il conflitto che li ha contrapposti

a proposito del ruolo economico degli ebrei nella sto-ria dell’Occidente. Fossero, gli ebrei dei ghetti, almodo di Sombart, gli scatenatori di un capitalismoselvaggio, gli iniziatori della finanza virtuale e av-venturiera, i protagonisti dell’economia «del surro-gato», oppure, al modo di Weber, gli esponentidell’economia arcaica caratteristica di un «popoloparia», in entrambi i casi il ghetto e stato descrittodagli economisti del Novecento come il luogo di ori-gine di un’economia ambigua, e insomma comel’ombra inquietante che contraddiceva la solarita delle economie cittadine e statali riassunta dallabanca pubblica, originatasi in Italia nella formaassai particolare del Monte di Pieta. Gli storici dellaseconda meta delXX secolo,schiacciati dalpeso della me-moria della «di-struzione degliebrei d’Europa»,benche nella so-stanza abbiano

GiacomoTodeschini VISIBILMENTECRUDELI Il Mulino

GiacomoTodeschini LA BANCA E IL GHETTOLaterza

u Lo storico GIacomo Todeschini

ritratto da Le Monde e assieme

alla redazione di Pagine Ebraiche.

A destra la decorazione di una

biccherna di Siena del 1451.

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secoli di propaganda antigiudaica.La cittadinanza è per gli ebrei di-midiata e ambigua, come ambiguoè il contratto che regola la loro pre-senza in città.Il processo di marginalizzazionecrescente degli ebrei italiani si av-via al suo compimento all’iniziodel XVI secolo, con l’inizio dell’etàdei ghetti, di cui l’autore sottolineala coincidenza temporale conl’emergere della banca. Separatianche fisicamente dai cristiani, av-viati verso la scomparsa della lorofunzione di prestatori, gli ebrei vi-vranno ormai in uno spazio chiu-so, quello del ghetto, circondatoda mura e guardie. Contrariamente alla storiografiache sottolinea la differenza tra ilprimo ghetto, quello di Venezia,ghetto essenzialmente volto a se-parare e creato per volontà del Se-nato veneto, e quelli successivi, acominciare dal ghetto romano del1555, creati essenzialmente per vo-lontà delle autorità ecclesiastichee subordinati alle loro spinte pro-selitistiche e di controllo, Tode-schini offre una visione d’insiemedel fenomeno della ghettizzazione,che non distingue tra i casi di Ve-nezia e di Roma e non enfatizza icontrasti spesso lunghi e serrati traautorità civili e religiose intornoalla creazione dei ghetti, indici diuna resistenza delle autorità civili.Ugualmente non sottolinea la fortecarica ideologica, conversionistica,

che è alla base della Bolla di PaoloIV, Cum Nimis Absurdum, nel1555. E neppure Todeschini si sof-ferma sul fortissimo apparato con-versionistico e di controllo socialeesercitato nel cuore del cattolice-

simo dalla Chiesa sul ghetto, chea Roma sembra divenuto, soprat-tutto nei primi cento anni, un la-boratorio di esercizio del proseli-tismo e aver assunto, nel cuore del-la città e ad essa connesso da mille

legami spaziali e sociali, un’impor-tanza che mal si addice a una meravolontà di marginalizzazione.Un’importanza che tuttavia riguar-da anche il ghetto di Venezia, purcollocato in una posizione decen-

trata rispetto al cuore della città,e gli altri ghetti che sorgono pocoa poco nelle città italiane dove an-cora sussiste una minoranza ebrai-ca. L’esistenza del ghetto è moltopresente all’attenzione della cittàcristiana, anche se la realtà delghetto romano è quella in cui que-sta attenzione è più forte e costan-te.In definitiva, credo che questo librosia un libro rilevante, destinato adaprire nuove strade agli studiosi ea rinnovare molta parte della sto-riografia sugli ebrei italiani. Credoche il quadro tracciatovi dellostretto intreccio tra il prestitoebraico e la banca cristiana nellafase della formazione del sistemafinanziario e della discussione dellesue valenze religiose e culturali siaimportante e significativo. Consi-dero anche molto suggestiva lacontinuità che Todeschini affermatra la marginalizzazione dei pre-statori ebrei nelle città e quella del-le comunità nei ghetti, cioè il nessotra banca cristiana e ghetto. Macredo che all’origine della ghettiz-zazione controriformistica risieda-no, accanto alle modalità della for-mazione del sistema bancario inItalia, anche motivazioni ideologi-che e religiose, le stesse che sonoespresse a chiare lettere nelle fontiecclesiastiche che spingono allacreazione dei ghetti e ne regola-mentano l’esistenza, in primo luo-go la spinta alla conversione.

