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1 REQUIEM FOR A DREAM / CELLOPHANE / EPI(CARDIO)GRAMMA / I ACCEPTED THE INVITATION... / LO SPECCHIO / INTERLUDIO / THE DECALOGUE OF CREATION / GE-WORD-EN / SENZA SANGUE / LE MIE RITUALITÀ... / CRUDITÀ... / UN GIOCO NOSTRO / AEROPLANO / RAPSODIA / ATTIMI DI UNA GIORNATA... / I WANTED TO RING AHEAD / C'EST UNE QUESTION DE PRINCIPE / LE VOCI DI GIÒ

RAPSODIA N°8

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Rapsodia è una rivista letteraria indipendente che raccoglie opere di autori emergenti edite e non, per farle confluire in un progetto di promozione artistica dei contenuti di ciascun elaborato. Rapsodia rifiuta uno schema fisso, mette insieme spunti sempre diversi tra loro per armonia e ritmo donando al tutto un sapore di laboratorio artistico e improvvisazione compositiva. Rapsodia si occupa di letteratura contemporanea. Oltre ai lavori degli autori emergenti saranno inseriti anche approfondimenti dedicati a noti autori contemporanei. Altri autori non contemporanei saranno trattati nella misura in cui il significato delle loro opere e della loro vita sia contestualizzabile nella contemporaneità. Rapsodia non ha un orientamento politico e una categorizzazione sociale, non appartiene a cricche o comitati d’affari. Rapsodia appartiene al pensiero libero ed è gratuita: non esistono rapsodi senza spettatori e Rapsodia non avrebbe significato senza i suoi lettori. La redazione

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REQUIEM FOR A DREAM / CELLOPHANE / EPI(CARDIO)GRAMMA / I ACCEPTED THE INVITATION... /LO SPECCHIO / INTERLUDIO / THE DECALOGUE OF CREATION / GE-WORD-EN / SENZA SANGUE / LE MIE RITUALITÀ... / CRUDITÀ... / UN GIOCO NOSTRO / AEROPLANO / RAPSODIA /ATTIMI DI UNA GIORNATA... / I WANTED TO RING AHEAD / C'EST UNE QUESTION DE PRINCIPE / LE VOCI DI GIÒ

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Cover: Jocelyn Ramasseul (Jocelyn Collages)

Rapsodia - Independent Literary ReviewYear 2 - Issue 8 - June/July 2015

Web-site: www.rivistarapsodia.wordpress.comEmail: [email protected]: Claudio LandiEditorial Staff: Sonia Secchi, Quisilio Miraglia, Francesca Sante, Claudio Landi, Andrea Corona, Antonio V. Luzzu, Julie OrsattiSecond Reading: Claudio LandiGraphic and Layout: Achille Pacifico

©Rapsodia Independent Literary Review and its authors

Photos and illustrations by: Frank Moth (p. 10); Beatrice Lily (p. 14); Asami Tatsuda (pp. 17/35); David Chance Fragale (p. 20); Esha (p. 24-25 top); Alejandrea Rodriguez (p. 24-25 at bottom); Erin Case (p.27); Marco Scarfò (p. 32); Claudio Parentela (p. 28); Sarah Key (p. 40); J.A. Brown (p. 41); Emma Sutherland Munro (p. 44); Koji Nagai (p. 48). Copyright belongs to the cited authors (see Legal Notes p. 47).

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“Una raffigurazione che è stata messa spesso in campo soprattutto per le avanguardie storiche, futurismo, surrealismo, espressionismo etc., che sono state concepite in questo modo: il cerchio piccolo fuori e un cerchio più grande. Questo è un modello direzionale, che rappresenta la dire-zione della storia dal cerchio grande a quello piccolo, nel nostro caso da destra verso sinistra. Le avanguardie sono più avanti. Un po’ a modo del ciclista in fuga, il ciclista è fuggito e il grosso lo insegue. Prima o poi, pro-babilmente, il grosso lo riprende. E così è stata intesa la dialettica storica delle avanguardie: ci sono le innovazioni, poi tutti arrivano dove sono ar-rivati gli innovatori e c’è qualche innovatore che, di nuovo, riparte.”

[prof. Francesco Muzzioli, i Catamoderni, Youtube]

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INDICE

CLAUDIO LANDI8

FRANCESCA SANTE12

ANDREA CANNARELLA16

SILVIA CEGALIN22

ELEONORA RIMOLO26

DAVID CHANCE FRAGALE30

MIRKO ZITO 33

6ANDREA CORONA

11ALESSIO MOSCA

14ANDREA FABIANI

18SONIA SECCHI

24DIEGO MAHT

28ANTONIO V. LUZZU

34FRANCESCO VERRENGIA

AL ANDERSON36

EDUARDO RICCIARDELLI42

32PIETRO PANCAMO

38ERIC DUBOIS

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Requiem fora dream.

Il sogno (americano) infranto inSeize the Day di Saul Bellow

Se nella precedente edizione della Rivista («Rapsodia 7», aprile 2015) abbiamo parlato del capovolgi-mento del ‘sogno americano’ in incubo americano, e l’abbiamo fatto attraverso la letteratura degli anni Cinquanta, ora affrontiamo invece il tema del sogno infranto. Un’opera particolarmente emblematica ci sembra a questo proposito La resa dei conti (titolo originale: Seize the day), del 1956. È con spiccato esprit d’analyse, infatti, che l’autore Saul Bellow, futuro Nobel per la letteratura, esamina la frastagliata psiche del protagonista Tommy Wilhelm, un uomo di mezza età, un fallito in piena crisi esistenziale, una vittima e un martire della società:

«[…] poiché in Wilhelm c’erano delle profondità da lui stesso insospettate, qualche elemento remoto dei suoi pensieri gli suggerì che il vero compito della vita – portare il proprio fardello, provare vergogna e impoten-za, sentire il sapore di quelle lacrime trattenute –, il solo compito importante, il più alto compito era proprio quello. Forse era proprio negli errori il senso della sua vita, la sostanza del suo esserci. Forse egli doveva farli e soffrire per essi su questa terra»(S. Bellow, La resa dei conti, Milano, Mondadori 2000, p. 67)

Se la mortificazione – e con essa, come vedremo, l’impotenza di cui si fa cenno nella citazione – costi-tuisce il fil rouge de La resa dei conti è innanzitutto perché essa ha segnato la vita di Wilhelm in tutte le sue tappe, a cominciare da un insensato viaggio a Hollywood che gli costò il college in gioventù. Ma la puerile ambizione di diventare un divo del cinema non fu, appunto, che solo il primo di una lunga serie di sogni infranti del protagonista, all’anagrafe Wilky Adler:

«E poi, quando si fu reso ben conto di tutti i rischi cui andava incontro, quando ebbe trovato mille ragioni per non partire ed era ormai folle di paura, partì. Era tipico di Wilhelm. Dopo aver pensato, esitato, e lottato con se stesso, invariabilmente sceglieva la strada che innumerevoli volte aveva respinto. Una decina di queste deci-sioni formavano la storia della sua vita. Era convinto che andare a Hollywood sarebbe stato un grosso sbaglio, e poi c’era andato. Si era deciso a non sposare sua moglie, e poi era corso a sposarla. Era risoluto a non investire del danaro insieme a Tamkin, e poi gli aveva dato un assegno» (p.28).

