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Autore: Mencaroni Spartaco [email protected]

Diagnostica per immagini

• Radiologia • Medicina nucleare • Radioterapia • Fisica sanitaria

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Parte prima

Radiologia

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CAP 1 TECNICHE DI IMAGING IN RADIOLOGIA (PRINCIPI E APPLICAZIONE) Tutte le tecniche di imaging che verranno discusse in questi appunti si basano sull’utilizzo dei raggi X, o di altri tipi di radiazioni elettromagnetiche. In questa parte introduttiva saltiamo la fisica dei raggi, in quanto parte del programma di fisica sanitaria. I raggi incidono sui tessuti irraggiati come un fascio conico di fotoni, detto fascio incidente, che segue quindi tre leggi fondamentali: • Si attenua di intensità con il quadrato della distanza: per cui, all’aumentare della distanza diviene

necessario aumentare la dose di esposizione. • Si allarga con la distanza, e quindi i raggi aumentano l’angolo di incidenza diventando sempre più

obliqui ai margini del cono di irraggiamento. Di conseguenza, le immagini radiologiche sono ingrandite rispetto alla realtà.

• Mantiene un flusso constante: infatti man mano che ci si allontana dalla sorgente di emissione, si ha che la densità di fotoni diminuisce, ma la sezione del fascio aumenta. Per cui, viene considerato omogeneo, e quindi ideale per essere modificato dall’attraversamento dell’oggetto esposto e quindi analizzato.

L’oggetto esposto è formato da vari piani sovrapposti, all’interno dei quali vi sono diversi tessuti ognuno con le sue caratteristiche di assorbimento fotonico. I parametri che definiscono la quantità di assorbimento di una sostanza sono il numero atomico medio di essa e la sua densità elettronica. Il fascio emergente viene quindi privato di fotoni a seconda della capacità di assorbimento dei tessuti attraversati, e quindi viene ad essere disomogeneo o “modulato”. In realtà non tutti i fotoni incidenti vengono assorbiti e quindi eliminati dal fascio emergenti, ma alcuni vengono deviati andando a confondere l’immagine emergente, e devono essere filtrati con apposite tecniche. Una volta ottenuto il fasci emergente, esso deve essere reso visibile (i raggi X non sono visibili). Tutta la radiologia si basa sulle diverse tecniche di rendere visibile in maniera più dettagliata possibile questo raggio emergente.

1.1 RADIOSCOPIA Alcuni materiali, detti “fosfori”, riescono a commutare l’energia dei fotoni emergenti in luce visibile. Uno schermo fluorescente è una lastra di plastica sulla quale è stratificato il fosforo, a sua volta ricoperto da un vetro al piombo che protegge l’osservatore dai raggi X. I raggi X del fascio emergente proiettano così una immagine identica alla proiezione del fascio sullo schermo. L’immagine che si forma è comunque molto tenue, deve essere guardata al buio. In questa modalità si ha: • Scheletro (alto assorbimento di raggi X) → nero/grigio scuro • Parenchimi (medio assorbimento) → grigio • Gas e liquidi (basso assorbimento) → bianco Questo sistema, abbastanza semplice e a basso costo, ha però lo svantaggio di una bassa risoluzione, scarsa visibilità, e di una dose non indifferente di radiazioni per il paziente e il radiologo. Esiste anche una così detta radioscopia con intensificatore di luminosità, in cui allo schermo fluorescente primario (quello colpito dai raggi X) è associato un sistema che proietta su uno schermo fluorescente secondario un elettrone per ogni fotone che riceve. In questo modo si amplifica la luminosità del segnale di 1000-3000 volte. L’immagine viene poi trasmessa su uno schermo TV. La dose di radiazione per l’operatore è minore, e anche per il paziente (visto che la luminosità è aumentata). La visione è agevole e la risoluzione è migliore, inoltre è possibile riprendere le immagini con videocamera e anche scattare foto istantanee.

1.2 RADIOGRAFIA Si tratta della classica “lastra” radiografica, che si basa sulla capacità dei raggi X di impressionare la lastra esattamente come la luce fa con una pellicola fotografica.

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La lastra è composta da granuli di bromuro d’argento dispersi in una matrice di gelatina animale. Il bromuro d’argento si decompone sotto l’effetto dei raggi, e si libera argento nelle zone esposte. Oggi si utilizzano lastre speciali, che hanno anteriormente e posteriormente degli schermi fluorescenti che amplificano l’effetto dei raggi X sulla lastra, rendendo minore la dose necessaria, e aumentano contemporaneamente la risoluzione (ossisolfuro di gadolinio). Successivamente la lastra viene sviluppata. La riproduzione tonale della radiografia è inversa a quella della radioscopia: qui i raggi X che passano anneriscono la pellicola, là i raggi X che passano liberano fotoni visibili. La scala è quindi: • Aria → nero • Adipe → grigio • Parenchima → grigio chiaro • Osso → grigio molto chiaro • Metallo → bianco Queste tecniche sono semplici e poco costose, utilissime per operazioni di screening. Il principale difetto però è la risoluzione, specialmente delle strutture adiacenti a basso contrasto, che le rende di gran lunga inferiori alla tomografia computerizzata. Alcuni fattori influenzano la qualità dell’immagine radiografica: • Macchia focale del tubo a raggi X: minimo 0,3 X 0,3 mm (0,1 X 0,1 mm nei modelli sperimentali) • Distanza focale • Tempo di esposizione • Diaframma del raggio incidente • Presenza di una griglia antidiffusione (che cattura i fotoni riflessi dalle strutture)

Proiezioni in radiologia Esistono fondamentalmente tre piani da cui si osserva il corpo umano: • Piano sagittale • Piano frontale • Piano trasversale Le proiezioni si riferiscono alla direzione lungo la quale provengono i raggi: per cui si parla di • Proiezione sagittale: i raggi provengono da davanti, il fascio è sul piano sagittale. Si ottengono una serie

di immagini sul piano frontale. • Proiezione latero laterale: i raggi vengono di lato, si ottengono una serie di immagini sagittali • Proiezione assiale: i raggi provengono da sopra o da sotto, e si ottengono una serie di immagini sul

piano trasversale. La lastra è bidimensionale, e contiene la proiezione bidimensionale di tutte le strutture tridimensionali attraversate (ossia la sommazione di tutti i piani). Questo provoca delle interferenze notevoli fra le immagini; inoltre si ha una deformazione proiettiva che è tanto maggiore quanto maggiore è l’inclinazione del fascio incidente. E’ importante anche sapere che le immagini più lontane dalla sorgente di raggi sono più ingrandite e più deformate. Ad esempio, il torace viene fatto normalmente in proiezione sagittale postero anteriore, allo scopo di separare i campi dei due polmoni e di avvicinare il cuore alla sorgente onde evitare la sua deformazione.

1.3 TOMOGRAFIA Si tratta di una tecnica complessa che permette di osservare una immagine analitica che si riferisce non a tutti gli strati attraversati dal fascio, ma a quelli selezionati prima dell’irradiazione. Il principio su cui si basa la tecnica è che quelle strutture che si muovono durante l’irradiazione tendono a perdere di nitidezza e alla fine scompaiono; movendo il tubo radiogeno, la TC provoca la cancellazione delle strutture che non interessano. Questo avviene facendo compiere alla cassetta radiogena e al tessuto da irraggiare dei movimenti contemporanei, vincolati, che fanno si di mantenere sempre nella stessa posizione reciproca i tessuti da osservare e la fonte di raggi, mentre gli altri tessuti si muovono invece rispetto all’emittente.

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Ad esempio, se voglio osservare una zona al centro del torace, devo far ruotare il paziente sull’asse che passa per quella zona, in modo che essa sia ferma. Questo permette di esplorare distretti e strutture che non possono essere dimostrati all’indagine radiografica, fornendo precisazioni istologiche notevolmente definite. Di solito prima di fare la TC si effettuano due lastre in proiezioni fra loro ortogonali, che permettono di identificare la zona di intervento da indagare. Però la risoluzione dei tessuti vicini a basso contrasto è scarsa, e l’immagine, che comunque avviene in movimento, è sempre un po’ sfumata. La dose di radiazioni da somministrare al paziente resta alta.

1.4 I MEZZI DI CONTRASTO Per esame diretto si intende ogni esame che si basa sul solo contrasto naturale per formare l’immagine. Questo da solo è importantissimo (soprattutto per ossa, mammella, fegato e mediastino), ma spesso può essere insufficiente per alcune situazioni. L’utilizzo di una sostanza che, introdotta in maniera appropriata nell’organismo, vada ad aumentare la densità elettronica e quindi il contrasto selettivamente delle strutture che interessano offre enormi e ovvi vantaggi, sia per la possibilità di osservare organi del tutto o quasi inesplorabili direttamente (come l’apparato digerente), sia per evidenziare la presenza di anomalie o lesioni che prendono selettivamente il mezzo di contrasto (certe neoplasie). Il mezzo di contrasto è caratteristicamente distinto in: • Trasparente: serve a diminuire la densità elettronica del tessuto da studiare. Si tratta in genere di gas

respiratori, del tutto privi di effetti collaterali (CO2, N2O, O2), o anche di aria filtrata. • Opaco: serve ad aumentare la densità elettronica del tessuto. I mezzi opachi sono moltissimi, a seconda dell’uso che se ne deve fare: • Per l’apparato digerente: si usa il solfato di bario¸ in sospensione acquosa. Non è assorbito dalle mucose

digestive e transita liberamente fino all’espulsione con le feci. Se si disperde nel peritoneo è estremamente irritante, ma questo è molto difficile; se ne evita però l’uso in caso di occlusione intestinale. E si ricorre a mezzo di contrasto iodato solubile.

• Uroangiografia: si usano mezzi di contrasto iodati solubili in acqua, che si iniettano per via endovenosa e raggiungono i comparti urinari perché subiscono la filtrazione glomerulare. Lo iodio assorbe i fotoni e funziona da contrasto. Possono essere usati per via venosa, arteriosa, per clisma o per via orale (per visualizzare l’intestino al posto del bario), ed essere introdotti direttamente ovunque, come in visceri cavi. Sono però molto attivi osmolarmente, e possono provocare danni agli endoteli, permeabilizzazione capillare e turbe emodinamiche importanti. Questo viene diminuito dall’uso di mezzo di contrasto non ionico, che è meno attivo, importante soprattutto per l’uso nel SNC dove la variazione osmolare è molto mal tollerata (ha un costo comunque di circa 10 volte rispetto al mezzo di contrasto normale).

• Per uso colangiografico vi sono particolari mezzo di contrasto iodati solubili, studiati apposta per avere una tollerabilità e una buona cinetica di escrezione biliare. Hanno infatti due anelli benzenici con la posizione 5 libera, sulla quale viene a legarsi o l’albumina o le globuline plasmatiche, che ne condizionano l’escrezione biliare.

• Per uso colecistografico orale, invece, si usano dei preparati insolubili in acqua, che si assorbono a livello intestinale con i sali biliari, vengono assorbiti dal fegato e riescreti a livello biliare.

• Infine, per l’osservazione della linfa, esistono dei particolari mezzo di contrasto oleosi. Gli effetti collaterali del mezzo di contrasto sono diversi, sia in relazione al loro potere osmotico sia per la possibilità di creare reazioni di ipersensibilità, che infine per le loro proprietà farmacologiche. L’uso di mezzo di contrasto non ionico riduce di circa 6 volte l’incidenza di effetti collaterali gravi, in misura maggiore nei pazienti allergici. Il mezzo di contrasto spesso si lega alle proteine plasmatiche producendo uno spostamento nel plasma di sostanze endogene normalmente veicolate dall’albumina. Alcune evidenze cliniche indicano inoltre come meccanismo probabile la liberazione di istamina e l’irritazione del sistema neurovegetativo.

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Non esiste una prevenzione di questi effetti, se non l’uso, nei soggetti con precedenti allergici, di cortisone e antistaminici per qualche giorno prima dell’esame.

1.5 LA TC E LE IMMAGINI DIGITALIZZATE Un’immagine radiografica convenzionale è analogica, ossia è una rappresentazione continua di punti infinitesimali (risoluzione infinita). Una immagine digitale, invece, è fatta da una serie di punti di dimensione finita che approssimano la realtà dell’immagine analogica. Alcune tecniche radiografiche utilizzano immagini digitali, acquisendole primitivamente in questo modo o digitalizzando immagini analogiche preesistenti, allo scopo di poterle utilizzare per molteplici tipi di elaborazione. Parametri di questa sono il voxel, ossia le unità di volume che vengono utilizzare in fase di acquisizione dell’immagine, e il pixel, ossia la dimensione della più piccola unità di spazio bidimensionale che, nell’immagine finale, ha la stessa tonalità e intensità di colore. L’immagine è formata da una successione di pixel, come in un mosaico, e quanto più piccoli sono questi maggiore è la sua risoluzione. La risoluzione si indica come il numero di pixel che compongono il lato dell’immagine, sempre quadrata. 2562, 5122 sono i formati più comuni. 5122 consente una risoluzione di circa 0,72 mm. Ogni pixel ha naturalmente la possibilità di essere di più colori, e il numero di colori che può essere assunto da ogni pixel è detto profondità di colore dell’immagine. Si hanno varie profondità: 21: bianco o nero ( 22: 4 grigi 23: 8 grigi 24: 16 grigi 28: 256 colori 210: 1024 colori (formato standard in radiologia digitale) 212: 4096 colori (formato standard per la TC computerizzata) 216: 65356 colori (formato immagini fotografiche) 224: 16,77 milioni di colori (formato “true color”, in uso in informatica)

TC COMPUTERIZZATA La tomografia computerizzata (adesso semplicemente TC), è una tecnica di formazione di immagini digitali estremamente importante. Essa combina la tecnica della semplice tomografia con l’utilizzo del computer, che esegue una analisi sia nel processo di acquisizione che in quello di ricostruzione dell’immagine stessa. Questo procedimento consiste a grandi linee nell’irraggiare la superficie corporea interessata da varie angolazioni, osservando l’attenuazione che il segnale di raggi X subisce. Il computer calcola, attraverso un complesso algoritmo, l’attenuazione dovuta alle singole regioni di spazio che formeranno poi i pixel dell’immagine. Maggiore è il numero di queste regioni di spazio considerate, maggiore sarà la risoluzione dell’immagine. Il processo avviene con un movimento di rotazione e traslazione contemporaneo della sorgente rispetto all’immagine; oggi esistono tomografi con processi di movimento molto più complessi. Il valore di attenuazione è rilevato dal macchinario come u (coefficiente lineare di attenuazione), e viene convertito in unità Hounsfield, ossia semplicemente in punti permillesimi in più o in meno rispetto a quelli dell’acqua. Questo valore dipende dalla densità del tessuto attraversato, ed è quindi detto “coefficiente densitometrico”. Si ottiene così una scala di lettura di questo tipo: 1000: osso 80: sangue, fegato 40: parenchimi 30: sostanza bianca e grigia 0: acqua -200: grasso -400: polmone -1000: aria

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La scala comprende quindi 2001 valori possibili, ma negli apparecchi moderni di solito si una profondità di colore di 212, con quindi 4096 colori. Il tomografo computerizzato è un apparecchio che ha subito notevoli evoluzioni (ad esempio il tempo necessario alla scansione è passato da diversi minuti dei primi modelli a pochi secondi dei più recenti). E’ composto da: • Tavolo porta paziente motorizzato e comandabile a distanza • Tunnel di scansione, con la sorgente di emissione e i collimatori del fascio • Cellule di acquisizione dei dati e detettori del fascio emergente • Computer di calcolo dei dati (acquisizione e ricostruzione dell’immagini procedono simultaneamente) • Consolle di comando • Stampante e memoria di massa per riproduzione e archiviazione dell’immagine Esistono molti tipi di tomografi, che variano nella possibilità, essenzialmente, di ottenere una rotazione continua attorno al paziente e quindi di effettuare la scansione in tempi minori (magari torace e addome in una unica apnea).

Esecuzione della tomografia Si parte sempre da una immagine digitale “panoramica” detta anche immagine guida, ottenuta facendo scorrere il tavolo sotto il paziente, che permette di definire i limiti della successiva scansione. Successivamente si esegue la scansione vera e propria, diretta o dopo mezzo di contrasto, con varie tecniche: • Ricostruzione 3d di singoli strati di tessuto • Acquisizione di immagini seriate contigue, con ricostruzione 3d successiva: questo processo è più

rapido, e permette di valutare una serie di “fette” in un tempo breve, sfruttando ad esempio la massima opacizzazione del mezzo di contrasto.

• Acquisizione ripetuta a brevi intervalli di un singolo strato, ad esempio per osservare la diffusione del mezzo di contrasto nel tempo

• Acquisizione volumetrica con tecnica spirale, molto più rapida, che permette ad esempio la vista di uno spazio esteso in una singola apnea. La tecnica spirale permette di ricostruire le immagini in qualunque punto all’interno del volume della singola scansione.

La ricostruzione 3d delle immagini, ottenuta con immagini ad alta risoluzione e tecniche di calcolo complesse, può ottenere la visualizzazione estremamente precisa delle strutture interne, fino a raggiungere risultati paragonabili a quelli dell’endoscopia (endoscopia virtuale); importante anche la ricostruzione 3d di ossa e articolazioni, di vasi utilizzando contemporaneamente la TC e l’angiografia (angiografia TC). A questo proposito, esiste nella TC un elevato uso di mezzo di contrasto, nonostante la tecnica sia di per sé ad alta risoluzione.

1.6 ECOGRAFIA Si tratta della principale di una serie di tecniche che si basano sulla ritrasmissione, da parte dei tessuti, di un fascio di ultrasuoni. E’ una tecnica estremamente versatile, semplice e di scarsissimo costo, ma che ha fra gli svantaggi la sua scarsa risoluzione e soprattutto la necessità di una interpretazione immediata e operatore dipendente del risultato (l’unico che capisce una ecografia per bene è chi la fa!). L’assenza di ogni rischio biologico (in pratica) e la validità e rapidità diagnostica la pongono come una tecnica diagnostica di approccio e di screening indispensabile.

Basi fisiche Si utilizza un fascio di ultrasuoni variabile a seconda degli strumenti fra 1 e 20 MHzl, prodotti sfruttando le oscillazioni di alcuni materiali eccitati da frequenze elettriche appropriati. Ogni mezzo materiale attraversato da questi ultrasuoni (che non si propagano nel vuoto) si oppone al loro passaggio con un diverso valore di impedenza acustica. Aria e osso compatto sono i principali ostacoli alla diffusione del fascio: al di sotto di una struttura aerea, l’attenuazione subita è del 99,9% (scomparsa del fascio), al di sotto dell’osso del 41% (attenuazione del fascio). Il gel che si spalma sulla cute e su cui si appoggia l’ecografo serve ad eliminare l’aria fra la pelle e la sonda. Quando gli ultrasuoni sono riflessi dai tessuti, vengono recepiti dalla stessa sonda (che è un cristallo piezoelettrico), che subisce il processo inverso: nell’emissione dei raggi, la corrente stimola il cristallo che

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produce ultrasuoni, nella ricezione di essi il cristallo viene stimolato dagli ultrasuoni e produce una corrente elettrica che viene interpretata come segnale. Maggiore è la frequenza del fascio, tanta è la risoluzione dell’immagine che viene fuori dall’ecografo: però alle alte frequenze aumenta anche l’assorbimento, quindi il fascio non può entrare nei tessuti in profondità e questa tecnica va bene solo per analisi superficiali.

Interpretazione risultati L’ecografia può essere effettuata in A-mode, in TM-mode o in B-mode: • Amplitude mode: l’esplorazione è effettuata lungo una sola linea, e risulta appunto una linea come quella

di un tracciato elettrocardiografico. Si ha quindi una linea con dei picchi proporzionali all’intensità del suono riflesso, e posizione corrispondente alla profondità dal quale si è generato il suono. Questa modalità è usata per l’analisi ecografica del fondo dell’occhio.

• Time motion mode: sempre una sola linea, ma che si muove scorrendo, e ogni punto viene osservato nel tempo.

• Brightness mode: rappresentazione elettronica sullo schermo TV dei punti di formazione degli echi di ritorno. Ogni eco è rappresentato da un punto di luminosità proporzionale alla sua intensità. L’immagine è quella classica dell’ecografo, e può essere rettangolare, a settore di cerchio (l’apice rappresenta la sonda).

A seconda delle strutture incontrate, gli echi possono essere di vario tipo: • Assenza di echi: la struttura esaminata è perfettamente omogenea, il fascio l’attraversa senza incontrare

alcuna interfaccia e quindi subire fenomeni di riflessione che danno origine a echi. Il sangue, una cisti omogenea, della bile, e tutte le formazioni solide anecogene sono di questo tipo.

• Echi speculari: la struttura contiene delle aree di densità diversa di dimensioni maggiori del fascio incidente. Vasi, superfici degli organi, cisti, strutture varie danno echi di questo tipo, e possono essere visualizzate efficacemente all’ecografo come una struttura diversa dal parenchima circostante.

• Echi diffusi: la struttura contiene aree di densità diversa ma piccole, come ad esempio i lobuli epatici, che danno una eco diffusa. Nel fegato l’aumento dell’intensità di questi echi diffusi è un segno di modificazione del parenchima.

• Strutture iperecogene con cono d’ombra: alcune strutture, in particolare quelle solide con intensa calcificazione o gas, danno una totale riflessione del fascio di ultrasuoni, tale da lasciare al di sotto della struttura una zona conica di vuoto dove gli ultrasuoni non arrivano perché ombreggiati dalla struttura iperecogena soprastante.

1.7 DOPPLER La frequenza di un’onda di ultrasuoni che colpisce un struttura in movimento subisce anch’essa, come il suono normale) una variazione in positivo se la struttura si avvicina, in negativo se si allontana (effetto doppler). In clinica questo si usa per il sangue; le frequenze usate sono nell’ordine dei KHz, e possono essere amplificate e quindi udite; durante l’esame l’operatore (e tutti quelli che gli sono vicino!) ascolta dei suoni con frequenza variabile in relazione alla velocità del sangue. Ovviamente esistono apparecchiature che analizzano e graficizzano questo spostamento doppler, restituendo informazioni su velocità, natura del flusso, direzione e altre informazioni sul flusso ematico analizzato. Il doppler può essere continuo o pulsato: il primo permette l’analisi del flusso ematico di un singolo vaso, perché non riesce a riconoscere due o più strutture vascolari sovrapposte, ma è poco costoso e usato per i grossi vasi arteriosi. Il secondo, invece, ha risoluzione di profondità ed è parte integrante dei moderni ecografi. Ci sono vari tipi di doppler pulsati, che si accoppiano a sonde ecografiche normali e possono essere attivati a piacere: in questo modo si sceglie il vaso sotto guida ecografica e si può osservare solo quello. • Eco-doppler: mette i valori misurati in una sezione di vaso (volume campioni) in su una linea, con

picchi proporzionali al flusso ottenuto.

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• Color doppler: i valori sono sovrapposti all’immagine ecografica: in blu vengono indicati i punti in cui il flusso si allontana dalla sonda, in rosso quelli in cui si avvicina, con intensità pari all’intensità del flusso (numero di globuli rossi, che riflettono gli echi, circolanti).

• Power doppler: i valori sono rappresentati sull’immagine ecografica con un colore fisso, di intensità dipendente soltanto dall’intensità del flusso ematico.

In pratica il color doppler offre una chiara immagine delle direzioni del flusso e della composizione vascolare della zona interessata, il power doppler una misura dell’intensità del flusso nel tempo, l’eco doppler una analisi approfondita del flusso e delle sue caratteristiche nel tempo, sottoforma di tracciato grafico. Nell’ecografia doppler può essere usato un mezzo di contrasto che aumenti l’ecogenicità del sangue, abbastanza bassa; esso è una sostanza idrosolubile che contiene all’interne bolle d’aria solubili, di dimensioni così piccole (< 7 um) da attraversare senza problemi il filtro polmonare. Varie sostanze additive vengono impiegate per stabilizzare le bolle e farle durare di più.

1.8 TERMOGRAFIA In alcune patologie, la presenza sottocute di zone parenchimali e vascolari ad alta attività metabolica produce aree di ipertermia che possono essere messe in evidenza con tecniche particolari. Il calore di fondo¸ ossia la temperatura della cute nella zona, è tanto minore quanto maggiore è il rapporto S/V fra la cute e quello che riveste. Ipotermiche sono mani, piedi, capezzoli, orecchie, testicoli. Sono ipertermiche anche le aree dove il calore si disperde peggio, come le pieghe cutanee (per cui la T corporea si prende lì o al retto). Oltre a questo, si evidenzia un disegno vascolare al quale contribuiscono in massima parte le vene, ma anche grossi tronchi arteriosi che si avvicinano alla superficie (arterie mammarie). Esistono due tipi di termografia: • Termografia a contatto: ormai obsoleta • Teletermografia: di impiego corrente in campo vascolare e reumatologico Nella teletermografia il paziente è messo in una stanza a 20°C per circa 10-15 minuti, nudo, per acclimatazione. Dopo questo tempo, viene misurata la radiazione elettromagnetica emessa e quindi (nei termografi di seconda generazione) elaborata onde meglio evidenziare le differenze fra la radiazione di fondo e il disegno vascolare o eventuali spot focali. Le massime applicazioni si hanno in ortopedia, reumatologia e patologia vascolare

1.9 RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE Si tratta di un insieme di tecniche che utilizzano la risonanza magnetica ai fini di: • Produrre sezioni come nella tomografia assiale • Angiografia • Localizzare aree del SNC attive in risposta a stimoli (neuro RM funzionale) • Localizzare traccianti o metaboliti particolari Questa tecnica si basa sul fatto che alcuni nuclei atomici (come l’ H) immersi in un campo magnetico uniforme sono capaci di assorbire energia elettromagnetica a particolare frequenza (cioè un assorbimento in risonanza). Quindi risonanza magnetica nucleare, dove il nucleare non ha, come diversi pazienti terrorizzati credono, nessuna attinenza con sostanze radioattive. Quando l’irradiazione elettromagnetica cessa, queste sostanze eccitate emettono l’energia assorbita: la caratteristica peculiare è che non solo analizzando questa energia di ritorno si possono ricavare informazioni sul tessuto, ma a seconda della durata e dell’intensità dell’energia fornita si riceveranno informazioni su densità protonica e altri parametri del tessuto. Il processo schematizzato è il seguente:

1. Le sostanze sensibili all’assorbimento in risonanza si magnetizzano durante la fase di irradiazione 2. Magnetizzandosi, esse emettono un segnale che è ricevibile da una apposita bobina

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3. Al termine dell’irraggiamento, esse si smagnetizzano con una velocità diversa a seconda delle dimensioni della molecola interessata e di altre caratteristiche che permettono di distinguere diversi tipi di tessuti.

4. La RMN mette dunque in evidenza il tipo di molecola che compone il tessuto, evidenziando molto bene ad esempio il tessuto adiposo e quello osseo, quello acquoso eccetera.

Questo ovviamente è molto importante perché con la RMN si mettono in evidenza i tessuti diversi e anche alcune molecole che sono normalmente invisibili alla radiologia convenzionale. Inoltre si è detto che a seconda del tipo di impulso elettromagnetico ricevuto, le molecole danno risposte diverse. Esistono quindi diverse sequenze che sono in grado di fornire risposte di vario tipo. In RMN esistono anche diversi tipi di mezzo di contrasto, che si basano sul principio solito di legarsi all’organo o alla lesione che interessa osservare, ma agiscono aumentando o diminuendo il tempo di magnetizzazione del tessuto (e si chiamano di conseguenza positivi o negativi, a seconda di quale azione facciano).

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CAP 2 RADIOLOGIA INTERVENTISTICA 2.1 ANGIOGRAFIA Sono una serie di tecniche interventistiche di radiologia che permettono di visualizzare l’interno di arterie e vene, con le relative lesioni, e contemporaneamente di eseguire manovre e interventi di vario tipo. Possono essere usate sia tecniche di imaging convenzionali che digitali. La tecnica è la seguente: si dispone di una agocannula con mandrino, che permette l’inserimento al suo interno di una guida. • Si buca un vaso venoso di grosso diametro (arcata inguinale, ascella, vena omerale). • Si rimuove l’ago osservando se esce sangue • Si inserisce la guida che, sotto guida ecografica, raggiunge il distretto interessato • Si rimuove la cannula • Si introduce il catetere, a doppio lume fino al distretto interessato seguendo la guida • Si rimuove la guida Per i le angiografie arteriose si sceglie in genere la femorale, che ha una buona dimensione e facilmente reperibile. I cateteri sono flessibili, ma a memoria di forma e una volta liberati dalla guida metallica si mettono da soli nella posizione ideale. Il mezzo di contrasto viene poi iniettato nelle regioni interessate e si osserva, se iniettato in un vaso arterioso, tre fasi: • Fase di diffusione arteriosa • Fase di diffusione parenchimatosa (il mezzo di contrasto si inserisce nei capillari) • Fase di diffusione venosa

2.2 INTERVENTISTICA VASCOLARE

TRATTAMENTO DI EMORRAGIE E MALFORMAZIONI In caso in genere di emorragie o di altre necessità ad esempio chirurgiche può essere effettuata in due modi: • Infusione endoarteriosa di vasopressina • Occlusione meccanica La prima procedura trova impiego di solito nelle emorragie gastrointestinali, per l’effetto spastico sulla mucosa intestinale oltre che sulla muscolatura arteriosa della vasopressina che potenzia il risultato. Controlla bene le piccole emorragie, male quelle grandi come ad esempio l’ulcera pilorica. E’ un trattamento comunque di primo livello, in genere ben tollerato. L’occlusione meccanica arresta il flusso completamente e solo nel distretto interessato, previo un cateterismo molto selettivo. La scelta del materiale per fare l’embolizzazione dipende dalla natura stessa della lesione e del vaso. Si usa sia per il controllo delle emorragie bronchiali, digestive o traumatiche, che per il trattamento di malformazioni arteriose di varia natura. Complicazioni rare ma temibili (infarto / sepsi dell’organo interessato). L’embolizzazione venosa, meno usata, oggi trova impiego nel trattamento del varicocele maschile e femminile. Un’altra questione, trattata a sé, è l’impiego di filtri cavali.

OCCLUSIONI ARTERIOSE ACUTE Le occlusioni arteriose sono acute e croniche. Fra le prime sono frequenti le embolie (su vasi sani) e le trombosi (su vasi aterosclerotici, su protesi, sui circoli collaterali). Il trattamento di queste patologie prevede l’impiego di due tecniche fondamentali: • Angioplastica transluminale percutanea (PTA) • Trombolisi

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Angioplastica Costituiscono una indicazione a questa soluzione le stenosi arteriose o le ostruzioni trombotiche brevi (non oltre 5 cm). Si procede con una cateterizzazione con guida metallica di piccolo diametro e facile scorrevolezza, che valica la stenosi o l’ostruzione. Su questa guida si fa scorrere un catetere particolare, detto di Gruntzig, all’estremità del quale c’è un palloncino gonfiabile. Questo viene messo in corrispondenza della lesione e gonfiato più volte fino a quando il vaso non ha ripreso la sua dimensione originaria. Questa tecnica, sebbene di semplice esecuzione e poco costosa, e sebbene richieda una ospedalizzazione minima e presenti pochi rischi, non sempre è di efficacia elevata. Sono frequenti le ristenosi, ed esistono una serie di complicazioni (ematomi, lacerazioni, trombosi nel luogo dell’applicazione) che possono essere ridotte con l’uso di farmaci anticoagulanti dopo l’intervento e con la mobilizzazione precoce del paziente (in interventi periferici). In alternativa, se abbiamo una embolia su vaso sano o una lesione asportabile, si percorre con il catetere tutta la guida fin oltre la lesione, e da qui si gonfia il palloncino e si tira via l’embolo. → Indicazioni • Lesioni acute e croniche, con o senza fibrinolisi precedente • Migliori risultati per piccole obliterazioni • Migliori risultati in assenza di calcificazioni • Distretto iliaco: si procede a PTA se ci sono sintomi come cl. intermittens, dolore a riposo, ulcere,

malattia ateroembolica (s. delle dita blu) • Distretto femorale e popliteo: se il paziente è sintomatico e se c’è trombosi, dopo aver effettuato la

trombolisi • Distretto intrapopliteo: paziente con dolore a riposo, ulcere, quadro clinico severo con il problema del

salvataggio dell’arto. SI valuta la pressione alla caviglia e alle dita del piede (se minore di 30 mmHg la prognosi è peggiore).

Il protocollo operativo è: • Trattamento preventivo con acido acetilsalicilico (ASA 33 mg/die) nei giorni precedenti • Anestesia locale • Puntura periferica • Inserimento della guida • Esecuzione di angiografia diagnostica con mezzo di contrasto • Attraversamento della stenosi con la guida • Eparina sistemica 5000 UI • Catetere a palloncino ed esecuzione dell’intervento • Trattamento con ASA dopo l’intervento Controindicazioni all’uso della PTA sono: • Assolute:

o Occlusione embolica acuta intervenuta o Trombosi recente (si usa allora la trombolisi e successivamente la PTA)

• Relative: o Stenosi in contiguità con lesioni aneurismatiche o Condizioni del letto a valle precarie

Le complicazioni sono: • Ematomi importanti: 2-4% • Embolo distale: 2-5% • Dissezione intimale 4% • Falsi aneurismi 2%

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• Rottura arteriosa 3% • Dissezione • Trombosi • Embolia • Aneurismi • Fistole AV

Fibrinolisi (o trombolisi) Si tratta di un protocollo che consiste nell’iniezione diretta all’interno del trombo di sostanze in grado di accelerare la trasformazione del plasminogeno in plasmina, o di degradare direttamente la fibrina. Di solito si da: • Urochinasi in bolo (100.000 UI) seguite da 50.000 UI/h per 24-72h (mai oltre). • Attivatore del plasminogeno (rtPA) in bolo (0,5 mg/Kg) seguito da 0,2 mg/Kg/h per 4h. Seconda

generazione L’rtPA funziona meglio in presenza di fibrina, dando migliori risultati a livello dei trombi piuttosto che degli emboli: una certa quota di plasmina può sfuggire e passare in circolo, ma viene fermata dalle molecole che la inattivano. → Indicazioni • Arteropatie obliteranti acute (nella forma cronica si usa ma non ha lo stesso effetto. Spesso va associata a

PTA per completare la ricanalizzazione) • Occlusioni dei bypass precoci (sono meno frequenti perché possono essere derivate da errori tecnici o da

inadeguate indicazioni alla ricostruzione chirurgica) o tardivi (che dipendono dalla lunghezza del bypass, dal decorso, dal materiale usato, e da varie condizioni patologiche che possono sopravvenire). La fibrinolisi è più utile in questi casi della trombectomia chirurgica perché è meno traumatica.

• Si preferisce l’infusione regionale di fibrinolitico perché meno costosa e con minor effetti sistemici � Tecnica • Antiaggreganti 2 giorni prima del trattamento • Eparina durante il trattamento: 5000 UI in bolo EV + 500 U/h fino al termine (valutando PTT 1,5-2 volte

il basale) • Antiaggreganti almeno per 6 mesi dopo il trattamento Si inserisce il catetere e si effettua prima una trombolisi meccanica; il catetere viene infiltrato nel trombo in senso retrogrado con 100000-200000 UI di urokinasi e la punta del catetere avanza gradualmente. A 12 ore si valuta se c’è riperfusione, ogni 6 ore si monitorizza il PTT e il PT fibrinogeno e l’antiplasmina. Questa tecnica viene in genere utilizzata da sola per le lesioni trombotiche arteriose periferiche acute, nell’occlusione dei bypass, nelle trombosi coronariche o renali. Si può però anche associare alla PTA, in questa maniera: • Inserimento della guida e iniziale trombolisi meccanica • Infusione di trombolitico fino alla creazione di un passaggio • PTA con catetere a palloncino Il successo della terapia con trombolisi dipende dalla percentuale di ricanalizzazione dimostrata dopo l’intervento, dall’efficacia della PTA successivamente eseguita sulle lesioni residue, dallo stato clinico del paziente, dall’indice di Winson (indice braccio/caviglia che mette a confronto le due pressioni: quella dell’arto trattato deve essere almeno 0,8 rispetto a quella del braccio non trattato). Le lesioni residue si trattano sempre con la PTA o, se non è possibile fare altrimenti, si ricorre alla chirurgia. Dopo una trombolisi, si può avere la completa ricanalizzazione del vaso (evento raro), una apertura parziale, o un fallimento. Le controindicazioni al trattamento sono: • Assolute: emorragie, accidente cardiovascolare da meno di 3 mesi • Maggiori: emorragie GE gravi, traumi gravi, interventi chirurgici, ipotensione arteriosa grave

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• Minori: gravidanza, retinopatia diabetica, endocardite batterica, difetti emostatici → Oggi assume importanza la tecnica di rimuovere i trombi tramite aspirazione, tramite opportuni cateteri portati in corrispondenza di essi con guida ecografica. Viene usata per il trattamento delle lesioni vascolari periferiche e per la ripulitura di bypass.

Tromboaspirazione Tecnica recente e non sempre ben valutabile, questa è utile sia per trombi organizzati che recenti; serve uno studio preliminare angiografico e 5000 UI di eparina durante il trattamento. → Indicazioni: • Fibrinolisi locoregionale controindicata o inefficace • Occlusione acuta trombotica dopo PTA • Complicazione emboliche della PTA Viene utilizzata solo agli arti inferiori, in quanto nei superiori la movimentazione del trombo è troppo rischiosa per le possibili embolie vertebrali o carotidee; è comunque necessaria l’integrità dell’asse aorto-iliaco.

OCCLUSIONI ARTERIOSE CRONICHE In questo tipo di lesione ha maggior risultato la fibrinolisi piuttosto che l’angioplastica, in quanto la lunghezza dell’occlusione e la presenza di una iperplasia intimale rendono poco adatta quest’ultima tecnica. Le occlusioni arteriose croniche possono essere classificate in base alla classificazione di Leriche-Fontaine: • I: asintomatiche. Diminuzione della T alle estremità, vago dolore alla deambulazione con l’uso di scarpe

strette. • II: claudicatio intermittens.

o IIa: dolore oltre i 100 m di marcia o IIb: dolore prima di 100 m

• III: dolore anche a riposo, edema, pallore, ipotermia, iniziale diminuzione degli annessi cutanei • IV: necrosi ischemica → ulcere, gangrena secca o umida Definizione di ischemia critica: dolore a riposo che richiede analgesia per almeno 2 settimane con pressione sistolica alla caviglia minore di 50 mmHg e/o alle dita minore di 30 mmHg; ulcere e gangrena delle dita del piede con pressione alla caviglia/piede minore di 50/30 mmHg. In tali pazienti spesso l’ossimetria transcutanea è minore di 10 mmHg e non aumenta con l’inalazione di O2 → La PTA però assume importanza se associata alla fibrinolisi prima (si accorcia la lunghezza delle lesioni) e al posizionamento dello stent dopo (si impedisce la ristenosi). I vantaggi della PTA sono infatti quelli di poter: • Rompere la placca e l’intima • Distendere e rompere la media • Distendere l’avventizia Agisce cioè non solo nella lesione trombotica, ma anche nella parete del vaso: essendo in pratica le lesioni croniche tutte quelle lesioni di natura aterosclerotica, questo trattamento della parete del vaso è decisamente importante. La rottura della placca non ne comporta la totale rimozione, ma soltanto un depezzamento: se però la placca alla fine resta sempre dov’era, è vero che è tutta la parete che si sposta ripristinando il lume. Questo è alla fine il meccanismo di intervento, ed è chiaro che in questo modo la funzione del posizionamento di uno stent è fondamentale. Rapporto con la classificazione di Leriche: • Classe 1: efficace • Classe 2: PTA + bypass se la malattia è polidistrettuale • Classe 3: PTA solo se non è possibile l’intervento chirurgico • Classe 4: PTA con scarso successo

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→ Poco usati, ma esistono anche gli ateromi, divisi in rotazionali e direzionali. Questi strumenti, che agiscono rispettivamente con una punta rotante o con una ghigliottina tagliente, frammentano la placca in corpuscoli che vengono aspirati o incorporati in un serbatoio integrato. Sono poco usati per via delle complicanze a lungo termine, soprattutto della displasia fibro-intimale che si verifica in maniera più frequente rispetto alla PTA. → Lo stent, invece, trova applicazione nel trattamento delle lesioni residue dopo la PTA, o nelle dissezioni ad essa conseguenti. Si tratta di protesi rigide costituite da maglie metalliche, che possono essere inseriti in un catetere e trasportati fino al luogo della lesione; qui esistono dei modelli autoespandibili, altri possono essere espansi meccanicamente. I modelli ad espansione automatica comprimono il lume della placca progressivamente, rimodellandola. Ve ne sono anche a memoria di forma, importanti per la loro stabilità nel tempo. Gli stent sono fabbricati in vari formati a seconda delle dimensioni e del decorso del vaso (stent dedicati, ad esempio, alle arterie renali e alle carotidi). I problemi principali sono però il costo elevato e la invasività nella manovra di posizionamento. Altre complicanze sono: • Embolizzazione distale • Aneurismi • Fistole AV • Trombi (soprattutto non ricoperti per adesione, oppure per trauma dell’intima) • Perforazione e rottura vasale • Ematomi Uno stent deve essere: • Biocompatibile • Flessibile • Radiopaco • Indeformabile • Facile da posizionare (in genere possono essere ancora mossi fino a metà apertura) • Facile da togliere • Con spinta radiale Una ulteriore evoluzione degli stent sono gli stent ricoperti. Questi hanno un materiale metallico nella struttura portante, ma sono ricoperti di materiale sintetico che minimizza il rischio di iperplasia intimale, che provoca spesso l’occlusione degli stent normali. Questi si usano soprattutto per: • Aneurismi (se si rompe il vaso, lo stent tampona le emorragie) • Occlusioni aorto-iliache • Dissezioni periferiche • Fistole AV • A livello ileo-femorale se c’è scarso risultato dopo PTA • Per dissezioni importanti • Trattamento di lesioni lunghe • Placche ulcerate sintomatiche • Ristenosi dopo PTA • Lesioni complesse • Placche eccentriche (si dilatano molto male con il palloncino) Indicazioni per gli stent non ricoperti • Occlusione acuta subito dopo PTA

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• Stenosi residue maggiori del 30% specie con gradiente pressorio transtenotico maggiore di 10-15 mmHg • Recidive distrettuali dopo PTA • Ostruzione dove la sola PTA è poco efficace (come a livello iliaco) • Ostruzione complessa con altra probabilità di recidiva dopo PTA In queste due ultime circostanza lo stent viene applicato facilmente, con modesta dilatazione del vaso.

TRATTAMENTO DELLA TROMBOSI VENOSA PROFONDA Il trattamento delle lesioni venose viene sempre fatto con il cateterismo a monte della lesione, spingendo il catetere contro il flusso sanguigno. • Dolore, edema, iperpigmentazione, ulcere da stasi, ipertensione venosa centrale • Claudicatio • Edema cronico • Insufficienza valvolare Gli obiettivi della terapia sono: • Diminuire il disagio del paziente in fase acuta • Prevenire l’embolia polmonare • Prevenire la sindrome post flebitica • Eliminare i sintomi e prevenirne l’accrescimento La terapia medica è fatta con eparina, che riduce il rischio di embolia polmonare, ma non modifica quello di sindrome postflebitica. All’eparina viene quindi associata la terapia trombolitica, sistemica o regionale. • La trombolisi sistemica viene usata più nelle occlusioni venose che in quelle arteriose, soprattutto se il

trombo è recente. Ha meno rischi di infezione del catetere di quella regionale (sono necessarie molte ore di terapia), ma ha costi elevati, rischio di sanguinamento, e la lisi del trombo può essere incompleta.

• La trombolisi regionale è importante per ridurre la sindrome postflebitica, provocando la lisi comleta del trombo. E’ indicata in quei paziente con estesa compromissione dell’arto, edema esteso o TVP massiva. Oltre all’infusione regionale però è importante fare anche 300 UI di eparina. Le complicazioni emorragiche ci sono, ma meno che nella terapia sistemica. Ogni otto ore viene fatto il controllo del PTT e del fibrinogeno.

Nel trattamento della trombosi, onde effettuare una efficace prevenzione dell’embolia, va comunque sempre fatta eparina. La terapia chirurgica permette anche la dilatazione della vena e il posizionamento di uno stent. La percentuale di successo è dell’85%, con il 90% di pervietà del vaso ad un anno di distanza. Controindicazioni sono: • Stroke da meno di 1 anno • Patologia metastatica con interessamento del SNC • Gravidanza

Filtri cavali Il posizionamento di filtri cavali è un importante completamento alla terapia della trombosi venosa quando vi sia: • Controindicazione, fallimento o complicanze alla terapia anticoagulante • Embolia polmonare massiva con TVP residua in paziente ad alto rischio per altro episodio • Trombo fluttuante ileofemorale o cavale (discordanza: è difficile che si stacchi) • Politraumatismo

o Trauma severo anche senza embolo polmonare documentato o Trauma cronico chiuso o Trauma spinale

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o Frattura ossa lunghe o bacino • Intervento di protesi all’anca • Pazienti ginecologici (non in gravidanza: il feto può comprimere la cava e dare problemi allo stent) I filtri possono essere introdotti chiusi, tramite un catetere, nella vena femorale o la vena giugulare interna destra, e sono portati sotto lo sbocco delle vene renali, aperti e ancorati alle pareti cavali, dove costituiscono un filtro efficace al passaggio di emboli. Ce ne sono rimovibili (meno usati) o stabili. L’embolia polmonare o il suo sospetto clinico costituiscono le indicazioni principali alla instaurazione di filtri cavali. Oggi la diagnosi di embolia polmonare si fa prima con la scintigrafia polmonare perfusionale e ventilatoria, (con o senza angio/pneumografia, oggi si tende a non farla più), poi si fa la TC spirale per dirimere i dubbi. Complicanze possono essere: • Migrazione • Inclinazione • Perforazione dello stent • Rottura • Trombogenicità

2.3 DRENAGGIO DI RACCOLTE FLUIDE La radiologia interventistica negli ultimi anni ha assunto importanza nel drenaggio delle raccolte sia per una miglior messa a punto delle tecniche, sia per la presenza di antibiotici che permettono una adeguata copertura di questi interventi. Si interviene in quattro fasi: • Localizzazione della lesione: in genere con ecografia, ma anche con TC che offre vantaggi nelle

raccolte retroperitoneali • Scelta della via d’accesso: più breve possibile, e con minor interessamento delle strutture vitali: la TC

aiuta molto nella sua definizione • Aspirazione diagnostica: si inserisce un ago da 20 nella via d’accesso, e aspirando 5 ml di fluido su cui

eseguire le necessarie indagini di laboratorio • Inserimento del catetere: può essere inserito tramite guida o essere disposto direttamente di ago

perforante. Di solito si usa un 8F. La raccolta viene svuotata il più possibile, poi il catetere viene ancorato alla cute e lasciato in sede collegato ad un sacchetto di raccolta, fino a normalizzazione del quadro clinico.

Oltre alle raccolte ascessuali vengono drenate anche le cisti del pancreas, del fegato e dello stomaco.

2.4 INTERVENTISTICA EPATOBILIARE La colangiografia transepatica rende possibile l’accesso all’albero biliare direttamente dall’esterno, per cui sono possibili drenaggi e protesi biliari, la dilatazione di stenosi (bilioplastica), e il trattamento di calcoli intraepatici. Con questa tecnica inoltre è possibile l’irradiazione di tumori maligni delle vie biliari o della testa del pancreas. Alcune tecniche importanti sono descritte qui di seguito.

PTC (colangiografia percutanea transepatica) Si tratta del primo passo da eseguire per ogni procedura successiva invasiva delle vie biliari. Controindicazioni sono: • Diatesi emorragica • Ipersensibilità a mezzo di contrasto • Tumori maligni • Malformazioni vascolari • Ascite di entità rilevante

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Indicazioni sono: • Palliazione di ostruzioni neoplastiche maligne • Decompressione delle vie biliari e accesso per successive manovre invasive • Decompressione preoperatoria delle vie biliari (di scarsa esecuzione) • Decompressione profilattica dopo PCC o ERCP

Drenaggio biliare percutaneo (DBP) Indicato nell’ittero ostruttivo, specie maligno, riduce l’entità dell’ittero e migliora le condizioni generali. Costituisce la base delle altre tecniche. Si possono fare drenaggi interni o esteri, oppure esterni e interni contemporaneamente. Oltre al drenaggio chirurgico percutaneo è possibile tentare un drenaggio endoscopico, in genere provato prima. → Drenaggio biliare estero E’ il metodo più semplice di decompressione biliare, per stenosi che non è possibile oltrepassare. Se la stenosi può essere oltrepassata, si esegue invece un drenaggio interno-estero (vedi oltre)

1. Si cerca di oltrepassare la stenosi con guide angiografiche di varia natura. Se vi si riesce, si esegue un drenaggio interno-esterno, altrimenti si prosegue con quello esterno.

2. Si inserisce fino a monte della stenosi una guida speciale sulla guida angiografica, detta anche guida di Lunderquist, che è piuttosto rigida in tutto il percorso, tranne che nel tratto terminale (per evitare traumi al dotto).

3. Su questa si inserisce il catetere a pig-tail, dotato di numerosi forellini nel tratto terminale arricciato. 4. Si sfila la guida e si effettuano lavaggi con soluzione fisiologica per rimuovere sangue o coaguli

presenti. 5. Si ancora il catetere. L’estremità a coda di porco è già abbastanza stabile, la parte esterna viene

fissata con punti di sutura cutanei o altri sistemi di ancoraggio. Al catetere viene collegata una sacca di drenaggio

6. Si eseguiranno periodici lavaggi con soluzione fisiologica e antibiotica. La scelta di questa tecnica si ha quando risulta inutile o impossibile superare l’ostacolo, oppure in presenza di bile infetta, per evitare la contaminazione delle strutture a valle, oppure in emergenza. In condizioni elettive, comunque, un drenaggio esterno può diventare esterno-interno facilmente. Complicanze: • Spostamenti → si tratta con sostituzione e riposizionamento • Emobilia (rara) per contemporanea puntura della via biliare e della vena porta (di solito) • Emorragia in caso di lesione arteriosa o di lesione venosa in corso di ipertensione portale. In questo caso

è necessario eseguire un tamponamento dell’arteria epatica1 • Infezioni batteriche dell’albero biliare • Insufficiente flusso di bile attraverso il drenaggio → Drenaggio biliare interno esterno Rappresenta una evoluzione della tecnica precedente, e si applica quando sia possibile e conveniente oltrepassare la stenosi. La tecnica mista consente sia il ripristino della via biliare che la decompressione esterna a monte della lesione.

1. Si esegue una PTC per documentare la stenosi e assicurarsi che non vi sia bile infetta. La cannula per la PTC si ferma prima della stenosi

2. Si introduce nella cannula, e quindi oltre la stenosi una guida angiografica. La cannula dovrà essere posta al centro della stenosi, dove è virtualmente più facile il passaggio della guida.

3. La cannula viene trascinata dalla guida oltre la stenosi 4. Si rimuove la guida e si inserisce nella cannula una guida di Lunderquist, con la quale si inserisce un

pig-tail come descritto prima. Si prende un catetere tipo pig-tail (coda di porco), con fori multipli,

1 Si esegue così: incannulazione dell’arteria mammaria inferiore al di sotto del diaframma, fino al tripode celiaco e da lì verso l’arteria epatica. Si iniettano sostanze che polimerizzano a contatto con il plasma.

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che viene posto a valle della stenosi con la punta e a monte della stenosi con la coda. In questo modo, essendo il catetere forato in più punti, si ha un passaggio della bile attraverso la stenosi.

5. Per i primi giorni, al drenaggio interno attraverso la coda di porco viene accompagnato un drenaggio esterno, in attesa che le condizioni reologiche della bile tornino normali e sia possibile un buon flusso attraverso lo shunt

Complicanze: • Spostamenti: relativamente frequenti • Emobilie (rare) • Colangiti • Ostruzione del catetere → Endoprotesi biliare (drenaggio biliare interno) Le endoprotesi, strumenti essenziali per l’esecuzione di questa tecnica, sono segmenti cilindrici da posizionare a livello di stenosi giudicate inoperabili, di diversi materiali inerti (teflon, silicone, poliuretano) di conformazione e lunghezza variabile. Queste sono tutte inserite all’interno del tubo biliare, e a differenza delle altre due tecniche questo drenaggio non ha sbocchi all’esterno. Il fattore limitante il flusso è il diametro dello stent, che dovrà essere il maggiore possibile che non incorre in complicazioni di posizionamento e di invasività. Siccome gli spostamenti sono le complicazioni maggiori, è importante che lo stent sia lungo abbastanza da occupare tutta la via biliare e un tratto del lume del duodeno. Sistemi con anelli circonferenziali diminuiscono le possibilità di spostamento, ma aumentano il trauma al momento dell’impianto. L’indicazione all’uso di stent è quasi del tutto a carico della patologia neoplastica maligna, in quanto un paziente con lo stent è difficilmente operabile. L’utilizzo di stent ricoperti però sta allargando il campo di applicazione anche alla patologia benigna. Complicanze: • Ostruzione: si esegue una sostituzione dello stent occluso, si deve anche posizionare un drenaggio

esterno che permetta di supplire alla funzione carente • Migrazione (particolarmente frequente con stent) • Emobilia franca, che si verifica se la via biliare è interessata da una lesione neoplastica che la rifornisce

di molto sangue • Drenaggio insufficiente • Ostruzioni tardive parziali o totali • Colangiti (fino al 10% dei casi) → Confronto e indicazioni delle singole tecniche • Il drenaggio biliare esterno ha essenzialmente o un significato palliativo su lesioni stenotiche non

superabili, o che non ha senso trattare, per migliorare la qualità di vita del paziente. Invece, utilizzato come tecnica di decompressione preoperatoria, ha l’importante ruolo di trasformare un intervento di emergenza in una situazione elettiva, nella quale è possibile agire con calma perché si scongiura il pericolo di danni da ittero ostruttivo.

• Il drenaggio interno esterno e quello interno hanno il vantaggio di ripristinare il circolo entero epeatico del materiale biliare e quindi devono essere utilizzate quando possibile. Però le lesioni multiple impediscono il posizionamento di stents e quindi vengono trattate con drenaggio interno esterno.

• Il drenaggio interno elimina le complicazioni legate alla permanenza all’esterno del catetere, ma allo stesso tempo rende molto difficile intervenire sul sistema se esso ha bisogno di manutenzione. Se è possibile, però, è in genere considerata la tecnica migliore.

Bilioplastica Metodica che si usa nelle stenosi benigne delle vie biliari. Si usa un catetere a palloncino per angioplastica con la stessa tecnica per usata per la PTA.

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Calcoli intraepatici Ci sono due tecniche per la rimozione dei calcoli in maniera esterna. La prima è con accesso percutaneo o tipo a T: si inserisce un catetere a palloncino, con il quale si dilata la regione del calcolo. Poi si inserisce un basket, con il quale si estrae il calcolo. La seconda tecnica è la papillotomia endoscopica o la dilatazione endoscopica della papilla, e da qui, con controllo ecografico, si preleva il calcolo trascinandolo nel duodeno. La prima tecnica è preferibile se il calcolo è alto, la seconda se si trova vicino alla papilla. In certe occasioni si può anche eseguire una tecnica mista. Talvolta il catetere può subire un reflusso di bile, e allora si utilizzano cateteri con spirali apposite dette di Gianturco, che diminuiscono il problema.

TIPS (transjugular intraepatic portosistemic shunt) Questa procedura è una alternativa alla chirurgia in pazienti con sanguinamento frequente provocato da ipertensione portale grave. La procedura mette in comunicazione una vena sovraepatica con la branca sinistra della vena porta. Si introduce un catetere dalla giugulare destra e si raggiunge la cava e la vena sovraepatica di destra. Con apposito ago, si punge il parenchima fino a trovare un ramo portale, che si incannula con una guida fino alla porta. Infine, si posiziona in questa via uno stent permanente.

2.5 INTERVENTISTICA URINARIA La nefrostomia percutanea è una alternativa alla procedura urologica per via ascendente, e trova indicazione nel drenaggio della pelvi e dell’uretere in presenza di idronefrosi da ostruzione dell’uretere. A partire da questo intervento si possono poi eseguire altre manovre, come la dilatazione di stenosi, il posizionamento di cateteri che eseguono un drenaggio urinario interno o esterno, la rimozione di calcoli dalla pelvi o dai calici.

2.6 INTERVENTISTICA DEL TUBO DIGERENTE • Dilatazione di stenosi esofagee: in alternativa all’endoscopia. Si fa una esofagoplastica transluminale

con catetere a palloncino inserendo una guida per via orale, che viene fatta passare fin oltre la stenosi, e come nell’angioplastica, si fa passare il palloncino che si gonfia (non oltre 3-4 minuti per non produrre ischemia da compressione).

• Dilatazione di stenosi gastriche • Dilatazioni di stenosi nelle anastomosi gastro-coliche, colo-sigmoidee • Gastrostomia percutanea: trova indicazione quando non è possibile l’alimentazione orale per

ostruzione organica dell’esofago, o per cause neurologiche.

2.7 BIOPSIE Le biopsie “a cielo coperto” possono essere estremamente importanti. Ci sono diversi tipi di biopsie, con relative tecniche e strumentazioni. • Citologia: ago aspirativo di diametro inferiore a 0,91 mm (oltre 20G) con punta a becco di flauto,

collegati a siringa che mantiene l’aspirazione forzata • Istologia: ago tranciante che fornisce fruste di tessuto completo. Calibro in genere maggiore (16-18G) • Biopsia superficiale: se la lesione è palpabile, non è indispensabile il controllo ecografico, che

comunque mantiene l’ago in posizione e assicura l’esecuzione della manovra corretta. • Biopsia polmonare: ago sottile riduce il rischio di emorragie (20-22G), la guida TC consente di

raggiungere lesioni profonde e piccole (5 mm). Le lesioni subpleuriche possono essere seguite anche con controllo ecografico soltanto.

• Biopsia mediastinica: controindicata nelle lesioni vascolare, importante per le masse di natura ignota. La guida di solito è mediante TC.

• Biopsia sottodiaframmatica: diretta a rene, surrene, fegato, milza. Guida ecografica o TC, aghi diversi a seconda della sede delle lesioni. Nelle biopsie epatiche è meglio lasciare fra cute e area da trattare uno strato notevole di parenchima sano che permetta il tamponamento di eventuali sanguinamenti

• Biopsia ossea: principalmente usata per le neoplasie, è meglio della chirurgica per la minor invasività e quindi minor possibilità di espandere e disseminare la lesione. Sono richiesti aghi speciali per attraversare le porzioni calcificate dell’osso, o introduttori a vite. Basta la guida RX, ma a volte è necessaria la TC (ossa piatte, midollo).

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2.8 INTERVENTISTICA ONCOLOGICA

Chemioembolizzazione (TACE) (Trans Arterial Chemio Embolization) Terapia dell’epatocarcinoma e dei carcinoidi neuroendocrini. Iniezione di una sospensione di antiblastico in mezzo oleoso che produce un embolo nel microcircolo del tumore, prolungando il tempo di contatto fra il farmaco e il tumore, e togliendo flusso ematico alla neoplasia; questo viene fatto partendo dal presupposto che i nodi di HCC sono spesso ipervascolarizzati e che la loro vascolarizzazione è per più dell'80% di origine arteriosa, a differenza del restante parenchima epatico che riceve il sangue prevalentemente dal sistema portale. La procedura infatti non provoca necrosi del tessuto circostante: perfino l’occlusione di un ramo principale dell’arteria epatica è tollerata, visto che il fegato riceve il 75% del sangue dal flusso portale. Al termine dell’infusione viene di solito iniettato un embolizzante riassorbibile (spugna o gelatina) che prolunga l’effetto. La procedura può essere fatta sulle vene epatiche (meno costosa e più facile, ma di minor efficacia) sul vaso afferente al tumore. Nelle lesioni di piccole dimensioni da ottimi risultati (importante la valutazione TC a 15 giorni di distanza). Questa procedura può essere applicata al polmone in caso di emottisi. → Protocollo operativo nel trattamento del carcinoma epatico con TACE. • Studio angiografico completo del fegato (il circolo portale viene analizzato osservando la fase di ritorno

venoso del mezzo di contrasto iniettato nel tripode celiaco). • Cateterismo superselettivo dell’arteria epatica di dx o sx, e poi dell’arteria segmentaria efferente al

tumore • Iniezione di 50-70 mg di chemioterapico emulsionato con 10-15 ml di lipsodol (olio molto radiopaco,

che si fissa bene nelle lesioni ipervascolarizzate e aumenta la permeabilità delle cellule neoplastiche al farmaco)

• Iniezione del materiale embolizzante → Il massimo risultato si ottiene con lesioni capsulate e se il cateterismo è superselettivo. Indicazioni sono: • HCC uninodulare maggiore di 3 cm, ipervascolarizzato. Se la lesione è minore di 8-9 cm si può anche

associare PEI • HCC multinodulare che occupa meno del 40% del volume del fegato Indicazioni all’associazione TACE + PEI sono: • HCC uninodulare 3-9 cm • Classe A o B di Child • Assenza di trombosi portale • Piastrinemia maggiore di 40000 L’applicazione contemporanea di TACE e PEI da grossi vantaggi perché l’effetto di una procedura si riflette positivamente sull’altra:

EFFETTO DELLA TACE → MIGLIORAMENTO SULLA PEI Diminuzione della consistenza parenchimale per necrosi e distruzione dei setti

→ Migliore diffusione dell’alcool etilico

Reazione fibrosa successiva → Migliore ritenzione in loco dell’alcool Embolizzazione → Ridotto wash out ematico dell’alcool Controindicazioni: • Child C • Volume neoplastico maggiore del 40% del volume epatico • Trombosi dei rami portali principali • Shunt artero-portale

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→ Controllo dell’efficacia Si fa un primo ciclo di terapia, poi la TC a 4 settimane di controllo. Segue un altro ciclo combinato con PEI e infine un controllo con TC e aFP a 3 mesi. L’utilizzo di lipsodol permette di osservare se il tumore è stato distrutto dalla terapia e in che misura. Al controllo, il lipsodol molto opaco dovrebbe sostituire interamente la neoplasia. In base al pattern di sostituzione si valuta la percentuale di necrosi: • Denso e uniforme → 90-100% • Con difetto singolo → 70-80% • Sfumato - parziale → 50-70% • A spot, assente → < 50% → Complicanze: • Dolore • Febbre intermittente • Scompenso epatico • Ulcera gastrica

Perfusione arteriosa Posizionamento di cateteri permanenti di diametro tale da essere contenuti in una arteria afferente al tumore, con serbatoio sottocutaneo contenente il farmaco, ad essi collegato. Le metastasi epatiche vengono spesso trattate in questo modo. Altri tipi di perfusione sono allo studio: • Perfusione ipossica: occlusione arteriosa temporanea della zona neoplastica, successiva instillazione di

antiblastico

Alcolizzazione (PEI) Inizialmente terapia di epatocarcinomi inferiori a 3 mm, estesa poi a lesioni secondarie o di maggior diametro. Consiste nell’instillazione in sede di alcool etilico al 99%, che provoca danno con duplice meccanismo, diretto e conseguente alla trombosi dei piccoli vasi arteriosi interessati. Per lesioni estese si possono utilizzare fino a 200 ml di alcool in anestesia generale (è dolorosa, soprattutto in lesioni sottocapsulari). Il trattamento di piccoli noduli non richiede ospedalizzazione e nemmeno anestesia. I risultati sono molto buoni solo su lesioni molto piccole. E’ un protocollo di minor efficacia rispetto alla chemioembolizzazione, e che ha il rischio di sgocciolamento del liquido nel peritoneo, con peritonite chimica. Inoltre è scarsamente applicabile nei tumori provvisti di capsula perché l’etanolo tende a diffondere eccessivamente dal sito di inoculo e a causare una perdita eccessiva di parenchima epatico. In questi casi, se proprio non esistono altre opzioni è opportuno fare più somministrazioni frazionate. Questa metodica ha il vantaggio di essere pratica, estremamente economica e con scarse complicanze (peritonite chimica e ascessi infetti)

R.I.T.A. Elettrocoagulazione a radio frequenze. Si introduce un ago elettrodo grande (15-18G), collegato ad un generatore che produce attorno alla punta dell’ago, per effetto Joule, una dispersione termica in grado di distruggere la neoplasia (la testina dello strumento sviluppa fino a 110°C) causando necrosi coagulativa come l’etanolo ma in maniera più controllabile. Non è dolorosa e non ha particolari controindicazioni, tranne che nel trattamento di lesioni vicino ai vasi o ai dotti biliari, che possono essere danneggiate dal calore. Vantaggi rispetto all’alcolizzazione: meno complicanze; svantaggi: metodica + complicata, necessita di anestesia locale o profonda se il tumore è abbastanza vicino alla glissoniana.

Altre tecniche • Fotocoagulazione laser: sotto guida ecografica con sonde a fibre ottiche collegate a un generatore laser,

inserite in ago da 19G inserito nella lesione. • Ablazione con microonde: infissione diretta di apposito elettrodo che emette radiazione

elettromagnetica a 2450 MHz. Efficace su lesioni di diametro inferiore a 2 cm

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• Ablazione con ultrasuoni • Crioterapia (neoplasie prostatiche)

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CAP 3 RADIOLOGIA DELLE STRUTTURE DEL COLLO 3.1 RINOFARINGE Il rinofaringe, lo spazio aereo delimitato dal piano passante per il palato molle, le coane nasali e il pavimento della fossa cranica anteriore, è ben visibile nell’RX diretta latero-laterale del cranio, con il paziente in espirazione a naso e bocca chiusi. Una analisi perfetta di questa struttura è però possibile soltanto con la TC, che è indispensabile per la stadiazione delle neoplasie, patologia di più frequente interesse radiologico. La cavità è radiotrasparente, e in proiezione LL assume un aspetto a clava, con la delimitazione posteriore dei corpi vertebrali ben visibili. Alcune condizioni in cui è importante lo studio radiologico: • Ipertrofia adenoidea: tumefazione netta, peduncolata, parenchimatosa, che non modifica le strutture

ossee circostanti • Cisti di Thornwaldt: cisti caratteristica che si sviluppa da residui della notocorda, ed ha un rapporto

caratteristico con il muscolo lungo del collo • Neoplasie rinofaringee: importante la TC I tumori maligni del rinofaringe possono essere infiltranti o peduncolati, in genere sono molto invasivi ed hanno frequentemente un interessamento delle strutture ossee circostanti. Lo studio RX diventa importante non soltanto per l’individuazione della lesione primitiva, ma soprattutto per la stadiazione dell’invasione ossea e della loro estensione alla base del cranio. La TC con scansione assiale è l’esame di elezione. La RM invece assume una importanza ancora maggiore nell’osservazione dell’invasione dei piani muscolari profondi e delle strutture nervose. Sia la TC che la RM sono inoltre importanti per lo studio delle strutture attorno al faringe, che possono essere spesso sede di fenomeni neoplastici.

3.2 LARINGE L’esame diretto LL è il primo approccio al laringe: sebbene in questo modo le strutture dei due lati sono sovrapposte, la proiezione AP non è fattibile in quanto il laringe è contenuto fra trachea e colonna vertebrale. La TC, o alternativamente la RM, sono in grado di visualizzare invece tutte le strutture del laringe nel dettaglio. Le situazioni in cui si impone lo studio radiologico del laringe sono: • Laringiti: soltanto in quelle situazioni in cui la laringoscopia è di difficile esecuzione, per edema o per

altre circostante, e in cui sia importante documentare l’interessamento di strutture adiacenti da parte di processi infiammatori come ascessi.

• Papillomi: diagnosi differenziale fra ispessimenti di natura infiammatoria e quadri di TBC o di tumori maligni.

• Carcinoma laringeo: la TC consente di identificare la lesione primitiva, e valutare la sua estensione alle strutture circostanti, che in questo tumore è rapida e precoce. Inoltre è importante per la scelta del tipo di intervento chirurgico e della metodica conservativa più adatta. Infine ha un ruolo importante nella ricerca delle metastasi linfonodali.

• Paralisi laringee: in quelle monolaterali si mette in evidenza le asimmetrie fra le due corde vocali e si può dare un giudizio clinico sulla lesione.

• Laringocele: facilmente diagnosticabili alla TC; spesso il laringocele è dovuto alla compressione da parte di neoplasie, che con l’esame radiologico possono essere ricercate.

3.3 COLLO Essendo una struttura composta essenzialmente di tessuti molli, questa risulta esplorabile principalmente tramite ecografia, TC e soprattutto RM. Questa tecnica, in particolare, permette di eseguire seriazioni decisamente sottili e ad alta risoluzione lungo tutte le direzioni dello spazio. Le lesioni del collo vengono prima di tutto localizzate a seconda del loro rapporto con le fasce e le altre strutture cervicali, e poi ne viene analizzata la consistenza e le altre caratteristiche. In presenza di linfoadenopatie, che sono significativamente frequenti, la diagnosi si basa su reperti morfologici e dimensionali, e quindi è molto meno efficace della biopsia.

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Il ruolo principale delle tecniche di imaging è quindi quello di identificare e localizzare le lesioni, da indagare successivamente con la biopsia.

3.4 TIROIDE Si tratta di una struttura ben esplorabile anche alla semplice palpazione, e si possono valutare con relativa certezza “a mano” tutte le lesioni e gli ispessimenti superiori ad 1 cm. Tuttavia spesso si palpano come singoli noduli multipli, e sono male interpretabili le lesioni tiroidee. E’ comunque importante, quindi, il ricorso a numerose tecniche di imaging, con vari obiettivi: • Ricerca, definizione e caratterizzazione di lesioni nodulari • Definizione dell’estensione di neoplasie • Valutazione strutturale e funzionale della tiroide • Definizione della presenza di tiroidi ectopiche o accessorie • Controllo postoperatorio • Controllo dell’estensione regionale e a distanza dei tumori maligni

METODI DI INDAGINE

RX diretta Non è visibile per la sua scarsa opacità e per il contrasto basso con i tessuti circostanti. Ma se vi sono ectopie, marcato ingrandimento o calcificazioni allora questi si rendono evidenti all’RX standard.

Ecografia Esame elettivo per il primo approccio diagnostico alla patologia tiroidea, sia direttamente che come supporto per l’esecuzione di biopsie. Importante anche per la valutazione dei diametri, della struttura, per la caratterizzazione delle masse e dei noduli, per il controllo postoperatorio. Normalmente appare una struttura con due lobi lievemente asimmetrici, ecostruttura omogenea con echi fini e regolari, iperecogena rispetto ai muscoli circostanti e alla trachea. I lobi sono limitati da una sottile capsula iperecogena rispetto al parenchima, e possono esservi delle vene ipoecogene. Aree ipoecogene fluide di non più di 2-3 mm sono normali accumuli di colloide. Lo studio ecografico cerca: • Dimensioni e morfologia della ghiandola • Ricerca di noduli, di cui si osserva l’ecostruttura e la presenza di calcificazioni. All’eco si evidenziano

noduli cistici di circa 1mm e solidi di circa 3 mm • Ricerca di adenopatie laterocervicali • Valutazione della mobilità, capsula, presenza di infiltrazione dei tessuti attorno al collo. • Vascolarizzazione dei noduli con il power e il color doppler.

Scintigrafia Vedi parte di medicina nucleare

TC Tecnica di seconda istanza per lo studio della tiroide. Non è in grado di distinguere direttamente fra lesioni maligne o benigne, ma trova indicazione in: • Stadiazione dei tumori maligni • Stadiazione del linfoma tiroideo • Ricerca di recidive postoperatorie • Valutazioni di gozzi plongeant e dei loro rapporti con la trachea • Valutazione del volume della tiroide nella programmazione della terapia con radioiodio. • Valutazione dell’esoftalmo nel Basedow.

RM Indicazioni simili a quella della TC, rispetto alla quale ha il vantaggio di poter disporre di più piani di osservazione e di non necessitare del mezzo di contrasto iodato. A volte si riesce anche a distinguere fra lesioni maligne e benigne, e spesso fra recidive e cicatrici nel postoperatorio.

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SEMEIOTICA RADIOLOGICA DELLA PATOLOGIA TIROIDEA

Malformazioni • Aplasia e ipoplasia: all’eco il parenchima risulta assente o diminuito di volume; è importante la

scintigrafia per identificare aree di tiroide funzionante residue. • Ectopia: si rivela con l’ecografia e soprattutto con la scintigrafia, risolutiva nell’evidenziare tessuto

tiroideo funzionante (con Tc o meglio ancora con iodio marcato). • Cisti del dotto tireoglosso: formazione anecogena, variabilmente corpuscolata.

Alterazioni di funzione • Ipertiroidismo di Basedow:

o Ecografia: dimostra ingrandimento diffuso e simmetrico della tiroide o Scintigrafia Tc: aumento dell’attività fino a simulare la scintigrafia con I o Color doppler: diffusa vascolarizzazione con velocità di flusso elevate per presenza di shunt

AV o RM: aumento diffuso del segnale

• Ipertiroidismo da gozzo multinodulare tossico: o Scintigrafia: aree ad aumentata e diminuita attività alternate o Eco: ingrandimento per la presenza di noduli multipli iso o ipoecogeni.

• Ipertiroidismo da adenoma tossico di Plummer: o Scintigrafia: regione ipercaptante, quasi sempre, in corrispondenza dell’adenoma o Ecografia: nodulo di varia ecogenicità, con aspetti di ipervascolarizzazione, ed aree lacunari

all’interno • Ipotiroidismo: sia primitivo che secondario, l’ecografia valuta il volume della tiroide, la scintigrafia il

residuo funzionale.

Gozzi Il gozzo è l’aumento di volume della ghiandola. L’iperplasia tiroidea (o struma) è invece la presenza di aree nodulari disseminate nel tessuto della tiroide. L’iperplasia tiroidea diffusa non mostra caratteri particolari all’ecografia, in quando la trama tiroidea è di solito normale. L’esame diretto AP dimostra nel gozzo cervicale una deviazione della trachea laterale, poiché il gozzo è praticamente sempre asimmetrico. In radioscopia si vede lo spostamento della massa tiroidea durante deglutizione o colpi di tosse. Con l’ecografia si valuta efficacemente anche l’incremento volumetrico della ghiandola, che in età pediatrica diffuso, non nodulare. Nell’adulto prevalgono la nodularità e le degenerazioni colloido-cistiche. La scintigrafia dimostra un tessuto funzionante con aree nodulari fredde. TC e RM possono aiutare a comprendere la posizione del gozzo e i rapporti con le strutture adiacenti.

Tiroiditi • Acute: ecografia rivela aumento di volume, con margini mal definiti e aree ipoecogene sfumate nel suo

contesto. L’aspetto al color doppler è ipovascolare per l’edema interstiziale. • Tiroidite di Hashimoto: il volume aumenta inizialmente, poi diminuisce; l’ecostruttura è disomogenea

per la presenza di micronoduli, ipoecogeni, che sono molto indicativi. Il parenchima può apparire diviso in lobi da setti fibrosi. Il flusso ematico aumenta.