accettato l’antica immagine di opposizione fra citta cristiana eghetto ebraico, si sono tuttavia affaticati a dimostrare che il rap-porto fra ghetti e citta, fra ebrei del ghetto e cittadini cristiani, e stato molteplice, che la mobilita dei ghettizzati e stata in effetti benpiu notevole di quanto le norme potessero stabilire, e che l’econo-mia del ghetto si intrecciava tutti i giorni con quella della citta edelle sue banche o dei suoi Monti di Pieta. Questa volonta di sot-tolineare l’esistenza di una felice collaborazione ebraico-cristiananell’Italia tre e quattrocentesca, al fine di negare la specificita ita-liana di un antigiudaismo economico da intendersi come matricedi un futuro antisemitismo tanto piu genocidario quanto piudenso di stereotipi finanziari, ha prodotto di conseguenza una let-tura dell’epoca dei ghetti finalizzata fondamentalmente a descri-vere l’integrazione fra economia del ghetto ed economia degliStati. L’Italia dei ghetti e dei Monti di Pieta, della banca cristianae del ghetto ebraico, in altre parole, sarebbe stata un groviglio disituazioni difficili da sintetizzare, una moltitudine di variabili lo-

cali irriducibile a un mo-dello governativo

fondamentale ed esportabile. Benche si sia molto scritto e parlatodi Italia dei mercanti e dei banchieri italiani in quanto iniziatoridella «repubblica internazionale del denaro», dell’Italia delle citta-Stato e dell’Italia «governata» dalla Chiesa come del luogo-situa-zione generatore di un modello politico «machiavelliano»,l’immagine storiografica piu divulgata dell’Italia rimane, nelcomplesso, quella di un mosaico di storie locali sostanzialmentecontraddittorio e irriducibile a un significato sintetico. Rara-mente, pertanto, ci si e posti il problema del rapporto fra Italiaeconomica e finanziaria degli ultimi secoli del medioevo, Italia cri-stiana e Italia che, di luogo in luogo, stabiliva criteri per la ge-stione di gruppi culturalmente dissimili da quello maggioritario.Tuttavia, al di la delle evidenti differenze locali, ma anche al di ladell’immagine dell’Italia culla della civilta umanistica e repubbli-cana, ci si puo chiedere quanto la storia d’Italia sia stata caratte-rizzata, nel passaggio dal «medioevo» all’epoca «moderna», datratti unificatori connessi, da un lato, al rapporto fra economia fi-nanziaria, religione e potere, e dall’altro dipendenti dal nesso – disolito alquanto sottovalutato – fra poteri locali oligarchici e mino-

ranze cultural-religiose. Un doppio nodo rela-zionale spesso in grado di rivelare continuitasovraterritoriali nelle logiche del governo edell’organizzazione economica e di produrreistituzioni economico-politiche durevoli ecruciali, come le banche e i ghetti.Il fenomeno costituito dall’«invenzione» ita-

liana della banca pubblica appare di fatto meglio comprensibile siache venga reinserito nel contesto rappresentato dalla dialettica framaggioranza cristiana e minoranza ebraica, sia che venga ricon-dotto a problematiche di governo della realta economica che lemolteplici configurazioni politiche dell’Italia medievale e modernanon riuscivano a risolvere. Nell’ambito della dialettica fra politicae finanza, tanto tipica dell’Italia fra XIV e XVI secolo, la mino-ranza ebraica – diversificata in se stessa, diffusa sui territori e dasempre numericamente minima – sembra aver giocato un ruolodecisivo, rappresentando un modello di organizzazione sociale edeconomica a cui reagi e si oppose la complessita di un’Italia cri-stiana frammentata e dispersa in una miriade di luoghi, di citta edi contesti locali.Al di la della secca contrapposizione fra banca e ghetto o dell’im-magine conciliativa che ne ha descritto l’ipotetica collaborazione,ci si puo dunque domandare se l’istituzione di situazioni sovralo-cali che, come i ghetti, circoscrivevano la minoranza ebraica, lanominavano come tale, uniformandola al di la delle specificita lo-cali, e al contempo la fondazione di enti politico-economici poi ab-bondantemente esportati, quali furono alla fine del medioevo lebanche pubbliche e i Monti di Pieta, abbiano avuto un valore uni-ficante per una collettivita multicentrica e diversificata comequella italiana sul principio della modernita.