Fra tutte le colpe di Wilky, quella maggiormente imputatagli dal padre (il facoltoso e vanaglorioso dottor Adler, dal quale il giovane Wilky tenterà goffamente di emanciparsi ricorrendo appunto al nome d’arte di Tommy Wilhelm, che manterrà in età adulta), anch’egli ospite dell’Hotel Gloriana, è senza dubbio l’accidia. L’inoperosità, l’inattività e l’incapacità di portare a compimento un qualsivoglia proposito rappresentano un peccato capitale per un ebreo operoso come il dottor Adler: «Agli occhi di papà sono il tipo sbagliato d’ebreo. Non gli va il mio modo d’agire. Solo lui è il tipo d’ebreo giusto» (p. 102). Ciò in quanto l’agire di Wilky è, precisamente, una impotenza. Sarà questo un tema cruciale non solo per l’opera di Saul Bellow, ma per tutti i ‘massimalisti’ della narrativa ebraico-americana, da Isaac B.

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Singer a Philip Roth, fino a Bernard Malamud.Quando Tommy Wilhelm prega Dio perché lo liberi dai suoi guai e gli dia una nuova vita (p. 32), non possono non venire in mente quegli antieroi di Malamud come Harry Lesser, scrittore ebreo fermo a metà di un libro del quale sente di avere perennemente il finale sull’orlo della coscienza (Gli inquilini) e come Seymour Levin, insegnante di letteratura, anch’egli di New York, a sua volta alle prese con la sua personale «Opera Non Finita». Levin, inoltre, è il protagonista del romanzo di cui abbiamo dato qualche cenno la volta scorsa; romanzo intitolato significativamente Una Nuova Vita. Quella me-desima nuova vita, emblema di riscatto e di ricominciamento che, si diceva, è parimenti anelata dal protagonista di Bellow.Un altro celebre esempio letterario di impotenza – nell’accezione di ‘essere in potenza di non fare e di non diventare’ – ci viene dallo studio legale di Wall Street presso il quale ha luogo la vicenda di Bartleby. Nel noto racconto di Herman Melville Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street (1853), l’ambientazione newyorchese, e il passato del protagonista come impiegato all’ufficio lettere smarrite, gettano un ponte sui soggetti bellowiani: il passato che ritorna, la memoria, la colpa, l’inoperosità e l’impotenza sono infatti il presupposto di quella Opera Incompiuta che sarà la vita di Bartleby (scri-vano) come dei protagonisti (spesso scrittori) dei romanzi ebraici. Sul tema dell’inoperosità del vivere e dello scrivere, molto sentito dal pensiero ebraico, dirà il filosofo e critico letterario Maurice Blanchot che più l’Opera acquista senso e ambizione, più l’assenza d’opera sembra prossima a proporsi, pur senza lasciarsi mai designare. E, in questo moto aggirante:

«Il libro è il passaggio di un movimento infinito che va dalla scrittura come operazione alla scrittura come inoperosità, un passaggio che impedisce. Per il libro passa la scrittura, ma il libro non è ciò a cui essa si destina (il suo destino). Per il libro passa la scrittura che sparendovi vi si realizza, eppure non si scrive per il libro. Il libro: l’astuzia con cui la scrittura tende all’assenza di libro» (M. Blanchot, L’infinito intrattenimento, Torino, Einaudi 1977, p. 563).

In conclusione, La resa di conti segue la linea tracciata da Morte di un commesso viaggiatore, il dram-ma del 1949 di Arthur Miller di cui costituisce quasi un remake se paragoniamo i nomi dei due pro-tagonisti (Wilky/Wilhelm e Willy), i loro lavori (o meglio ex lavori), le loro famiglie (entrambi hanno moglie e due figli ma andranno via di casa), le loro amanti (anche Wilky, come Willy, ha un’amante, Olive) le ambientazioni (in entrambi i casi New York/Broadway, dove il dramma fu rappresentato e dove sorge l’Hotel Gloriana), il requiem finale (entrambe le opere si chiudono con un funerale) e, non ultime, la critica al materialismo e al ‘sogno americano’.Eppure, se nel caso dell’ex commesso viaggiatore si può parlare di un uomo che ha visto spegnersi dei sogni comunque realizzati, per l’impotente e inoperoso protagonista de La resa dei conti è l’intera vita a configurarsi come qualcosa di costitutivamente ir-realizzabile, e di cui quel suo stesso nome, Tommy Wilhelm, simbolo di ogni singolo fallimento, è un requiem ante litteram.Nell’epilogo del romanzo, Tommy Wilhelm, passeggiando lungo un trafficato incrocio di Wall Street, scorge il truffatore Tamkin tra la folla. Cercherà di inseguirlo e raggiungerlo, ma la massa di newyor-chesi finirà per spingerlo all’interno di una chiesa nella quale si sta celebrando un funerale. È emble-matico, allora, che l’unica azione del romanzo portata a compimento da Wilhelm sia quella di dare finalmente sfogo alle lacrime perennemente trattenute:

«Il grande nodo di dolore dentro la sua gola saliva e cresceva, ed egli non poté far altro che arrendersi, nascon-dere la faccia e piangere. Piangeva con tutto il cuore» (S. Bellow, La resa dei conti, p. 137).

Andrea Corona

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κύκλος

Era per tepoi è diventataper te

Mordi il muroo il pavimento

nella notte di cemento

Dimmi chi seiTi chiamo

Da dietroChi sono?

bestiatutto

GridaSporcami

SiiiiiiiiiiiiiiiiiiMorire nel verso

Non voglioVieni

Ho fameHo sete

IncontriamociPassione

OssessioneAmore

Occlusioneelevazione

PossessoCintura

Ti uccido come mi uccide questa banalità

sgozzare il versoNon ti sento

Ahhhhhhhhhhhhh!!Fino alla fine

ancora

Solo la mortePadrona

PerdonaDove sei ora?

Sei ovunqueOvunque

ScendoIo credo che

ApparteniamoAppartamento

Fatto appostaAhhhhh!

Mmm…Ma?

Come fai?Sei tu

CiaoDove sei stata?

Assortain rumori di vfogliegiacela miseria della carne

Avevi detto cheMi piace

sapere che sei di tuttinon mi piace

No

CelebreròCerebrale

CE

LLO

PH

AN

E

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Ormai sei dentroFinalmente

Ovunquemi sento in dovere

di punireIn disparteti osservavogià

Ahhhh!la tua

purezzacosì

innocente

non pensavoche

non mi fai dormirevieni qui

tutto ciò che vuoiè lì sotto

terra o cementobasta sia vita

non ti sentonon sono

oh sìseguimima non te lo dico

quando te ne vai?così

intoccabileovunque

ci sono le galereper quelli

che si sentonole sere

e si diconoandrà tutto bene

lasciamipre-ci-pi-ta-re

sei pazzomi dispiace

ti piace?cosa senti?

più fortelentamente

maimai

maimi stendo

sulla sabbiaabbandonatoe i miei occhi

all’insùamano perdersi

guardandoil cellophane.