• Tiroidite cronica fibrosa di Riedel: ecostruttura fortemente ipoecogena, e la scintigrafia mostra una diminuzione della captazione su tutta la ghiandola.

Lesioni focali Lo studio delle lesioni, di qualunque natura, si avvale fondamentalmente di ecografia, agoaspirato ecoguidato, e talvolta della scintigrafia. Il problema diagnostico è in pratica la determinazione della natura maligna o benigna delle lesioni. Il valore predittivo della scintigrafia su questo non è eccellente: intanto la sua sensibilità è minore di quella dell’ecografia, e poi se è vero che il 99% dei noduli caldi sono benigni, soltanto il 20-30% di quelli freddi sono maligni.

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Alcuni segni ecografici indicativi di benignità del nodulo sono: • Iperecogenicità • Presenza di componenti cistiche • Presenza di livelli fluidi • Alone perinodulare di spessore costante (capsula) • Margini nett e definiti • Calcificazioni periferiche a guscio d’uovo • Più segni insieme aumentano la probabilità di nodulo benigno Segni ecografici di malignità sono: • Ipoecogenicità • Alone ipoecogeno spesso e irregolare (infiltrazione) • Calcificazioni sparse (corpi psammomatosi del carcinoma papillifero, o depositi di amiloide del

carcinoma midollare anaplastico) • Invasione di strutture anatomiche adiacenti Descrizione delle lesioni più frequenti • Cisti: struttura per lo più anecogena con sepimentazioni, livelli fluidi, detriti • Adenomi: solitari, spesso non funzionanti. Sono di ecostruttura variabile, con alone ipoecogeno spesso e

regolare. Possono diventare funzionanti, e allora sono caldi alla scintigrafia e intensamente vascolarizzati al color doppler

• Tumori maligni. o Carcinoma papillare: multifocale, precoce interessamento dei linfonodi locali. Di solito è un

nodulo ipoecogeno, a contorni mal definiti, spesso con corpi psammomatosi. Al color doppler è ben vascolarizzato

o Carcinoma follicolare: invasività variabile e precoce. Insorge spesso su un precedente gozzo multinodulare. Il solo esame citologico, e peggio ancora quello ecografico, non consentono la diagnosi. Spesso all’ecografia la capsula risulta precocemente invasa (presenza di alone ipoecogeno ampio e irregolare)

o Carcinoma midollare: spesso associato alla MEN, secerne calcitonina (molto indicativo), ed è una lesione spesso unica, ipoecogena, intensamente vascolarizzato. Contiene calcificazioni di amiloide, non capta iodio ma prende la meta-iodio-benzilguanidina.

o Carcinoma anaplastico: estremamente invasivo e a prognosi grave. Degenerazione delle altre forme, appare come una massa infiltrante con grossolane aree di necrosi interne. RM e TC sono indispensabili per la stadiazione

o Linfoma: 4% dei tumori tiroidei, si sviluppa su una tiroidite di Hashimoto, come una massa ipoecogena di discrete dimensioni, con più lobi. L’accertamento istologico è indispensabile per la diagnosi.

Spesso le neoplasie differenziate hanno una capacità residua di captare lo iodio, molto minore (2-3%) del tessuto normale: quindi la scintigrafia può aiutare ad evidenziare queste neoplasie per mezzo del contrasto che si crea fra il tessuto tumorale e quello normale.

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CAP 4 POLMONE E PLEURA 4.1 CENNI DI ANATOMIA I due polmoni sono separati in lobi da scissure che si approfondano nel parenchima fino all’ilo, diverse fra destra e sinistra.

A destra il polmone risulta diviso in tre lobi, superiore, medio e inferiore, da due scissure: • Scissura obliqua (grande scissura) che separa il lobo superiore e medio da

quello inferiore. Inizia posteriormente all’altezza dell’ilo, sale seguendo la superficie posteriore e portandosi lateralmente, fino ad incrociare il margine laterale del polmone all’altezza del IV spazio intercostale, quindi scende anteriormente e medialmente sulla faccia anteriore.

• Scissura orizzontale (piccola scissura) che separa il lobo medio dal superiore. Si origina anteriormente dalla grande scissura quando essa si trova al livello del VI spazio intercostale, e prosegue orizzontalmente circondando tutto il polmone

A sinistra invece il polmone ha soltanto la scissura obliqua, che separa il lobo superiore e la lingula (l’equivalente del lobo medio di destra) da quello inferiore. La scissura è simmetrica a quella corrispondente dell’altro polmone.

VIE AEREE La trachea, organo pari e mediano (leggermente deviato a destra, con una impronta aortica a livello dell’angolo della biforcazione) è il primo tratto delle vie aeree, di circa 18 mm di diametro,. Si divide, a livello del suo incrocio con l’arco aortico e le arterie polmonari, in due bronchi principali, di destra e di sinistra, con un angolo di circa 57°. Il bronco di destra ha un diametro maggiore di quello di sinistra (12 mm e 10 mm), e si dirige all’ilo del polmone corrispondente con un tragitto rettilineo e più breve di quello del bronco di sinistra. L’ilo di sinistra è più alto di quello di destra. Dopo i bronchi principali, si hanno una serie di ramificazioni all’interno del polmone, così schematizzabili. NUMERO DI

DIRAMAZIONI NOME DIAMETRO

(MM) COMMENTI STRUTTURE

0 Trachea 18 Una 1 Bronchi principali 12 Uno per polmone 2 Bronchi lobari 7 3 a destra, 2 a sinistra (il

superiore fornisce un ramo per la lingua)

Ognuno ad un lobo

3 Bronchi segmentari 5 10 a destra, sette a sinistra

Ognuno ad un segmento

4 Bronchi sub segmentari 4 5-10 Piccoli bronchi 4 – 1

11-13 Bronchioli 1 - 0,5 Scompare cartilagine e tessuto elastico

Gli ultimi vanno ognuno ad un lobulo

secondario 14-16 Bronchioli terminali 0,5 Scompaiono le cellule

secernenti Gli ultimi vanno

ognuno ad un acino 17-19 Bronchioli respiratori 0,5 Epitelio cubico Gli ultimi vanno

ognuno ad un lobulo primario

20-22

Dotti alveolari 0,4

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23 Sacchi alveolari 0,4 24 Alveoli 0,3 300 milioni X polmone Unità funzionale

I dieci bronchi segmentari si distribuiscono ai dieci segmenti di destra, che sono: • Apicale superiore • Anteriore • Posteriore • Laterale • Mediale • Apicale inferiore • Mediale basale • Anteriore basale I sette segmenti di sinistra sono: • Segmentario apico-posteriore • Segmentario anteriore • Lingulare • Apicale inferiore • Medio-antero basale • Laterale basale • Posteriore basale I segmenti sono importanti perché sono unità ventilatorie e circolatorie indipendenti. I lobuli secondari sono la più piccola unità riconoscibile ad occhio nudo. Ognuno di loro ha la forma di una piramide con l’apice verso l’ilo, da cui penetra il peduncolo bronchiolo arterioso, che successivamente si ramifica seguendo le varie ramificazioni dei bronchioli terminali. Alla periferia del lobulo decorrono le vene e i linfatici per questa struttura. Essa è la più piccola unità anatomica e funzionale identificabile nel polmone.

L’acino invece è la struttura anatomica che fa capo ad un bronchiolo terminale, (16° diramazione). Nell’acino sono organizzati gli alveoli, che però si possono trovare anche nella parete dei bronchioli respiratori di primo, secondo e soprattutto terzo ordine. Gli acini sono contenuti nei lobuli in numero di 3-5, e hanno un diametro da 5 a 7 mm. Dal punto di vista radiologico l’acino può essere considerato come l’unità di base del polmone. Alla fine della terza diramazione dei bronchioli polmonari la struttura dei bronchioli non esiste più. Qui (19° diramazione) inizia il lobulo, che sarà composto soltanto da dotti alveolari e alveoli. L’alveolo (24° diramazione) è la più piccola unità anatomica del polmone. All’interno di essi avvengono, tramite la loro sottile parete, gli scambi alveolo-capillari.

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Gli alveoli, con la loro parete di forma a sfera incompleta (5/6), offrono una superficie complessiva di circa 40-90 m2 a seconda delle variazioni di età, sesso, costituzione, decubito. All’interno sono rivestiti da un epitelio pavimentoso che poggia su una membrana basale. L’epitelio, fatto di pneumociti di ordine I, è intervallato da pneumociti di ordine II che producono surfactant. Questo ha la funzione di diminuire la tensione superficiale dell’interfacies aria sangue, e impedire il collasso dell’alveolo secondo la legge di La Place. I capillari esterni che li circondano hanno una parete abbastanza sottile da permettere la diffusione dei gas respiratori durante il tempo di transito dei GR attorno agli alveoli. A livello delle vie aeree più piccole (dotti alveolari) sono presenti delle comunicazioni dette pori di Kohn, che sono le più numerose comunicazioni fra le vie aeree (ne esistono altre, come i canali di Lambert fra i bronchioli terminali, ma sono meno importanti). Queste strutture garantiscono la distribuzione ventilatoria e pressoria fra i comparti polmonari, e la loro disfunzione provoca o aggrava alcune patologie (enfisema, pneumoconiosi).

VASCOLARIZZAZIONE Il circolo polmonare ha bassa pressione ed elevato flusso; la bassa pressione è essenziale per evitare la trasudazione del plasma negli alveoli o nell’interstizio. L’elevato flusso è indispensabile per motivi emodinamici (flusso del cuore destro uguale a quello sinistro) e per garantire l’ossigenazione dell’emoglobina. L’arteria polmonare decorre nel mediastino dopo la sua origine dal ventricolo destro, (dove forma l’arco sinistro medio del radiogramma mediastinico) e si divide in due rami all’altezza del suo incrocio con l’arco aortico. La branca destra decorre orizzontalmente e si divide prima di arrivare all’ilo in due tronconi (superiore e inferiore), la branca sinistra continua il decorso del tronco comune e si divide dentro l’ilo. Entrambe le arterie si ramificano esattamente come i bronchi fino al terzo ordine, poi iniziano le arteriole muscolari (fino ad 1 mm di diametro) e in seguito quelle elastiche (fino a 30 um). Normalmente la vascolarizzazione alle basi è maggiore che agli apici. Le vene polmonari nascono agli alveoli, con i capillari, le venule e le vene. Esse decorrono alla periferia del lobulo, mentre invece le arterie sono centrali. Alla fine all’ilo confluiscono in due tronchi a destra e a sinistra, che sboccano nell’atrio di sinistra. Questo sistema arterioso serve soltanto agli scambi alveolari. La nutrizione del polmone è assicurata dalle piccole arterie bronchiali, che originano a sinistra dall’aorta (2) e a destra (1) dalla prima delle arterie intercostali. Queste si ramificano similmente alle arterie polmonari. Il loro ritorno venoso avviene per 2/3 nelle vene polmonari (senza influire sull’ossigenazione del sangue data lo loro modesta portata) e per 1/3 alla vena azygos tramite anastomosi con le mediastiniche e le esofagee.

DRENAGGIO LINFATICO I linfatici sono distinguibili in due gruppi principali: • Intrapolmonari: accompagnano il peduncolo bronco-arterioso fino ai dotti alveolari • Sottopleurici: formano un reticolo attorno ai lobuli secondari, seguendo le vene alla periferia del lobulo. Tutte questi sistemi drenano ai linfonodi in intrapolmonari e mediastinici, secondo una suddivisione territoriale che non ha niente a che vedere con la suddivisione lobare. • Territorio superiore: corrisponde alla parte superiore e mediale del lobo superiore, e drena la linfa alla

catena laterotracheali omolaterali, e ai linfonodi mediastinici anteriori • Territorio medio: corrisponde alla parte inferiore laterale del superiore, al medio e all’apice del lobo

inferiore a destra; alla lingula e all’apice del lobo inferiore a sinistra. Drena ai linfonodi laterotracheali dello stesso lato e a quelli sottocarenali

• Territorio inferiore: corrisponde alla restante parte del lobo inferiore, e drena ai linfonodi sottocarenali e a quelli laterotracheali dello stesso lato.

Punti di repere importanti sono:

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• Linfonodo Azygos: nell’angolo tracheobronchiale a destra • Linfonodo del dotto arterioso: nell’angolo trachobronchiali a sinistra, più laterale di quello di destra

4.2 ESAMI RADIOGRAFICI DEL POLMONE

RADIOGRAFIA L’apparato respiratorio ha il vantaggio, essendo pieno d’aria, di possedere un contrasto naturale che permette già all’esame diretto di evidenziare diverse caratteristiche della sua struttura. Si effettua di solito in due posizioni: • Sagittale PA: con il paziente in piedi, in proiezione postero anteriore (per evitare l’ingrandimento del

cuore che viene avvicinato alla sorgente di emissione), possibilmente in apnea per aumentare il contrasto aereo. Si rendono così visibili:

o il disegno polmonare vascolare (la componente aerea non lo forma perché è radiotrasparente). Il parenchima si vede solo in condizioni patologiche.

o la trachea: ipertrasparenza nastriforme, mediana, che si divide nei due bronchi principali, anch’essi visibili

o il mediastino, come un’area di opacità centrale in cui sono apprezzabili caratteristiche linee, come gli archi cardiaci, i ripiegamenti pleurici eccetera

o gli emidiaframmi (si chiamano così perché sono diversi da ciascun lato). Quello di destra si continua con il cuore, ed è circa 1 cm più alto del sinistro per via del fegato. Al di sotto del sinistro si può apprezzare la bolla gastrica.

o l’ilo polmonare (a metà fra clavicola e diaframma). L’ilo radiologico è costituito dai grossi bronchi e dalle arterie polmonari che gli conferiscono un aspetto a virgola.

• Laterale LS: la proiezione laterale standard è a sinistra, sempre per il motivo dell’ingrandimento del

cuore, ma si può fare anche a destra se vi sono reperti patologici da quella parte. Il paziente è in piedi con gli arti superiori sollevati e paralleli. Si la riproduzione sovrapposta dei due polmoni e del mediastino, e quindi non si fanno confronti fra le due parti. Si vedono però:

o Sterno anteriore e colonna posteriore: due aree di opacità fra le quali è visibile la trasparenza del campo polmonare. Dello sterno è possibile apprezzare le varie componenti

o Trachea, sempre visibile come immagine nastriforme trasparente o Bronchi principali: presi di taglio dal fascio di radiazione, appaiono come due ombre

trasparenti sull’asse della trachea, quello destro più in alto. o Ombra cardiaca. Una opacità ovale che parte dal VI spazio intercostale, o Ombra vascolare, dell’aorta (in corrispondenza dell’istmo dove sporge toccando il polmone

e creando un contrasto naturale) e della vena cava superiore (davanti e parallela alla trachea, come una striscia opaca).

o Emidiaframmi: essendo sfalsati sono riconoscibili distintamente, quello destro è più in alto o Le arcate costali sono ben distinguibili.

L’apice polmonare radiologico è la porzione di polmone al di sopra della linea orizzontale passante per l’interno della clavicola. Poiché è impossibile riconoscere radiologicamente le scissure polmonari, si distingue in radiologia un campo polmonare superiore e uno inferiore. Il primo campo va dall’apice polmonare radiologico alla linea che passa per l’estremo osseo anteriore della terza costa. Il resto (lobo medio/lingula e lobo inferiore) è detto campo polmonare inferiore. Il lobo superiore è in alto, il lobo medio in avanti, il lobo inferiore posteriore. In radiologia può essere importante valutare la dinamica della respirazione polmonare, e si può fare o attraverso la radioscopia dinamica, oppure osservando le variazioni fra una lastra in espirazione e una in inspirazione. Le regioni polmonari che subiscono un escursione maggiore in inspirazione sono le basi, che sono meglio ventilati dell’apice. Nella fase espiratoria l’aria si riduce molto di più alle basi che all’apice, e questo, unito alla maggior perfusione, provoca un maggior opacamento basale in ispirazione, specialmente a paziente eretto (per l’aumento della P idrostatica alle basi). Questo è importante soprattutto per la possibilità di interpretare questo opacamento come un reperto patologico.

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Interpretazione dei risultati: ombre non patologiche Frequenti cause di ombre di dubbia interpretazione, ma non patologiche, sono: • Mammelle femminili: vistosa differenza di trasparenza in caso di mastectomia unilaterale. • Capezzoli (anche maschili) • Calcificazioni esuberanti della prima costa (frequente) • Ombre dei muscoli pettorali e dorsali in soggetti robusti • Vestiti, ornamenti, medicazioni • Scissure polmonari soprannumerarie (della azygos) • Cuscinetto adiposo epipericardico particolarmente sviluppato • Immagini della pleura • Ombra della clavicola e dello sternocleidomastoideo

TC POLMONARE E’ essenzialmente un completamento della radiologia, utile per la valutazione delle regioni ilari, costodiaframmatiche, retrocardiache. Sono utilizzate tecniche dirette e con l’aggiunta di mezzo di contrasto. Esistono essenzialmente quattro tecniche di base:ù • TC convenzionale: strati multipli di 5-10 mm, nella quale la risoluzione è sufficiente a permettere

l’osservazione anche dei bronchi piccoli • TC ad alta risoluzione: strati di 1-2 mm di spessore, permette di identificare le strutture fini (scissure,

bronchioli, setti interlobulari) e le relative patologie • TC spirale: in singola apnea si acquisisce tutto il volume toracico, con ricostruzione delle immagini a 5

mm o anche a 3 mm. Queste immagini, sottoposte a complesse ricostruzioni permettono la creazione di immagini 3D molto dettagliate (broncoscopia virtuale, angiopneumografia).

• TC dinamica: indagine TC realizzata in modo da visualizzare le variazioni del parenchima polmonare in momenti respiratori diversi (ad esempio in espirazione ed inspirazione). Può essere realizzata semplicemente ripetendo la stessa scansione nella stessa zona in momenti diversi. E’ molto utile per identificare fenomeni di intrappolamento aereo tipici delle bronchioliti.

E’ un esame importante sia per lo studio istologico fine delle lesioni, che per la localizzazione di esse in aree mal raggiungibili con l’esame diretto. Inoltre è indispensabile per la stadiazione di lesioni infiltrative. Il radiogramma è importante come esame di prima istanza, la TC come conferma e definizione.

SCINTIGRAFIA Esistono due forme, quella ventilatoria e quella perfusionale. La prima ovviamente da informazioni sulla ventilazione, la seconda sulla perfusione. Ha un ruolo di prima istanza nello studio dell’embolia, dove il reperto di discrepanza fra ventilazione e perfusione è patognomonico. In condizione di alterata ventilazione o perfusione (o entrambe) si osservano: • Lacune segmentali → tromboembolia, ostruzione bronchiale • Lacune non segmentali → enfisema, ipertensione arteriosa • Lacune eterogenee → bronchite cronica

ANGIOPNEUMOGRAFIA Si realizza con puntura della femorale o una vena antecubitale del braccio, e cateterismo del tronco comune o di un ramo (selettiva) o di una diramazione successiva (superselettiva). Le indicazioni sono: • Malformazioni arterovenose del polmone • Tromboembolismo • Malattie vascolari sistemiche con ripercussione sul polmone Si può anche fare una arteriografia toracica con cateterismo retrogrado transfemorale, e da qui una arteriografia bronchiale completa. E’ utilizzata di solito nei pazienti con emoftoe irrefrenabile di origine neoplastica.

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ECOGRAFIA In genere nella patologia toracica si usa poco, perché lo scheletro e l’aria sono un ostacolo invalicabile agli ultrasuoni. Sono però ugualmente importanti nell’esecuzione di manovre di radiologia interventistica (toracentesi, drenaggio di versamenti saccati, biopsie superficiali).

RM Il segnale emesso dal parenchima polmonare ha una intensità troppo bassa per permettere una risoluzione anatomica delle strutture vascolari. Attualmente, perciò, si usa soltanto per valutare l’infiltrazione parietale dei tumori apicali.

4.3 SEMEIOTICA RADIOLOGICA DELLE MALATTIE POLMONARI Come criterio generale, in un radiogramma toracico assume significato patologico qualsiasi variazione della densità in più o in meno rispetto al normale valore del parenchima polmonare. Si parla quindi di: • Opacità: in presenza di lesioni che addensano il parenchima riducendone o annullandone la normale

trasparenza (chiazze “bianche”). Qualsiasi processo che diminuisca il contenuto d’aria nei polmoni ottiene questo risultato.

• Ipertrasparenza: presenza di lesioni a contenuto aereo (cisti, bollo di enfisema, cavità) che si lasciano attraversare dai raggi X e sono quindi “più scure” del parenchima circostante.

Anche la distribuzione delle opacità o ipertrasparenze può essere importante (lobulare, segmentale, lobare) e dare informazioni sul processo patologico in atto.

ATELETTASIA POLMONARE L’atelettasia è la riduzione di volume di una parte di polmone in conseguenza alla diminuzione del contenuto aereo di bronchi e alveoli. Il meccanismo può essere vario (da occlusione e riassorbimento, da compressione, da infarto, da versamento), ma in genere ci si riferisce all’atelettasia che si crea per ostruzione e riassorbimento. In relazione alla sede dell’ostruzione delle vie aeree, l’atelettasia sarà segmentaria, lobare o polmonare (più piccole sono difficilmente rilevabili). L’ostruzione spesso è di natura neoplastica, ma anche da compressione esterna al polmone, cicatrici retraenti, processi infiammatori, corpi estranei (specie nella prima infanzia). L’ostruzione determina atelettasia da riassorbimento, ma non sempre: infatti si può avere una ostruzione incompleta che permette il rifornimento di aria con meccanismo a valvola, oppure si può avere una comunicazione fra le vie aeree a valle dell’ostruzione stessa. L’opacità si realizza pian piano, mentre l’aria viene riassorbita, e non è il primo segno di una atelettasia. Segni di atelettasia lobare • Dislocazione delle scissure, proporzionale alla variazione di volume dello spazio atelettasico. Vi sono

alterazioni delle scissure (come la concavità inferiore della grande scissura di destra) indicative di atelettasia di un particolare lobo.

• Risalita dell’emidiaframma interessato (specie nel lobo inferiore) • Spostamento del mediastino verso l’area atelettasica; la parte superiore del mediastino si sposta nelle

atelettasie superiori, viceversa quella inferiore. • Iperinflazione del polmone residuo dello stesso lato o del polmone controlaterale. Il parenchima

iperdisteso si presenta trasparente con attenuazione (per distanziamento) della trama vascolare. • Dislocazione dell’ilo verso l’aria atelettasica • Riduzione dell’ampiezza degli spazi intercostali per “restringimento” del parenchima atelettasico.

Bisogna assicurarsi che non dipendano dalla scoliosi del paziente • Assenza del broncogramma aereo: nel contesto degli altri addensamenti, infatti, si osservano sempre, per

contrasto, uno o più bronchi che proiettano sopra la loro immagine, normalmente invisibili. Nell’atelettasia questo non succede. Questo segno è importante nella diagnosi differenziale con le altre opacità.

Nell’atelettasia polmonare totale, invece, il mediastino è così tirato dal lato interessato che il polmone sano può oltrepassare la linea di mezzo. Nella regione anteriore superiore (spazio di Nitsch), nella regione

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posteriore inferiore (spazio retrocardiaco) questo movimento è più evidente. In proiezione anteriore il polmone “erniato” appare delimitato da quello atelettasico da una linea curva. Alcune volte l’atelettasia dipende dalla riduzione del volume polmonare secondaria a compressione estrinseca (quindi non ad ostruzione bronchiale). Queste atelettasie vengono chiamate anche collasso polmonare o atelettasie compressive. L’esempio più frequente è lo pneumotorace, ma anche il versamento pleurico e altre condizioni ne sono responsabili. A differenza del precedente, il meccanismo di riduzione del volume è la riduzione delle forze elastiche del polmone, o della trazione pleurica, o l’aumento delle forze che lo comprimono. La pervietà bronchiale però rimane, e quindi in queste forme è frequentemente visibile il broncogramma aereo. Una forma particolare è quella da collasso per difetto di surfactante, che si chiama anche atelettasia adesiva: il broncogramma aereo è spesso presente nelle prime fasi della malattia, che consegue ad alterazioni dello sviluppo polmonare neonatale (malattia a membrane ialine). Sono forme di collasso anche le atelettasie lamellari, spesso chiamate anche linee di Fleischener che conseguono alla scarsità di espansione delle basi polmonari e spesso sono quindi appannaggio di soggetti obesi o operati al torace ed addome, traumatizzati. Queste “distelettasie”, uniche o multiple, sono opacità lineari di 2-3 mm di spessore, orizzontali sopra il diaframma, che si risolvono però spontaneamente.

OPACITÀ ALVEOLARI Si formano quando l’aria negli spazi aerei è sostituita, per un qualsiasi motivo, da liquido: il processo in genere si estende rapidamente a causa della presenza delle suddette comunicazioni fra le vie aeree. Le più piccole riconoscibili sono quelle dell’acino (6-8 mm), poi quelle del lobulo (10-25 mm) che possono confluire in forme lobari. Sono in genere delle aree cotonose, con margini cioè molto sfumati, con evidente e ben riconoscibile broncogramma aereo (frequente se le alterazioni sono alveolari, come la polmonite, meno se il processo interessa anche o soprattutto i bronchi, come nella bronchite). Le cause di opacità possono essere distinte in acute e croniche: • Acute:

o Edema polmonare o Malattia a membrane ialine o Polmoniti o Broncopolmoniti o Emorragie e inalazioni di liquidi e gas tossici (rare)

• Croniche: o TBC o Sarcoidosi o Micosi o Linfomi e Carcinoma bronchiolo-alveolare. o Pneumopatia post irradiazione

In genere le opacità hanno caratteristiche, a seconda del processo che le provoca, abbastanza peculiari. • Polmonite: tendono a raggiungere dimensioni segmentarie o lobari, diventando omogenee (opacità

diffuse). Frequente broncogramma aereo • Broncopolmonite: disomogenee, broncogramma aereo spesso assente • Edema cardiaco: addensamenti basali (gravitazionali) bilaterali, rapidamente confluenti (il trasudato,

meno viscoso, si muove con rapidità negli spazi polmonari) • Edema vasogenico o infiammatorio: addensamenti a chiazze, omogeneamente distribuiti dall’apice alla

base, con minor tendenza alla confluenza (perché proteinacei e viscosi) • Alveoliti: il riempimento è parziale, non si manifestano vere e proprie opacità, ma una “velatura” della

trasparenza diffusa, che da al quadro il nome di aspetto a vetro smerigliato.

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OPACITÀ INTERSTIZIALI Si tratta di ispessimenti che riguardano l’interstizio peribronchiale o attorno ai vasi (grosso interstizio) oppure quello intralveolare (piccolo interstizio). Sebbene siano molti i meccanismi alla base di questo ispessimento (trasudazione, essudazione, ingorgo linfatico, proliferazione del connettivo…) il risultato è abbastanza omogeneo, anche se è possibile, con segni particolari individuare spesso il processo specifico alla base. Tutte queste opacità sono comunque: • Piccole (< 1cm) • Limitate all’interstizio • Molteplici • A margini netti • Non confluenti • Disposte su un fondo trasparente normale (se non sono troppe) Si distinguono quattro tipi principali di opacità interstiziali: → Interstiziopatie reticolari malattie diffuse dell’interstizio grosso, spesso associate al coinvolgimento delle strutture linfatiche. Si ispessiscono le pareti dei grossi bronchi, che danno un aspetto reticolato, a binario. Sarcoidosi, collagenopatie, edema interstiziale, asbestosi, fibrosi idiopatica. → Linee di Kerley sono linee di opacità orizzontali, caratteristiche dell’interessamento dell’interstizio attorno ai lobuli, o di quello subpleurico. Sono di due tipi: • Tipo A: centrali e intraparenchimali, di 1 mm di spessore e 3-4 cm di lunghezza. Corrispondono ad aree

di tessuto connettivo nei quali corrono linfatici o vene, ispessite per via dell’edema, o della proliferazione fibrosa.

• Tipo B: periferiche e basali, disposte perpendicolarmente alla superficie pleurica, sono dovuti all’ispessimento, per gli stessi motivi, dei setti interlobulari, che sono periferici.

• Tipo C: è in realtà un artefatto di proiezione delle linee B → Interstiziopatie nodulari malattie dell’interstizio peribronchiale, o che giungono tramite la distribuzione arteriosa, o linfatica, o per via inalatoria; tutte assumono aspetto nodulare, con dimensioni variabili a seconda della malattia. Le malattie che prediligono la via arteriosa (TBC miliare) si localizzano in posizione centrolobulare, quelle che prediligono la via linfatica (Sarcoidosi) in posizione periferica. Sarcoidosi, TBC, linfomi, metastasi → Interstiziopatie cistiche malattie fibrosanti come la fibrosi idiopatica, asbestosi eccetera sono caratterizzate da una sostituzione dell’architettura polmonare, e nel rimaneggiamento rimangono piccoli spazi cistici. Questi si vedono meglio con la TC ad alta risoluzione, e sono caratteristiche areole rotondeggianti ipertrasparenti, di pochi mm.

ALTERAZIONI DEL CIRCOLO POLMONARE Pressioni polmonari normali → Arteriosa: 15-30 mmHg Ipertensione lieve: 30-40 Ipertensione moderata: 40-70 Ipertensione grave: > 70 → Venosa: 12 mmHg Ipertensione lieve: 12-18 Ipertensione moderata: 18-25 Ipertensione grave: > 25

Iperafflusso

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Conseguenza di shunt cardiaco fra S e D, sforzi, gravidanza, febbre, tireotossicosi. Perché sia visibile è necessario un incremento di almeno il 50-70% dei valori basali. Si rileva un incremento del disegno vascolare del polmone, che tuttavia mantiene normali caratteristiche dei distribuzione e morfologia. In queste condizioni non si verifica ipertensione, almeno fin quando il polmone riesce a mantenere il compenso aumentando il calibro delle arteriole e diminuendo le resistenze.

Ipoafflusso Tetralogia di Fallot, stenosi polmonare, embolia, obliterazione e distruzione di vasi (vasculiti), vasculopatia ipossica. In tutte queste circostanze c’è una diminuzione del flusso ematico al polmone, con relativa diminuzione del disegno polmonare e della sua trasparenza.

Deviazione Il dirottamento ematico consiste in una deviazione compensatoria del flusso da territori danneggiati verso altri integri, e si esprime con un aumento distrettuale del disegno, accompagnato ad una diminuzione, sempre distrettuale, del disegno in altre zone. Ipertensione venosa polmonare da insufficienza mitralica → dirottamento verso gli apici perché l’aumento della pressione venosa è soprattutto basale. In questo caso si vedrà che il disegno dei campi superiori eguaglia quello dei campi inferiori.

Ipertensione arteriosa La pressione aumenta quando i meccanismi di riserva (territori poco irrorati, vasodilatazione arteriosa) sono già stati sfruttati. Alcuni segni altamente indicativi sono: • Dilatazione del tronco della polmonare (secondo arco di SX) e dei rami principali • Dilatazione dei rami arteriosi all’ilo, che provoca un aspetto dell’arteria “ad albero potato”. La distanza

interpeduncolare (cioè fra il punto di massima concavità del profilo esterno degli ili) aumenta oltre 10 cm nel maschio, 9,5 nella femmina.

• Restringimento successivo dei rami arteriosi dell’ilo: l’arteria assume allora un aspetto “a racchetta da tennis” con il manico all’ilo

Ipertensione venosa Attraversa caratteristicamente delle fasi precise: • Dirottamento

o Aumento disegno dei lobi superiori • Edema interstiziale: • Edema alveolare • Trasudazione pleurica E’ importante il suo riconoscimento precoce. Si manifesta in genere per condizioni di scompenso ventricolare sinistro. L’ipertensione arteriosa e venosa insieme (pre e post capillare) si verificano nella condizione di scompenso cardiaco acuto associato ad embolia, frequente nei politraumatizzati e nei reparti intensivi. Il quadro è la somma degli altri due.

OPACITÀ SINGOLE ROTONDEGGIANTI PERIFERICHE Il problema con queste è capire se si tratta di forme neoplastiche o malformative, e nel primo caso se sono maligne e benigne. Causa le molteplici difficoltà diagnostiche, si considerano masse maligne fino a prova contraria. Si valutano: • Accrescimento nel tempo: con più RX successivi. Qualsiasi dimostrazione di accrescimento di un

nodulo polmonare è motivo sufficiente per la sua asportazione. Quando nel radiogramma aumenta di 1,25 volte il diametro, il nodulo ha raddoppiato il volume. Il carcinoma broncogeno ha un tempo di raddoppio di 2-18 mesi, i granulomi attivi di qualche settimana, le lesioni benigne di anni.

• Forma: scarsa utilità • Diametro: se superiore a 4 cm a rischio • Margini: i tumori benigni hanno margini ben definiti, i carcinoma nell’85% hanno margini sfumati • Lobature: l’80% dei carcinomi hanno mammellonature periferiche che gli danno un aspetto lobato.

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• Espansioni a spina: sono espressione di tessuto connettivo che si irradia dai margini di un tumore e che segue all’esterno. Possono essere presenti nei granulomi, ma di soliti sono fenomeni reattivi del connettivo sano alla presenza di una neoplasia

• Corona radiata: alone trasparente che circonda la lesione, formato da tessuto enfisematoso. E’ considerato fortemente indicativo della malignità della lesione.

• Immagine lineare periferica: opacità lineare unica (a coda di topo) o duplice (a orecchie di coniglio), che si estende dal margine laterale delle lesioni periferiche verso la pleura. Sembra legata all’invasione delle cellule neoplastiche maligne nei confronti dei linfatici subpleurici.

• Escavazione: maggiore è l’opacità, tanto più frequente è l’escavazione, dovuta alla presenza di aria che entra attraverso le connessioni bronchiali all’interno della lesione.

• Calcificazione: in genere segno di un processo benigno. Anche un tumore maligno può calcificare, o possono farlo le aree di necrosi e di emorragia al suo interno; in genere le calcificazioni nelle lesioni maligne sono distribuite alla periferia.

• Rapporti con le scissure: le lesioni benigne tendono ad arrestarsi in corrispondenza di una scissura, quelle maligne no.

• Condizioni del paziente: fattori di rischio (fumo), età, sesso.

CALCIFICAZIONI Avviene solitamente nel contesto di tessuti degenerati o necrotici, quindi esprime processi patologici già esauriti. Ma può anche essere espressione di una patologia attiva. • Parenchimali isolate: esito di un processo granulomatoso, in genere TBC (per esempio focolaio di

Ghon) • Parenchimali diffuse: originano da diversi processi di natura trasudatizia, da pneumoconiosi, infezioni,

polmoniti, ipercalcemia, mieloma. • Linfonodali: in genere accidentali nella TBC; caratteristiche quelle a “guscio d’uovo” della silicosi • Pleuriche: vistose, a volte formano la così detta pleurite calcifica, un segno di pregresso emotorace,

piotorace, o versamento da asbesto. • Tracheali: specie in età senile, quando è un fenomeno fisiologico. Le calcificazioni tracheali giovanili

possono essere indici di ipercalcemia o iperfosfatemia. Esiste anche una malattia con calcificazioni tracheali ad origine sconosciuta.

• Arterie polmonari: nell’ipertensione precapillare, aneurismi della polmonare (raro), trombi

4.4 PROCESSI INFETTEVI DEL POLMONE Si tratta in questo capitolo essenzialmente della tubercolosi e della polmonite, con qualche cenno ad alcune comuni manifestazioni dell’AIDS, che sono piuttosto frequenti e in cui l’importanza della radiologia diagnostica è elevata.

POLMONITI Ci limitiamo a riportare i quadri radiologici diagnostici delle varie forme. • Lobare tipica: da pneumococco, il batterio si moltiplica a livello alveolare dando luogo ad una

essudazione con scarsa componente cellulare. Il risultato è una opacità omogenea ad estensione lobare, nel contesto della quale si apprezza sempre il broncogramma aereo. Si differenzia dall’atelettasia per questo e per il volume normale, e da un esteso processo di TBC per l’assenza di lesioni cavitarie.

• Da Klebsiella: anche questo batterio colonizza l’alveolo, ma l’essudazione è molto abbondante e si può avere un aumento di volume del lobo; si possono anche formare ascessi e fenomeni distruttivi a carico del parenchima (fistole)

• Broncopolmonite: iniziano a livello bronchiale, e decorrono interessando gli alveoli in maniera asincrona. Si osservano quindi opacità alveolari multiple, chiazzate, con interessamento anche dell’interstizio attorno ai bronchi. Il processo è in genere limitato ad un segmento. Se il batterio interessato è lo stafilococco, si possono avere focolai multipli che evolvono in ascessi. L’aspetto è “nuvoloso”, ma a differenza della polmonite interstiziale, tende alla confluenza e si addensa.

• Interstiziale: tipica da virus e micoplasmi. L’edema e l’infiltrato interessano l’interstizio più che gli alveoli, e quindi abbiamo una serie di opacità reticolari, e opacamenti alveolari a vetro smerigliato, che si manifesta in pratica con un opacamento diffuso, come un velo di fumo sovrapposto al campo polmonare interessato.

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FORME POLMONARI DA IMMUNODEFICIENZA Riguardano in particolare i malati di AIDS, i soggetti in terapia immunosoppressiva, i malnutriti, i pazienti in età avanzate, coloro costretti a terapie antibiotiche prolungate.

Aspergillosi invasiva Grave forma da immunocompromesso, che coinvolge cuori, fegato, rene, cervello. A livello polmonare si hanno diverse manifestazioni, la più comune delle quali è una broncopolmonite con addensamenti a chiazze, che possono formare ascessi. L’infarto emorragico con opacità rotondeggianti singole o multiple è anche abbastanza frequente.

Candidiosi polmonare Addensamenti parenchimali a chiazze, con tendenza a confluire

Pneumocistosi Si osserva in oltre la metà dei pazienti AIDS. Il quadro del radiogramma toracico è piuttosto caratteristico, ed evolve in stadi successivi: • Opacità reticolari o nodulari attorno all’ilo e alle basi • Addensamenti a chiazze • Edema alveolare intenso Nelle fasi precoci l’RX è negativa, allora si può ricorrere alla TC ad alta risoluzione, o alla scintigrafia con Ga-citrato che è estremamente specifica. Talvolta per la diagnosi di certezza può essere importante la biopsia.

TUBERCOLOSI La sintomatologia clinica che induce un sospetto di TBC (in soggetto a rischio o con contatti a rischio) è: • Tosse persistente per almeno 3 settimane • Febbricola persistente • Sudore notturno • Astenia, inappetenza, calo ponderale • Emoftoe, dolore toracico, dispnea, alterazioni funzionali (forme avanzate). Oggi le emoftoe sono rare,

tempo fa erano frequentemente il sintomo di esordio.

Iter diagnostico → Al primo sospetto clinico è importante eseguire: • RX torace standard • Test Mantoux: lettura dopo 72h. Positivo alone di 5 mm in soggetti esposti professionalmente, malati

HIV, tossicodipendenti. Per gli altri, positivo alone di 10 mm. • Esame diretto e colturale dell’espettorato: 3 campioni in 3 giorni distinti. Con terapia steriodea o antiblastica la reazione di Mantoux può essere negativa. Nell’anziano è meglio ripetere la tubercolina dopo 15 giorni, per effetto Booster. Se il paziente non espettora, si può ricorrere ad aerosol con soluzione ipertonica e avvertire il laboratorio della procedura. In alternativa si fa la broncoscopia con aspirazione diretta del materiale. → In presenza di una tubercolina positiva ed espettorato negativo, con quadro RX incerto, si procede così:ù • Materiale in coltura su terreno particolare (metodo BACTEC) → risposta in 15 giorni • TC • Broncoscopia o ricerca PCR in caso di urgenza • Terapia nell’attesa con antibatterici non attivi su micobatterici (betalattamici), poi ripetere esami

colturali. → In presenza di sospetto clinico di TBC extrapolmonare: • TBC linfoghiandolare: esame istologico e citologico dopo biopsia del linfonodo

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• TBC genito-urinaria: esame batteriologico delle urine raccolte in tre giorni diversi. I campioni possono essere conservati fino a 24h a +4° C.

• Versamento pleurico: dosaggio ADA • TBC ossea e intestinale: diagnosi radiologica e biopsia Il radiogramma del torace è un importante mezzo di screening, e spesso riesce a dirimere il quadro clinico. Alla TC si ricorre quando: • Sospetto di localizzazioni extrapolmonari • RX – con clinica sospetta • RX - ma con lesioni sospette La TC può essere diretta o con mezzo di contrasto, ed ha il vantaggio di individuare le lesioni miliariche, precisare numerose caratteristiche dei noduli polmonari, analizzare le zone di consolidazione, la disseminazione bronchiale, le adenomegalie ilo-mediastiniche, e ovviamente tutte le lesioni extratoraciche.

Semeiotica radiologica della TBC

TBC primaria Il picco di incidenza della TBC primaria è attorno ai 30 anni, ed è importante la diagnosi differenziale con la sarcoidosi e il linfoma di Hodgkin. Il così detto complesso primario (lesione polmonare + focolaio linfonodale) lascia tre reperti caratteristici ben identificabili all’esame RX standard: • Focolaio parenchimale: alveolite focale periferica non specifica che evolve in focolaio infiammatorio

dopo una decina di giorni. Si manifesta come una opacità singola, a limiti abbastanza netti, di tipo alveolare.

• Opacità ilare: adenopatia ilare consensuale che si manifesta con un ingrandimento e opacamento dell’ilo omolaterale, con diverse opacità omogenee, massive, a contorni netti.

• Strie linfatiche e adenopatiche: espressione della linfangite, si tratta di strie che collegano il focolaio parenchimale a quello ilare, non sempre presenti.

Il 95% dei processi tubercolari tendono alla guarigione spontanea, e in questi casi possono eventualmente recidivare delle lesioni calcificate a livello ilare legate alla calcificazione dei linfonodi, e meno comunemente lesioni analoghe nel parenchima. Nonostante questo, però, sono molte le possibili evoluzioni sfavorevoli e le complicazioni: • Cavitazione del focolaio primario: formazione di una immagine trasparente, rotondeggiante, isolata. Da

qui può diffondere nei bronchi materiale bacillifero con formazione di ulteriori lesioni. • Fistolizzazione dell’adenite: nelle pareti di un bronco provoca disseminazione dei bacilli • Stenosi bronchiale : in genere il bronco lobare medio o quello lingulare. Si forma una polmonite cronica • Disseminazione ematogena precoce

TBC post primaria Si manifestano diverse lesioni a seconda della predominanza degli aspetti essudativi o di quelli produttivi. • Infiltrato precoce di Assmann-Redeker: si tratta della forma essudativa più frequente, consistente in

una alveolite essudativa specifica circoscritta, che evolve verso la caseosi e l’ulcerazione, con formazione di una caverna. Si localizza praticamente sempre al segmento posteriore del lobo superiore, e quindi è al disotto della clavicola. Radiologicamente è una opacità tenue, rotondeggiante, di qualche centimetro di diametro, a contorni sfumati. A differenza del complesso primario, non ha adenopatia ilare attorno a sé. Guarisce se trattato.

• Lobite tubercolare: si ha una caseosi diffusa a tutto il lobo, con la formazione di ulcere e di escavazioni che danno al tessuto un aspetto “a formaggio svizzero”.

• Broncopolmonite a localizzazioni multiple: opacità prevalentemente alveolari, disseminate a tutti i campi dei due polmoni, che evolvono rapidamente verso le caverne

• Forme miliari: sono forme produttive, originate di solito da una disseminazione ematogena o linfatica;

si formano un gran numero di granulomi tubercolari sparsi in tutti gli organi che sono spesso invisibili

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alla RX (ma non sfuggono alla TC, che è l’esame di elezione per questa forma). Le forme diffuse tendono alla confluenza dei granulomi che appaiono come opacità nodulari ben definite.

• Infiltrato fibro-nodulare all’apice: forma favorevole, produttiva e circoscritta, di TBC produttiva. La TC permette di identificare le alveoliti, invisibili all’RX.

• Adenite: processo di ripresa locale (ilare) degli esiti del complesso primario, con il quale è difficile la diagnosi differenziale.

Le forme essudative e produttive spesso coesistono, rendendo più complessi i quadri radiologici. In genere però le forme generali sono sempre riconoscibili. Le caverne, aspetto evolutivo tipico e importante della malattia, sono visibili come una ipertrasparenza delimitata, con differenze morfologiche nella parete a seconda del meccanismo per cui si originano.

Forme croniche • Lobite cronica • TBC cronica • Tubercoloma: opacità rotondeggiante di oltre 1 cm di diametro, con calcificazione a volte presente. La

sua densità è maggiore di quella delle altre lesioni tubercolari.

Tubercolosi guarita e sindrome post tubercolare I reperti più frequenti di una TBC guarita (esiti) sono: • Fibrosi interstiziale • Cicatrici • Calcificazioni • Bronchiettasie

Diagnosi differenziale • Carcinoma: non ci sono calcificazioni, no enfisema centrolobulare, no caverne • Sarcoidosi: adenopatia ilare bilaterale • Linfomi • Micobatteriosi atipiche

Trattamento I bacilli migliorano le loro capacità moltiplicative con l’apporto di O2 dall’esterno, quindi nelle caverne si hanno lesioni molto infette. La resistenza spontanea ai farmaci è: • Isoniazide: 1/106 • Streptomicina: 1/105 • Rifampicina: 1/105 • Pirazinamide: 1/103 In una lesione cavitaria ci sono circa 108 bacilli, e bisogna contare la capacità ulteriore di acquisire resistenza. Da qui la necessità di agire con un trattamento a 3 o 4 farmaci. Il medico decide di trattare il paziente per TBC quando in genere ottiene un escreato, la radiologia e la coltura positive. In base al tipo di paziente, vi sono diverse classi di rischio e di trattamento relativo

TIPO DI PAZIENTE PRIORITÀ TRATTAMENTO Nuovo caso Alta 2 mesi: isoniazide, rifampicina, pirazinamide e

etanbutolo2 4 mesi: isoniazide + rifampicina

Recidive Bassa 2 mesi: isoniazide, rifampicina, pirazinamide, etanbutolo, streptomicina 1 mese: sospensione streptomicina 4 mesi: di nuovo con i 5 farmaci iniziali

Fallimento Alta 2 Isoniazide ed etanbutolo sono attivi contro i bacilli extracellulari, gli altri contro gli intracellulari

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Mantoux positiva dopo 5 mesi di terapia Paziente cronico Bassa

ALTRE MANIFESTAZIONI INFETTIVE COMUNI

Ascesso Alcune forme infettive con tendenza fin dall’inizio ad una aggressiva attività cellulare necrotica evolvono frequentemente con la formazione di ascessi. Quando una opacità diventa un ascesso, il suo nucleo centrale si fa più denso e omogeneo; ma se l’ascesso si svuota su un bronco o in un’altra cavità, allora compare una cavità trasparente molto spesso contenente un livello liquido molto ben apprezzabile. La parete interna può essere regolare o no a seconda della presenza o meno di residui infettivi. L’ascesso può complicare una importante neoplasia periferica.

Micosi • Istoplasma: nodulo ben definito, diametro inferiore a 3 cm, con calcificazione centrale caratteristica “a

bersaglio”. • Actinomices: all’inizio è radiologicamente indistinguibile dalla polmonite lobare, ma poi cronicizza in

una forma granulomatosa con tendenza invasiva. • Aspergillus: la forma saprofitica, non invasiva, caratterizzata da un accumulo di filamenti all’interno di

una cavità già esistente, ha un aspetto radiologico peculiare, con una formazione opaca rotondeggiante omogenea all’interno di una cavità ovale, separata da una banda trasparente di vario spessore. La forma invasiva è descritta nel paziente immunodepresso.

Echinococcosi L’echinococcosi è una malattia diffusa soprattutto in Sardegna (allevamento delle pecore), in cui il parassita provoca delle cisti polmonari. Queste hanno un aspetto caratteristico, con opacità omogenea, a contorni molto netti (tracciati con il compasso!), che ne permette la distinzione. Spesso può essere presente nella cisti una trasparenza falciforme, dovuta alla penetrazione di aria.

4.5 NEOPLASIE POLMONARI Il primo approccio diagnostico ad una neoplasia polmonare è in genere radiologico. Il tumore al polmone è la prima causa di morte per neoplasia negli uomini, e la seconda nelle donne dopo il cancro al seno, anche se l’incidenza nel sesso femminile sta aumentando di pari passo con il fumo. (in California, per l’applicazione di rigide norme contro il fumo, si è avuto invece una riduzione di incidenza).

Epidemiologia Morti per carcinoma polmonare (Italia): 30000/anno Si tratta di un tipo di neoplasia in cui la chirurgia può poco, e il miglioramento delle tecniche non ha dato grandi frutti (la sopravvivenza a 5 anni si è spostata dal 9 al 13% negli ultimi 20 anni). Importante quindi la diagnosi precoce e la prevenzione. Fattori di rischio: • Fumo di tabacco • Fumo passivo (stimato responsabile di 2000-5000 morti all’anno in Italia) • Asbesto (associazione con il fumo: RR X 53) • Radon • Bisclorometilestere • Idrocarburi aromatici policiclici • Cromo, Nickel • Arsenico • Predisposizione genetica

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Rischi di esposizione → Fumo: M 22, F 12 → Fumo passivo: 1 - 2,55 → Asbesto: non fumatore: 5 fumatore: 53 – 90

Diagnosi precoce del carcinoma Sottoporre ad una diagnosi precoce alcune categorie di pazienti porta ad un anticipo diagnostico ( dello staging), anche se la mortalità non risulta nel complesso significativamente diminuita. I paziente da sottoporre a screening sono: • Fumatori > 20 sigarette/die di età superiore a 45 anni • Soggetti professionalmente esposti a fattori di rischio • Precedenti familiari o personali di neoplasie polmonari Le indagini di screening più adeguate sono l’RX torace e l’esame citologico dell’escreato. Sensibilità: • RX torace: 40-50% • Esame cit: 25-30% • Entrambi: 60-70% � Oltre a questo, i risultati ottenibili con la metodiche diagnostiche radiologiche sono parecchi. • Identificazione della lesione: RX standard per lesioni di dimensioni medio-grande, TC per lesioni

periferiche o piccole. Piccole lesioni bronchiali ad evoluzione endobronchiale sono visibili solo con la broncoscopia.

• Diagnosi di natura: RX e TC sulla base di reperti morfologici possono dare informazioni sulla natura benigna e maligna di un nodulo. La TC può dare anche informazioni sulla via d’accesso per la biopsia, mentre la PET è molto sensibile nell’indicare lesioni proliferative (altamente captanti).

• Staging T: TC e RM • Staging N: TC e RM accuratezza 60%, PET oltre 90%. Importanti anche le tecniche di biopsia,

anch’esse ecoguidate. • Ricerca di metastasi: la PET ha la massima sensibilità ovunque ad eccezione dell’encefalo dove è

superiore la RM. Nei casi meno avanzati di neoplasia, quando è improbabile una diffusione metastatica, viene eseguita di solito una TC toracica e surrenale.

Sintomatologia generale I sintomi della neoplasia sono dovuti a: • Crescita centrale o periferica del tumore • Diffusione nel mediastino • Diffusione sistemica • Sindromi paraneoplastiche

CRESCITA CENTRALE CRESCITA PERIFERICA

DIFFUSIONE MEDIASTINO

DIFFUSIONE SISTEMICA

Tosse secca Emoftoe Dispnea ostruttiva Stridore toracico Febbre Dolore toracico vago, persistente, diffuso

Tosse Dolore localizzato

Tosse (75%) Dispnea (50-60%) Dolore toracico (45-49%) Emoftoe (29-35%)

Perdita di peso (68%) Dolore osseo (25%) Clubbing digitale (20%)

Il dolore è legato sia all’interessamento della parete, che alla distruzione ossea, all’infiltrazione del tessuto molle, alla compromissione nervosa.

Criteri di malignità all’RX (diagnosi precoce) Durante l’esame RX di un nodulo parenchimale, alcuni criteri morfologici assumono carattere prognostico. Malignità Benignità

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• Assenza di calcificazioni • Opacità > 3cm • Margini irregolari • Aumento dimensioni nel tempo

• Dimensioni stazionarie da oltre 2 anni • Presenza di calcificazioni • Margini regolari • Piccole dimensioni • Lesioni satelliti • Escavazione con parete sottile e livello idroaereo

Sono ovviamente reperti indicativi, ma poiché l’RX è il primo approccio diagnostico, è importante avere già a questo livello una serie di parametri di riferimento per farsi un’idea diagnostica che possa influenzare l’iter operativo.

Iter diagnostico standard del carcinoma polmonare 1. Anamnesi (rischio professionale e voluttuario) 2. Esame obiettivo 3. RX torace 4. Esami ematobiochimici (raramente alterati) 5. Esame citologico dell’escreato 6. Fibrobroncoscopia 7. TC torace. Se lesione periferica si aggiunge anche biopsia transparietale o toracoscopia 8. Biopsia linfonodi prescalenici 9. Mediastinoscopia 10. Toracotomia Dopo l’RC e la TC, il carcinoma centrale viene indagato con la broncoscopia e l’esame citologico, quello periferico con la biopsia transparietale, la broncoscopia se possibile, la toracoscopia, la toracotomia.

Staging

Indagini per la stadiazione • TC torace e addome superiore con mezzo di contrasto • Biopsia linfonodi mediastinici di diametro maggiore di 1 cm (nei casi operabili) • Scintigrafia ossea e TC cerebrale solo in caso di sospetto clinico o se lo staging è N2

La stadiazione del sistema TNM viene fatta per tutti i tipi di tumore polmonare e viene in genere effettuata una distinzione in quattro stradi, che non si applica però al microcitoma: questi stadi permettono poi di effettuare una diversificazione della terapia. • Stadio 1a: T1; N0; M0 • Stadio 1b: T2: N0; M0 • Stadio 2a: T1; N1; M0 • Stadio 2b: T2; N1; M0 / T3; N0; M0 • Stadio 3a: T3; N0; M0 / T1-2 ; N2; M0 • Stadio 3b: T; N3; M0 / T4; N; M0 • Stadio 4: T; N; M1 Il limite di operabilità è fra lo stadio 3a e 3b La stazione si applica anche in maniera più specifica alle diverse forme del tumore a seconda della loro localizzazione: infatti soprattutto per quanto riguarda la T, è difficile definire con precisione un T1 da un T2 eccetera. Staging T Si distinguono quindi tre tipi di tumore, per ognuno dei quali ci sono dei criteri T specifici, per ogni stadio. Essi sono i tumori ilari, i tumori intraperenchimale, e i tumori periferici. Stadio Ilare Intraparenchimale Periferico Is Carcinoma in situ 1 Occupa un bronco segmentario o

lobare, non invade i bronchi Minore di 3 cm Lontana dalla pleura

viscerale, non invade la pleura

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2 Bronco lobare o principale; il limite del tumore non deve essere all’interno di un bronco più vicino di 2 cm dalla carena dello sterno

Maggiore di 3 cm, o qualsiasi diametro che provoca atelettasia o infiltra la pleura.

Infiltrazione di cellule neoplastiche nella pleura viscerale, fattore negativo.

3 Bronco principale a meno di 2 cm dalla carena dello sterno

Invasione della pleura mediastinica e del pericardio, o alla parete toracica o pericardio, ma senza infiltrazione di cuore, grossi vasi o esofago o vertebre

Invasione della parete toracica e del diaframma

4 Invasione strutture mediastiniche, vertebre, grossi vasi, carena La succlavia, essendo in stretto rapporto con l’apice polmonare, subisce da esso una compressione notevole quando vi sia una neoplasia del lobo superiore. La compressione sul plesso brachiale che ne deriva prende il nome di sindrome di Sindrome di Ciuffini Pancoast. Staging M (diffusione ai linfonodi, ML) 1. Micrometastasi: prognosi favorevole e linfonodi di volume normale 2. Metastasi massiva: nell’adenocarcinoma i linfonodi interessati sono di volume normale,

nell’anaplastico sono maggiori di 1,5 cm 3. Con diffusione extracapsulare 4. Skip metastasi: trasmissione nella catena linfonodale a salti da un linfonodo all’altro. Il concetto di

linfonodo sentinella, il primo che viene colonizzato di solito in un particolare tipo di neoplasia, è un concetto teorico che si applica perché non ci sono altri mezzi più certi, ma in realtà la diffusione linfatica è un concetto estremamente variabile che dipende da moltissimi fattori, fra cui la variazione anatomica e l’eventuale calcificazione secondaria alla TBC.

Staging N Mentre il T preoperatorio è abbastanza affidabile, l’N non lo è per niente, a causa della possibilità di avere micrometastasi che sono difficilmente visibili. • N0: assenza di metastasi • N1: linfonodi delle regioni peribronchiali e ilari omolaterali • N2: linfonodi mediastinici omolaterali e intertracheobronchiali • N3: linfonodi mediastinici e ilari controlaterali I tumori che si sviluppano a sinistra sono più a rischio, tendono a metastatizzare ai linfonodi controlaterali con più facilità di quanto avvenga fra destra e sinistra. Tecnica di indagine Sensibilità Esame clinico N3

(sovraclaveari)RX torace N2 TC N2 Ecografia N2 Mediastinoscopia N2-N3 Toracoscopia N2 Biopsia prescalenica N3

Clinica e peculiarità radiologiche dei diversi tipi di carcinoma polmonare

Carcinoma broncogeno E’ il tumore polmonare per antonomasia, e origina dalle cellule della mucosa bronchiale. Si trova quindi sempre in rapporto alle vie aeree, e si può distinguere in quattro categorie: • Epidermoidale o a cellule squamose (origina dall’epitelio, in genere centrale)

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• Adenocarcinoma (cellule ghiandolari, in genere periferico) o Bronchiolo-alveolare: sempre periferico

• Microcitoma (tessuto neuroendocrino della parete bronchiale, infiltra precocemente la cava con sindrome dello stretto toracico)

• Anaplastico a grandi cellule Queste quattro classi hanno diverso comportamento clinico e diversa associazione con sesso e fattori di rischio. Dal punto di vista diagnostico radiologico, però, risulta avere una maggiore importanza la distinzione sulla base della localizzazione della neoplasia. → Sviluppo centrale Più frequentemente l’epidermoidale e il microcitoma, poiché originano da tessuto presente soprattutto a livello delle grosse vie aeree. Si possono distinguere due categorie. • Endobronchiale: sviluppo verso l’interno del bronco con formazione di masse polipoidi che finiscono

per ostruirlo. I fenomeni che si associano di conseguenza a questo tipo di tumore sono: o Atelettasia: di facile riscontro diagnostico. Estese atelettasie sono il segno più frequente di

carcinoma polmonare a sviluppo ilare. o Polmonite ostruttiva: complicazione frequente dell’atelettasia, in cui l’aria riassorbita viene

sostituita da secrezione e trasudato, con sovrainfezione batterica e quel che ne segue. o Enfisema ostruttivo: complicazione che si forma con meccanismo a valvola quando

l’ostruzione è incompleta • Transbronchiale: sviluppo attraverso la parete del bronco con infiltrazione progressiva delle strutture

peribronchiali dell’ilo, che subisce delle modificazioni visibili. o Ingrandimento e deformazione dell’ilo: assume contorni ciclici, nel cui contesto sono

rilevabili tumefazioni linfonodali metastatiche. o Strie ilari che si dipartono dalla massa centrale: dall’ilo si dipartono delle strie che sono

vasi linfatici interessati dal tumore o Compromissione di nervi: nel caso di interessamento del frenico, si osserva un sollevamento

del diaframma corrispondente. o Coinvolgimento dell’arteria polmonare

→ Sviluppo periferico Soprattutto le forme di adenocarcinoma. Può presentarsi sotto tre aspetti morfologici principali. • Forma nodulare periferica: opacità nodulare periferica, a contorni netti e lobati (attività proliferativa).

Dai margini si dipartono strie simili alle B di Kerley per l’invasione dei linfatici. Il nodulo è di solito omogeneo, ma si possono trovare escavazioni ed aree di necrosi. La presenza di calcificazione nella massa non esclude il tumore, che potrebbe aver inglobato una struttura calcificata nel suo sviluppo.

• Forma pseudopolmonitica: tipica del carcinoma bronchioloalveolare, questa modalità morfologica si accresce riempiendo progressivamente tutti gli spazi alveolari, simulando un addensamento da polmonite (da cui il nome). Inizialmente è visibile un nodulo singolo, poi si osserva un addensamento di noduli con tendenza alla coalescenza e infine una massa lobare di aspetto simile alla polmonite, ma differenziabile da essa osservando la periferia, dove è sempre visibile la natura nodulare del processo. E’ una presentazione rara (2%).

• Tumore di Pancoast: aspetto particolare che il tumore periferico assume quando si localizza a livello dell’estremo prossimale di uno dei lobi superiori. Questo tumore invade precocemente il solco superiore polmonare e si estende alle strutture osteo-nervose della regione della spalla. Questo da una sindrome caratteristica detta appunto sindrome di Pancoast:

o dolore intollerabile localizzato alla spalla e irradiato al braccio o atrofia dei muscoli della mano o edema dell’arto superiore o enoftalmo, miosi, ptosi palpebrale, anidrosi omolaterale (sindrome di Horner da

interessamento del SNA simpatico) Dal punto di vista radiologico a questo tumore si associa:

o ispessimento della pleura apicale

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o osteolisi dell’arco prossimale delle prime tre coste e dei corrispondenti peduncoli vertebrali o tumefazione ad estensione verso il collo in alto e in basso verso il corno ilare superiore

Adenoma bronchiale Si tratta di tumori piuttosto maligni, che sono divisibili in tre entità principali. • Carcinoide bronchiale: origina dalle cellule neuroendocrine delle ghiandole della mucosa bornchiale e

produce sostanze simili alla serotonina. Il carcinoide è molto vascolarizzato è da frequentemente emottisi, e dal punto di vista radiologico assume tre diverse modalità di crescita.

o Centrale endobronchiale: frequente, spesso evidente alla TC come massa opaca nel contesto della trasparenza di un bronco (pallina nel collo di bottiglia). TC spirale esame di elezione

o Centrale esobronchiale: comportamento usuale dei tumori centrali o Periferica: rarissima, nodulo o massa omogenea senza caratteristiche radiologiche che lo

differenziano dal carcinoma bronchiale periferico

Linfomi e leucemie del polmone I linfomi interessano il polmone soprattutto come fenomeno secondario (nel 65% dei LH e nel 45 dei LnH). Questo interessamento riguarda soprattutto l’ilo, dove sono localizzati la maggior parte dei linfonodi, e si traduce in uno slargamento del mediastino che è il carattere fondamentale di queste neoplasie. Lo studio delle stazioni linfonodali è possibile soprattutto con la TC, mentre il radiogramma standard è meno indicativo. Le localizzazioni parenchimali, infrequenti, assumo aspetto reticolare o di opacità alveolari a noduli multipli. Le leucemia interesano invece di più il parenchima, con un interessamento parenchimale reticolare diffuso a “linfangite carcinomatosa”. A volte però la linfangite è prodotta da infezioni, per via dello stato di immunosoppressione che spesso si accompagna alle leucemie (per terapia e compromissione midollare).

Metastasi polmonari Molti tumori possono raggiungere il polmone per via ematica, linfatica, o per contiguità. A seconda della modalità di diffusione, le metastasi avranno caratteristiche differenti. Le metastasi ematogene sono di solito opacità rotondeggianti o ovali, a margini netti, di densità notevole. Sono localizzate ovunque nel polmone, con dimensioni variabili da pochi mm per le neoplasie molto vascolarizzate, fino a 10 cm e più. A volte si diffondono in maniera impressionante (metastasi a tempesta di neve). Quelle per via linfatica invece assumono in genere un aspetto piuttosto reticolare a carattere interstiziale. In genere il loro riconoscimento è difficile, e si basa sulla conoscenza di un tumore primitivo che frequentemente metastatizza al polmone per via linfatica, come tumori di stomaco, mammella, pancreas. L’aspetto di infiltrazione reticolare dei linfatici prende il nome di “linfangite carcinomatosa” e va sospettato di fronte alla triade: • Adenopatia ilare • Opacità lineari che si dipartono da essa • Strie B di Kerley L’esame di elezione è la TC ad alta risoluzione E’ possibile fare una associazione fra i vari tipi di tumore e il tipo di metastasi che danno.

TUMORE CARATTERISTICHE DELLA METASTASI Sarcomi Metastasi giganti “a palla di cannone” Capo, collo, genitali femminili, adenocarcinomi del crasso

Metastasi con necrosi e cavitazione

Osteosarcoma Grosse metastasi parzialmente ossificate Carcinomi tiroidei Micrometastasi Seminomi Metastasi “a tempesta di neve” Carcinomi mammari Interessamento contemporaneo di polmone e pleura con versamento

pleurico

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Stomaco, pancreas e mammella Linfangite carcinomatosa Interessamento secondario polmonare di linfomi e leucemie

Aspetto reticolare o miliariforme, con compromissione dell’interstizio.

4.6 SINDROMI RESPIRATORIE OSTRUTTIVE Descriviamo qui di seguito i reperti radiologici che possono aiutare nella diagnosi delle sindromi respiratorie ostruttive.

Asma bronchiale Lo studio radiologico è importante per identificare altre cause di broncospasmo o cause meccaniche che possono aggravare lo stato asmatico (polipi, sinusite, reflusso gastroesofageo, ernia iatale). Nell’attacco acuto si possono evidenziare i segni classici dell’iperinsufflazione polmonare: • Abbassamento delle cupole diaframmatiche e mai a concavità superiore (enfisema) • Ipoespansibilità delle basi polmonari • Ampliamento dello spazio chiaro retrosternale • Ili e disegno polmonare normale (diagnosi differenziale con enfisema) Nell’intervallo fra l’attacco acuto e il successivo il quadro è normale, ma con il cronicizzarsi della patologia asmatica possono comparire segni di ipertensione precapillare e cuore polmonare.

Bronchite cronica La diagnosi si basa soltanto su criteri clinici, ma il sospetto può anche essere radiologico; inoltre si possono escludere le bronchiettasie come causa di tosse produttiva. • Disegno polmonare “sporco” con accentuazione della trama vasale, ma irregolare e sfumata • Immagini a binario e opacità tubulari per ispessimento delle pareti bronchiali. • Manicotti peribronchiali attorno alle immagini rotondeggianti trasparenti; si formano per l’ispessimento

della parete bronchiale; i bronchi presi in sezione appaiono circondati da questi ispessimenti. • Iperinsufflazione di solito moderata • In fasi avanzate segni di ipertensione polmonare e cuore polmonare cronico Con la broncografia, esame più specifico, si può effettuare uno staging dell’interessamento bronchiale: • Stadio 1: bronchi più sottili della norma per atteggiamento funzionale spastico • Stadio 2: estroflessioni puntiformi lungo il decorso dei bronchi principali: si formano per la penetrazione

del mezzo di contrasto dentro al colletto delle ghiandole dilatate (segno di ipertrofia ghiandolare) • Stadio 3: aspetto diffuso a corona di rosario della parete bronchiale, irregolarmente dilatata e ristretta. Si

hanno opacamenti “a zolle” per il mescolamento del mezzo di contrasto con i secreti presenti.

Enfisema L’enfisema si può distinguere dal punto di vista clinica in una forma panlobulare, in cui l’interessamento delle strutture elastiche e la loro distruzione interessa tutto l’acino e riduce quindi proporzionalmente la componente ventilatoria e quella perfusionale, e una forma centrolobulare, in cui la distruzione è a carico soltanto della componente dei bronchioli respiratori prossimali, quindi si crea un deficit della ventilazione rispetto alla perfusione. In base a questa distinzione, avremo due tipi di pazienti. → Tipo A con prevalente enfisema panacinoso Prevalente sintomatologia dispnoica su quella ipersecretiva. il paziente è in genere magro e longilineo e presenta caratteristicamente dispnea soprattutto da sforzo mentre la tosse e l’ipersecrezione sono modeste. La dispnea tipicamente espiratoria insorge progressivamente, inizialmente si manifesta dopo sforzo poi diventa permanente e molto limitante nelle fasi avanzate. L’espirazione è molto prolungata poichè dipende dal ritorno elastico che è ridotto.

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La caratteristica fondamentale è l’iperventilazione che permette al paziente di mantenere una adeguata ossigenazione ma determina la dispnea. Il tipo A viene infatti detto anche pink puffer = roseo soffiante. Questi pazienti non vanno in contro alle crisi di insufficienza respiratoria da ipoventilazione in occasione delle riacutizzazioni. L’alterazione è fondamentalmente costituita dall’enfisema panacinoso che determina una distruzione dei setti in corrispondenza delle parti periferiche dell’acino e anche i capillari che in essi decorrono. Di conseguenza è mantenuto un normale rapporto V/Q anche se entrambi sono diminuiti e si ha una normossia e assenza di cianosi a riposo. Tuttavia l’estensione del letto capillare è comunque inferiore al normale e la durata dell’esposizione dei globuli rossi agli scambi gassosi a livello dei capillari alveolari e ridotta. Ciò non ha conseguenze a riposo perchè il tempo di transito dei globuli rossi è comunque sufficiente a saturare l’emoglobina, in condizioni di attività invece il tempo di transito si riduce e determina un insufficiente ossigenazione, condizione alla base dell’ipossiemia da sforzo. La dispnea da sforzo dipende invece dal fatto che la riduzione del ritorno elastico del polmone determina il collasso delle vie aeree soprattutto nella respirazione forzata in cui si ha una notevole negativizzazione delle pressione intrapleurica. � Tipo B con prevalente bronchite cronica ed enfisema centrolobulare prevalenza della sintomatologia ipersecretiva su quella dispnoica. il paziente è generalmente brachitipo e in soprappeso e accanito fumatore che da molti anni presenta una tosse produttiva. L’insorgenza della tosse è di tipo subdolo e progressivo, inizialmente è presente al risveglio al mattino e raramente supera i 60 ml/die. L’espettorazione mattutina ha lo scopo di espellere le secrezioni che hanno ristagnato nelle ore notturne a causa della riduzione della clereance mucociliare e della riduzione del tono ortosimpatico broncodilatatore. All’inizio la tosse si manifesta solo nei periodi invernali e poi diventa persistente con periodi di espettorazione mucopurulenta o talvolta emorragica che si fanno sempre più frequenti, gravi e di durata maggiore. È spesso presente cianosi anche nelle fasi di stato stabile e i pazienti vanno spesso in contro a episodi di ipoventilazione con esacerbazione dell’ipossiemia e comparsa di ipercapnia in occasione delle riacutizzazioni da infezioni. Le alterazioni sono dovute alla bronchite cronica che si associa ad enfisema centroacinoso che interessa la porzione centrale del lobulo e compromette di meno quella periferica, dove sono più rappresentate le strutture vascolari. Pertanto il danno maggiore si esercita nei confronti della componente ventilatoria il che determina una riduzione del rapporto V/Q con effetto shunt che determina ipossiemia e cianosi con ipercapnia. Alla cianosi oltre che la desaturazione dell’emoglobina contribuisce anche la poliglobulia secondaria a ipossia renale con incremento di eritropoietina. L’ipossiemia determina vasocostrizione ipossica delle arterie polmonari con conseguente incremento delle resistenze e cuore polmonare cronico che può condurre allo scompenso ventricolare destro con edemi declivi, epatosplenomegalia e ascite. I pazienti di tipo B per questi motivi vengono anche detti blue and bloated = blu e gonfi. Le indagini di riferimento sono il radiogramma toracico con componente dinamica dell’escursione diaframmatica, e la TC ad alta risoluzione per la valutazione quantitativa della distruzione parenchimale. I segni caratteristici dei due tipi di enfisema sono riportati in tabella.

ENFISEMA CENTROLOBULARE (forma con aumento del disegno)

ENFISEMA PANLOBULARE (forma con riduzione del disegno)

→ interessa prevalentemente i campi superiori → segni di iperinsufflazione di solito modesti → formazione di bolle poco frequente → disegno polmonare accentuato → vasi a contorno sfumato e irregolare, disegno cioè sporco, come nella bronchite cronica

→ cupole diaframmatiche abbassate a concavità verso l’alto (diagnosi differenziale con asma) → spazi intercostali distanziati e orizzontalizzati → sterno incurvato anteriormente → ipertrasparenza dei campi polmonari con riduzione del disegno

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L’ipertensione precapillare e il cuore capillare sono componenti d’obbligo

→ bolle multiple a contenuto aereo, sottili, di dimensioni variabili ma sempre maggiori del cm → interessa prevalentemente i campi inferiori Soltanto elle forme progredite c’è ipertensione precapillare e cuore polmonare

Esami di complemento sono la scintigrafia ventilatoria, che da importanti informazioni sullo squilibrio fra ventilazione e perfusione, l’angiopneumografia e la broncografia che mostrano reperti caratteristici ma non intervengono di norma nella diagnosi. L’indagine di complemento più importante è la TC ad alta risoluzione (HRTC) che: • Identifica il substrato anatomico di una insufficienza respiratoria cronica • Sorveglia l’andamento della patologia diagnosticata • Accerta eventuali complicazioni neoplastiche o infettive • Follow up del trattamento

Bronchiettasie Sono dilatazioni delle componenti bronchiali di secondo, terzo e quarto ordine, che provocano l’accumulo di secrezioni e le complicanze infettive delle aree interessate. In genere si tratta di condizioni acquisite che si accompagnano a particolari malattie, come: • Deficit di IgG • Ipogammaglobulinemia primitiva • Deficit di α1 antitripsina • Fibrosi cistica • Sindrome di Kartagener (situs visceurum inversus, sinusite, bronchiettasie) Le forme acquisite sono legate alla partecipazione di meccanismi come la presenza di infezioni croniche recidivanti dei bronchi e la presenza di masse ostruenti o corpi estranei. La patogenesi di queste forme è essenzialmente legata ad alterazioni della mucosa, del tessuto muscolare elastico e cartilagineo, con ritenzione delle secrezioni, dilatazione e riparazione con fibrosi. Questo porta alla dilatazione abnorme del bronco perifericamente, tipicamente di III o IV ordine. Morfologicamente queste forme si possono distinguere in forme: • Cilindriche (post tubercolari) • Sacculari (polmoniti ricorrenti atelettasiche) • Ampollari • Pseudobronchiettasie: episodi reversibili con terapia medica La localizzazione varia a seconda delle forme: → Congenite:

- Bilaterali e plurisegmentarie dei lobi superiore e inferiore → Post tubercolari:

- Lobo superiore - Segmenti apicali inferiori

→Postinfettive: - Segmenti basali - Lobo medio - Lingula polmone sinistro

→Secondarie ad ostruzione da corpo estraneo - Segmenti distali

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L’esame radiologico è effettuato con il radiogramma toracico e con la TC ad alta risoluzione. Alcuni segni fondamentali sono indicati in tabella. Esame RX TC ad alta risoluzione • Disegno polmonare accentuato (ispessimento

della parete) • Aree cistiche di 1-2 cm di diametro, con livelli

idroaerei (corrispondono ai bronchi dilatati) • Presenza di celle a favo d’api (fibrosi associata) • Iperinsufflazione compensatoria dei tratti non

interessati

• Dilatazione diffusa o focale del bronco • Ispessimento della parete • Presenza di secreto o tappi di muco

Si può anche effettuare una broncografia, dopo accurato drenaggio del secreto, che consente una definizione morfologica precisa delle bronchiettasie e permette di osservare alcuni caratteri morfologici: • Forme cilindriche: uniformemente dilatati, a delimitazione netta. • Forme varicose: i bronchi assumono un aspetto a corona di rosario per il susseguirsi di dilatazioni e

restringimenti • Forme sacciformi: i bronchi sono dilatati a palloncino, in maniera più marcata mentre si procede verso la

periferia

4.7 RADIOLOGIA DI ALTRE LESIONI POLMONARI

PATOLOGIE CISTICHE Si distinguono: • Cisti congenite: a parete continua, rivestita interamente di epitelio respiratorio. Immagini rotondeggianti

di ipertrasparenza vitrea, con limiti continui, sottili e completi. • Cisti acquisite: si formano per riepitelizzazione di cavità ascessuali o tubercolari. Se questa è completa,

l’immagine non è distinguibile da quella delle cisti congenite. • Bolle: si formano in seguito alla distruzione del parenchima. Sono aree rotondeggianti, trasparenti, a

sottile parete capillari. • Vescicole (blebs): si formano nel contesto della pleura viscerale e sono causa frequente di pneumotorace Esiste anche una patologia malformativa cistica, il polmone policistico, in cui la TC e l’RX standard hanno un importante ruolo diagnostico.