Giacomo Todeschini(da “La banca e il ghetto” - Laterza)

GiacomoTodeschiniRICCHEZZA FRANCESCANA Il Mulino

GiacomoTodeschini COME GIUDA Il Mulino

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ú–– Hugo Pratt

Avevo quattro o cinque anni, forse sei, quandomia nonna si faceva accompagnare da me alGhetto Vecchio di Venezia. Andavamo a vi-sitare una sua amica, la signora Bora Levi,che abitava in una casa vecchia. A questa casasi accedeva salendo un’antica scala di legnoesterna chiamata “scala matta” oppure “scaladelle pantegane”, o ancora “scala turca”. Lasignora Bora Levi mi dava un confetto, unatazza di cioccolata bollente e densa, e due bi-scotti senza sale, che non mi piacevano. Poilei e la nonna, immancabilmente, si sedevanoe giocavano a carte, sorridendo e sussurrandofrasi per me incomprensibili. E così, a me nonrestava che passare minuziosamente in ras-segna tutti i cento medaglioni appesi alla pa-rete di velluto rosso scuro, che mi osservavanodai loro ovali di vetro. Dico che mi osserva-vano, perché questi medaglioni racchiudevanovecchi ritratti di severi signori in uniformiasburgiche o di rabbini con treccine nere efeltri a larghe tese. E tutti sembravano fissarmicon un’insistenza che certo sconfinava nel-l’indiscrezione. Un po’ imbarazzato andavoalla finestra della cucina e guardavo giù in uncampiello erboso con una vera da pozzo co-perta di edera. Quel campiello ha un nome:Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi sidovevano aprire sette porte, ognuna dellequale aveva inciso il nome di un shed, ossiadi un demonio della casta dei Shedim, gene-rata da Adamo durante la sua separazione daEva, dopo l’atto di disubbidienza. Ogni portasi apriva con una parola magica, che era poiil nome del demone stesso. Ricordo che ungiorno la signora Bora Levi mi prese per ma-

no e mi condusse nella Corte Sconta illumi-nando il cammino con un “menorah”, il can-delabro a sette braccia, e ogni volta che aprivauna porta soffiava su una candela. La corteera piena di sculture e graffiti: un re armatodi arco e frecce, a cavallo di un dio; un neo-

nato; una cacciatrice anch’essa con arco efrecce; una vacca con un occhio solo; unastella a sei punte; un cerchio tracciato nelsuolo con lo scopo di far ballare una ragazzanuda; i nomi degli angeli caduti o veleni diDio, Samael, Satael, Amabiel. La signora ebrea

mi parlava di tutte quelle cose, rispondendoalle mie domande. Poi apriva una porta sulfondo della corte e mi faceva passare in unacalle con le erbe alte, che conduceva in un al-tro campiello bellissimo e che molto più tardiritrovai uguale e pieno di fiori in una casadella Juderia di Cordoba. Quei due campielliintercomunicanti tramite la piccola calle na-scosta chiamata “Calle Stretta della Nostalgia”,rappresentavano il centro favoloso dove si uni-vano due mondi segreti: uno appartenente allediscipline talmudistiche e l’altro appartenentea quelle esoteriche esoteriche giudeo-greco-orientali. Tutto questo dedalo di scale, calli,corti e campielli si chiamava il “Serraglio delleBelle Idee” o anche “Serraglio dei Giudei”. Inquesto luogo bellissimo i miei compagni digiochi erano bambini ebrei, bravi a raccontarele cose antiche e a scavalcare muretti di cintaproibiti. Le bambine, in più, avevano dei sorrisiinquietanti che io leggevo nei loro occhi al-l’ombra dorata delle soffitte. (…)A una certa ora mia nonna decideva di ritor-nare a casa e in quel momento sentivo fisi-camente il dolore del distacco da quei miste-riosi amici. Essendo troppo giovane, i mieinon mi lasciavano ancora circolare da solo,perciò dovevo aspettare una o più settimaneper ritornare nel ghetto. Rincasando con mianonna passavamo per il Rio della Sensa allaMadonna dell’Orto, dove sono incastrate neimuri dell’antico Fontego dei Mori o Saracenile statue dei tre fratelli arabi: El Rioba, Sandie Afani. Quando domandavo chi mai fosseroquei signori vestiti alla “grega”, mia nonna ri-spondeva che erano mori, mammalucchi tur-chi. Insomma, cose da non chiedere mi facevacapire. Dopo di che la nonna se ne andava a

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SPECIALE /Venezia - I 500 anni del ghetto

Corte sconta, corte magicaMemorie di un bambino, fra calli e misteri

La favola di Venezia non è solo

una pietra miliare della lettera-

tura disegnata. L’incanto inde-

lebile negli occhi di tanti ado-

lescenti che sul bianco del fo-

glio e sul nero della china di

Pratt sono diventati gli adulti

di oggi. Non è solo l’irruzione di

Corto Maltese nella fantasia col-

lettiva di milioni di lettori. È an-

che una guida turistica tutta

speciale alla città e in partico-

lare all’animo ebraico e cosmopolita di Venezia.