Farai di me quello che vuoiFa’ di me quello che vuoi

κύκλος

Claudio Landi

CE

LLO

PH

AN

E

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I ACCEPTED THE INVITATION ONLY AFTER I SUSPECTED IT

MIGHT BE A TRAP

I will die as soon asThe sun goes byTrying to smile

At the evening tide.

In the end of the manYou will find his spot and

No weep, no fight,No secrets incribed.

In secret inscrutabile peaksNo sense, no lane

everything's lying and look at me.I am not; A damn. A soul.

There’s nobody but myselfIn the prelude of my senses.

She saidMaybe it will not come back

the needing of a meaningShe said

Internet is the last heritage.

Poets are punk full stop

Francesca Sante

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HO ACCETTATO L'INVITO SOLO DOPO AVER SOSPETTATO CHE

FOSSE UNA TRAPPOLA

_ To die: morire, anche rompersi, guastarsi. I will die: morirò _ As soon as: appena,non appena _ Sun: sole _ To Go by: passare, seguire, scorrere. Goes by: calerà _ To

try: tentare, cercare, provare.Trying: provando _ To smile: sorridere _ At: prep. a, ad_ Evening: sera, serale _ Tide: (mare) marea, (figurato) tendenza, corrente,

orientamento.

_ In: a, in, dentro, entro; durante; tra, fra, con _ The: il, lo, la, I, gli, le _ End: estremità, fine, ter-mine, orlo, capo _ Of the: (prep) del _ Man: uomo _ You: tu _ To find: trovare, ritrovare, rintrac-ciare; scoprire per caso; pensare, considerare, constatare. You will find: troverai _ His: suo, il suo _ Spot: luogo, posto; macchia _ No weep: nessun pianto, sfogo di pianto, lacrime _ No fight: nes-suna lotta, combattimento, conflitto _ No secret: nessun segreto, misterioso, riservato _ To inscri-be: iscrivere, incidere, scolpire (nella mente), dedicare. Inscribed: inciso. _ Inscrutable: imper-scrutabile, impenetrabile, sconosciuto _ Peaks: picchi, cime, sommità, vertici _ No sense: nessun senso, significato, ragione, percezione _ No lane: nessun viottolo, stradina, corsia _ Everything: tutto, ogni cosa _ 's: is: è, sta _ To lie: essere straiato, disteso, giacere, anche essere sparso. Is lying: giace _ And: e _ To look at [sb]: guardare, osservare qualcuno. Look at me: mi guarda _ I am not: io non sono _ A damn: un dannato, un maledetto _ A soul: un'anima.

_ There's: c'è _ Nobody: nessuno _ But: ma, solo, soltanto; eccetto, tranne, fuorchè _ Myself: me, io stesso, me stesso _ In the: nel, nella, nelle, negli _ Prelude: introduzione, proemio, preludio _ My: mio, mia, miei, mie _ Senses: senso, conoscenza, sensazione, buon senso, saggezza, intelli-genza _ She: lei _ To say: dire, affermare, esprimere un'opinione. She said: diceva _ Maybe: forse, probabilmente, può darsi _ It: esso, essa _ To come back: ritornare. It will not come back: non ritornerà _ Needing: necessità, bisogno, esigenza _ A: un, uno, una _ Meaning: senso, significato, pensiero, idea, disegno, intento _ Internet: internet _ The last: l'ultimo, scorso, più recente, defini-tivo, massimo, estremo _ Heritage: eredità, patrimonio.

_ Poet: poeta _ To be: essere _ Are: 1,2,3 persona pl. ind. presente _ Punk: punk _ Full stop: punto, punto e basta.

Francesca Sante

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LOSPEC-CHIO

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In piedi accanto al letto, mi guardo riflesso nella parete a specchio. Tendo i muscoli addominali, verifico la sporgenza dei pettorali. Poi ruoto facendo perno sulla punta dei piedi e mi osservo di profilo, valutando l’assenza di rotondità della pancia, le maglie larghe e precise della rete degli ad-dominali. Fletto le gambe e mi piego leggermente in avanti, lasciando emergere il disegno dei dor-sali, gonfiando la massa dei quadricipiti femorali. Poi mi rimetto dritto, nella posizione di partenza, mi sfilo i boxer e li lascio scivolare fino a terra, allontanandoli con un rapido movimento del piede. Completamente nudo mi passo le dita sulla testa liscia e le incrocio dietro la nuca. Il mio corpo è lucente. I miei tatuaggi risplendono. Sono indubitabilmente bello.Mi fletto in avanti afferrando saldamente le caviglie, le mie gambe sono tese, la colonna vertebrale precisamente arcuata.Non posso vedere l’immagine riflessa, ma so con certezza che richiama un’idea di impeccabile per-fezione fisica, l’estasi della proporzione, un ideale greco. Trattengo il respiro, chiudo gli occhi e mi immergo profondamente nel tepore dell’autostima.Suona il telefono e mi rialzo, uscendo dal bozzolo di compiacimento che mi proteggeva. Immagino chi possa esserci dall’altra parte dell’apparecchio e lo lascio squillare due, tre, quattro, cinque volte. Squilli lunghi nel silenzio della stanza. Poi scatta la segreteria.-Lothar!Il mio nome, pronunciato dalla sua voce gonfia di rabbia, risplende di precisione come la lama di un pugnale. Allargo le gambe e contraggo i muscoli dei glutei.-Lo so che ci sei, brutta testa di cazzo!Con una mano mi accarezzo l’addome, ammirando lo spettacolo meraviglioso di un’erezione che si dischiude come un fiore di dalia. Posso percepire distintamente lo scorrere del sangue richiamato a gran voce là dove si concentra la mia vita.-Ho qui davanti la relazione che mi hai consegnato. Che cazzo significa? Sei rincoglionito?Quando si arrabbia così le si gonfiano le vene del collo. È la rabbia disperata di chi ha avuto la bel-lezza e l’ha persa. Vorrebbe che la scopassi ancora, ne avrebbe bisogno per sentirsi viva.-Merda, sono le dieci pagine più inutili che mente umana abbia prodotto. Ti direi di correggerla ma è impossibile: sei troppo scemo per riuscire a capire dove hai sbagliato. Ho chiesto a Stein di prepararne una decente. Vaffanculo, Lothar!Sfiorandomi ripenso alla morbidezza mielosa dell’interno delle sue cosce, al gusto della sua pelle.-Abbiamo dovuto rimandare la presentazione per colpa tua, ignobile mentecatto.Ripenso agli scatti della sua schiena, al grido delle sue viscere, al suo sudore salato.-Questa volta è troppo, Lothar, lo capisci?Esiste un solo un potere al mondo, e non è quello gerarchico che crede di possedere lei.-Senti, se un cervello da qualche parte ce l’hai, sbrigati a venire in ufficio.Ripenso alla forza meccanica delle mie mani strette intorno al suo bacino, alla fragilità delle sue ossa che avrei potuto spezzare in qualunque momento.-Ti do la possibilità, l’ultima, di convincermi a non licenziarti.C’è solo il potere d’acciaio della bellezza, tutto il resto è futile.-TI dico già che non sarà facile.C’è solo il lampo abbacinante della mia esatta bellezza, tutto il resto sprofonda nell’ombra.-Vieni presto.Ci sono solo io, riflesso in uno specchio, fiero, giusto, meraviglioso.-Ti prego.La comunicazione si interrompe. Continuando a guardarmi negli occhi abbandono il mio sesso e trattengo la voglia che avrei di baciare la mia immagine.Non ho fretta, sorrido, mi dico “ti amo” e vado in bagno a lavarmi.