PNEUMOCONIOSI La radiologia è in grado di identificare i risultati ai quali porta la malattia, ossia la fibrosi polmonare, l’enfisema ostruttivo, la fibrosi pleurica. Essendo queste lesioni del tutto aspecifiche, in genere è necessaria una documentazione di esposizione anamnestica per completare la diagnosi. E’ tuttavia possibile una codificazione delle relazioni fra rilievi radiologici e alcune pneumoconiosi.

Silicosi Dopo l’inalazione, le particelle penetrano e rimangono fino a livello alveolare. I macrofagi le fagocitano ma rimangono uccisi dal loro potere citotossico, liberando le particelle che vengono ingerite da altri macrofagi in un ciclo continuo che porta all’accumulo di macrofagi e liberazione di citochine. Le citochine richiamano fibroblasti e plasmacellule, che iniziano, attivate dalle citochine, la produzione di fibre collagene e quindi la ialinizzazione del parenchima. Il meccanismo dell’uccisione di macrofagi riguarda il legame fra gruppi SiOH delle fibre di silice e gruppi accettori di idrogeno nelle membrane lipidiche delle cellule, che si deformano e si rompono. La produzione di collageno, responsabile della patologia respiratoria restrittiva, provoca invece l’imprigionamento della silice e la cessazione dell’attività citotossica. La tipica manifestazione iniziale è il nodulo silicotico, una lesione di 2-6 mm di colorito grigiastro, che confluisce con altre identiche a formare masse di varie dimensioni (fino ad occupare anche un intero lobo). I noduli, che si trovano nella metà superiore e posteriore dei polmoni, possono formarsi anche a livello dei

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linfonodi ilari dove la silice viene drenata, dove assumono aspetti caratteristici di calcificazione, e assumono la forma di un guscio d’uovo o di una conchiglia. Istologicamente sono formati da fibre di collagene al centro, ad andamento concentrico, e in periferia fibre reticolari, macrofagi e fibroblasti. Particelle di silice sparsa sono dimostrabili nei noduli. Si localizzano attorno alle arteriole polmonari, nei tessuti dei setti alveolari e sotto la pleura, che appare ispessita e aderente a quella parietale. I bronchioli e le arterie coinvolti sono spesso distrutti, e nei noduli più grandi si formano a volte delle caverne connesse con la TBC. I rilievi radiologici sono possibili soltanto nella fase conclamata, dopo 10-20 anni dall’esposizione, e mettono in evidenza opacità nodulari multiple, sparse in genere all’apice (meno alle basi). Alle basi sono presenti aspetti enfisematosi. All’ilo sono sempre presenti ingrandimenti dei linfonodi, nei quali spesso si trovano calcificazioni a guscio d’uovo. Le opacità tendono poi ad aumentare di dimensione e a conglomerarsi in masse grossolane: queste, con gli anni, migrano allontanandosi dall’ilo e si lasciano dietro un parenchima enfisematoso.

Asbestosi I meccanismi di danno di queste fibre sono: • Alta capacità di penetrazione fino agli alveoli, dove si accumulano anche in grandi quantità. Questo fa si

che l’asbestosi sia una malattia in genere più diffusa della silicosi • Capacità citolitica nei confronti dei macrofagi • Capacità di attivare i macrofagi e produrre una reazione fibrosante • Capacità di promotore nell’oncogenesi • Capacità di adsorbimento di sostanze tossiche e cancerogene presenti nell’ambiente sulle fibre di

amianto (causa, questa, della sinergia fra fumo e amianto) Inizialmente le fibre si localizzano alla biforcazione fra le piccole vie aeree, e qui si creano le prime lesioni. Sia i macrofagi alveolari che quelli interstiziali iniziano a fagocitare le fibre, ne vengono distrutti e attivati, e si crea una reazione fibrosante interstiziale diffusa a tutto il polmone. I macrofagi attivati producono citochine che stimolano i neutrofili e i fibroblasti. In una fase precoce ci sono infiltrati leucocitari della parete alveolare, presenza di macrofagi e deposizione di fibre collagene nell’interstizio. Successivamente si ha un ispessimento diffuso e una fibrosi peribronchiale e perivascolare. Nella fase iniziale è apprezzabile solo un aspetto a vetro smerigliato, nella fase conclamata invece la reticolazione è più marcata, e tende ad occupare tutto l’ambito polmonare. Si trovano anche frequentemente degli ispessimenti pleurici che vanno presto incontro a calcificazione. Inoltre spesso si trovano delle opacità nodulari costituite da parenchima collassato in vicinanza di un ispessimento pleurico (atelettasie rotonde).

ALVEOLITI ALLLERGICHE E POLMONITI CHIMICHE Le alveoliti allergiche si manifestano con opacità multiple alveolari, a margini sfumati, prevalentemente a livello basale. La tendenza alla confluenza è scarsa; questo quadro può regredire del tutto a sospensione dell’esposizione, e ripresentarsi in seguito. Nell’evoluzione della malattia si manifesta un quadro di reticolosi che permane anche dopo la fase acuta. Le polmoniti da gas tossici (ARDS) si traducono radiologicamente in un quadro molto simile a quello dell’edema polmonare (vedi oltre), ma che a differenza di questo interessa significativamente di più le parti periferiche del polmone. Questo quadro di solito è reversibile, ma si possono trovare poi dei segni di fibrosi e di enfisema

EMBOLIA, INFARTO ED EDEMA POLMONARE

Embolia Embolia e infarto polmonare spesso sono associati; ma si consideri che non più del 10-15% delle embolie si complicano con infarti, e che l’infarto è possibile anche per altre cause. Incidenza:

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• TVP (trombosi venosa profonda): 1/1000 anno • EP (embolia polmonare): 0,7-1/1000 anno

Età per lo più fra 60 e 62 anni. I fattori di rischio sono molteplici, e vanno dalle procedure chirurgiche e mediche, ad alterazioni della coagulazione acquisite o congenite, invalidità e protesi degli arti inferiori anestesia, immobilità e degenza, condizioni di debilitazione di ogni tipo, malattie proliferative, neoplasie, età, obesità, e condizioni individuali di predisposizione genetica. A seconda della categoria di rischio del paziente si fa una profilassi specifica:

• Basso rischio: nessuna misura specifica • Moderato: 5000 UI eparina /12 ore non frazionata; calze compressive o compressione intermittente

pneumatica • Alto: 5000 UI eparina / 8 ore non frazionata, compressione intermittente pneumatica • Altissimo: eparina ad alta dose, anticoagulanti orali

Si ha in genere embolia massiva per trombi di grande dimensioni e/o condizioni scadenti del circolo generale. In questo caso il paziente subisce, dal punto di vista clinico, le conseguenze del cuore polmonare acuto. All’embolia massiva fa comunque seguito l’infarto polmonare con i suoi segni clinici e radiologici se il paziente sopravvive, L’infarto, invece, si manifesta frequentemente per quei trombi di dimensioni medie e piccole che interessano pazienti con condizioni cardiocircolatorie buone, nei quali l’evento embolico non determina morte e si può quindi manifestare l’infarto. Nell’anziano, se è presente una insufficienza di cuore sinistro, all’embolia può non far seguito un infarcimento emorragico della zona compromessa per via di una insufficiente pressione di perfusione. Infine è possibile che la presenza di numerosi emboli di piccole dimensioni causi una sintomatologia clinica senza evidenza di infarto, e alla riperfusione si creino fenomeni di emorragia.

ESAME STRUMENTALE

REPERTI DIAGNOSTICI E NOTE

RX standard Nota: in realtà l’esame radiografico è poco significativo e spesso si osserva una negatività. Si usa quindi non tanto per la ricerca di questi vecchi segni descritti, ma per escludere broncopatie croniche che possono provocare deficit di perfusione alla scintigrafia, agevolare l’interpretazione della scintigrafia in presenza di cardiopatia, evitare la pneumografia se risulta positiva sia l’RX che la scintigrafia

Embolia • Marcata riduzione del disegno

polmonare nel territorio interessato • Segno di Westernmark: ipertrasparenza

della zona interessata (per della perfusione) detto anche oligoemia; poco frequente e difficile da rilevare

• Dilatazione dell’arteria polmonare all’ilo, e brusco restringimento a valle (segno di Fleischner): questo segno può essere localizzato in prossimità dell’embolo, o essere espressione dell’ipertensione capillare.

• Visibilità del broncogramma aereo • Tenue versamento pleurico reattivo • Prominenza dell’arco cardiaco medio di

sinistra (inizio del cuore polmonare)

Infarto • Area di tenue opacità alveolare, a contorni

sfumati, spesso in sede media o basale, normalmente subpleurica. Detta anche gobba di Hampton e si manifesta a distanza dall’evento embolico.

• Raramente, e in genere in fase di cicatrizzazione, l’opacità diventa triangolare con apice verso l’ilo

• Dilatazione dell’arteria polmonare all’ilo • Atelettasie lamellari basali • Assenza del broncogramma aereo per

stravaso emorragico negli alveoli • E’ possibile differenziare l’emorragia

dall’infarto soltanto con RX ripetute. La prima compare entro 24 ore dall’embolia e scompare senza traccia, il secondo compare dopo qualche giorno e residua una cicatrice

Scintigrafia perfusionale

• Mancata distribuzione del radiofarmaco in corrispondenza delle aree interessate. Questa metodica è estremamente sensibile nell’identificare difetti di perfusione polmonare ma bisogna evitare che vi siano già presenti alterazioni della perfusione come atelettasie o bronchiettasie. Non è sufficiente da sola ma associata alla clinica fa diagnosi corretta nel 79% dei casi e in caso di normalità esclude la diagnosi di embolia polmonare

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• Elementi non perfusi a valle dell’embolo con aree normalmente ventilate • Embolia polmonare recente: segmenti non perfusi ma ancora normalmente ventilati • Embolia polmonare subacuta: segmenti non perfusi e non ventilati

Scintigrafia ventilatoria

In una certa percentuale di casi accade che le aree non perfuse alla SP siano tali perché una qualche patologia preesistente abbia limitato la ventilazione e si sia quindi verificata in quelle aree una vasocostrizione riflessa. Allora si usa fare anche una scintigrafia ventilatoria associata alla perfusionale allo scopo di identificare queste aree. Le aree di discordanza fra SP e SV sono diagnostiche di embolia polmonare.

TC spirale con mezzo di contrasto

• Difetto di opacizzazione parziale o completo di un vaso arterioso polmonare (si identificano fino ai vasi segmentari). L’impiego della TC è importante soprat

• tutto nelle situazioni di urgenza, quando è importane ottenere informazioni dettagliate sul parenchima e sulla pleura.

• Una TC unica, estesa ad addome e arti, può identificare sorgenti emboliche Angiopneumografia • Riesce a definire l’esatta sede di ostruzione vasale. Il difetto appare come una brusca

interruzione del riempimento con aspetto di “potatura vasale”. • E’ spesso associata alla possibilità di intervenire direttamente sul trombo usando, tramite

lo stesso catetere, enzimi proteolitici o mezzi meccanici (trombolisi) RM • Applicazione ancora sperimentale Alcuni mezzi diagnostici possono essere importanti per la localizzazione di sorgenti degli emboli. Fra queste tecniche ricordiamo: • Eco-doppler • Ecocardiografia transtoracica e transesofagea • Flebografia degli arti inferiori e della cava inferiore Inoltre nella diagnosi di embolia polmonare sono importanti una serie di esami di laboratorio: • Enzimi sierici • D dimero • Prodotti di degradazione del fibrinogeno e della fibrina

Diagnosi alternative • Alterazioni vascolari:

• Difetto di riempimento parziale: il vaso è ostruito al centro e soltanto alla periferia il mezzo di contrasto riesce a passare. Si forma quindi il segno della “polo mint” se il vaso è preso in sezione, del “binario” se è preso di profilo.

• Difetto di opacizzazione del lume per difetto di riempimento completo • Oligoemia a valle dell’embolo

• Alterazioni parenchimali: • Diminuzione della densità del parenchima (immagine nastriforme di 3mm perpendicolare

alla superficie pleurica) • Emorragia a vetro smerigliato • Versamento pleurico • Sollevamento degli emidiaframmi

Ruolo della radiologia nella definizione dell’eziologia dell’embolia polmonare Gli emboli del polmone possono essere di molti tipi: • Trombotici • Lipidici • Gassosi • Da liquido amniotico • Settici • Da corpi estranei • Neoplastici • Parassitari

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Sebbene la maggior parte corrisponda ad una TVP degli arti inferiori o delle vene pelviche, la diagnosi differenziale può essere importantissima. → Le tecniche per svelare una TVP sono la flebografia radioisotopica, la captazione del fibrinogeno marcato, la pletismografia ad impedenza, il color doppler, la flebografia diretta con mezzo di contrasto iodato. Soprattutto il color doppler, con la sua sensibilità del 99% e specificità 81%, riesce a eguagliare la flebografia tradizionale, che però è ancora più accurata (deve essere immediatamente seguita da cavografia e ileografia in tutti i soggetti sintomatici con TVP dimostrata agli arti inferiori). → L’embolia lipoidea si verifica in genere 1-3 giorni dopo un trauma osseo. All’RX si evidenziano numerose opacità acinari disseminate con bordi sfumati → L’embolia settica segue in genere una endocardite batterica del cuore destro o per migrazione di trombi infetti dalle vene periferiche (tossicodipendenti, cateterizzati, portatori di shunt congeniti, emodialisi). Reperto caratteristico di nodularità multiple, rotondeggianti od ovalari, spesso escavate; queste contengono spesso un livello idroaereo, espressione dell’erosione delle pareti bronchiali. → Le forme più caratteristiche da corpo estraneo si chiamano talcosi, e sono osservate in soggetti tossici che si iniettano polveri di talco EV. Inizialmente si osservano noduli piccoli, quindi fibrosi interstiziale con prevalente localizzazione ai campi medi e superiori, fino alla fibrosi diffusa irreversibile. → Embolie da migrazione endovascolare di parassiti (in genere schistosoma) sono rare, così come quelle da migrazione di cellule tumorali. L’RX toracico è spesso poco significativa e si ricorre in genere, su sospetto clinico, all’analisi con scintigrafia.

Edema L’edema polmonare può essere considerato, dal punto di vista clinico, un aumento del contenuto acquoso del parenchima e dell’interstizio polmonare, dovuto a tre tipi fondamentali di cause • Aumento della pressione capillare (edema trasudativo) • Aumento della permeabilità capillare (edema essudativo) • Da diminuzione della pressione colloido-osmotica del plasma (da IRC) Sono ovviamente possibili forme miste.

Diagnosi radiologica L’esame RX standard del torace assume una importanza notevole: • Permette la valutazione dell’EPA (edema polmonare acuto) da cardiopatia • Valutazione della cardiopatia di base • Valutazione prognostica dello stato dello spazio aereo non interessato dall’edema • Monitoraggio dell’efficacia della terapia Alcuni segni radiologici specifici che si modificano nell’EPA sono: • Aumento della larghezza del peduncolo vascolare: è quella distanza che va dall’incrocio del ventricolo

di sinistra con il bronco principale destro fino alla verticale tangente al profilo esterno dell’origine della succlavia di sinistra. In un soggetto normotipo in stazione eretta e inspirazione profonda, con distanza fra tubo emittente e pellicola di 180 cm, questa distanza è di 48 ± 5 mm. E’ in stretta relazione con il volume di sangue circolante.

• Segni di edema interstiziale: o Ridotta trasparenza polmonare o Sfumatura dei profili vasali o Line settali A e B di Kerley o Opacità da edema subpleurico o Versamenti circoscritti o liberi nella cavità toracica

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• Opacità parenchimali: hanno variabile distribuzione spaziale (centrale, periferica, declive) e possiedono inoltre caratteristiche in relazione alla causa di edema (presenza di broncogramma aereo in EPA essudativo, assenza in EPA trasudativo).

• Redistribuzione del flusso agli apici • Localizzazione centrale e periferica di liquidi extravascolare specie nelle zone declivi • Aumento del V polmonare • Ingrandimento del margine cardiaco

Diagnosi di tipologia In una seconda fase si valuta la possibilità di ottenere una diagnosi tipologica sulle cause dell’edama. → In presenza di criteri orientativi verso una patologia cardiaca: • Volume cardiaco normale o poco aumentato:

o Infarto del miocardio o Miocardite acuta o Cardiomiopatia in scompenso o Cardiomiopatia con interessamento isolato del ventricolo SX

• Ingrandimento del ventricolo SX associato ad allargamento aortico: o Insufficienza valvolare aortica acuta o Se si associa anche ingrandimento atriale sinistro e impegno della cavità di destra, alora è

provabile un EPA che complica il decorso di una malattia mitralica. In corso di evento cardiovascolare maggiore la presenza di EPA peggiora la prognosi in maniera proporzionale alla sua gravità. → L’edema trasudativo evolve caratteristicamente attraverso varie fasi. • Prima fase. Il liquido si raccoglie solo nell’interstizio, e quindi si osservano:

o Sfumatura del disegno vasale, specie all’ilo o Manicotti peribronchiali o Linee B di Kerley o Ispessimento delle scissure interlobari per la diffusione di acqua dall’interstizio alla pleura

viscerale • Seconda fase: il liquido si raccoglie anche negli spazi alveolari, e quindi si osserva una progressiva

diffusione di una grande opacità, cotonosa, che parte dalle basi e sale verso gli apici, nel contesto della quale non è visibile il broncogramma aereo (i bronchi sono piedi di liquido). In alcuni casi il liquido si distribuisce risparmiando in una certa misura le parti periferiche dei polmoni (a farfalla), e questo dipende dalla maggior efficienza dei linfatici nelle parti periferiche del polmone.

→ L’edema essudativo fin dall’inizio ha il quadro del riempimento alveolare, mancano i segni di ipertensione capillare, il cuore è normale. Caratteristica è la distribuzione a chiazze multiple, e il fatto che nell’opacità spesso è riconoscibile il broncogramma aereo.

SARCOIDOSI Raramente si ha un esordio acuto in cui nel radiogramma si osservano adenopatie ilari e mediastiniche bilaterali, meglio visibili alla TC. Nel quadro ad esordio insidioso, più frequente, si osservano opacità interstiziali reticolo-nodulari diffuse, con netta prevalenza nelle parti periferiche dei campi superiori. Nel giro di qualche anno si sviluppa un quadro di fibrosi a favo d’api, con bolle di enfisema paracicatriziale. Spesso è presente il cuore polmonare cronico. Con la scintigrafia a volte è possibile valutare la componente di attività e di estensione della malattia.

MALATTIA A MEMBRANE IALINE Nelle prime ore di vita il quadro può essere negativo, ma entro 12 ore si in instaura un aspetto finemente granulare, prevalentemente basale, in cui si ha la sovrapposizione di aree collassate nelle quali spicca il broncogramma aereo.

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L’aspetto può progredire fino alla totale atelettasia polmonare.

4.8 PATOLOGIA DELLA PLEURA Lo spazio fra la pleura viscerale e quella parietale è di circa 7 um, e contiene normalmente piccole quantità di liquido (10-15 ml) prodotto dai foglietti stessi in base al gradiente pressorio fra essi (la pleura parietale ha un microcircolo sistemico, a pressione più alta di quello viscerale che è di origine polmonare). Tutto l’apparato delle pleure, con il connettivo associato ad entrambe, non supera gli 0,7 mm. Con l’RX, la pleura è visibile come spazio limitante fra la trasparenza polmonare e l’opacità delle strutture circostanti. Assume l’aspetto di una vera e propria linea soltanto a livello delle scissure. Con l’ecografia, invece, la pleura è visibile come una linea iperecogena situata internamente alle coste e interrotta dalla loro ombra acustica. Con la TC, specie ad alta risoluzione, si può vedere distintamente la pleura insieme alle strutture che più le stanno vicine (pleura + fasce + muscolatura associata) a livello degli spazi intercostali e delle scissure.

VERSAMENTO PLEURICO Costituisce la risposta generica della pleura a molteplici eventi patogeni, ed è l’alterazione patologica di rilievo più frequente. Può essere di tre tipi: • Essudativo: aumento della permeabilità capillare.

o Infezioni o Tumori primitivi e secondari o Malattie del collagene e immunitarie o Affezioni addominali

• Trasudativo: o aumento della pressione idrostatica:

scompenso cardiaco ostruzione della cava superiore pericardite costrittiva

o diminuzione della pressione colloido osmotica IRC cirrosi ascitogena ipoalbuminemia dialisi peritoneale

• Da altre cause: o Infarto polmonare o Trauma o Iatrogeno o Asbestosi o Interventi chirurgici e terapia radiante

→ All’RX torace standard si identificano versamenti anche modesti (250 ml o anche meno con accorgimenti particolari come il decubito del paziente dal lato del versamento). Tipicamente, in posizione frontale, il liquido si ritrova inizialmente alle basi, per poi risalire circondando il polmone come una mantellina. L’opacità indotta dal versamento è delimitata superiormente da una linea curva disposta obliquamente dall’alto in basso e dall’esterno verso l’interno. In proiezione laterale appare una curva a concavità verso l’alto. Un versamento massivo si accompagna a spostamento del diaframma verso il basso e del mediastino controlateralmente: se questo non avviene si deve sempre sospettare una componente patologica del polmone o della pleura stesso che impedisce la dislocazione (atelettasia polmonare, mesotelioma pleurico). Qualora entri aria nel torace durante un versamento, si ha un livello idroaereo. Se c’è una modificazione dell’elasticità del polmone, si possono riscontrare disposizioni atipiche del versamento, ad esempio invece di risalire il versamento si accumula continuamente sotto al polmone, provocando una risalita dal parenchima che simula un innalzamento del diaframma.

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Si formano frequentemente, se il versamento non si risolve rapidamente, dei tralci di fibrina che risultano bloccare il liquido fra di loro. Nel radiogramma avremo quindi una opacità a banda, non più a menisco. Se il versamento di fibrina è particolarmente intenso, avremo una vera e propria saccatura del versamento, che risulta come una opacità ovalare. Il versamento intrascissurale, invece, segue spesso ad episodi di scompenso cardiaco, dopo il quale scompare rapidamente. Si vede come una opacità biconvessa. → All’ecografia risulta invece anecogeno, e quindi è possibile studiare le strutture che vi sono al di sotto, fornendo guida molto utile per il drenaggio pleurico. → Alla TC si dispone con una configurazione tipica. E’ possibile ricavare utili informazioni sulla natura del versamento, differenziando le forme ematiche da quelle sierose. La TC e l’eco hanno l’importanza di valutare lo stato dei foglietti pleurici sotto al versamento, nonostante la presenza di liquido, e quindi permettono la valutazione delle lesioni pleuriche che vi possono essere al di sotto.

PNEUMOTORACE Lo pneumotorace riconosce diverse cause: • Spontaneo: ossia non si ritrova la causa • Traumatico: di solito emopneumotorace, accompagnato o meno da fratture spontanee • Patologico: apertura nella cavità di bolle di enfisema, cisti, blebs • Iatrogeno: frequente durante la cateterizzazione della succlavia → Collasso polmonare Se l’aria penetrata è molta, lo PNX è vistoso e si osserva un netto contrasto fra la trasparenza della cavità toracica (senza alcun disegno polmonare) e il polmone collassato, che appare come una masserella di tessuto a trasparenza ridotta, in genere nelle vicinanze dell’ilo. Il limite fra le due aree è dato dalla linea pleurica; è importante riconoscerla quando il collasso polmonare è assai scarso, perché il tessuto polmonare appare in questo caso poco opaco. → Pneumotorace chiuso In espirazione, il polmone si riduce marcatamente di volume perché non è più trattenuto dalla pressione pleurica negativa → Pneumotorace aperto In espirazione, il polmone e lo pneumotorace in espirazione si riducono entrambi contemporaneamente. La linea pleurica resta immobile. → Pneumotorace iperteso Dopo alcuni cicli respiratori, il polmone interessato è completamente collassato all’ilo, ridotto alle dimensioni di un pungo e addossato al mediastino. In assenza di aderenze, cuore e mediastino sono dislocati dal lato sano per via della pressione elevata che si ha nel cavo pleurico iperteso, con compromissione ulteriore della funzione respiratoria.

ISPESSIMENTI NON NEOPLASTICI • Esiti di pleuriti in fibrosi: sono frequenti in sede basale a livello dell’angolo costofrenico esterno, dove si

raccoglie il versamento. La TC ad alta risoluzione riesce a distinguere le diverse componenti dell’ispessimento, ossia il tessuto adiposo, la pleura ispessita, e il parenchima polmonare sottostante.

• Esito di pleuriti sierofibrinose in palle di fibrina, che regrediscono spontaneamente ma dopo alcuni anni • Ispessimento da asbestosi: opacità a banda marginocostale sottile, regolare, senza calcificazioni, che

oblitera il seno costofrenico.

NEOPLASIE DELLA PLEURA

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Mesotelioma Può presentarsi in forma circoscritta o molto diffusa, fino ad avvolgere tutta la pleura come una cotenna ed estendersi anche a quella controlaterale. Si rileva un profilo pleurico irregolare che ispessisce il margine costale. Alla TC spesso si rivelano degli aspetti di malignità: • Estensione per tutta la circonferenza della pleura • Spessore maggiore di 1 cm • Noduli Le calcificazioni nel contesto dell’ispessimento sono rare ma possibili, ed è anche possibile la presenza di osteolisi costali.

Fibromi Rari, di norma della pleura viscerale. Sono in genere opacità omogenee, e aggettano verso il polmone, dove provocano atelettasia da compressione ma non invasione

Sarcomi Masse circoscritte, rotondeggiante, a margini netti e irregolari. Si sviluppano verso la parete toracica dove provocano vistose erosioni costali.

4.8 INDAGINI RADIOLOGICO CLINICHE DELLE CONDIZIONI POLMONARI FREQUENTI

DISPNEA Sensazione di respiro insufficiente, che appare correlato a:

• Intensità dello stimolo emesso dai centri respiratori • Attività dei muscoli respiratori • Entità dell’ipossia e dell’ipercapnia • Modulazione da parte dei meccanismi neurogeni centrali

Essenzialmente le malattie che provocano dispnea agiscono diminuendo la capacità di risposta del sistema respiratorio e del suo controllo nervoso, oppure aumentano la necessità di ossigeno dall’esterno (o fanno entrambe le cose). La dispnea può essere fisiologica quando ad esempio le richieste superano le normali capacità respiratorie (sforzo fisico intenso). E’ patologica quando si manifesta per attività fisica inferiore a quella normalmente tollerata Insorge quando gli stimoli respiratori sono inadeguati alla necessità, quando lo sforzo è inappropriato alla respirazione richiesta, quando gli impulsi nervosi per i muscoli respiratori sono inadeguati. Ha dunque un gran numero di cause: • Respiratorie:

o Ostruzione delle vie aeree (spasmo, edemi, corpi estranei) o Broncopatie ostruttive o Riduzione della compliance toracica

Pneumopatie restrittive Restrizioni ossee della gabbia toracica Versamenti pleurici

• Cardiovascolari o Diminuzione della gittata cardiaca

Insufficienza di pompa Vizi valvolari

o Ipossiemia arteriosa o Diminuzione della massa eritrocitaria e del volume ematico

• Nervose: o Lesioni anatomiche

Infettive Emorragiche Neoplastiche Degenerative

o Alterazioni funzionali

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o Alterazioni metaboliche o Intossicazioni

• Cause extrapolmonari ed extracardiache: o Altitudine o Febbre, ansia, psicosi o Anemia o Acidosi metabolica o Ipertiroidismo od altre patologie ad “alta gittata” o Deformità scheletriche o Malattie degenerative neuromuscolari

Le forme cliniche della dispnea sono:

• Inspiratoria: ostacolo alla inspirazione (spasmi, corpi estranei…) • Espiratoria: restringimento spastico o infiammatorio dei bronchi • Da sforzo: improvvisa o graduale, da deficit di funzione respiratoria (enfisema, bronchite…) • Di posizione: alterazione della funzione ventricolare SX → ortopnea • Parossistica notturna: in genere cardiaca

Diagnosi L’anamnesi identifica il tipo di dispnea e la presenza di patologie causa di dispnea, correlando le varie patologie con l’andamento clinico (acute, subacute, croniche) Radiologicamente si procede con l’RX torace, che dimostra: • Patologie broncostruttive • Malattie restrittive polmonari • Evidenti cause cardiache come edema polmonare acuto associato a dilatazione del ventricolo SX • Forme acute:

o Ostruzioni aeree superiori o Asma: il radiogramma toracico esclude la presenza di altre patologie e di complicazioni della

patologia asmatica, permette la diagnosi differenziale con embolia polmonare, edema e ostruzione delle vie aeree

o Polmoniti o Pneumotorace: diagnosi radiologica agevole dello PNX iperteso.

Collasso totale del polmone Appiattimento dell’emidiaframma Spostamento controlaterale del mediastino

o Embolia polmonare: si associa a dispnea nell’80% dei casi • Forme subacute

o Neoplasie laringe e trachea o Neoplasie polmonari: fenomeno in genere tardivo di intensità proporzionale al distretto

respiratorio escluso o Mesotelioma pleurico: dispnea nel 60-80% dei casi, proporzionale all’entità del versamento

pleurico e all’espansione della malattia. Inizia sotto sforzo e finisce a riposo. Il sospetto di mesotelioma pleurico è indicazione elettiva alla toracoscopia.

o Versamenti pleurici: dispnea frequente e grave, spesso è necessaria la toracocentesi o TBC: non frequente, ma può essere rapidamente progressiva in alcune forme particolari di TBC,

come quella miliare o quella essudativa a focolai confluenti. • Forme croniche:

o Bronchite cronica ed enfisema: tipicamente prima da sforzo e poi a riposo o Malattie interstiziali: diagnosi di certezza solo con la biopsia. Pochi e aspecifici i rilievi

radiologici, se non con la HRTC

OSTRUZIONE RESPIRATORIA Riconosce molte cause:

o Congenite e malformative

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o Infiammatorie o Traumatiche o Neoplastiche o Metaboliche (diabete, fibrosi cistica, mucopolisaccaridosi) o Idiopatiche

Che si possono applicare al naso, faringe, laringe, trachea. Il primo approccio a questi problemi è in genere la visita clinica generale e una specialistica di pertinenza otorinolaringoiatrica. L’iter diagnostico radiologico è comunque molto importante.

Ostruzione del neonato • Atresia coanale: evenienza frequente, si esegue RX per verificare la presenza dell’atresia, che alla TC è

possibile differenziare in ossea o membranosa • Massa: alla TC si osserva se esiste una connessione endocranica (encefalocele) o endonasale (neoplasia

o cisti nasale) • Corpo estraneo: RX dei seni paranasali. Se il corpo è radiotrasparente è necessaria la TC

Ostruzione cronica o recidivante Sospetto di neoplasia si valuta con la TC, eventualmente associata a mezzo di contrasto endovena, a scansioni assiali e coronali. Una lesione espansiva va indagata con la RM

Ostruzione delle vie aeree superiori • Dispnea inspiratoria da corpo estraneo: RX torace che riconosce direttamente i corpi radiopachi o

comunque riesce ad osservare segni indiretti nel parenchima polmonare (atelettasie, enfisema a valvola). • Dispnea inspiratoria da trauma del collo: la TC è essenziale per identificare fratture o traumi delle

cartilagine • Ostruzione acuta: RX del collo in proiezione laterale, che fa la diagnosi differenziale con le

infiammazioni dell’epiglottide e del laringe. TC e RM possono identificare ascessi peritonsillari e retrofaringei

• Ostruzione insidiosa infantile: RX torace alla ricerca di cause polmonare, e per la ricerca di fistole tracheo-esofagee ad H, RM per identificare cause mediastiniche o tracheali, lesioni vascolari, processi espansivi del mediastino.

• Dispnea adulta: anamnesi per procedure invasive nelle vie aeree, irradiazione o chemioterapia (stenosi, paralisi delle corde vocali, recidive neoplastiche). Si possono evidenziare 4 quadri più frequenti:

o Paralisi in adduzione delle corde vocali → RX torace TC mediastino – nervi cranici o Recidiva neoplastica mucosa→ TC e RM o Tumefazione sottomucosa → TC, agobiopsia ecoguidata o Stenosi cicatriziale → RX collo e mediastino, TC per la valutazione dello spessore della

cicatrice

EMOTTISI Espettorazione di sangue con colpi di tosse, di provenienza dalle vie aeree al di sotto della glottide. E’ significativa sempre, massiva al di sopra di 20 ml/24h, critica al di sopra di 600 ml/16 ore. Riconosce il solito diluvio di cause: • Polmonari

o Bronchiti acute e croniche o Polmoniti o Bronchiettasie o Ascessi o TBC o Micosi

• Neoplastiche: carcinoma, adenoma, metastasi • Malattie CV:

o Aneurismi o Stenosi mitralica (ipertensione polmonare grave)

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o Scompenso VSX o Infarto polmonare / emorragia

• Varie: o Emofilia e turbe coagulative o Goodpasture o Corpi estranei o Sequestro polmonare o Traumi

• Indeterminati: 10-20% dei casi Il tipo di materiale espettorato si può collegare a volte alla patologia: Bronchite, TBC, carcinomi Materiale mucoso striato di sangue Infarto polmonare Sputo ematico senza materiale mucoso o purulento Ascesso e bronchiettasie Materiale ematico misto a pus e detriti (vomica) Edema polmonare Sangue diluito di aspetto rosato e schiumoso

Diagnosi radiologica • RX torace in 2 proiezioni: quattro evenienze

o Patologico definitivo o Patologico con certezza di impossibilità di definire esattamente la lesione → TC o Patologico con indicazione immediata alla TC, e in seguito ad approfondimento diagnostico

con broncoscopia o biopsia transbonchiale (patologia ilare) o transtoracica (patologia subpleurica

o RX torace normale con varie possibilità (soprassedere, RX di controllo, TC o biopsia) • Arteriografia bronchiale: se tutte le tecniche descritte sopra risultano negative o incerte. Si possono

identificare fistole AV sostenute da bronchiettasie, e allora l’esame si prosegue con l’embolizzazione del tratto arterioso della fistola.

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CAP 5 PATOLOGIA DEL MEDIASTINO La scarsa accessibilità clinica del mediastino ne fa un organo esplorabile quasi soltanto con le metodiche radiodiagnostiche. TC, RM e RX sono quelle standard (no ecografia, eccetto che nell’indagine delle strutture paraesofagee per la stadiazione di tumori). La scintigrafia interviene nella diagnostica delle neoplasie e nel loro follow up postoperatorio. Il mediastino è classicamente diviso in 4 spazi: • Superiore: al di sopra del piano passante fra l’angolo dello sterno e la IV vertebra. • Anteriore: dietro ai foglietti pleurici che convergono anteriormente e davanti alla linea passante

anteriormente al pericardio, all’aorta ascendente e ai vasi dell’arco aortico. Contiene timo, linfonodi, vasi mammari interni

• Medio: tutto quello che sta al di dietro della trachea e del pericardio anteriore, fino ai vasi polmonari. Contiene cuore, aorta ascendente, arco aortico e suoi vasi, vasi polmonari, nervi frenici, vago e ricorrente, trachea e bronchi principali

• Posteriore: al di dietro dei vasi polmonari. Aorta discendente, esofago, azygos, radici nervose e nervi intercostali, linfonodi.

I linfonodi del mediastino sono distribuiti in gruppi: 1. Linfonodi mediastinici alti, fra la vena anonima di sinistra e la trachea 2. Paratracheali superiori: a destra e a sinistra, all’altezza del margine superiore dell’arco aortico, sulla trachea. 3. Paratracheali inferiori: a destra e a sinistra, al di sotto del margine superiore dell’arco aortico, sulla trachea 4. Linfonodi aorto-polmonari: a sinistra dell’incrocio fra la polmonare e l’aorta. 5. Paraortici: al davanti dall’aorta ascendente 6. Sottocarenali: sotto la biforcazione tracheale 7. Paraesofagei: sotto i precedenti, medialmente sull’aorta discendente 8. Del legamento polmonare: nel legamento a destra e a sinistra 9. Tracheobronchiali: a destra e a sinistra, prima della ramificazione del bronco principale 10. Intrapolmonari: lateralmente alla stazione precedente. All’interno del polmone questi linfonodi fanno capo a quelli interlobari, lobari, segmentari e subsegmentari, che formano il circuito di drenaggio della linfa polmonare. Linfonodi normali (cioè di diametro inferiore ad 1 cm) sono identificati dalla TC e RM nel 90% dei soggetti adulti.

5.1 METODICHE D’INDAGINE

RX Di solito l’RX torace standard i due proiezioni mette bene in evidenza il mediastino. Si può usare contemporaneamente il pasto di bario o alcune proiezioni particolari. La radioscopia può essere utile per identificare alcune massi pulsatili. In genere la semeiotica dell’esame RX si basa soltanto sull’alterazione del profilo del mediastino modificato da parte di masse, in quanto normalmente il contrasto fra le strutture mediastiniche non è visibile. Perciò esistono delle linee che, se alterate, indicano uno spostamento del mediastino da imputarsi a qualche massa esuberante. Queste linee sono fatte dai margini pleurici, dove la presenza del tessuto polmonare areato crea un contrasto di assorbimento che permette di valutare la posizione reciproca del mediastino e dei polmoni.

TC Fondamentale. Permette la risoluzione di tutte le strutture contenute, compresi i linfonodi, e la dimostrazione di molte lesioni patologiche non visibili all’RX. Soprattutto, la TC da informazioni molto dettagliate sull’estensione dei processi patologici e sul loro rapporto con le strutture sane vicine, molto importante nello staging neoplastico.

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Non riesce a distinguere fra lesioni maligne e benigne se non sulla base di alcune caratteristiche morfologiche (natura cistica della lesione, lipomi, aneurismi). Può essere importante l’utilizzo di un mezzo di contrasto vascolare, per lo studio della vascolarizzazione di masse sconosciute e per la differenziazione delle lesioni dalle strutture cardiache.

RM E’ l’esame che offre il miglior contrasto fra le diverse strutture (con assorbimento radiologico simile, ma con diverso indice di risonanza tissutale). Il suo ruolo normalmente non è la definizione della natura delle lesioni (per le quali è molto meglio la biopsia TC guidata), ma per una miglior definizione dell’estensione del processo.

ECOGRAFIA Solo lesioni direttamente in rapporto con la parete toracica o con il cuore possono essere valutate tramite l’ecografia transtoracica. Invece la via transesofagea offre risultati superiori alla TC per la visualizzazione delle neoplasie esofagee e loro staging, e nella ricerca di linfadenopatie di piccole dimensioni.

ALTRE METODICHE • Flebografia del mediastino: utile per lo studio del circolo collaterale in caso di ostruzione della cava.

La cavografia superiore si esegue con l’iniezione contemporanea di mezzo di contrasto nella vena cubitale dai due lati.

• Flebografia selettiva del timo: studio della miastenia grave (indagine complementare), con iniezione di mezzo di contrasto nell’arteria timica (accesso dalla vena cubitale).

5.2 MASSE MEDIASTINICHE Molto frequenti, poiché i tessuti del mediastino sviluppano frequentemente una iperplasia o altri tipi di masse in risposta a numerosi stimoli patogeni di varia natura (infiammazioni, cisti, tumori). Tutte queste patologie inducono uno slargamento del mediastino, visibile al radiogramma toracico, che frequentemente è l’esame di primo approccio alle patologie mediastiniche. La sintomatologia generale è abbastanza estesa per l’effetto compressivo che queste strutture possono avere nei confronti delle strutture del mediastino. Particolarmente frequente: • Sindrome della vena cava superiore • Disfagia da compressione esofagea • Tirage o cornage tracheale • Sindrome di Bernard Horner L’esperienza clinica ha dimostrato che esiste una correlazione fra il compartimento mediastinico di comparsa e la natura della massa, ma questa non è una regola assoluta, e la natura delle lesioni può essere determinata con certezza soltanto con l’agobiopsia.

Lipomatosi In obesi, pazienti Cushing e trattati con corticosteroidi non sono infrequenti accumuli focali di grasso adiposo non capsulato nel mediastino. Questa lesione benigna, riscontrata di frequente all’RX torace, viene ben differenziata sia dalla TC che dalla RM, per i valori contrastografici del tessuto adiposo, diversi dai tessuti circostanti nell’uno e nell’altro esame. In regione dei forami diaframmatici (iati) accumuli di grasso possono essere invece delle ernie omentali di difficile diagnosi differenziale.

Cisti mediastiniche • Congenite: broncogene, pleuriche, pericardiche, del dotto toracico • Acquisite: timiche, da echinococco, pseudocisti pancreatiche • Neoplasie di natura cistica: meningocele, teratoma, linfangioma All’RX appaiono come tenui opacità rotondeggianti o ovali, a margini regolari e netti; la natura cistica della massa si dimostra con la TC che presenta un valore densitometrico di tipo acquoso, pareti sottili. All’RM si ottiene una bassa intensità T1 pesata e una alta intensità T2, piuttosto caratteristico delle cisti. Se però le cisti sono mucose ed emorragico, queste caratteristiche distintive sono molto meno marcate.

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La TC differenzia bene le cisti da echinococco che hanno delle tipiche calcificazioni parietali.

Tiroide aberrante Al radiogramma appare una massa a margini netti e regolari che disloca la trachea e l’esofago, e deborda da entrambi i lati dal profilo mediastinico, nella quale possono esserci calcificazioni. Se si dimostra l’estensione verso il collo o la mobilità con la deglutizione, la diagnosi è agevole anche all’RX. Altrimenti, la scintigrafia con captazione di radioiodio è diagnostica: il valore di attenuazione alla TC è elevato (lo iodio presente capta molto i raggi X); l’indagine TC è in indispensabile per stabilire l’estensione e i rapporti della tiroide con le strutture circostanti.

Timo Varia in forma e dimensioni nell’età: nei bambini è quadrangolare, negli adulti triangolare e poi va incontro ad involuzione quasi totale. L’iperplasia del timo è in genere pediatrica, mentre nell’adulto si può riconoscere solo con la TC e la RM per l’aumento in genere modesto e regolare. Il timoma si associa spesso a miastenia ed è maligno nel 25% dei casi. In RX è per lo più mascherato dal cuore e dai grossi vasi. Di solito è una massa circoscritta e lobulata, e dove raggiunge la parete toracica è separata da essa da una zona di ipertrasparenza aerea (segno del solco). Possono esserci calcificazioni. Alla TC si possono evidenziare anche lesioni piccole, e la RM riesce a definire piuttosto bene i limiti di invasività della massa. La diagnosi differenziale fra timoma e timolipoma (lesione benigna ma di difficile distinzione dal tumore maligno all’RX) viene fatta con la TC per il valore di attenuazione negativo del tessuto adiposo, o con la RM (alto segnale T1).

Linfadenopatie Le linfadenopatie si manifestano in corso di TBC, mononucleosi, febbre delle montagne rocciose, silicosi e sarcoidosi. Però le linfadenopatie più frequenti non sono quelle infiammatorie, ma metastatiche. I linfonodi di oltre 1 cm sono agevolmente individuati da TC e RM, ma non la loro architettura interna (se non calcificazioni o aree necrotiche). Il criterio dimensionale di malignità è abbastanza poco affidabile perché spesso linfonodi infiltrati rimangono a lungo tempo di piccole dimensioni, per cui sono possibili falsi negativi con una certa frequenza.

Neoplasie del mediastino • Teratoma cistico e cisti dermoide: forme estese, debordanti dal limite del mediastino, che contengono

calcificazioni, aree ossee alternate a zone di struttura adiposa e acquosa. Non sono differenziabili le forme maligne da quelle benigne senza una biopsia.

• Tumori neurogeni: il neuroblastoma è frequente in età pediatrica, mentre sono più frequenti nell’adulto neoplasie delle cellule di Schwann e dei gangli. Sono abbastanza definibili con TC e RM

→ Linfomi: in genere il LH è piuttosto frequente nel mediastino, specie nei linfonodi del comparto superiore. L’ombra mediastinica all’RX appare slargata da una massa lobulata, per lo più bilaterale, a margini irregolari e limiti netti. Spesso sono presenti strie di diffusione linfatica dall’ilo al parenchima polmonare. Alla TC sono masserelle rotondeggianti, di densità parenchimatosa, a volte disomogenee. La contemporanea opacizzazione dell’aorta e della cava con mezzo di contrasto consente di differenziarle nettamente dalle strutture vascolari in sezione. Le informazioni della TC sono molto utili per la programmazione di interventi di biopsia, o anche di radioterapia e relativo follow-up, ma non consentono la diagnosi di natura. Alla RM si ottengono risultati analoghi: le tumefazioni linfonodali in T1 si differenziano molto dal tessuto adiposo (segnale più basso), e in T2 danno intensità di risonanza anche elevate in relazione alle cellule che le compongono e alla struttura. Importante della RM è la capacità di differenziare fra recidiva e fibrosi dopo la

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radioterapia. La fibrosi è infatti ipointensa nelle sequenza T1 e T2, essendo povero d’acqua e scarsamente vascolarizzata, al contrario della recidiva con segnale medio e spesso disomogeneo. → Spesso può essere importante distinguere una cisti o un tumore da un aneurisma dell’aorta o dell’anonima, che all’RX non sempre è possibile. La TC e la RM sono risolutive in questo. Infine, durante anemia gravi croniche (specie talassemia) si possono avere nel mediastino opacità mediastiniche multiple, ben demarcate, che sono masse di tessuto emopoietico extramidollare.

5.3 ALTERAZIONI DIVERSE DALLA PRESENZA DI MASSE

Mediastiniti Le forme acute sono conseguenti alla rottura dell’esofago quasi sempre, o alla propagazione di un flogosi linfonodale o all’estensione di un processo flogistico del collo. Possono estendersi al polmone o ai foglietti pleurici. Il mediastino appare molto slargato, con margini caratteristicamente mal definiti da tutte e due le parti. Si può dimostrare la presenza di aria se c’è rottura di esofago, trachea o di un bronco. La trachea può essere dislocata. Le mediastiniti croniche sono in genere dimostrabili per via della tendenza a finire in fibrosi; il quadro radiologico si correla strettamente alla possibilità di ostruzione della vena cava superiore, che deforma e slarga la morfologia del mediastino.

Enfisema Segue la rottura dell’esofago, trachea o bronchi, ferite penetranti, rottura di blebs della pleura polmonare. Si osserva una serie di linee radiotrasparenti che si prolungano nel collo e nella parete toracica laterale. La TC è più sensibile nell’individuare raccolte gassose di piccole dimensioni.

Ernia polmonare Evenienza che segue a volte l’atelettasia di un polmone (erniazione di quello sano per compensazione), o al fibrotorace, versamento pleurico, pneumotorace. Avviene spesso nella porzione retrosternale dove c’è una minore resistenza delle strutture che circondano il polmone.

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CAP 6 CUORE E GROSSI VASI 6.1 ESAMI STRUMENTALI

Rx Si fa con 4 proiezioni tutte assieme al pasto baritato. Sagittale PA, obliquo posteriore sinistro, obliquo posteriore destro, laterale sinistro. Il principale tracciato è quello PA, in cui il cuore appare come un’ombra grossolanamente ellittica che è delimitata da una serie di archi (2 a destra, 3 a sinistra). L’ombra cardiaca, importante punto di repere per il radiogramma toracico che permette anche di valutare alcune alterazioni morfologiche degli atri e dei ventricoli. Le componenti che formano i cinque archi sono: • Destro superiore: vena cava superiore • Destro inferiore: contorno esterno dell’atrio destro • Sinistro superiore: arco aortico • Sinistro medio: sopra dal tronco della polmonare, sotto dal cono di efflusso del ventricolo sinistro • Sinistro inferiore: ventricolo sinistro (la punta del cuore è di solito mascherata dall’opacità del

diaframma) In proiezione laterale si delinea un ombra con un margine anteriore formato dall’aorta ascendente, tronco polmonare e faccia sternocostale del ventricolo destro, e un margine posteriore formato da atrio sinistro e ventricolo sinistro. Per limitare il margine posteriore dell’immagine cardiaca si usa effettuare contemporaneamente esofagramma con bario. La morfologia del cuore è influenzata sia dell’età che dalla costituzione del paziente. Nel bambino e nel soggetto brachitipo è orizzontalizzato nel diaframma, mentre nell’adulto e nel longilineo è verticalizzato. Oggi giorno l’importanza dei diametri cardiaci risulta sempre minore, in quanto il rapporto fra il cuore e le strutture circostanti sono indicative di patologie molto di più dei diametri. Allo studio del cuore si accompagnano particolarmente lo studio dell’ilo e del parenchima polmonare, per la frequente associazione delle patologie cardiache e polmonari (ipertensione polmonare e scompenso cronico, embolia e cuore polmonare acuto, asma ed edema polmonare cardiaco e scompenso acuto).

Ecografia L’eco viene applicata il cuore in maniera particolare, sottoforma di un esame detto ecocardiografia, in cui è possibile ottenere informazione sulle camere cardiache e sui grossi vasi di natura statica e dinamica. Oltre all’osservazione morfologica e funzionale delle camere cardiache, associando la tecnica doppler si possono mettere in evidenza i flussi intracardiaci, transvalvolari e di efflusso ai grossi vasi. Con il color doppler è possibile mettere in evidenza i flussi contemporanei in direzione opposta (insufficienza valvolare e rigurgiti), elemento diagnostico di importanza notevole. Il paziente è supino o in decubito laterale sinistro. Si identificano una serie di piani che permettono la visione delle camere insieme o di ogni camera singolarmente, o in varie associazioni. Le informazioni che possono essere ricavate sono: • Statiche/morfologiche: dimensioni, spessore parietale, conformazione delle strutture valvolari • Dinamiche: contrattilità, cinetica parietale, flussi valvolari e parietali Queste tecniche sono importanti per lo studio di cardiomiopatie ipertrofiche e dilatative, e soprattutto per tutte le patologie valvolari. Ma l’uso dell’eco si estende anche alle strutture attorno al cuore con lo studio del versamento pericardico e del tamponamento cardiaco. Si può fare anche una ecocardiografia transesofagea, nella quale la vicinanza della sonda e la mancanza di strutture che assorbono gli ultrasuoni permette una risoluzione di immagini molto accurata e quindi la possibilità di studiare eventi molto specifici (dissecazione aortica, ascessi anulari, degenerazione aterosclerotica, malformazioni).

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L’uso contemporaneo di mezzo di contrasto (microbolle gassose) permette di migliorare la risoluzione e valutare la perfusione miocardica (ha meno controindicazioni dell’angiografia).

RM Indagine di completamento all’ecocardiografia; ha infatti il vantaggio di poter definire qualsiasi piano si desideri per lo studio delle camere cardiache e la possibilità di valutare la dinamica del movimento cardiaco attraverso la sincronizzazione dell’emissione degli impulsi con l’onda R del cuore, cosa che fra l’altro impedisce la rappresentazione di artefatti dovuti al movimento del cuore. La grande differenza di segnale in T1 fra miocardio, sangue e grasso, e la possibilità di rappresentare in T2 il sangue bianco permettono una elevata risoluzione di immagine. Con l’uso di appositi programmi è possibile ottenere ricostruzioni dinamiche del movimento cardiaco. Applicazioni fondamentali della RM sono le cardiomiopatie, la misurazione dettagliata degli spessori e diametri delle cavità cardiache, lo studio della dinamica dei flussi, la definizione di masse cardiache, lo studio della perfusione.

TC Non molto importante nella valutazione della struttura interna e dei flussi nelle cavità cardiache (la TC non distingue, senza mezzo di contrasto, fra sangue e parete del miocardio). Utilizzata per la valutazione del pericardio, lo studio delle masse cardiache e paracardiache, gli aneurismi, le complicanze post chirurgiche.

Procedure invasive contrastografiche → Angiografia Si può fare sia partendo dalla vena cava superiore (cateterismo della femorale) o in maniera selettiva iniettando il mezzo di contrasto nell’atrio destro direttamente. Il mezzo di contrasto si distribuisce in quattro fasi permettendo di visualizzare successivamente l’atrio destro e ventricolo destro, il circolo polmonare, l’atrio sinistro e il ventricolo sinistro, l’aorta. Si usa in genere per le cardiopatie congenite → Aortografia toracica sopravalvolare Tramite cateterismo retrogrado dalla femorale, si studia tutta l’aorta toracica e i tronchi superiori iniettando il mezzo di contrasto a qualche cm dalle valvole semilunari. Si mettono in evidenza le alterazioni di: • Valvole semilunari (reflusso, insufficienza) • Condizioni di malformazioni congenite (atresia, dotto arterioso di Botallo) • Alterazioni acquisite (aneurismi, dissezioni, aterosclerosi, calcificazioni) • Affezioni dei rami dell’aorta → Ventricolografia sinistra Come prima, ma il catetere viene spinto fin dentro al ventricolo attraverso le semilunari. Permette la determinazione di pressioni ventricolari, volumi, frazione di eiezione, gittata, che consentono uno studio dettagliato della cinetica cardiaca. Durante la coronarografia viene sempre eseguita (tanto siamo lì...) → Coronarografia selettiva Forma selettiva di angiografia, viene inserito un catetere all’origine delle semilunari e si inietta per ogni coronaria una quantità adeguata di mezzo di contrasto. Viene usata di routine durante gli esami preoperatori per l’impianto di bypass, interventi sul cuore di altro tipo. Non è priva di rischio (mortalità 1:1000)

6.2 ALTERAZIONI DI MORFOLOGIA Ogni camera cardiaca e grosso vaso ha una sua morfologia caratteristica che permette di valutare in maniera abbastanza agevole la presenza di modificazione di dimensione. Questo è importante perché sovraccarichi di pressione e volume (che si creano per alterazione della funzione valvolare) provocano la deformazione delle strutture a monte. Questa deformazione è riconoscibile con l’esame RX e studiata approfonditamente con l’ecocardiografia. • Atrio sinistro:

o Aggiunta dell’orecchietta atriale nella parte inferiore dell’arco medio di sinistra o Sollevamento del bronco di sinistra

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o Dislocazione dell’esofago • Ventricolo sinistro:

o Arco inferiore sinistro allungato o In proiezione laterale, bordo cardiaco sporgente oltre l’ombra della cava inferiore o Dislocazione dell’esofago o Spazio chiaro retrosternale normale (diagnosi differenziale con ipertrofia ventricolo destro,

che è anteriore e a contatto con lo sterno). • Atrio destro

o Arco inferiore destro allungato e prominente o Sporgenza posteriore dell’ombra cardiaca

• Ventricolo destro o Profilo cardiaco spianato o Punta cardiaca arrotondata o Allungamento del contorno inferiore del cuore o Obliterazione della metà inferiore dello spazio retrosternale (molto caratteristica)

6.3 VALVULOPATIE

Stenosi mitralica All’RX può risultare anche normale se la stenosi è lieve, altrimenti si evidenzia ovviamente un ingrandimento dell’atrio sinistro. Alla stenosi serrata fa seguito, dopo la creazione di ipertensione precapillare polmonare, l’ingrandimento dell’ilo, dell’arteria polmonare e del ventricolo – atrio di destra. L’ipertensione polmonare è ugualmente apprezzabile a livello radiologico (vedi polmone). All’ecocardigrafia è possibile definire la dilatazione dell’atrio sinistro, e soprattutto la visualizzazione diretta dei flussi transvalvolari, ed è l’esame di elezione. L’RM permette anch’essa l’acquisizione di dati cinetici e soprattutto la visione distinta di eventuali trombi da stasi nell’atrio (evidenziabili però anche con l’eco).

Insufficienza mitralica La cardiomegalia da sovraccarico, con ingrandimento dell’atrio e del ventricolo sinistro, è di comune riscontro anche all’esame radiografico. Per via della dilatazione atriale che “assorbe” l’accumulo di sangue rallentando l’instaurarsi dell’ipertensione, le modificazioni polmonari sono in genere molto meno frequenti che nella stenosi mitralica. Esame di elezione al solito è l’ecocardiografia, che permette anche di definire la causa dell’insufficienza valvolare, nonché delle conseguenze emodinamiche sul ventricolo.

Stenosi aortica Le calcificazioni valvolari sono ben visibili all’RX. La presenza di ipertrofia del ventricolo sinistro, reperto principale, è anche ben visibile. Sempre all’RX si può osservare a volte una caratteristica dilatazione dell’arteria dopo la stenosi. L’ecografia permette, assieme alle tecniche doppler, una visione dettagliata della cinetica valvolare e cardiaca, soprattutto se viene eseguita in modalità transesofagea. In questa patologia inoltre è anche possibile ricorrere al cateterismo cardiaco per studiare la dinamica valvolare, le pressioni e la superficie della valvola stessa.

Insufficienza aortica I reperti all’RX (ingrandimento del ventricolo, dilatazione tratto prossimale dell’ascendente, calcificazioni valvolari) sono poco differenziabili da quelli corrispondenti della stenosi. All’eco anche si osserva una dilatazione del ventricolo sinistro poco diversa da quella della stenosi. Il contributo diagnostico risolutivo è dato dal doppler op dalla cine RM.

Alterazioni tricuspidali All’RX la stenosi e l’insufficienza sono indistinguibili, e si osserva in entrambe ingrandimento atrio destro, dilatazione della cava, innalzamento del diaframma di destra per epatomegalia da stasi. Con il doppler si identifica le caratteristiche del rigurgito e il tipo e la gravità del vizio valvolare.

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6.4 CARDIOMIOPATIE

Dilatativa La forma dilatativa è molto ben studiata dall’ecocardiografia, che mette in evidenza sia l’ingrandimento del cuore che il deterioramento della funzione contrattile con associata insufficienza mitralica. Si può misurare la massa del ventricolo e la frazione di eiezione. La RM, che valuta ancora meglio i parametri emodinamici, permette anche di dimostrare una miocardite in fase attiva responsabile del quadro clinico, e di monitorare l’efficacia di interventi infiammatori. Se si sospetta una patogenesi da insufficienza coronarica può essere indicata la coronarografia.

Ipertrofica All’eco si identificano facilmente le forme ostruttive, e si evidenzia bene il caratteristico movimento sistolico del lembo mitralico anteriore. Il doppler, rilevando il gradiente pressorio ai lati della stenosi, permette di valutarne la gravità. La RM invece permette di valutare anche la presenza di contemporanea ipertrofia ventricolare, e una misura della contrattilità regionale molto accurata.

Restrittiva Ecocardiografia evidenzia restringimento delle camere e aumento di spessore delle pareti, con contemporanea dilatazione atriale e insufficienza valvolare (conseguenza del restringimento ventricolare). I fenomeni degenerativi (amiloidosi, sarcoidosi) che provocano la malattia possono spesso essere identificati con la RM.

6.5 CARDIOPATIA ISCHEMICA Lo studio per immagini è spesso utile e non solo complementare alla diagnostica della cardiopatia ischemica, soprattutto per la possibilità offerta da alcune tecniche di mettere in evidenza il miocardio vitale e la rivascolarizzazione.

Ischemia transitoria da sforzo (angina) L’ecocardiografia può essere importante durante l’esecuzione di test dinamici da sforzo o a riposo, permettendo ad esempio di osservare risposte allo sforzo fisico patologiche (come la turbolenza della cinetica parietale sotto sforzo). L’esame gold standard è la PET, ma la sua limitata diffusione rende importante la scintigrafia perfusionale del miocardio (vedi medicina nucleare, cuore). La RM è inoltre capace di evidenziare anomali contrattili e di perfusione dopo lo sforzo fisico. La stenosi coronarica responsabile della scarsa perfusione può essere valutata molto efficacemente con la coronarografia, importante anche nella scelta del trattamento da eseguire.

Infarto del miocardio Unica tecnica abbastanza “portatile” da poter essere usata durante un attacco acuto è l’ecocardiografia, che identifica alterazioni della cinetica e le monitorizza nel tempo. Importante anche per l’individuazione precoce di complicanze come la rottura del setto o la formazione di aneurismi, l’insufficienza mitralica o papillare, la formazione di trombi. Nel paziente con infarto dubbio può essere effettuata invece la scintigrafia perfusionale che evidenzia miocardio vitale, oppure la scintigrafia con indicatore selettivo di infarto (già dopo 1-2 ore dall’inizio del dolore è positiva la scintigrafia con Tc-glucarato).

Identificazione di miocardio vitale Tecniche come la PET e la scintigrafia sono importanti per la identificazione del miocardio vitale, in grado di riprendere, dopo adeguata riperfusione, la funzione contrattile normale, influenzando le scelte terapeutiche e la prognosi. Anche l’ecocardiografia evidenzia il miocardio vitale come zone ipo/acinetiche dove però la contrattilità migliora con l’infusione di dobutamina.

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Rivascolarizzazione La coronarografia selettiva sebbene molto invasiva è importante per valutare la pervietà dei bypass e l’efficacia dell’angioplastica. Può però essere usata anche la RM.

6.6 PERICARDITE • Acuta essudativa: l’ombra cardiaca si deforma “a fiasca” per la raccolta di liquido negli spazi inferiori

del pericardio; la deformazione si modifica con il decubito. Si ha anche che l’arco superiore di destra si allarga per la dilatazione della vena cava superiore e l’angolo cardiofrenico diventa ottuso. Ecografia evidenzia versamenti anche di piccole dimensioni, mentre la TC e la RM evidenziano bene gli ispessimenti pericardici e quei versamenti che si raccolgono nella parte posteriore.

• Cronica costrittiva: quadro della stasi del piccolo e grande circolo è ben evidenziabile con l’RX; la morfologia del pericardio non si modifica con il decubito. Durante l’espirazione si verifica un movimento del cuore verso l’alto e medialmente. La TC identifica il tessuto fibroso attorno al cuore ed ha un ruolo diagnostico di primo piano, anche per la facilità con cui evidenzia le calcificazioni (per questo la TC è meglio della RM in questo caso).

6.7 MALFORMAZIONI CARDIACHE Sono molto diffuse. L’RX ha un ruolo di approccio importante, ma non riesce mai a identificarle in maniera caratteristica. L’eco invece ha elevata sensibilità, soprattutto in epoca neonatale dove è più facile (il cuore è più grosso in proporzione all’adulto, specie rispetto ai polmoni in via di sviluppo, e ci sono molte finestre acustiche). Invece nell’adulto l’esame non invasivo principale è la RM. Spesso la diagnosi definitiva viene però dall’angiografia e dal cateterismo cardiaco, soprattutto in fase di raccolta di dati, in vista dell’intervento chirurgico. Descriviamo qui di seguito i reperti fondamentali delle principali malformazioni, eccetto che delle alterazioni valvolari discusse a se.

Coartazione aortica • Dilatazione dell’aorta ascendente (prominenza dell’arco superiore destro) • Alterazione del profilo aortico subito sotto all’arco in corrispondenza della stenosi • Dilatazione sub stenotica L’aorta nel complesso assume una formazione a “3”. Il circolo ipercinetico delle intercostali che supera la stenosi può provocare delle caratteristiche osteolisi meccaniche sulle coste (lesioni a colpo d’unghia). L’angiografia è comunque l’esame di elezione, quando risulta difficile per la stenosi serrata si ricorre all’angio RM.

DIV La dilatazione del ventricolo destro è ben dimostrabile all’RX, mentre la sede, la dimensione e il tipo di difetto sono molto spesso rilevabili all’ecocardiografia, sicuramente con il color doppler. La ventricolografia sinistra o l’angiocardiografia definiscono esattamente l’entità dello shunt.

DIA La dilatazione dell’atrio destro senza interessamento delle cavità ventricolari si rileva all’RX. Ecocardio e RM sono utili come nel DIV, e anche qui la diagnosi risolutiva si ottiene con l’angiografia.

Pervietà del dotto di Botallo Sia l’arco superiore di sinistra che quello medio sono dilatati (il primo per l’ectasia dell’aorta a monte dello shunt, il secondo per la dilatazione della polmonare sotto lo shunt perché riceve il flusso). Se l’ecografia è importante in epoca neonatale, e la RM nell’adulto, la risoluzione diagnostica si ha con l’angiografia e il cateterismo cardiaco che dimostrano la pervietà del dotto.

Tetralogia di Fallot Nelle forme lievi la malattia è radiologicamente asintomatica. Man mano che la stenosi polmonare aumenta di gravità, invece, si ha una modificazione caratteristica dell’ombra cardiaca: • Arco medio di sinistra rientrante → ipoafflusso nella polmonare • Punta cardiaca arrotondata e nettamente al di sopra del diaframma → dilatazione del ventricolo destro • Diminuzione netta del disegno polmonare

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Il cuore ha una forma caratteristica a “zoccolo olandese”. Le malformazioni del cuore (discontinuità fra setto e radice aortica, atresia della polmonare) sono evidenziabili dalla RM e ecocardiografia. L’angiocardiografia mette in evidenza la stenosi polmonare e il DIV.

Sindrome di Eisenmenger Per la presenza o l’insorgenza di una ipertensione polmonare in un cuore con DIV o DIA si osserva una inversione destro-sinistra del flusso dello shunt (la cardiopatia diventa cianogena). In questa sindrome il ricorso all’angiografia è molto pericolosa, e viene quindi evitata. La diagnosi differenziale importante con l’ipertensione polmonare viene fatta dimostrando la comunicazione fra le cavità cardiache con l’ecocardiografia.

TUMORI I tumori del cuore sono molto rari e nel 75% dei casi sono benigni. La RX occasionalmente evidenzia modificazioni dell’ombra cardiaca, o della vascolarizzazione polmonare, secondarie alla presenza delle masse. Ecografia e soprattutto TC e RM sono gli esami elettivi.

6.8 IPERTENSIONE

SISTOLICA DIASTOLICA Lieve Moderata Severa Lieve Moderata Severa

140-159 160-169 >170 90-104 105-114 >115 • Ipertensione labile: occasionale riscontro di valori alterati • Ipertensione maligna: ipertensione grave accompagnata da edema papillare ed essudati/emorragie

retiniche • Ipertensione scellerata: aumento di valori di pressione recente con alterazioni del fundus oculare senza

edema papillare Dal punto di vista eziologico si distinguono vari tipi di ipertensione: • Essenziale o idopatica: 6% dei soggetti generale, circa il 92-94% degli ipertesi • Secondaria

o Sistolica: Aortosclerosi Insufficienza valvolare aortica Tireotossicosi Pervietà del dotto arterioso

o Sisto-diastolica: Renale

• Renovascolare • Del parenchima

Da cause ormonali • Contraccettivi • Cortico-surrenale • Feocromocitoma • Acromegalia

Neurogena Da altre cause

• Coartazione aortica • Policitemia vera • Policitemia nodosa

Ipertensione nefrovascolare Dal punto di vista diagnostico questo tipo di ipertensioni si possono evidenziare bene con la diagnostica per immagini. Sono circa l’1-4% di tutti gli ipertesi, e siccome è difficile evidenziare la stenosi renale, si definiscono ipertesi nefrovascolari quei soggetti in cui l’ipertensione migliora dopo la rivascolarizzazione renale.

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Clinicamente si ha ipertensione di recente insorgenza, con progressione accelerata o maligna, refrattaria alla terapia medica; in genere in soggetto fra 30 e 50 anni. Può esserci rumore di soffio addominale e spesso c’è retinopatia grave. La stenosi arteriosa deriva da aterosclerosi o da displasia fibromuscolare.

Diagnosi preradiologica Differenziare le forme essenziali da quelle secondarie. Importante l’anamnesi che permette di valutare la familiarità spesso associata alle forme primitive. Quelle secondarie insorgono in genere prima dei 35 o dopo i 55 anni; precedenti infezioni ricorrenti alle vie urinarie e traumatismi lombari, nicturia o polidipsia sono suggestivi di ipertensione nefropatica. ATndenza all’aumento o perdita di peso suggeriscono rispettivamente Cushing o feocromocitoma. All’esame obiettivo si valuta l’accumulo di adipe del Cushing, rumori di soffio vascolare dorsale (coartazione istimica dell’aorta), ombelicale o al fianco (arteria renale); valutazione dei polsi femorali Gli esami di laboratorio sono: • Urine completo • Test sierologici di funzionalità renale • Potassio → iperaldosteronismo • Determinazione delle catecolamine urinarie (feo) • Determinazione del cortisolo urinario (Cushing)

Diagnosi radiologica • RX torace: evidenzia le ripercussioni cardiopolmonari presenti nell’ipertensione e in alcune cause

identifica la patogenesi (insufficienza aortica, coartazione..). L’Rx però ha delle precisazioni: o il sovraccarico pressorio ventricolare SX non associato ad aumento di V non si diagnostica

radiograficamente o aortosclerosi: allungamento dell’aorta all’RX o insufficienza aortica: dilatazione dell’aorta all’RX o coartazione dell’aorta: osservare la piccolezza del cappuccio aortico, la rientranza del profilo

esterno dell’aorta discendente, e non soltanto le lesioni a colpo d’unghia delle coste o pervietà del dotto: segni polmonari di iperafflusso, vascolari di ectasia del ramo sinistro

della polmonare, cardiaci di dilatazione dell’atrio sinistro Tutte le altre tecniche radiologiche servono a documentare la patologia organica responsabile dell’ipertensione secondaria o a diagnosticare l’ipertensione nefrovascolare. • Renografia radioisotopica: per la diagnosi di ipertensione nefrovascolare si impiega il DTPA Tc-99m,

che fornisce dati precisi anche nei casi in cui la stenosi interessa un ramo piccolo dell’arteria renale. In questo esame la somministrazione di ACE-inibitori (captopril) provoca una rapida diminuzione del flusso renale (↓dell’uptake ed eliminazione del tracciante) indicando una componente di attivazione reninica.

• Angiografia digitale: consiste nell’aortografia e nell’arteriografia renale selettiva. In genere riesce molto bene a visualizzare una eventuale stenosi renale

• AngioRM: sensibilità del 100%, specificità 92% su stenosi significative (oltre 50% del diametro del vaso). I limiti sono la difficoltà di visualizzazione delle stenosi distali, e la sovrastima possibile dell’entità della stenosi

• Doppler: causa l’interferenza di adipe o gas la arteria renale è identificata solo nel 58-65% dei casi, e risulta più difficile identificare l’arteria se è presente una stenosi. Non si riconoscono mai arterie soprannumerarie.

Trattamento ipertensione nefrovascolare • PTA: l’angioplastica viene comunemente impiegata. I risultati si confrontano favorevolmente con quelli

di rivascolarizzazione chirurgica. Nelle lesioni dell’ostio della renale però la PTA non ha buoni risultati a distanza per cui è meglio inserire uno stent.

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6.9 DOLORE PRECORDIALE (DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE RADIOLOGICA) Dolore che interessa l’area di proiezione del cuore sulla parete anteriore ma che non è sempre di origine cardiovascolare, mentre non sempre il dolore del cuore si proietta nel precordio. Il dolore CV è determinato dal cuore, dal pericardio e dai grossi vasi, in diverse situazioni: • Ischemia • Pericardite acuta. Dolore influenzato dagli atti del respiro, dalla tosse, a volte dalla deglutizione (simile a

quello pleurico), continuo, oppressivo, anteriore (simile all’infarto), in regione paracardiaca e alla spalla di SX.

o Malattia reumatica 40,6% o Infezioni batteriche 19,8% o TBC 7,3% o Pericarditi virali 10,4% o Pericarditi uremiche 11,5% o Pericarditi neoplastiche 3,1% o Collagenopatie 2,1%

• Dolore aortico o Dissecazione: estremamente violento, localizzato alla zona della dissecazione ma migrante

in rapporto al tipo di dissecazione: Tipo A: interessa aorta ascendente indipendentemente dalla sede di ingresso e di

estensione Tipo B: non interessa l’aorta ascendente

Diagnostica radiologica

Ischemia e infarto RX • Segni di ipertensione venosa polmonare • Calcificazioni coronariche in paziente con coronaropatia • Calcificazioni miocardiche in paziente con infarto pregresso (raro) • Questi reperti da soli, anche in presenza di dolore, non sono sufficienti per la diagnosi di ischemia in

atto Ecografia La dimostrazione di asinergia o assenza del normale movimento parietale sistolico, specie se segmentaria, è un segno indiretto di ischemia che, associato alla dimostrazione di normalità del pericardio e dell’aorta, è abbastanza specifico.

Pericardite • RX: quasi sempre normale • Eco: decisivo per la diagnosi di versamento anche piccolo, e diagnostica tutte le pericarditi

infiammatorie. Per le forme epistenocardiche e neoplastiche si associa anche la TC o la RM • Ecocardiografia: si usa come esame successivo per dirimere dubbi • TC e RM: sono perfettamente in grado di identificare una patologia pericardica in caso di dubbi ulteriori

Dissecazione aortica e fissurazione di aneurismi • RX: Fornisce una serie di elementi si sospetto:

• Deformabilità del cappuccio aortico • Alterazioni delle limitanti mediastiniche • Aumento del diametro del mediastino • Segni di ispessimento della parete aortica (valutazione possibile solo se sono presenti calcificazioni

dell’intima)

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• Ecografia standard: la forma transtoracica è l’indagine di primo approccio al sospetto di dissezione aortica nel torace. Criterio di diagnosi positiva è la dimostrazione di un lembo fluttuante nel lume aortico, con evidenza di doppio lume vasale

• Ecografia transesofagea: recente, netta diminuzione dei FP e FN rispetto alla eco standard. Sensibilità 98%, specificità 88%.