Fra le innumerevoli guide di Venezia che si sono pubblicate e

che continuano ad apparire senza sosta in libreria, ne serviva

davvero una in forma d’avventura a fumetti? A quanto pare

sì, visto che nell’immaginario di moltissimi frequentatori della

Venezia reale e della Venezia immaginaria, le angolature, le

inquadrature, gli scenari che fanno da sfondo alle avventure

di Corto Maltese costituiscono un’impronta fortemente evo-

cativa. Tanto è vero che Guido Fuga e Lele Vianello si sono

lasciati guidare proprio da Hugo Pratt per mettere assieme

Corto Sconto. La guida di Corto Maltese alla Venezia nascosta

(Rizzoli Lizard editore). Proprio grazie a questa pubblica-

zione, da cui provengono alcune citazioni visuali che corre-

dano questo articolo, è possibile rimettersi sulle tracce del

misterioso personaggio inventato da Pratt e scoprire da

dove vengono tante delle sue citazioni visuali.

Il lavoro meticoloso e immenso di Pratt, infatti, non è solo

Il concerto. La prolusione. Gli interventi ufficiali. I convegni.

Le conferenze. La presentazione di tante prestigiose pubbli-

cazioni. Il Mercante di Shakespeare che va in scena all’aperto.

Il mondo ebraico e tanta parte del mondo della cultura, del-

l’informazione, della creazione in questi giorni guardano a

Venezia e molti hanno iscritto un appuntamento con la me-

ravigliosa città lagunare e con il suo inimitabile quartiere

ebraico, il primo fra tutti i ghetti, nella propria agenda. Ap-

puntamento a Venezia, almeno per i fortunati che riusciranno

ad essere presenti ad alcune delle manifestazioni cui Pagine

Ebraiche ha già dedicato il dossier dello scorso numero e

tanti altri servizi. Ma anche impegno di riscoprire Venezia

nei suoi aspetti più intimi e misteriosi, distaccandosi per un

attimo dalle scadenze e dagli impegni della vita sociale e del

calendario culturale per andarsene in giro accompagnati dai

propri pensieri. Se l’occasione sarà propizia, potrà essere

un’avventura meravigliosa andare a passeggio fra le calli più

o meno a caso, all’interno del ghetto che fu istituito cinque

secoli fa o lì intorno, nel sestriere di Cannaregio, il più silen-

A passeggio con Corto Maltese

Una guida nel caleidoscopio

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zioso e fortunatamente il meno battuto dagli ossessi del tu-

rismo di massa. In buona e rara compagnia. O anche da soli,

al fianco di Corto Maltese e degli altri personaggi immaginati

nei suoi indimenticabili romanzi disegnati, da un artista d’ec-

cezione, Hugo Pratt, che più d’ogni altro ha contribuito a sol-

leticare la conoscenza della matrice ebraica di Venezia. E riaf-

fiorano come mille citazioni di luoghi e di storie le immagini

della Favola di Venezia e di Corte sconta detta arcana, con

cui Pratt ha emozionato milioni di lettori. Nel testo che ap-

pare in queste pagine, lo stralcio da uno scritto che Pratt ci

ha lasciato per aiutare i tanti appassionati a capire meglio

da dove traggono origine e ver-

so dove veleggiano le sue me-

morie e le sue fantasie, l’autore

chiarisce molti misteri e si di-

mostra un osservatore della Ve-

nezia ebraica attento e sensibi-

le. Un’identità che attraversa

tutta la città, non resta confi-

nata ai campi del ghetto e si interseca incessantemente con

le mille altre storie che fanno brillare in eterno questo pre-

zioso caleidoscopio. Mettiamoci sui suoi passi.