Andrea Fabiani

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I.ne vedremo ancora delle bellescavallando a sera per i vicolianche se non vale scongiurare smarrimentiresta d’obbligo autopraticarci tenerezze distrazioni e venti festivicon il corpo tenue eun po’ di delicato sudore sul collotanto vale più di rispondere con tono d’eminenzaad ogni opinionepiù di contare numeri con molti zeripiù di esaltare Klimt oaltri pompierozzi da 1911

II.le previsioni della fine del mondo fanno ridere in raffronto alle tue meraviglie da dimensione genitalee le stanze della creazione non sono adattea chi fa la scarpetta sul piatto finiti gli spaghettie nelle famose caramelle gommose alla fruttaè risaputoci siano ossa d’animali

III.alla stazione dei trenitra i binarie nei supermercati tra i corridoi di scaffaliho sentito intonare un requiem per tutti i replicantied ho visto distribuire baci ed overturescosì cortesementecosì assennatamenteche avreivolutocommuovermi

Andrea Cannarella

INTERLUDIO(your sister’s sentimental way)

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CREATION FIRST FORMULA OF CREATIONIt’s always good to have an excuse to create something.

SECOND FORMULA OF CREATIONShake your thoughts and feelings , visualize, get inspired, move your hands and shape the things you have inside.

THIRD FORMULA OF CREATION You can make thousands mistakes during the process of creation. Breath, then restart or quit.

FOURTH FORMULA OF CREATION Don’t kid yourself, you can’t create something perfect because we are not perfect.

FIFTH FORMULA OF CREATION When you create something remind that you’re not creating from the unknown. You can just re-create yourself in all your remote shades, involving all you experienced, all you love or hate, also things you don’t remember or messages from whatever dimension that belong to you. You create yourself because you are yourself only.

SIXTH FORMULA OF CREATION Experiment. If you fail just remember the THIRD FORMULA OF CREATION.

SEVENTH FORMULA OF CREATION What you create is not better than you. If you look at the bottom you’ll find that you and your cre-ations are the same thing.

EIGHTH FORMULA OF CREATION You have no limit if you don’t want to.

NINTH FORMULA OF CREATION Don’t be in competition with others. Let yourself be guided by your own inspiration, don’t mind others and have fun doing it.

TENTH FORMULA OF CREATIONLet you creation go out and fly away. Set it free the way you want. Share it with the trees, the sky, your pet or the characters of your imaginary world. Share it.

Sonia Secchi

The

ofDECALOGUE

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CREAZIONE PRIMA FORMULA DELLA CREAZIONE Ė sempre bello avere una scusa per creare qualcosa.

SECONDA FORMULA DELLA CREAZIONE Scuoti i tuoi pensieri e le tue emozioni, vedi, ispirati, muovi le mani e dai forma alle cose dentro di te.

TERZA FORMULA DELLA CREAZIONE Durante il processo di creazione può capitare che tu faccia migliaia di errori. Respira, poi comincia daccapo. O lascia perdere.

QUARTA FORMULA DELLA CREAZIONE Non illuderti, non puoi creare qualcosa di perfetto perché noi non siamo perfetti.

QUINTA FORMULA DELLA CREAZIONE Quando crei ricorda che non stai creando dal nulla ma che stai riproducendo te stesso in tutte le tue sfumature, anche quelle più remote, coinvolgendo tutte le tue esperienze, ciò che ami e che odi, anche le cose che non ricordi o i messaggi che ti arrivano da chissà quale dimensione a cui appar-tieni. Tu crei te stesso perché sei solo te stesso.

SESTA FORMULA DELLA CREAZIONE Sperimenta. E se fallisci ricorda la TERZA FORMULA DELLA CREAZIONE.

SETTIMA FORMULA DELLA CREAZIONE Quello che crei non é migliore di quello che sei.Se guardi bene in fondo ti accorgerai che tu e quello che hai creato siete la stessa cosa.

OTTAVA FORMULA DELLA CREAZIONE Non hai limiti se non vuoi avere limiti.

NONA FORMULA DELLA CREAZIONE Non essere in competizione con gli altri. Lasciati guidare solo dalla tua ispirazione senza pensare agli altri e divertiti mentre lo fai.

DECIMA FORMULA DELLA CREAZIONE Lascia che quello che crei esca e voli via. Liberalo quando te la senti. Condividilo con gli alberi, col cielo, con il tuo animale domestico o con i personaggi del tuo mondo immaginario. Condividilo.

Sonia Secchi

Il

dellaDECALOGO

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Una stanza.È bastato un battito di ciglia per spazzare via l’immagine precedente. È tutto all’interno della nostra testa: nessun limite, nessun confine, nessuna appartenenza; i pensieri sono come cerchi d’acqua: disegni perfetti destinati a flut-tuare via con la corrente, rimane soltanto una semplice vibrazione non udibile. Una stanza. i battiti dei nostri cuori scolpiscono il tempo.

Te e io qui_adesso in questo spazio chiuso, servi di un immaginario che percepiamo fin nei pori della nostra pelle, consolandoci con la nostra solitudine e vagando tra pensieri di cui solo noi capiamo la potenza, dove tutto è colle-gato e niente viene lasciato al caso:

“there are patterns everywhere in nature”10 + 30 + 4 = 44 = 3 + 41

Un uragano di colori, scale senza meta e muri di cui si può modificare la consistenza.È lo spazio dei giochi questo, qui noi possiamo ritornare bambini: camminare a gattoni, fare smorfie, lanciare oggetti e ridere rumorosamente-sempre. La visita in questo luogo è necessaria per perdere le inibizioni e quindi dimmi: quando è stata l’ultima volta che hai giocato?Che libero da qualsiasi preoccupazione hai inventato mondi irreali perdendoti dentro e rischiando di non tornare più indietro?Ecco…perditi e assaggia queste surreali atmosfere, corri e sali per queste scale senza fine, colora gli spazi bianchi e inverti il tempo e fermalo se vuoi. Sentiti libero-impara ad essere libero perché d’ ora in avanti non esisteranno più tabù e questo è il momento giusto per iniziare a fare e dire tutto ciò che si vuole, non aver timore di me-non avere più timore di niente.Goditi questa stanza dei giochi in cui tutto si forma/deforma a tuo piacimento, pure io qui divento un tuo giocatto-lo, so try me. Non c'è niente di pericoloso. Le nostre grida infantili ricamano disegni stilizzati destinati a diventare i nostri re.Nell'atrio comune la luce si era fatta più chiara e un senso di attesa ci circondava, pianpiano ti conducevo dalla parte opposta della sala.

Can you imagine your memory?