• TC: indispensabile se agli altri esami si è evidenziato un aneurisma per escludere la possibilità di una fissurazione

• Angiografia: sempre meno utilizzata per la sua invasività, riservata a casi del tutto particolari

Esami di complemento nella valutazione del dolore precordiale • ECG: in presenza di dolore persistente escluse le cause aortiche e pericardiche si esegue ECG anche in

assenza di sospetto clinico di infarto. In assenza di alterazioni ECG si deve prendere in considerazione la possibilità di una dissezione aortica senza lembo flottante nel lume, che deve essere valutata alla TC (con e senza mezzo di contrasto) e alla RM. TC e RM sono diagnostiche per la dissezione anche quando non è possibile praticare l’ecografia transtoracica

• Aortografia toracica: eseguita a volte in paziente con dissezione accertata per chiarire il campo operatorio.

• Coronarografia: valutazione funzionale e studio dell’anatomia coronarica. Le indicazioni a questo delicato esame sono:

o Ischemia accertata ed elevata probabilità di malattia coronarica o Angina instabile o stabile, refrattaria alla terapia medica o Pregresso infarto miocardico e presenza di angina o Aneurisma post-infarto del ventricolo sinistro o Diagnosi equivoca di cardiopatia ischemica o Paziente candidati a correzione chirurgica di vizi valvolari specie se anziani o

coronaropatici La definizione di patologia coronarica richiede la definizione di almeno tre parametri angiografici, ossia la riduzione del diametro, la lunghezza della stenosi e la morfologia della lesione. Il primo parametro determina la riserva coronarica, ossia il rapporto numerico fra il flusso massimo misurato durante iperemia indotta e il flusso basale. Fino al 50% di stenosi è ridotta solo la riserva coronarica, mentre attorno al 75% di stenosi anche il flusso basale è ridotto significativamente. La morfologia delle lesioni recentemente è stata correlata con il quadro clinico, e si distinguono attualmente:

• Stenosi semplici: concentriche e a margini lisci e regolari → angina stabile • Stenosi complicate: margini irregolarmente frastagliati, ulcerazioni e aspetti di

dissezione → angina instabile e infarto • Lesioni complicate da trombi endoluminali

• Cineventricolografia: fornisce informazioni su:

o Alterazioni del movimento parietale o asinergie regionali: si correlano male con il danno strutturale del miocardio e non possono essere considerate espressione di necrosi o di danno di vasi coronarici

o Alterazioni strutturali (aneurismi post infarto) o Alterazioni dimensionali

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CAP 7 PATOLOGIA VASCOLARE Si tratta in questo capitolo la patologia vascolare non occlusiva, per la quale si rimanda alla radiologia interventistica (radiologia, capitolo 2).

7.1 DIAGNOSTICA STRUMENTALE DELLE ARTERIE

Ecografia Nella pratica possono essere utilizzate tutte le tecniche, ma soprattutto è importante il doppler e tutte le sue applicazioni. Anche la normale ecografia consente di acquisire elementi di informazione sulla patologia della parete del vaso e sulla sua struttura. Il vaso normale presenta lume anecogeno, delimitato da echi regolari e continui corrispondenti alla parete; nelle arterie è possibile vedere una linea iperecogena sottile e continua che corrisponde alla parte fibrosa e muscolare della parete. Dinamicamente le arterie si distinguono perché sono pulsatili, le vene sono invece caratterizzate da una deformabilità associata a movimenti muscolari o respiratori.

Arteriografia Come ricordato sono le tecniche di indagine fondamentale. Oltre all’angiografia convenzionale, di cui abbiamo già parlato, ne esistono fondamentalmente altre due, entrambe realizzate con tecnica simile alla convenzionale, ma utilizzando tecniche di imaging di radioscopia digitale a sottrazione di immagine consentono una selettività maggiore e un minor uso di mezzo di contrasto.

Angiografia digitale arteriosa (ADA) Tecnica di elezione che rispetto all’angiografia convenzionale permette di studiare praticamente ogni distretto (aghi di 4-5F) e usare meno mezzo di contrasto. I cateterismi selettivi e superselettivi delle biforcazioni aortiche sono moltissimi (i più usati a livello coronarico, cerebrale, tripode celiaco e mesenterica superiore). Si accede dalla femorale e si prosegue con il catetere a ritroso fino alla biforcazione interessata nella quale si inietta il mezzo di contrasto.

Angiografia digitale venosa (ADV) Studio della patologia dei grossi vasi in assenza di polsi periferici. Si punge una vena del braccio dove si inietta mezzo di contrasto che si diffonde sistemicamente. Non ha rischi di danno ai vasi legati al cateterismo, ma non è per niente selettiva. La qualità dell’immagine non è eccellente e il mezzo di contrasto è parecchio. Si usa quando è impossibile raggiungere con il catetere il distretto interessato.

TC Da sola riconosce solo i vasi di calibro maggiore, invece è importante con mezzo di contrasto nello studio degli aneurismi, nelle complicazioni post operatorie, emorragie, fistole. La tecnica spirale, con successiva ricostruzione di immagine in 3D, permette di visualizzare i vasi con risoluzione paragonabile all’angiografia.

RM Il sangue in movimento non da segnale nelle sequenze classiche. Fra lume e parete vi è quindi un buon contrasto e si possono vedere anche le alterazioni piuttosto fini. Si usa in genere a livello toracico dove la ecografia non è praticabile.

7.2 PATOLOGIA ARTERIOSA

Forme congenite Le malformazioni di decorso e origine in genere sono asintomatiche e il loro rilievo è occasionale. Fa eccezione l’origine della succlavia di destra dall’arco aortico che può dare disfagia lusoria. Aneurismi e fistole AV possono essere indagati rispettivamente con RM ed ecodoppler. Le displasia arteriose sono invece spesso causa di ipertensione giovanile se colpiscono le renali, e possono essere studiate agevolmente con ecografia e RM.

Arteropatie funzionali Fenomeno di Raynaud: arteriografia mostra vasospasmo riducibile con vasodilatatori

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Acrocianosi: arteriografia simile al Rayunaud, con sovrapposta componente di stasi venulare

Forme infiammatorie Le forme batteriche acute sono una controindicazione per il rischio di disseminazione all’arteriografia. Le forme croniche sono per lo più TBC o luetiche. In genere con l’angiografia si riesce a valutare lo stato della parete sia nelle forme infettive che in quelle reumatiche

Forme degenerative

Aterosclerosi Spesso riguarda l’aorta toracica e addominale. Fin dall’RX del torace è possibile identificare una serie di alterazioni precoci: • Prominenza dell’aorta ascendente • Innalzamento e sporgenza dell’arco aortico • Calcificazioni parietali, spesso presenti a livello addominale. Tutti questi reperti sono meglio caratterizzati però dalla TC e ancora meglio dall’ecografia, tecnica di elezione non invasiva per lo studio delle alterazioni parietali. Con la sola ecografia è già possibile valutare: • Percentuale di stenosi arteriosa • Ispessimenti parietali • Placche ateromasiche • Trombi (non quelli recenti che sono anecogeni) Associando all’ecografia la tecnica doppler diventa possibile anche studiare le stenosi dal punto di vista emodinamico e monitorarle nel tempo. Infine l’aortografia, che di per sé non è necessaria, può mostrare diverse alterazioni della parete e tutte le alterazioni dell’aterosclerosi.

Furto della succlavia Le tecniche doppler hanno oggigiorno soppiantato la diagnosi arteriografica, permettendo di identificare bene la deviazione di flusso dal circolo basilare durante l’uso del braccio.

Aneurismi Occasionalmente la diagnosi è possibile anche con il solo radiogramma del torace, specialmente quando la massa aneurismatica ha un orletto calcifico ben risultante alla RX. Gli aneurismi toracici possono essere inoltre visualizzati per lo spostamento degli organi del mediastino o per l’erosione dello sterno. L’RX addominale riconosce soltanto grossi aneurismi calcificati. Grossi aneurismi comunicanti con il lume principale dell’arteria sono ben visibili all’arteriografia e all’ecografia; l’eco addominale è molto sensibile per gli aneurismi dell’aorta, rispetto ai quali ha la stessa capacità risolutiva della TC, ma riesce meno bene a dimostrarne i rapporti con le strutture circostanti e i limiti La metodica più sensibile per il loro studio è però la TC, magari con mezzo di contrasto, che mette in evidenza anche i piccoli aneurismi delle arteria intraparenchimali (aneurismi miliarici), e soprattutto riesce a dare una definizione spaziale eccellente dei limiti e dei rapporti con le strutture vicine. La RM è ancora migliore come definizione ed ha la possibilità di vedere trombi anche recenti nella parete, ma rispetto alla TC è più lenta e laboriosa e non viene usata per la diagnosi di aneurismi in rottura.

Dissezioni aortiche RX inefficace. La TC riesce a dimostrare il lume vero e quello falso separati dall’intima, e consentire un orientamento topografico indispensabile dal punto di vista chirurgico per preparare l’intervento. Idem la RM. L’angiografia riesce a dimostrare i due lumi ma con minor precisione. L’ecografia transesofagea è piuttosto sensibile, ma a livello addominale questa tecnica è poco efficace.

7.3 DIAGNOSTICA STRUMENTALE DELLE VENE A livello venoso sono possibili due tecniche peculiari, la flebografia e la ecografia.

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Flebografia Consente uno studio anatomico e dettagliato di molti distretti venosi e della loro patologia. Si possono distinguere varie metodiche. Nel flebogramma normale le vene dotate di valvole sono attraversati da rigonfiamenti disposti lungo il decorso quando i seni valvolari sono riempiti, mentre le vene prive di valvole hanno contorni lisci.

Per puntura diretta • Arto inferiore: puntura di una vena del piede e infusione di mezzo di contrasto. Applicando un laccio

all’altezza del malleolo si blocca il circolo superficiale e si induce la diffusione del mezzo di contrasto in quello profondo (se i rami comunicanti sono pervi). Si usa per lo studio di varici, tromboflebiti, sindromi postflebitiche, ricerca di sorgenti emboligene.

• Flebografia ascendente: con paziente supino, si incannula una vena del dorso del piede, e si inietta mezzo di contrasto legando all’altezza del malleolo. Dopo aver preso le radiografie del circolo profondo, si toglie il laccio e si fa un’altra infusione, che stavolta interesserà il circolo superificiale

• Flebografia discendente: si incannula a livello ileo-femorale e si esegue una radiografia prima con paziente supino, poi in piedi, per valutare la capacità di contenimento delle valvole del circolo profondo.

• Flebografia dell’arto superiore: puntura della vena del dorso della mano o della basilica (non cefalica) al gomito. Indicazione nel sospetto di tromboflebite o infiltrazione / compressione delle vene ascellari

• Cavografia superiore: puntura laterale della basilica e iniezione bilaterale simultanea di mezzo di contrasto. La metodica mette in luce soprattutto arti superiori e mediastino, con il sistema delle azygos, e permette di visualizzare eventuali circoli collaterali di compenso.

• Cavografia inferiore: mediante puntura bilaterale della vena femorale all’inguine, o con cateterismo femorale della cava all’origine. In genere nello studio di malformazione della cava.

La flebografia della cava è eseguita soltanto in casi dubbi o molto complessi, dato che di solito è sufficiente la TC o l’ecografia.

Selettive Si usa la stessa tecnica dei cateterismi arteriosi, raggiungendo di solito per via transfemorale le vene renali, surrenali, iliache, tiroidee, azygos. L’iniezione del mezzo di contrasto è effettuata controcorrente. Queste tecniche permettono anche il prelievo mirato di sangue venoso.

Di ritorno postarteriografico In alcune condizioni è possibile osservare la vena dopo aver fatto una arteriografia, sfruttando il filtraggio del mezzo di contrasto attraverso il circolo capillare. Questo è molto efficace ad esempio nella valutazione del circolo spleno-mesenterico-portale dopo l’arteriografia del tripode celiaco.

Ossee L’elevata capacità di drenaggio dell’osso rende possibile effettuare delle flebografie dell’osso semplicemente inserendo mezzo di contrasto nella spongiosa. Sono metodiche meno utilizzate oggi che in passato.

7.4 PATOLOGIA VENOSA

SINDROME DELLA VENA CAVA INFERIORE Si ha per ostacolo al deflusso che può avvenire in diversi punti del suo decorso: • Prossimale: sindrome di Budd-Chiari, ostruzione al livello delle sovraepatiche • Intermedia: a livello della confluenza fra una o entrambe le vene renali e la cava • Distale: sotto la confluenza delle due vene renali (edemi dei genitali) o al livello delle vene iliache o

femorali (edema di un arto con vene collaterali superficiali sotto l’ostruzione) L’ostruzione completa non è accompagnata da sintomi evidenti se si verifica lentamente, mentre invece stenosi anche incomplete possono essere acutamente sintomatiche se si sovrappongono ad esse dei trombi. Le patologie alla base dell’ostruzione possono essere diverse, maligne o benigne.

MALIGNE BENIGNE • Neoplasie primitive o secondarie del fegato,

surreni, ovaio, utero, pancreas, reni. • Sarcomi retroperitoneali

• Fibrosi retroperitoneale (indicazione allo stent) • Trapianto del fegato • Cirrosi e cisti epatiche

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• Linfadenopatie pelviche o retroperitoneali • Leiomiosarcomi tipici della vena cava, visibili

alla TC come ispessimento parietale

• Aneurismi infiammatori che danno aderenze (si originano per infiammazione, complicanze di bypass aortico o da complicanza chirurgica post nefrectomia)

• Patologie congenite (rare) • Atresia della cava inferiore

Causa più frequente trombosi, originata dal distretto femoro-popliteo. Rischio di embolia polmonare¸ che è pericolosa sia se massiva che no (anche quella subsegmentale può dare alla lunga cuore polmonare cronico). Indagine di elezione scintigrafia perfusionale o se non disponibile TC meglio spirale. La chirurgia non è utile a meno che si tratti di una trombosi massiva.

PATOLOGIA DELLA VENA PORTA Si tratta di ipertensione portale per ostacolo al deflusso con ascite, splenomegalia, anomalie digestive, varici, emorroidi, stasi venosa, presenza di circoli collaterali. Esiste una classificazione emodinamica funzionale dell’ostruzione della porta: • Presinusale • Sinusale • Post sinusale Che sul piano clinico si traduce in prepeatica, epatica o postepatica.

Misure diagnostiche generali dell’ipertensione portale Per misurare la pressione si usa un catetere nella vena sopraepatica: la P epatica libera così ottenuta è di 1-5 mm Hg. Si incunea successivamente il catetere fino ad incontrare una resistenza, e quella è la P epatica bloccata (6-9 mmHg). La differenza fra le due pressioni da un gradiente che permette di stabilire la gravità dell’ipertensione portale: • 7-15 mmHg → ipertensione lieve • 15-30 mmHg → ipertensione moderata • > 30 mmHg → ipertensione grave Normalmente il circolo epatico ha tre vie. • Afflusso arterioso (25%) • Afflusso portale epatopato (75%) • Efflusso sovraepatico Quando, per qualsiasi motivo, il deflusso sovraepatico è impossibile, si attiva una seconda via di deflusso, patologica, che è il circolo portale epatofugo. In questo si attivano dei circoli collaterali porta cava che normalmente sono chiusi o a basso flusso, ma che in quelle condizioni diventano patologicamente attivi. Questi sono: • Il sistema del retius, una anastomosi fra le vene iliache e la cava tramite rami retroperitoneali • L’anastomosi fra la mesenterica superiore e inferiore che attraversa il plesso emorroidario (responsabile

delle emorroidi) • Il circolo superficiale perietale e periombelicale che collega le vene iliache con le epigastriche

(responsabile del caput medusae) • Il circolo coronaro-stomacico che collega la mesenterica superiore con le vene esofagee (responsabile

delle temibili varici). L’ipertensione che si crea nel circolo venoso portale (mesenterica superiore e iliaca) provoca l’ascite e la splenomegalia, che si considera tale quando il diametro maggiore della milza è di oltre 14 cm.

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Tecniche diagnostiche per immagini • Ecografia: analisi strutturale di fegato e milza, ricerca di ostruzioni, dimostrazioni di ascite, analisi del

flusso portale, dimostrazione di ascite anche di minima entità • TC: gli stessi rilievi in forma panoramica (migliore), ma non l’analisi del flusso • RM: come la TC ma con la possibilità di informazioni sul flusso • Angiografia: utilizzando l’arteriografia del tripode celiaco e analizzando il ritorno venoso si ottiene una

mappa dettagliata del circolo portale con individuazione degli ostacoli. Non sono possibili analisi flussimetriche.

• Esofagogramma baritato: mette in evidenza le varici ma è molto meglio l’endoscopia, che permette anche il trattamento.

Ipertensione presinusoidale Ostacolo del sistema portale intraepatico (raro) o preepatico. Le ostruzioni prepatiche sono causate da: • Forme infettive

o Schistosomiasi o Malaria

• Forme congenite o Fibrosi

• Forme infiltrative Le più comuni interruzioni preepatiche sono invece provocate da: • Ostruzioni di:

o Vena splenica Omentale Gastriche brevi Gastroepiploica

In genere sono implicate cause trombotiche, neoplastiche (pancreas), discrasie ematiche (policitemia), infiammatorie (pancreatite, sepsi addominale, flebite) Spesso si verifica il fenomeno della arteriolizzazione dei capillari epatici, per via del grande afflusso di sangue in più dalla via arteriosa, che compensa la carenza di sangue dalla porta.

Ipertensione postsinusoidale → Frequentemente legata alla sindrome di Budd Chiari, la quale si forma in genere per la trombosi delle vene sovraepatiche (70%) ma può anche essere congenita per presenza di una ostruzione membranosa incompleta che diminuisce il deflusso venoso sovraepatico. Le condizioni predisponenti alla trombosi delle sovraepatiche: • Ipercoagulabilità • Gravidanza • Traumi • Patologie mieloproliferative • Cirrosi epatica avanzata • Neoplasie I circoli collaterali che si mettono in atto sono praticamente sempre quelli epatogiugulari; la SBC può però dare un reflusso anche nelle retroperitoneali, in cui non si evidenziano circoli collaterali ma sono presenti vortici. La vena porta, pervia, presenta una inversione del circolo. Altri sintomi sono: • Epatomegalia per lo più del lobo caudato e superiore • Splenomegalia • Trombosi portale associata nel 20% dei casi • Ascite • Interruzione del flusso portale epatopato non compensato da arteriolizzazione ( a differenza che nella

ipertensione persinusoidale)

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• Alla TC: aree di ipoperfusione associate a mancata opacizzazione delle vene sovraepatiche e della cava inferiore (a differenza che nella presinusoidale in cui sono sempre visibili, poiché il sangue e il mezzo di contrasto ci arrivano dalla via arteriosa)

• Alla TC: impregnazione parenchimale disomogenea Altre condizioni di ipertensione postsinusoidale sono: • Trombosi della vena mesenterica: ha elevata mortalità e si tratta solo con la trombolisi; può essere data

da diverse circostanze: o contraccettivi orali o sepsi o pancreatite o policitemia o deficit di antitrombina III o chirurgia addominale

• Ostruzione della confluenza spleno-mesenterico-portale: in genere da pancreatite con emorragie o da una stenosi serrata della porta che si complica con trombo

• Fistola artero-portale: sempre causa di ipertensione portale presinusale extraepatica, può provocare arteriolizzazione capillare e quindi trasformarsi in ipertensione postsinusale.

In questi pazienti è importante valutare la presenza di shunt spontanei che possono essere predittivi di particolari complicazioni:

TIPO DI SHUNT COMPLICAZIONE % SI Emorragia digestiva 45% Splenorenale

NO Emorragia digestiva 60% Splenosurrenalici SI Emorragia digestiva 60% Splenosurrenalici NO Emorragia digestiva 94% • Cause cardiache:

o Scompenso congestizio o Pericardite costrittiva o Insufficienza tricuspidale

Ipertensione portale sinusoidale Legata a patologie epatiche. • Colangiosclerosi • Cirrosi: specialmente alcolica, ma anche da qualsiasi causa. Nel fegato cirrotico ci sono anche ostacoli

postsinusoidali. Si riscontra anche e sempre ascite, splenomegalia e attivazione di tutti i circoli collaterali, oltre i segni clinici di insufficienza epatica.

Alla TC le varici sono visibili come puntini neri sull’esofago bianco. In corso di cirrosi alla TC si vedono anche: • Ascite • Splenomegalia • Varici gastriche • Dilatazione della vena porta • Riabilitazione della vena ombelicale

INDICAZIONI ALLA TIPS INDICAZIONI MAGGIORI INDICAZIONI NON SEMPRE VALIDE

• Sanguinamento acuto di varici non controllabile con terapia medica o scleroterapia

• Sanguinamento ricorrente di varici nonostante terapia corretta

• Asciti refrattarie • S. di Budd-Chiari • Controllo di sanguinamento in paziente in attesa

di trapianto • Sindrome epatorenale

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CAP 8 RADIOLOGIA ADDOMINALE In genere la patologia delle due sierose addominali è costituita da versamenti di natura varia, ascessi e tumori. Tutte queste patologie possono essere indagate tramite RX (sommariamente), ecografia (in maniera completa) e TC (in maniera dettagliata).

8.1 PERITONEO E MESENTERE

PERITONEO Il peritoneo può essere funzionalmente distinto in tre sezioni comunicanti: • Scavo pelvico: in comunicazione estesa con la cavità addominale tramite le docce perietocoliche, è la

parte più declive del peritoneo e spesso qui si raccolgono fluidi e secrezioni • Addome: parte principale, diviso idealmente in due dal mesocolon, contiene numerosi recessi e ospita

anteriormente l’attacco del mesentere • Retrocavità degli epiploon: spazio virtuale fra lo stomaco e il peritoneo parietale, comunica

abbondantemente con la cavità peritoneale tramite l’anello di Winslow: si trova anteriormente al pancreas e in stretto rapporto con stomaco e milza.

Ascite L’ascite dà sintomatologia quando viene a superare gli 800 ml circa: ma il più piccolo volume individuabile è di 100 ml con l’ecografia, l’esame più sensibile. L’intera cavità peritoneale risulta occupata da liquido per volume superiore a 1000 ml. A differenza che nella patologia retroperitoneale, nell’ascite si riesce a vedere la limitazione netta dei muscoli psoas da parte del tessuto adiposo. L’ecografia è importante anche per la rimozione del liquido (paracentesi evacuativa).

Emorragia Dopo traumi chiusi addominali, in genere rottura della milza o del fegato, ma anche in diatesi emorragiche o per la rottura di tumori. La dimostrazione della rottura viscerale e della raccolta liquida viene fatta tramite ecografia e TC; la diagnosi differenziale fra le varie cause deve essere fatta con l’agobiopsia.

Ascesso In genere eventi postoperatori: se non trattati hanno una mortalità del 30%, ed è importante una diagnosi precoce. L’esame RX diretto mostra la presenza di gas e liquido in sede atipica, con possibilità di individuare i caratteristici livelli idroaerei. L’ecografia consente spesso la dimostrazione diretta dell’ascesso, e alla TC si osservanp anche le caratteristiche della parete. Un particolare tipo di ascesso è quello sottodiaframmatico, che può essere sospettato anche da un RX standard del torace quando si identificano: • Livelli idroaerei sottodiaframmatici • Elevazione dell’emidiaframma • Versamento pleurico • Strie atelettasiche basali da compressione • Aumento della distanza fra il diaframma e la bolla gastrica (a sinistra)

Peritonite acuta Quadro radiologico di ileo paralitico, con falde gassose sottodiaframmatiche se c’è anche perforazione intestinale; in ogni caso è caratteristica la obliterazione della linea adiposa properitoneale (qualsiasi cosa sia). Questo quadro è comunque diagnosticato principalmente in maniera clinica, e anche la peritonite tubercolare o neoplastica non è affatto differenziabile da quella normale.

Neoplasie Per lo più visibili all’ecografia in forma di noduli o placche di difficile individuazione con l’ecografia; alla TC presentano densità simile a quella dei tessuti molli e sono spesso circondati da ascite: la loro individuazione è agevolata dall’introduzione di mezzo di contrasto radiopaco in cavità peritoneale. Ecografia

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e TC hanno nel complesso una sensibilità molto minore a quella della laparoscopia che visualizza direttamente la cavità peritoneale nel suo complesso.

MESENTERE

Linfoadenopatie Non sono dimostrabili con la linfografia, ma tramite ecografia e TC

Neoplasie Sono importanti clinicamente i carcinoidi e le metastasi, soprattutto quelle da tumori pancreatici. Possono indurre intense reazioni desmoplastiche e frequente è l’infiltrazione neoplastica del grande omento. Le cisti mesenteriche si sviluppano fra le pagine mesenteriche sottoforma di reazioni rotondeggianti, a margini netti e regolari. L’ecografia mostra il contenuto liquido della lesione, la TC ne definisce dimensioni e disposizione.

Ascessi e raccolte flemmonose Compaiono in corso di pancreatite, malattie di Crohn, traumi penetranti e interventi operatori; si presentano sottoforma di raccolte capsulate con o senza gas nel loro contesto. Le pancreatiti necrotizzanti possono diffondere lungo il mesocolon inducendo perforazioni del colon e peritonite. La malattia di Crohn coinvolge, nelle fasi avanzate, il mesentere. Infine ispessimenti del mesentere si possono avere anche dopo traumi addominali anche di poco conto.

8.2 ESOFAGO

ESAMI STRUMENTALI DELL’ESOFAGO L’esofago può essere effettuato sia in modalità morfologica che in modalità funzionale, con diversi esami che comportano comunque l’opacizzazione del lume.

Esami morfologici • Esofagografia a DC: il paziente viene invitato ad ingerire un quantitativo d’aria (con polveri

effervescenti o deglutizione a narici chiuse) che distende il lume dell’esofago. In seguito viene ingerito 50-100 ml di soluzione baritata che induce un verniciamento sottile e uniforme del lume. L’esame RX viene fatto in posizione prona, che mette in evidenza particolarmente bene le ernie iatali

• Esofagografia opaca: metodica che mira a riempire completamente il lume, in modo che tutto quello che vi aggetta appaia come un difetto di riempimento, quello che sporge come un eccesso; era diffusa in passato prima di quella a DC. Si fa semplicemente ingerire una soluzione di bario ad alta viscosità e media concentrazione, che riempie perfettamente tutto il lume.ù

• TC: riconosce molto bene il lume dell’esofagfo, ed è ideale per osservare la presenza di neoplasie e la loro estensione ai tessuti paraesofagei

• Ecografia: viene fatta durante l’endoscopia, ed offre una buona visione della struttura della parete consentendo anche di osservare le tre tonache

L’esofago è costituito da una serie di strutture funzionali; un primo segmento tubulare che costituisce tutta la lunghezza dell’organo fino a poco sopra il diaframma, è dotato soltanto di attività peristaltica. Questo si continua con il segmento vestibolare, che ha una funzione di sfintere ed è a riposo in contrazione tonica. Il segmento vestibolare è formato da tre porzioni: • Anello A: pozione sopradiaframmatica che con un anello muscolare forma il passaggio fra segmento

tubulare e vestibolare • Porzione intraiatale, ancorata allo iato diaframmatico dalla membrana fibroelastica di Laimer. • Porzione sottodiaframmatica, di circa 3 cm, che entra nello stomaco e contiene l’anello B; questo è una

escrescenza anulare della sola mucosa, rivestita prossimalmente da epitelio squamoso e distalmente da quello colonnare3. Quando questo anello si restringe eccessivamente (al di sotto dei 13 mm) e provoca disfagia si chiama anello di Schatzki.

In questa regione sottodiaframmatica è contenuto lo sfintere esofageo inferiore, una zona di alta pressione di circa 3 cm. Esso è formato da diverse strutture: 3 Questa formazione corrisponde endoscopicamente alla “zig-zag line”.

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A livello della giunzione esiste un ispessimento della muscolatura esofagea presente circa 1 cm al di sopra dell’angolo di HIS: questa zona coincide sempre con la zig-zag line. L’esofago ha tre tonache muscolari: circolare interna, semicicircolare intermedia e longitudinale esterna. A livello di quest’area esiste un ispessimento della tonaca intermedia che si ancorano con le fibre dello stesso tipo nella giunzione (fibre a cravatta svizzera) e del fondo gastrico (fibre di Willis). Il ruolo di queste fibre è quello del mantenimento dell’angolo di HIS.

Il pilastro diaframmatico destro forma una pinza attorno alla porzione addominale dell’esofago, ed è detto laccio di Allison.

L’angolo acuto di HIS e la bolla gastrica formano una strozzatura e una compressione dal fondo verso il cardias che mantiene chiusa a valvola di Von Gubaroff, formata dalla protuberanza della mucosa esofagea,detta “rosette”.

La membrana freno-esofagea che nella sua porzione inferiore forma un fascio che stringe il LES, e che agisce da sfintere.

La pressione positiva addominale che agisce sul tratto addominale dell’esofago

Esami funzionali • Pasto baritato: il paziente ingerisce una sola dose di bario in bolo, il cui transito viene seguito con

tecniche di radioscopia digitale e videoregistrato. Questo esame permette una analisi molto dettagliata del transito esofageo e di eventuali disfunzioni cinetiche.

• Scintigrafia: permette di valutare con notevole precisione il transito del bolo attraverso l’esofago, di solito fatta con Tc solfuro colloidale. A seconda dei casi l’acquisizione delle immagini richiede da 2-3 minuti a 30-40. Premette anche di valutare l’efficacia della terapia ed è l’esame di elezione per il reflusso gastroesofageo, specie in età pediatrica. Inoltre, ripetuta l’acquisizione a 2-4 ore nel campo polmonare, può valutare la presenza di polmonite ab ingestis.

PATOLOGIA DELL’ESOFAGO

Discinesie

Discinesie ipertoniche segmentarie Prendono anche il nome di peristalsi terziaria, condizione patologica che porta alla contrazione scoordinata di segmenti esofagei. Si tratta in genere di un epifenomeno di altre patologie esofagee; si diagnosticano con gli esami funzionali nei quali appare, dopo il passaggio del bario, una serie di incisure marginali frastagliate nel terzo medio dell’esofago

Spasmo esofageo diffuso L’onda si arresta nel tratto prossimale dell’esofago, lo sfintere inferiore è normale. Le alterazioni caratteristiche sono: • Comparsa di contrazioni simultanee, ripetitive in risposta alla deglutizione, non peristaltiche • Comparsa di contrazioni spontanee in assenza di deglutizione • Intervalli di normale peristalsi • LES normale Si evidenziano spasmi anulari fra i quali si interpongono dilatazioni; sono disposte simmetricamente e in genere in perpendicolare rispetto all’asse maggiore dell’esofago. All’esofagogramma si evidenzia anche un aumento di spessore della parete (aumento della banda di densità fra il bario e le strutture mediastiniche circostanti).

Acalasia • Mancato rilasciamento del LES durante la deglutizione • Assenza di attività peristaltica nel terzo inferiore del corpo esofageo (o peristalsi scoordinata) • Dilatazione esofagea. Di solito la pressione a riposo nel LES risulta aumentata. Dal momento che la parte superiore dell’esofago risulta conservare la sua funzionalità, il bolo viene inghiottito normalmente, ma rimane incastrato a monte della giunzione esofago-gastrica perché il LES non si

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apre e la muscolatura esofagea inferiore non è in grado di spingerlo contro la sua resistenza. L’ingresso del cibo nello stomaco avviene solo quando la colonna di cibo vince con il suo peso la resistenza del LES. La malattia attraversa tre fasi; una prima fase di compenso, in cui si ha soltanto restringimento del tratto terminale dell’esofago, è difficilmente valutabile all’RX. Una seconda fase, in cui la peristalsi può essere anche moderatamente aumentata e si ha una dilatazione modesta del corpo esofageo (fino a 6 cm), si osserva abbastanza bene all’RX. Infine in una terza fase si ha lo scompenso, in cui la parete esofagea non riesce a contenere l’accumulo di cibo: in questa fase l’esame con bario riesce a dimostrare tutti i segni della patologia: • Dilatazione abnorme dell’esofago, oltre 6 cm, con aspetto sigmoideo (dolicomegaesofago) • Discesa del cibo per gravità, assenza completa di peristalsi • A causa del passaggio selettivo di materiale liquido nel LES dalla parte inferiore dell’esofago e del

ristagno di aria nella parte alta, si ha il caratteristico segno della mancanza della bolla gastrica • Aspetto a coda di topo della giunzione gastroesofagea per il difficoltoso passaggio del bario nello

stomaco. • Segno del livello costante: si può vedere che il LES si apre a scatto quando la colonna di bario

nell’esofago raggiunge un certo livello, sempre costante, che evidentemente corrisponde ad un peso sufficiente a vincere la resistenza muscolare.

L’acalasia si complica frequentemente con esofagite da stasi, alla quale segue con una frequenza maggiore della media il carcinoma gastrico.

Discinesia ipotonica diffusa Detta anche sclerodermia esofagea, condizione in cui, a seguito di malattie degenerative nervose o patologie del collageno, l’esofago è atonico, slargato e peristalticamente silente. In genere lo svuotamento dell’esofago è normale con il paziente in piedi (per gravità), ma in decubito questa è completamente assente: sono presenti bolle d’aria a lungo immobili nel lume esofageo.

Acalasia vigorosa Presenta le caratteristiche manometriche dell’acalasia classica e dello spasmo diffuso, ma è una malattia a se. Presenta comunque: • Contrazioni ripetitive, non propulsive, di grande ampiezza • Mancato rilasciamento del LES Dolore toracico, disfagia e rigurgito sono i sintomi essenziali. Non c’è dilatazione esofagea e alla manometria tutti i segmenti sono interessati da spasmi, ed è la mancata dilatazione del LES che lo differenzia dallo spasmo esofageo diffuso.

Alterazioni di struttura Sono 3 malformazioni legate ad errori di separazione fra esofago e trachea

Atresia esofagea Interruzione completa della canalizzazione dell’esofago, che termina a fondo cieco. Il neonato lamenta episodi di soffocamento e rigurgiti durante l’alimentazione e marcata perdita di peso. Allo studio radiologico si mette in evidenza: • Decorso esofageo a fondo cieco, con tasca prossimale piena d’aria • Totale assenza di gas intestinali all’RX addome • Opacità polmonari alveolari irregolari per polmonite ab ingestis. L’esame baritato non è necessario.

Atresia con fistola tracheo-esofagea Oltre all’atresia esiste una fistola che è però posta distalmente all’interruzione del lume esofageo. La sintomatologia e il quadro radiologico è lo stesso, ma si evidenzia una grande quantità di aria nell’intestino; può essere difficile identificare la fistola.

Fistola isolata In genere molto grave, la sintomatologia è data da episodi di soffocamento e tosse durante i pasti, ripetute polmoniti refrattarie al trattamento, disfagia.

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All’esame radiologico si osserva difficilmente la fistola, se non usando accorgimenti paricolari.

Diverticoli Estroflessioni acquisite o congenite della parete esofagea intera (veri) o della sola sottomucosa (falsi). Sono molto rare le forme acquisite, soprattutto sono forme di esofago doppio. Quelli acquisiti sono diverticoli da trazione e da pulsione, i primi secondari ad un processo cicatriziale con retrazione fibrosa e i secondi ad un indebolimento della parete con spinta eccessiva dall’interno. Si dividono in faringei, medio-toracici ed epifrenici.

Diverticoli faringei (diverticolo di Zenker) Diverticolo da pulsione secondario alla incoordinazione faringo-esofagea, o più raramente ad un disordine di motilità dell’esofago. Si ha che quando c’è una non coordinazione fra la contrazione faringea e il UES (ritardo di apertura di questo o contrazione del cricofaringeo) nella parete posteriore dell’esofago, fra le fibre del muscolo costrittore inferiore del faringe e il cricofaringeo, nell’area detta triangolo di Killian, dove sono assenti le fibre longitudinali dell’esofago, si forma una estroflessione della sottomucosa che è limitata dalla colonna. Crescendo, infatti, essa si sposta di lato, generalmente a sinistra, e lì si reperta. Dopo somministrazione di pasto con bario si osserva una sacca mediana nella parte superiore del mediastino, riempita parzialmente di bario, a convessità inferiore: spesso c’è in essa un livello orizzontale costituito da aria e sostanze ingerite. Durante la deglutizione si sposta verso l’alto svuotandosi bruscamente del suo contenuto.

Diverticoli toracici 15% di tutti i diverticoli dell’esofago, spesso asintomatici. La maggior parte di essi riconosce come eziologia la trazione da parte di un linfonodo divenuto fibrotico a seguito di un processo tubercolare. Essendo dotati di parete muscolare, e non tendendo all’aumento di volume, sono in genere asintomatici, anche perché sono stirati verso l’alto o lateralmente, e quindi il cibo non tende all’ingresso dentro di essi. Invece i diverticoli da pulsione, sebbene rari sono pericolosi perché secondari ad una pressione interna da discinesia che provoca estroflessione della sottomucosa e mucosa attraverso una debolezza della parete muscolare. Radiologicamente sono una piccola tasca rotondeggiante riempita di bario collegata all’esofago da un colletto ampio e corto.

Diverticoli epifrenici Sono localizzati negli ultimi 10 cm dell’esofago, costituiti da mucosa e sottomucosa e considerati fra quelli da pulsione. Sono legati a patologie con spasmo esofageo o all’ernia iatale con reflusso. I sintomi iniziali sono digestione difficile, singhiozzo e pirosi, ma poi si ha anche rigurgito, dolore toracico e disfagia. Spesso interviene una ulcerazione della mucosa con sanguinamento cronico. Hanno aspetto radiologico simile a quello dell’ernia iatale, dalla quale si differenziano essenzialmente per i contorni irregolari e l’assenza di rilievo mucoso, ma soprattutto per la normale posizione dell’esofago terminale e dello stomaco.

Ernia iatale Oggi si tende a distinguere fra ernie da scivolamento, ernie paraesofagee ed ernie da esofago corto. Accanto a queste forme pure sono presenti spesso delle forme miste.

Ernia da scivolamento (tipo 1 di Akerlund) A seguito dell’allargamento dello iato, una parte della porzione cardiale e del fondo gastrico scivolano nel torace, per via della pressione addominale che è maggiore di quella toracica. Questo meccanismo è alla base del 90-95 % delle ernie iatali. Si tratta in genere di una situazione intermittente, l’ernia è in parte o del tutto riducibile con manovre adeguate e viene evocata da manovre compressive dell’addome o dalla variazione di decubito. In genere è una affezione asintomatica dell’età medio-alta, e in alcuni casi raggiunge una notevole dimensione.

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Lo studio radiologico viene effettuato di solito con il paziente in decubito prono, con l’addome compresso da un cuscino, in inspirazione profonda. Il pasto baritato, una volta raggiunto lo stomaco, potrà evidenziare una serie di segni caratteristici: • Slargamento dello iato esofageo del diaframma • Presenza della tasca erniaria (differenziabile dalla bolla gastrica per la presenza di pliche) • Giunzione gastroesofagea al di sopra del diaframma • Esofago terminale flessuoso • Anello B in sede sopradiaframmatica (segno non sempre presente, ma patognomonico) • Riducibilità (non costante) dell’ernia in stazione eretta

Ernia paraesofagea (tipo 2 di Akerlund) Difetto di una parte della membrana freno-esofagea, provoca il mantenimento in posizione del cardias, ma l’inserimento parallelo ad esso di una parte di stomaco nel torace, di solito il fondo. Questa condizione può portare alla formazione di una sacca erniaria grande, dove si impegnano colon, milza o le anse intestinali, con gravi conseguenze. Si differenziano, con la stessa tecnica, dalle precedenti per: • Conservazione dell’angolo di His (assenza di reflusso) • Tasca erniaria a lato dell’esofago (la tasca contiene sia il fondo gastrico che l’esofago

sottodiaframmatoco) • Assenza della bolla gastrica in sede normale • Presenza di opacità a volte livellata in sede retrocardiaca

Ernia da esofago corto Condizione in cui l’esofago nel suo complesso è accorciato, ristretto nel punto distale; sono in genere forme acquisite, nelle quali è sempre presente il reflusso e l’esofagite, dalla quale spesso derivano. La tasca erniaria è ben conservata e visibile, e l’ernia non è riducibile (diagnosi differenziale con ernia da scivolamento).

Malattia da reflusso gastroesofageo

Diagnosi del reflusso Il singolo episodio di reflusso si ottiene con la alterazione dei meccanismi antirefluesso dell’esofago e con la presenza di condizioni gastriche che lo facilitano. Esistono i seguenti meccanismi antireflusso:

• Sfintere crurale, del diaframma, attorno allo iato esofageo • Angolo di Heis, fra fondo gastrico e cardias • LES

La barriera anti – reflusso così costituita sopporta pressioni di 20 – 30 mm Hg; la pressione gastrica è normalmente superiore a quella esofagea e il reflusso si crea quando il LES ha un tono basale inferiore a 6-8 mm Hg. Le cause della malattia possono essere dipendenti quindi dalla inadeguata chiusura della barriera o dall’aumento della pressione gastrica. Le fibre del LES non sono né adrenergiche né colinergiche, ma rispondono al VIP e al NO Cause esofagee:

• Ipotonia del LES (sclerodermia, fumo di sigaretta, beta adrenergici, esofagite, farmaci calcioagonisti e colinergici.

• Inappropriato rilascio del LES (aumento del numero e della durata dei rilasciamenti) • Manovre chirurgiche ed endoscopiche • Diminuzione della clearence esofagea • Esofagite e diminuzione della resistenza della mucosa

Cause gastriche:

• Ritardo dello svuotamento • Reflusso duodeno – gastrico, da asincronismo della peristalsi dei due organi • Aumento del volume gastrico (pasti abbondanti) • Vicinanza del contenuto gastrico con la giunzione esofagea (clinostatismo)

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• Aumento della pressione gastrica (obesità, gravidanza, ascite, abiti stretti) • Ernia iatale da scivolamento (perdita della componente crurale della barriera)

Il 10% delle situazioni riconosce un carattere idiopatico. Il singolo episodio di reflusso non è patologico; lo diventa quando è cospicuo e frequente, tale da causare un danno alla mucosa esofagea. La diagnosi strumentale si impone quando la diagnosi clinica è dubbia e il trattamento medico non da risultati favorevoli. Sebbene la metodica diagnostica di elezione sia l’accoppiata pH-metria ed endoscopia, la diagnostica per immagini ha importanti applicazioni: • Ricerca di cause: ernia iatale, alterazioni della motilità vengono indagati con pasto baritato • Sostituzione della pH-metria con la scintigrafia nel bambino. • Definizione della esofagite da reflusso, del Barret e della eventuale polmonite ab ingestis (fra le

complicazioni, vedi dopo). • Informazioni morfologiche importanti nel preoperatorio. Per il reflusso il pasto baritato è poco sensibile e specifico. Si ricorre ad altre tecniche, in genere non radiologiche: come sottolineato prima, volte basta l’anamnesi per fare una diagnosi clinica, ma se non c’è regressione dopo un ciclo di terapia o se i sintomi sono gravi, è necessario ricorrere alla diagnostica strumentale. • Anamnesi con fattori di rischio e indicazione dei sintomi tipici • Evidenza di reflusso alla radiografia. Si ha solo nelle forme molto avanzate, ma diviene importate

ricorrere all’RX quando ci sia una stenosi peptica o si valuta la possibilità di un’ernia iatale. • Registrazione del pH intramurale esofageo, con un elettrodo ingerito dal paziente, e pH-metria

dinamica nelle 24 ore. L’elettrodo viene fissato 5cm al di sopra del LES, e il test è positivo quando il pH non cambia fra questo livello e lo stomaco, e diminuisce in seguito a manovre di compressione gastrica. I fenomeni di reflusso sono ortostatici nel 10-33%, clinostatici 25-46%, biposizionali nel 65-75% dei casi. Cut-off fissato a pH 4. Fornisce informazioni sulla durata degli episodi, sul tempo di esposizione dello stomaco al pH acido, e sulle relazioni fra posizione e rflusso.

• Esofagogramma con pasto baritato. Utile per identificare le erosioni e le stenosi peptiche, nonché l’evidenza di un adenocarcinoma.

• EGDS con prelievi bioptici multipli: diagnosi del Barrett in assenza di alterazioni radiografiche. Evidenzia anche esofagite erosiva e stenosi peptica distale e permette la valutazione dell’esofagite. Inoltre è utile anche per differenziare l’origine peptica o neoplastica di lesioni ulcerative o delle stenosi

• Manometria completa: fornisce informazioni sull’attività del LES e sulla funzione motoria dell’esofago. • Test di Bernstein: infusione nell’esofago di HCL 0,1 N. Questo crea pirosi retrosternale solo nei pazienti

con esofagite. Il test è controprovato dalla ingestione di soluzione fisiologica, che non provoca bruciore nei soggetti normali.

• Test di clearance acida dell’esofago: valutazione pH-metrica del numero di deglutizioni necessarie perché l’esofago si liberi di 10ml di soluzione di HCL 0,1 N.

• Studi radioisotopici: ingestione di un isotopo non assorbibile, in genere Tc99, e valutazione della sua transizione a livello esofageo. E’ una metodica assolutamente non invasiva che può essere usata nel bambino.

Diagnosi delle complicazioni Le complicazioni della malattia da reflusso sono: � Esofagite erosiva: lesioni evidenti all’endoscopia, con iperemia molto evidente, friabilità e ulcerazioni che provocano sanguinamento ed emorragia digestiva L’endoscopia è l’esame elettivo per la diagnosi dell’esofagite lieve, mentre le forme medie e severe possono essere agevolmente diagnosticate anche all’RX. Gli aspetti endoscopici permettono una classificazione di gravità dell’esofagite stessa, ma non sono così efficienti nella valutazione delle stenosi; l’importanza di una possibilità di diagnosi radiologica sta nel poter avere, in una sola seduta, un quadro diagnostico completo (individuazione di una causa eziologica contemporaneamente alla valutazione di gravità dell’esofagite). Inoltre le metodiche di radiologia costano meno ed hanno meno rischi.

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Aspetti endoscopici Aspetti radiologici Classificazione endoscopica di Savary Miller dell’esofagite • Grado I: edema con erosioni non confluenti • Grado II: erosioni confluenti ma non di tutta la

circonferenza esofagea • Grado III: erosioni confluenti estese a tutta la

circonferenza, emorragia • Grado IV: ulcerazioni e/o stenosi peptica o altre

complicanze

• Ridotta distensibilità dell’esofago • Ispessimento delle pliche longitudinali. Talvolta

è limitato ad una sola plica, che appare con una protuberanza polipoide

• Scomparsa dell’aspetto liscio della superficie mucosa (iperemia)

• Presenza di essudato infiammatorio in pseudomembrane

• Erosioni e ulcere multiple, a chiazze o a strie, con alone edematoso e pliche di fibrosi radiate (aspetto a ruota di carro)

• Ulcere profonde: il processo si estende in maniera continua, come nella colite ulcerosa

• Pseudodiverticoli intramurali; formazioni provocate dalla dilatazione dei dotti ghiandolari

� Stenosi peptica: danno della mucosa secondario alla fibrosi infiammatoria, produce disfagia ed è presente nel 10% dei soggetti con un reflusso. Le stenosi del reflusso sono lunghe pochi cm e distali (giunzione fra epitelio cilindrico cardiale e pavimentoso esofageo). La progressione è lenta e produce disfagia prima per i solidi e poi per i liquidi. Appaiono al pasto baritato come difetti di riempimento simmetrici, a contorni lisci, in genere vicini al giunto gastroesofageo. �Esofago di Barrett: progressiva sostituzione dell’epitelio pavimentoso pluristratificato dell’esofago con epitelio metaplastico, di tipo gastrico o intestinale, comunque colonnare. Il Barrett è da considerarsi a tutti gli effetti una lesioni displastica precancerosa, che aumenta il rischio di insorgenza di un adenocarcinoma esofageo. La diagnosi di Barrett era un tempo distinta in due sottogruppi (short e long Barrett) a seconda della lunghezza della lesione (maggiore o minore di 3 cm). I criteri oggi necessari alla diagnosi si basano invece sulla vicinanza del reperto dalla ZZL e sul tipo di metaplasia: in anatomia patologica, una metaplasia di tipo fondo gastrico non è da considerarsi un Barrett. La metaplasia intestinale di Barrett è di tre tipi: • tipo gastrico • tipo cardiale • tipo intestinale: questa forma può evolvere in adenocarcinoma della giunzione esofago-gastrica, che si

manifesta con calo ponderale e disfagia rapidamente progressiva. L’esofago di Barrett si associa spesso alla stenosi peptica e quindi la disfagia in un paziente con reflusso deve essere osservata con molta attenzione. La diagnosi del Barrett è solo endoscopica: radiologicamente può essere sospettato quando si osserva un aspetto reticolare, simile al rilievo gastrico. � Ulcera di Barrett: lesione ulcerativa nel contesto della metaplasia, che si può complicare con emorragia, perforazione o stenosi. � Problemi respiratori: per aspirazione del materiale refluito e per broncospasmo provocato per via indiretta dall’irritazione della mucosa esofagea.

Esofagiti infettive Le esofagiti sono forme in genere abbastanza rare, appannaggio per lo più di categorie a rischio immunologico (AIDS, trapiantati, chemioterapia).

Candida Raramente si osserva anche come complicazione di acalasia o esofagiti chimiche.

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Diagnosi essenzialmente endoscopica: alla RX si può osservare la presenza, nelle forme lievi, di aree di mucosa indenne alternate ad aree con aspetto pseudomembranoso (aspetto ad acciottolato). Nelle forme erosive, invece, si osserva una contemporanea presenza di erosioni (espansioni del riempimento) e di rilievi anulari pseudopolipoidi (difetti di riempimento), per cui nel complesso tutta la mucosa appare irregolare. Nelle forme erosive si possono avere anche deficit della motilità e temibili complicazioni come la perforazione e la stenosi cicatriziale.

Herpes Ulcere discrete superficiali nel tratto medio dell’esofago; difficile differenziarla dall’esofagite erosiva da candida.

Citomegalovirus Ulcere giganti, piatte, circondate da un alone edematoso. Sospetto soltanto nei gravi immunocompromessi

Varici L’endoscopia permette una adeguata diagnosi e contemporaneo trattamento efficace, ed è la metodica di elezione per questa patologia. Anche all’RX però queste radici sono di facile individuazione, anche se il loro aspetto può essere influenzato dallo stato di distensione e di attività cinetica dell’organo. L’indagine deve essere eseguita in stazione eretta e poi integrata da radiogrammi assunti in decubito prono. Nella fase iniziale sono piccoli cordoni serpiginosi, mentre nella forma conclamata sono difetti di riempimento nodulari. Possono essere viste anche con l’ecografia intraesofagea (eventualmente associata a doppler) e con la TC.

Masse esofagee

Corpi estranei Se radiotrasparenti, si evidenziano con pasto baritato. Se radiopachi, è sufficiente l’RX diretta del torace. In genere si arrestano al restringimento aortico o nella parte terminale dell’esofago. Dovendo poi toglierli con l’endoscopia, la diagnosi endoscopica è del tutto sufficiente, anche se può essere pericoloso l’introduzione dell’endoscopio qualora vi siano corpi estranei taglienti.

Tumori benigni Usualmente hanno un aspetto di deficit di riempimento centrale o eccentrico, a margini netti e regolari, senza alterazione della motilità parietale. Il tratto a monte può essere dilatato. Possono essere polipi peduncolati simili agli pseudopolipi dell’esofagite da reflusso

Tumori maligni I fattori eziologicamente correlati sono molti e di varia natura. Tutte queste cause finiscono, in vario modo, per provocare un danno infiammatorio della mucosa, che si evolve in una rigenerazione continua. In seguito si ha displasia, metaplasia e cancro. � Classificazione Ci sono diversi aspetti eziologici di carcinoma: • Carcinoma in situ: considerato una entità istologica differente dal carcinoma spinocellulare,

caratterizzato da polimorfismo e disordine cellulare in ogni strato dell’epitelio • Carcinoma squamoso: 95%, origina dalle cellule dell’epitelio pavimentoso non cheratinizzato che

hanno giunzioni fra una cellula e l’altra che assomigliano a spine, da cui il nome. Meno frequente nel tratto superiore, si estende longitudinalmente, e invade rapidamente la muscolare, i linfonodi e le altre strutture mediastiniche per contiguità. Diffonde a pleura, nervi frenici e ricorrenti, pericardio e aorta, e dalla porzione inferiore diffonde a linfonodi sottodiaframmatici. Per via ematogena si dissemina al fegato e alle ossa. E’ sensibile al trattamento radioterapico.

• Adenocarcinoma: origina in genere dall’epitelio di Barrett, meno frequentemente da un focolaio ectopico di mucosa gastrica o dalle ghiandole sottomucose. Trattato successivamente in un paragrafo a se.

Alcool Fumo Esofago di Barrett Acalasia (ristagno di cibo) Diverticolo Ingestione di caustici Radiazioni S. di Plummer Wilson Aflatossina fungina Reflusso gastrico persistente Condizioni socioeconomiche scadenti

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• Sarcomi: Rari, più comune è il leiomiosarcoma. Rari i linfomi primitivi, per lo più NH. Il linfoma H invece può avere un interessamento secondario abbastanza frequente.

• Carcinoidi: rari ma ben documentati, secernono ACTH, calcitonina, paratormone e VIP. � Epidemiologia Predispongono al carcinoma tutti i fattori di rischio che comportano irritazione cronica della mucosa e ostacolo al transito del cibo. Aree ad alta incidenza: Fascia asiatica del carcinoma esofageo, Finlandia, Irlanda, Africa sudorientale, Iran (dove le donne superano gli uomini), Normandia. Queste anomalie della distribuzione si spiegano male e ci sono teorie per i vari posti. Normandia: bevande ricavate artigianalmente dalla mele, fermentando producono nitrosamine cancerogene Iran: cibi speziati e bevande bollenti. In Italia la situazione è la seguente: incidenza 6/105 maschi, 1,5 femmine (più frequente al nord, 10-12 casi) Età media di insorgenza verso la 5°-6° decade. → Clinica • Esordio: bruciore urente, disfagia progressiva inizialmente per i solidi e quindi per i liquidi, e rapido

calo ponderale. Molto spesso al momento della diagnosi la malattia si presenta in uno stadio già inguaribile, poiché si avverte disfagia quando la stenosi supera il 60% del lume.

• Odinofagia, sensazione di corpo estraneo • Rigurgito • Calo ponderale • Polmonite “ab ingestis” In presenza di una disfagia insorta di recente, ipotizzare sempre la neoplasia, anche se spesso la causa è benigna. La disfagia tende ad aggravarsi rapidamente, si associa a sialorrea e a rigurgito, e assieme all’attività del tumore induce pian piano una cachessia. Dolore, singhiozzo e raucedine indicano l’infiltrazione alle strutture adiacenti del mediastino. → Diagnosi L’esame di elezione è l’EGDS con biopsie multiple, che permette di evidenziare le lesioni della mucosa non ancora sintomatiche, che sono erosioni associate ad una profonda infiltrazione simili all’acalasia. Particolarmente importante è l’eco-EGDS, cioè l’associazione dell’endoscopio con un ecografo in posizione laterale: lo strumento indaga le erosioni della mucosa, e permette l’estemporanea analisi della sottomucosa e dei tessuti sottostanti alla lesione, per evidenziare la massa della lesione, la sua infiltrazione nell’esofago e la diffusione alle strutture circostanti. Anche perché in 1/3 dei casi le biopsie risultano negative. E’ necessaria l’osservazione del fondo gastrico tramite retrovisione con la torsione dell’endoscopio. Il carcinoma dell’esofago può essere presente in tre forme morfologiche che ne condizionano il quadro radiologico. E’ inoltre presente una forma precoce (early gastric cancer) che descriviamo a sé. • Forme infiltranti: l’interessamento circonferenziale dell’organo è completo, e ne risulta un

restringimento concentrico, rigido e irregolare. Il tratto a monte è marcatamente dilatato, e fra la parte indenne e il tumore si apprezza un consistente “scalino”.

• Forme polipoidi: formazioni aggettanti irregolarmente estese. La parete da cui originano è rigida e spesso retratta verso l’interno; in genere non interessano tutta la parete e quindi si ha un restringimento eccentrico del lume accompagnato da un difetto di riempimento corrispondente al polipo. La dilatazione a monte è meno intensa che nella forma infiltrante.

• Forme variciformi: si diffonde nella sottomucosa, con estesi e tortuosi difetti di riempimento associati a stenosi modesta del lume, non facilmente differenziabili con la radiologia dalle varici esofagee.

Alcool Fumo Esofago di Barrett Acalasia (ristagno di cibo) Diverticoli Ingestione di caustici Radiazioni S. di Plummer Wilson Aflatossina fungina Reflusso gastrico persistente Condizioni socioeconomiche scadenti

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L’early esofageus cancer è una forma a sé stante di tumore (una variante del carcinoma squamoso) limitato alla mucosa e alla sottomucosa senza metastasi linfonodali (da non confondere con il carcinoma gastrico superficiale, ossia la forma classica che ha un contemporaneo interessamento linfonodale). Questo tipo di tumore ha tre forme (aggettante, superficiale, depressa), e una prognosi meno drammatica. Le forme superficiali sono molto difficilmente osservabili all’RX, le altre due un po’ meglio. → Stadiazione Esame di elezione per stadiazione è la TC, che permette di differenziare la lesione sottoforma di ispessimento focale o circonferenziale della parete a patto che superi i 5 mm. La TC non permette di valutare l’infiltrazione dei singoli strati della parete, (per cui è necessaria la biopsia), ma può efficacemente dimostrare l’estensione del tumore alle strutture circostanti (tessuto adiposo attorno all’esofago, trachea e bronchi, tiroide, pericardio). Sebbene con limiti legati al criterio dimensionale, la TC può evidenziare l’interessamento linfonodale, frequente nel tumore dell’esofago. Sistema TNM standard Tx: tumore non valutabile T0: assenza T1s: carcinoma intraepiteliale in situ T1: invasione sottomucosa T2: invasione muscolare T3: invasione avventizia T4: metastasi di organi prossimali → Grading e diffusione In genere il grado è bene o abbastanza differenziato, ma ciò non impedisce al carcinoma di essere comunque spesso diagnosticato ad uno stato avanzato. L’estesa rete linfatica favorisce la diffusione della malattia neoplastica a distanza e lungo la sottomucosa. Nidi di cellule neoplastiche si trovano regolarmente anche a diversi centimetri di distanza dalla neoplasia originaria. Le possibilità di diffusione del tumore sono: • Longitudinale, lungo la mucosa esofagea • Per contiguità interessamento dell’albero bronchiale e aorta, pericardio e a. polmonare • Diffusione linfatica: mediastinici posteriori , addome superiore e collo. • Diffusione ematica: polmoni e fegato. Queste metastasi non hanno in genere nessuna possibilità di

terapia risolutiva, nemmeno chirurgica. La diffusione ai linfonodi è: • Terzo superiore → linfonodi cervicali • Terzo medio → linfonodi mediastinici e tracheali • Terzo inferiore → linfonodi gastrici e celiaci La prognosi è così sfavorevole soprattutto perché non avendo l’esofago una sierosa, la diffusione è immediata.

8.3 STOMACO

STUDIO STRUMENTALE

RX Si utilizzano sospensioni di bario che verniciano a parete sottile la mucosa gastrica dopo preliminare distensione del lume con aria. Il paziente viene tenuto a digiuno dalla sera precedente, e poi viene somministrato glucagone per indurre ipotonia gastrica; viene quindi somministrata polvere effervescente e quindi 100 ml in sospensione di solfato di bario.

M0: no metastasi M1: metastasi presenti Ml: metastasi linfonodali a distanza

Nx: linfonodi non valutabili N0: no linfonodi interessati N1: estensione ai linfonodi regionali

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Si procede poi all’acquisizione di immagini in proiezioni standard e in stazione eretta dello stomaco e del duodeno. Alternativa alla radiologia di superficie è l’esame con pasto baritato che esattamente come il corrispondente esame esofageo riproduce il lume dell’organo a stampo. L’uso del solfato di bario può essere sostituito, se rischioso (sospetta occlusione o perforazione) con mezzo di contrasto iodato solubile, che se si spande in cavità peritoneale non è dannoso. Lo studio funzionale dello stomaco si esegue con l’aggiunta ad un pasto solido o liquido (in genere un toast con uovo sodo in cui, prima della cottura, viene introdotto un quantitativo di Tc solfuro colloidale) e poi utilizzando tecniche scintigrafiche per l’acquisizione delle immagini ogni 5’ o con la tecnica della scintigrafia sequenziale. L’immagine scintigrafica visualizza il processo di rimescolamento (i boli radioattivi ingeriti vengono fusi in un unico bolo), lo svuotamento (progressiva diminuzione della conta radioattiva) e la triturazione del cibo (frammentazione dei singoli boli ingeriti). Anche l’ecografia può essere adoperata per studiare il funzionamento gastrico senza rischi biologici, ma in maniera molto meno dettagliata della scintigrafia.

Morfologia radiologica dello stomaco Lo stomaco del normotipo in stazione eretta ha una forma ad uncino, nel quale si riconoscono: • La piccola curvatura, corrispondente alla parte interna dell’uncino • La grande curvatura, corrispondente alla parte esterna • L’angolus, cioè la zona dove la piccola curvatura fa la piega di raccordo fra corpo e antro • Corpo (parte iniziale) • Fondo (antro) • Canale pilorico, visibile come una strozzatura che separa lo stomaco dall’intestino. Sulla superficie sono visibili anche all’RX le pliche e le areole. Le prime sono aree di rilievo provocate dalla contrazione della muscolaris mucosae, quindi cambiano nel tempo. Sono grossolane (8-9 in tutto lo stomaco, di circa 2-10 mm di larghezza), e sono radiotrasparenti perché il bario si infila nei solchi fra le pliche; mentre le areole non sono sempre riscontrabili (50-70%) e si trovano soprattutto nella metà distale di corpo e antro Sono maglie radiopache di pochi mm di spessore, diffuse come un reticolo. Dopo un tot di tempo l’effetto di paralisi farmacologica cessa, ed è possibile osservare l’onda peristaltica che partendo la corpo raggiunge l’antro. A seconda di come lo stomaco si presenta mentre è attraversato da quest’onda, si possono identificare diverse anomalie particolari (vedi semeiotica radiologica). Quando la peristalsi è normale, l’onda peristaltica attraversa di seguito corpo, antro e piloro in cicli di circa 20 secondi. Anche il tono basale dello stomaco a digiuno può essere importante: questo si osserva empiricamente facendo ingerire il bario senza aver ipotonizzato lo stomaco. La resistenza delle pareti alla distensione provoca una iniziale difficoltà alla penetrazione del bario, e le immagini radiologiche sono “triangolari” con vertice verso il basso. Successivamente la resistenza della parete è vinta e si arriva alla classica immagine ad uncino. Nello stomaco ipotonico invece si ha subito la presenza di bario nella parte bassa, dove cade per gravità.

TC Viene condotta dopo ipotonizzazione e somministrazione di mezzo di contrasto iodato. Rende possibile l’identificazione di addensamenti parietali flogistici e neoplastici anche piccoli (5 mm), perforazioni e a volte varici.

Ecografia Evidenzia le singole porzioni gastriche in base alla sede e ai rapporti con gli organi continui. La bolla gastrica può dare artefatti, ha una sensibilità comunque nel complesso minore della TC. Viene usata in età infantile per la diagnosi di ipertrofia del piloro, e in associazione all’endoscopia per la valutazione della parete gastrica, e permette la visione diretta del pancreas (è una delle metodiche più sensibili per la rilevazione di piccoli tumori neuroendocrini).

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PATOLOGIA GASTRICA

Semeiotica radiologica

Biloculazioni In presenza di diversi processi patologici, esiste un rilievo semeiologico particolare del pasto baritato, ossia la visione dello stomaco distinto in due porzioni, separate da una strettoia. Esistono diverse condizioni che danno origine alla biloculazione: • Ipotonia: il mezzo di contrasto si dispone nella parte declive, sfiancandola, e per contrasto la parte

superiore si allunga e si contrae al centro, dove appare una sorta di stenosi (stomaco a clessidra) • Spina irritativa gastrica: la presenza di una ulcera, o anche una spina irritativa extragastrica possono

provocare un anello di contrazione della muscolatura che provoca la divisione dello stomaco in due lobi. • Carcinomi infiltranti con reazione desmoplastica → stomaco a borsa di cuoio (estesa stenosi rigida che

modifica tutto il profilo dell’organo) • Retrazione del piccolo epiploon (ulcera penetrante) → stomaco a borsa di tabacco con dilatazione della

regione antrale.

Alterazione di posizione Sono in genere acquisite (ernia, ptosi), ad eccezione del situs viscerum inversus. In genere la alterazione più comune è la ptosi del piloro e spostamenti transitori che lo stomaco subisce quando il colon è dilatato.

Alterazioni della superficie Possono riguardare le pliche e le areole; alterazioni delle pliche si riscontrano in tutte le patologie dello stomaco, mentre le areole sembrano modificarsi in alcune gastriti.

Varici gastriche In genere seguono le varici esofagee dell’ipertensione portale. Si localizzano elettivamente nel fondo. Il rilievo plicale del fondo assume allora un aspetto serpiginoso e ingrandito. Sono frequentemente causa di sanguinamento massivo.

Diverticoli Sono rari sia quelli congeniti che quelli acquisiti, veri o falsi, per la notevole resistenza della parete gastrica. All’RX diretto sono spesso visibili come una bolla gassosa con all’interno un piccolo livello. Si vedono benissimo all’esame con bario, e si localizzano nel 90% dei casi alla regione iuxtacardiale. Nell’antro sono molto rari ma possono simulare una ulcera gastrica.

Ipertrofia del piloro Le forme congenite o acquisite hanno una morfologia identica. Il canale risulta allungato, sottile, spesso attraversato da una plica longitudinale con aspetto “a binario” caratteristico. Il mezzo di contrasto, penetrando con difficoltà nel canale ipertofico, forma un calco “ad ombrello” molto caratteristico: il manico è formato dal sottile lume pilorico, il cappello dal lume enterico normale. Lo stomaco è dilatato e ipercinetico, ma ha ovviamente uno svuotamento ritardato e contiene residui di cibo a digiuno. In età pediatrica l’ipertrofia del piloro si può studiare meglio per via ecografica.

Occlusioni gastriche • Invaginazione gastro-gastrica: rara, produce stenosi serrata con dilatazione del tratto a monte; si vede

bene con il mezzo di contrasto iodato • Invaginazione gastro-duodenale: più frequente; si osserva un difetto di riempimento del bulbo

duodenale, centrale, circondato da anelli radiopachi, che sono i punti in cui il mezzo di contrasto entra fra la tasca invaginata e la parete duodenale.

• Volvolo: rotazione dello stomaco attorno al suo asse longitudinale o mediale. Nel primo caso si sposta lateralmente la grande curvatura, nel secondo la regione antrale si ribalta in alto. L’introduzione di mezzo di contrasto con sondino permette di evidenziare il fulcro e il tipo di rotazione.

Le occlusioni vanno differenziate dalla dilatazione gastrica acuta, evento non raro di natura non ostruttiva, che si riconosce già all’esame RX perché lo stomaco, benchè dilatato, è perfettamente normale in

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morfologia. La somministrazione di mezzo di contrasto permette di differenziare bene l’ostruzione dalla dilatazione da altra causa.

Gastriti Si diagnosticano piuttosto male con la radiologia, che riesce per lo più a riconoscere atteggiamenti funzionali transitori suggestivi di gastrite, ma che non si correlano con i reperti anatomopatologici che sono necessari per la diagnosi corretta. In genere il tipo di studio che si fa è sulle alterazioni delle pliche.

Gastriti erosive Si tratta delle gastriti in cui il processo non si estende al di sotto della muscolaris mucosae, e sono diagnosticate meglio delle altre. All’esame baritato si osserva costantemente la presenza di lacune del velo di bario sulla parete, piccole, che corrispondono ad aree di ipertrofia della mucosa: al centro di queste aree si osservano raccolte puntiformi di bario che sono le erosioni. Può essere difficile la diagnosi differenziale con il Crohn gastrico.

Gastrite antrale L’ispessimento delle pliche, lo spasmo e la ridotta distensibilità e le ipertrofie lacunari della mucosa sono limitati all’antro. Nelle forme erosive severe è difficile la diagnosi differenziale con il carcinoma gastrico.

Gastrite ipertofica Si ha un ispessimento delle pliche soprattutto in regione del fondo e del corpo, dovuto all’iperplasia ghiandolare. Spesso coesiste un’ulcera duodenale. Agevole ma importante la diagnosi differenziale con la sindrome di Ménétrier.

Malattia di Ménétrier Iperplasia della mucosa gastrica, di tipo foveale, limitata alle cellule superficiali e mucose, con la distruzione delle cellule parietali e principali. Il colletto delle ghiandole si allunga e diviene molto tortuoso, e le stesse pliche gastriche diventano più spesse e tortuose. Può esserci una infiltrazione linfocitaria e può esserci metaplasia intestinale. Le pliche assumono all’RX un caratteristico aspetto “cerebroide”, ben visibile nel fondo e nel corpo lungo la curvatura. La malattia provoca una enorme secrezione mucosa, che è responsabile addirittura di ipoproteinemia; tutto questo secreto è visibile come difetto di riempimento diffuso della parete perché il bario è ostacolato nella verniciatura dalla presenza di quelle secrezioni.

Gastrite cronica atrofica La forma cronica della gastrite inizia come una evoluzione della gastrite superficiale: in essa le lesioni infiammatorie sono limitate alla lamina propria della mucosa, e le ghiandole epiteliali sono separate da infiltrato cellulare ed edema. In questo stadio le ghiandole sono intatte e conservate, anche se si può avere una diminuzione del numero delle cellule mucipare e della loro attività. Successivamente, si ha una gastrite atrofica, che inizia con l’estensione in profondità dell’infiltrato, che finisce per distruggere e separare le ghiandole fra di loro. Questo processo inizia in genere dall’antro e si estende in senso prossimale fino a interessare fondo e corpo gastrico. Il quadro completo è quello dell’atrofia gastrica¸con una diminuzione della mucosa, dell’infiltrato a spese del connettivo. La parete nel complesso risulta assottigliata, e all’esame endoscopico è possibile vedere la rete vasale sottostante. La gastrite atrofica è quindi di un aspetto evolutivo della gastrite cronica, che viene a ad essere riconoscibile per la scomparsa delle pliche e delle areole dal fondo e dal corpo (aspetto “calvo” dello stomaco). Dove però le areole sono focalmente ingrandite può esserci una metaplasia intestinale, che è l’ulteriore evoluzione di questa malattia. Queste forme croniche si distinguono in tipo A (autoimmune), B (da elycobacter) e C (da una serie di fattori casuali per lo più di natura farmacologica). Oltre alla diversa localizzazione (B tipicamente antrale, A estesa a tutto l’organo), sono possibili alcuni aspetti aspecifici della gastrite cronica di tipo B: • Slargamento del piloro • Ispessimento focale dell’antro (visibile alla TC, simula il carcinoma)

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Ulcera

Clinica comparativa fra ulcera gastrica e duodenale Lesione profonda, penetrante anche negli strati al di sotto della muscolaris mucosae (a differenza delle lussazioni), con contorni netti e ben definiti, un alone infiammatorio molto più esteso che nell’ulcera duodenale. Di solito nel fondo è presente una zona di necrosi eosinofila, con epitelio non integro, su una matrice di tessuto di granulazione circondata da quantità variabili di tessuto fibrotico. Il fondo dell’ulcera può essere pulito o contenere una grande quantità di sangue o essudati proteici. La maggior parte delle ulcere gastriche è localizzata nell’antro, immediatamente distale alla fine della mucosa acido secernente del corpo stomacico (cioè in media a 2/3 della piccola curvatura). Le ulcere che si sviluppano nel fondo gastrico sono spesso associate ad HP (avviene nel 70% dei casi). C’è una correlazione importante fra ulcera gastrica e duodenale e H. Pylori. Si pensa che chi contrae una infezione precocemente, con sviluppo di una gastrite atrofica e acloridria, abbia più possibilità di sviluppare una gastrica. Altre cause importanti sono i FANS, responsabili del 15-20% delle ulcere, il reflusso duodeno gastrico, che produce ristagno di cibo e retrodiffusione degli idrogenioni, e tutte le cause di gastrite che, mantenendosi nel tempo, possono portare all’ulcera. In genere i livelli secretori sono normali, a differenza che nell’ulcera duodenale dove sono alti. L’ulcera duodenale, invece, è in genere provocata da uno squilibrio fra fattori protettivi (muco e bicarbonato, PG, flusso sanguigno intramucoso, velocità di turnover cellulare di 24-36h), e fattori aggressivi (pepsina, acido). Fattori ambientali come H. Pylori e il fumo. Il batterio produce ammoniaca che alcalinizza il pH attorno alla colonia, ma produce a distanza idrogenioni dannosi, produce fattori chemiotattici proinfiammatori e attivatori delle piastrine, produce proteasi e fosfolipasi che degradano il muco. Il fattore più importante sembra però la citotossina vacuolizzante del gene Cag-A ta, e i ceppi che ne sono portatori sono quelli implicati nella patogenesi dell’ulcera duodenale. Sembrano importanti anche fattori genetici (figlio di malato: richio 3x per l’ulcera duodenale, non gastrica). Mentre il 95% dei soggetti con ulcera gastrica è HP+, solo l’80% di questi paziente risulta positivo per il batterio. Se si eradica l’infezione, la possibilità di avere recidive diminuisce fortemente. Ulcera gastrica e duodenale sono differenti anche nelle complicazioni:

ULCERA DUODENALE ULCERA GASTRICA Sanguinamento → 30% Perforazione → 10% Stenosi pilorica cicatriziale →10% Cancro → < 1%

Sanguinamento → 25% Perforazione → 30% Stenosi cicatriziale → 10% Cancro→ 5% Estensione molto frequente ad altri organi (pancreas 50%, coledoco e colecisti 20%).

Il 10% circa dei pazienti presenta le due ulcere insieme, e spesso in essi si trova una secrezione alta.

Diagnosi dell’ulcera gastrica La metodica di elezione resta l’endoscopia, sia per l’ottima sensibilità che per la possibilità di trattamento mirato e biopsia. Il pasto baritato ha una sensibilità paragonabile (ulcere di 5 mm o più) e soprattutto permette l’osservazione delle strutture vicine con la possibilità di una differenziazione fra ulcere benigne e maligne che si avvicina al 100%. Per questo motivo il controllo evolutivo delle lesioni note può essere fatto tranquillamente con la radiologia. E’ importante però eseguire correttamente l’esame, perché uno scarso verniciamento o una distensione insufficiente possono nascondere lesioni piccole. A seconda di come viene visualizzata, l’ulcera assume diversi aspetti: Vista frontale Vista laterale • Raccolta radiopaca rotondeggiante od ovalare,

dove il bario entra efficacemente se l’ulcera si trova in basso rispetto alla forza di gravità (il bario vi penetra nel fondo)

• Immagine di eccesso di riempimento a cupola, che si verifica meno se il bario vi entra parzialmente per la presenza di coaguli o detriti nel fondo.