giocare qualche numero al lotto, secondo lacabala veneziana delle lotterie. E in me re-stavano irrisolti questi interrogativi turchi, sa-raceni, arabi che mi incuriosivano a tal puntoche cominciai a chiedere spiegazioni ai mol-tissimi membri della mia famiglia. Così vennia sapere che i Genero, ai quali appartenevamia madre, venivano dalla spagnola Toledoed erano di origine sefardita-marrana, con-vertitisi al cristianesimo in conseguenza dellecrudeli persecuzioni avvenute in Spagna nel1390. (…) Passò qualche anno e cominciaiad andare da solo nel ghetto, frequentandocon sempre maggiore assiduità gli amici deidue campielli e le loro case. Poi gli avveni-menti mi portarono in Africa. (…) Ritornaiin Italia che la guerra non era ancora finita:le case del ghetto di Venezia erano chiuse egli ebrei fuggiti si nascondevano nelle abita-zioni dei veneziani. Di notte, piano piano, siraccontavano di nuovo antiche storie arabo-spagnole e si parlava del la città cabalisticadi Safed in Palestina dove c’era la tomba diSimon Ben Yohai, ritenuto l’autore dello Zo-har, “Il libro degli Splendori”. E ancora una

volta, quando ricorrevano le feste, mangiavoi biscotti senza sale che non mi piacevano. Finì la guerra. Da allora io vado e vengo peril mondo, quasi senza meta. Ma a Venezia citorno sempre. Cammino per le sue calli, at-traverso i canali, mi fermo sui ponti e osservoche sulle rive non ci sono più i granchi cheal pomeriggio se ne stavano pigramente aprendere il sole. Non ci sono più da tanti anni.Cerco i posti di quando ero bambino, mamolte volte non li riconosco. La scala mattanon c’è più e non più, neppure la signora

Bora Levi. Le finestre della sua casa sonomurate, la fisionomia del luogo è cambiata.Quando chiedo non mi sanno rispondere.Gente giovane che non sa, oppure qualchevecchio che non vuole ricordare.Un giorno, il nome della vecchia signora ebreache mi dava il confetto e la cioccolata bollentel’ho ritrovato inciso sopra una lastra di marmovicino al portone dell’antica Schola Espanolaassieme a quelli degli altri ebrei deportati enon più tornati dall’ultima guerra. Non sonomolti questi nomi, perché Venezia nascose i

suoi ebrei.Li nascose nelle sue “Corti Sconte” dette “Ar-cane”. Corti celate ancora oggi dietro murigelosi, con numeri civici che si reinventanoquando qualche profano guarda troppo a lun-go. Rimangono i nomi vetusti e sbiaditi, scrittisu grandi rettangoli bianchi bordati di nerocome cartoncini funerari, e i gatti soriani chesembrano suggerire, quasi come un indovi-nello, che tutto là è come una volta. Bisognavoler trovare. E forse si può trovare appenaoltre il Ponte Ebreo, quando si entra nelleosterie, dove si gioca ancora con le vecchiecarte arabe, la Saracena, la Maomettana, op-pure la Bella Giudea. Giochi di Oriente e spa-gnoli. Gli ebrei marrani avevano le loro cartee le vecchie chiavi delle case spagnole suglistipiti delle porte veneziane. Quasi una pro-messa di ritorno alla diaspora voluta dall’in-quisizione spagnola.Anche a casa mia c’era una chiave spagnolatoledana: mia nonna me l’aveva lasciata ineredità insieme al suo ironico fatalismo e aun mazzo di carte arabe che sicuramente sonomagiche. (…)

un mosaico di citazioni letterarie, ma

anche una incessante rievocazione

per nulla casuale di angoli, di det-

tagli, di frammenti di città che

aprono le porte del mistero, del-

l’avventura e dell’esplorazione. Ve-

nezia non è altro che un’enciclope-

dia di frammenti di vita e di identità,

il catalogo vivente di tutte le storie del mondo che Pratt

sognava di percorrere. E prime fra tutte, nel cuore del

mito della città sull’acqua, si trovano gli itinerari ebraici

che a Venezia si danno appuntamento.

Nei suoi appunti Pratt cita abbondantemente angoli miste-

riosi del ghetto, giardini nascosti, ponti che collegano un

mondo a un altro, campi segreti, altane e vere di pozzo. E

tutto intorno al quartiere ebraico, nella corona concentrica

di canali che attraversa il sestriere di Cannaregio ed espande

il suo respiro oltre le fondamente Nuove, guarda al versante

settentrionale della laguna, più il cam-

mino si fa solitario e silenzioso più si mol-

tiplicano a ben cercare con lo sguardo i

segni delle mille identità che hanno fatto

Venezia.

I tre mori all’angolo della casa del Tizia-

no, l’abbeveratoio degli animali, il mer-

cante che conduce il cammello, gli enig-

matici simboli massonici e alchemici. E

per prendere il largo verso quell’orizzon-

te che il poeta russo ha definito il più

grande acquerello dell’universo, il sugge-

stivo squero del rio della Sensa, da cui è

ancora possibile fendere l’acqua con il proprio legno, lasciarsi

le consuetudini alle spalle e andare ancora più lontani.

g.v.

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