Flash Green

RecordingWhat supposed to do now?Look the light. SospesaIn another world, we should call it in a different way. It’s not a simple light.Una stanza da letto dai colori rosa e quel verde che rimanda molto alle tappezzerie anni 60. Due letti singoli ben fatti, una poltrona di velluto e una finestra spaziosa. Nessun rumore, forse c'è del venticello che muove leggermente la tenda bianca. Immobilità: al centro della stanza due donne uguali dai capelli lunghi neri si guardano senza inter-ruzione.Woman 1 carry on to look at the Woman 2 Woman 2 carry on to look at the Woman 1

Esse continuano a guardarsi senza alcuna interruzione. Nessuna parola. Nessuna conversazione. Solo sguardi. Sono così belle nel loro insieme che io e te potremmo fissarle in eterno, come una carezza la loro presenza infonde rilas-satezza, eppure noi cosa sappiamo di ciò che sta succedendo dentro di loro e che cosa vedono i loro occhi?

Scrutare se stessi/spiarsi è dunque ciò che si è portati a fare. Dopo il gioco giunge la tregua: il bambino è cresciuto, ora vuole conoscersi e imparare a comprendere la causa dei suoi lineamenti e cercare nelle piaghe delle sue espres-

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sioni il corpo dei suoi pensieri. Quindi adesso avvicinati alle due donne e guarda: l’immagine delle due donne è ora sostituito dal tuo riflesso. Ci sono due voi in questa stanza. Osservati, ma non superficialmente, la presenza fisica non ha rilevanza.

Can you imagine your memory? Guardati e prova a trovare i tuoi ricordi. Chissà, forse le due donne stavano facendo la stessa (o solo una di loro) dato che uno era solamente il suo riflesso.Flash RecordingÈ come se all’interno delle tue pupille scorressero tutti i fotogrammi della tua vita: frammenti di esistenza presen-tati ora nella loro cruda oggettività e non come il gioco ingannevole della memoria ti aveva fatto credere. Eppure il tuo passato non ha importanza, ciò che hai fatto o ciò che non hai fatto, ciò che avresti dovuto dire o ottenere e ciò che hai perso o vigliaccamente lasciato andare è totalmente irrilevante. Quindi continua a fissare i tuoi occhi e guardaci dentro, riassumi il tuo passato ma non perderti in nostalgie o giudizi Lo sai bene anche tu che da quando sei immerso in questanuova dimensione sei cambiato, anzi sei cambiato nell’istante stesso in cui sei venuto a cercarmi.Guarda le tue memorie come guarderesti qualcosa che non esiste più.

Toccati se vuoi (tocca l’altro te) se questo ti può aiutare a registrare/fermare le tue origini: tale procedimento è fondamentale per abbandonare ciò che fino adesso sei stato, non potrei farti calare in questa nuova atmosfera se tu fossi ancora intriso dalle sgualcite sensazioni trascorse, del ricordo dei vecchi visi che ti hanno circondato o dell’eco delle voci che sono custodite nel tuo cuore. In questo determinato spazio-tempo è la forza che emaniamo ad essere fondamentale.

Siamo fasci di energie, campi di forza, elementi governati da cariche + e – , il nostro essere si spinge oltre la mate-rialità tangibile, è un divenire che trova la propria sede nell’invisibile capacità molecolare. Il mutamento che stai compiendo non riesci a percepirlo perché sta avvenendo negli strati più profondi del tue essere, in quelle cavità sottocutanee che ancora non conosci ma che presto riuscirai a sentire. Tramite la tua presenza modificherai gli stati e non dovrai fare o dire cose per ottenere il cambiamento ma semplicemente

esserci.

In molti, anzi tutti, nella realtà in cui stavi precedentemente sono fermamente convinti che le situazioni si modifica-no agendo, prendendo posizioni o sviluppando idee; pochissimi di loro sono giunti a comprendere che qualunque trasformazione si voglia compiere è prima di tutto necessario agire a livello chimico, particellare: “contaminare” la molecola per provocare la reazione nell’intero organismo, ma anche in questo caso mi riferisco sempre a quel divenire che si manifesta in potenza e carica non certo a livello visivo e tangibile.

Nella stanza continua ad aleggiare ancora quella tenue brezza e senza la presenza delle due donne è ritornato un senso di intimità che ci ricorda che siamo soli: io e te ora in questo stato. Ora che possiedi le tue memorie, hai visto i tuoi resti e ti stai sganciando dalla concezione di forma puoi proseguire il tuo cammino.Quindi vedi quello che sto vedendo io?

Una stanza da letto dai colori rosa e quel green che rimanda molto alle tappezzerie anni 60. Due letti singoli ben fatti, una poltrona di velluto e una porta. Nessun rumore, dell’aria entra dalle fessure della porta.Io e te. Nella camera la luce si è abbassata notevolmente a causa della mancanza della finestra che è diventata una porta: quella porta che ci condurrà allo scenario successivo.È come se dall’altra parte vi fosse un attrito che la bloccasse, ma appena riusciamo ad aprirla lo scenario in cui ci troviamo davanti è inaspettato.Un buio totale ci avvolge, un buio in cui è difficile persino capire dove sono situate le paretio se ci sono pareti.

“Gradualmente andavano spegnendosi le luci, il respiro assumeva le sembianze diun’ombra che cerca riparo e lava spenta sgorgava dagli angoli della terra.

Un uragano di colori, scale senza una meta e muri di cui si può modificare la consistenza.È lo spazio dei giochi questo, qui noi possiamo ritornare bambini: camminare a gattoni,

fare smorfie, lanciare oggetti e ridere rumorosamente-sempre.Una stanza da letto dai colori rosa e quel green che rimanda molto alle tappezzerie anni

60. Due letti singoli ben fatti, una poltrona di velluto e una finestra spaziosa. Nessunrumore, forse del venticello muove leggermente la tenda bianca.

Una stanza da letto dai colori rosa e quel green che rimanda molto alle tappezzerie anni60. Due letti singoli ben fatti, una poltrona di velluto e una porta.

Buio totale”

Silvia Cegalin

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SENZA SANGUEDiego Maht

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SENZA SANGUEDiego Maht

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LE MIERITUALITÀ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Le mie ritualità, i conteggi,perdute formule tra gli arpeggi di questo strumentosupino: attenti alle guerreche sanno il tuo nome, nelle tanea fondo schiena stiamoaccaldati, ostaggidi un cardio corrottoannusando pulsanti ormeggidal sapore di carne.

Eleonora Rimolo

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CRUDITÀ E ALTRE FORME DI CRUDELTÀ

la meraviglia spesso carnivora e affamataspesso gelo e rogo di crudezza

un cane sperpera gli istantiil suo latrato diventa cacofonico

l’inverno asciuga le lacrime e le vulve catastrofi postcoitali in postriboli umidicci

e poisistemare le cose con le cose per cui qualcosa ha significato;

le parole che suppurazione e tempesta l’eutanasia o il verso della lingua [schiocco breve]

piaga sullo squarcio anatomico del volto – fauci lubrificate e il lento martellare del cuore nella gabbia o nella cassa

taccio e muoio come brandello di carne abbruttita tafonomia ad honorem;

siedo ancora sopra la mia testaperché questa ripugnanza tra me scritto e me detto perché ieri è già il mio alito affannosoperché la similitudine più sacra abusa di vocaliperché qui l’inconsistenza duole

e poi cercare tra le ossa anche un solo significatouna sola grinza su quello che chiamano dio

deturpare questa è l'arte ancorainghiottire scomunicare ribadire il niente

dire e aver da ridire mentre ci si sputa in visomanipolare uno sputo e deformarsi i tratti allo specchio

Cretinismo sociale.Coito incorrotto dalla morale.