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• Alone edematoso circostante • Aspetto a “cerchiello” se l’ulcera si trova in alto,

perché il bario entra solo nei margini Alcuni rilievi sia nella zona dell’ulcera, sia localizzati sulla zona circostante, permettono di individuare diversi stadi evolutivi dell’ulcera: • Recente florida: margini netti a stampo, cratere occupato da residui di fibrina (difetto di riempimento) • Acuta: simile alla precedente, ma margini sfumati per la presenza di edema circostante • Callosa: di vecchia data, margini irregolari e sfrangiati, talora ispessiti per la fibrosi. Le aree di mucosa

circostanti possono essere modificate per la retrazione cicatriziale. Oltre al segno diretto di dimostrazione di ulcera (la nicchia ulcerosa che si riempie con il mezzo di contrasto) sono possibili diversi segni indiretti, spesso importanti per indicare dove l’ulcera può essere: • Rientranza del profilo gastrico a monte e a valle della nicchia • Edema periulceroso • Convergenza delle pliche “a stella” verso l’ulcera • Deformazione dello stomaco (a clessidra o a borsa di tabacco) • Alterazioni della secrezione e della funzione gastrica. Infine, importante, la presenza di segni distintivi fra ulcere benigne e maligne:

BENIGNE MALIGNE • Cratere ulceroso circondato da edema e pliche

convergenti regolari • Cratere irregolare

• Areole gastriche ingrandite, ma solo in sede periulcerosa

• Areole in sede ulcerosa distorte o assenti • Pliche si interrompono bruscamente in presenza

del cratere • Assenza di nodularità • Le pliche assumono un aspetto nodulare • La nicchia di profilo si proietta al di fuori del

lume gastrico • La nicchia di profilo aggetta nel lume nel

contesto di una massa parietale

Neoplasie benigne Non sono frequenti. Ci sono polipi iperplastici e adenomatosi, che si evidenziano spesso come difetti di riempimento aggettanti a margini regolari, cosa tipicamente benigna, di piccole dimensioni. Sono ad angolo acuto con la mucosa se originano dalla superficie, ottuso se originano in profondità. Possono però andare incontro a trasformazione. I lipomi invece sollevano la mucosa in superfici curvilinee nette e regolari, cosa caratteristica di benignità.

ADENOCARCINOMA GASTRICO

Epidemiologia Alta incidenza in Giappone, Cile e Finlandia. In tutto il mondo l’incidenza di questi tumori è in costante e netta diminuzione, forse per la progressiva riduzione della contaminazione da HP. In effetti l’incidenza sembra aumentare notevolmente nelle classi meno abbienti, e il fatto che i figli di emigranti acquistino il rischio dell’area di arrivo sembra propendere per fattori ambientali che agiscono nell’infanzia. Italia: 25 casi /105 abitanti Età di insorgenza: 50-70 anni M/F → 2:1 Sopravvivenza a 5 anni: <15% Fattori di rischio confermati sono:

• Familiarità e ambientalità • P53 • Basso livello sociale • Dieta povera di frutta e verdura (antiossidanti)

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• Infezione da HP (oncogeno di prima categoria) • Dieta ricca di salati, conservanti, affumicati (Finlandia e Giappone) • Fumo di sigaretta

Patogenesi Si ritiene che i primi agenti eziologici siano i nitriti prodotti dai batteri nitroriduttori. Gli alimenti avariati contenenti batteri e l’HP incrementano la riduzione dei nitrati, i conservanti e il fumo di sigaretta introducono nitrati dall’esterno. Un altro fattore che aumenta questa possibilità cancerogena è la presenza di batteri Altro filone eziologico è la presenza di lesioni ulcerative o erosive della mucosa, che possono portare attraverso un processo infiammatorio a metaplasia intestinale. Come già detto (vedi), quella più pericolosa è quella secernente solfomucine. La displasia che si ottiene può essere distinta in atipie di basso grado e di alto grado. Quest’ultimo stadio viene considerato equivalente al carcinoma gastrico in situ.

Anatomia patologica Endoscopicamente, le lesioni possono essere distinte in: • Polipoidi • A superficie ulcerata • Infiltrative La differenziazione cellulare appare ben differenziata, poco differenziata o con cellule a castone (tumore di Kuchenberg). Dal punto di vista anatomopatologico, si osservano invece queste due forme, con caratteristiche cliniche e morfologiche diverse: 1. Adenocarcinoma gastrico di tipo diffuso: tipico dei soggetti giovani, ha una prognosi peggiore. Le

lesioni interessano tutto lo stomaco, compreso il cardias, e provocano una diminuzione della distensibilità parietale, dando il tipico aspetto a borsa di cuoio.

2. Adenocarcinoma gastrico di tipo intestinale: soggetti anziani, aree ad alta incidenza. E’ il tipo di carcinoma che origina dalla metaplasia intestinale secernente sialomucine. Si tratta di lesioni spesso ulcerate, localizzate per lo più nell’antro e nel corpo, e precedute da stimoli infiammatori di lunga durata. La prognosi è lievemente migliore.

Clinica In genere i tumori asportabili sono asintomatici. Con il crescere della massa, inizia un senso di pienezza al quadrante superiore dell’addome, fino ad un dolore marcato e persistente. Anoressia, sebbene molto frequente, non è di solito un sintomo d’esordio. A seconda della porzione interessata, l’esordio della malattia cambia: • Fondo: interessamento del n. frenico → singhiozzo • Cardias: disfagia • Piloro: stenosi e vomito postprandiale • Infiltrativo: compressione e diminuzione del volume gastrico → sazietà precoce, anoressia e calo

ponderale • Ulcerativo: ematemesi ed anemia cronica In caso di interessamento dei nervi addominali, le nevralgie specifiche sono molto dolorose. Nella metastasi epatica, peraltro frequente, si hanno movimenti di ALP, AST, yGT. La diffusione metastatica avviene frequentemente per continuità, al fegato, colon e pancreas. Il tumore di Krukenberg metastatizza frequentemente all’ovaio per via transcelomatica. Può esserci metastasi ai linfonodi addominali e sopraclaveari.

Diagnosi radiologica Dipende ovviamente dal tipo morfologia che assume il tumore. → Forma vegetante: caratteristiche irregolarità della superficie e dei margini, che permettono in linea di massima una agevole diagnosi differenziale con le forme benigne. Le pliche si interrompono bruscamente in prossimità della lesione e la peristalsi gastrica è bruscamente assente in corrispondenza della base di impianto.

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→ Forma infiltrante: reazione desmoplastica con stenosi tubulare concentrica che riduce progressivamente il lume, evidente soprattutto nella forma “scirrosa” . → Forma ulcerativa: diagnosi più difficile, perché spesso il cratere ulcerato costituisce la quasi totalità della massa neoplastica, e la componente aggettante è scarsa e per lo più “a semiluna” attorno al cratere stesso. La lesione è impiantata su un tratto di parete rigido, non sporgente, e le pliche che convergono sono amputate, a clava. In genere sono importanti le alterazioni della cinesi gastrica relative alla presenza del tumore, specialmente nelle forme che infiltrano le tonache muscolari.

Staging Assume grande importanza la TC, in grado di distinguere fra T1-2 e T3-4, di valutare le linfoadenopatie, le metastasi epatiche, peritoneali e ovariche (che vanno sempre ricercate, soprattutto in presenza di cellule con castone del tumore di Krukenberg). Può essere utile anche l’ecoendoscopia, per la distinzione fra T1 e T2. E’ importante fare una stadiazione preoperatoria con il sistema TNM, al fine di migliorare le aspettative dell’intervento.

Stadio TNM Caratteristiche Sopravvivenza a

5 anni (%) 0 TsN0M0 Negatività linfonodale; limitato alla mucosa 90

1A T1N0M0 Linfonodi negativi, invasione della lamina propria o della sottomucosa

59

1B T2N0M0 Linfonodi negativi, invasione della tonaca muscolare 44 T1N2M0 T2N1M0

Linfonodi interessati; invasione della mucosa ma all’interno della parete

2

T3N0M0 Linfonodi negativi, estensione attraverso la parete

29

3A T2N2M0 T3N1/2M0

Linfonodi interessati, invasione della tonaca muscolare o estensione attraverso la parete

15

3B T4N1M0 Negatività linfonodale, aderenza al tessuto circostante 3 4 T(1-4)N(0-2)M1 Metastasi a distanza

Carcinoma gastrico precoce Si da questo nome alla neoplasia gastrica che non oltrepassa la sottomucosa. Esso ha un trattamento diverso dalle forme più infiltrate di tumore, e una prognosi favorevole nel 90% dei casi. Si identificano tre aspetti morfologici di questi tumori:

• Tipo I: protrudente • Tipo II: superficiale

o 2a elevato o 2b piatto o 2c depresso

• Tipo III: escavato Si diagnostica bene con l’esame baritato, soprattutto se accoppiato all’endoscopia. Le varianti morfologiche hanno degli aspetti radiologici identici a quelli già descritti per il carcinoma esofageo precoce (vedi).

Sarcoma gastrico non linfatico L’1-3% di tutti i tumori dello stomaco sono leiomiosarcomi. Interessano spesso le pareti anteriori e posteriori del fondo gastrico, e sono caratterizzate da ulcere sanguinanti. In genere non metastatizzano per contiguità né per via linfatica, ma giungono per via ematica al fegato e ai polmoni. L’aspetto istologico può trarre in inganno, e anche lesioni benigne possono avere comportamento maligno. Trattamento di scelta, terapia chirurgica. La chemio combinata è indicata nei pazienti con metastasi. E’ raro, e si distingue dai grossi leiomi benigni solo quando si ulcera o va in necrosi vistosa. La TC e l’ecografia possono essere importanti per valutare la componente, di solito abbondante, extragastrica.

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Linfoma non hodgkin primitivo gastrico E’ una delle malattie tumorali più rare, ma comunque rimane il più comune sito extralinfonodale per i linfomi. Il tipo di linfomi è generalmente NH a cellule B, spesso di tipo MALT, altre volte a grandi cellule. Più del 60% di questi LnH sono associati all’infezione da HP. L’eradicazione dell’infezione migliora notevolmente la prognosi del linfoma. Il linfoma gastrico risponde alla terapia molto meglio dell’adenocarcinoma, da qui la necessità di una diagnosi differenziale in fase precoce. Il 50% dei pazienti va incontro a remissione del linfoma dopo terapia antibiotica contro HP. Oggi la chemio si configura come una alternativa valida alla terapia chirurgica. Assomiglia molto all’adenocarcinoma, sia nella clinica, che nell’aspetto radiologico. Spesso le biopsie rendono difficile identificarlo perché il tumore si localizza in profondità nella mucosa o nella sottomucosa. Anche l’aspetto endoscopico è simile a quello dell’adenocarcinoma, sia nella forma vegetante ulcerativa che in quella diffusa. Radiologicamente la diagnosi differenziale fra carcinoma e linfoma è impossibile per le forme vegentanti e ulcerative. Le forme infiltranti invece si differenziano con difficoltà dalla gastrite ipertrofica, nella quale però, a differenza del linfoma, non compaiono ulcerazioni multiple.

8.4 DUODENO

MORFOLOGIA RADIOLOGICA Lo studio del duodeno costituisce l’ultima fase dell’esame con pasto baritato, e di solito viene identificato radiologicamente in due proiezioni oblique per differenziare la seconda porzione dalla terza. • Bulbo: è un triangolo rivolto verso lo stomaco con la base e l’apice laterale e in alto. Ha pliche

longitudinali che a causa della distensione gassosa si appiattiscono e possono anche scomparire. • Seconda porzione: decorre curvando di nuovo verso la linea mediana, con concavità verso lo stomaco.

Ha pliche trasverali caratteristiche di circa 2 mm di spessore, radiotrasparenti, dette “valvole conniventi”, che sono delimitate da bande parallele, opache, su cui ristagna il bario. Internamente, a metà, è visibile una formazione trasparente corrispondente alla papilla di Vater (coledoco e Wirsung) e una più piccola detta papilla minor dove sbocca il dotto di Santorini. Se la papilla si riempie di mezzo di contrasto può simulare un diverticolo.

• Terza porzione: va verso sinistra e verso l’alto, fino a piegare bruscamente verso il basso per continuarsi, dopo l’angolo di Treitz, con il digiuno. Non si differenzia dalla precedente come struttura. Il tratto di passaggio fra la seconda e terza porzione è abbrancato all’aorta addominale (dietro) e alla mesenterica superiore che originando dall’aorta passa sopra al duodeno.

Oltre che radiologicamente tutte le porzioni duodenali possono essere evidenziate alla TC quando il lume viene opacizzato con il bario o con mezzo di contrasto iodato per os. Viene meglio ancora se il paziente assume polveri effervescenti (distensione con aria). L’ecografia addominale evidenzia le tre porzioni ma difficilmente l’angolo di Treitz; è importante l’ecoendoscopia per la valutazione della regione del coledoco e della testa del pancreas.

PATOLOGIA DEL DUODENO

Ostruzioni • Atresia: presenza di un diaframma completo che ostruisce il lume del duodeno, facilmente evidenziabile

anche all’esame diretto addome per la cospicua dilatazione gassosa del duodeno e dello stomaco. Sul radiogramma si forma quindi una “doppia bolla” con due livelli idroaerei, uno dello stomaco e uno del duodeno. Nei settori a valle del digerente c’è nel neonato con atresia una completa assenza di gas.

• Stenosi: diagramma mucoso incompleto variabile, con sintomatologia simile a quella dell’atresia condizionata dalla gravità della stenosi. Il quadro radiologico oscilla dalla normalità a quello dell’occlusione, con distensione gastrica e duodenale. Si mette in evidenza con pasto baritato

• Ostruzione estrinseche: una briglia o un volvolo possono comprimere e ostruire completamente il duodeno. Il quadro radiologico è quello di una ostruzione più o meno completa.

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• Pancreas anulare: causa di ostruzione che si riesce ad osservare in genere soltanto con la TC.

Alterazioni della parete

Diverticoli Di solito vicini alla papilla, sono speso congeniti e veri; l’estroflessione raggiunge anche notevoli dimensioni, e il colletto è bene apprezzabile. Alcuni diverticoli costituiscono duplicazioni intestinali e sono visibili anche come introflessioni.

Lesioni esuberanti • Metaplasie gastriche: alterano il verniciamento della parete, e sono localizzate occasionalmente nel

duodeno (quasi sempre la loro presenza si ha nel contesto del diverticolo di Meckel nel tenue). Spesso hanno origine da una metaplasia infiammatoria, e con la loro attività secretoria provocano dispepsia. Assumono l’aspetto di piccole lesioni polipoidi o a placca, spesso nella base del bulbo.

• Iperplasia dei follicoli linfatici: allergie alimentari, malassorbimento, flogosi, anche neoplasie intestinali o alterazioni immunologiche. Conferiscono alla superficie mucosa un aspetto cribroso.

Ulcera duodenale Per le caratteristiche cliniche e patogenetiche vedi l’ulcera gastrica. Hanno sede praticamente sempre bulbare, spesso nel terzo prossimale e nella faccia anteriore. Nel 15% dei casi sono multiple, e nell’85% dei casi associate ad HP. La semeiotica radiologica dell’ulcera gastrica si applica esattamente a quella bulbare, in particolare è particolarmente evidente la triade di Akerlund: • Presenza della nicchia • Retrazione della curvatura vicina • Estroflessione per spasmo “a dito indicatore” della muscolatura nella parete opposta Nelle ulcere della parete anteriore lo spasmo ha origine nella parete verso il fegato (grande curvatura), in quelle dalla parete posteriore lo spasmo è dalla parte dello stomaco (piccola curvatura). TC ed ecografia possono occasionalmente evidenziare ispessimenti della parete di natura infiammatoria che possono essere indagati all’RX svelando la presenza dell’ulcera. Un aspetto particolare ce lo possono avere le ulcere post bulbari: in queste è frequente osservare uno spasmo intenso, a “manicotto” di un tratto di duodeno più o meno lungo, nel contesto del quale sporge l’ulcera. Le complicazioni (vedi ulcera gastrica), soprattutto la penetrazione dell’ulcera in altri organi, obbligano all’osservazione attenta con uso delle tecniche radiologiche più idonee (TC, angiografia, esame diretto in laparoscopia).

Sindrome di Zollinger-Ellison Ulcere nel tratto intestinale superiore, marcata ipersecrezione acida gastrica, secondarie alla presenza di un tumore pancreatico non insulare gastrina secernente. I tumori, che sono spesso multipli e di dimensioni variabili da 1mm a oltre 20cm, si localizzano con uguale facilità nella testa del pancreas e nel duodeno. Il 90% di queste neoplasie si trovano nel triangolo dei gastrinomi, che è delimitato dalla giunzione coledoco cistica, dalla giunzione fra terzo medio e inferiore del duodeno, e dal punto fra collo e testa del pancreas. Circa 2/3 dei gastrinomi sono maligni, e un paziente su tre sviluppa metastasi, per lo più nei linfonodi regionali e nel fegato. Una buona metà dei casi di gastrinoma insorge nel contesto delle forme di neoplasie endocrine multiple, una serie di malattie neoplastiche secernenti su base genetica. In effetti i pazienti con questa neoplasia hanno nel contesto del tumore parecchi ormoni tutti però inattivi. Gli effetti della gastrina nella parete gastrica sono un incremento ipertrofico di circa 3-6 volte la norma, e la presenza di tumori carcinoidi provenienti probabilmente dalle cellule ECL che vengono iperstimolate. In effetti tali valori sono stati trovati anche nei pazienti con anemia perniciosa e atrofia gastrica, che hanno paragonabili valori di gastrina.

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� Clinica Nelle fasi iniziali della malattia viene riscontrata una aumentata secrezione acida, con sintomi tipici dell’ulcera peptica, ma di entità maggiore, di più lunga durata, e di difficile risoluzione con la terapia farmacologica. Il 75% delle ulcere hanno la tipica localizzazione antrale, ma si trovano anche nel duodeno e nel digiuno. Meno frequentemente esistono anche steatorrea (inattivazione acida della lipasi pancreatica) e diarrea (da irritazione del tenue). La steatorrea può anche dipendere dalla incapacità delle micelle di aggregarsi a pH acido. → Diagnosi All’esame baritato si evidenzia: • Abbondante secrezione gastrica che diluisce la sospensione ed altera parecchio il verniciamento • Ispessimento delle pliche gastriche, duodenali e digiunali per edema e flogosi delle cellule parietali • Ulcere multiple localizzati nel bulbo (75%) ma anche nelle altre porzioni duodenali e nel digiuno

(patognomoniche) Il gastrinoma può essere evidenziato con la scintigrafia con analogo marcato della somatostatina, utile anche come esame valutativo dell’efficacia della terapia. Ecografia, TC e RM possono aiutare nell’identificazione e delimitazione del tumore. Importante anche l’arteriografia e i prelievi mirati nel sistema portale.

Neoplasie

Benigne Per lo più formazioni aggettanti di piccole dimensioni a margini regolari (fibromi, adenomi, lipomi, emangiomi), o neuroendocrini. Interessante l’adenoma per le sue potenzialità di degenerazione maligna.

Maligne Gli adenocarcinomi possono essere infiltranti o stenosanti, oppure, più spesso, assumono la tipiche caratteristiche della formazione neoplastica maligna: • Formazione aggettante a argini irregolari • Superficie mammellonata • Base di impianto retratta • Grosse dimensioni Invece i linfomi si localizzano spesso nella seconda e terza porzione, in forma infiltrante a pieno spessore della parete, con tendenza ad interessare tratti più o meno estesi del duodeno che assume un aspetto rigido, tubulare, visibile sia alla TC che all’ecografia. I linfomi provocano spesso il sollevamento della mucosa.

8.5 INTESTINO CRASSO

DIAGNOSTICA STRUMENTALE Per il colon esistono numerosi esami, vuoi per la frequenza della patologia neoplastica, ma anche irritativa e funzionale, vuoi per la sua accessibilità che lo rende ben studiabile.

Esame diretto Eseguito di norma in ortostasi AP con cassetta radiografica di grande formato. Non viene effettuata nessuna preparazione e si osserva quindi la distribuzione spontanea di gas e feci. Questo esame di per sé permette: • Individuazione di stati di occlusione e subocclusione • Osservazione di alcune fasi evolutive delle IBD e della colite idiopatica • Conferma di diagnosi per megacolon tossico

Clisma a doppio contrasto Il clisma è l’opacizzazione del colon con un sottile strato di mezzo di contrasto opaco (il solito solfato di bario) reso capace di aderire solo alle pareti. Il lume viene “cancellato” distendendolo con aria. Consente l’analisi della sola mucosa e di tutte le patologie che la riguardano.

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Il termine “doppio contrasto” (che si applica anche al clisma esofageo, gastrico e del duodeno) si riferisce al contrasto fra aria e bario e fra bario e parete. Per effettuare il clisma è necessaria l’eliminazione radicale del contenuto fecale (purganti) e poi preparare il colon con antispastici e ipotonizzanti (Buscopan), quindi insufflazione dell’aria con semplice palla di gomma collegata ad una sonda rettale (nei pazienti sensibili alla dilatazione colica si può usare anche CO2). Consente una dimostrazione diretta delle pliche e delle austra, che appaiono come linee trasparenti circondante dal bario che vi si deposita attorno. Nel retto è possibile la dimostrazione di tutta una serie di pliche particolari che possono essere importanti punti di repere. La mucosa del colon è fondamentalmente liscia, e quindi è possibile identificare facilmente estroflessioni e processi patologici anche molto piccoli (ordine di mm).

Clisma opaco Realizza un calco del lume riempiendolo di sospensione baritata al 15-20% p/v. Anche qui è importante la liberazione del colon dalle feci che vi ristagnano. La soluzione viene fatta scendere fino a riempimento completo del colon (1,5-2 litri) e mentre questo avviene si fanno radiogrammi mirati (osservazione radioscopica è fondamentale) del retto, del colon, delle flessure, del sigma, cercando di dissociare da ogni tratto la sovrapposizione di altre immagini. Qui le immagini dei processi patologici sono legate ai difetti o ai surplus di riempimento; a differenza del clisma a doppio contrasto (DC) si possono evidenziare soltanto fenomeni patologici dell’ordine di cm. Si usa quindi per: • Età pediatrica • Presunta scarsa collaborazione del paziente • Controllo di situazioni patologiche già note • Ricerca di diverticoli, anomalie di sede, decorso, forma

Clisma istantaneo Clisma opaco effettuato senza preparazione, per studio rapido delle coliti in fase attiva. Infatti le aree infiammate del colon sono di per sé prive di contenuto fecale e quindi la presenza di questo è indice di mucosa normale.

Metodiche di studio della parete Ecografia, RM e TC. Tutte queste permettono la visualizzazione diretta della parete del colon e del retto, con differenti caratteristiche fra i diversi tipi di esame. Assumono importanza quando si deve valutare l’estensione dei processi infiammatori o di altro tipo attraverso la parete. • Ecografia: permette già da sola di identificare i processi patologici di tipo neoplastico e linfomatosi; la

massa parietale è iperecogeno, il lume ipoecogeno per la presenza di gas. Una massa che deborda dalla parete genera un aspetto lobato molto caratteristico. L’ecografia transluminale del retto è molto utile per la valutazione dell’estensione parietale dei tumori.

• TC: importante per il controllo dell’evoluzione parietale della diverticolite, del Crohn, nella stadiazione delle neoplasie, ricerca di recidive e metastasi. Con l’insufflazione di aria e la contrastazione delle arterie coliche per endovena si ottengono risultati molto buoni di “colonscopia virtuale”.

• RM: pochi risultati nello studio del colon. Invece è molto valida nello studio della parete rettale con bobine intracavitarie: il problema della differenziazione fra fibrosi e recidive di tumori del retto può essere indagato anche con questa metodica (di solito si fa con la PET).

Angiografia Limitato ruolo (è complessa, lunga e indaginosa, richiedendo il cateterismo selettivo delle arterie mesenteriche). E’ usata per: • Ricerca di lesioni angiodisplastiche causa di sanguinamento • Studio dell’ischemia acuta occlusiva del colon • Precisazione della mappa vascolare preoperatoria

Studio del transito Importante per lo studio di alcune patologie funzionali è la valutazione del transito attraverso l’ingestione e il monitoraggio di indicatori radiopachi (in genere dischetti di polietilene di 2X7 mm). Si somministrano la

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sera prima con il pasto (circa 30) e si osservano il mattino successivo e poi dopo 6 ore, dopo altre 12 ore, e in seguito ogni 12-24 ore fino all’espulsione completa.

PATOLOGIA DEL CRASSO

Ostruzioni congenite Sono condizioni molto rare e di relativa importanza; si diagnosticano agevolmente con il clisma opaco; le duplicazioni del colon sono importanti da individuare per le frequenza con cui quelle di destra si complicano con invaginazione. L’ano imperforato, causa comune di ostruzione colica in età neonatale, si osserva bene con l’esame RX diretto con paziente a testa in giù (l’ostruzione è al punto di arresto della risalita di gas colico). Importante le ricerca di fistole retto-vaginali e retto-vescicali.

Malattia di Hirschprung Assenza congenita di cellule gangliari del plesso mioenterico con assenza di peristalsi in un segmento più o meno esteso, e si può avere una serie di gravi complicazioni (ileo, ischemia, perforazione). La sintomatologia evolve dalla semplice costipazione fino alla morte per inanizione o infezione. L’esame diretto mostra le anse dilatate con aria e feci poco formate a monte dell’ostruzione: il retto è sempre vuoto. Il clisma opaco istantaneo dimostra la zona di transizione fra il segmento aperistaltico, non dilatato, e quello normale, dilatato e iperperistaltico. I radiogrammi di controllo a 24 e 48 ore dimostrano la progressione pressoché nulla del mezzo di contrasto.

Ostruzioni acquisite In genere legate ad una stenosi tumorale o infiammatoria, o da un volvolo. Ma anche ernie incarcerate, fecalomi, compressioni da masse estrinseche possono ostruire il transito. Il colon a monte è dilatato e presenta numerosi livelli idroaerei; se la valvola è incontinente si distende anche il tenue. Il clisma opaco dimostra l’ostruzione e la sua localizzazione, ma può essere pericoloso eseguirlo per via della possibilità, non infrequente, di rottura del colon ciecale (dove il diametro è maggiore e quindi, per la legge di La Place, la tensione parietale può aumentare notevolmente: il limite di rottura è attorno ai 12 cm di diametro). Un altro evento frequente è il megacolon tossico, una alterazione legata a complicanze della RCU nella quale si ha la distruzione delle cellule gangliari e quindi la paralisi del colon-retto, con dilatazione a monte.

Colon catartico Situazione di stipsi ostinata e peristalsi cronicamente ipovalida che consegue ad un utilizzo indiscriminato ed eccessivo dei lassativi. Con il clisma a DC si possono evidenziare una riduzione numerica delle austra e delle pliche semicircolari, più precoce e intensa nella metà destra del colon.

Patologia infiammatoria del colon

Sindrome del colon irritabile Detta anche sindrome dell’intestino irritabile, è una delle patologie dell’alvo più frequente. La malattia pur avendo del tutto benigna, può essere estremamente fastidiosa per il paziente. Non riconosce in genere una causa organica, biochimica od infettiva, ma è praticamente una alterazione funzionale. Principalmente, si osservano disturbi alternati dell’alvo, diarrea e stipsi, e una bassa soglia di stimolazione intestinale. Tipicamente, in questi soggetti, basta un catetere da 50cc con aria insufflata nell’intestino, mentre normalmente ce ne vogliono 200-250. Si pensa che la noxa patogena sia una alterazione della sensibilità intestinale e del resto dell’apparato gastroenterico; sebbene lo stress in molti individui possa determinare una riacutizzazione della malattia, non c’è alcuna prova che sia la causa di essa. Esiste poi, in altri gruppi di pazienti, l’evidenza di disturbi della motilità del colon La diagnosi della malattia è prevalentemente clinica ma, in quelle circostanze (non rare) in cui è necessario fare diagnosi di esclusione, diventa importante la valutazione strumentale per escludere altre cause di patologia. Alcuni rilievi radiologici inoltre sono indicativi di colon irritabile:

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• Iperaustratura e ipersegmentazione del colon (variante stipsi dolorosa) • Scomparsa totale delle segmentazioni coliche e delle pliche (variante diarrea dolorosa) • Comparsa di pliche spirali sulla superficie (variante stipsi e diarrea alternate)

Malattia diverticolare Un diverticolo è una protrusione della parete intestinale che forma una canale a fondo cieco, lungo da pochi mm a diversi cm, il diverticolo appunto. Si distinguono due forme di diverticoli, quelli veri, in cui la protrusione è di tutta la parete, e quelli falsi, in cui la protrusione è della sola mucosa che crea un canale a fondo cieco nello spessore della parete intestinale. La diverticolosi è un processo di senescenza, legato alla debolezza progressiva della parete intestinale, ma può anche essere congenita, ad esempio per la pervietà del dotto vitellino, oppure essere legato all’aumento cronico della pressione endoluminale, ad esempio a monte di una stenosi. I diverticoli del colon sono in genere erniazioni della parete nei punti in cui essa è attraversata da un vaso, che interrompe la continuità della parete muscolare. La loro incidenza aumenta dopo i 50 anni, raggiungendo il 20-30% della popolazione. La patogenesi è legata a questo meccanismo: la muscolatura australe con il tempo e nei soggetti predisposti si ispessisce, provocando delle stenosi segmentali che aumentano la pressione a monte. Nei soggetti anziani, questo si assomma alla debolezza della parete. La genesi del diverticolo è legata a fattori come:

• Età • Predisposizione individuale • Dieta povera di fibre e scorie • Sedentarietà

La malattia diverticolare in genere si complica con la diverticolite, ossia l’infiammazione del diverticolo. In ognuna delle fasi del processo patologico si hanno reperti radiologici diversi, in quanto lo studio di questa malattia nel suo divenire si fa elettivamente con il clisma opaco a doppio contrasto. � Prediverticolosi Ipertrofia muscolare della parete (da “iperlavoro”) che è visibile come un aspetto frastagliato (a dente di sega) del margine del colon. Nel lume possono essere evidenti delle formazioni simili a pliche, provocate dalla muscolatura ipertrofica → Diverticolosi Le formazioni diverticolari sporgono caratteristicamente oltre i margini del colon se viste di profilo. Di faccia hanno l’aspetto di anelli a margini netti all’interno, sfumati all’esterno. Di solito il colletto è ortogonale all’asse colico, ma il sacco si piega e diventa ad esso parallelo; hanno spesso dimensioni inferiori al cm, anche se nel sigma se ne possono trovare di giganti fino a 25 cm di lunghezza, e sono ben differenziati dai polipi. Nel loro contesto possono esserci difetti di riempimento dovute a residui fecali. → Prediverticolite e diverticolite La sacca diverticolare è fragile, e si possono formare microperforazioni che inducono infiammazione e flogosi localizzata attorno al diverticolo. Nei casi evolutivi la reazioni infiammatoria può essere diffusa, con formazione di edema e infine di ascessi pericolici, che possono evolvere in fistole (vaginali, vescicali e coliche). Queste alterazioni infiammatorie possono interessare la parete così tanto da rendere ragione di problemi di diagnosi differenziale con le IBD e con il carcinoma.

Rettocolite ulcerosa È una malattia infiammatoria cronica che colpisce la mucosa del colon. L’incidenza è di 35-100 su 100000 ed è ultimamente in aumento. Sono colpite prevalentemente donne. La prevalenza è maggiore nei non fumatori al contrario del morbo di Crohn. I tassi maggiori di incidenza si osservano tra i 30 ed i 60 anni.

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Nella colite ulcerosa c’è una infiammazione della sola mucosa del colon, che si presenta iperemica, sanguinante e cosparsa di ulcere. Questo interessamento della mucosa è caratteristico perché è uniforme e continuo, cioè non ci sono aree di mucosa sana intervallate ad aree malate, e nel 95% dei casi l’interessamento è del colon-retto, in ogni caso mai esteso al resto dell’apparato digerente come invece capita nel Crohn. Un altro aspetto caratteristico è la formazione di infiltrati di neutrofili nelle ghiandole criptiche dell’intestino, che può portare alla formazione di ascessi in loco (ascessi criptici) e alla distruzione della ghiandole stesse. A differenza del Crohn, gli strati più profondi della parete del colon non sono di solito interessati, e questo rende ragione del diverso rischio fra le due malattie di perforazione intestinale. Si ha la presenza di ulcerazioni multiple della mucosa, più spesso superficiali, a volte confluenti. La mucosa coinvolta si presenta intensamente iperemica e facilmente sanguinante. Le zone di mucosa non erosa o in rigenerazione tendono a sostituire la mucosa erosa creando i cosiddetti pseudopolipi di natura infiammatoria che non sono di per sé a rischio di trasformazione maligna, ma possono rappresentare una lesione precancerogena, potendo insorgere un cancro nella regione circostante. In effetti quando la malattia dura da molto tempo non è infrequente l’individuazione di una displasia. L’enteroclisma a DC è il mezzo diagnostico di elezione; esso permette di individuare la colite, localizzare la regione di avanzamento, lo stadio evolutivo, differenziare la colite ulcerosa dal Crohn quando non è possibile farlo su base endoscopica. L’aspetto radiologico distingue la malattia in diversi stadi: • Stadio pre-erosivo: aspetto finemente granulare “a vetro smerigliato” dell’ampolla rettale e del sigma;

questa diminuzione della trasparenza diffusa è meno intensa di quella provocata da una infiammazione. • Stadio erosivo: compaiono punteggiature baritate multiple, e superficiali • Stadio ulcerativo: l’ulcera è una chiazza baritata rotondeggiante in fronte, un surplus di riempimento se

vista di profilo. Nella sottomucosa la lesione si espande con facilità e assume l’aspetto di un bottone di camicia.

• Stadio di riparazione: possono essere visti gli pseudopolipi, di aspetto in genere rotondeggiante ma anche multipli e bizzarri.

• Stadio di cronicizzazione: la mucosa assume aspetto trofico, con intestino crasso diffusamente ridotto di calibro ma in particolare al retto-sigma, privo delle pliche semicircolari e delle austra; possono anche ridursi o scomparire i flessi colici normali.

Anche l’esame diretto addome può, nella fase acuta già nota, identificare il fronte di avanzamento della malattia sulla base del fatto che dove c’è colite non ci sono feci; inoltre il crasso infiammato contiene più aria del normale, (quantitativo che aumenta bruscamente con il passaggio al megacolon tossico, diagnosi di certezza quando il colon trasverso aumenta il diametro fino a 7 cm). L’RX diretto può essere ripetuto anche ogni 12 ore per monitorare la progressione a colon tossico, a differenza del clisma. TC, RM ed ecografia possono essere utili a diagnosi avvenuta per la ricerca di carcinomi che nella rettocolite ulcerosa hanno una incidenza di sei volte quella della popolazione generale.

Morbo di Crohn La malattia di Crohn, a differenza della colite ulcerosa, è caratterizzata dalla presenza di una infiammazione a tutto spessore con interessamento del mesentere e dei linfonodi locoregionali. Può colpire sia il colon che l’ultimo segmento dell’ileo, con quadri molto variegati, anche perché pur essendo solitamente una malattia monofocale, questa non è la regola. Spesso le lesioni si possono infatti presentare al di fuori del colon stesso, e la malattia può colpire dalla bocca all’ano. Con il progredire della malattia, la parte colpita (più spesso i vari tratti colpiti) presentano un ispessimento e una fibrosi che può interessare anche il mesentere, e si accompagna a vari gradi di ostruzione intestinale. Il mesentere, ispessito ed edematoso, si estende fino alla sierosa con caratteristiche digitazioni. In netto contrasto con la RCU, l’aspetto della mucosa può facilmente essere normale; quando ci sono alterazioni, però, esse sono caratteristiche, e la mucosa assume l’aspetto così detto ad acciottolato, per via dell’edema sottomucoso e la presenza di ulcere lineari, disposte lungo l’asse maggiore dell’intestino, e confluenti, anche nella sottomucosa. Queste ulcere scavano una fitta rete di canali che provocano

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frequentemente delle fistole fra l’intestino e i visceri vicini (la perforazione, invece, a causa dell’ispessimento mucoso, è una evenienza rara). Nelle fasi iniziali compaiono piccoli granulomi simil sarcoidosici non caseificanti nelle sottomucosa e nella lamina propria che sono presenti solo nel 40-50% dei casi ma specifici, è presente infiltrazione di monociti e macrofagi a livello dei linfonodi regionali, nelle placche del Pejer, nella sierosa e nel mesentere adiacente. Nelle fasi più avanzate di malattia gli infiltrati aumentano e compaiono ulcerazioni profonde e fibrosi. Le ulcere sono aftoidi o stellate o longitudinali o a bottone di camicia. Si ha presenza di pseudopolipi giganti che si differenziano da quelli della colite ulcerosa che sono più localizzati e più vicini. Spesso l’interessamento della mucosa avviene in modo discontinuo, a differenza della RCU; inoltre, il fatto che il processo interessi la parete a tutto spessore provoca la presenza di noduli infiammatori che coinvolgono anche la sierosa e il mesentere. Come conseguenza della infiammazione sierosa, le anse intestinali tendono ad aderire fra loro, formando a volte una massa palpabile in fossa iliaca di destra. Microscopicamente, il tipo di infiammazione è granulomatosa. Quando sono presenti, i granulomi sono un elemento caratteristico del Crohn, utile nella diagnosi differenziale soprattutto della RCU. Nel 30% colpisce la parte terminale dell’ileo, nel 30% il solo colon, nel 40% si ha una localizzazione ileocolica. In alcuni casi molto meno frequenti, l’interessamento è soltanto del tenue, e altre volte non è possibile fare una diagnosi differenziale con la RCU. Anche qui il ruolo del clisma a DC è importante, e rende possibile una certa gradazione evolutiva delle lesioni della malattia. Nelle fasi iniziali si ha una ipertrofia dei follicoli linfatici interessati dall’infiammazione, che compaiono al clisma come un difetto di riempimento nodulare della parete, a margini sfumati (edema). Le ulcere aftoidi sono visibili come piccole chiazze di mezzo di contrasto circondate da un alone radiotrasparente di edema. Nelle fasi conclamate della malattia sono visibili ulcere profonde, continue, polimorfe, con aspetto caratteristico lineare e serpiginoso, che duplica il contorno dell’ansa. Queste ulcere si intersecano nella mucosa dando il caratteristico aspetto ad acciottolato; le aree di mucosa normale, protrudendo fra le ulcere incavate, danno l’impressione di essere sollevate e formano quindi degli pseudopolipi. La parete intestinale si ispessisce notevolmente, e si ha l’aumento della distanza fra le anse colpite e quelle sane; tratti colpiti e tratti sani si alternano nelle fasi avanzate della malattia con così dette lesioni a salto o “skip lesions”. L’insorgenza di carcinomi del crasso è circa 20 volte maggiore nella malattia di Crohn che nel resto della popolazione, da cui il ruolo di TC e RM nello staging e nell’individuazione precoce.

Colite ulcerosa Morbo di Crohn

Aspetti anatomo-patologici

Interessamento segmentario 0 (ulcere continue e piccole)

++ (ulcere a tratti non continui, grandi e

scavate) Interessamento transmurale +/- ++ Interessamento della mucosa a 360° non completo Granulomi 0 +/++ Fibrosi + ++ Fissurazioni e fistole +/- ++ Interessamento del grasso mesenterico e dei linfonodi 0 ++

manifestazioni cliniche

Diarrea ++ ++ Proctorragia ++ +

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Dolore addominale + ++ Massa palpabile 0 ++ Fistole +/- ++ Granulomi - ++ Stenosi + ++ Interessamento del tenue +/- (ileite da reflusso) ++ (ileite terminale) Interessamento rettale 95% 50% Megacolon tossico + +/- Recidiva dopo colectomia - + Neoplasia nelle forme di lunga durata + +/- Complicanze extracoliche + +

Colite ischemica Condizione di infiammazione ischemica del colon che però non dipende da una occlusione (si chiama in quel caso ischemia occlusiva), o da altre alterazioni dei vasi. La sua eziologia è discussa, e si manifesta con vivo dolore in fossa iliaca di sinistra, improvviso, diarrea ematica. Esordio brusco ma di regola remissione spontanea e duratura dei sintomi. Su base clinica o radiologica è molto difficile distinguerla dalla RCU o dal Crohn o dalla colite spastica. All’esame diretto addome si presenta un aumento del contenuto gassoso dell’intestino, fino al megacolon tossico nei casi gravi. Il clisma opaco o a DC (controindicato nei casi molto gravi) individua le conseguenze dell’essudazione e del sanguinamento, con vistosi difetti di riempimento a “impronta di pollice” dovuti al sollevamento della mucosa da parte di raccolte ematiche sottostanti. Il lume del colon è diffusamente ristretto e irregolare (differenza con le stenosi neoplastiche). L’ecografia mostra le raccolte ematiche sottoforma di ispessimenti parietali, esaminando il flusso dei grossi vasi con il doppler. La TC dimostra l’ispessimento parietale, l’emorragia, la presenza di gas nella parete colica.

MALATTIA POLIPOSICA DEL COLON

Polipi il polipo per definizione è una massa che protrude nel lume.

Può essere: Peduncolato (asse fibrovascolare) Sessile (larga base d’impianto)

I polipi iperplastici sono alterazioni benigne con scarsa o nulla tendenza alla trasformazione in cancro del colon, al contrario dei polipi adenomatosi. La distribuzione dei polipi nell’intestino segue una probabilità che è inversamente proporzionale alla distanza dall’ano. Comunque, non si deve mai escludere la possibilità di avere un polipo nel cieco, e si deve sempre eseguire una colonscopia totale. Circa il 30% della popolazione sviluppa una poliposi adenomatosa del colon, ma di questi solo 1 su 100 si trasformano in carcinoma. Ciò nonostante, i polipi sono la causa più frequente di insorgenza di un carcinoma del colon. La tendenza alla trasformazione maligna è collegata a: • Diametro del polipo • % di componente villosa (villoso > tubolare)

Polipi

veri

Falsi (non neoplastici)

Adenomi (90%)

Polipi iperplastici (10%)

Amartomi

Polipi infiammatori

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• Morfologia (sessile > peduncolato) Il processo che conduce dalla poliposi del colon alla trasformazione a carcinoma è ben noto, ed è schematizzabile nelle seguenti tappe: • Mutazione puntiforme del protoncogene K-ras • Ipometilazione del DNA, con attivazione genica anomala • Perdita di DNA (perdita allelica di un oncosoppressore come APC, DCC, p-53) • Iperplasia • Displasia • Polipi che contengono nello spessore cellule carcinomatose (carcinoma in situ) Chi ha un polipo adenomatoso ha la possibilità del 30-50% di averne un altro, e deve essere accuratamente sorvegliato. La colonscopia di sorveglianza non ha senso se ripetuta prima di 3 anni, a causa del lento ritmo di crescita degli adenomi. I polipi neoplastici si trovano nel 10-15% dei soggetti oltre i 40 anni, in ordine crescente di frequenza partendo dal retto verso il cieco (il 70% circa sono nel colon sinistro); nel 25% dei casi sono multipli. La diagnosi più sensibile per l’individuazione del polipo è la colonscopia, che ne permette la visualizzazione del 97-98%. Percentuali del 90-95% si raggiungono anche con il clisma a DC (quello opaco solo il 55%). I polipi sessili appaiono come un anello con contorno opaco, sfumato sul versante esterno e netto su quello interno (al contrario dei diverticoli) se presi di fronte. Il contorno è generato dal bario che per capillarità entra fra la mucosa e la base del polipo. Di “tre quarti” assume un aspetto a bombetta inglese, mentre di profilo è visibile come una masserella a calotta sferica con la base perfettamente allineata alla parete colica (la retrazione della base è un segno di malignità). Il polipo peduncolato appare di fronte come un immagine a doppio cerchio (la testa e la base), di ¾ o di profilo come un peduncolo in rapporto con una masserella a calotta (la testa). Gli adenomi tubulari sono per lo più sessili, e si fermano in genere a questa fase di sviluppo. Quelli villosi anche sono spesso sessili, ma di dimensioni maggiori, e con una componente aggettante “spugnosa” per la penetrazione del bario fra le frondosità della superficie. Gli adenomi tubulo-villosi sono invece simili ai tubulari, dai quali non sono differenziabili radiologicamente. In ogni caso la diagnosi di malignità e benignità è sempre istologica, e i polipi vanno comunque asportati; alcuni segni radiologici di degenerazione maligna, comunque, sono: • Sviluppo in superficie e non in spessore (polipo piatto) • Dimensioni cospicue (non maligno < 5mm, 35% di malignità sopra a 2 cm) • Irregolarità della superficie • Retrazione della base • Peduncolo corto, tozzo e poco mobile.

Poliposi Polipi giovanili. Malformazioni amartomatose focale della mucosa del retto principalmente. Spesso si presentano nei bambini al di sotto dei 5 anni, quasi sempre come lesioni sporadiche, raramente nel contesto di una rara sindrome familiare. Grandi, diametro 2-3 cm, con una superficie liscia, o lievemente lobulata, e un peduncolo che può raggiungere i 2 cm. Il tessuto appare composto da ghiandole meno bene organizzate di quelle dei polipi iperplastici, con spazi cistici. Nelle forme normali non hanno nessun potenziale maligno, mentre nelle forme rare associate alla malattia familiare si può riscontrare una possibilità di progressione ad adenoma, e quindi adenocarcinoma Polipi della sindrome di Peutz-Jeghers. Questa impronunciabile malattia si associa alla presenza di polipi insorgenti in forma singola o multipla in tutto il gastroenterico, a iperpigmentazione cutanea e mucosa (viso, palmo delle mani, labbra, genitali). Si trasmette in forma autosomica dominante.

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I polipi sono grandi, peduncolati, a superficie lobulata. Essi hanno un asse portante formato da connettivo e muscolo liscio, che circonda un notevole numero di ghiandole rivestite da epitelio e cellule mucose. Questi polipi non hanno potenzialità maligna, ma la sindrome è associata ad aumento del rischio di cancro del pancreas, mammella, polmoni e ovaie. Poliposi adenomatosa familiare (PAF): presenza di innumerevoli polipi adenomatosi, che nel complesso danno un rischio di sviluppare il carcinoma quasi del 100%. La poliposi del colon è una condizione ereditaria rara caratterizzata dall’insorgenza di migliaia di polipi in tutto l’intestino crasso. La mutazione si trasmette come carattere autosomico dominante, ed è caratterizzata da una delezione del braccio lungo del cromosoma 5, con perdita degli oncosoppressori implicati nella trasformazione maligna dei polipi adenomatosi. I pazienti affetti cominciano a sviluppare polipi entro il 25° anno di età, e se non trattati praticamente tutti hanno un carcinoma del colon. Si devono sviluppare almeno 100 polipi perché si possa diagnosticare questa malattia. Una volta identificati questi pazienti devono essere trattati con colectomia totale. I figli di soggetti malati devono essere controllati fino al trentacinquesimo anno di vita, e per farlo basta la sigmoscopia in quanto i polipi si distribuiscono uniformemente in tutto il crasso. Sindrome di Gardner: variante autosomica della PAF con in più aumento dell’incidenza di osteomi multipli, cisti epidermoidali e fibromatosi. Aumenta anche il rischio di K della tiroide e del duodeno. Sindrome di Turcot: sindrome molto rara, variante della PAF, a cui aggiunge l’incidenza di tumori del SNC, soprattutto gliomi.

CARCINOMA DEL COLON RETTO

Epidemiologia Circa il 98% delle neoplasie dell’intestino crasso sono adenocarcinomi. Di questi, molti insorgono su un precedente adenoma, come discuteremo ampiamente nell’eziologia. Incidenza di 300-400 casi /105 . Tale valore cresce con l’avanzare dell’età, raggiungendo un picco di incidenza attorno a 75-84 anni. I maschi, andando avanti con l’età, assumono un rischio moderatamente maggiore. Circa il 15% dei casi di carcinoma del colon viene però diagnosticato in giovane età, e in questi soggetti si ha spesso una colite ulcerosa o una sindrome poliposica ereditaria (vedi sopra). Geograficamente l’incidenza è alta in USA e in Europa orientale, mentre è 10 volte più bassa in Messico, Sud America e Africa (differenze di alimentazione). In Italia vi sono circa 10.000 casi per anno.

Eziologia Ci sono implicati diversi fattori. Infatti il K del colon-retto insorge o per motivi dietetici-ambientali, oppure per ragioni legate alla presenza di alterazioni genetiche (come nella HNPCC o nelle poliposi ereditarie). Vediamo uno per uno questi fattori:

Progressione adenoma-carcinoma Lo sviluppo di un K da un adenoma, definito progressione A-K, è documentato da diverse osservazioni:

o Incidenza sovrapponibile fra A e K o Distribuzione simile nell’intestino o Picco di incidenza per età di A precede di alcuni anni quello di K o Il K precoce spesso è circondato da tessuto adenomatoso o Stretta correlazione fra aumento degli adenomi (sindromi poliposiche familari) e K

Questo meccanismo è responsabile di diversi carcinomi, ma non di tutti.

Alterazioni genetiche Alterazioni genetiche specifiche implicate sia nella genesi delle sindromi poliposiche familiari che ne processo che conduce dalla poliposi del colon alla trasformazione a carcinoma. Questo meccanismo è ben noto, ed è schematizzabile nelle seguenti tappe: • Perdita di geni implicati nella riparazione del DNA (APC, MSH2). Questa perdita è congenita nelle

sindromi familiari, ma può avvenire in maniera acquisita ed essere alla base della trasformazione di un polipo non familiare in un carcinoma

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• Mutazione puntiforme del protoncogene K-ras (può avvenire o no, e se avviene aumenta la rapidità del processo)

• Perdita di gruppi metili nel DNA, provocata dal deficit di meccanisimi riparatori (ipometilazione del DNA), con attivazione genica anomala

• Perdita di DNA (perdita allelica di un oncosoppressore come APC, DCC, p-53) • Iperplasia • Displasia • Polipi che contengono nello spessore cellule carcinomatose (carcinoma in situ)

Alterazioni specifiche della Sindrome di Gardner e della PAF: in entrambe le malattie c’è una mutazione di un gene localizzato sul cromosoma 5q21. La proteina codificata è la APC, implicata nella migrazione delle cellule e nell’adesione. Essa inoltre lega la β-caderina, una proteina con attività oncogenica (che attiva molti fattori di crescita) e forma un complesso intracellulare inattivo con essa, destinato alla degradazione.. La mutazione del gene APC diminuisce questa attività e aumenta la trascrizione di fattori di crescita. Inoltre l’APC, implicata anche nella adesione cellulare, non trattiene le cellule attaccate l’una all’altra e facilita la diffusione metastatica.

Carcinoma non poliposico del colon (HNPCC) Detta anche malattia di Lynch, è una condizione ereditaria autosomico-recessiva, caratterizzata da un’aumentata incidenza all’interno del gruppo familiare del cancro del colon. A differenza della poliposi, la frequenza di insorgenza del carcinoma è massima nella porzione prossimale del colon, e l’età di insorgenza è più bassa che nella popolazione generale. Spesso i pazienti hanno in associazione altre condizioni di neoplasie associate. Si associa alla mutazione, trasmessa ereditariamente, di uno dei quattro geni implicati nella riparazione del DNA coinvolti nella malattia (MSH 1 e 2 e PMS 1 e 2).

Fattori ambientali Malattia infiammatoria intestinale: come altrove messo in evidenza, esiste una stretta associazione, che si rafforza con il tempo, fra la RCU e l’insorgenza di una neoplasia del colon-retto. Dieta: Nella maggior parte dei casi è il fattore ambientale che aumenta il rischio di incidenza di questa malattia, tanto che il max di incidenza si ha nei Paesi occidentali e nelle aree urbane. Così come accade per le patologie cardiovascolari, esiste una relazione diretta fra il cancro del colon e numero di calorie, grassi animali, proteine nella carne e oli. I fattori genetici non sono in questo caso influenti, dato che i gruppi migranti acquistano il rischio delle popolazioni ospiti. La dieta occidentale contiene più grassi animali, che probabilmente determinano un aumento della flora batterica intestinale anaerobica, che converte i sali biliari in cancerogeni, e inoltre è povera di fibre, con conseguente rallentamento del transito intestinale, ristagno di cibo e accumulo di cancerogeni nella mucosa. Soprattutto l’elevata introduzione di grassi animali sembra il principale fattore non ereditario, associato alla scarsa introduzione di vitamine antiossidanti come A,C,E Altre condizioni ad alto rischio sono: • Streptococcus Bovis, per ragioni non note, si associa ad un aumento dell’incidenza del tumore quando

sostiene una batteriemia o una sepsi intestinale • Fumo di sigaretta

Anatomia patologica 38% localizzato nel cieco e nel colon ascendente, 8% nel colon discendente, 18% nel trasverso e 1% in sede multipla. 99% singoli, quelli multipli spesso nelle sindromi familiari. Benché tutti possano insorgere da masse polipoidi adenomatose, essi assumono due aspetti morfologici diversi a seconda che siano presenti a destra o a sinistra (colon prossimale o distale): • A destra insorgono in modo polipoide, e si estendono lungo la parete per lungo. Rarissima l’ostruzione

(anche per la liquidità del materiale fecale), comune la torsione e il sanguinamento • A sinistra crescono in modo circolare, ad anello di tovagliolo, restringendo il lume e provocando stenosi

molto frequentemente.

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Con il passare degli anni, però, queste 2 forme infiltrano in profondità la parete e si vedono dalla sierosa come masse solide e bianche, che causano spesso corrugamento della superficie esterna. A differenza degli aspetti macroscopici, le caratteristiche micro sono molto simili: variano da cellule cilindriche alte (che differiscono da quelle degli adenomi perché invadono sottomucosa e muscolare) fino a cellule indefferenziate, che formano masse francamente anaplastiche. Producono spesso mucina, che viene secreta nel lume e favorisce la diffusione di cellule neoplastiche, e provocano una reazione desmoplastica responsabile della loro tipica consistenza dura. Alcuni aspetti particolari: • Differenziazione neuroendocrina (10%) : producono un carcinoma indifferenziato a piccole cellule e

possono elaborare una varietà di prodotti biologicamente attivi. • Differenziazione di alcuni focolai in senso squamoso → carcinoma adeno-squamoso, più comune

nell’intestino distale. • Neoplasie a cellule con castone • Neoplasie anorettali: sono praticamente una cosa a se, e sono quasi sempre K a cellule squamose.

Clinica

Colon SX Colon DX Sanguinamento rosso vivo assente (sangue occulto) Variazioni dell’alvo +++ (falsa diarrea o stipsi) ------ Ostruzione + +/- Anemizzazione +/- ++ Una variazione dell’alvo improvvisa in un paziente di mezza età deve indicare un allarme per un possibile carcinoma. Le variazioni dell’alvo non si manifestano molto se il tumore è localizzato a destra, perché le feci sono liquide quando arrivano dall’ileo, e quindi non vengono ostacolate dalla presenza del carcinoma. A sinistra si osservano anche crampi addominali, occasionale ostruzione e persino perforazione. Invece a destra c’è più spesso sanguinamento, che può essere anche così intenso da dare anemia acuta, tachicardia e palpitazioni, perché le lesioni carcinomatose spesso si ulcerano. I carcinomi del retto, che spesso si associano a ematochezia o proctorragia, danno regolarmente tenesmo, e basta l’esplorazione rettale per differenziarle da un carcinoma del colon.

Staging Nei pazienti con il cancro del colon la prognosi dipende dal grado di penetrazione della parete e dall’interessamento linfonodale, e dalla presenza di metastasi a distanza. E’ stata quindi costituita la stadiazione di DUKES, equiparata al TNM, come riportato di seguito.

Dukes4 TNM Numerica Descrizione Sopravvivenza a 5 anni

TisN0M0 0 Neoplasia in istu 99% A T1N0M0 1A Neoplasia limitata alla mucosa >81-85 B1 T2N0M0 1B Neoplasia estesa alla sottomucosa 64-78 B2 T3N0M0 2A Estesa attraverso la parete

T4N0M0 2B Estesa alla sierosa C TxN1-3M0 3 Interessamento dei linfonodi regionali 27-33 D TxNxM1 4 Metastasi a distanza 5-14

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La maggior parte delle recidive si hanno dopo 4 anni, e la sopravvivenza a 5 anni diventa un indicatore di guarigione abbastanza attendibile. N1: metastasi ad 1-3 linfonodi regionali N2: metastasi a 4 o più linfonodi regionali N3: metastasi diffuse lungo i vasi I linfonodi interessati sono quelli attorno al retto, emorroidari e i linfonodi iliaci interni ed esterni.

Diffusione • Estensione diretta (vescica, prostata, utero, ureteri) • Linfatica • Ematogena • Transperitoneale • Intraoperatoria Sede di frequenti recidive sono le aree di tessuto fibroso e adiposo nella parte inferiore del retto, detto anche “mesoretto”.

Diagnosi radiologica E’ essenziale una diagnosi precoce, nel cui contesto sono fondamentali i programmi di screening di popolazione. Per questo nei soggetti normali a partire da 50 anni, e nei soggetti con predisposizione familiare a partire dai 40, si esegue: • Esplorazione digitale rettale e ricerca del sangue occulto nelle feci (annuale) • Clisma opaco a DC o pancolonscopia, alternativamente ogni 3 anni (soggetti predisposti) o ogni 5 anni

(soggetti non predisposti) All’esame radiologico si possono evidenziare quattro tipi di tumori: • Piatto: variante più aggressiva, che si vede male se non è preso di profilo dal fascio di radiazioni.

Progressivamente infiltra tutta la parete adagiandovisi con un aspetto caratteristico come una sella sul dorso di un cavallo. Spesso coesiste ulcerazione, e tende a trasformarsi nella variante anulare

• Anulare: infiltra tutta la parete molto in fretta e tende a restringere il lume in maniera marcata; il passaggio tra la zona sana e quella interessata forma un caratteristico scalino. Raramente si ulcera ed evolve verso l’ostruzione; è tipico della metà sinistra del colon.

• Carcinoma polipoide: forma più benigna ma più rara. Ha l’aspetto sessile con superficie irregolare, ed è localizzato soprattutto a destra, dove induce sanguinamento capriccioso.

• Forma scirrosa: simile alla linite plastica dello stomaco, dove induce estese stenosi di lunghi tratti del colon, con virulenza elevata. Interessa soprattutto la sottomucosa, dove si forma la reazione desmoplastica, e quindi il passaggio fra zona sana e zona interessata si coglie male.

Ruolo dell’imaging tomografico nel tumore primario e nelle recidive locali Le tecniche a disposizione sono: • TC • RM • Ecografia transrettale • Tomografia ad emissione di positroni (PET) • Fluorescenza con AB monoclonali • • Mancano gli studi per capire quali di queste sia migliore. • I dati prognostici per la sopravvivenza a 5 anni si basano principalmente sulla presenza di interessamento

linfonodale e sulla fissazione maligna del tumore attraverso l’invasione della parete. • • → Tecniche di imaging e stadiazione preoperatoria • TC: assieme all’ecografia transrettale ottiene una buona valutazione. Il suo limite però è la difficoltà di

individuare interessamenti linfonodali precocemente, e quindi la sua sensibilità complessiva oscilla dal 41 al 64%, con una specificità però elevata; l’accuratezza della TC è tuttavia aumentata di molto con l’uso di tecniche partciolari, del contrasto con aria, della collocazione del paziente in posizione prona.

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• RM: attualmente sembra avere gli stessi limiti della TC, alla quale è paragonabile. Ottiene però risultati speciali per quanto riguarda l’invasione diretta dei tessuti ossei e muscolari. L’estensione nella parete intestinale e l’interessamento dei linfonodi sono però punti deboli.

• Ecografia: la procedura transrettale ha il vantaggio di distinguere gli strati normali della parete intestinale e visualizzare la distruzione di essi da parte del tumore. La sensibilità di questa tecnica nel valutare l’infiltrazione è del 50-57% (contro il 25-30% della TC). Il suo limite è la grande dipendenza dall’operatore, che può far oscillare di molto la sensibilità della metodica.

• • Conclusione: la TC non dovrebbe essere utilizzata per la valutazione dei tumori primari, ma soltanto in

quei casi di sospetto di neoplasia diffusa. Può invece essere usata per guidare un agoaspirato delle localizzazioni sospette. L’ecografia è utile per identificare i linfonodi regionali, ma non può predirne l’istologia, e quindi è comunque necessaria una biopsia.

• • → Tecniche di imaging e recidive locali • Sia la TC che la RM sono ampiamente impiegate, in quanto entrambe sono in grado di rilevare recidive

nel momento in cui il CEA è ancora basso e la sintomatologia assente. • Pure, per il loro elevato costo, si cerca di trovare una metodica di screening (come la colonscopia) che

possa avere una sensibilità paragonabile tenendo conto del fatto che lo staging preoperatorio e il tipo di intervento effettuato possono essere correlati con la probabilità di recidiva.

• TC: sensibilità dal 69 all’88%; la maggior parte degli errori derivano dalla difficoltà di individuare recidive nel grasso pericolico o perirettale e di valutare l’interessamento dei linfonodi. Falsi negativi possono essere legati alla possibilità che nel postoperatorio si formi una massa di tessuto di granulazione facilmente scambiato per una recidiva locale, che può essere normale fino a 24 mesi dopo l’intervento. Di solito la massa viene identificata a 2-4 mesi dall’intervento: in assenza di elevazione del CEA e di sintomi, si attende e si osserva una diminuzione successiva delle dimensioni della massa. Può essere opportuna una biopsia.

• RM: può distinguere la fibrosi (basso segnale T1 e 2) dalla recidiva (alto segnale in T2). Tuttavia questi studi sono ancora incerti, soprattutto perché la presenza di liquidi nel tessuto di granulazione e la necrosi prodotta dall’irradiazione possono rendere il tessuto fibroso molto simile alla recidiva. Inoltre sembra che la sensibilità della RM in questa discriminazione sia influenzata dalla sede del tumore. Sebbene però non sia efficace nel dimostrarne la natura, la RM riesce a descrivere efficacemente la localizzazione e i limiti delle masse.

• • La recidiva locale è il tipo più comune di patologia che si verifica dopo l’intervento per tumore del retto

o del colon. Poiché la recidiva può essere efficacemente trattata se diagnosticata precocemente, è importante continuare il controllo dopo la rimozione del tumore originario.

• In questo l’utilità della semeiotica clinica e del dosaggio del CEA è scarsa. La TC è importante, anche se la sua capacità di discriminare la fibrosi dalla recidiva è nulla, e deve essere affiancata dalla RM che è migliore. Inoltre la RM è importante per differenziare altre masse pelviche o tumori di natura istologica diversa dalle recidive di carcinoma rettale.

• • Studi recenti hanno comunque dimostrato la difficoltà di rapportare la differenza di intensità di segnale in

T2 nel predire la malignità o benignità della lesione: si può affermare con certezza che bassa intensità indica una notevole componente fibrosa, alta intensità una ipercellularità (benigna o maligna) o edema.

• Inoltre la presenza di tessuto fibroso può essere una risposta dell’organismo all’intervento e al trattamento così come una recidiva o addirittura un tumore di natura diversa, data l’elevata frequenza con cui alla neoplasia fa seguito una reazione desmoplastica.

• Si ribadisce quindi che le tecniche di imaging possono essere molto utili nel definire l’estensione della massa e anche osservarne le modificazioni nel tempo, ma per la diagnosi definitiva di natura è indispensabile la biopsia in laparoscopia.

Compiti secondari della diagnosi radiologica Dopo l’identificazione del tumore, si deve: • Escludere localizzazioni multiple o secondarie non visibili endoscopicamente

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• Definire l’estensione in altezza e circonferenza del tumore. • Studiare la plasticità della zona di impianto, in relazione al gradi di penetrazione del tumore nella parete. • Stabilire l’estensione extraperitoneale del cancro.

Terapia chirurgica Vi sono principalmente due tipi di intervento: • RAP: resezione addomino-peritoneale • RAR: resezione anteriore del retto • • La prima forma, demolitiva, consiste nell’asportazione di tutto il retto e formazione di una stomia

permanente, mentre la seconda permette la rianastomosi fra i due monconi di retto. E’ ovviamente possibile eseguire il secondo tipo di intervento solo quando il tumore non è eccessivamente esteso, ma anche quando:

• la neoplasia non si trova troppo vicino allo sfintere anale (limite 7-8 cm in quanto il margine di sezione deve essere almeno 5 cm al di sotto del tumore);

• a questa distanza limite, il tumore non deve superare il 50% di estensione circonferenziale; • il grado della neoplasia è basso • • Fra 7 e 12 cm dall’ano, il tumore può permettere la conservazione dello sfintere a seconda dei parametri

indicati. Al di sopra dei 12 cm, la conservazione dello sfintere è sempre possibile. • In ogni caso va asportato anche il mesoretto perché costituisce un punto di deposito delle cellule tumorali

per via della sua ricchezza in linfatici. La sua asportazione completa diminuisce nettamente la frequenza di recidive.

• • Alcune tecniche chirurgiche che hanno migliorato molto la prognosi dell’intervento: • uso di cucitrici meccaniche: nella RAR hanno permesso la conservazione dello sfintere nei tumori in sedi

sempre più basse • Resezione del mesoretto • Mobilizzazione dell’intestino tenue (con reticelle che lo tengono sollevato rispetto alla pelvi) per evitarne

l’irradiazione • Anastomosi colon-anale. • • Dopo intervento chirurgico in elezione, le recidive allo stadio I sono minori del 5%, ma allo stadio II

salgono già a 30, per arrivare a 70 nel III. • La ripresa della malattia dipende anche da: • Stadio avanzato e metastasi linfonodali • Grado di differenziazione • Invasione di linfatici • Margini di resezione longitudinale: si tratta della lunghezza di mucosa non visibilmente infiltrata da

tumore che si è resecato con l’intervento. Assume una particolare importanza il margine distale, che se è maggiore di 3 cm corrisponde ad una probabilità di recidive del 12%, se è di 2 cm al 22%. Se il margine distale è minore di 3 cm si fa la radioterapia

• Margine di resezione radiale: spessore della parete non interessato dal tumore. Di norma deve essere almeno di 0,5-0,9 mm per indicare un ragionevole successo nell’intervento.

• • Indicazioni alla radioterapia • Movimento dei markers, caratteristiche genetiche delle cellule • Resezione parziale del mesoretto • Margine di resezione < 3cm • Invasione dei linfatici • Stadio II • Adenocarcinomi poco differenziati •

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• L’associazione della radio con la chemioterapia sistemica con 5-fluorouracile migliora la sopravvivenza e diminuisce le recidive. Oggi si usa anche il TP11, il cisplatino e altri farmaci. Si chiamano adiuvanti i farmaci usati nel postoperatorio, neoadiuvanti i farmaci usati nel preoperatorio; questi ultimi possono avere un importante effetto nella riduzione della dimensione del tumore, che così può risultare operabile.

• • Una controindicazione alla radio postoperatoria è la rigidità del peritoneo conseguente all’intervento: se

questo blocca il tenue completamente nello scavo pelvico non si può eseguire il trattamento, se il blocco è parziale sì. Nel preoperatorio questi esiti cicatriziali non sono presenti e l’intestino può essere tolto dallo scavo pelvico senza problemi utilizzando apposite retine.

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CAP 9 ADDOME ACUTO 9.1 DIAGNOSI RADIOLOGICA

Clinica e patogenesi Si tratta di un quadro fra i più difficili da interpretare per la brevità dei tempi diagnostici a disposizione, e per la grande sovrapposizione di sintomi e segni associati variamente al dolore addominale. E’ perciò importante discriminare immediatamente quei segni che possono essere indicativi di un quadro chirurgico: • Disturbi della peristalsi • Rigidità della parete addominale • Segni di shock • Presenza di ematemesi e melena • Disturbi urinari e digestivi • Alterazioni dell’equilibrio acido base e idro-elettrolitico • Le cause di addome acuto sono innumerevoli. L’inutilità di impararle a pappagallo è purtroppo un

concetto di recente acquisizione ancora poco accreditato, e quindi risulta indispensabile compilare (e memorizzare!) la seguente lista della spesa.

• • Infiammazione peritoneale • Contaminazione batterica • Forme primitive • Forme secondarie • Appendicite • Colecistopatie • Malattie infiammatorie della pelvi • Perforazioni intestinali • Irritazione chimica • Ulcera peptica perforata • Pancreatite • • Sindromi occlusive intestinali • Meccaniche • Dinamiche • • Sindromi vascolari • Embolia o trombosi • ischemia o infarto intestinale • Rotture vascolari • Occlusione da compressione o torsione • Ematomi spontanei da diatesi emorragica • • sindromi di origine retroperitoneale • Pancreatiti acute e croniche • Ascessi retroperitoneali • Fissurazioni o rotture di aneurismi aortici • Patologia ginecologica • Patologia urologica • • Altre condizioni chirurgiche • Sindromi traumatiche • Sindromi iatrogene postoperatorie • Dolore irradiato da zone extra addominali •

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• Sindromi non chirurgiche (simulanti un addome acuto, diagnosi differenziale) • Cause metaboliche esogene • Colica saturnina • Morso da “vedova nera” • Cause metaboliche endogene • Uremia • Chetoacidosi diabetica • Porfiria • Fattori allergici • Cause neurologiche funzionali • Cause neurologiche organiche • Tabe dorsale • Herpes zoster • Il dolore addominale può essere distinto in rapporto alla sede di insorgenza, in: • Viscerale: origina dai visceri, in seguito a distensione, stiramento, spasmo, infiammazione e ischemia: è

vago e mal definito, dal lato del viscere pari o nella linea mediana se dispari. Quello importante è accompagnato da sintomi del SNA.

• Parietale: è derivato dal peritoneo o dalla sierosa epatica, ha localizzazione piuttosto precisa, carattere acuto e puntorio, e spesso è accompagnato da rigidità della parete addominale interessata. Si accentua con la tosse e i movimenti, è scatenato dalla palpazione e diminuisce con la contrazione muscolare.

• Superficiale: riferito alla parete addominale, stiramento o coinvolgimento diretto dei muscoli o infiammazione della cute. Insorge improvvisamente, viene avvertito come poco profondo ed è continuo. La contrazione muscolare lo esacerba

• Riferito: dovuto ad innervazione crociata di organi differenti, viene avvertito lontano dall’organo interessato. Le aree di riferimento (di Head) dei singoli organi possono essere a volte indicative.

Diagnosi pre-radiologica E’ importante perché permette di individuare fattori di urgenza che costringono ad escludere una accurata indagine radiologica passando subito alla terapia.

Anamnesi Con le sue classiche informazioni su abitudini, interventi chirurgici, patologie associate. Particolare rilievo alle caratteristiche del dolore e ai sintomi associati. Come detto, la sede del dolore è importante: • Addome superiore → stomaco, duodeno, pancreas, milza, fegato, vie biliari • Addome inferiore → colon e genitali • Regione periombelicale → intestino tenue • Regione presacrale → retto • Ipocondio DX → fegato o vie biliari • Fossa iliaca DX → appendicite o Crohn, malattie ginecologiche • Ipocondrio SX → stomaco, milza, distensione della flessura splenica del colon • Fossa iliaca di SX → diverticolite o malattie ginecologiche Alcune zone di Head caratteristiche sono la scapola DX nelle coliche biliari, il dorso nelle pancreatiti acute, l’inguine nella colica ureterale, la spalla nell’irritazione diaframmatiche L’esordio improvviso è in genere legato alla perforazione o rottura di un viscere o alla occlusione, mentre un esordio graduale indica un progressiva distensione di un organo cavo o l’irritazione peritoneale. La durata del dolore può dare anche delle informazioni: minuti o secondi sono spasmi di organi cavi, le coliche si valutano in ore, la pancreatite dura alcuni giorni. L’assunzione di cibo migliora il dolore dell’ulcera peptica. Nella peritonite il tipo e la quantità di sostanza che provoca dolore ne condiziona l’intensità: • Sostanza acida provoca in piccola quantità molto più dolore che un grande quantitativo di sostanza a pH

neutro

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• Il succo pancreatico provoca dolore molto più vivo della bile • Sangue e urina provocano poca irritazione.

Esame obiettivo Importante la palpazione. Dolore provocato, rigidità, presenza di tumefazione, rumori peristaltici assenti o anomali, soffi vascolari possono essere molto indicativi sulla diagnosi. L’esplorazione rettale o vaginale possono aiutare a evidenziare ascesi pelvici. Importante anche l’esame obiettivo toracico per evidenziare alterazioni della pleura e del torace secondarie ad alterazioni addominali.

Paracentesi Con questo lavaggio si può evidenziare in maniera molto rapida la diagnosi di natura dei versamenti peritoneali. Deve essere usata soltanto quando le condizioni sono gravi. Le patologie che in genere sono così urgenti da non consentire di effettuare una diagnosi radiologica prima di intervenire sono l’emoperitoneo e la rottura di aneurisma aortico.

Diagnosi radiologica

Rx torace standard Si esegue per abitudine assieme all’RX diretta addome allo scopo di evidenziare processi polmonari conseguenti a patologie addominali e identificare cause pleuriche o pericardiche che possono essere responsabili direttamente del dolore addominale. In previsione dell’intervento chirurgico, inoltre, questo esame è sempre richiesto dall’anestesista.

RX diretta addome In quasi tutte le situazioni è l’esame di primo livello, in ortostasi e decubito supino per poter visualizzare aria libera sottodiaframmatica o nel peritoneo e livelli idroaerei. Se il paziente non riesce a stare in piedi si esegue in decubito laterale sinistro. Nel bambino si fanno a volte in ortostasi capovolta. Se la situazione clinica non è urgente, si può ripetere nel tempo l’esame per monitorare ad esempio quadri di distensione intestinale. Alcune indicazioni dell’esame RX possono essere conclusive ai fini della diagnosi, come la presenza di aria libera (perforazione), o i livelli idroaerei a “scala a pioli” (occlusione intestinale meccanica), o la distensione intestinale diffusa senza livelli (occlusione intestinale paralitica). Spesso l’esame RX può essere orientativo nei confronti della diagnosi, ma sono comunque necessarie indagini di secondo livello; sono queste la maggior parte delle evenienze. Infine, anche se l’esame RX risulta negativo, questo non permette di escludere alcune patologie anche gravi.

Radioscopia Limitato uso nelle condizioni in cui sia necessario visualizzare la motilità degli emidiaframmi o la peristalsi intestinale.

Ecografia Tecnica rapida e non invasiva con buona sensibilità. I limiti sono la dipendenza dall’operatore e la presenza di ostacoli tecnici che si verificano durante l’addome acuto (urgenza, meteorismo, scarsa collaborazione, presenza di cicatrici chirurgiche o suture). Nelle patologie epatiche e biliari è altamente affidabile, così come per la visualizzazione diretta di milza, reni, vescica e genitali. Utile pure per la ricerca di ascessi e versamenti liberi del peritoneo. Pancreas e aorta addominale (specie in pazienti obesi e in presenza di meteorismo) si vedono male. Importante infine per l’esecuzione di manovre ecoguidate.

TC Permette una analisi dettagliata degli organi e dei loro contorni, oltre che delle strutture vascolari; ottima anche la valutazione delle anse intestinali dopo la somministrazione di mezzo di contrasto, quando possibile. Ha una migliore accuratezza rispetto all’RX e all’ecografia nella patologia pancreatica, traumi addominali, lesioni vascolari e flogistiche.

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RX del tubo digerente Clisma opaco, clisma a DC, esofagogramma. Indicazioni allo studio dell’apparato digerente con queste metodiche sono: • Sindromi occlusive con sospetta invaginazione o volvolo • Occlusioni basse per identificare la sede della stenosi • Traumi chiusi dell’addome se si sospetta una rottura nel retroperitoneo o con peritoneo tamponante Generalmente l’esame con mezzo di contrasto si fa in elezione, all’esaurimento della fase acuta per accertare le cause di episodi di occlusione, melena, sanguinamento alto eccetera. Il mezzo di contrasto è normalmente baritato, ma in caso di sospetta perforazione o fistola si usa quello iodato solubile. Nel colon si usa il clisma a DC, che è controindicato soltanto in caso di perforazione (in caso di fistola fra colon e peritoneo si usa il mezzo di contrasto iodato). Nella ricerca gastrocolica il clisma DC è l’esame di elezione.

Urografia In caso di colica renale l’ecografia è l’esame di prima istanza, l’urografia si fa solo nella fase di remissione clinica, con normalizzazione della funzionalità renale. Nei traumi con sospetta lesione renale e vie urinarie è più indicata la TC

Angiografia Insostituibile nelle lesioni vascolari (emorragie o ischemie intestinali) con ruolo sia diagnostico che terapeutico per la possibilità di embolizzare le arterie in sede di emorragia. Per aneurismi e dissezione aortica è meglio la TC

ERCP La colangiopancreatografia retrograda endoscopica fornisce una accurata panoramica delle vie biliari dimostrando chiaramente la sede di ostruzione e spesso identificandone la causa. Permette di eseguire una sfinterotomia decompressiva, rimozione di calcoli e se necessario il posizionamento di stent e di sondini nasobiliari per alleviare i sintomi.

Linfografia Solo nel caso di sospetto chiloperitoneo.

9.2 L’ESAME RADIOLOGICO NELLE VARIE CAUSE DI ADDOME ACUTO

PERITONITE ACUTA Si tratta in genere di forme secondarie a sindormi: • Appendicolari • Biliari • Vascolari • Ginecologiche • Perforative • Insorte come complicanza di interventi chirurgici addominali Talvolta esordisce in forma circoscritta poi evolve in forma diffusa.

Peritonite acuta in generale Dolore addominale diffuso, contrattura lignea della parete addominale, tachipnea superficiale, tachicardia, segni di shock dominano il quadro clinico. La sintomatologia clinica spesso è piuttosto specifica per una causa, e l’esame RX ha un ruolo di conferma. Nei quadri conclamati all’RX addome compare un quadro di ileo paralitico: • Anse distese • Ispessimento della parete e delle valvole conniventi (edema) • Distensione del colon • Livelli idroaerei piccoli, rari e tardivi

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Segni di versamento peritoneale diffuso possono essere rivelati anche all’RX come una opacità diffusa, mal definibile, con le anse intestinali raccolte al centro dell’addome e dissociate fra di loro dall’essudato che si forma fra di loro (a differenza dell’emoperitoneo in cui il sangue circonda le anse ma non penetra fra di esse). I margini dei muscoli parietali ai margini dell’addome sono scarsamente visibili in presenza di versamento peritoneale. Se la peritonite esordisce in forma localizzata (ascesso localizzato), si può evidenziare con l’esame diretto addome: • Opacità localizzata con dislocazione dei visceri vicini • Raccolta gassosa extraintestinale • Fissità al variare del decubito di organi normalmente mobili • Scarsa delimitazione di organi ben definibili nei soggetti normali • Ileo localizzato ad una ansa (ansa sentinella). • Scarsa mobilità di un emidiaframma alla radioscopia Ecografia e TC sono molto sensibili nel localizzare queste lesioni, che appaiono come aree disomogene di densità liquida, con eventuale presenza di piccole raccolte gassose, e riescono ad evidenziarne esattamente i margini e i rapporti con gli organi vicini.

Peritonite biliare Spesso dovuta ad una patologia infiammatoria della colecisti (nel 90-95% dei casi da calcoli). All’esame diretto si evidenzia una distensione meteorica soprattutto nel colon prossimale, del trasverso e delle anse del tenue in vicinanza del coledoco, con abbondante essudato endoperitoneale e bile. I segni di semeiotica radiologica che permettono la diagnosi sono: • Presenza di calcoli radiopachi nel coledoco o nelle vie extraepatiche • Colecisti aumentata di volume, più opaca del normale perché piena di bile e calcoli • Dimostrazione di aerobilia (infrequente) per incontinenza della papilla o fistola Le raccolte fluide si diffondono lungo la doccia parieto-colica di destra fino alla pelvi. L’esame di elezione è l’ecografia, la TC solo nei casi dubbi. Nel caso di colica con ittero ostruttivo è giustificata la ERCP, che ha valore sia diagnostico che terapeutico (sfinterotomia decompressiva, rimozione di calcoli). In elezione, prima dell’intervento chirurgico sulle vie biliari se ne può fare uno studio molto accurato con la colangio RM, che esclude calcoli nella via biliare o stenosi.

Peritonite appendicolare Nella terza decade di vita è la causa più frequente di addome acuto; l’esame RX serve ad identificare la causa appendicolare di patologia, ed escludere eventuali complicazioni (ascesso, fistola, rottura) All’RX standard con paziente in posizione eretta segni caratteristici sono: • Distensione gassosa del cieco con possibile livello idroaereo e delle ultime anse dell’ileo (anse sentinella

per appendicite acuta) • Rilievo di appendicite opacata, pluristratificata, localizzata in fossa iliaca di destra (appendicolite). • Visualizzazione di gas nel lume appendicolare, con eventuale livello idroaereo. Con le tecniche di ecografia ad alta frequenza l’appendicite risulta visibile solo se infiammata; in questa situazione il suo lume non risulta più virtuale, la parete si ispessisce con aspetto “a bersaglio”, la peristalsi è assente. E’ frequente la dimostrazione di raccolte attorno all’appendicite, ipoecogene; in corso di un vero e proprio ascesso periappendicolare l’esame diretto evidenzia una opacità con livello idroaereo in fossa iliaca di destra. L’ascesso può essere intra od extraperitoneale in relazione alla sede dell’appendice, e in alcuni casi la raccolta può scivolare lungo le docce parietocoliche fino in sede pelvica. Tecniche di secondo livello come la TC possono essere impiegate nella definizione di ascessi e raccolte circostanti.

Peritonite da perforazione intestinale

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Complicanza di molte situazioni, dall’ulcera gastrica ai diverticoli, alle neoplasie, alle deiscenze di cicatrici, ai traumi. La perforazione determina pneumoperitoneo e successivamente un versamento libero nella cavità addominale. L’esame iniziale è l’RX standard addome in decubito laterale SX in ortostasi che mette in evidenza la “falce diaframmatica” che si forma anche in presenza di piccole quantità di aria. Un segno di aria libera è la visualizzazione della parete di anse intestinali; invece la presenza di aria nella cavità epiploica è un segno di perforazione gastrica. L’aria libera può non formarsi se la perforazione avviene in una zona coperta da aderenze peritoneali, e allora si identificheranno immagini gassose in sede atipica, con comportamento anomalo al variare del decubito. Il clisma con piccola quantità di mezzo di contrasto iodato (non bario!) identificano la sede e la causa della perforazione; la TC dimostra la presenza di raccolte gassose e liquide anche in caso di negatività all’esame RX diretto. Nel sospetto di perforazione coperta la TC è importante.

Peritonite da torsione intestinale Sono situazioni rare. Si tratta in genere della torsione della colecisti, del grande omento, della milza. In queste evenienze l’esame dell’addome non fornisce elementi decisivi per la diagnosi, e si può identificare il quadro soltanto con la laparotomia esplorativa.

OCCLUSIONE INTESTINALE In caso di sospetto di ileo assume una grande importanza l’esame diretto dell’addome in ortostasi (se possibile) ed eventualmente (a seconda della gravità del quadro clinico) con mezzo di contrasto. Questo esame permette di riconoscere la natura dell’ileo, la localizzazione dell’eventuale ostruzione (ileo meccanico) e di individuare le complicanze. In casi fortunati la causa di ileo è possibile anche individuarla con il semplice esame radiologico. Il ruolo dell’esame diagnostico radiologico è principalmente quello di distinguere le forme dinamiche (che spesso non necessitano di intervento chirurgico), da quelle meccaniche.

Ileo meccanico Può essere causato da ostacoli: • Intraluminari • Intramurali • Extraluminari C’è una lunga lista di cause possibili: • Aderenze (congenite, post chirurgiche, postflogistiche) • Incarceramento di un sacco erniario • Volvolo • Invaginazione • Neoplasie stenosanti intestinali e non • Stenosi da IBD e diverticolite • Fecalomi • Parassitosi intestinale • Calcoli biliari di dimensioni grandi che transitano nel tenue tramite una fistola Il quadro dipende dalla sede e dall’entità dell’occlusione: c’è esordio improvviso nelle occlusioni alte, subdolo in quelle coliche. Il dolore è crampiforme, con vomito (fecale o biliare a seconda della sede) precoce nelle forme alte, alvo chiuso a feci e gas, disidratazione, turbe elettrolitiche e segni di shock. L’esame RX diretto permette spesso di identificare il tipo di occlusione e a volte anche la sede. Le anse a monte appaiono dilatate e in preda ad una forte peristalsi (in fase iniziale, poi l’ileo dinamico ha una componente paralitica). Tendono ad incurvarsi ad U rovesciata (concavità verso il basso), e presentano naturalmente vistosi livelli idroaerei che si dispongono come i pioli di una scala. La linea di opacità attorno alla parete è ispessita, e così pure le anse possono apparire solcate da una serie di strisce opache che rappresentano la parete ispessita.

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Le valvole conniventi sono ben rappresentate, spesso ispessite ed edematose. Se l’occlusione non è molto recente e non si associa ileo paralitico da ischemia, il colon sarà del tutto privo di aria e quindi si osserva la scomparsa della cornice colica. Alcune forme di occlusione si associano ad una componente vascolare (volvolo, ernia incarcerata, invaginazione o malrotazione). In queste forme è immediato l’instaurarsi di una sofferenza vascolare con i seguenti segni: • Scarsi livelli idroaerei (vomito precoce) • Assenza di mobilità nei vari decubiti dell’ansa interessata • Possibile identificazione di area opaca per ispessimento da stasi venosa della parete • Valvole conniventi non ispessite o appiattite Se si associa ischemia e gangrena, la parete appare intensamente dilatata e a margini sfumati: si può avere anche una notevole quantità di essudato peritoneale fra le anse distese. Dal punto di vista topografico, possono distinguersi occlusioni alte, medie e basse. A seconda della sede dell’occlusione i tratti interessati sono diversi. • Occlusione del piloro o duodeno: determina distensione gastrica con vomito precoce • Ostruzione del piccolo intestino: dilatazione isolata del tenue con scarso contenuto meteorico • Occlusione del grosso intestino: se la valvola è continente, si ha una distensione del solo colon, che può

avere livelli idroaerei. La dilatazione simultanea di tenue e colon si associa ad una incontinenza della valvola.

L’esame RX con bario è controindicato nelle ostruzioni meccaniche, e semmai si somministra mezzo di contrasto idrosolubile (ma solo se l’ostruzione è alta, altrimenti il mezzo di contrasto si diluisce troppo per evidenziare l’ostruzione). Viceversa, il clisma opaco si può usare nelle ostruzioni del colon, e in caso di volvolo o invaginazione, il riempimento con sostanza opaca e densa può favorire il riposizionamento del colon; il clisma opaco è però controindicato in caso di perforazione o fistola.

Ileo paralitico Origina da una insufficienza della normale peristalsi, spesso causata da infiammazioni peritoneali e retroperitoneali, con paresi neurogena riflessa. Deriva da: • Ischemia intestinale • Ematomi retroperitoneali • Precedenti interventi chirurgici adominali • Affezioni renali o disturbi metabolici Clinicamente si ha una marcata distensione addominale e malessere generale. All’RX in genere si differenzia male dall’ileo meccanico nelle fasi iniziali. Una caratteristica è che la distensione interessa uniformemente il colon e il tenue, e non è mai vistosa. I livelli idroaerei possono essere presenti, ma non si dispongono come una scala a pioli; sono scarsi e tardivi, e soprattutto immobili. La disposizione delle anse è disordinata (non a canne d’organo come nell’ileo meccanico) e le pareti sono scarsamente ispessiti. In caso di flogosi acuta di un organo peritoneale (colecisti e pancreas soprattutto) i sintomi e i segni radiologici possono essere limitate ad una o più anse vicine (ansa sentinella). Alla radioscopia la peristalsi risulta del tutto assente o molto ridotta. A volte la TC può assumere rande importanza, soprattutto per quel che riguarda la dimostrazione della causa meccanica di ostruzione; la dilatazione delle anse e le alterazioni della peristalsi possono essere ben documentate anche all’ecografia.

MALATTIE VASCOLARI DELL’INTESTINO Il dolore di tutte le forme è grave e diffuso, ad origine improvvisa (anche se un dolore addominale meno intenso, al fianco o ai genitali, può essere un segno di rottura di aneurisma dell’aorta addominale).

Forme da embolia o trombosi

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Assenza di segni di peritonite e presenza di dolore diffuso, da parecchie ore, a tutto l’addome: questo può essere indicativo di una ischemia mesenterica non occlusiva, da molteplici cause: • Vasocostrizione • Ipovolemia • Ridotta gittata cardiaca • Ipotensione arteriosa Oppure di una trombosi venosa. Frequenti sono il vomito, il reperto di massa addominale dolente (anse ischemiche) e l’emissione di feci poltacee miste a sangue, seguita dalla chiusura dell’alvo (ileo paralitico sopraggiunto). Spesso l’episodio acuto è preceduto da claudicatio intermittens-

Ischemia mesenterica L’esame radiologico diretto dell’addome è l’indagine preliminare che può dimostrare un quadro di ileo paralitico generalizzato (a volte esteso anche allo stomaco), con perfetta immobilità delle anse. Quelle interessate dalla lesione possono anche presentare ispessimento della parete con riduzione del lume (che contiene scarso gas e ha aspetto frastagliato). Piccole raccolte aeree lineari, nello spessore della parete (fenomeni di necrosi) sono un segno abbastanza indicativo ma raro. Spesso è presente concomitante versamento pleurico alle basi. L’esame risolutivo è l’arteriografia che dimostra direttamente la sede dell’ostruzione e le condizioni di tutti il circolo mesenterico.

Emorragie acute intestinali Possono essere causate da: • Ulcera peptica • Gastrite erosiva • Varici • Traumi • Neoplasie • Diverticoli In RX addome non si vede niente. Le tecniche contrastografiche e l’endoscopia dimostrano spesso la sede e la causa del sanguinamento. Decisivo il ruolo dell’arteriografia, che ha anche la possibilità di effettuare direttamente l’embolizzazione dei vasi interessati.

Lesioni acute dell’aorta addominale Fissurazione o rottura di aneurismi, dissezioni aortiche. La TC fornisce le informazioni fondamentali: la diagnosi radiologica ha lo scopo di identificare la natura dell’addome acuto, confermare l’eventuale necessità di un intervento di urgenza, fornire limiti importanti per l’approccio chirurgico, come i limiti topografici, l’entità del sanguinamento, le condizioni degli organi addominali. Si può fare diagnosi con l’ecografia solo in alcuni casi: normalmente l’ecografia visualizza l’aorta, ma la presenza di una lesione acuta provoca ileo paralitico e il meteorismo impedisce la visualizzazione del vaso. L’esame diretto addome, spesso, viene fatto perché non sempre il quadro clinico è drammatico (ad esempio in un aneurisma tamponato), ma fornisce solo dati indiretti. Nel sospetto di dissezione aortica è molto indicata la RM, con l’aggiunta delle sequenze angiografiche (angio-RM) che visualizzano efficacemente i vasi sanguigni. Il limite è il tempo lungo di esecuzione.

Ematoma retroperitoneale spontaneo Frequente nei pazienti in terapia anticoagulante; in genere lo spandimento ematico avviene per rottura di piccoli vasi in genere nel contesto di muscoli come lo psoas,e la diagnosi differenziale è ottenuta con la TC che fornisce una definizione precisa della localizzazione e dell’entità dell’emorragia.

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PANCREATITI ACUTE O CRONICHE RIACUTIZZATE Frequente l’addome acuto da infiammazione del pancreas, che nell’80% dei casi è scatenato da alcolismo o da patologia delle vie biliari. Il quadro clinico e la prognosi sono determinate dall’entità del danno. Si tende comunque ad avere un interessamento dei tessuti attorno all’organo, soprattutto nelle forme necrotiche emorragiche. Si avranno spesso raccolte flogistiche ed ematiche nel retro peritoneo, nella cavità degli epiploon o nel peritoneo stesso, trombosi vascolari e versamenti pleurici a distanza. La diagnosi differenziale si impone con: • Perforazione di ulcera peptica • Infarto mesenterico • Ostruzione intestinale con strozzamento • Fissurazione di aneurisma dell’aorta addominale La diagnostica per immagini serve a confermare la diagnosi, fornire elementi di diagnosi differenziale e valutare l’entità del danno, oltre localizzare e definire raccolte flogistiche circostanti.

RX addome Poco specifico, dimostra un ileo dinamico localizzato in sede superiore sinistra o al centro dell’addome. Il duodeno, le prime anse del digiuno sono in genere le sentinelle. Caratteristica anche la brusca interruzione della distensione del colon trasverso in regione paravetrebrale specie a sinistra. In corrispondenza della loggia pancreatica ci può essere un relativo aumento dell’opacità e, in caso di forme croniche, calcificazioni. Tipica anche la scomparsa e la scarsa definizione dei reni e dei muscoli psoas per l’estensione del processo nei dintorni della ghiandola. Le pancreatiti da calcolosi presentano i segni della calcolosi biliare.

RX torace Evidenzia il versamento pleurico basale con addensamento parenchimale nei campi polmonari inferiori, più frequente a sinistra.

RX addome con mezzo di contrasto solubile In fase acuta può dimostrare: • Distensione della C duodenale con pliche ispessite; il profilo mediale può essere improntato dalla testa

del pancreas ingrandita. • Segno del 3 invertito per edema della papilla • Ristagno del mezzo di contrasto in duodeno • Impronta nella parete gastrica posteriore

Ecografia Esame di seconda istanza. Ruolo limitato per difficile visualizzazione dell’organo. Non riesce a definire con esattezza la diffusione della raccolta flogistica. E’ invece accurata la valutazione di una eventuale calcolosi biliare e di versamenti intraperitoneali. Nel caso in cui il pancreas sia esplorabile, l’ecografia può distinguere le forme edematose e necrotico-emorragiche. Criteri distintivi ecografici fra pancreatite edematosa e necrotico emorragica

FORMA EDEMATOSA FORMA NECROTICO EMORRAGICA • Aumento volumetrico globale • Aspetto ipoecogeno omogeneo • Contorni netti

• Aumento volumetrico non uniforme • Ecostruttura disomogenea • Contorni irregolari • Raccolte liquide peripancreatiche

TC E’ l’esame di elezione nel sospetto di pancreatite acuta. I suoi pregi sono: • Differenzia le forme edematose da quelle necrotizzanti sempre • Valuta con precisione le aree di colliquazione • Stima la porzione sana residua

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• Fornisce un bilancio spaziale completo delle raccolte di liquido retro o intraperitoneali • Identifica e descrive con precisione eventuali pseudocisti

INFEZIONI ACUTE EXTRAPERITONEALI Possono provocare peritonite, e sono secondarie a patologie flogistiche, traumatiche o neoplastiche degli organi retro o intraperitoneali. L’iter diagnostico in questi casi è sempre lo stesso: • Esame diretto addome • Ecografia • TC Generalmente lo spazio pararenale è la regione più comunemente interessata da queste flogosi, in genere secondarie al Crohn, alla diverticolite o all’appendicite retrocecale.

RX addome Opacità disomogenea con piccole raccolte gassose, che cancella il profilo dell’angolo epatico a DX e della milza a SX; dislocazione antero-laterale del colon ascendente o discendente. Negli ascessi dello spazio pararenale anteriore (derivati da infezioni renali) si dimostra una opacità non omogenea che cancella il profilo renale, mentre il rene è spesso innalzato e medializzato, poco mobile o immobile del tutto. La cancellazione del tratto superiore del profilo dello psoas è caratteristica. Le raccolte dello spazio posteriore invece sono più rare (focolai di osteomielite del rachide, perforazione del retto o sigma) con segni radiologici significativi: • Cancellazione della linea del fianco e del tratto inferiore dello psoas • Spostamento laterale del polo renale inferiore

Ecografia Buona accuratezza solo nella valutazione delle logge renali

TC Più completa e precisa, individua con certezza la sede del processo infettivo e le eventuali complicanze.

SINDROMI OSTETRICO-GINECOLOGICHE Flogosi, emorragie, perforazioni tubariche, torsioni dell’utero o degli annessi possono provocare addome acuto. In associazione con esami di laboratorio specifici l’imaning di laboratorio è fondamentale per la diagnosi. Essenziale è l’ecografia pelvica che spesso inquadra perfettamente le patologie. La TC e la RM hanno un ruolo di secondo livello (la seconda di più).

SINDROMI UROLOGICHE La causa più comune di addome acuto è la colica da calcoli ureterali. L’urografia può essere eseguita solo dopo raffreddamento del quadro clinico. In fase acuta si può effettuare: • RX diretto addome: presenza e sede di calcoli radiopachi; dimostra anche l’aumento volumetrico di un

rene per idronefrosi • Ecografia: consente una valutazione precisa del parenchima renale e delle vie escretrici, identifica

calcoli anche non visibili all’RX nei calici e nella pelvi, dimostra dilatazione dell’uretere, permette studio accurato della vescica

Altra causa di addome acuto sono gli eventi infiammatori del rene (nefriti, ascessi, prionefrosi). In questi casi la TC è l’esame migliore che permette la valutazione del rene e dei tessuti circostanti eventualmente interessati dal processo. Deve essere impiegata nei casi in cui l’ecografia non è applicabile.

SINDROMI IATROGENE Un quadro di dolore addominale con ileo paralitico e vomito è frequente dopo gli interventi chirurgici, e in genere tende a risolversi da solo. Temibili complicazioni però sono: • Emoperitoneo

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• Peritonite • Dilatazione gastrica acuta • Occlusione intestinale • Ischemia mesenterica Complicazioni derivate dalla biopsia epatica o renale (in genere emorragie o ematomi) sono ben identificabili alla TC, che è anche la tecnica di elezione per l’identificazione delle complicazioni infettive che seguono gli interventi chirurgici. Gli ematomi addominali dopo posizionamento di cateteri venosi possono essere identificati con l’ecografia, e meglio ancora con la TC; ecodoppler e angioRM possono valutare il decorso dei vasi vicino alla lesione.

QUADRI NON ADDOMINALI CHE SIMULANO ADDOME ACUTO Sono diverse patologie: • Torace:

o Pleura o Polmoni o Cuore e grossi vasi

• Malattie del metabolismo: o Iperlipemia o Deficit di C1 esterasi o Febbre mediterranea familiare o Porfiria o Colica saturnina

• Lesioni a carico dei nervi sensitivi o Herpes zoster o Artrosi che provoca compressione nervosa o radicolare o Tumori o ernie del disco o Diabete o Sifilide

SINDROMI ADDOMINALI IN PEDIATRIA • Peritoniti • Peritonite meconiale (calcificazioni diffuse nell’addome) • Invaginazione intestinale (primi 2 anni di vita) con ileo misto; ruolo diagnostico e terapeutico del clisma

opaco • Volvolo del tenue • Ernie • Ileo da meconio (neonati affetti da mucoviscidosi) • Enterite necrotizzante: quadro caratteristico con sottili raccolte gassose nello spessore della parete, per

via della necrosi tissutale (pneumatosi), distensione e livelli idroaerei, aria libera in peritoneo, gas sulla vena porta (segno sfavorevole)

TRAUMI ADDOMINALI Il paziente deve essere sottoposto a TC o ad ecografia per escludere lesioni a visceri interni, o emoperitoneo. L’intervento sarà poi in laparoscopia.

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CAP 10 FEGATO, COLECISTI E VIE BILIARI 10.1 ANATOMIA E TECNICHE DI INDAGINE Dal punto di vista vascolare il fegato può essere diviso in 8 segmenti indipendenti, ognuno dei quali è avvolto da un singolo peduncolo della glissoniana contenente: • un ramo della vena porta • un ramo dell’arteria epatica • un ramo della via biliare del proprio lato. Questo è importante dal punto di vista chirurgico per resezioni mirate, ed è importante localizzare ogni processo focale epatico in uno di questi segmenti. Essi sono: • Lobo sinistro: • Segmento II, laterale superiore (milza) • Segmento III, laterale inferiore (flessura colica di sx) • Parte mediana del fegato: • Segmento I, lobo caudato: posteriormente lungo la linea mediana • Segmento IV, lobo quadrato: anteriormente lungo la linea mediana • Lobo destro: • Segmento V, inferiore anteriore: subito a destra della linea mediana, in basso • Segmento VI, inferiore posteriore: a destra del lobo V sempre in basso • Segmento VII, superiore posteriore: a destra del lobo VIII, sopra al lobo VI, in alto • Segmento VIII, superiore anteriore: subito a destra della linea mediana, in alto •

RX diretta E’ direttamente apprezzabile il fegato dato che la sua tenue opacità omogenea parenchimatosa è circondata in alto dalla base polmonare, in basso dal meteorismo colico e dal rene destro. Con questo esame si osserva in genere la presenza di calcificazioni o trasparenze patologiche, ma nessun altro elemento di patologia epatica. Si può invece osservare una serie di reperti di epatomegalia: • Innalzamento della cupola epatica (emidiaframma sinistro come confronto) • Abbassamento della flessura colica destra • Dislocazione della bolla gastrica • Deformazione del contorno epatico Alcuni calcificazioni epatiche importanti sono quelle litiasiche, da traumi o da ascessi, cisti da echinococco, o anche tumorali o da TBC miliare. Le trasparenze più facili da riscontrare all’RX sono gli ascessi epatici.

Ecografia L’ecografia è un esame di accesso al fegato molto importante come prima istanza in molte patologie; è uno dei pochi casi, forse l’unico, in cui la possibilità di analisi dell’ecografia è superiore a quella della TC e della RM, alle quali si ricorre principalmente per avere informazioni di tre dimensioni per programmare l’intervento chirurgico. L’ascesso è sotto costale con paziente supino; ostacoli principali sono il meteorismo colico, l’obesità e la steatosi marcata, che può rendere invisibile il lobo caudato. L’ecostruttura del fegato è di piccoli echi parenchimali diffusi e omogeneamente distribuiti, senza ispessimenti focali. Le vene sovraepatiche e i vasi portali appaiono come strutture ecoprive che solcano il parenchima; i dotti biliari e i rami dell’arteria epatica non sono apprezzabili normalmente a livello segmentario, mentre i vasi portali sì e possono aiutare a distinguere i segmenti del fegato. Si riconoscono bene le formazioni legamentose.

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La tecnica doppler è anche molto importante per via della ricca vascolarizzazione epatica. Essa permette di: • Determinare la presenza di flusso nei vasi per la diagnosi di trombosi • Caratterizzare il flusso e distinguere i vasi portali e dell’arteria epatica • Effettuare misurazioni sui vasi • Caratterizzare le lesioni focali (emangiomi, shunt, noduli tumorali vascolarizzati) Infine l’ecografia costituisce un sistema di guida ottimale per la biopsia epatica.

TC Di notevole importanza; si usa di solito mezzo di contrasto uroangiografico iniettato con pompa a 3-5 ml/s, evidenziando una fase vascolare in cui il mezzo di contrasto si distribuisce all’aorta e all’arteria epatica, una fase parenchimale e una di equilibrio in cui il mezzo di contrasto viene gradualmente eliminato. A circa 4-6 ore si può avere una nuova distribuzione epatica per l’eliminazione del contrasto con la bile, importante per lo studio dei colangiocarcinomi. Le lesioni tumorali sono vascolarizzate principalmente dall’arteria epatica, e quindi hanno la massima visibilità nella prima fase; le lesioni di sclerosi, con poca o punta vascolarizzazione, sono meglio visibili nella fase parenchimatosa, dove rimangono meno dense del resto. Il parenchima epatico è omogeneo, con valori di attenuazione attorno a 45-70 UH. I dotti biliari sono sempre visibili se dilatati o se contengono aria, le vene e le arterie in genere sono scarsamente visibili senza mezzo di contrasto. La colecisti ha valore di attenuazione fra 0 e 40 a seconda della densità della bile.

RM Utile per la caratterizzazione delle lesioni focali; in sequenze T1 pesate si ottiene una buona risoluzione anatomica del fegato (forma, sede, rapporti delle lesioni focali), mentre nelle sequenze T2 si ottiene una buona definizione della struttura delle lesioni focali e una migliore individuazione di esse, specie se associate a mezzo di contrasto. Il parenchima ha intensità media nelle sequenze T1 pesate, bassa in T2; la colecisti è sempre ben apprezzabile con segnale di tipo liquido, che aumenta in T1 dopo il pasto per la concentrazione della bile.

Angiografia Utilizzata di norma in seconda istanza, per definire la mappa vascolare dell’organo e definire la possibilità di intervenire in una lesione focale; assume una certa importanza nello studio delle lesioni focali. Per via angiografica sono possibili interventi altamente selettivi come la chemioembolizzazione, l’embolizzazione di fistole, aneurismi, creazione di TIPS. Il cateterismo selettivo è del tripode celiaco e della mesenterica superiore, superselettivo dell’arteria epatica. E’ importante prima dell’intervento chirurgico perché le varianti anatomiche sono notevoli e frequenti.

10.1 PATOLOGIE FOCALI DEL FEGATO Le lesioni epatiche possono essere distinte in focali e diffuse.

NEOPLASIE BENIGNE

Adenomi epatocellulari Sono i tumori benigni di riscontro più frequente nella donna durante il 3° - 4° decennio di vita. Sono associati probabilmente ad un elevato livello di estrogeni dovuto all’uso di contraccettivi orali. Gli adenomi multipli, invece, sono associati con la glicogenosi di tipo I. Morfologicamente sono formazioni voluminose, di 10 cm di diametro, contenenti epatociti normali o solo lievemente atipici, con elevato contenuto di glicogeno e quindi più chiari. In genere è presente dolore, epatomegalia dovuta ad una massa palpabile, ma può anche esservi una emorragia importante intratumorale che provoca anche shock. La diagnosi è essenzialmente basata sulla TC, sulla RM e arteriografia selettiva. Un metodo sofisticato per dimostrare l’assenza delle cellule di Kupffer è la scintigrafia con Te99, che indica una ipocaptazione. In circa il 10% dei casi possibile la trasformazione maligna, soprattutto negli adenomi grandi o multipli. Se è una

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lesione grande, superficiale e resecabile, dovrebbe essere asportata, soprattutto se si pensa di iniziare una gravidanza che mette la neoformazione a rischio di rottura.

Iperplasia nodulare focale Neoplasia più frequente nel sesso femminile, non associata a contraccettivi orali, senza rischi elevati di necrosi o emorragia. E’ un tumore solido con una parte centrale fibrosa, e proiezioni stellate che si estendono intorno. Queste proiezioni contengono epatociti atipici, cellule epiteliali biliari, cellule di Kupffer e cellule infiammatorie. La scintigrafia con tecnezio indica una captazione attiva, per la presenza di dette cellule.

Emangioma Tumori benigni del fegato più comuni, sono caratteristici del sesso femminile. Sono lesioni asintomatiche, di solito di modeste dimensioni, che non presentano rischio di emorragia e non si trasformano mai in una lesione maligna. Di solito vengono diagnosticate con esami di routine o per altre condizioni. La TC spirale è il mezzo migliore per differenziarle da altre lesioni maligne identificate ecograficamente.

EPATOCARCINOMA I tumori maligni del fegato possono derivare da due tipi di cellule, le cellule di Kupffer e gli epatociti, e sono gli epatocarcinomi, e le cellule dell’epitelio dei condotti biliari, allora si chiama colangiocarcinoma. Il carcinoma epatocellulare primitivo è una delle neoplasie più comuni, di solito con eziologia legata alla cirrosi, e incidenza elevata in Paesi come l’Asia e l’Africa, dove in alcune zone raggiunge i 500 casi per 100 mila abitanti. In Europa è responsabile dell’1-2% delle neoplasie di riscontro autoptico; alle nostre latitudini il massimo dell’incidenza si osserva fra i 40 e i 50 anni. In Italia ci sono 200.000 cirrotici, e circa 14.000 casi di epatocarcinoma ogni anno, che fa un’incidenza di 6-10 per 105. M>F (4/8:1) Età 65-70 anni Il 90% dei casi che insorgono è associato a cirrosi. In effetti, in ogni momento il 7% dei cirrotici presenta epatocarcinoma (il 5% ogni anno). Questo è sufficiente a definire la cirrosi come una lesione pre-neoplastica, e a giustificare uno screening semestrale con ecografia e alfa feto – proteina (AFP).

Eziologia Condizioni che provocano cirrosi: Qualsiasi condizione che provoca un danno epatocellulare cronico e stimola la mitosi delle cellule epatiche aumenta il rischio di carcinoma. Fra queste sono importanti:

• Cirrosi alcolica • Emocromatosi • Deficit di a1AT • Schistostomiasi • Ipertirosinemia

Infezione associata da HBV e HCV: Il motivo dell’alta incidenza nelle aree di Africa e Asia è legato alla prevalenza di questi virus, che in molti casi provocano cirrosi. Il ruolo dell’HBV è stato ampiamente documentato come agente oncogeno puro, e si hanno prove di questo attraverso il riscontro abituale della presenza di genoma virale nelle cellule tumorali, negli epatociti circostanti non malati. Il virus oltre a questo induce l’espressione anomala di certi geni cellulari, riarrangiamenti ed altre alterazioni geniche. Sebbene siano numerose le correlazione fra HCV e carcinoma epatico, sfugge ancora il meccanismo oncogeno di questo virus, che si pensa agisca essenzialmente attraverso la cirrosi e la relativa naturale progressione di essa a tumore. Una importante conseguenza di questo è che il paziente con infezione cronica da HBV è a rischio di carcinoma anche se non ha la cirrosi. Carcinogeni chimici e tossine:

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• Aflatossina B: tossina di un fungo (Asperigillus Flavus) che infetta in genere le derrate alimentari non correttamente conservate, tipico di alcune regioni dell’Africa dove queste vengono conservate nelle buche scavate per terra. Questa tossina sembra capace di interferire con l’espressione della p53.

• Vinilcloruro • Amianto • Anabolizzanti ed estrogeni

Aspetto morfologico Nodulare: Aspetto più comune, singola lesione infiltrativa. 60 – 70 % Multinodulare: 20 – 30% Diffuso (spreeding) <1%; infiltrazione massiva e destruente Una forma a piccoli noduli e ben differenziata ha la migliore prognosi, mentre quella diffusa poco differenziata ha la prognosi peggiore e crescita più rapida.

Clinica Dolore addominale 70-90% Calo ponderale 35% Astenia 30% Ittero e vomito 8% Emoperitoneo 12% Massa addominale 43%

I sintomi peraltro abbondanti possono passare inosservati con una certa facilità perché spesso in questi pazienti esiste un quadro sottostante di ascite, e quindi si interpreta la sintomatologia come un peggioramento di essa. I rilievi di laboratorio e il monitoraggio ecografico servono appunto ad evitare che si creino errori interpretativi di questo genere. In genere frequenti sono gli aumenti della ALP e dell’aFP, e anche una forma atipica della protrombina (des-gamma-carbossiprotrombina) Le complicanze più temibili dell'epatocarcinoma sono l'ittero ostruttivo, l'enterorragia da rottura di varici esofagee e l'emorragia intraperitoneale da rottura del tumore stesso Una percentuale di pazienti può avere anche una sindrome paraneoplastica, per lo più associata alla produzione da parte del tumore di: Eritropoietina Ipercalcemia aFP, CEA, ALP, gGT Ipoglicemia Ipercolesterolemia Porfiria cutanea tarda

Diagnosi → Ecografia: l’indagine di primo approccio per eccellenza, serve a monitorare la progressione della cirrosi e l’eventuale comparsa di noduli primitivi in soggetti ad alto rischio, in etilisti cronici, in malati di epatite C. Un HCC primitivo appare come un nodulo rotondeggiante solitamente anisoecogeno (si tenga presente che non c’è sempre corrispondenza tra ecogenicità e densità rilevata con la TC). Ogni neoformazione epatica riscontrata con questo metodo deve essere indagata con tecniche successive. La sensibilità di questo esame è alta per i noduli di diametro maggiore ai 3 cm, ma comunque con i nuovi mezzi di contrasto selettivi per il tessuto epatico è possibile discriminare lesioni > 1 cm, anche se isoecogene. Di solito infatti le forme piccole sono ipoecogene, quelle grandi iso o iperecogene. La presenza di una struttura iperecogena periferica molto sottile indica la presenza di una capsula limitante esterna. Se poi vi sono vasi sanguigni adesi alla capsula ciò è molto utile per la diagnosi. La rilevazione può essere ostacolata dai noduli della cirrosi. → Color doppler: sebbene poco utile per differenziare angiomi da epatocarcinomi (flusso troppo lento nei primi) è importante per identificare il pattern di vascolarizzazione del tumore e scoprire eventuali lesioni trombotiche nel parenchima.

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→ TC spirale: permette la risoluzione della diagnosi differenziale fra epatocarcinoma e angioma epatico sintomatico, dubbio che si pone in una minoranza di casi e che non può essere risolto dalla semplice ecografia perché il flusso sanguigno all’interno dell’angioma è troppo lento per dare origine all’effetto Doppler e così l’intera struttura sembra avascolare. Alla TC l’epatocarcinoma appare come una massa primitiva, ipo o isodensa, con eventuali lesioni satelliti. Il mezzo di contrasto viene preso in maniera disomogenea per via della presenza nel tumore di trombi e di shunt AV. Ricordare che i tumori primitivi prendono il mezzo di contrasto molto meglio delle metastasi; questa discrepanza è maggiore nella fase arteriosa dell’infusione di mezzo di contrasto. Alcuni tumori possono assumere un aspetto infiltrativo, in genere gli epatocarcinomi e alcuni linfomi, e quindi avere una difficoltà diagnostica per l’assenza di lesioni nodulari. Questi possono essere diagnosticati con la TC che presenta una disomogenicità parenchimale diffusa con riduzione del coefficiente di attenuazione. → Risonanza Magnetica Nucleare: Spesso è usata al posto dell’ecografia per la sua maggiore sensibilità, ma ha un costo più elevato ed è più complessa da utilizzare. Segnale variabile in T1 rispetto al contenuto fibroso e alla steatosi, iperdenso in T2. Definisce meglio della TC la capsula del tumore e la struttura interna della lesione. → Arteriografia dell’arteria epatica: Anche questa viene usata per la diagnosi differenziale con gli angiomi. Viene fatta una arteriografia su tripode celiaco e mesenterica superiore; 20-30 sec dopo l’infusione il mezzo di contrasto si distribuisce al fegato. La visualizzazione del circolo delle sovraepatiche è possibile tramite la cateterizzazione della cava e la sua occlusione con palloncino. L’iniezione successiva di mezzo di contrasto che è costretto a ristagnare rende visibili le vene. Queste metodiche sono state quasi abbandonate per via della possibilità di ottenere risultati migliori con l’ecografia. → Scintigrafia con tecnezio99: Permette l’individuazione delle cellule di Kupffer dentro la massa tumorale, che hanno una attiva captazione del mezzo di contrasto. La neoplasia epatica si differenzia così in epatocarcinoma e colangiocarcinoma, oltre che per altri segni di cui si dirà dopo. Gli esami di laboratorio, ricordati nella clinica della malattia, sono importanti anche per la diagnosi oltre che per il follow-up post-terapeutico. I livelli critici di aFP sono superiori a 500 ug/l, in quanto livelli inferiori si hanno nelle neoplasie di altro genere che metastatizzano al fegato, nell’epatite virale, eccetera. La persistenza di alti livelli, oltre a 1000, è indice abbastanza sicuro di neoplasia epatica in presenza di un quadro clinico compatibile. Risolutiva nei confronti di una lesione identificata mediante le tecniche di imaging è la biopsia epatica percutanea, oppure in via laparoscopica. La biopsia si esegue sotto guida ecografica, per via percutanea transpleurica con ago di Menghini modificato. La procedura comporta una mortalità irrisoria (<0,1%) ma è da evitare in molti pazienti con cirrosi o comunque insufficienza epatica a causa della piastrinopenia e della coagulopatia sottostante. Altra complicazione può essere lo spreading, cioè la diffusione iatrogena delle cellule neoplastiche nel cavo peritoneale e pleurico, che può pregiudicare la guarigione da malattia qualora venga eseguito un trapianto. La sensibilità della biopsia è dell’86%, limitata soltanto dall’eventualità di mancare il nodulo con l’ago, mentre la specificità è del 100% (nessun FP se il patologo è capace)

Terapia interventistica radiologica (vedi radiologia interventistica, cap 2.8)

Valutazione prognostica Si usa la classificazione di Child

Score Bilirubina (mg/dl)

Albumina (gm/dl) PT (Sec) Encefalopatia Ascite

1 < 2 > 3.5 1 - 4 None None 2 2 - 3 2.8 - 3.5 4 - 6 1 - 2 Mild

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3 > 3 < 2.8 > 6 3 - 4 Severe

Child class: A: 5 - 6, B: 7 - 9, C: > 9.

METASTASI Sono lesioni focali di riscontro frequente.

Ecografia Le lesioni assumono variabilissimi aspetti, a seconda del tumore di provenienza: • Noduli solidi anecogeni → origine ovarica o mammaria • Noduli solidi iperecogeni a bersaglio → origine colica o rettale • Ecostruttura mista Spesso coesistono forme di ecostruttura diversa; in genere nelle lesioni più grandi è frequente trovare aree lacunari centrali corrispondenti a necrosi. L’accuratezza dell’ecografia è buona (80%) ma scende se si osservano le lesioni nel fegato steatosico-

TC Nella maggior parte dei casi assumono l’aspetto di lesioni ipodense e disomogenee, che captano il mezzo di contrasto in maniera meno evidente del parenchima (tale differenza è maggiore nella fase iniziale dell’infusione). L’accuratezza è elevata (85-90%) e alcuni la considerano la metodica di prima istanza.

RM Le metastasi sono ipodense rispetto al parenchima in T1 e iperdense in T2. Non è possibile identificare esattamente la natura delle lesioni senza ricorrere alla biopsia epatica. Alcune lesioni però sono identificabili all’ecografia e non hanno bisogno della biopsia ecoguidata: • Iperplasia nodulare focale • Angiomi • Epatocarcinoma fibrolamellare (variante giovanile a prognosi migliore), in cui però va fatta biopsia per il

grading • Lesioni cistiche

ANGIOMI Gli angiomi assumono all’ecografia caratteristiche abbastanza peculiari di una lesioni a margini netti e regolari con ecostruttura iperecogena regolare omogenea. Nel 95% dei casi l’ecografia è sufficiente a fare la diagnosi anche se il doppler, causa la lentezza del flusso, non può esservi applicato in maniera risolutiva. Alla TC con mezzo di contrasto assumono il colorante in maniera lenta, abbondante e progressiva; a volte le lesioni più grandi sono fibrose al centro e questo può rallentare ulteriormente la captazione del colorante, creando problemi di diagnosi differenziale con le metastasi che come detto sono meno captanti del parenchima normale. Alla RM sono caratteristici, con segnale ipodenso in T1 e molto iperdenso in T2, cosa che consente quasi sempre la loro differenziazione dalle metastasi nei casi dubbi a TC ed ecografia; assume importanza anche la scintigrafia con globuli rossi marcati con Tc99.

ADENOMI E IPERPLASIA NODULARE FOCALE Sono entrambi lesioni rotondeggianti che all’ecografia hanno una struttura iso o ipoecogena, regolare. A volte possono avere un’area iperecogena stellata al centro con tessuto fibroso. Però con le tecniche doppler si possono mettere in evidenza dei segnali centrifughi di flusso arterioso alla periferia. Se si hanno queste due caratteristiche la diagnosi è agevole. TC e RM sono poco migliori, e si basano sempre sulla ricerca dell’area stellata che non è costantemente presente. Possono però dare informazioni di diagnosi differenziale fra adenoma e iperplasia osservando la presenza nel primo di aree di necrosi o emorragia.

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Unica tecnica che permette la diagnosi differenziale è la scintigrafia con Tc99 che viene attivamente captato dall’adenoma.

CISTI Le cisti sono ecograficamente diagnosticabili come formazioni rotondeggianti con ecostruttura liquida pura, a margini netti. Questo è sufficiente a differenziarle da ogni lesione focale di natura solida. Quelle da echinococco possono però, dopo qualche tempo, sepimentarsi in numerose “cisti figlie” che contengono il parassita attivo. La presenza di calcificazioni nella parete è un importante segno che indica la inattività della cisti. Il ricorso alla TC è indicato solo quando ci sono difficoltà per l’esecuzione dell’ecografia (grasso, meteorismo).

ASCESSI In genere di qualsiasi natura siano sono accompagnati da una chiara sintomatologia clinica (febbre remittente, leucocitosi, perdita di peso, astenia, nausea e malessere). La TC è l’indagine di elezione per la loro osservazione, dato che non sempre quelli piccoli sono visibili all’ecografia. Sono aree ipodense, di forma e margini irregolari, con alone periferico ipodenso dopo il contrasto (capsula). All’interno possono avere sepimentazioni, ma il tipico aspetto è quello d una lesioni “a bersaglio” con un alone esterno costituito dalla capsula e uno interno dalla componente colliquata dell’ascesso. Possono anche essere presenti livelli fluidi o idroaerei (la presenza di gas è un segno sfavorevole perché si associa alla presenza di anaerobi).

10.2 PATOLOGIE DIFFUSE DEL FEGATO

EPATITI DIFFUSE In genere la diagnosi di queste affezioni è puramente clinica. L’ecografia può dare informazioni di massima osservando un fegato di dimensioni aumentate ma con ecostruttura normale. Solo nel caso di necrosi acuta il parenchima ha ecostruttura ipoecogena disomogenea e dimensioni ridotte. o TC e RM non hanno essenziali indicazioni diagnostiche

STEATOSI La steatosi in genere si associa a numerose condizioni patologiche ed è quindi un segno molto aspecifico. Si diagnostica facilmente all’ecografia con la presenza di echi di piccole dimensioni, diffusamente ispessiti, che determinano una difficoltà alla penetrazione degli ultrasuoni (il grasso li ostacola) e rendono mal visibile il lobo caudato e i segmenti profondi del lobo destro. Importante anche la drastica riduzione dell’ecogenicità del rene destro rispetto al sinistro per via dell’aumento dell’attenuazione da parte del fegato. Si accompagna ad aumento di volume epatico e può essere focale (a “zolle”) e per la sua attenuazione può mascherare la presenza di lesioni focali .

CIRROSI Si caratterizza sul piano istopatologico per la presenza di noduli di rigenerazione in associazione con aree di fibrosi, e per la disorganizzazione della struttura del parenchima. Queste modificazioni si riflettono anche sul piano radiologico.

Ecografia E’ l’indagine di prima scelta e consente di rilevare tutti i segni di cirrosi • Variazione di volume: aumenta nelle forme da alcool • Variazioni di morfologia: diminuisce il volume del lobo destro mentre aumenta quello del lobo caudato

per ipertrofia compensotoria. Il rapporto fra il caudato e il destro diventa maggiore di 0,65. • Segni diretti:

o Irregolarità dei margini o Alterazione della tessitura o Alterazioni vascolari: i vasi portali e le sovraepatiche spesso risultano dislocati e compressi,

a decorso tortuoso per la presenza dei noduli di rigenerazione. • Ipertensione portale

o Circoli collaterali: Vene coronaro-stomaciche con vene esofagee Plesso emorroidario Sistema del Retiuz

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Vene paraombelicali • Nodularità: forma macronodulare in genere da epatite, forma micronodulare (<1cm) in genere da alcool.

La nodularità non è un carattere distintivo assoluto e le lesioni nodulari devono essere sempre considerate con sospetto per la possibilità di insorgenza di HCC molto spesso derivato direttamente da cirrosi (specie se HCV relata).

Nelle forme micronodulari però l’ecografia può anche risultare completamente normale. Le tecniche doppler possono dare informazioni molto importanti sullo studio dell’ipertensione portale.

Tecniche di seconda istanza La presenza di noduli di rigenerazione che captano attivamente il ferro può essere agevolmente identificata con la RM (il ferro è un super paramagnetico). La TC è in grado di valutare efficacemente il volume epatico e i circoli collaterali dell’ipertensione portale. Infine la scintigrafia con radio colloide, raramente usata, permette l’osservazione di una ridotta captazione epatica che viene compensata da un aumento della captazione del tracciante da parte dei macrofagi splenici e midollari (compensatoria).

10.3 INDAGINI DELLA COLECISTI

Ecografia Studio quasi sempre di prima istanza, che diagnostica praticamente da sola la colelitiasi, le colecistiti e a volte anche le neoplasie. Consente lo studio della cinetica della contrazione della colecisti. Il paziente deve essere preparato con carbone vegetale per ridurre il meteorismo intestinale e a digiuno da almeno 8 ore per garantire presenza di bile nell’albero biliare e nella colecisti, che distende anche il campo di indagine. L’accesso è sottocostale e in inspirazione profonda, tramite la finestra acustica epatica. Le vie biliari intraepatiche più piccole visibili sono i dotti biliari segmentari, negli spazi portali, quando sia presenta una ectasia anche lieve: si riconoscono perché duplicano l’immagine dei vasi portali (immagine a doppia canna di fucile). I dotti epatici destro e sinistro si vedono normalmente. La colecisti è ovalare se presa trasversalmente, piriforme se presa longitudinalmente. E’ ridotta dopo pranzo, con pareti contratte e ispessite. La via biliare principale è sempre apprezzabile ad eccezione del tratto dietro a pancreas e duodeno per la presenza di gas intestinali. La bile ha ecostruttura liquida come il sangue, e a volte per differenziare le vie biliare ectasiche dai vasi è necessario il color doppler.

RX diretta Decubito prono, fianco destro sollevato. Da informazioni utili soltanto sui calcoli radiopachi.

Colecistografia orale Studio di seconda istanza. Si somministra mezzo di contrasto per os 12-16 ore prima dell’esame: frequentemente si ha una scarsa opacizzazione della colecisti, principale limite. Si usa in genere acido iopanoico e acido icotamico. Il paziente rimane digiuno dalla somministrazione fino all’esame. La colecistografia è possibile perché il mezzo di contrasto viene assorbito nell’intestino ed escreto dopo coniugazione con la bile. Nella colecisti si ha concentrazione di 10 volte del mezzo di contrasto per il riassorbimento idrico. Alcune cause di mancata opacizzazione della colecisti sono: • Ostruzione intestinale, esofagea, pilorica • Ritardo di svuotamento gastrico • Turbe intestinali come malassorbimento o diarrea • Colecistite • Calcoli incuneati nel cistico o nell’infundibulo • Riassorbimento o mancata concentrazione del mezzo di contrasto nella colecisti Normalmente si riesce ad evidenziare la sola colecisti (fondo, corpo, infundibulo); se viene provocata la contrazione si riesce spesso a vedere il dotto cistico e solo occasionalmente il coledoco. Indicazioni alla colecistografia orale sono:

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• Valutazioni di malformazioni colecistiche • Analisi della parete della colecisti • Valutazione della natura dei calcoli • Studio della contrazione della colecisti

TC Come complemento all’ecografia nello studio degli itteri ostruttivi neoplastici per la migliore definizione dell’estensione locale delle masse epatiche maligne. Trova indicazione nella dimostrazione delle perforazioni e nella valutazione combinata delle patologie pancreatiche che riconoscono una eziologia anche biliare. Esiste una tipologia di mezzo di contrasto ad escrezione biliare molto sicura. Si riesce in genere a visualizzare i dotti segmentari nel 40% dei casi, in fase di ridistribuzione epatica del mezzo di contrasto. Tutte le strutture sottostanti sono visualizzate bene, ma la giunzione fra il dotto cistico e la via biliare principale non è sempre ben visibile.

RM e Colangio-RM Esiste il mezzo di contrasto paramagnetico per la colecisti, e lo studio con l’RM trova indicazione come complemento all’ecografia nell’ittero ostruttivo e per la miglior definizione dell’area occupata da masse epatiche. Si dimostra costantemente e con certezza solo la via principale e la colecisti: in caso di dilatazione però tutto l’albero biliare è ben evidenziato fino al livello dell’ostruzione. La bile è iperintensa in T2 con segnale di tipo liquido; in T1 varia a seconda della concentrazione (diminuisce dopo pranzo quando l’acqua costituisce il 95% della bile).

Scintigrafia Derivati dell’acido imminodiacetico marcati con Tc99 per la documentazione di quasi tutte le alterazioni, in quanto si riesce a visualizzare tutte le strutture della colecisti e a studiare efficacemente il transito del mezzo di contrasto.

ERCP “Colangio Pancreatografia Retrograda Endoscopica” Accesso retrogrado all’albero biliare durante l’endoscopia; si introduce un endoscopio a visione laterale fino alla papilla, e poi con apposita cannula si incannula la papilla stessa. In essa viene iniettato un mezzo di contrasto uroangiografico diluito a bassa pressione prima nel dotto pancreatico e poi nel coledoco. Le complicazioni sono basse e la metodica è molto buona. Le controindicazioni sono la pancreatite acuta e le pseudocisti pancreatiche. Unisce la possibilità di valutazione endoscopica diretta della papilla e dello sbocco dei dotti escretori alla possibilità di evidenziare radiologicamente tutto l’albero biliare in maniera molto dettagliata, in quanto è possibile anche prolungare l’iniezione di mezzo di contrasto onde visualizzare efficacemente anche i dotti biliari intraepatici. Evidenzia ogni difetto morfologico dei dotti biliari, calcoli, e sede di stenosi e occlusioni con accuratezza del 100%. La natura dell’ostruzione viene identificata nel 95% dei casi. Inoltre è possibile effettuare durante l’esame biopsie, estrazione di calcoli con basket, papillotomie decompressive.

Radiologia interventistica Vedi capitolo 2.4

10.4 PATOLOGIA DELLA COLECISTI

MALFORMAZIONI Possono essere numerose a tutti i livelli: • Colecisti (agenesia, duplicazione, malposizione, atresia, anomalie di forma, presenza di setti e stenosi) • Dotto cistico (anomalie di sbocci, di lunghezza, decorso, dilatazione cistica congenita) • Dotti biliari (agenesia, atresia, stenosi, presenza di dotti accessori, dilatazione segmentaria) • Coledoco • Papilla

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Tute queste alterazioni possono essere efficacemente indagate con la colecistografia orale e l’ecografia. Indagini fini possono essere eseguite anche con la colangiografia RM

CALCOLOSI BILIARE E’ la patologia più frequente a carico della colecisti. Lo studio per immagini serve a identificare i calcoli e riconoscerne la natura, riconoscere le complicanze, programmare interventi risolutivi (con la identificazione del tipo di calcolo) e infine identificare se possibile la patologia di base che ne favorisce la formazione. Assume a questo proposito importanza la tipologia dei vari calcoli. Ricordando che praticamente tutti i calcoli sono formati da diversi tipi di sostanze e che in ogni tipo è presente calcio in componente variabile (che ne determina la radiopacità) si possono distinguere vari tipi di calcoli.

Fattori predisponenti alla formazione di calcoli sono: • Razza e luogo di residenza: Centro America, Messico, Cecoslovacchia e Svezia alta prevalenza, bassa

in Africa, Cina e India • Età: in età adulta aumenta la produzione di colesterolo • Sesso: più frequente nella donna • Obesità e dieta • Diabete e iperlipidemia • Terapia con fibrati: induttori della lipoproteinlipasi, questi farmaci riducono il pool di colesterolo

circolante, ma causano un aumento della produzione epatica di colesterolo rendendo la bile più litogenica.

• Cirrosi epatica: la prevalenza di colelitiasi nel cirrotico è maggiore di due-tre volte che nel soggetto normale, a causa della cronica emolisi, e infatti si hanno calcoli di pigmento anziché di colesterolo

• Emolisi • Malattie del tenue: riducono il riassorbimento dei sali biliari, rendendo la bile più satura in colesterolo.

Il rischio aumenta di quattro volte. • Fibrosi cistica: la diminuzione del riassorbimento qui si somma anche all’aumento della viscosità delle

secrezioni che possono saturare la bile. • Chirurgia gastrica: provoca la diminuzione della motilità della colecisti.

Ecografia E’ l’esame di elezione per l’identificazione dei calcoli nella colecisti e nei dotti intraepatici con elevata accuratezza (sensibilità 98%), meno per l’identificazione dei calcoli della via biliare principale. → I calcoli della colecisti sono formazioni endoluminali fortemente ecogene, che hanno un caratteristico e importante cono d’ombra posteriore. Calcoli con poco calcio e recenti possono avere uno scarso cono d’ombra. In genere in questi calcoli l’iperecogenicità è limitata al mantello, che è la zona che si calcifica per prima. Le misure minime osservabili in condizioni ottimali sono di circa 1 mm; in genere affondano nella bile e a paziente supino si trovano nella parete posteriore della colecisti; quelli puri di colesterolo galleggiano. Alcuni rilievi ecografici si associano spesso alla colelitiasi: • Sospensione finemente particolata → bile densa • Echi grossolani in sospensione → infiammazione e presenza di essudato corpuscolato • Aumento di ecogenicità della bile che diventa simile al parenchima epatico → fango biliare

TIPO COMPOSIZIONE % CA EZIOLOGIA OPACITÀ DIMENSIONI Colesterinici puri Colesterolo < 4% Diminuzione delle sostanze che

solubilizzano il colesterolo o aumento della sua concentrazione

NO < 1cm

Puri di bilirubinato di calcio

Bilirubinato Elevata Accumulo e precipitazione di bilirubina indiretta, promossa da infezioni biliare

SI

Misti Aschoff I Nucleo colesterinico e mantello di bilirubinato di calcio

Media Nucleo NO, mantello SI

Misti Aschoff II Nucleo misto, mantello di bilirubinato

Elevata nel mantello

Nucleo poco,

mantello SI

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→ I calcoli dei dotti intraepatici sono strutturalmente identici ai precedenti, e spesso si dispongono in maniera impilata nei dotti (il primo calcolo che provoca stenosi fa ristagnare la bile e facilita la formazione di calcoli a monte). → I calcoli della via biliare principale sono a volte non apprezzabili per la presenza dell’intestino gassoso davanti, e possono essere sospettati in presenza di una ectasia della via biliare.

Altre metodiche Alla colangio RM si possono evidenziare tutti i calcoli indipendentemente dalla loro posizione come aree rotonde e prive di segnale nel contesto della bile marcatamente intensa. Il limite di risoluzione si ferma e 3 mm. L’esame diretto consente spesso di identificare la morfologia dei calcoli valutandone la trasparenza o la l’opacità. La TC consente di evidenziare la composizione strutturale del calcolo con misurazioni densitometriche che permettono a volte di analizzarne la struttura, ma non è sempre efficace. E’ migliore la colecistografia orale che permette di identificare i calcoli come masserelle endoluminali lacunari, in cui il mezzo di contrasto non entra. In posizione eretta i calcoli si stratificano nella bile secondo la loro densità (menisco di Akerlund).

PATOLOGIA INFIAMMATORIA DELLA COLECISTI E DEL COLEDOCO L’ecografia e la colecistografia diagnosticano efficacemente sia le colicistiti litiasiche e non litiasiche (rare); il loro ruolo è però principalmente quello di valutarne le complicanze e di fornire informazioni sulle possibili cause del processo infiammatorio.

Colecistite acuta L’ecografia dimostra: • Aumento uniforme di spessore della parete, con diminuita ecogenicità per edema • Presenza di calcoli • Ispessimento del tessuto circostante alla colecisti per estensione della flogosi • Eventuali raccolte fluide (perforazione) La presenza di bile corpuscolata (da pus e fibrina) con aumento di volume sono un chiaro segno di evoluzione verso l’empiema. L’esame diretto addome dimostra ileo paralitico secondario con la possibile presenza di anse sentinella in regione duodenale.

Colecistite cronica L’ecografia dimostra: • Riduzione di volume della colecisti fino all’atrofia conclamata • Aumento di spessore ed ecogenicità della parete per sclerosi • Alla scintigrafia il tempo di visualizzazione della colecisti è tardivo L’esame diretto può indicare la presenza di calcificazioni (colecisti a porcellana) e di bile opaca.

Colangiti Sono forme infiammatorie delle vie biliari in genere sostenute da processi infettivi. All’ecografia si dimostra: • Ispessimento della parete delle vie biliari • Aerobilia • Ectasia irregolari dei dotti biliari • Diminuzione dell’ecogenicità del parenchima biliare adiacente, con possibile formazioni di ascessi e

calcoli. In questi casi la colangiografia percutanea transepatica possono essere importanti per manovre decompressive e per il prelievo di bile infetta.

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Colangite sclerosante Forma degenerativa associata a RCU o primitiva, dà luogo a progressiva sclerosi e obliterazione delle vie biliari con formazione di ectasie irregolari a corona di rosario, visibili alla TC e all’ecografia ma del tutto aspecifiche. La diagnosi è posta quindi solitamente tramite biopsia durante una ERCP.

NEOPLASIE DELLA COLECISTI I tumori benigni (adenoma e papilloma) si trovano di solito nel fondo in costante rapporto della parete e non offrono particolari problemi di diagnosi differenziale. I tumori maligni che interessano le vie biliari sono di tre tipi. Colangiocarcinoma: La neoplasia delle cellule dell’epitelio biliare extraepatico colpisce al 60% gli uomini, fra la 5° e la 7° decade; ha una eziologia associata a:

- infezioni parassitarie e virali a carattere cronico delle vie biliari - anomali congenite con ectasia - colangite sclerosante - colite ulcerosa - esposizione professionale a cancerogeni della lavorazione della gomma

La colelitiasi invece non è ancora stata accertata come agente eziologico, Il colangiocarcinoma è di due tipi: diffuso e nodulare (tumore di Klatskin). Quest’ultimo è spesso localizzato alla biforcazione del coledoco, dove si riuniscono i due dotti epatici. La colecisti in questo caso spesso scende, e se ne permette la visualizzazione alla colangiografia. Questo aspetto è detto colecisti collassata. Il tumore di Klatskin si distingue in tre aspetti morfologici, associati a stadi progressivamente peggiori

- interessamento di un singolo dotto epatico - interessamento di tutte e due i confluenti epatici - diffusione multifocale nella zona della giunzione

L’intervento chirurgico è possibile solo nel caso del primo tumore. La clinica delle neoplasie dell’epitelio extraepatico di solito è caratterizzata da: • ostruzione biliare • ittero non accompagnato da dolore • prurito • calo ponderale • feci acoliche • a volte dolore sordo vagamente localizzato nell’ipocondrio di destra • a meno che la lesione interessi una regione alta del dotto, la colecisti è palpabile e distesa In genere la colestasi si manifesta solo durante uno stadio avanzato di neoplasia. Questo provoca un ritardo diagnostico a volte anche parecchio importante. La diagnosi viene solitamente posta dopo colangiografia per un riscontro ecografico di dilatazione delle vie biliare intraepatiche; la massa viene comprovata all’ecografia e successivamente studiata alla TC: la stadiazione richiede spesso la biopsia con ago tranciante. Carcinoma della papilla di Vater; Può essere sede di metastasi dei tumori epatici, del pancreas e del duodeno. Primitivamente ospita sarcomi, carcinomi o adenocarcinomi. Gli adenoK vegetanti sono caratterizzati dalla crescita lenta, dalla prognosi clinica più favorevole, rispetto ai tumori infiltrativi della papilla, che sono spesso diffusamente invasivi. In genere la sintomatologia è quella dell’ittero ostruttivo, e la tecnica diagnostica è la colangiopacratografia retrograda endoscopica, che permette la visione e la biopsia della papilla e la pancreatografia per escludere K della testa del pancreas. La terapia è un’ampia escissione chirurgica, che purtroppo però spesso deve fare i conti con la possibilità di trovare metastasi a distanza, e quindi una sopravvivenza limitata Cancro della colecisti: La maggior parte dei tumori della colecisti si sviluppa in presenza di calcoli anziché in associazione con i polipi, anche se comunque anche in questi pazienti il rischio rimane molto basso. F>M 1:4, età media di insorgenza 70 anni. Incidenza 3 casi su 100000 abitanti anno negli Usa.

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La forma più comune sono gli adenocarcinomi dell’epitelio secernente della colecisti. Clinicamente nella maggior parte dei casi si tratta di episodi di dolore, calo ponderale, ittero e massa palpabile. In alcuni casi si può sovrapporre una colangite. Si distingue in una forma infiltrante scirrosa, in cui non è facile la diagnosi differenziale con le colecistiti croniche, e una forma papillare vegetante di agevole diagnosi ecografica. Si diagnostica con l’ecografia, la TC, e l’agobiopsia ecoguidata. La TC assume molta importanza soprattutto nella valutazione dello sconfinamento epatico del tumore. La prognosi di questo tipo di tumore è estremamente grave: in genere il 75% dei pazienti non sono asportabili al momento dell’operazione, e di questi il 96% muoiono entro l’anno. Fanno eccezione quei casi scoperti casualmente durante una laparoscopia esplorativa. La radio e la chemioterapia non sono efficaci.

10.5 RUOLO DELLA DIAGNOSTICA RADIOLOGICA NELL’ITTERO La radiologia diretta addominale ha un ruolo marginale.

Ecografia La dilatazione delle vie biliari è estremamente facile da osservare con l’ecografia (accuratezza 92%), ed è un reperto immediato di un ittero colestatico ostruttivo. Per cui in un paziente con ittero si chiarisce tramite ecografia: • se esiste dilatazione delle vie biliari • a che livello è l’ostacolo • eventuali processi provocanti l’ostruzione La dilatazione del coledoco inizia già dopo 4 ore dalla comparsa dell’ostruzione acuta, mentre le vie biliari intraepatiche si dilatano lentamente, in maniera “centrifuga” rispetto al dotto epatico comune, e spesso asintomatica. Invece nelle forme croniche, soprattutto neoplasie della testa del pancreas, questa dilatazione avviene lentamente e riguarda soprattutto le vie biliari interapatiche (risulta quindi meno immediata da identificare). In particolare la bilirubinemia rimane a lungo normale e non si hanno evidenze di ittero. Assume allora importanza l’osservazione di marker come le gamma GT in caso di sospetto clinico, molto più precoci. Nelle forme neoplastiche l’ecografia ha anche la possibilità di osservare le strutture vicine al pancreas e i linfonodi per dare informazioni ulteriori sulla neoplasia. Vi sono condizioni in cui nonostante l’ostruzione delle vie biliari queste non si dilatano, ad esempio nelle forme molto recenti, o nella coledocolitiasi con ostruzione incompleta, oppure nelle forme di colangite sclerosante. L’ecografia riesce ad identificare agevolmente la sede dell’ostruzione eccetto che nel coledoco terminale, coperto spesso dal meteorismo intestinale. E’ molto meno accurata invece nel determinare di che natura sia l’ostacolo

Colangiografia endovenosa Nei pazienti itterici con bilirubinemia superiore a 3 mg/dl non può essere effettuata. Si usa quindi in pazienti con precise indicazioni: • presenza di calcoli distali del coledoco (specie in pazienti colecistectomizzati) • incremento di fosfatasi alcalina e gamma GT • ecografia negativa • sintomatologia di colica biliare

ERCP Possibilità di visualizzare il coledoco distale, con visione diretta della papilla. Possibilità di effettuare biopsie e pancreatografia durante l’esame. Le biopsie possono essere a raschiamento o per aspirazione, sulla papilla o sulla bile stessa. Consente la estrazione della maggior parte dei calcoli nella via principale.

Colangiografia percutanea Metodica di intervento possibile in alternativa alla ERCP

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TC Consente una analisi contemporanea del parenchima, della colecisti e delle vie biliari. Il limite principale è la necessità di effettuare scansioni assiali del coledoco che riportano una serie di sezioni, mentre invece nell’ecografia si può osservare tutto il decorso. Essa però non ha le limitazioni dell’ecografia (aria, grasso, cicatrici) per lo studio del tratto terminale del coledoco, che è quello più importante. Essa dunque rileva la sede dell’ostruzione soltanto nell’85% dei casi (meno dell’ecografia), ma la natura è identificabile nel 75% dei casi (quasi mai con l’ecografia). Inoltre consente un accurato panorama del campo di intervento in previsione dell’operazione chirurgica.

RM Presenta una ottima panoramicità e una risoluzione di contrasto superiore alla TC, con la possibilità di ottenere immagini multiplanari e non solo assiali. Si possono usare delle particolari sequenze nelle scansioni coronali di colangio RM con mezzo di contrasto paramagnetico che da risultati molto buoni. Il principale vantaggio è l’assenza di radiazioni ionizzanti e di mezzi di contrasto iodati osmolari.

Biopsia con ago sottile Importante perché tutte le tecniche di imaging sono morfologiche non istopatologiche e non possono dare molte informazioni sulla natura dei processi ostruttivi.

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CAP 11 PATOLOGIA DEL PANCREAS

11.1 ESAMI DISPONIBILI

METODICHE DIRETTE

RX addome Non da informazioni dirette sul pancreas, ma soltanto analisi indirette come la distensione di anse intestinali vicine. L’unico caso in cui può visualizzare direttamente delle alterazioni è nella presenza di calcificazioni all’interno dei dotti o di aree di necrosi calcificate.

Ecografia La tecnica di prima istanza è spesso l’ecografia, anche se è molto limitata nell’osservazione diretta della ghiandola. Richiedendo una lunga preparazione intestinale con eliminazione dei gas e svuotamento del trasverso, si preferisce spesso andare direttamente alla TC. Il pancreas normale ha una ecostruttura solida omogenea, e spesso il Wirsung è dimostrabile come una immagine iperecogena a binario. I vasi pancreatici si visualizzano con il doppler. L’ecografia trova applicazione anche nell’esecuzione delle biopsie pancreatiche.

TC Esame fondamentale. Il mezzo di contrasto baritato diluito rende possibile l’individuazione delle anse digiunali e dello stomaco, punti di repere importanti. Può anche essere eseguita una scansione con mezzo di contrasto iodato endovena per lo studio dei tumori pancreatici ipervascolarizzati. Offre informazioni sulla morfologia, contorni, sui piani adiposi circostanti (importantissimo in corso di pancreatite acuta per il frequente ed esteso interessamento). Il parenchima in condizioni normali è densitometricamente omogeneo.

RM Consente lo studio del parenchima con sequenze particolari messe a punto appositamente (pancreatico-RM) e la visualizzazione del sistema duttale pancreatico. Nelle sequenze T1 pesate il tessuto adiposo si differenzia molto bene dal parenchima, agevolmente distinguibile anche dalle lesioni neoplastiche. In T2 il pancreas perde di contrasto, ma risultano molto ben visibili il coledoco, il tratto intrapancreatico del Wirsung ed eventuali raccolte fluide attorno alla ghiandola. La somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico negativo è anche molto importante per cancellare il segnale delle anse intestinali che è fonte di disturbo.

ERCP Trova indicazione nella diagnostica delle infiammazioni stenosanti della papilla e nei suoi tumori, ma soprattutto nella valutazione iniziale delle pancreatiti e nell’individuazione di piccoli carcinomi non risolvibili all’ecografia o alla TC.

Angiografia Si ricorre ad essa in seconda istanza per lo studio di tumori secernenti del pancreas endocrino; questi possono essere valutati sia con l’esame arterioso selettivo del tripode celiaco e della mesenterica superiore, sia con il cateterismo della vena splenica (misurazione delle sostanze secrete dal tumore in condizioni basali e dopo lo stimolo secretorio).

MODIFICAZIONI DELL’APPARATO DIGERENTE DURANTE LA PATOLOGIA PANCREATICA Occasionalmente lo studio dello stomaco, del duodeno e del colon può mettere in evidenza delle situazioni pancreatiche attraverso la dimostrazione di dislocazioni, compressioni, infiltrazioni. Questi segni indiretti, che assumevano più che altro importanza in era preecografica, sono comunque importanti perché fonte di rinvenimenti patologici occasionali. Sono importanti: • presenza di varici gastriche, del sollevamento dell’antro e del bulbo da compressione dello stomaco • slargamento della C duodenale, passaggio rapido del mezzo di contrasto baritato dalla prima alla seconda

porzione del duodeno (a getto d’acqua) per la compressione del duodeno (segno di Pannhorst) • segno del “3 rovesciato” di Frostberg per compressione della C duodenale

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• Dislocazioni del colon trasverso o della flessura colica di sinistra per masse pancreatiche rispettivamente del corpo e della coda.

11.3 PATOLOGIA DEL PANCREAS

ANOMALIE CONGENITE Ce ne sono alcune di un certo rilievo. • Pancreas diviso: secondo alcuni predispone alla pancreatite ricorrente: si tratta di una mancata fusione

dei due abbozzi pancreatici per cui il dotto di Wirsung drena la parte inferiore della testa e il processo uncinato, il dotto di Santorini corpo e coda. La diagnosi si fa con la ERCP

• Pancreas anulare: per difetti di rotazione il pancreas si avvolge attorno al duodeno provocando vari gradi di stenosi. La diagnosi viene sospettata all’RX addome per la presenza di due livelli aerei nel duodeno e nello stomaco, alla TC e RM, e viene confermata tramite ERCP nell’85% dei casi per dimostrazione del dotto anulare

• Fibrosi cistica: deficit genetico della secrezione acquosa e mucosa della ghiandola (e di tutti gli altri organi del corpo) con ristagno e attivazione intraduttale degli enzimi litici. La progressiva fibrosi e sostituzione adiposa, con formazione di cisti multiple, è la conseguenza della malattia. Il riconoscimento dell’interessamento pancreatico è possibile con l’ecografia (aumento dell’ecogenicità da fibrosi) e con la TC (calcificazione diffuse, diminuzione del valore di attenuazione per sostituzione adiposa)

• Cisti multiple: diagnosticabili all’ecografia.