Dovrei ancora stuprarmi in macilente acrobazie dialettiche?!

D'accapo.

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Il gelo spesso carnivoro e meravigliosola fame della crudità eccitata

lo sperpero di cagne eufonichelatrati che vivono un istante

le vulve lacrimevoli e l’invernoasciutto postribolo arreca umidità al coito

e poi sistemare le cose con le cose per cui qualcuno hanno significato;

le piaghe della ragione e la violenza della comprensionela boria della logica e il cannibalismo del grembo materno

frana sullo squarcio aerodinamico del volto - fauci ingrippate al lento rigurgitare del cuore nella gabbia vuota

fragoroso e distorto brandello di merda fiorita overdrive ingrassato;

siedo quasi mai comodo sulla mia testaperché di notte vegeta ogni formaperché neanche ritmo e aritmia coincidonoperché la tossicità del senso non ha antidotiperché le vinacce fermentano e continuo a inspirare

e poi trovare tra lingua e palato molle anche un solo significatouna sola crepa su quello che chiamo odio

deformare questa è l'arte ancoraingozzare il niente di niente

ricercare parole tra le piaghe del senso comunemanipolare uno sputo e spettinarsi allo specchio

Feticismo clericale.Amplesso inviolato e amorale.

Poi ancora il cuore strumentalizzato infartuato e deturpato lacrima velenotubo di Liebig - pacemaker apocrifo

distillato alcolico oleoso e vellutatobruciore cardiaco (senza rancore)

ma non ho più nulla da dire.

Antonio V. Luzzu

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UN GIOCO NOSTRO

Lei entra in camera in modo prepotente, esclamando: “Salitipu!”Senza scompormi, sollevo lo sguardo dal monitor del computer su cui sto scrivendo un racconto nuovo (dopo tanto tempo): “Crafollo,” rispondo.Lei mi si avvicina, alzando la voce: “Gurubicchio!”“Sassaco,” replico, girandomi a guardarla. Si sta togliendo l’accappatoio, rivelando la pelle nuda bianca come il latte e punteggiata di lentiggini che sembrano tanti spruzzi di caffè. Sorrido nell’i-mitazione di un sorriso lascivo che però non mi viene bene, lei sa benissimo che io so che questo è un momento in cui non devo toccarla, un rituale che è solo suo e che non deve essere disturbato a meno che non sia lei stessa a volerlo.“Nittioriscu,” mormora avvicinandosi e abbracciandomi da dietro. Dal modo in cui si muove capi-sco che non è il momento rituale che mi aspettavo. Il suo corpo nudo si adagia al mio vestito.Abbandono la scrittura, già insoddisfatto di quello che sto scrivendo.“Paciuli,” sussurro, mentre comincio a baciarle il seno.

Ribido. Tanetto. Santaschio. Babagicchi. Reletonno. Faffito. Manalascio. Coreppo. Vavaddo. Gu-lubembe. Sciscioio. Cantaspuppo. Chilivili. Querittio. Lulufo. Possiamo andare avanti un sacco a risponderci in questo modo, inventando parole che non esistono o che noi crediamo non esistere, ci restituisce un senso di tenerezza e di dimensione del gioco che fortifica il nostro rapporto a due. Gli altri ne sono esclusi, è solo nostro. La cosa bella è che capita per caso, senza nessuna anticipa-zione, può succedere in cucina mentre si prepara il pranzo o in doccia mentre ci sfreghiamo i corpi, in strada mentre si passeggia o addirittura quando il sonno sta per prendere il sopravvento e siamo sprofondati nei guanciali.“Cilipopo.”“Minestricco.”“Tarabasulli.”“Zizzorenno.”“Olo.”“No, Olo no! Hai perso!”Sono vietate parole monosillabi, o sarebbe troppo facile. Può seguire una penitenza oppure no.

Ho smesso di scrivere il racconto che stavo buttando giù con pigra dedizione. Alla fine mi sono reso conto di quanto somigliasse per trama e sviluppi ai Nove miliardi di nomi di Dio di Arthur C. Clarke, e non capisco neppure perché l’avevo cominciato, è un tipo di storie che mi sono lasciato dietro. Adesso preferisco cose che non raccontano niente di sostanziale, solo impressioni e spunti, che chiunque potrebbe leggere e interpretare da sé, costruendo il suo intreccio personale.Baboscio.Sciolitisso.Guanado.Come i mostri che io e lei inventiamo, preferisco sintetizzare al massimo, lasciando che sia il suono

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stesso delle parole a descrivere situazioni che altrimenti non riuscirei a inventare.Chiotrido.Canagnazzo.Diolepididdo.Pitobbia.Talvolta litighiamo, fra le coppie succede. In quei momenti, mi prende la voglia di rispondere con tutta una serie di rumori e suoni e versi che non significano nulla ma che secondo me esprimereb-bero meglio ciò che stiamo provando e vogliamo comunicare. Forse per lei è lo stesso, mi dico, ma nonostante ciò continuiamo a comunicare con quello che il dizionario ci ha insegnato.Nannopro. Come a dire “per la miseria”.

Ieri un uomo mi ha apostrofato in malo modo perché secondo lui ho attraversato sulle strisce pe-donali che c’era il semaforo rosso, come se avesse rischiato lui di rimanere schiacciato sotto la sua brutta macchina sportiva. “Cafugu!” gli ho gridato dietro.Lei era con me, ma invece di decapitare il tizio come mi aspettavo che avrebbe fatto, si è messa una mano davanti alla bocca e ha cominciato a ridere, a ridere.

Uauapollo. Tienimenoso. Schaborzio. Un rumore alle nostre spalle. Un piccione si è schiantato contro un muro proprio mentre lei giocava il suo turno. Prima di morire, l’uccello ha gridato qual-cosa di cui ci siamo appropriati, qualcosa che era come “Nienno!”

Siamo usciti a fare un picnic. Il cielo è sgombro di nuvole, ma sembra che debba piovere da un mo-mento all’altro. Ci sono tuoni, all’orizzonte. Giochiamo, come spesso succede. Ghigono. Trippiccio. Rubilesso. Pionto. Caccaquesso. Altri tuoni. Crescono sonoramente, annunciando un temporale estivo. Faffolo. Altro tuono. Lei nota divertita che c’è un tuono ogni volta che diciamo una delle nostre parole inventate. Vivitimo. Tuono. Sassoweso. Tuono. Diciamo “tuono” insieme dopo aver pronunciato ognuno la sua nuova bruttura, e comincio a provare una sensazione strana, che la pa-rola tuono abbia meno senso di tutte quelle che abbiamo generato io e lei. Guardandomi intorno, vedo l’erba e gli alberi, e il cestino del picnic, e tutte le parole che rappresentano queste cose mi sem-brano sciocche e inutili quanto quelle che stiamo figliando. I tuoni rotolano l’uno sull’altro sempre più persistenti, minacciosi, il cielo che si fa giallo e turbolento. Non ci muoviamo da dove siamo, non vogliamo smettere. Ogni parola inventata adesso è pronunciata ad alta voce, con tono sempre più cupo, stregonesco. Ghienoseno. Furfurmale. Ballistro. Juneopanico. Xassaxone. Tyospero. Un tuono più forte di tutti scuote il creato. Il cielo si spacca e un lembo nero apre le nuvole, buttando un suono basso e offeso sulla terra. La pioggia non scende.Lei si alza in piedi, il mento in su, sfida le vette con occhi sbarrati e fieri e spaventati, si prepara a qualcosa. Io lo so, a cosa. Tutt’a un tratto abbiamo capito.L’attesa è finita.Lei dice la sua ultima parola e tutto viene giù.