PANCREATITE ACUTA La diagnosi è fondamentalmente clinica (dolore, amilasi, criteri di Ramson, esami di laboratorio, segni di shock), ma la diagnosi radiologica ha lo scopo di: • Definire il tipo di pancreatite e la situazione anatomopatologica • Definire l’interessamento extraghiandolare • Identificare le complicanze • Definizione della prognosi

Esame diretto addome Evidenzia a volte dei segni indiretti importanti, come la distensione delle anse centrali del digiuno (anse sentinella), o della C duodenale (più specifico), o del colon trasverso. Un opacamento dei quadranti addominali superiori può indicare la presenza di un versamento diffuso attorno alla ghiandola. Importante anche la possibilità di evidenziare un versamento pleurico, frequentemente accompagnato alla patologia pancreatica.

Ecografia Spesso ostacolata dalla distensione delle anse intestinali, non evidenzia alterazioni in oltre 1/3 dei casi. Nella forma edematosa rileva aumento di volume e dilatazione del Wirsung, nella forma necrotico-emorragica dopo le prime 24 ore si osserva l’area pancreatica ipoecogena con raccolte liquide corpuscolate nel contesto.

TC Analogamente all’ecografia può non rilevare alterazioni in oltre 1/3 dei casi. Assume però un importante valore prognostico la scansione con mezzo di contrasto. Nelle forme edematose rileva un ingrandimento diffuso del pancreas con diminuzione della densità del parenchima (edema), e scarsa definizione dei contorni. Queste forme sono del tutto benigne. Nelle forme necrotiche, invece, si osserva una diminuita densità del parenchima nelle prime 24-48 ore, mentre le aree emorragiche presentano elevata densità alla scansione diretta. Alla scansione con mezzo di contrasto si osserva l’alternarsi di aree a perfusione normale (vitali) e aree a perfusione scarsa o nulla (necrosi o edema). Successivamente le aree necrotiche vanno incontro a massiva colliquazione. Oltre a ciò la TC è utile per lo studio delle complicazioni. Riesce a identificarle tutte, a partire dalle raccolte fluide: la pancreatite è “complicata” quando la raccolta supera la barriera del peritoneo e coinvolge prima la retrocavità degli epiploon, e poi il peritoneo. Altra complicazione identificabile alla TC è la pseudocisti, una lesione cavitata che comunica con i dotti e si forma per l’azione litica degli enzimi. Si differenzia dalla cisti per l’assenza della parete e la presenza della comunicazione.

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Il flemmone pancreatico è la massa di tessuti adiacenti interessati dal processo di flogosi e necrosi: alla TC assume un aspetto eterogeneo, con presenza di bolle aeree ed aree di necrosi nel contesto.

PANCREATITE CRONICA Ci sono due tipi di lesione, la forma calcificata (in cui si ha come fattore provocante in genere l’abuso di alcool) e la forma ostruttiva, provocata dalla presenza di lesioni che ostruiscono il dotto pancreatico. L’esame diretto dell’addome identifica 1/3 delle calcificazioni. L’ecografia invece dimostra la diminuzione di volume per atrofia parenchimale, e un aumento dell’ecogenicità in relazione alla fibrosi della ghiandola. La TC è un esame di conferma della dilatazione della ghiandola e dei dotti, della sua sostituzione fibroadiposa, e dimostra calcificazioni o calcoli che ostruiscono il dotto in misura maggiore delle altre metodiche. Per l’individuazione delle forme iniziali di pancreatite cronica è del tutto fondamentale la ERCP; il dotto di Wirsung può presentare solo piccole variazioni di calibro, ma i dotti secondari appaiono già dilatati e tortuosi, spesso infiltrati. Nelle forme conclamate le alterazioni sono più grossolane e sono facilmente diagnosticabili.

NEOPLASIE PANCREATICHE ESOCRINE Sono adenocarcinomi che originano dall’epitelio dei dotti. Il carcinoma del pancreas è rappresentato per il 90% da adenocarcinomi duttali (cellule del dotto di Wirsung), mentre le forme a cellule insulari costituiscono il restante 5%. La testa del pancreas è interessata in maniera doppia, circa il 50% dei casi, rispetto al corpo (30%) e alla coda (20%). Si sviluppa attorno ai 50 anni, M = F, incidenza 10/105.

Eziologia Fattori di rischio certi sono: • Fumo di sigaretta • Caffè • Dieta iperlipidica • Pancreatite cronica • Contatto prolungato con i derivati del benzene Non sono invece associati a fattori di rischio eventi come alcolismo, diabete, colecistotomia.

Clinica Se si esclude l’ittero, i sintomi di esordio sono in genere abbastanza insidiosi. L’ittero invece ha comparsa improvvisa, senza dolore iniziale, ed è provocato dall’ostruzione del coledoco. Infatti il tumore si accresce nel lume e invade la parete, obliterando il dotto. Una volta che questo evento ostruttivo si è verificato, si manifestano i segni della clinica, ma è comunque ormai troppo tardi per intervenire: il 98% delle persone che sviluppano una neoplasia pancreatica muoiono per le sue conseguenze. • Dispepsia • Perdita dell’appetito • Astenia • Calo ponderale (sempre presente, per malassorbimento e per anoressia) • Dolore epigastrico a sbarra, spesso notturno, esacerbato dal cibo, di difficile controllo, che spesso

richiede oppiacei, quando soprattutto si verifica una infiltrazione dei nervi splacnici e del peritoneo. E’ più forte se associato a neoplasie del tronco e della coda, ed è caratteristicamente attenuato dalla flessione delle gambe sul bacino.

• Urine ipercromiche • Feci di aspetto chiaro • Prurito • Regola di Courvoisier: colecisti distesa e palpabile in assenza di colangite e senza colica biliare fa

ipotizzare una neoplasia del pancreas. Più raramente, il tumore può comprimere le strutture vicine, dando ipertensione portale e splenomegalia.

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La malattia ha una diffusione locale molto rapida, perché il pancreas non ha la tonaca sierosa essendo un organo retroperitoneale. Per contiguità diffonde rapidamente a duodeno, stomaco, vasi retroperitoneali. Diffonde anche rapidamente per via linfatica e per via celomatica.

Diagnosi La diagnosi precoce di questo carcinoma è molto difficile: infatti i sintomi e la clinica danno una evidenza minima soltanto quando la neoplasia si è già diffusa: questo accade per la rapidità di diffusione metastatica. I marker che esistono sono due: CEA: sensibile ma poco specifico CA19.9: sensibilità 81%, specificità 90%; non è però precoce. Attualmente si cerca di usarlo come programma di Screening. • Ecografia: associata allo studio radiologico con mezzo di contrasto per escludere ulcera peptica ed ernia

iatale. Riesce a volte ad evidenziare, con scarsi risultati, la neoplasia come una lesione nodulare solida iperecogena che si associa ad ectasia del Wirsung a monte. Nelle localizzazioni cefaliche è frequente l’infiltrazione del coledoco. I vasi pancreatici infiltrati possono essere dimostrati al color doppler.

• TAC: eccellente capacità prognostica, nella stadiazione e nella valutazione dell’operabilità. Il tumore ha un coefficiente di attenuazione molto simile a quello del parenchima, quindi nelle scansioni dirette è dimostrabile soltanto se provoca compressione di qualcosa. Invece con mezzo di contrasto assume il tracciante meno del parenchima normale.

• RM: elevata sensibilità nell’individuazione di piccole lesioni ipointense in T1 e iperintense in T2 • Retrograda: diagnostica le stenosi del Wirsung. Pochi falsi negativi, permette la diagnosi differenziale

fra la pancreatite cronica, le forme di papillite stenosanti e il carcinoma. • Agobiopsia con guida ecografica: conferma del sospetto clinico, evita l’intervento chirurgico, ma è

associata a rischio di disseminazione (seeding). • Angiografia: permette di valutare l’estensione della massa. Può essere importante la diagnosi differenziale fra pancreatite cronica e neoplasia, che si può fare osservando la presenza di stenosi del coledoco bruca, con profilo irregolare e distorsione marcata.

NEOPLASIE ENDOCRINE Sono una notevole quantità di APUD-omi (insulinoma, gastrinoma, VIPoma, somatostatinoma, glucagonoma). Sono rari (1/105), spesso funzionalmente attivi, di grading abbastanza basso ma con tendenza alla metastatizzazione anche precoce, e spesso le metastasi sono più aggressive del tumore originale. Vengono in genere sospettati per la loro attività funzionale, che è maggiore nelle metastasi che non risentono dell’effetto filtro del circolo epatico. Si ricorre allo studio radiografico per confermare la presenza del tumore, localizzarlo e programmare interventi di resezione, valutare la diffusione e per il follow up. All’ecografia si osserva il tumore casualmente; la sensibilità migliora con la metodica transgastrica o transesofagea. L’indagine elettiva di studio è la TRC, che dimostra bene i tumori attivi anche se piccoli, in quando sono dotati di grande vascolarizzazione e prendono bene il mezzo di contrasto. La RM può essere una buona alternativa. La scintigrafia è importante con traccianti recettoriali specifici anche perché dimostra la presenza di recettori per la somatostatina, offrendo la possibilità di instaurare una terapia medica. L’angiografia è importante per la possibilità di effettuare un cateterismo venoso mirato dell’asse splenoportale, con accuratezza anche del 100% nella diagnosi degli insulinomi, localizzandoli sulla base della provenienza della secrezione ormonale.

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CAP 12 PATOLOGIA DELLA MILZA, DEI SURRENI E DELLO SPAZIO RETROPERITONEALE 12.1 STUDIO PER IMMAGINI DELLA MILZA

RX diretto Consente di vedere l’ingrandimento della milza o la presenza di eventuali calcificazioni, associabili a numerosi processi (esiti di flebiti, cisti da echinococco, aneurismi calcificati dell’arteria splenica, ascessi calcificati, TBC miliarica). Minima importanza nella rottura della milza.

Ecografia Molto efficace. Si usa per misurare i volumi e i diametri, ricerca e caratterizzazione di lesioni focali, ricerca di ematomi e rotture traumatiche. La milza ha ecostruttura solida omogenea con echi simili a quelli epatici, i margini possono normalmente presentare indentazioni e setti.

TC Come l’ecografia, dimostra meglio dimensioni e rapporto con le strutture vicine ma è indispensabile la somministrazione di mezzo di contrasto angiografico perché altrimenti non si vede il parenchima. La densità è uguale o inferiore a quella del fegato.

RM Vantaggio di dimostrazione migliore dei rapporti della milza, efficiente nella dimostrazione di ematomi e di accumuli di ferro. Milza segnale basso in T1 e alto in T2 rispetto al fegato, per via dell’elevato contenuto di acqua.

Angiografia Selettiva tripode celiaco, superselettiva arteria splenica; si può studiare il decorso venoso e praticare procedure interventistiche come l’embolizzazione della milza in corso di ipersplenismo.

12.2 PATOLOGIA DELLA MILZA

SPLENOMEGALIA Fenomeno frequente quando la milza si ingrandisce, per i suoi rapporti molto stretti con gli altri organi, è la loro dislocazione. La milza induce una impronta sul tratto medio della curvatura gastrica, poi ingrandendosi sposta lo stomaco avanti e medialmente. L’ultima struttura che viene dislocato è l’angolo di Treitz. La splenomegalia fa parte dell’ipersplenismo, una condizione di aumento di volume della milza, riduzione della crasi ematica e iperplasia midollare da iperproduzione. Il quadro si risolve con la splenectomia. Spesso la diagnostica per immagini riesce a identificare sia la splenomegalia che la causa di ipersplenismo. Ecografia e TC sono gli esami per dimostrare la variazione di volume dell’organo, mentre la scintigrafia con emazie marcate permette lo studio del sequestro splenico dei globuli rossi. L’arteriografia viene usata come interventistica per l’embolizzazione. Alcuni tipi di splenomegalia hanno aspetti peculiari: • Forme infiltrative (linfomi, istiocitosi, mononucleosi): ecografia rivela una struttura omogenea con echi

focali. La componente focale si identifica alla TC e RM (sensibilità 90% anche per lesioni piccole) • Forme infiammatorie: ecostruttura con echi grossolani e più intensi della norma; alterazioni dei valori

di attenuazione del parenchima alla TC • Forme congestizie (da ipertensione portale o ICC): diagnosi angiografica. Nelle forme acute la milza è

ingrandita e l’arteria splenica ancora normale, nelle forme croniche sia l’organo che l’arteria sono entrambi ingranditi. La tecnica doppler permette lo studio dell’ipertensione portale. La TC è utile per rilevare aneurismi dell’arteria splenica, complicazione dell’ipertensione portale.

INFARTO SPLENICO Può complicare una splenomegalia, diagnosi differenziale con infarto del rene sinistro.

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Ecografia con color doppler e TC danno dimostrazione diretta dell’area infartuata, che appare ipoecogena all’ecografia, e con ridotta captazione del mezzo di contrasto alla TC. E’ un’area rotondeggiante o più caratteristicamente triangolare con apice all’ilo e base superficiale. Difficoltà quando la zona infartuata è andata incontro a colliquazione. Diagnosi di certezza angiografica con dimostrazione della trombosi vasale responsabile dell’infarto. La scintigrafia splenica, oggi meno usata, è positiva dopo 24 ore.

ASCESSO Molto raro, ma ad alta mortalità (65%). All’RX diretto si può dimostrare a volte il livello idroaereo dentro l’ascesso (paziente in stazione eretta). L’ecografia indica una lesione focale parenchimale a ecostruttura mista cistica e solida, la TC il classico aspetto a bersaglio con centro ipodenso. Se il soggetto è in piedi, la densità del contenuto dell’ascesso appare stratificata. Nelle forme fungine non è infrequente il riscontro di piccoli ascessi miliarici.

LESIONI FOCALI • Cisti: rare, sono identificate spesso alla ecografia, TC e RM. Più frequenti da echinococco, oppure

pseudocisti da infarti o ematomi. Si identificano a volte alla RX diretta per la presenza di calcificazioni. • Tumori benigni: molto rari, in genere emangiomi importanti per la facile e pericolosa rottura. Oppure

linfangiomi che sono cisti multiple a parete sottile, meno di frequente a forma capillare o cavernosa. • Tumori maligni: in genere sarcomi molto aggressivi, alla TC come aree ipodense disomogenee con aree

di necrosi colliquativa all’interno, all’ecografia come aree ipoecogene. • Linfomi: lesione maligna più comune nella milza, raramente primitivo. Si manifesta come un

ingrandimento diffuso omogeneo, non differenziabile da altre lesioni focali infiltrative. L’aspetto è aspecifico: ipoecogeno all’ecografia, ipodenso alla TC. Si identifica meglio dopo mezzo di contrasto, e la diagnosi è posta con la biopsia.

• Metastasi: poco frequenti, ad eccezione del melanoma che spesso preferisce la milza. Anche queste sono lesioni focali di difficile differenziazione

ROTTURA DI MILZA Secondaria a traumi penetranti, iatrogena, da traumi interni (facile per via del meccanismo di trazione compressione sui legamenti splenici), o spontanea da processi patologici. Nella rottura completa massiva immediata è positivo l’RX diretto dell’addome (associato al radiogramma toracico): • Velatura diffusa dell’addome con livello liquido in stazione eretta • Ombra splenica ingrandita e sfumata; compressione su stomaco, rene e colon • Compressione ben visibile sulla grande curvatura gastrica per edema ed emorragia nel legamento gastro-

ilienale. • Distensione gassosa da ileo adinamico • Risalita e paralisi dell’emidiaframma sinistro • Fratture costali a sx (25%) Nelle rotture meno drammatiche e più piccole è importante l’ecografia e la TC alla ricerca di liquidi peritoneali liberi e di liquidi dentro la milza penetrati tramite una breccia della capsula. Se l’emorragia è sottocapsulare la TC e l’ecografia l’identificano piuttosto bene, permettendo anche un follow up del processo patologico che spesso è trattato in maniera conservativa. Nei casi dubbi si ricorre all’arteriografia superselettiva.

12.3 INDAGINE STRUMENTALE DELLO SPAZIO RETROPERITONEALE Difficile identificare i processi patologici. Prima della TC questi venivano osservati solo indirettamente per l’effetto sugli altri organi e strutture. → L’esame standard è la TC, che permette un ottimo contrasto fra la matrice connettivale adiposa e il parenchima degli organi intraperitoneali e retroperitoneali. Permette l’identificazione dei linfonodi e del loro ingrandimento, l’analisi delle raccolte fluide, la valutazione delle emorragie. Si acquisiscono piani trasversali e si somministra mezzo di contrasto per os per opacizzare l’intestino. Se si vogliono identificare i grossi vasi è necessario mezzo di contrasto iodato.

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→ RM applicata di recente è molto efficace per l’ottimo contrasto fra le strutture retroperitoneali e le capacità di studio diretto multiplanare. Ideale per la valutazione dell’estensione di tumori retroperitoneali, e per differenziare recidive da esiti fibrosi. → Ecografia è limitatissima per via del tessuto adiposo e del meteorismo intestinale. Si usa per lo più con tecnica doppler nello studio dei vasi addominali. → RX diretta addome può dare informazioni sull’infiltrazione o compressione del rachide da parte di processi retroperitoneali. → Esami di complemento sono l’urografia, esame per OS del digerente o clisma DC per lo studio di una patologia retroperitoneale che si sospetti di origine urinaria o intestinale. Aortografia e cateterismi superselettivi sono usati per le procedure interventistiche di embolizzazione. Per il coinvolgimento neoplastico della cava e dei linfatici (magari non ingranditi e non dimostrabili con la TC) possono essere importanti rispettivamente la cavografia e la linfografia.

12.4 PATOLOGIA DEL RETROPERITONEO

RACCOLTE FLUIDE Possono essere: • Urinose: rottura delle cavità pieliche • Flogistiche: infiammazione degli organi addominali profondi e dei piani muscolari epispinali • Emorragiche: traumi o rottura di aneurismi • Linfatiche: rottura del dotto linfatico o ampie linfoadenectomie C’è continuità fra gli spazi retroperitoneali, quindi una raccolte pararenale anteriore, posteriore o iliaca può trovarsi in ognuno di essi. La TC identifica agevolmente la raccolta e ne valuta l’estensione: il valore di attenuazione diminuisce fino a diventare liquido. Le raccolte di vecchia data possono provocare ispessimenti del connettivo circostante ed è difficile la diagnosi differenziale con gli ascessi. Con l’ausilio dei parametri clinici e di laboratorio si fa spesso diagnosi di natura della raccolta stessa (anche perché a seconda della composizione i liquidi raccolti hanno valori diversi). La RM è analoga alla TC ma definisce meglio gli ematomi per il tipico comportamento paramagnetico dell’Hb. Ecografia quasi inutile, riconosce solo raccolte grosse e non riesce a definirne bene i margini. Esame diretto addome solo grosse raccolte che possono rendere sfumata o non apprezzabile l’ombra degli psoas. Gli ascessi possono essere visti se contengono un livello o calcificazioni. L’aortografia può dare dimostrazione diretta degli stravasi ematici.

FIBROSI RETROPERITONEALE Processo patologico primitivo o secondario che tende ad avvolgere a manicotto le strutture anatomiche presenti. La forma primitiva è sconosciuta, le altre si formano in reazione a farmaci, interventi chirurgici o versamenti. L’indagine di elezione è la TC che dimostra il manicotto fibroso attorno a vasi o organi che ha densità parenchimatosa che ben risalta nel connettivo lasso addominale. L’ecografia è utile per la dimostrazione della compressione vasale con le tecniche doppler, ed è importante per dimostrare una idronefrosi da compressione dell’uretere e posizionare una stomia. Anche l’urografia è importante per dimostrare l’interessamento degli ureteri. RM importante per quei pazienti con IR nei quali l’urografia o TC con mezzo di contrasto iodato sono controindicati. Il tessuto fibroso ha bassa intensità in T1e T2. La diffusione del mezzo di contrasto nella fibrosi indica una fase attiva, la sua assenza una completa sclerosi irreversibile.

LINFADENOPATIE Si diagnosticano in genere con la linfoadenografia che è l’unico esame in grado di evidenziare linfonodi anche piccoli (TC solo maggiore di 1cm) e di fornire informazioni sulla natura del processo adenopatico. La

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RM fornisce informazioni simili alla TC ma non ha le controindicazioni al mezzo di contrasto, mentre l’ecografia può valutare alcuni linfonodi situati sotto particolari finestre acustiche, in genere linfonodi superficiali. Per la sua semplicità rispetto alla linfoadenografia la TC è l’esame di prima istanza, e in caso di dubbio si ricorre alla biopsia prima ancora che alla linfoadenografia (che però viene usata per l’estensione della malattia di Hodgkin alle catene lombo-sacrali.)

TUMORI Sono lesioni rare e quasi sempre maligne del connettivo (non si considerano le diffusioni linfatiche di altri processi neoplastici), ma anche dei nervi o dei vasi, o di residui embrionali. Nell’85% dei casi sono maligne. L’indagine di prima istanza per masse palpabili è l’ecografia che presenti i soliti limiti e se identifica le masse queste appaiono in genere ipoecogene. La TC è quindi indispensabile e permette la valutazione dell’estensione e i rapporti della massa. Il ruolo della RM ha risultati migliori per la multiplanarità e una migliore risoluzione di contrasto (come sempre nel differenziare parenchimi da uno stroma connettivale). Entrambe le tecniche hanno un limite ad 1cm; lesioni molto grandi possono essere difficili da valutare in relazione alla loro origine primitiva. Alcuni caratteri morfologici possono orientare verso la diagnosi di natura benigna o maligna:

CRITERI BENIGNI CRITERI MALIGNI • Lesioni rotondeggianti • Margini regolari • Struttura omogenea • Separazione dalle strutture circostanti

• Lesioni polilobate • Margini irregolari • Struttura disomogenea con aree liquide e necrosi • Infiltrazione

La tecnica migliore per valutare l’infiltrazione delle fasce e delle strutture circostanti è la RM Alcuni esami complementari sono: • RX addome: evidenziazione aspecifica e tardiva delle masse e soltanto per compressione e spostamento

di organi visibili • Urografia: utile per valutare dislocazione del rene e dell’uretere • Esame contrastografico tubo digerente: masse a partenza intestinali • Arteriografia: studio della vascolarizzazione del tumore e chemioembolizzazione • Linfografia: studio di cisti linfatiche e linfangiomi

12.4 SURRENE La diagnostica per immagini si propone di identificare con esattezza la natura delle sindromi iperfunzionanti del surrene (adenoma, iperplasia o carcinoma?). In questo è fondamentale lo studio con la TC, la RM e soprattutto la scintigrafia, secondaria l’ecografia. Inoltre altri obiettivi sono: • Ricerca e indagine di metastasi surrenaliche • Identificare e indagare masse surrenaliche

ESAMI STRUMENTALI

RX diretto Interesse limitato alla ricerca di calcificazioni surrenali patologiche come in corso di Addison o TBC, o in alcuni tumori o cisti.

TC Indagine sempre di prima istanza nello studio del surrene, nel quale fornisce immagini molto espressive per via del contrasto naturale indotto fra grasso retroperitoneale circostante e tessuto parenchimale. I surreni si acquisiscono in una sola scansione spiroidea, dopo somministrazione di mezzo di contrasto iodato. Il mezzo di contrasto orale baritato permette di differenziare le masse surrenaliche dalle anse intestinali. Nell’analisi dei noduli surrenalici è importante l’analisi dei valori densitometrici, per i quali un valore inferiore a a0 è indice di una massa benigna, superiore a 20 di una maligna (sospetti da indagare alla RM)

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RM In genere in seconda istanza per l’analisi differenziale delle masse e per la valutazione dei rapporti con gli organi circostanti dei processi patologici del surrene (vantaggio della multiplanarietà). Le tecniche di soppressione del grasso hanno un eccellente rilievo per l’identificazione della presenza di tessuto adiposo patologico.

Ecografia Difficile lo studio del surrene, specie a sinistra. Nel complesso fornisce risultati inferiori a TC e RM. L’indagine identifica le lesioni benigne e maligne come masse ipoecogene e a struttura eterogenea. Con le tecniche doppler identifica il coinvolgimento delle strutture vascolari di aorta e vena cava.

Angiografia Metodiche arteriografiche e anche flebografia per prelievi selettive. Unica indicazione oggi rimasta è la determinazione di origine di grosse masse pararenali dubbie. Il cateterismo è inizialmente dell’aorta, e in seguito selettivo della diaframmatica media, della surrenalica e della renale. La flebografia è diretta alla vena surrenalica di ciascun lato, con iniezione lenta del mezzo di contrasto. Importante anche per la diagnosi del feocromocitoma, nel quale l’assorbimento del mezzo di contrasto è caratteristicamente intensa, disomogenea e spesso compare un orletto iperdenso espressivo della ipervascolarizzazione periferica.

TUMORI BENIGNI

Adenoma Responsabile del 20% dei Cushing. Alla TC appare come un nodulo in genere piccolo (3cm), rotondeggiante e a margini indefiniti. Per l’elevato contenuto lipidico ha di solito valori bassi. Il surrene controlaterale può apparire atrofico. Alla RM il segnale può essere isointenso con il parenchima epatico in T1 e in T2. Non sempre è facile la diagnosi differenziale con l’iperplasia surrenalica senza la biopsia.

Mielolipoma Neoplasia benigna non funzionante e rara; ha significato clinico se aumenta di dimensioni e da luogo ad emorragie. All’ecografia è molto iperecogeno con aree ipoecogene all’interno: infatti è costituito da tessuto adiposo nel quale sono annidate aree di tessuto ematopoietico. La TC e la RM sono poco importanti per la scarsa rappresentazione del tessuto adiposo.

Cisti surrenaliche Lesioni rare, in genere esiti di pregressa emorragia o parassitarie. Hanno diametri variabili, forma rotondeggiante e margini definiti. Meno spesso presentano calcificazione a guscio d’uovo. La presenza dell’emorragia induce valori elevati alla TC e all’RM in T1 (presenza di metaemoglobina).

EMORRAGIA SURRENALICA Traumi da parto, ipossia e sepsi neonatale sono le cause più frequenti. L’indagine di prima istanza è l’ecografia, ed evidenzia un area iperecogena disomogenea, che progressivamente si riduce di dimensioni e diventa ipoecogena. La diagnosi differenziale viene fatta con il color doppler per l’assenza di segnali di flusso. La TC nell’adulto è l’esame principale ed evidenzia un’area iperintensa che tende a rapida scomparsa. Alla RM l’aumento di segnale in T1 non si ha sempre: all’inizio l’emoglobina è ossigenata, e la metaemoglobinemia, responsabile dell’aumento del segnale, si ha solo dopo qualche ora, e dura poco perché poi si forma emosiderina.

NEOPLASIE MALIGNE

Feocromocitoma Nel 10% dei casi è maligno e può recidivare e metastatizzare. L’indagine di prima istanza è la TC, estesa a tutto l’addome, che evidenzia una massa di dimensioni variabili, disomogenea per densità con lacune necrotiche, che va incontro a marcato assorbimento del mezzo di contrasto per ipervascolarizzazione (soprattutto al bordo con formazione di un orletto opaco). La RM è utile nella stadiazione in sede atipica, come fra la cava e l’aorta.

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Carcinoma primitivo Rara, funzionante nel 50% dei casi, la lesioni si identifica alla TC come una massa di grandi dimensioni a struttura disomogenea (calcificazioni, necrosi lacunari), spesso invasiva localmente, soprattutto infiltrante la vena cava superiore e la vena surrenalica. L’assenza di tessuto adiposo permette la diagnosi differenziale con adenomi di grosse dimensioni. Alla RM si osserva, per la multiplanarità, una migliore definizione dei rapporti con il fegato e il pancreas.

Metastasi Frequenti. Si originano spesso da: • Mammella • Polmone • Tiroide • Melanomi • • La differenziazione con adenomi poggia sull’elevato valore alla TC (maggiore di 20), e sulla

iperintensità in T2. Nella diagnosi differenziale andranno considerati anche il feocromocitoma e il carcinoma primitivo surrenalico. La validità dell’approccio TC e RM limita la necessità di ricorso all’agobiopsia.

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CAP 13 APPARATO URINARIO 13.1 ESAMI STRUMENTALI

RX diretto Spesso è il primo approccio, previa pulizia intestinale. Radiogramma AP con raggio centrato sull’ombelico. Si riesce a riconoscere: • Ombre renali: meglio se il tessuto adiposo perirenale è molto rappresentato; il rene destro è di solito

lievemente inferiore di dimensione a quello sinistro e sta più in alto per la presenza del fegato. I contorni sono netti e regolari.

• Decorso degli ureteri: presenza di calcificazioni e calcoli • Regione vescicale: se distesa, la vescica è apprezzabile come tenue opacità che presenta nella donna

l’impronta dell’utero. Si vedono poi le ossa e i margini del muscolo psoas.

Urografia Studio morfologico delle vie urinarie e informazioni anche sul parenchima midollare e corticale; può dare una certa stima anche della funzionalità renale residua osservando il parenchima che prende il mezzo di contrasto. Si inietta in bolo o per fleboclisi un mezzo di contrasto specifico “uroangiografico” che ha una buona filtrazione renale e quindi opacizza l’urina. Di solito si introducono per fleboclisi 100 ml di mezzo di contrasto a concentrazione di iodio di 300 mg/l in 7 minuti, o 250 ml a 150 mg/l in 12 minuti. Le vie urinarie vengono ben dimostrate anche senza nessuna preparazione del paziente. Dopo 2 ore il 65% del mezzo di contrasto è stato filtrato dal glomerulo, il 90% dopo 6 ore. Esistono anche altre tecniche oggi meno usate. Si distingue nel contesto dell’esame tre fasi, corrispondente al passaggio del mezzo di contrasto lungo i vari distretti renali: • Fase nefrografica: aumento poco rilevante dell’ombra del parenchima renale, per la diffusione del mezzo

di contrasto nel parenchima. Da 0 a 15 minuti dopo l’infusione; aree non funzionanti del rene (cisti, tumori, caverne…) si evidenziano come lacune nel riempimento parenchimale.

• Fase calicopielografica: calici, ampolla e inizio degli ureteri sono visibili già 2-3 minuti dopo l’infusione del mezzo di contrasto. I calici di 3 ordine (corrispondenti all’apice delle papille) sono visibili come una coppa se presi di profilo, ad anello se presi davanti, e sono 8; quelli di secondo sono in genere 4, quelli di primo sono due, e confluiscono nella pelvi renale. Nell’uretere sono presenti dei restringimenti fisiologici, uno a livello della giunzione con la pelvi e l’altro all’incrocio con l’iliaca esterna. Altro restringimento è a livello della porzione transmurale nella vescica.

• Fase cistografica: si inizia a opacizzare la vescica già dopo 30’ dall’iniezione del bolo. Si proietta davanti al coccige e al sacro, e nella donna ha l’impronta dell’utero sovrastante. Invitando il paziente ad urinare si può osservare il residuo minzionale.

Indicazioni elettive all’urografia sono: • Cause di ematuria • Calcoli renale o ureterale (calcoli trasparenti, studio della funzione renale) • Lesioni del parenchima renale (TBC, necrosi papillare e midollare) • Ricerca di anomalie congenite e acquisite, in fase preoperatoria • Studio dei tumori delle vie urinarie

Pielografia Introduzione diretta nelle vie urinarie di un mezzo di contrasto opaco o gassoso. Realizzata tramite tre modalità.

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→ Pielografia retrograda mezzo di contrasto uroangiografico iniettato a bassa pressione nelle vie urinarie dopo cateterizzazione di uno o entrambi gli ureteri. Trova indicazione per: • Analisi delle vie escretrici in caso di rene non visibile all’urografia • Dimostrazione di alcune malformazioni come l’uretere a fondo cieco • Fase preliminare di procedure interventistiche sulle vie urinarie • • → Pielografia anterograda transcutanea • Puntura all’altezza dell’apofisi della II vertebra lombare, penetrazione per 7-8 cm. Si controlla l’ingresso

dell’ago con aspirazione di urina, e poi si inietta sotto controllo radioscopico mezzo di contrasto iodato a bassa pressione. Utile per valutare ostruzione ureterali alte in paziente con controindicazioni all’urografia.

• • → Pielografia anterograda transnefrostomica • viene praticata in genere quando esiste già una nefrostomia per motivi terapeutici, ed è una valida

alternativa alla forma transcutanea. Viene fatta in genere per controllare lo stato degli ureteri dopo l’intervento

Cistografia Studio della vescica tramite infusione di mezzo di contrasto diretta dopo evacuazione del contenuto urinario di circa 250 ml di mezzo di contrasto diluito. Si può anche aggiungere la documentazione della minzione (cistouretrografia minzionale) in maniera dinamica. E’ poco frequente anche perché la vescica si analizza molto bene con l’ecografia

Ecografia Prima istanza in diverse condizioni di alterazione sia morfologica che funzionale nel rene. Negli ureteri è meno efficace per via del decorso profondo senza finestre acustiche, mentre la vescica è anch’essa molto ben esplorabile poiché a contatto con la parete addominale anteriore. Il rene presenta un aspetto ovale, con una zona centrale molto ecogena che è la pelvi (le vie escretrici, se non dilatate, non sono visibili). La zona circostante è ipoecogena, e in essa si evidenzia a volte il profilo delle piramidi midollari. Il flusso ematico renale è ben visibile al doppler, anche se nel rene sinistro l’arteria è mal visualizzabile per la mancanza di una finestra acustica. Displasie, idronefrosi e masse renali vengono indagate primariamente e direttamente all’ecografia. Importante anche nello studio di IR, ipertensione nefrovascolare e nell’esecuzione ecoguidata di biopsie. La vescica ha la parete iperecogena, continua e regolare; la vescica ben distesa ha il lume ampio, con struttura ecogena liquida, che permette di valutare il residuo post-minzione. La parete e il meato ureterali possono essere studiati finemente con ecografia per via cistoscopica (con questa metodica si individuano tumori della parete di diametro fino a 2 mm). La determinazione di calcoli è molto accurata nella pelvi e nella vescica, molto meno negli ureteri.

TC Riesce a studiare molto bene sia i reni che gli ureteri e la vescica. La scansione renale diretta va bene per l’analisi delle masse, mentre lo studio funzionale del parenchima e della vascolarizzazione è necessario il mezzo di contrasto iodato. La vescica prende il mezzo di contrasto subito nella parete (studio della vascolarizzazione di lesioni focali) e dopo 10-15 minuti si opacizza l’urina (studio funzionale della vescica). Il rene viene ben definito come struttura e rapporti, e il mezzo di contrasto permette anche di differenziare la corticale dalla midollare. Sono sempre ben visibili i vasi e la fascia di Gerota (mentre la capsula renale no). Gli ureteri si evidenziano molto bene soprattutto dopo la fase di filtrazione del mezzo di contrasto, e la vescica è ben delimitata esteriormente dal tessuto adiposo pelvico, internamente dal lume a contenuto liquido.

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Indicazioni alla TC: • Traumi renali (indagine di prima istanza) • Ostacolo al deflusso urinario • Masse renali (tutte le caratteristiche morfologiche, follow up postoperatorio) • Dislocazioni delle vie urinarie • Infezioni renali • Litiasi (se altre indagini non sono efficaci) • Stadiazione del carcinoma vescicale

RM Indagine alternativa alla TC, vantaggiosa in quanto dispone di mezzo di contrasto meno impegnativo per il rene, multiplanarità e una migliore risoluzione di contrasto. Esistono inoltre particolari sequenze studiate per identificare selettivamente i fluidi (uro-RM). Le vie urinarie vengono distese con un mezzo paramagnetico speciale. Esiste anche la possibilità di utilizzare l’angio-RM per lo studio dei vasi renali. In T1 è ben riconoscibile tutto il parenchima renale, le cavità pieliche diventano iperintense in T2; la fascia di Gerota in T1 si riconosce bene perché è una struttura fibrosa a bassa intensità in mezzo al tessuto adiposo molto intenso. Ureteri distesi da urina sono ben distinguibili (basso segnale in T1, alto in T2). La vescica ha un lume che per contrasto urinario è come gli ureteri (alto in T2 basso in T1). La parete da media intensità e si differenzia dal lume molto bene in T2, dal grasso perivescicale meglio in T1. Indicazioni alla RM sono: • Caratterizzazione di natura della masse renali (non comprese alla TC) • Identificazione del contenuto emorragico di cisti • Complicanze postoperatorie e rigetto acuto del trapianto • Stadiazione del carcinoma renale in particolare estensione della trombosi venosa neoplastica • Stadiazione del carcinoma vescicale • Valutazione di stenosi e aneurismi dell’arteria renale.

Angiografia Importante nell’ipertensione nefrovascolare dove assume ruolo terapeutico per il posizionamento di stent ed esecuzione di PTA. Inoltre è possibile l’identificazione di grosse lesioni neoplastiche vascolarizzate e il contemporaneo trattamento embolizzante. L’esame inizia dall’aortografia addominale con determinazione delle arterie renali, e il cateterismo selettivo di una di esse. Si può fare la flebografia renale allo scopo di misurare la renina.

13.2 PATOLOGIA MALFORMATIVA DELL’APPARATO URINARIO

DISMORFIE

Alterazioni di numero e posizione • Rene unico: rara, maggior frequenza nel maschio. Il rene unico ha una maggiore possibilità di essere

posto in sede ectopica, e viene di solito ad avere una cavità pielica più grande. E’ di dimensioni circa doppie del normale.

• Rene soprannumerario: per essere tale deve essere fornito di vie escretrici e di vascolarizzazione autonoma. Di solito più piccolo del normale, si situa al di sopra o al di sotto di quello normale dello stesso lato, dal quale è separato o unito da un sottile istmo. L’uretere decorre fra quelli normali, oppure si infila in uno di essi, o ancora può sboccare in vescica o anche fuori di essa.

• Fusione dei due reni: il rene migra dalla pelvi alla sede lombare ruotando contemporaneamente e nel frattempo separandosi in due masse che diventeranno i reni definitivi. Il rene unico rimane in sede pelvica come una massa unica, bilobata, dalla quale si dipartono le vie escretrici indipendenti.

• Ectopie semplici: o Per difetto: un rene rimane in sede pelvica, l’altro è in posizione normale o manca. L’uretere

è molto corto e si associa a malrotazione

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o Per eccesso: un rene risale eccessivamente fino a collocarsi in una ernia diaframmatica • Ectopia crociata:

o Semplice: un rene si situa dal lato dell’altro. Il rene deviato si riconosce per l’anomalo decorso dell’uretere, che attraversa la linea di mezzo e sbocca in vescica dal suo lato. Di solito il rene ectopico si situa al di sotto di quello normale, talvolta fondendosi con esso.

o Bilaterale: i due reni sono entrambi deviati verso il lato opposto, con incrociamento degli ureteri al di sopra della linea mediana

Queste malformazioni, che possono rimanere silenti per tuta la vita anche se aumentano il rischio di infezioni e calcolosi, si diagnosticano anche a TC ed ecografia, ma l’esame di elezione per il loro studio è l’urografia.

Anomalie di forma e volume

Aplasia renale Quella bilaterale è incompatibile con la vita. In quella monolaterale il rene normale è ipertrofico e spesso ectopico, con alterazioni della via escretrice. Si valuta con ecografia, urografia e nei casi dubbi alla TC.

Ipoplasia renale Presenza di un rene di volume inferiore alla norma e insufficientemente sviluppato, con struttura abbozzata (spesso un solo calice). Quella monolaterale solitamente è una condizione asintomatica, ma può anche dare una persistente piuria dal lato interessato, e a volte ipertensione arteriosa. Quella bilaterale si accompagna di regola a sintomi simili alla nefrite cronica con creatininemia e azotemia elevate e sintomi di rachitismo. Quando è presente ipertensione arteriosa risulta importante una diagnostica accurata del rene responsabile; spesso l’ecografia è sufficiente e la diagnosi può avvenire anche per caso durante altri controlli. Anche l’urografia (anterograda e retrograda) possono essere importanti per la diagnosi di contemporanee anomalie delle vie escretrici. La prognosi della forma unilaterale è del tutto benigna e l’ipertrofia compensatoria del rene sano permette una vita del tutto normale, mentre la forma bilaterale è grave. E’ detta armonica quando il rene e il suo sistema escretore sono piccoli ma normali, disarmonica se sono presenti anche anomalie della via escretrice.

Iperplasia renale Aumento numerico dei lobi, delle piramidi e delle papille, non legate ad una forma di ipertrofia compensatoria. Non ha interesse clinico se non per la compressione che il rene può esercitare sugli organi vicini.

Displasia Alterazione della composizione del parenchima e della morfologia del rene. Spesso si associa alla presenza di una duplicazione della via escretrice e la porzione displastica è quella che si associa alla via escretrice soprannumeraria.

Anomalie di fusione: rene a ferro di cavallo E’ una anomalia abbastanza frequente, circa 1:400 e colpisce spesso il sesso maschile (2:1). Si tratta della fusione dei due reni (poli superiori o inferiori) davanti alla colonna vertebrale. L’istmo che unisce i due reni è spesso fibroso e poco vascolarizzato. Se non c’è interessamento della via escretrice, l’anomalia è compatibile con la vita. Spesso la fusione rende impossibile la rotazione interna del rene e quindi i bacinetti e la pelvi sono orientati verso l’avanti. In genere quindi gli ureteri passano al di sopra dell’istmo. A volte anche l’istmo presenta un uretere. Le arterie sono in genere molteplici (da 1 a 10) rendono complesse le manovre operatorie. La fusione dei poli inferiori è molto più comune della fusione dei poli superiori. Sintomatologicamente, il rene a ferro di cavallo può dare dolori soprattutto nella posizione eretta, spesso vaghi e mal definiti, che spesso si accentuano nella iperestensione della colonna (segno di Rovsing). L’ammalato quindi assume una postura lievemente flessa.

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Si diagnostica con l’esame diretto addome, ma la diagnosi di conferma è urografica.

Displasia renale cistica Esistono fondamentalmente tre tipi di displasia renale cistica. In entrambe il tessuto normale si accompagna alla presenza di tessuto non renale e di cisti diffuse. • Rene multicistico: forma estrema di displasia nella quale il parenchima renale è totalmente sostituito da

un ammasso di formazioni cistiche. L’uretere è costantemente atresico. E’ di solito unilaterale; il rene malato all’RX appare come un’ombra opaca prima di calcificazioni, mentre l’eco rivela bene la natura cistica del processo. Il bilancio funzionale è valutato alla scintigrafia, mentre l’urografia con mezzo di contrasto da tutte le informazioni desiderate ma viene usata di rado per la grande quantità di mezzo di contrasto necessario; infatti il rene cistico non è silente, ma fra le cisti ci sono residui di parenchima funzionante, che prendono il mezzo di contrasto facendo apparire il resto come una serie di aree lacunari

• Rene policistico infantile: bilaterale e simmetrica, a prognosi sfavorevole, è tanto più grave quanto precocemente insorge. Il quadro ecografico è sufficiente alla diagnosi, con aumento delle dimensioni renali, incremento dell’ecogenicità e cisti multiple di diametro inferiore a 2 cm. L’urografia distribuisce il mezzo di contrasto in maniera maculare all’interno del parenchima nelle cisti e la sua escrezione nelle vie urinarie è molto tardiva (anche 24 ore).

• Rene policistico dell’adulto: forma meno grave, a insorgenza tardiva. Le cisti sono soprattutto corticali; la malattia è di solito bilaterale con un lato più interessato. A differenza della forma infantile, le cisti espandendosi perdono continuità con i tubuli, e non si ha la loro opacizzazione urografica. Ecografia e TC sono gli esami di elezione; il parenchima residuo ha ecogenicità aumentata. All’urografia le cisti appaiono come aree di lacuna del riempimento, caratteristica della forma adulta

11.3 CALCOLOSI URINARIA Il calcolo è una concrezione formata da sostanze organiche o inorganiche che prendono origine talvolta nei serbatoi o nei canali escretori dell’apparato urinario. La calcolosi delle vie urinarie è un fenomeno abbastanza diffuso nella popolazione: • 50 anni 17/1000 • 60 anni 46,5/1000 Alcuni fattori sembrano legati all’aumento della calcolosi: • Razza (aumento in popolazione euroasiatica) • Età (3°-5° decade) • Sesso (M 3:1) • Ereditarietà (per lo più nella calcolosi uratica, vedi) • Geografia (USA, Europa, India) • Clima (alte temperature, clima secco disidratazione) • Dieta (calcio, ossalati, dieta ipeproteica, scarso apporto idrico) Ci sono 5 tipi di calcoli che hanno alla base della loro genesi molti meccanismi, in parecchi casi comuni: 1. Calcoli di calcio: ossalato di calcio, fosfato di calcio, carbonato di calcio, misti 65% 2. Calcoli di urea 23% 3. Calcoli fosfo-amino-magnesiaci: legati alle infezioni, in diminuzione 2,5% 4. Calcoli cistinici 0,5% 5. Calcoli misti: di solito infezione sopra un nucleo di calcio o urato 9% Esistono due diversi modi di formare calcoli, e diversi fenomeni che sono implicati in misura varia nella litogenesi. I modi sono la nucleazione eterogenea e omogenea. • Soprasaturazione delle urine: secrezione nelle urine di materiali insolubili in quantità tale da superare

il prodotto di solubilità per quelle sostanze e provocarne quindi la precipitazione. Queste sostanze precipitano su aggregati omogenei della stessa composizione (nucleazione omogenea)

• Produzione di una matrice proteica nell’urina: questa facilita la precipitazione delle sostanze insolubili eventualmente presenti nelle urine, e si creano quindi dei precipitati composti da un nucleo proteico sul quale si addensano materiali diversi (nucleazione eterogenea)

I fattori che possono favorire l’uno o l’altro modo di nucleazione sono:

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• Aumento di secrezione di una sostanza insolubile: determina il tipo di calcolo che si crea. Come meglio vedremo dopo, queste sostanze possono essere calcio, urati, ossalato, cistina, xantina, diossido di silicio.

• Deficit di fattori inibitori: nelle urine esistono molte sostanze che hanno lo scopo di impedire l’avvenimento delle nucleazioni inibendo la formazione dei cristalli, come magnesio, pirofosfato, nefrocalcina, rna, proteina di Tamm Horsfall non polimerizzata. Questi sono importanti perché nell’arco delle giornate e dei mesi possono verificarsi variazioni importanti del volume urinario e queste sostanze impediscono la precipitazione inopportuna di sostanze insolubili.

• Variazioni delle urine: aumento del pH, diminuzione del volume. • Aumento dei fattori favorenti la formazione dei cristalli: urato sodico colloidale e proteina di Tamm

Horsfall polimerizzata. • Presenza di nuclei litogeni: corpi estranei, tessuto necrotico, matrice mucoproteica che a volte può

anche essere l’unica componente di certi calcoli • Anomalie strutturali come il rene a ferro di cavallo o le ectopie. • Stasi urinaria • Infezioni

Diagnostica radiologica Il paziente con colica renale che giunge all’osservazione ha nel 95% dei casi un calcolo. Quindi lo studio delle vie urinarie in questa situazione ha come scopo: • L’identificazione dei calcoli • Il loro studio morfologico e dimensionale • La ripercussione del calcolo nelle vie escretrici (nefropatia ostruttiva) Fino a 4 mm il calcolo migra spontaneamente e viene espulso. Sopra a 6 mm sono frequenti le complicanze.

Esame radiografico diretto La radiografia diretta addome, in varie proiezioni per differenziare i calcoli renali da quelli biliari e dai linfonodi, riesce ad identificare accuratamente tutti i calcoli radiopachi. L’opacità dei diversi tipi di calcoli è variabile: • Radio opachi: fosfato di calcio, ossalato di calcio, carbonato di calcio, calcoli misti (UTI) • Debolmente opachi: fosfato di ammonio-magnesio (struvite), cisteina • Trasparenti: urato, xantinici, ammonio Circa il 95% dei calcoli comunque sono quelli radiopachi. Fattori limitanti sono la difficoltà di una preparazione ben accurata dell’intestino che è responsabile di un notevole miglioramento diagnostico (diminuzione FN), la dimensione del calcolo, le sovrapposizioni ossee. FP sono prodotti da calcificazioni esterne alle vie urinarie che si proiettano su di esse. L’accuratezza è nel complesso però elevata (90%). Alcuni tipi di calcoli hanno caratteristiche peculiari: • della pelvi e del bacinetto → a stampo • dell’uretere → piccoli e rotondeggianti od ovali • della vescica → grandi, spesso giganti, a bersaglio. Possono essere situati su diverticoli

Ecografia Dimostra calcoli radiopachi e trasparenti indifferentemente fino a 2 mm di diametro, in tutti i segmenti urinari compresa l’uretra posteriore con sonde transrettali. Tutti i calcoli appaiono come una formazione iperecogena con cono d’ombra sottostante (non sempre ben visibile), e si accompagnano sempre a dilatazione della via escretrice. L’eco mostra anche le alterazioni del parenchima renale e l’eventuale idronefrosi, mentre le complicazioni infettive come ascessi o nefrite diffusa si dimostrano meglio alla TC.

Urografia Trova indicazione nel dubbio di appartenenza di una immagine calcifica alle vie urinarie, e per l’analisi fine dello stato delle vie urinarie (piccola idronefrosi, perforazione, compressioni o pinze da banderelle fibrose).

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Non è controindicato fare l’urografia subito dopo la colica, anche se si vedrà peggio (stasi della peristalsi ureterale da irritazione riflessa). Il ritardo di opacizzazione della via escretrice per questo motivo può essere anche di 12-24 ore, durante le quali si vedrà solo il rene (questo non significa che vi sia una ostruzione residua).

Pielografia Indicata per studio di ostruzioni non chiarite all’RX o all’ecografia, con prudenza per le possibili complicazioni infettive.

TC Attualmente usata per identificare calcoli “difficili” e per valutare la presenza di complicazioni infiammatorie o di altro tipo. Possibile uso come esame di prima istanza per la ricerca del calcolo data la sua grande sensibilità.

Cenni di interventistica • Tecniche percutanee: estrazione (litotomia) o distruzione (litotrissia) del calcolo dall’esterno,

realizzando preliminariamente un accesso nefrostomico sotto guida ecografica, da cui si fanno passare gli strumenti. Complicanze 5-10%, ma costano poco e sono i facile esecuzione.

• Litotrissia extracorporea: bombardamento con generatori di vario tipo (elettrici, idraulici, magnetici) di onde d’urto che frantumano il calcolo dall’esterno. Buona efficacia (85% dei calcoli) ma diversi limiti:

o Aritmie o Obesità (le onde d’urto non raggiungono il calcolo) o Anomalie della via escretrice che non consentono l’eliminazione dei frammenti o Complicanze di ematomi renali o Difficoltà di eliminazione dei frammenti

In queste procedure lo studio per immagini è importante per dare le informazioni che servono a programmare l’intervento e per controllarne l’efficacia.

13.4 UROPATIA OSTRUTTIVA L’uropatia ostruttiva è una condizione generale di ostacolo al deflusso dell’urina con dilatazione del tratto escretore a monte e ripercussioni secondarie sul parenchima fino all’idronefrosi e alla distruzione del rene. La sede dell’ostruzione condiziona l’interessamento bilaterale o unilaterale dei reni, e le cause possono essere molteplici. Ci sono due situazioni diverse che si possono creare: • Ostruzione graduale con pressione che non supera il limite per la filtrazione glomerulare: la filtrazione

continua, il parenchima subisce meno danni e si ha dilatazione della pelvi e dei bacinetti. L’urina prodotta viene in parte riassorbita dalle vene e dai linfatici della pelvi renale.

• Ostruzione acuta con pressione che supera quella di filtrazione glomerulare: arresto della filtrazione con creazione di atrofia parenchimale da compressione e progressione all’IRC. La pelvi e i bacinetti non si dilatano e si ha l’idronefrosi

La diagnostica per immagini cerca la causa di ostruzione ed effettua il monitoraggio sulle vie urinarie alla ricerca delle complicazioni.

RX diretto Individua i calcoli radiopachi ma nessuna complicazione renale

Ecografia Dimostra i calcoli molto bene ma anche tutta una serie di segni diretti di uropatia ostruttiva. In ordine di progressione del danno, questi sono: • Dilatazione diretta della via escretrice a monte dell’ostruzione • Progressiva distensione della pelvi renale, fino che appare come un’area ovalare ecopriva nel contesto

della massa del parenchima renale • Distensione dei calici visibili come aree ecoprive di forma allungata all’interno del rene • Se l’ostruzione prosegue, si formano aree ipoecogene nello spessore del parenchima e si osserva un

assottigliamento del parenchima

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Nell’ostruzione acuta, dove i segni di dilatazione sono meno specifici, si può osservare un aumento delle resistenze vascolari renali al color doppler.

Urografia Migliore dell’ecografia nel dimostrare la causa dell’ostruzione (specialmente se parenchimale) ma solo se la funzionalità renale residua consente l’escrezione di una buona quantità di mezzo di contrasto. Anche la dilatazione delle vie urinarie e della pelvi è dimostrata efficacemente. Dimostra anche i reperti di ipertrofia prostatica (dilatazione delle vie urinarie simmetrica e bilaterale).

Pielografia Sostituisce l’urografia in caso di rene non funzionante. Affiancata dall’uro-RM. E dalla TC, che dimostra tutti i tipi di litiasi e i processi espansivi retroperitoneali causa di ostruzione.

13.5 GLOMERULONEFRITI E NEFROPATIE PARENCHIMALI Le glomerulonefriti sono in genere moderatamente significative all’ecografia e all’urografia. L’esame di elezione in questi casi è la immunofluorescenza e la biopsia renale, che permettono la diagnosi eziologica e la stadiazione del processo di danno. La diagnostica strumentale può però fornire alcuni tipi di informazione collaterale e osservare segni indiretti, come: • Il raggrinzimento renale e la riduzione di volume delle vie escretrici delle forme croniche • Alterazioni del flusso in fase acuta e cronica rilevabili al doppler • Emorragie alveolari e glomerulari della Goodpasture Nelle nefropatie interstiziali acute può essere significativo il doppler che documenta una serie di alterazioni di flusso legate all’edema interstiziale, e soprattutto la TC con la comparsa di aree ipodense a margini sfumati. Nelle nefropatie interstiziali croniche ci sono invece alterazioni più caratteristiche. • Diminuzione di volume • Incisione dei contorni renali di natura cicatriziale • Spessore del parenchima diminuito specie nelle regioni polari • Ecostruttura di densità aumentata • Modificazioni morfologiche infiammatorie della papilla documentabili all’urografia • Alterazioni scintigrafiche di fissazione del tracciante a livello corticale (alta sensibilità) La necrosi della papilla di solito ischemica, si può associare alle pielonefriti o al diabete. Si identifica piuttosto bene all’urografia come un processo progressivo di erosione a partenza dai calici di 3° ordine che si estende verso la papilla “circondandola” e infine distruggendola. Gli esiti finali, con una immagine cavitaria all’ilo, devono essere differenziati dalla cisti. La nefrocalcinosi è una lesione caratterizzata dalla precipitazioni di sali di calcio nei tubuli e nell’interstizio, legata a processi patologici renali o malattie sistemiche del metabolismo del calcio. Sono calcificazioni puntiformi in genere midollari con risparmio della corticale, ben dimostrabile a RX diretta, ecografia e TC. La TBC renale si forma generalmente per diffusione ematogena e interessa primariamente la corticale, dove forma lesioni granulomatose nodulari isolate. Queste possono andare incontro ad una evoluzione detta abortiva, con il confinamento del processo alla midollare entro una parete fibrosa, o ad una evoluzione estensiva, con caseosi e diffusione delle lesioni a pelvi, ureteri e vescica. Essenzialmente le alterazioni della via urinaria vengono estesamente e molto bene caratterizzate dall’urografia, mentre le lesioni parenchimali a qualunque stadio sono ben dimostrate dalla TC. In presenza di ostruzione di sospetta natura TBC che impedisce l’urografia si ricorre alla pielografia ascendente, mentre in genere l’ecografia non consente rilievi specifici. L’ascesso in genere deriva da una pielonefrite acuta, e si localizza sia all’interno del rene che nel parenchima. All’ecografia assume l’aspetto di una massa a margini irregolari e contenuto liquido corpuscolato.

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La TC lo definisce meglio nei suoi rapporti. Spesso si trova gas all’interno della lesione e si fa subito diagnosi di natura in maniera abbastanza agevole. Se l’ascesso si estende ai calici si ha la dimostrazione all’urografia della penetrazione di urina al suo interno. L’ascesso perirenale viene dimostrato sia per i segni di compressione e dislocazione del rene che per l’osservazione diretta alla TC, che ne valuta la topografia, i rapporti con gli organi adiacenti e ne identifica l’origine.

13.6 NEFROPATIE VASCOLARI

Infarto Diagnosi agevole tramite scintigrafia renale con indicatori a fissazione corticale, e con l’ecodoppler che dimostra l’assenza di flusso nella zona infartuata. Anche la TC con mezzo di contrasto dimostra l’assenza di captazione. Arteriografia solo raramente necessaria.

Ipertensione nefrovascolare Vedi capitolo sull’ipertensione

13.7 NEOPLASIE RENALI Si possono classificare in:

1. tumori che colpiscono il parenchima renale carcinoma a cellule renali tumore di Wilms

2. tumori che colpiscono le vie urinarie

CARCINOMA A CELLULE RENALI (TUMORE DI GRAVITZ) Rappresenta l’1-3% di tutti i tumori maligni viscerali e l’85-90% di tutti i tumori renali maligni. Colpisce prevalentemente individui anziani (quinta-settima decade) con un rapporto M:F=2:1. A causa del colore giallo e della somiglianza delle cellule renali con quelle della corteccia surrenale in passato si riteneva che originasse da residui surrenali perciò veniva chiamato ipernefroma. Oggi invece è stato dimostrato che origina dall’epitelio tubulare e che perciò si tratta di un adenocarcinoma renale, il colore chiaro del citoplasma delle cellule neoplastiche deriva dall’estrazione dei lipidi del citoplasma da parte dei fissativi nell’allestimento del preparato istologico.

Eziologia Il tabacco è il maggior fattore di rischio appurato (r.r. : 2), poi sono emersi anche l’obesità, l’ipertensione, la terapia estrogenica non bilanciata, l’esposizione all’asbesto e ai derivati del petrolio e ai metalli pesanti. Condizioni frequentemente associate, ma non si sa se predisponesti sono l’IRC, la malattia cistica renale e la sclerosi tuberosa (come l’angiomiolipoma). Vi è una piccola quota (14%) di tumori renali familiari

Aspetto Il carcinoma a cellule renali può originare da qualsiasi parte del rene ma più spesso si trova ai poli in particolare quello superiore. Al momento della diagnosi di solito la lesione è solitaria ed unilaterale e costituisce una massa sferica che va dai 3 ai 15 cm, composta da tessuto grigio-giallastro brillante (giallo “zolfo”) che altera la configurazione del rene. Aumentando progressivamente di volume il tumore tende a diffondere verso i calici e la pelvi, cioè a livello dell’ilo renale facendosi strada verso l’uretere. Una caratteristica peculiare di questo tumore è la tendenza ad invadere la vena renale (avendo questa una parete più sottile di quella dell’arteria) formando una colonna solida di cellule neoplastiche all’interno del vaso. Ciò può determinare la formazione di un trombo neoplastico continuo nella vena cava inferiore. Se questo processo avviene a SX si ha un varicocele cosiddetto “sintomatico” omolaterale Raramente si ha l’invasione del grasso perirenale e del surrene. Istologicamente il tumore può presentare vari aspetti architettonici:

1. papillare 2. solido

Spesso nei tumori si ha la commistione dei due aspetti.

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Clinica I 3 sintomi classici sono rappresentati da:

1. Dolore costo-vertebrale 2. Massa palpabile 3. Ematuria di solito microscopica e capricciosa (intermittente con periodi di remissione piuttosto

lunghi) – è il sintomo più importante e frequente Il tumore può rimanere silente finché non raggiunge grandi dimensioni, in quel momento può dare origine a sintomi generalizzati quali febbre, malessere, astenia e perdita di peso. Le metastasi (ematogene) sono precoci e frequenti e soprattutto non correlate alle dimensioni del tumore: le sedi principali di metastatizzazione sono in ordine di frequenza:

polmone (50%) ossa (33%) - metastasi prevalentemente osteolitiche al contrario del carcinoma prostatico linfonodi regionali fegato surreni encefalo tiroide

nel 10-15% dei casi si possono anche avere metastasi nel rene controlaterale. Le metastasi avvengono per via ematica attraverso la vena cava. Una caratteristica tipica di questo tumore è quella di metastatizzare ampiamente prima di dare origine a qualsiasi segno o sintomo locale: perciò può capitare ad esempio che un tumore in stadio avanzato si manifesti con una frattura patologica causata da una metastasi a livello osseo. Il quadro di crescita asintomatica può presentarsi in molti pazienti cosicché il tumore può aver raggiunto il diametro di 10 cm al momento della diagnosi. Talvolta invece può dare precocemente origine a numerose sindromi paraneoplastiche causate da una disregolata produzione di ormoni tra cui:

Policitemia Ipertensione Ipercalcemia Amiloidosi Disfunzione epatica Femminilizzazione o mascolinizzazione Sindrome di Cushing ecc.

Altre volte capita invece che tumori di dimensioni notevoli non danno luogo a metastasi. La sopravvivenza media del carcinoma renale è del 45% a 5 anni (70% in assenza di metastasi a distanza, solo 15% in presenza di invasione del grasso perirenale).

Diagnosi Grading • G0: tumore senza anaplasia (adenoma) • G1: ben differenziato • G2: moderatamente differenziato • G3: scarsamente differenziato • G4: indifferenziato (nessuna somiglianza con le cellule dei tessuti di partenza) Staging Livello Descrizione Dimensioni to Tumore primitivo non evidenziabile - Tx Tumore non valutabile, ma evidenza di tumore renale per una metastasi con cellule

renali ?

T1 Tumore limitato al rene Max 2,5 cm T2 Tumore limitato al rene > 2,5 cm

Tumore che invade le strutture renali ma non supera la fascia di Gerota T3a Ghiandola surrenale

T3

T3b Vena renale o vena cava inferiore (al di sotto del diaframma)

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T3c Vena cava al di sopra del diaframma T4 Tumore che invade oltre la fascia di Gerota e gli organi vicini La fascia di Gerota è un ispessimento fibroso che circonda il grasso perirenale. Anteriormente prende rapporto con il peritoneo posteriore, e posteriormente con la fascia dei muscoli perivertebrali. Livello Descrizione Nx Linfonodi non valutabili (non è stato eseguito uno studio adeguato) N0 Linfonodi regionali liberi da metastasi N1 Linfonodo regionale singolo interessato da metastasi non superiore a 2 cm N2 Linfonodi regionali interessati da metastasi di diametro non superiore a 5 cm N3 Linfonodi regionali interessati da metastasi di diametro superiore ai 5 cm La stadiazione clinica dei linfonodi è spesso soggetta ad errori, e anche quella chirurgica. Spesso i linfonodi portati dal patologo risultano essere ingrossati per processi infiammatori e non per la reale presenza di metastasi Livello Descrizione Mx Metastasi a distanza non accertate M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Metastasi a distanza presenti (si considerano M anche metastasi a linfonodi extra regionali) Il problema maggiore è la presenza di micrometastasi che si vedono anche dopo 8-10 anni dall’asportazione del tumore primitivo.

Diagnostica strumentale L’esame di elezione è la TC, massimamente sensibile per l’adenocarcinoma di Gravitz. Viene fatta con scansioni assiali, in genere cranio caudali. La lesione assume un aspetto di un’area circoscritta a margini sfumati, isodensa o ipodensa nelle scansioni dirette, che va incontro a precoce assorbimento del mezzo di contrasto e irregolare rispetto al parenchima circostante. Alla RM la lesione si presenta di segnale variabile, con intensità inferiore nella corticale in T1. TC e RM possono evidenziare le alterazioni del rene e delle vie urinarie, l’infiltrazione delle fasce e la stadiazione, la trombosi della vena cava, la presenza di linfonodi aumentati di volume nell’ilo e in sede paracavale. Molto importante per osservare se il tumore è capsulato. I rilevi ecografici sono occasionali, mentre assume importanza nei casi più semplici per la tipizzazione. Inoltre viene usata per la esecuzione di biopsie e con il doppler può valutare l’interessamento dell’arteria renale e della cava. Urografia e angiografia possono avere importanza nella valutazione dell’interessamento vascolare e nell’esecuzione di chemioembolizzazioni.

TUMORI UROTELIALI RENALI Fino al 10% dei tumori renali prende origine dalla pelvi renale; essi comprendono un vario spettro di lesioni, che vanno dal papilloma benigno fino al franco carcinoma papillifero. Come nel caso della vescica il papilloma può essere difficilmente distinguibile da un carcinoma papillifero a basso grado. Di solito tutti quanti si manifestano precocemente con ematuria macroscopica e colica renale, idronefrosi e dolore sordo al fianco e quindi quasi mai possono raggiungere grandi dimensioni. Spesso sono multipli e quasi sempre associati a un concomitante carcinoma vescicale. È dimostrata una correlazione con la nefropatia da abuso di analgesici. Nonostante le piccole dimensioni la prognosi non è buona: 50% a 5 anni, 10% se sono infiltranti. La diagnosi viene fatta in genere con l’urografia e in seconda istanza con la pielografia retrograda. La definizione dell’infiltrazione viene fatta con la TC che ne consente il rilievo diretto.

TUMORE DI WILMS Rappresenta la neoplasia renale primitiva più comune nell’infanzia essendo generalmente diagnosticata entro i 2-5 anni di età. È il terzo tumore nella fascia d’età prima dei 10 anni. È caratterizzato da una predisposizione genetica che è confermata dal fatto che spesso si associa ad altre malformazioni congenite.

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Il tumore più essere congenito e dare parto distocico. Le cellule tumorali sono quelle presenti nel corso della nefrogenesi ed il differenziamento si manifesta solo sotto forma di glomeruli e tubuli a sviluppo incompleto. Lo stroma è di tipo fusocellulare indifferenziato. Raramente possono essere presenti elementi differenziati quali tessuti eterologhi come epitelio squamoso o mucinoso, muscolo liscio, tessuto adiposo, cartilagine e tessuto sia osteoide che nervoso. Il tumore è piuttosto aggressivo in quanto tende a superare la capsula e a comprimere gli organi vicini (es. fa risalire il diaframma determinando atelettasia polmonare).

SARCOMI Rari. Alla TC e RM caratteristiche simili all’adenocarcinoma, ma con dimensioni maggiori. Il liposarcoma ha tessuto adiposo ben visibile alla RM (non alla TC, che lo differenzia male), l’osteosarcoma calcificazioni grossolane.

LINFOMI Possono interessare i reni in fase avanzata. Si diagnosticano anche all’ecografia, come lesioni nodulari ipoecogene omogenee, che possono indurre aumento progressivo del rene. Alla TC il tessuto presenta valori di attenuazione uguali al parenchima, ma ha un assorbimento del mezzo di contrasto molto minore del parenchima sano.

METASTASI Provengono da: • Polmone • Mammella • Stomaco • Rene controlaterale • Melanoma Hanno l’aspetto di noduli multipli corticali, di piccole dimensioni e ben delimitati. Di solito la molteplicità e la bilateralità sono i criteri che ne permettono la diagnosi differenziale con i tumori primitivi.

13.8 EMATURIA Riconosce cause mediche e chirurgiche: nelle prime la diagnostica per immagini ha un ruolo limitato, nelle seconde importante.

EMATURIE MEDICHE EMATURIE CHIRURGICHE • Patologia diffusa del parenchima di tipo

glomerulare o tubulare, con ematuria, albuminuria e cilindruria associate a globuli rossi dismorfici.

Ematuria senza altri segni di coinvolgimento funzionale del rene.

Le cause di ematuria possono essere: • Renali: rene policistico, calcoli, flogosi, infezioni, traumi, trombosi, neoplasie • Ureterali: calcoli, flogosi, traumi, neoplasie • Vescicali: calcoli, flogosi, traumi, neoplasie • Prostatiche: ipertrofia, flogosi, neoplasie • Uretrali: calcoli, flogosi, traumi, neoplasie

Diagnosi radiologica Identificare la sede e le cause dell’ematuria e quantificare la sua estensione: • Numero delle lesioni • Rapporti con il parenchima, la via escretrice, la vescica e le pareti • Lesioni associate • Lesioni secondarie • • In caso di ematuria si usano TC, esame RX diretto, ecografia e RM con sequenze di uro-RM, e con ruolo

secondario pielografia ascendente e percutanea, arteriografia e flebografia renale.

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Ecografia Identificazione di una massa renale che provoca ematuria, calcoli o tumori endopielici. L’eco ureterale è poco efficace per i motivi ricordati all’inizio del capitolo, e quindi si diagnosticano solo calcoli nel tratto intermedio dell’uretere. Non può definire la composizione del calcolo e da un giudizio approssimativo su forma e dimensioni Nella vescica si possono meglio valutare i calcoli con diverse metodiche: • Sovrapubica: permette di osservare calcoli e lesioni aggettanti nel lume (che possono essere direttamente

correlate con l’ematuria), diverticoli e vescica da sforzo (non direttamente correlabili con ematuria) • Endocavitaria • Endorettale • Endouretrale • Identifica con alta sensibilità (90%) il tumore vescicale. • Comunque il “gold standard” rimane la cistoscopia • • L’ecografia prostatica è importante, e viene fatta sia per via sovrapubica che transrettale. • L’esame transrettale ha bisogno anche di: • Esplorazione digitale (nel senso del dito!) • Esame di laboratorio su ALP • Valutazione dell’antigene prostatico specifico (PSA)

RX diretto Riconosce i soliti calcoli radiopachi e le calcificazioni patologiche di processi TBC o espansivi. Anche alcuni aneurismi della renale e alcune malformazioni vascolari sono calcificate. Il valore di questo esame è elevato nella calcolosi, basso in tutte le altre cause.

Urografia Non è più l’esame di primo livello, anche se è la miglior forma di documentazione delle vie urinarie. Si deve aspettare una settimana dopo l’ematuria (presenza di coaguli che possono essere interpretati come difetti di riempimento da lesione vegetante, o al contrario mascherare eventuali lesioni). Ha scarsa sensibilità nell’osservazione di lesioni espansive ma è importante per le lesioni intrinseche od estrinseche dell’uretere.

TC Nelle cause renali di ematuria è il gold standard, per via dell’elevata risoluzione di densità esaltata dal mezzo di contrasto iodato idrosolubile. Possono essere dimostrate masse renali fino a 5 mm. E’ l’esame migliore per lo studio dello spazio perirenale grazie al contrasto naturale dato dal tessuto cellulare grasso attorno al rene che permette di visualizzare bene la fascia di Gerota e i vasi. Buona possibilità di studio per il mezzo di contrasto di vasi renali, vena cava inferiore, vasi limitrofi. Negli Stati Uniti la TC è l’indagine di prima istanza per la ricerca di tumori renali. In Europa è considerata l’esame di elezione per: • Cause di ematuria di origine renale con precedenti indagini negative • Definizione di masse dubbie dopo ecografia • Definizione di natura di difetti di riempimento dubbi all’ecografia renale • Sospetta trombosi della vena renale • Staging delle neoplasie di tutto l’apparato urinario

Arteriografia Ruolo dimostrativo di malformazioni vascolari, fistole, preinterventistica nella PTA dell’arteria renale e nella chemioembolizzazione delle neoplasie ipervascolarizzate che determinano ematurie non controllabili con terapia medica. Stesso discorso vale per le ematurie incontrollabili da neoplasie del basso apparato urinario o dopo prostatectomie radicali.

Flebografia Dimostra in maniera chiara la trombosi venosa, che però viene vista altrettanto bene con la meno invasiva TC.

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Pielografia Indicazione limitata nelle ematurie in cui il rene è escluso e dilatate le vie escretrici, e le indagini incruente non sono diagnostiche

RM Valutazione dettagliata di tutto l’apparato urinario con elevata risoluzione spaziale e di contrasto. Ruolo complementare all’ecografia e alla TC in espansione. Le nuove sequenze uro-RM e i nuovi mezzi di contrasto la rendono molto efficace. In particolare la metodica uro-RM permette la visualizzazione dettagliata delle vie urinarie senza mezzo di contrasto e senza radiazioni ionizzanti. Sequenze ultraveloci molto pesate in T2 con bande di saturazione in 3 piani. Il segnale del grasso viene soppresso, per migliorare il contrasto ed eliminare gli artefatti. In genere si prende il piano coronale con campo visivo che include tutto l’apparato escretore. La matrice è a media risoluzione, acquisizione in multistrato con spessore di strato sottile 2-4 mm o in sezioni singole a 30-50 mm. L’algoritmo MIP permette la ricostruzione 3d senza sovrapposizione delle strutture adiacenti. Per via dell’elevato segnale in T2 dei liquidi si riconoscono molto bene dilatazioni dei dotti escretori e l’idronefrosi. Siccome un T2 intenso significa un tempo lungo, i flussi rapidi possono essere mal evidenziati o non evidenziati affatto, e quindi viene provocata una dilatazione e una stasi delle vie urinarie, che risultano così riempite di liquido statico. Per far questo il paziente viene idratato, viene somministrata furosemide prima dell’esame, e viene applicata una compressione sull’uretere distale: il risultato è un grande afflusso di urina nell’uretere e uno scarso deflusso. L’uro-RM ha le stesse indicazioni dell’urografia ed è preferibile per l’assenza di mezzo di contrasto iodato (pesante in IRC) e di radiazioni ionizzanti, ma è costosa.

Algoritmo diagnostico dell’ematuria Primo approccio ecografia e RX diretta addome. Da qui si può ottenere: • Positività per calcolosi → metodiche di trattamento medico • Positività per neoplasia renale → stadiazione con TC o RM • Positività per neoplasia vescicale → urografia (o uro-RM dove possibile) e TC contemporanee (usando

lo stesso mezzo di contrasto), cistoscopia con biopsia per il grading, ecografia transrettale per lo staging insieme alla TC.

• Negatività ad eco e RX • Citologia urinaria positiva: → urografia o uro-RM per valutazione delle vie urinarie superiori, TC per

ricerca di neoplasie renali occulte, cistoscopia • Citologia urinaria negativa: → ipotesi di flogosi urinaria → ricerca di sintomi e indici di flogosi. • Flogosi positiva: diagnosi di natura • Flogosi negative: indagini successive prima meno invasive (TC e uro-RM) infine se necessaria

cistoscopia. • Se l’ematuria rimane ancora inesplicata si ricorre all’indagine angiografica per cause rare di ematuria •

13.9 PATOLOGIA PROSTATICA La prostata riconosce essenzialmente tre tipi di patologia che in ogni caso ne determinano aumento di volume. Queste sono l’ipertrofia prostatica benigna, il carcinoma prostatico e le prostatiti. L’esame di elezione per lo studio iniziale della prostata è l’ecografia, eventualmente eseguito in forma transrettale, che permette la visione diretta senza preparazione della vescica, o in sede specialistica l’esame per via transuretrale. Tutte le metodiche hanno i loro pro e contro.

METODICA VANTAGGI SVANTAGGI INDICAZIONI

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Transaddominale • Semplice • Poco invasivo • Molto economico

• Anse intestinali interposte

• Difficile vedere la parete caudale

• Basa definizione strutturale

• Scarsa valutazione delle dimensioni

Studio di base, approccio iniziale alla patologia prostatica

Transrettale • Studio completo • Ottima definizione

strutturale • Accurata valutazione

dei diametri

• Invasività • Costo maggiore

• Valutazione delle masse prostatiche, follow up post trattamento

Transuretrale • Studio ad alta risoluzione della parete e della struttura

• Trasduttore costoso • Frequenti lesioni

meccaniche uretrali

• Casi estremamente selezionati

La prostata normale è una formazione ovalare al di sotto della base vescicale, omogeneamente ipoecogena. Per via transrettale si può valutare il decorso dell’uretra intraprostatica anche in senso dinamico durante la minzione.

Ipertrofia prostatica benigna Rappresenta senza dubbio una alterazione diffusa: 90% dei pazienti intorno agli 80 anni è portatore di una ipertrofia microscopica, e di questi un 50% sperimenta sintomi di stenosi all’efflusso urinario. Complessivamente la patologia interessa circa il 25% dei maschi adulti al di sopra dei 50 anni. Non tutte le prostate significativamente ingrossate sono palpabili all’esplorazione rettale. La patogenesi è senza dubbio multifattoriale, ma ci sono almeno due punti fermi importanti: • La presenza di testicoli o di una fonte di androgeni • L’invecchiamento A differenza di altri organi sessuali maschili, la prostata conserva sempre i recettori per gli androgeni e quindi continua a crescere per tutta la vita del paziente. Questo predispone fortemente tutti gli uomini con genitali funzionanti allo sviluppo di questa patologia. Perché essa si sviluppi, però, non è sufficiente la presenza di testicoli e il tempo: in altre parole i due fattori elencati prima sono necessari ma non sufficienti a produrre l’ipertrofia I due fattori principali, gli androgeni e gli estrogeni, sembrano esercitare un importante sinergismo nella crescita della ghiandola: i primi promuovono la crescita dell’epitelio, i secondi quella dello stroma. Inoltre il legame dei recettori per estrogeni al ligando promuove l’espressione dei recettori per androgeni nell’epitelio ghiandolare e aumenta significativamente la 5 α reduttasi (che trasforma il T in DHT). Nell’anziano c’è aumento relativo di estrogeni rispetto agli androgeni e si ha una proliferazione del tessuto stromale in maggior quantità. La neoplasia ha in genere una crescita eccentrica e non provoca stesi. La crescita riguarda le porzioni ghiandolari peruretrali ma extrasfinteriche. L’iperplasia ha una crescita concentrica e interessa le ghiandole uretrali intrasfinteriche provocando stasi al flusso. Nell’uno e nell’altro caso, la crescita avviene prevalentemente a carico delle ghiandole della zona di transizione

Esiste una frequente associazione fra ipertrofia e carcinoma prostatico, di significato non ben chiaro, che riguarda il 10% delle ipertrofie. Molto probabilmente è una associazione causale di due entità ben distinte, piuttosto che una progressione dell’ipertrofia verso il carcinoma.

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La prostata risulta aumentata di volume, con contorni regolari e simmetrici; a volte alla presenza di noduli di ipertrofia si associa un reperto di calcificazione. • Anamnesi: passaggio lento fra le varie fasi dell’ostruzione (rapido nel carcinoma) • Esplorazione rettale: eseguire a vescica vuota, permetta la valutazione di molti parametri della

ghiandola. o Volume della prostata o Conformazione della ghiandola (situazione normale: dimensioni di una castagna con un

solco fra i due lobi. Ipertrofia: forma sferica e volume aumentato) o Consistenza: nell’ipertrofia come nella situazione normale è teso-elastica come una pallina

da tennis, nel K è lignea o Superficie: nell’ipertrofia è liscia e omogenea come una mela. Nel K può essere irregolare o Limiti: ben delimitata dalla capsula (a meno di ipertrofie grandissime) a differenza del K o Dolorabilità: alla palpazione stimolo a urinare (normale). Nella prostatite o nel carcinoma

da dolore • Esame obiettivo addome: ottusità sotto l’ombelico a concavità verso il basso non variante con le varie

posizioni del paziente. Eventuale aumento del volume dei reni per idronefrosi • Esami di laboratorio: esame urine non utile (rivela semmai la presenza di complicazione infettive).

Molto utile il dosaggio del PSA nella diagnosi differenziale con il K. (0-4: normale; 4-10: affezioni prostatiche aspecifiche; >10 probabile carcinoma della prostata differenziato, l’indifferenziato non produce PSA). Importante anche la fosfatasi acida, anch’essa prodotta solo dalla prostata. Bisogna valutare il tasso ematico totale di PSA: la frazione libera su quella totale diminuisce in corso di neoplasia maligna.

• Uroflussimetria: valori di flusso massimale > di 15 ml/s sono indicativi di assenza di ostruzione, < di 10 ml/sec sono indicativi di ostruzione.

• Determinazione del residuo vescicale postminzionale: con catetere o con ECO • Ecografia sovrapubica e transrettale: utile per la valutazione delle zone della prostata inesplorate alla

palpazione. • Urografia endovenosa: d’obbligo se è presente ematuria • Cistouretrografia retrograda: eseguire se si sospetta una stenosi uretrale. Alcuni segni urologici di ipertrofia prostatica: • Distanziamento del fondo della vescica dal margine superiore del pube • Impronta sul fondo vescicale • Aspetto della vescica a colonne per ristagno di urina e ipertensione vescicale • Diverticoli vescicali da pulsione • Sollevamento del tratto terminale degli ureteri • Residuo postminzionale abbondante •

Adenoma prostatico benigno Provoca una iperplasia nodulare con aumento di volume a contorni regolari e simmetrici. E’ possibile identificare calcificazioni nello spazio fra i noduli; nelle forme conclamate il tessuto ghiandolare indenne si organizza intorno all’adenoma come una pseudocapsula. Gli esami da eseguire sono gli stessi dell’ipertrofia prostatica benigna.

Carcinoma della prostata 3°-4° posto per mortalità, 1° posto dopo 70-75 anni. Dipende anche dalla zona geografica a cui ci si riferisce (minor incidenza in oriente per ambiente e alimentazione) Fattori di rischio accertati sono: • Razza • Età (>50) • Familiarità (rischio aumentato di 3 volte) • Dieta: grassi, diminuzione dell’assorbimento di vitamine antiossidanti (A,D,C) • Occupazione: industria tessile, chimica e della gomma • Attività e infezioni sessuali

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Si tratta nel 95% di adenocarcinomi. I carcinomi a cellule di transizione e squamoso, e i sarcomi occupano insieme il restante 5% → Grading Esiste una scala di gradazione detta scala di Gleason per valutare l’anaplasia delle cellule. Viene riferita ad un sistema di punteggio da 1 a 5 in base alle alterazioni architetturali della 2 popolazioni cellulari più diffuse. Sommati insieme questi due punteggi danno un grading da 2 a 10.

→ Staging • T1: tumore non palpabile clinicamente, non visibile agli strumenti, di riscontro istologico nell’analisi di

tessuto asportato per iperplasia benigna (tumore nel contesto di un nodulo iperplastico) o T1a: meno del 5% del tessuto osservato o T1b: maggiore del 5% del tessuto osservato o T1c: PSA elevato

• T2: tumore prostatico palpabile limitato dalla capsula o T2a: 1 solo lobo o T2b: ai 2 lobi

• T3: tumore extraprostatico o T3a: oltre la capsula nel connettivo periprostatico o T3b: esteso alle vescichette seminali

• T4: invasione del retto o della vescica → Clinica Ipertrofia ad evoluzione molto più rapida rispetto a quella benigna, con evoluzione scarsamente stenosante e principalmente diretta verso l’esterno della ghiandola. A volte ematuria ed emospermia → Diagnosi • Biopsia ecoguidata: unico esame certo per dire se il paziente ipertrofico ha un cancro • Ecografia transrettale: staging. All’ecografia la struttura è alterata da un’area parenchimale “a placca”

mal definibile, ipoecogena; negli stadi avanzati l’ecostruttura è disomogenea. L’esame è importante per lo staging in quando dimostra l’infiltrazione extracapsulare e offre una guida alla biopsia.

• RMN addome e pelvi: staging • RM prostatica: ottima risoluzione, superiore alla TC, in T2 dove è possibile una accurata

differenziazione fra uretra e parenchima, descrizione del tessuto prostatico circostante. Ha una capacità migliore della TC nell’individuare lesioni focali, e ultimamente si usa anche per lo staging delle lesioni extracapsulari in alternativa alla TC.

• TC prostatica: soprattutto estensione locoregionale (il tumore primitivo spesso non si vede nemmeno dopo somministrazione di mezzo di contrasto). La TC ha bassa sensibilità per le lesioni intracapsulari e se ne sconsiglia l’uso se non per lo staging.

• TC addome: metastasi epatiche e renali • Scintigrafia ossea: metastasi ossee Le metastasi sono spesso linfatiche o alle ossa. → Terapia Viene scelta in base allo stadio clinico, età, condizioni cliniche del paziente. In genere esistono tre tipi di terapia, con applicazioni differenti: • Chirurgica: applicabile solo al tumore locale. Applicabile fino ai T2, poco ai T3 mai a T4 o se N+ o M+ • Radioterapia: applicabile ai margini della lesione. Viene usata fino a T3. No T4, N+, M+ • Medica: chemio molto poco sensibile; ormonoterapia per metastasi a distanza (M+). Controindicazioni alla chirurgia sono paziente in età avanzata, condizioni scadenti. Alternative sono la radioterapia e l’ormonoterapia.

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CAP 14 RADIOLOGIA DELLO SCHELETRO E DELL’APPARATO MUSCOLOTENDINEO L’ossificazione avviene in due modi: una prima fase, che costituisce il tessuto osseo iniziale, è detta anche connettivale o diretta, e vi partecipano nell’ordine: • Fibroblasti che si differenziano in osteoblasti e depongono tessuto su cui si depositano i sali. • Questo tessuto diventa poi mesenchima e direttamente tessuto osseo • • Il tessuto osseo viene poi rimodellato con l’ossificazione per sostituzione, in cui il mesenchima diventa

cartilagine e poi tessuto osseo.

14.1 DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Radiologia E’ la tecnica fondamentale; l’osso è completamente radiopaco per l’elevato contenuto di sali di calcio; la disposizione differente nel contesto dell’osso compatto (lamellare) e osso spugnoso (trabecolare) riescono a dare una distinzione fra le varie componenti all’interno di un singolo osso. La compatta delle ossa lunghe è una striscia periferica opaca che delimita il midollo (trasparente); la spugnosa delle ossa corte si presenta come un intreccio di trabecole che talvolta, in particolari settori sottoposti a forze di tensione sempre nella stessa direzione (calcagno), si dispongono lungo linee di forza. Il periostio e l’endostio non sono normalmente visibili se non si calcificano, così come le cartilagini, i legamenti e le capsule articolari. Le ossa piatte infine sono costituite da uno strato centrale spugnosi circondato a sandwich da tavolati di osso compatto. La classifica di radiopacità fra i vari costituenti dell’osso è: • Tessuto osseo • Periostio (non visibile, solo con TC, a meno che è patologico) • Cartilagine (non radiologicamente apprezzabile mai) • Midollo (stessa consistenza delle parti molli, visibile a RM) • Acqua libera e sangue • • L’osso è costituito da strutture di prim’ordine (compatta, spongiosa, corticale), di secondo ordine

(aggregati lamellari) di terzo ordine (lamelle)

TC Studio accurato dell’osso e delle cartilagini, dei legamenti e delle capsule articolari. Importante specie in alcuni distretti complessi come la rocca petrosa, le vertebre, le articolazioni e il piede. Sono ben distinte compatta e spugnosa e ben evidenti come contorno il periostio e l’endostio. Si fanno scansioni continue a strato sottile. E’ molto utile nella patologia traumatica, infiammatoria, infettiva e neoplastica dell’osso. La misura del valore di attenuazione in particolari settori è alla base della densitometria ossea.

RM Sebbene l’osso non dia fondamentalmente segnale per via dell’assenza di protoni mobili, si riesce a distinguere in esso la corticale dalla spugnosa, che ha all’interno il midollo. Questo, assieme alla visione diretta di tessuti circostanti in maniera molto dettagliata, rende la RM indicata per: • Stadiazione di tumori ossei ancora meglio della TC • Diffusione metastatica al midollo osseo (ancora più precoce della scintigrafia) • Studio delle osteonecrosi • Studio delle osteomieliti

Ecografia Indagine di elezione nello studio di muscoli e tendini (vedi). Importante anche nello studio della displasia dell’anca del neonato. Nelle fratture controlla lo sviluppo del callo osseo evolutivo.

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Scintigrafia Importantissimo esame trattato nella parte di medicina nucleare. Indicazioni alla scintigrafia sono: • Lesioni primitive e secondarie dello scheletro • Stadiazione e follow up del carcinoma di mammella e prostata • Identificazione del dolore osseo di origine sconosciuta • Pianificazione della radioterapia • Valutazione della patologia metabolica dell’osso (Paget) • Patologia articolare e muscolare • Valutazione delle fratture • Selezione di aree per la biopsia ossea

Mineralometria Si tratta di una serie di esami che permettono la determinazione quantitativa della massa ossea in pazienti con sindrome osteopenica o osteoporosica, estremamente importanti sia per la diagnosi che per il controllo evolutivo della malattia. Si fanno o a livello periferico (in genere sul radio) o sul rachide, meglio correlabili alla sindrome clinica. Ce ne sono varie tecniche: • Mineralometria fotonica gamma a doppia energia: meglio nota con il termine improprio di MOC

(mineralometria ossea computerizzata), utilizza una sorgente radioattiva di fotoni gamma da 44 a 100 KeV. Fotoni di diversa energia rendono la misurazione indipendente dalla presenza di tessuti molli che li assorbono. Permette, con una dose di radiazione molto bassa, di valutare con estrema precisione il quantitativo di minerale presente nell’osso. Questo viene poi espresso come variazione in deviazioni standard rispetto al valore per età e sesso, e rispetto al valore nel soggetto giovane

• La mineralometria ossea X a doppia energia è identica, ma con raggi X e permette di evidenziare i risultati al computer con risoluzione anatomica molto alta.

14.2 ALTERAZIONI FONDAMENTALI DELL’OSSO

OSTEOPENIA L’osteopenia è una condizione di diminuzione della quantità complessiva dell’osso che si manifesta con diversi quadri clinici, racchiudibili in osteoporosi, rachitismo e iperparatiroidismo. Nel primo caso abbiamo una riduzione della massa ossea complessiva, nel secondo un deficit della mineralizzazione della massa neoformata, nel terzo un aumento del riassorbimento. Dal punto di vista clinico ed eziologico queste patologie sono molto diverse fra di loro ed è fondamentale il ruolo della diagnostica per immagini nell’identificare il tipo di osteopenia e ovviamente fornire una valutazione quantitativa.

Osteoporosi Si tratta di una perdita quantitativa di materiale osseo, nonostante rimangano normali sia il volume dell’osso che il rapporto fra i minerali e la matrice organica che lo compongono. Siccome questo è un processo fisiologico a partire dai 35 anni (soprattutto nelle donne) si definisce come patologia la presenza di fratture spontanee oppure una diminuzione della massa ossea di oltre 2 DS dalla media. La diminuzione della massa ossea interessa meno la corticale della trabecolare, con riduzione della resistenza al carico e aumento del rischio di fratture.

Osteoporosi postmenopausale Sono numerosi i fattori che concorrono alla riduzione della massa ossea in fase post menopausale, e la malattia si configura come un evento multifattoriale. Due aspetti sono importanti: il picco di massa ossea raggiunto all’età matura, che ha un significato prognostico, e le modificazioni che intercorrono alla cessazione dell’attività gonadica. Il picco di massa ossea dipende da numerosi fattori: • Assetto genetico (l’osteoporosi di tipo I è rara nelle donne di razza nera) • Dieta carente di calcio o malassorbimento intestinale • BMI (proporzionale al picco)

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• Fumo di sigaretta, alcool, caffè, farmaci (diminuiscono il picco) • Attività fisica La diminuzione degli estrogeni finisce per mettere in moto un meccanismo progressivo: gli estrogeni non sostengono più il bilancio positivo del riassorbimento osseo, e questo a sua volta fa aumentare la calcemia. Di conseguenza la produzione di PTH diminuisce, e diminuisce quindi la produzione di D3 e il riassorbimento tubulare di calcio. La calcemia viene mantenuta elevata dal riassorbimento osseo, mentre la fosfatemia si alza per via della diminuzione dell’attività del PTH, cosa che fa diminuire l’attività della 1α idrossilasi e quindi a sua volte riduce ancora l’assorbimento di calcio. Tutto questo agisce quindi in due modi: • Diminuzione della sintesi di PTH • Aumento del riassorbimento osseo per compensare le perdite renali e intestinali

Osteoporosi senile Nell’anziano si mettono in moto diversi meccanismi che provocano diminuzione della produzione di tessuto osseo: • Riduzione dell’attività riproduttiva e sintetica degli osteoblasti • Perdita di attività delle proteine della matrice e delle citochine stimolatorie (dovuta all’accumulo di

mutazioni genetiche) • Riduzione della replicazione di cellule ossee progenitrici • Riduzione dell’attività fisica e del turn-over metabolico: le ossa immobilizzate o di arti poco usati sono

significativamente atrofiche rispetto a quelle normali. Negli atleti le ossa sono meglio sviluppate e più grandi

• Diminuzione di attività della α 1 idrossilasi e perdita di vitamina D, correlata ad una minor esposizione al sole

Come conseguenza di questo, i livelli di PTH sono aumentati in questa forma di osteoporosi, poiché alla base della malattia non c’è uno squilibrio ormonale, ma una diminuzione delle capacità sintetiche alle quali l’organismo cerca di porre rimedio aumentando la secrezione di PTH. Questo permette una agevole diagnosi differenziale fra l’osteoporosi di tipo I e II nella donna, permettendo quindi di stabilire se la terapia estrogenica è efficace o meno. I pazienti sono in genere asintomatici fino allo sviluppo di complicazioni. La prima di queste è la frattura¸ inizialmente piccola e legata a traumi modesti, in seguito anche spontanee. Le fratture riguardano la colonna lombare e toracica, il collo del femore, l’avambraccio distale o le costole. Le fratture delle vertebre toraciche sono a volte improvvise con un dolore che simula un quadro di infarto, e lasciano modificazioni caratteristiche come la colonna a grande arco (estrema cifosi dorsale). Fra tutte le forme, le donne sono colpite in misura nettamente maggiore degli uomini (20:1), per la sommazione della menopausa e dell’età, e per la fisiologica minore massa ossea del sesso femminile. Nella forma puramente senile, comunque, il rapporto / si riduce a 2:1. Inoltre: • Nella forma menopausale il riassorbimento interessa per lo più ossa ad ampia superficie, come le coste o

i corpi vertebrali. In essi le trabecole sono ridotte di spessore e perdono le loro interconnessioni, arrivando a microfratture e crolli ossei spontanei.

• Nelle forme senili, la corticale è assottigliata a causa di rimodellamento osseo subperiostale e i sistemi di Havers sono espansi a tal punto che nei casi più gravi la corticale assomiglia a osso trabecolare, mentre la parte centrale è di solito normale.

• Nelle forme senili, le fratture sono molto più frequentemente localizzate al femore, nelle forme di tipo I alla colonna.

All’esame diretto radiografico si hanno alcune alterazioni fondamentali: • Assottigliamento della compatta che si riduce progressivamente di spessore fino a diventare simile alla

trabecolata • Ampliamento del canale midollare • La corticale sottile spicca sulla spugnosa rarefatta come una striscia sottile • Aumento della nitidezza delle trabecole della spongiosa (per la loro rarefazione)

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• Deformazioni ossee frequenti • Fratture patologiche (corpi vertebrali nell’osteoporosi I, polsi, omero e colli femorali nella II) • • Soprattutto nelle vertebre è possibile fare una gradazione del processo: • Grado I: corpo vertebrale di forma normale ma con evidente perdita di massa (riduzione della

radiopacità, che si manifesta solo se la perdita di massa ossea è almeno del 40%) • Grado II: maggiore opacità delle limitanti vertebrali rispetto al centro del corpo, rarefatto • Grado III: strie verticali dovute al contrasto delle trabecole verticali sull’osso rarefatto • Grado IV: deformazione a “lente biconcava” o fratture a cuneo • Grado V: rarefazione intensa del corpo vertebrale che assume una opacità simile a quella dei tessuti

molli circostanti • • La TC è sensibile e accurata nello studio di sedi delicate come la colonna che nella determinazione

mineralometrica della massa osseo. • La scintigrafia è molto importante perché differenzia le forme ad elevato ricambio osseo (Paget) da

quelle dell’osteomalacia (in cui c’è abbondante fissazione del tracciante per elevata produzione della matrice) dall’osteoporosi nella quale invece il tracciante non viene fissato.

Rachitismo e osteomalacia Gruppo di affezioni caratterizzato dalla mancanza di vitamina D e/o di fosfati organici, che si traducono in un difetto di sintesi della matrice ossea. Fra le molte cause che possono provocare questo (insufficienza renale, difetti enzimatici di idrossilazione del colecalciferolo, mancanza di esposizione al sole, deficit dietetici) assumono particolare importanza due tipi di affezione: • Rachitismo vitamina D dipendente di tipo I: malattia autosomica recessiva caratterizzata dalla ridotta

attività dell’1α idrossilasi renale. Il deficit inizia a manifestarsi verso i 4-5 anni di vita in soggetti con normale assunzione di calcio e vitamina D, normalmente esposti alla luce solare.

• Rachitismo vitamina D dipendente di tipo II: trasmessa anch’essa come autosomica recessiva, ed è un disordine misto che interessa i recettori della vitamina D ma anche dei glucocorticoidi, ormoni tiroidei, mineralcorticoidi (interessa infatti un dominio zinc-finger ricorrente in tutti i recettori per ormoni steroidei)

A seconda dell’età di insorgenza, si distinguono due quadri fondamentali: Rachitismo (nel bambino) → insorge prima della saldatura delle cartilagini di congiunzione

Le alterazioni ossee sono prevalentemente a livello del cranio, con caratteristico rammollimento e ritardo di chiusura delle fontanelle. In seguito, si hanno deficit della crescita degli arti inferiori che ostacolano la deambulazione, difetti della dentizione, e deformità progressive delle ossa della pelvi e degli arti. Le forme più gravi possono accompagnarsi a gravi ipocalcemie con tetania, spasmo della laringe e convulsioni.

Osteomalacia (nell’adulto) → insorge dopo la saldatura delle cartilagini Il quadro in genere non è così drammatico, a causa del ridotto fabbisogno di calcio e della minor attività richiesta per il mantenimento, e non per la costruzione, della massa ossea. Ci sono dolori ossei spontanei con dolorabilità alla pressione, e deformità spesso piccole e inosservate. Il dolore all’articolazione coxofemorale può determinare andatura antalgica e debolezza muscolare che spesso provoca difficoltà nei movimenti. A volte si può avere il quadro del bacino a cuore di carta da gioco, fratture spontanee delle vertebre e infine anche collasso vertebrale. Il rachitismo è facilmente diagnosticabile, l’osteomalachia un po’ meno a causa della minor gravità del quadro. E’ importante una diagnosi eziologica. • Deficit di vitamina D: livelli di calcio normali, ridotta fosforemia e aumento del PTH • Insufficienza renale: iperfosfatemia con ipocalcemia di grado variabile, I livelli di ALP e di OHPr urinaria sono di solito aumentati per via di un elevato turn over osseo. Le alterazioni radiologiche più evidenti si hanno a livello della cartilagine di accrescimento. Nei casi conclamati, le alterazioni delle ossa lunghe sono caratteristiche, e a differenza dell’osteoporosi interessano sia la corticale che la trabecolare dell’osso.

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Elementi di diagnosi differenziale: • Iperparatiroidismo: elevati livelli di calcio (il difetto è un eccessivo riassorbimento osseo, non una

diminuita produzione della matrice) • Osteoporosi: difficile sulla base RX, più evidenti le differenze di esami di laboratorio • Paget: agevole per la differenza della calcemia e fosfatemia • Epilessia: in alcuni casi le convulsioni ipocalcemiche del rachitismo possono simulare gli accessi

tonico-clonici tipo grande male.

Diagnosi radiologica E’ possibile separare nettamente due quadri, quello del rachitismo infantile da quello dell’osteomalacia adulta.

SEGNI RADIOLOGICI DI RACHITISMO SEGNI RADIOLOGICI DI OSTEOMALACIA • Il meccanismo principale è la formazione di

tessuto osteoide in eccesso che sostituisce il normale tessuto osseo mineralizzato

• Linea di calcificazione provvisoria, netta e regolare normalmente, diviene sfumata e irregolare

• La cartilagine di accrescimento si ispessisce • Compaiono tardivamente e in maniera mal

definita i nuclei di ossificazione epifisari • Si osserva a volte lo slittamento dei nuclei

epifisari verso l’interno

• disegno sfumato dell’osso spugnoso per la presenza di tessuto osteoide

• assottigliamento e sfrangiatura della compatta (importante diagnosi differenziale con l’osteoporosi in cui la sfrangiatura è assente)

• fratture da durata: sono linee di rottura trasversali alle linee di carico dell’osso che partono da intaccature nella compatta dell’osso lungo, a riparazione lenta e completa

• sindrome di Milkman, ossia la presenza di numerose fratture da durata che caratterizza il quadro dell’osteomalachia avanzata

• deformazioni secondarie (bacino a cuore di carta da gioco)

Iperparatiroidismo Complessa alterazione metabolica, l’iperparatiroidismo si riassume in un aumento, primitivo o secondario, di PTH che induce nell’osso un incremento dell’attività osteoclastica con conseguente aumento patologico del riassorbimento osseo. Ci sono almeno tre quadri clinici: • primario: raro, da adenoma (80%), iperplasia (15%) o carcinoma (5%) delle paratiroidi • secondario: molto più frequente, che si instaura come una risposta di adattamento alla diminuzione della

calcemia (tipico da IRC) • terziario: secondario all’iperplasia delle paratiroidi prodotta da una iperstimolazione perdurata nel tempo

(tipico dopo il secondario anche alla rimozione della causa) • Le modificazioni ossee in corso di iperparatiroidismo variano in relazione all’introduzione di calcio, alla fun-zionalità renale e al livello di paratormone. Le lesioni iniziali mostrano riduzione minima della densità ossea • alla Rx. Tardivamente si ha la formazione di cisti, spesso inizialmente localizzate alla mandibola e alla

mascella. Microscopicamente la biopsia ossea mostra i cosiddetti tumori bruni, costituiti dalla proliferazione di cellule giganti e cellule fusate, con deposizione di osteoide, aree di emorragia e depositi di emosiderina che conferiscono il colorito brunastro alla neoplasia. Attualmente è più frequente osservare una osteoporosi a carattere progressivo, mentre sono di raro riscontro le manifestazioni più tipiche dell’osteite fibrocistica: deformazioni del bacino e fratture patologiche. La deposizione di sali di calcio nei tessuti molli può provocare importanti manifestazioni cliniche. I tessuti più frequentemente interessati sono la cornea, con cheratite a banda, e le strutture articolari e periarticolari con condrocalcinosi, responsabile di artralgie.

• • Alcuni quadri radiologici chiave sono: • Assottigliamento di compatta e corticale • Aumento delle strie intracorticali conseguente all’ampliamento dei canali di Havers • Zone di riassorbimento vicino alla corticale • Tumori bruni • Calcificazioni metastatiche

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OSTEOSCLEROSI Aumento della radiopacità dell’osso per incremento della densità fisica. Ne esistono tre forme a seconda della zona dell’osso interessata dal processo: • Endostosi: ha una forma di placca, che deforma e restringe il canale midollare, fino a obliterarlo nella

forma detta osteopetrosi. La forma dell’osso è conservata. • Periostosi: forme più comuni con colate ossee vicino alle diafisi, sovrapposte come la buccia della

cipolla. I contorni possono essere irregolari a colata di cera. In genere la forma ossea viene alterata per l’associazione di una iperostosi

• Spongiosclerosi: area di opacità aumentata variabile molto nella forma. • • L’architettura dell’osso può essere conservata o alterata a seconda della gravità del quadro clinico. Può

essere pura o associata ad altre patologie, e generalizzata o localizzata ad uno o più distretti. Infine può interessare le diafisi, metafisi o i nuclei epifisari. L’area interessata si riconosce bene per l’aumento della sua opacità.

• L’osso va incontro facilmente a fratture da trauma che consolidano completamente e con facilità. • • Le cause di osteosclerosi sono: • Idiopatiche • Tossiche: • Eccesso vitamina D, malattia di Paget, nefropatia • Tumorali: carcinoma della prostata

OSTEONECROSI L’osteonecrosi è la morte di porzioni più o meno estese dell’osso, determinate in ultima istanza dall’ischemia, conseguente a diverse condizioni: • Traumi • Intossicazioni professionale (necrosi della mandibola da inalazione di vapori di fosforo) • Fattori vascolari acuti (embolie e infarti) • Agenti fisici • Processi infiammatori acuti e cronici • Infezioni • • Dal punto di vista clinico vengono distinte in infettive e asettiche, queste ultime da cause note o

idiopatiche. • Radiologicamente il focolaio necrotico, do qualunque natura, attraversa quattro fasi: • Non individuabilità: RX negativo • Addensamento: si osserva un certo grado di addensamento osseo, • Frammentazione: presenza di aree similcistiche con rarefazione (riassorbimento della necrosi) e aree di

sclerosi (riparazione fibrosa) • Riassorbimento e risoluzione • • Le forme idiopatiche sono piuttosto importanti per la loro frequenza. • I rilievi radiologici sono meglio dimostrati alla TC, mentre la scintigrafia ossea dimostra in genere la

presenza di zone fredde dovute alla riduzione dell’apporto ematico anche in presenza di radiologia normale.

OSTEOLISI Distruzione o riassorbimento di porzioni estese di osso. Riconoscono moltissime cause, di natura flogistica, distrofica, granulomatosa, neoplastica, da compressione. Spesso sono presenti osteolisi di natura post traumatica. Il focolaio si presenta come un’area radiotrasparente dai contorni più o meno netti all’interno della quale non è apprezzabile il normale disegno osseo.

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Le caratteristiche di forma, dimensioni, margini, contemporanea presenza di altre alterazioni consentono in genere un orientamento diagnostico. Le cause possono essere: • Neoplasie: • Flogosi • Emolinfopatie • Cistiche • Reticolocitosi • Neuropatie • Meccaniche • Traumi • Acrosteolitiche •

14.3 MALATTIE INFETTIVE DELL’OSSO

Osteomielite acuta Stafilococco aureo nell’80% dei casi, che raggiunge l’osso per via ematogena, per contiguità o per traumi o manovre invasive. Massima frequenza adolescenza, ossa lunghe.

RX diretta Positivo tardivamente rispetto alla clinica, e correlato all’evoluzione anatomica del quadro clinico. Poiché dato l’uso tempestivo di antibiotici il quadro raramente si evolve a livelli eccessivi di danneggiamento, la radiografia non è un mezzo diagnostico molto efficace. Anatomopatologia Quadro Rx Necrosi del midollo Negativo Flogosi verso la corticale (osteite iniziale) Osteopenia locale, osteolisi a focolai multipli con

aspetto “tarlato” dell’osso. Osteonecrosi a focolai Periostosi diffusa, endostosi che oblitera il canale

midollare, osteonecrosi di tratti lamellari addensati Progressiva demarcazione dell’osso sano circostante per demolizione del tessuto attorno all’infezione da parte degli osteoclasti

Tratti necrotici delineati da un anello di osso rarefatto (segno del sequestro)

Regressione (eliminazione dei sequestri più piccoli) Riparazione (mai completo nelle forme che si sono evolute fino al sequestro)

Cronicizzazione (abbondante produzione di osso neoformato attorno al sequestro)

Segno della bara con il cadavere dentro

Scintigrafia Precocemente positiva per iperafflusso e accumulo del tracciante, e differenzia il processo infettivo da flogosi di altra natura e lesioni non infiammatorie

RM Consente di evidenziare con assoluta precocità l’infiltrazione infiammatoria del midollo osseo, del canale midollare e dell’osso spugnoso

Osteomielite cronica Sono quadri in cui per qualsiasi motivo il processo non si risolve, e si forma la reazione di produzione di nuovo osso per delimitare il quadro di osteomielite acuta. Si forma periostosi ed endostosi e la compatta, stretta fra questi due processi proliferativi perde la sua individualità; nell’osso iperostosico compaiono cavità delimitate. Questi aspetti possono persistere per tutta la vita.

14.4 MALATTIA NEOPLASTICA DELL’OSSO

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EMOLINFOPATIE Nelle diverse emolinfopatie dell’osso il meccanismo di danno è abbastanza uniforme. In generale si presentano tre aspetti: • Osteoporosi diffusa da riassorbimento per via della fibrosi midollare • Reazioni iperostosiche endostosiche e spongiosclerotiche da proliferazione delle componenti osteogene • Lesioni osteolitiche per distruzione diretta del tessuto osseo • • Queste forme generali si associano in maniera diversa nelle diverse malattie mieloproliferative:

Malattia di Hodgkin Sono interessati spesso i corpi vertebrali. Il tessuto linfomatoso produce osteolisi distruttiva, inizialmente della spongiosa e poi anche della corticale; spesso ne consegue frattura patologia. In altri casi meno frequenti predomina invece l’osteosclerosi e le vertebre appaiono ispessite intensamente e uniformemente (vertebra d’avorio).

Eritremie e leucemie L’interessamento si esplica in forma di tarlatura osteolitica inizialmente in prossimità delle cartilagini di coniugazione delle grandi articolazioni.

Talassemia major Osteoporosi secondaria all’iperplasia midollare (cranio a carta geografica, aspetto a palizzata dei corpi vertebrali, quadrettatura della spongiosa nelle ossa lunghe). Oltre a questo si hanno aspetti di reazioni fibrose a dente di pettine in verticale. Tutti questi aspetti si vedono in particolare nel cranio.

Mielofibrosi La fibrosi midollare e la sclerosi secondaria della spugnosa inducono aspetti ossei tipicamente e uniformemente addensati.

TUMORI OSSEI PRIMITIVI

Aspetti generali di diagnosi La diagnostica per immagini è importante per: • Riconoscere la presenza della lesione • Caratterizzare la sua natura • Fare un bilancio dell’estensione • • La presenza della lesioni è quasi sempre riscontrabile esattamente all’esame radiografico che viene

quindi usato come esame di prima istanza. L’RX in molte circostanze può dare una indicazione abbastanza precisa e veritiera sulla natura della lesione.

• La stadiazione e l’interessamento dei tessuti circostanti viene fatto con la TC o la RM. • • Un tumore viene agevolmente identificato all’RX solo quando induce una osteolisi non inferiore al 30-

40% del contenuto minerale dell’osso (specie se il tumore origina dalla spongiosa). • Alcuni criteri radiologici indicano con buona approssimazione la natura del tumore. • • Criteri di benignità • Criteri di malignità • Dimensioni inferiori di 3 cm • Margini netti e regolari (spesso orletto

sclerotico) • Compressione della compatta ma non

distruzione • Non inducono reazioni di iperostosi • Non invadono le parti molli • Possono essere causa di frattura spontanea

• Dimensioni superiori a 6 cm • Margini mal definiti e irregolari • Assenza di orletto sclerotico • Invasione della compatta e inducono reazioni

periostali • Causa frequente di frattura patologica • Periosti a velo di cipolla, perpendicolare all’osso

(crescita del periostio che viene spostato dal tumore)

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• Valutare anche l’età (ad esempio il sarcoma di Ewing nel giovane) e la sede. • Ambedue i tipi di tumore si estrinsecano con aree osteolitiche, con aspetto a carta geografica per i tumori

benigni, a tarlatura o erosione per i tumori maligni. • • Alcune lesioni in particolari sedi anatomiche (pelvi e rachide) sono meglio identificate con la TC, e il

riconoscimento di calcificazioni all’interno della lesione viene fatto meglio con la TC che non con l’esame radiografico.

• Anche la scintigrafia può dare informazioni importanti. • • La RM ha la massima importanza nell’osservazione dell’estensione della lesione (soprattutto per quel

che riguarda l’estensione midollare). • Si possono vedere le parti solide e liquide • Rapporto della neoplasia con l’osso • Un tumore maligno ha di solito aree osteolitiche irregolari che infiltrano • Stadiazione • La TC osserva l’aumento del volume dell’osso, e la presenza di calcificazioni incluse ad esempio nei condromi. • Tutti i paziente vanno poi alla biopsia per il grading e la diagnosi finale

Classificazione In base al criterio di origine • Primitivi • Secondari • Da strutture aberranti incluse • Di origine tiroidea e corticosurrenale • Cordomi • Epidermoidi dello scheletro (colesteatomi e cisti) • Di origine dentaria (adamantinomi, odontomi, cisti follicolari e radicolari) • • In base al criterio di evoluzione • Benigni • Maligni • • In base al criterio istologico • Benigni • Ossei • Osteoma • Osteoma osteoide • Osteoblastoma benigno • Condrali • Condroma • Condroblastoma • Fibrosi • Fibroma • Fibroma non osseificante • Vasali o adiposi • Angioma • Lipoma • Tumore benigni a cellule giganti • Maligni • Ossei

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• Osteosarcoma • Intramidollare • Paraostale • Periostale • Teleangectasico • Secondario a morbo di Paget • Contrali • Condrosarcoma • Iuxtamidollare • Mesenchimale • A cellule chiare • Fibrosi • Istiocitma fibroso maligno • Fibrosarcoma • A cellule rotonde • Sarcoma di Ewing • Neuroectodermici • Linfomi maligni primitivi • Della notocorda • Cordoma • Sinoviali • Sarcoma sinoviale • Dei tessuti vascolari e del grasso • Emangioendotelioma • Emangioendoteliosarcoma • Angiosarcoma • Liposarcoma • Mixosarcoma • Adamantinoma delle ossa lunghe • Tm maligno a cellule giganti • Mieloma • Plasmocitoma

DESCRIZIONE DI ALCUNE FREQUENTI CISTI • Cisti ossea semplice: spesso sierosa, giovani maschi fra 1 e 2° decennio. Spesso nelle metafisi

dell’omero e del femore. Assume l’aspetto di un’area osteolitica centrale, uniforme, che interessa a pieno spessore la metafisi colpita fino a dar luogo a fratture patologiche. Non invade l’epifisi per via della presenza di cartilagine di coniugazione che lo impedisce; invece è la regola lo sconfinamento nella diafisi.

• Cisti ossea aneurismatica: lesione simile al tumore a contenuto ematico; sesso femminile nel secondo decennio di vita, nelle metafisi e nelle diafisi delle ossa lunghe. Esiste una frequente forma eccentrica che origina nel periostio come una lesione osteolitica radiotrasparente ed erode la compatta sottostante fino a invadere anche il canale midollare. Nella forma centrale la lesione invade prevalentemente la spongiosa e si confonde con la cisti ossea semplice.

• Cisti epidermoide o epiteliale: rara lesione rivestita da tessuto epiteliale cheratinizzato, originante da inclusioni osseo post-traumatiche di tessuto epiteliale. In genere si localizza nelle falangi distali delle mani e nel tessuto frontale del cranio.

TUMORI BENIGNI

Osteoma Origina da elementi della serie di rinnovamento dell’osso ed è costituito da osso ben differenziato. Specie età adulta nei seni frontali e mascellari o nel tavolato cranico. Ha una forma compatta, con area di osteosclerosi della stessa densità dell’osso compatto e nettamente delimitata dall’osso sano, e una forma spongiosa con osteosclerosi diffusa e strutturata.

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Osteoma osteoide Origine dagli stessi elementi dell’osteoma semplice. Tessuto osteoide e tessuto osseo reticolare immaturo; determina una sintomatologia dolorosa notturna che risolve caratteristicamente dopo somministrazione di aspirina. Radiologicamente appare come un nido centrale radiotrasparente e un’area centrale di osteosclerosi reattiva, che si estende anche a distanza dall’area del tumore.

Osteoblastoma Come l’osteoma osteoide, ma l’osteoblastoma si differenzia fino a produrre tessuto osseo vero e proprio. Si localizza principalmente alla colonna vertebrale, e inizia come una lesione osteolitica pura. Successivamente, per l’intensa attività degli osteoblasti, il tumore produce zone calcificate e ossificate nel contesto della lesione, che viene delimitata da una intensa reazione fibrosa.

Osteocondroma Origina da elementi cartilaginei, ed è costituito da cartilagine che maturando diventa osso: spesso la cartilagine neoplastica si forma nel bambino, e ossifica nell’adulto. All’RX assume l’aspetto di una escrescenza ossea peduncolata molto caratteristica, a struttura interna spongiosa, che continua a crescere finché si arresta con il raggiungimento della maturità scheletrica. E’ frequente la trasformazione a condrosarcoma

Condroblastoma Cartilagineo, elementi: condroblasi e cellule giganti. Appare come un’area di osteolisi eccentrica, ovale, polilobata e sepimentata. Contiene aree calcificata. Talvolta è accompagnato da una reazione periostale

Fibroma Origina da fibroblasti ed è costituito da tessuto fibroso compatto; spesso nel ginocchio nella seconda decade. Appare come una osteolisi superficiale delimitata da un orletto compatto di sclerosi che la delimita. La sclerosi comprime ma non infiltra l’osso circostante.

TUMORI MALIGNI

Osteosarcoma o sarcoma osteogenetico Frequente (30%), importante e aggressivo tumore dell’osso, predilige il tratto metafisario del femore (80%), in genere nel corso del secondo decennio di vita, spesso su un pregresso trauma. Ha una sintomatologia dolorosa molto intensa e persistente, e prognosi estremamente grave per le frequenti e precoci metastasi polmonari. Si può presentare in forma osteolitica pura (rara), in forma addensante pura, in forma mista (frequente). All’Rx la forma mista è costituita dall’associazione di lesioni osteosclerotiche più o meno dense, a margini mal definiti, e di lesioni osteolitiche. Queste lesioni si raggruppano in un’area mal definita, eccentrica. Invade facilmente e frequentemente il canale midollare, dando focolai a distanza nello stesso osso rapidamente. La compatta viene precocemente distrutta con invasione del periostio e dei tessuti circostanti (importante la valutazione alla TC e alla RM dell’interessamento di questi tessuti). Nella compatta l’osteogenesi induce la comparsa di lesioni calcificate lineari, a “raggi di sole”. Il periostio sollevato dalla massa del tumore produce invece osso normale a strati sovrapposti. La TC rileva queste alterazioni in maniera molto accurata, evidenziando aree di osteolisi anche piccole e alterazioni nella trabecolatura spongiosa mal definibili all’RX convenzionale. La RM viene usata soprattutto nella visualizzazione dell’interessamento midollare e delle parti molli circostanti. Scintigrafia ossea sensibile per le localizzazioni metafocali nell’osso. L’angiografia serve a procedure interventistiche di embolizzazione

Condrosarcoma Segue a volte un osteocondroma, secondo in ordine di frequenza fra i tumori dell’osso (15%), e predilige bacino e coste. I rilievi radiologici sono importanti. Nella forma centrale appare come un’area osteolitica nel cui contesto sono presenti aree di calcificazione caratteristiche a virgola o anulari; la compatta è erosa in più punti. Nella forma periferica si ha la tumefazione della parti molle, di tenue densità e regolare. Raggiungendo spesso dimensioni enormi (specie nelle ossa piatte), la diagnosi RX è agevole.

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Fibrosarcoma Trae origine da elementi fibrosi degli spazi midollari o degli strati profondi del periostio distinguendosi in una forma centrale e una periferica. Non ha tendenza alla produzione di tessuto osseo, e compare come un’area di osteolisi pura con segni di malignità ma senza elementi specifici e la diagnosi di natura è puramente bioptica.

Sarcoma di Ewing Origina da cellule midollari immature o neuroectodermiche secondo altre ipotesi. E’ in ordine di frequenza il terzo fra i tumori maligni primitivi dell’osso. Radiologicamente induce aree osteolitiche multiple a piccoli focolai, non confluenti, vicino alla diafisi. Quando interessa la compatta, ne provoca disgregazione delle lamelle finché tutta la struttura ossea appare lamellata. Intorno, in ogni caso, si associa un’area di osteosclerosi reattiva, e la reazione periostale a sfoglia di cipolla c’è sempre ed è molto caratteristica. Per valutare l’estensione a distanza sono fondamentali TC e RM

Reticolosarcoma primitivo Origina da cellule reticolari midollari differenziate, e spesso si caratterizza per l’assenza quasi completa di sintomi clinici, anche in corso di quadri radiologici molto avanzati. Induce aree osteolitiche multiple a piccoli focolai con una certa tendenza alla confluenza, e l’osso assume un aspetto “tarlato”. La compatta viene in genere distrutta e si ha invasione della parti molli. La componente reattiva sclerotica assume un aspetto “a zucchero candito”, ma è contenuta. E’ un tumore molto radiosensibile.

Plasmocitoma osseo Difficilmente il plasmocitoma interessa l’osso: quando lo fa, provoca, oltre alla sindrome clinica a lui associata, una serie di lesioni caratteristiche: • Osteolisi multiple rotondeggianti, di diametro variabile da pochi mm ad alcuni centimetri a limiti netti

senza orletto necrotico • Aspetto risultante a “tarlatura” diffusa • Erosione e distruzione della compatta, con invasione delle parti molli • Mancanza di ogni reazione periostale • A volte assume l’aspetto di un’area erosiva pseudocistica che rigonfia l’ossa e si apre nelle parti molli

Altri tumori • Angiosarcoma osseo: tumore primitivo dell’osso, di riscontro eccezionale, a carattere osteolitico, rapido

e con metastatizzazione precoce. • Liposarcoma • osseo: origina da cellule adipose della cavità midollare, e si sviluppa come una lesione osteolitica

maligna ad elevata rapidità • Cordoma: molto raro, lento ma inesorabile sviluppo osteolitico • Adamantinoma osseo: di origine incerta, molto raro, osteolitico.

14.5 TUMORI METASTATICI DELL’OSSO In circa il 25% dei pazienti oncologici compaiono metastasi all’osso. Il rischio maggiore viene da: • Mammella (65%) • Prostata e tiroide (40%) • Polmone (35%) • Utero, rene e pancreas • • La metastasi è frequentemente ematogena, e si insedia nella spongiosa (meno di frequente nella corticale)

generando tre tipi di quadri: • Osteolitico • Osteoblastico • Misto •

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• Alcuni tumori si diffondono all’osso per contiguità, come quelli rinofaringei alla base cranica, o quelli polmonari di Pancoast all’arco costale posteriore.

• Le sedi più frequenti di localizzazione delle metastasi sono: • Colonna dorsolombare • Cranio • Coste • Bacino • Terzo medio del femore • • Alcuni tumori che si distribuiscono per via linfatica hanno alcuni territori di distribuzione predefinita,

come quelli della prostata al bacino e alla colonna lombare.

Sintomatologia clinica In genere sono asintomatiche alla diagnosi, e spesso vengono individuate nel corso degli esami più disparati. Spesso queste metastasi permettono la successiva identificazione di un tumore primitivo ignoto. La sintomatologia delle fasi avanzate è caratteristica: • Dolore ingravescente non sedabile agli oppiacei • Fratture patologiche • Tumefazione localizzata • Sindromi neurologiche • Ipercalcemia, ipercalciuria, iperfosfatemia alcalina da riassorbimento osseo. • Iperfosfatemia acida si osserva nei tumori della prostata

Indagine radiografica Caratteristicamente si osservano sia aree osteolitiche che aree osteosclerotiche mescolate, le une e le altre simultanee nelle forme miste. L’osso non è rigonfiato, non vi è alcuna reazione periostale, e l’usura della corticale e l’espansione delle parti molli è rara. Alcune metastasi da carcinomi (tiroide, crasso, rene), assumono un aspetto “soffiante” nel senso che l’area osteolitica rigonfia l’osso e assottiglia fortemente la corticale come una bolla nel vetro soffiato. Tumori della prostata e della mammella danno frequentemente metastasi osteoblastiche.

Altre metodiche di individuazione precoce Assume molta importanza l’individuazione precoce dei tumori metastatici soprattutto di mammella e prostata. In questo sono fondamentali la scintigrafia e l’RX, in seconda istanza la RM e la TC. Alcune considerazioni: • Una metastasi osteolitica non si rileva all’RX se non ha indotto una lisi della massa ossea di almeno il

30-40% • LA METà DELLE METASTASI DELLA COLONNA VERTEBRALE NON SI VEDE ALL’RX (TC

E RM) • La diagnosi scintigrafica di metastasi è più precoce ma meno specifica dell’RX; la scintigrafia rispetto

all’RX ha più FP e meno FN: un esame scintigrafico deve essere ricontrollato all’RX mirata delle zone sospette

• Alcune zone “difficili” (bacino, sacro, colonna) in cui il tasso di errore dell’RX aumenta, richiedono TC e RM in prima istanza

14.6 MUSCOLI E TENDINI

RX Fornisce il più delle volte risultati molto scarsi, limitato alla presenza di lesioni ossee associate o calcificazioni patologiche.

Ecografia Esame di prima istanza. Ecostruttura ordinata, a dente di pettine per la distribuzione alternata della fibre; la densità si attenua durante la contrazione per l0’ispessimento dei fasci muscolari. Il tendine è iperecogeno con struttura di tipo fibrillare. Le tecniche color e power doppler valutano la distribuzione del flusso con importanza particolare in corso di miopatie infiammatorie ed espansive.

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TC Elevata sensibilità nel valutare calcificazioni e ossificazioni patologiche associate ed estensione dei tumori, valutazione delle distrofie e miopatie infiammatorie. Il tessuto adiposo e quello fibroso hanno valori di attenuazione diversi da quello muscolare e offrono una buona distinzione fra i piani.

RM Elevata risoluzione di contrasto, multiplanarità, ottima identificazione di edema e emorragie, simultanea capacità di valutare i tendini e i legamenti, lo rendono l’esame di elezione per la valutazione di tutta la patologia muscolare.

Scintigrafia Con Tc99pirofosfato assume rilievo nelle distrofie e nelle miositi. Si accumula dove il contenuto di calcio aumenta, segno di danno del sarcolemma.

TRAUMI MUSCOLARI Il loro riconoscimento è possibile con la ecografia e la TC. Lesioni minori come contratture o stiramenti danno risultato negativo, anche se la RM può identificare edemi anche di minima entità usando sequenze particolari dette STIR, con cancellazione del segnale del grasso. L’ecografia può identificare l’interruzione di fasci muscolari nelle lacerazioni più o meno significative, e la presenza di aree emorragiche (ipoecogene) o di ematomi diffusi lungo le fasce. Gli ematomi di vecchia data possono calcificare ed essere visibili all’RX. Anche la miosite ossificante si può identificare facilmente all’RX.

PATOLOGIA DEL TENDINE Le lesioni del tendine si sviluppano su base traumatica, flogistica o degenerativa, e possono indebolire il tendine fino alla rottura. L’RX diretto offre una visione d’insieme e permette di ricavare alcune informazioni sulle emorragie. Vede bene le calcificazioni. L’ecografia dimostra direttamente alterazioni strutturali del tendine e della guaina, ematomi ed edemi infiammatori. Il color doppler è l’ideale per osservare l’iperemia infiammatoria del tendine stesso. TC e RM si usano per studiare lesioni anatomiche complesse.

DISTROFIE MUSCOLARI Lo studio per immagini viene usato per monitorare la sostituzione del tessuto muscolare con quello adiposo e connettivale. In questo la RM e l a tecnica più sensibile e consente di determinare prima ancora dell’insorgenza dei sintomi clinici la presenza di aree focali con lieve e progressiva riduzione dell’intensità del segnale (in T1 soltanto quando il processo è poco avanzato, anche in T2 nelle fasi finali). Alla scintigrafia si osservano i gruppi muscolari interessati che sono ipercaptanti. L’ecografia è quasi inutile e la TC permette il grading del processo di atrofia muscolare.

MIOPATIE INFIAMMATORIE Ecografia, scintigrafia e RC forniscono dati utili per il riconoscimento del processo infiammatorio. L’indagine di elezione resta comunque la RM, che permette anche la diagnosi differenziale con la fibromialgia.

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CAP 15 CENNI DI NEURORADIOLOGIA La neuroradiologia è una disciplina molto specialistica perciò ci limitiamo a qualche cenno sulle tecniche di indagine. La TC e la RM sono sempre le indagini di prima scelta. LA RM ha una elevata risoluzione di contrasto fra sostanza bianca e grigia e permette l’esecuzione di importanti studi funzionali.

Esame radiografico diretto Le strutture encefaliche sono tutte radiotrasparenti. Fornisce quindi informazioni indirette sui processi patologici per alterazioni della forma e della struttura delle ossa craniche. L’esame si fa classicamente in tre proiezioni: • Proiezione sagittale PA (occipitale → nasale) • Proiezione laterale (destra → sinistra) • Proiezione assiale (sottomento → vertice cranico) • • Esistono poi proiezioni complementari che sono direzionate lungo assi intermedi fra le tre proiezioni

principali, e proiezioni speciali se si intende vedere particolari strutture (asse ottico, canale orbitario, sella turcica, rocca petrosa).

• In questa maniera si riesce ad ottenere informazioni più o meno dettagliate su: • Malformazioni craniche • Malformazioni delle suture • Anomalie endocrine come la sindrome della sella vuota • Tumori meningei (erosione ossa parietali) • Tumori ipofisari (erosione sella turcica) • Tumori del nervo ottico (erosione orbita) • Tumori dell’acustico (erosione rocca petrosa) • Ipertensione endocranica con una notevole serie di segni • Diastasi delle suture craniche • Aumento di V del cranio (solo nel bambino) • Accentuazione delle impronte vasali • Modificazioni della sella turcica • Calcificazioni endocraniche

TC Tecnica fondamentale, che nelle situazioni di urgenza è preferibile alla RM per la sua rapidità di esecuzione. Nello studio dei traumi cranici concentrazione l’esame di elezione. L’indagine avviene in genere per scansioni seriate a fette sottili di 5-10 mm di spessore; nel 70% dei casi si usa anche il mezzo di contrasto. La TC è in grado di differenziare la sostanza bianca da quella grigia e dagli spazi liquorali; identifica molti rilievi patologici direttamente o indirettamente: • Aree ipodense • Edema • Necrosi • • Aree iperdense • Lesioni ad alta densità cellulare • Lesioni molto vascolarizzate • Sangue stravasato • Calcificazioni • Coaguli freschi

RM Utilizzata nello studio delle patologie encefaliche preferenzialmente alla TC quando è possibile ottenere la collaborazione del paziente. Fornisce immagini ottime, con risoluzione delle diverse strutture decisamente superiore alla TC, sia per il parenchima, per i ventricoli che per le meningi e lo spazio. Le diverse strutture cerebrali hanno differenze di T1 e T2 molto significative:

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STRUTTURA T1 T2 Liquor Lunghissimo lunghissimo Sostanza grigia Molto lungo Molto lungo Sostanza bianca Lungo Lungo Lipidi Corto Lungo Sangue Corto Molto lungo Sangue in moto laminare Molto corto Molto corto Esistono oggi mezzi di contrasto paramagnetici da utilizzare per l’angiografia a RM che trova applicazioni nello studio del circolo del Willis, dei seni venosi durali, degli aneurismi.

Angiografia Non può essere sostituita dalla TC per lo studio preoperatorio dei tumori, ma per gli esami di diagnosi di malformazioni vascolari, angiomi e patologia ischemica ha funzionalità secondarie a quelle della RM. Viene fatta sulle vertebrali o sul circolo carotideo.

Scintigrafia Importantissima. Trattata nella parte di medicina nucleare

Ecografia Nel periodo neonatale e nella prima infanzia la sottigliezza della teca cranica e la presenza delle finestre acustiche delle fontanelle rendono possibile il suo utilizzo, importante perché ottiene buone immagini del cervello e con la tecnica doppler permette la diagnosi del flusso cerebrale. Nell’adulto non viene praticamente utilizzata.

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CAP 17 MAMMELLA La senologia ha grande importanza modera per l’epidemiologia del cancro del seno, alla cui prevenzione e individuazione precoce è completamente dedicata. Dal punto di vista dello screening di popolazione, esiste il seguente protocollo:

DONNA ASINTOMATICA DONNA SINTOMATICA • Screening in età compresa fra 40 e 50 anni con

mammografia annuale • Screening fra 50 e 70 anni con mammografia

biennale

• Primo approccio: se prima dei 35 anni ecografia, se dopo mammografia

• Se la prima indagine è negativa, si fa l’altra (ecografia o mammografia a seconda di quella eseguita per prima)

• Successivamente, agobiopsia del reperto palpabile.

Agobiopsia, ecografia e mammografia sono i tre esami clinici di riferimento per la senologia. TC e RM sono importanti come esami di complemento, mentre la scintigrafia (vedi medicina nucleare) è fondamentale per lo studio del così detto linfonodo sentinella.

17.1 DESCRIZIONE DELLE TECNICHE DI INDAGINE

Mammografia Tecnica principale con possibilità di identificare le distorsioni e le calcificazioni dell’architettura mammaria, spesso prima spia di un carcinoma asintomatico. Per l’esecuzione della radiografia al seno viene utilizzato un apparecchio detto mammografo, che ha la possibilità, attraverso una collimazione molto attenta di fasci di radiazione, sia di ridurre la dose che di ottenere immagini di alta risoluzione. Si usa il classico schema a quattro quadranti, e dal superiore esterno si analizza anche il pilastro ascellare della ghiandola mammaria. Le proiezioni normalmente usate sono due: • Mediale → laterale obliqua a 45° • Cranio caudale • Per donne sintomatiche e per analizzare alcuni punti precisi dove vi sia un reperto palpabile, si usano

proiezioni speciali. • • La mammella viene sempre valutata sulla base della clinica. Si osserva nel mammogramma: • Capezzolo • Linea cutanea • Spazio trasparente sottocutaneo • Corpo ghiandolare • Spazio trasparente retroghiandolare • Piani muscolari • • E’ importante poi sia l’analisi comparativa nel tempo che il raffronto fra le due mammelle • • Si possono evidenziare con questa tecnica vari tipi fondamentali di lesione: • Lesione nodulare radiotrasparente o mista: in genere espressione di patologie benigne o cisti. Il

fibroadenoma giovanile è misto • Lesioni nodulari radiopache: correlate sia a lesioni maligne che benigne, e in una frazione di casi

significativa non possono essere indagate solo con la mammografia (agobiopsia). La regola che la radiopacità si correla con la malignità ha le sue eccezioni!

• Distorsioni architettoniche, che possono essere: • Centrifughe: di norma associate alla presenza di lesioni benigne • Centripete: formazioni stellate senza nucleo centrale radiopaco, in genere associate a lesioni maligne. • Calcificazioni: molto frequenti, spesso sono benigne, dovute a mutazioni fisiologiche del pH dei tessuti,

ma se si trovano nel contesto di una opacità ritenuta benigna bisogna approfondire. •

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• Il mammogramma può anche valutare i linfonodi ascellari se sono calcificati o molto ingranditi.

Ecografia La tecnica di seconda istanza, a meno che la donna non sia sintomatica in età inferiore a 35 anni o incinta. Consente di: • Differenziare formazioni cistiche da noduli solidi (cisti non sempre distinguibili da fibroadenomi) • Analizzare la parete interna della cisti • Classificare i noduli solidi sulla base della loro morfologia • Valutare la vascolarizzazione dei noduli solidi • • Il segno ecografico di malignità più affidabile è l’irregolarità dei margini. Altri meno importanti sono: • Presenza di un cono d’ombra posteriore (tumori scirrosi) • Disomogeneità ecostrutturale • Minore compressibilità e immobilità alla compressione manuale (segno di ancoraggio ai tessuti

circostanti)

Biopsia ecoguidata Importante e spesso vi si ricorre per valutare un reperto mammario dubbio (eccetto che in alcuni casi che possono essere chiariti alla RM, vedi). Se il reperto è ecografico con sicura correlazione topografica si fa biopsia sotto guida ecografica, più sicura e meno costosa. Se la posizione topografica del pezzo è incerta si fa una agobiopsia sotto guida mammografica. In alternativa all’agoaspirato si può fare una biopsia con ago tranciante

Duttografia Altro esame importante nell’iter diagnostico del carcinoma mammario, la duttografia consiste nella valutazione della struttura interna del dotto in presenza di secrezioni dal capezzolo (ematiche, sierose, lattiginose, eccetera). Si usa un ago ultrasottile da 27G, inserito nel capezzolo, e si incannula l’estremità del dotto escretore. Si inietta quindi mezzo di contrasto iodato a bassissima pressione in quantità di 1 ml circa, lasciando il catetere in loco. In condizioni normali l’albero galattoforo presenta ramificazioni regolari a partire dal dotto principale; modificazioni di qualsiasi tipo di calibro, decorso, struttura e riempimento si osservano benissimo. Cause di secrezione spontanea dal capezzolo:

BENIGNE MALIGNE • Ectasia galattofora su base infiammatoria • Papilloma singolo • Papillomatosi multipla

• Carcinoma a sviluppo endocanalicolare • Carcinoma invasivo con interessamento

secondario dei dotti •

RM Riveste un ruolo significativo nell’ambito senologico, essendo in grado di dare informazioni specifiche su alcune situazioni in cui mammografia ed ecografia non sono di aiuto: • Valutazione di integrità delle protesi • Caratterizzazione di reperto palpatorio in presenza di protesi • Sospetto di multifocalità (più foci nello stesso quadrante) • Sospetto di multicentricità (più foci in quadranti diversi) • Definizione di rapporti fra tumore e parete toracica • Volumetria del tumore prima e dopo chemio neoadiuvante • Ricerca di tumore mammario primitivo in soggetto con metastasi ascellari e mammografia ed ecografia

negative

TC Ruolo importante nella ricerca delle metastasi regionali e lontane (encefalo, polmone, fegato). In alternativa alla RM importante per la valutazione dell’invasione toracica locale.

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CAP 18 LINFOMI 18.1 MALATTIA DI HODGKIN (MH) Comprende un gruppo di malattie che differiscono dai LNH (Linfomi Non-Hodgkin): la MH insorge in un unico LN o in una stazione linfonodale e si estende sempre ai LN anatomicamente contigui, laddove i LNH insorgono in sede extranodale e diffondono in maniera del tutto imprevedibile. Nella MH è poi caratteristicamente sempre presente una cellula gigante neoplastica, la cellula di Reed – Sternberg (RS), di origine sconosciuta e fenotipo peculiare, che induce l’accumulo di cellule reattive del S.I.. Questa popolazione neoplastica però costituisce solo dall’1 al 5% dell’intera massa tumorale, a differenza delle altre neoplasie linfoidi. Ha una bassa incidenza complessiva (0,7% dei nuovi casi di neoplasia in USA) ma è importante perché e assai più frequente nell’età giovane – adulta (età media alla diagnosi: 32 anni) ed è considerata curabile nella maggior parte dei casi. È ormai appurato che la MH è un disordine neoplastico e che la popolazione di cellule reattive si accumula in risposta alle citochine secrete dalle cellule di RS: la peculiare combinazione delle citochine secrete è responsabile delle specifiche caratteristiche istologiche delle principali varianti. Nel caso della variante a predominanza linfocitica, l’origine delle cellule reattive è molto probabilmente B-cellulare. Cellula di RS: è considerata un elemento istologico necessario per la diagnosi di MH; è una cellula di discrete dimensioni (15-45 micron), binucleata o con nucleo bilobato formato da due metà speculari. Altre volte contiene un nucleo multilobato. In ogni caso contiene ampi nucleoli circondati da un alone chiaro, simili a corpi inclusi, che gli conferiscono l’aspetto cosiddetto “a occhio di civetta”. Essi sono simili per grandezza a un piccolo linfocita. → Diffusione – stadiazione della malattia: la diffusione è sempre la stessa e pertanto facilmente prevedibile: si parte dai Ln, poi vengono interessati nell’ordine la milza, il fegato, il MO e le sedi perilinfonodali. Per questo la stadiazione non ha solo valore prognostico ma guida anche le scelte terapeutiche. Per studiare la MH ci si avvale di alcune procedure diagnostiche come la TC addominopelvica, l’Rx del torace e la biopsia del MO; l’interessamento splenico può invece essere appurato con certezza solo con la laparotomia stadiativa, nel corso della quale si procede eventualmente alla splenectomia e alla biopsia epatica. Stadiazione clinica di Ann Arbor:

I – singola stazione LN coinvolta o singolo sito extralinfatico (IE) II – 1 o più stazioni LN coinvolte, da sole o con interessamento limitato di organi o tessuti

extralinfatici (IIE), dallo stesso versante del diaframma III – interessamento di stazioni LN, o milza (IIIS) o siti extralinfatici (IIIE), da ambedue i versanti del

diaframma IV – focolai di interessamento multipli o disseminati di uno o più organi o tessuti extralinfatici, con o

senza interessamento linfatico

Sottotipi 1. Sclerosi nodulare: è la variante più comune (65-75% dei casi), si caratterizza per la presenza di

cellule di RS lacunari (in verità assai rare rispetto alle altre forme) e di dense bande di collageno che suddividono il tessuto linfoide in noduli circoscritti. Le cellule di RS, negative per i markers B- e T- cellulari, sono presenti su uno sfondo polimorfo, composto da molti tipi cellulari. È l’unica variante di MH più comune nelle donne, con tendenza a interessare i LN cervicali bassi, sopraclavicolari e mediastinici. La prognosi è eccellente.

2. Cellularità mista: costituisce ¼ dei casi e si presenta con la sostituzione diffusa del tessuto linfonodale da parte di un infiltrato cellulare polimorfo in cui sono frammiste le cellule neoplastiche RS che sono assai numerose (soprattutto la variante mononucleata). I linfociti di contorno sono soprattutto L.T e la malattia linfonodale precoce interessa per lo più la zona T paracorticale del LN. Quando essi sono abbondanti sono necessarie analisi immunofenotipiche per fare la diagnosi differenziale con il tipo a predominanza linfocitaria o con un LNH a fenotipo strano. Colpisce di più i maschi, in età avanzata e si presenta a uno stadio più avanzato al momento della diagnosi, con presenza di sintomi di tipo B (sistemici). Ciononostante la prognosi rimane buona.

3. Predominanza linfocitica: rara variante (< 6% dei casi), caratterizzata da un infiltrato di piccoli linfociti frammisti a un numero variabile di istiociti benigni, in cui le comuni cellule RS sono molto

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difficili da reperire: per lo più si ritrova la variante linfoistiocitica (L+H) con nucleo multilobato “a popcorn”. Scarsi o assenti sono gli altri tipi cellulari, compresi eosinofili, PMN e plasmacellule, come scarsa è anche la reazione fibrogenica. A differenza delle altre varianti, questa sottopopolazione di cellule di RS è positiva per il CD45 e il CD20 , un marcatore B-cellulare, e mostrano i riarrangiamenti VDJ dei geni per le Ig. Questa forma colpisce individui giovani, e si presenta con un’estensione limitata, per lo più ai LN cervicali e ascellari.

Clinica La MH si presenta con una linfomegalia non dolente e può essere differenziata da un LNH ancor prima della biopsia linfonodale in base ad alcuni caratteri clinici:

MH

LNH

+ spesso localizzata in un singolo gruppo di LN assiali (cervicali, mediastinici, paraortici)

Interessamento multiplo di LN periferici

Linfoadenopatia mediastinica Linfoadenopatia sottodiaframmatica

Diffusione ordinata per contiguità Diffusione casuale

Raramente interessa i LN mesenterici e l’anello di Farre - Waldeyer

Interessa frequentemente queste sedi

Interessamento extranodale raro Frequente, e spesso localizzato al MO, GE, osso, visibile con la RMN

I pazienti più giovani tendono a presentarsi in stadio I o II e senza sintomi B, che invece sono invariabilmente presenti in pazienti anziani, con malattia in stadio avanzato e con sottotipo cellularità mista o deplezione linfocitaria. Un sintomo curioso, molto indicativo ma non sempre presente è l’insorgenza di una dolenza a carico dei LN interessati dopo assunzione di alcool. Nella maggior parte dei casi è presente anche anergia cutanea dovuta alla depressione della CMI: essa però tende inspiegabilmente a persistere anche dopo una terapia eseguita con successo. Il fattore prognostico più importante, con i nuovi protocolli terapeutici è diventato la massa tumorale, piuttosto che il tipo istologico: la sopravvivenza arriva al 90% per MH in stadio precoce e 60-70% in stadio avanzato a 5 anni: la lunga sopravvivenza raggiunta però ha fatto emergere un nuovo inconveniente: l’insorgenza di una seconda neoplasia, questa volta più grave, come la LAM, il carcinoma polmonare e una sindrome mielodisplastica. L’insorgenza del carcinoma mammario probabilmente dipende da un trattamento radioterapico eseguito in giovane età, mentre la LAM sembra correlata all’uso di agenti alchilanti in maniera indiscriminata

LINFOMI NON HODGKIN Definizioni Innanzitutto va detto che il termine leucemia è riservato a neoplasie linfoidi con diffuso interessamento del MO, di solito accompagnate da una linfocitosi massiva nel sangue periferico. Il termine linfoma invece è adoperato per proliferazioni che insorgono sottoforma di masse tissutali apprezzabili all’esame obbiettivo o strumentale. Tuttavia non sempre c’è una demarcazione così netta: spesso i linfomi mostrano un quadro leucemico nel sangue periferico e finiscono per interessare il MO, evolvendo propriamente nella leucemia. Tra i linfomi i LNH si distinguono nettamente dalla MH, come si è già visto. Una terza categoria potrebbe essere le neoplasie plasmacellulari, tumori costituiti da cellule B a differenziazione terminale a insorgenza nel MO con raro interessamento linfonodale e produzione di un quadro leucemico periferico. La presentazione clinica dei LNH è legata alla distribuzione anatomica della malattia: 2/3 dei casi esordiscono con linfomegalia non dolente, localizzata o meno; la quota rimanente origina in sedi extranodali (cute, stomaco ed encefalo soprattutto). Le leucemie invece insorgono per lo più con i segni di insufficienza midollare e di infiltrazione spleno-epatica. La classificazione è da sempre dibattuta: l’ultima accettata è la REAL (Revised European-American Classification Of Lymphoid Neoplasms) che descrive neoplasie ritenute entità a sé stanti sulla base di criteri clinici, morfologici, immunofenotipiche e genotipiche.

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La REAL elimina la precedente separazione tra le varie neoplasie linfoidi per distinguere invece 4 gruppi: 1. neoplasie dei precursori B-cellulari 2. neoplasie delle cellule B-periferiche 3. neoplasie dei precursori T-cellulari 4. neoplasie delle cellule T periferiche e delle cellule NK

Alcune considerazioni:

per la diagnosi di certezza di LNH è dirimente l’esame istologico sebbene i linfomi siano maligni per definizione il comportamento clinico e la prognosi sono assai

variabili le neoplasie B-cellulari sono di gran lunga le + frequenti, le forme a cellule NK invece sono rare i linfomi interferiscono quasi sempre con una o più funzioni del SI, causando immunodeficienza o

disregolazione immunitaria ciascun linfoma deriva da una singola cellula trasformata, cioè è monoclonale: questo lo si può

verificare analizzando i prodotti proteici dei geni perché il riarrangiamento dei geni per le Ig o per il TCR si verifica prima della trasformazione neoplastica della cellula stessa; in questo modo i linfomi sono differenziati da modificazioni reattive, policlonali

le cellule B e T neoplastiche tendono a insediarsi e a crescere nelle aree dove alberga la loro controparte normale (rispettivamente follicolo linfoide e zona T paracorticale); inoltre sono anch’essi dotati della capacità di ricircolare continuamente nel tessuto linfoide, andando a fare casino dappertutto (utilizzando sensibili tecniche molecolari, si vede che le cellule neoplastiche hanno una distribuzione pressoché ubiquitaria al momento della diagnosi)

DIAGNOSI RADIOLOGICA Uno dei primi segni del LH è l’ingrossamento dei linfonodi laterocervicali. Questi spesso non sono visibili all’RX per la sovrapposizione dei vasi aorta, arteria e vene polmonari. Se il mediastino è molto allargato è interessato anche il timo. Il reperto tipico è: • Linfoadenopatia con slargamento bilaterale del mediastino (diagnosi differenziale con carcinoma

polmonare). Può anche essere presente un versamento pleurico basso. La linfoadenopatia sottodiaframmatica è possibile, ma è più frequente nei LNH. In questi assume massimo rilievo nella regione mesenterica, mentre i LH sono massimamente interessati nel distretto celiaco, splenico e dell’ilo epatico. Come per tutte le patologie della zona intestinale, l’indagine di queste condizioni viene fatta con una TC con mezzo di contrasto, per differenziare i vasi. Le lesioni parenchimali sono comuni sia nel LH che nei LNH. Alcune considerazioni: • Nel pericardio e nell’intestino è molto difficile capire la natura e l’origine della lesione • Il coinvolgimento extralinfonodale è molto più comune nel LNH • Nel 50% dei casi di LH c’è versamento pleurico • I linfonodi si vedono anche all’ecografia, specialmente in regione sottodiaframmatica • Stomaco: sede più frequente di linfoma GE sia primitivo che secondario. L’ispessimento sottomucoso

che si crea va differenziato con la gastrite iperplastica • Colon retto: rarissimo il coinvolgimento • Milza: nel 10% dei LH, ma un semplice aumento di volume non è significativo • Fegato: epatomegalia può essere un indice di infiltrazione • Genito urinario: il rene non varia la morfologia (diagnosi differenziale con carcinoma renale), ma può

esserci ispessimento della fascia di Gerota; l’interessamento della prostata è raro, quello della vescica e soprattutto dei testicoli più frequente (nel testicolo il linfoma è il 5% delle neoplasie)

• Intestino: ispessimento della parete, invaginazione • Utero: lesioni aspecifiche come nella vescica. • Surrene • SNC

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• MO: con mezzo di contrasto paramagnetico alla RM si vede l’interessamento del midollo. 20-40% dei LNH alla presentazione, spesso al 4° stadio. I LH soltanto nel 5-15% dei casi, durante il corso della patologia, interessano il midollo osseo.

• Osso: primario 1% dei LNH, secondario 5-6% dei LH. Valutazione alla scintigrafia • Meningi: valutazione alla RM con mezzo di contrasto paramagnetico. La RM è l’ideale per valutare le masse linfomatose nei tessuti molli del LNH, non sempre valutabili all’ispezione. Nel MO si vede bianco il tessuto normale (iperintenso), scuro il linfoma (ipointenso). In tratti come vescica, intestino, utero, le lesioni sono aspecifiche e prima di parlare di lesione linfomatosa bisogna avere la certezza che il paziente ha un linfoma.