David Chance Fragale

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AEROPLANO

Se tentodi raggiungere il cielola distanza rimane invariata.M’avvicinosoltanto alle nubi.

Pietro Pancamo

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RAPSODI

A

itaglia la carne con lame di sale

ggiungi l’aceto che non fa mai male

roteggi il sapore con la bramosia

uggella il patto e la cortesia

dia te stesso insieme con gli altri

iventano teneri quando son scaltri

nvita gli amici al tuo banchetto

ddentalo prima che scappi, il filetto.

il bassista bevuto [Mirko Zito]

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ATTIMI DI UNAGIORNATA DI MEZZA

ESTATEL’ennesima goccia di sudore fendeva la sua fronte, scendeva lenta, poderosa, si insinuò sulle sue palpebre e dopo poco offuscò la sua vista, impedendogli per un attimo di vedere, appannando la sua esistenza per un infinito e lunghissimo istante.

Il sole batteva forte, e lui guardava all’orizzonte cercando di scorgere nella piattezza del mare, un’increspatura, un’irregolarità che potesse assomigliare anche lontanamente a qualcosa a lui familiare, come se cercasse sulla linea piatta la sagoma di una persona, la struttura di una casa, qualunque cosa gli potesse ricordare le sue origini.

Intanto la goccia di sudore, ora, fendeva la sua guancia, squarciando la sua pelle come se fos-se acido, viaggiando più veloce, come se avesse incontrato una carreggiata libera, oleata, fino a quando arrivò nell’angolo della sua bocca, e lui la leccò, accorgendosi che ora, quel sudore che normalmente era insapore, diventò spaventosamente salato.

Proseguiva il suo cammino, affondando i piedi nella sabbia bollente, ustionandosi la pianta e l’anima.

I suoi occhi erano velati, guardavano al passato, si alienavano dal futuro. Proseguiva il suo cam-mino senza soste, cercando refrigerio nella salinità del mare.

La sua mente offuscata e satura di ricordi non riusciva a concepire nessun altro pensiero, il suo istinto lo portava a camminare, anche se per alcuni attimi si sarebbe tuffato in acqua e avrebbe iniziato a nuotare per raggiungere il suo passato.

Intanto il sudore diventava sempre più salato, grondava sudore dagli occhi, a causa del sole, della merce e del peso dei suoi pensieri. Si, camminava e piangeva, pensava ai suoi figli, ai suoi cari, alla sua laurea, e mentre abbassava lo sguardo per liberarsi da tutto il peso oscuro della sua anima sentì:

“My Friend, quanto costa il secchiello e la paletta?”

E allora si destò, l’oscuro peso venne riassorbito e si collocò nella porzione più profonda della sua anima, pronto a risalire e lacerarlo quando sarebbe scesa la notte.

Francesco Verrengia

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I WANTED TO RING AHEAD.

I found him – there again – through twisted streets,[up sadistic avenues.]

King of the broken urbanites, rotting, rotting there. Washed away by the millennial cascadeFading away Slowly, slowly. Surely.Wiped away like the smiles from our faces,He mutters then. Something, something.Which we don't catch, but which brings fourth anxiousTorrents, that carry us from him, away again.From what was left, At least.

Back there.Back to when?There, that dark place,Shadowy retreat.That place in between now and then, where weAre stuck again.Where we are to begin again. Are we to begin again?

He ran away, hopeless adolescent. Sack of oils and fats, he ran away.To the hot place, breathing in salt, and then Piss and shit and warmthBreathing in the Southern Mediterranean scent, A mouth full of salt and, then Piss and shit and warmth.Again, like he remembered: glorious.

Yes, with warmth [again] in his veins he leftLetting the tides take himAgain, Departing on the foamed mane:

It caresses silver/grey shores, Like it did When he was a child upon the Hebridean Isle

With his fathers hand guiding him throughLong grass and salty air, yes.Over the hill, he came to see them once again Mother and father And he swore still he loved them,He loved them so much. To him, They looked to the night, the dawn.It was the light that kicked at the darkLike the foetus the wombs walls. This is it, I suppose: the second genesis.It was always going to be, I suppose: It was always going to be I.

And I live, still. This is true. And I breathe, yes.Bleed, yes. And sing softlyTo myself, on broken winter nights, yes.

I am, yes. Yes, I am. Just like that:Tap Tapit goes, yes.Tap Taplike I always imaginedIt'd go. Something like this:Tap TapIt goes.Infernal muscleTap TapIt goes.Just like that:Tap Tap.

Al Anderson

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L'ho trovato - ancora una volta- per strade contorte, [su viali sadici.]

Re dei cittadini spezzati, là marcisce, marcisce. Lavato via da una cascata millenaria Svanisce Lentamente, lentamente. Certamente. Spazzato via come i sorrisi dalle nostre facce, Poi borbotta. Qualcosa, qualcosa. Che noi non afferriamo, Ma che porta una divisione ansiosaTorrenti, che ci portano lontano da lui, ancora. Da ciò che restava, Almeno.

Lá dietro. Quando? Lá, quel posto scuro, Rifugio ombroso. Quel posto tra l'ora e il poi, in cui noi Siamo ancora bloccati. Dove dobbiamo ricominciare? Dobbiamo ricominciare?

Corse via, adolescente disperato. Sacco di oli e grassi, corse via. Verso il posto caldo, aspirando sale, e poi Piscio e merda e caloreAspirando il profumo Sud Mediterraneo Una bocca piena di sale, poi Piscio e merda e calore. Ancora, come si ricordava: glorioso.

Sì, con calore [ancora] se n'è andato nelle sue vene La-sciandosiprendere dalle mareeAncora,Allontanandosi sulla criniera spumosa:

Accarezza rive argento/grigie, Come faceva Quando era bambino sull'isola di Hebridean

Con la mano di suo padre che lo guidava attraversoL'erba alta e l'aria salata, sì. Oltre la collina, venne a visitare una volta ancora Madre e padre E giurò di amarli ancora. Li amava tantissimo. Per lui, Loro guardavano alla notte, l'aurora. Era la luce che calciava l'oscurità Come il feto le pareti del grembo. Questo è, suppongo: la seconda genesi. Così sempre sarà, suppongo: Così sempre sarò.

E vivo, ancora. Questo è vero. E respiro, sì. Sanguino, sì. E canto sottovoce A me stesso, nelle notti di inverno spezzate, sì.

Io sono, sì. Sì, io sono. Proprio così: Tap Tap Fa così, sì.Tap Tap Fa come ho sempre immaginato Qualcosa così:Tap Fa Tap Muscolo infernale Tap Fa Tap Fa Tap. Proprio così: Tap Tap.

Al Anderson

VOLEVO FARE UNA TELEFONATA

Traduzione a cura di Sonia Secchi

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C'EST UNEQUESTION DE

PRINCIPE

C'est une question de principe

Avec des mots ensemble on peut dîner les rues qui se croisent au soleilla pluie en jachère de souvenirs

Nous étions libres et jeunes ta tête sur mon épauletes cheveux

Tu avais raison le temps est compté Il est question des jours et des nuits L'épine dorsale du temps sacrifiée par l'habitude des jours poète de l'existence ordinaireque risques-tu?

Extrait de «Le Projet» éditions Encres Vives Collection Encres Blanches

Eric Dubois

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È UNA QUESTIONE DI PRINCIPIO

Traduzione a cura di Francesca Sante

È una questione di principio

assieme alle parole si può cenare le strade che si incrociano al solela pioggia lascia riposare i ricordi

Eravamo liberi e giovani la tua testa sulla mia spallai tuoi capelli

Avevi ragione il tempo è contato

È questione di giorni e di notti

La spina dorsale del tempo sacrificata in nome dell'abitudine dei giorni poeta dell'esistenza ordinariaChe rischi?

Estratto da «Il progetto», Encre Vives

Eric Dubois

Eric Dubois nasce a Parigi nel 1966. Poeta e performer, è membro di numerose gruppi culturali dediti alla poesia, tra i quali il Centre National de Ressources pour la Poésie e il Movimento poetas del mundo. Tra le più recenti raccolte da lui pubblicate ricordiamo "Lyre des nuages" (2014) , "Assembler les rives (2013) e "Ce que dit un nau-frage" (2012) edite da “Encres Vives” e, come tutti i testi di Dubois, reperibili solo in lingua francese. Rapsodia regala un assaggio di un'importante figura del panorama poetico contemporaneo.

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LE VOCI DI GIÒEstratto

Vorrei fermarmi a guardare.

Osservare la gente che si sveglia stanca dopo un giorno di festa. Vorrei che la pioggia mi bagnasse e potermi godere quelle gocce che mi lavano dal sangue dei miei peccati. Camminare a piedi vestita di bianco verso la Madonna dell’Arco urlare la mia richiesta sbattermi a terra urlare e essere sentita, capita, carezzata.

Ricevere la grazia.

Invece devo correre in battaglia, parlare col re e capire quale delle voci sia quella giusta.

E sono sola. Perché? Dove sono i miei amici? Quelli che non hai bisogno di dire io sono, io ho fatto. Loro lo saprebbero già loro. Mi hanno tolto la mia terra ma non leveranno mai la mia terra da me.

Mi sento libera in questa prigione, ma ho freddo e non mi riscalda una parola, un raggio, un pen-siero. Voglio buttare le cose vecchie, le mie vecchie convinzioni. Eppure resto sporca. Ti abbracce-rei ti parlerei e riderei, ma tu non ci sei. Tu che mi dicevi sempre … Lasciamo stare. Tu.

Nulla può la fame, la costrizione, il disagio contro il mio obbiettivo. Sono come lava che arde e tutto ciò che tocca brucia. Mi sento sola e da sola parlo con te. Io sola, sola io.

Le mie mani sono stanche e così il cuore. Non dormo.

Eduardo Ricciardelli

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Teatraltro in collaborazione con Etérnit

preseta

Le voci di GiòCon: Mariateresa Pascale

Drammaturgia e regia : Eduardo RicciardelliAiuto regia: Ida Vinella

La travagliata storia della pulzelle de Orleans. Donna, guerriera e santa. Giovanna D’arco si distingue in vita per la sua tenacia e arguzia, ma il suo spirito guerriero è guidato da voci che oltre ad indirizzarla nel cammino della battaglia la tormentano.Un corpo sulla scena anima una vicenda appassionante e controversa che si snoda in un mondo di suoni, azioni e parole.Le voci create come suoni provenienti da diverse culture, fanno da sfondo alle diverse lingue e ai vari scioglilingua che accompagnano un racconto atroce e grottesco, fatto di paure e gioco. Il testo scava in diverse fonti letterarie, da poesie cinesi del XVI secolo fino a passi tratti da “Nozze di sangue” di Federico Garcia Lorca, che ri-portano la protagonista in un immaginario fanciullesco, svestendola da ogni interpretazione religiosa e riducendola a metafora di donna forte e combattente.La prima versione dello spettacolo, che vedeva in scena l'attrice Bianca Ciocca, ha debuttato a Roma nel 2008. Successivamente il lavoro è stato ri-visitato e, nella sua veste definitiva, è stato presentato nel 2014 nell'ambito della rassegna EXIT. “Le voci di Giò” è, infine, andato in scena nel 2015 al Teatro Trastevere di Roma.

more info: www.teatraltro.it

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RAPSODIACONSIGLIA

“FORMER” di Sofia Brunetta

“Former”, il disco d’esordio di Sofia Brunetta, pubblicato il 9 giugno da Piccola Bottega Popolare, è un’opera suggestiva, multiforme, frutto di un’intensa ricerca musicale.L’artista salentina, che negli ultimi due anni ha vissuto per lunghi periodi in Canada (Toronto e Montreal), offre la sua voce poliedrica ed eclettica a dieci brani dal gusto moderno e dallo stile originale e inedito.Sofia riesce a riassumere a meraviglia le influenze assorbite oltreoceano, nel cuore pulsante del rock indi-pendente internazionale; “Former” è un’esplosione di suoni, un mix elegante, particolare e ben strutturato, di timbriche diverse, di strumentazione acustica ed elettrica, di sintetizzatori e campionatori.“Low”, la traccia che apre il disco, un giocoso divertissement su cosa si desidera quando ci si ritrova a -25°, è un brano di grande impatto, cantato con una voce graffiante, effettata, che rimanda alle atmosfere cosmic country dei 7Horse, ma anche, soprattutto nel ritornello, agli anni ‘60 di Nancy Sinatra e Shirley Bassey.“Former”, però, è anche blues (“Saturday”), “Former” parla di riscatto sociale e di scelte di vita ("Crossro-ad", "Leaves and Flowers"), “Former” è una poesia orfica, commovente, universale costruita su meravigliosi suoni digitali ("Take Me Somewhere"), “Former” è la magnifica chitarra e i suoni ambient di “Black Little Star”, il brano di chiusura.“Former” gioca con l’amore, gli addii, i nuovi incontri; le scelte artistiche di Sofia Brunetta, in collaborazio-ne con il dj/produttore Giovanni Ottini (in arte Sonda), incastrano alla perfezione la lirica e la appassionata sensibilità delle parole di un’artista profonda con la assoluta modernità degli arrangiamenti.Difficile dire con certezza se stiamo parlando di un disco pop o “indie”, rock, blues, jazz o soul.“Former” è tutto questo; è un lavoro che certamente onora la musica perché fa attivamente ricerca: riscopre, reinterpreta, rielabora, propone con intelligenza e grande gusto, sfidando la mediocrità e l’appiattimento della grande industria discografica e radiofonica.

di Andrea Capuano

in collaborazione con

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