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MISURE DI PREVENZIONE E ATTIVITÀ DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ Luigi CORTELLESSA - Giovanni DI BLASIO dell’Arma dei Carabinieri Serie “Quaderni” - n. 7 Suppl. al n. 4/2003 Rassegna

Rassegna dell’Arma dei Carabinieriattiemodellidipoliziagiudiziaria.eu/files/misure-prevenzione-e... · Autori:-Luigi CORTELLESSA Tenente Colonello dei Carabinieri, Capo Settore

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MISURE DI PREVENZIONE

E ATTIVITÀ DI CONTRASTO

ALLA CRIMINALITÀ

Luigi CORTELLESSA - Giovanni DI BLASIO

dell’Arma dei Carabinieri

Serie “Quaderni” - n. 7 Suppl. al n. 4/2003

Rassegna

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Autori:

- Luigi CORTELLESSA

Tenente Colonello dei Carabinieri, Capo Settore Misure diPrevenzione, Direzione Investigativa Antimafia.

- Giovanni DI BLASIO

Tenente Colonello dei Carabinieri, Comandante Provinciale deiCarabinieri di Avellino.

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INDICE- SOMMARIO

CAPITOLO I - L’attività di prevenzione 71. Premessa 72. I fondamenti sociali e giuridici della prevenzione 93. Caratteri generali della prevenzione 124. I presupposti applicativi 145. I profili di costituzionalità 156. Evoluzione storica del sistema 20

CAPITOLO II - Le misure di prevenzione personali 231. Premessa 232. I soggetti 253. Le misure preventive personali 284. L’avviso orale 285. Il rimpatrio con foglio di via obbligatorio 326. La sorveglianza speciale 357. Gli obblighi derivanti dalla sorveglianza speciale 39

CAPITOLO III - Il contrasto alla criminalità organizzata 411. L’adattamento del sistema 412. La definizione dei sodalizi 423. L’indizio di appartenenza 454. Tipologia dei provvedimenti 505. Effetti sanzionatori dei provvedimenti preventivi 526. L’estensione soggettiva dei provvedimenti preventivi 567. Le misure di tutela della Pubblica Amministrazione 578. Le interdizioni alle cariche elettive 599. La prevenzione ante delictum nei confronti di altre forme di criminalità 6010. L’intervento preventivo nei confronti degli Enti Locali 62

CAPITOLO IV - Le misure di prevenzione patrimoniali 671. L’ordine economico e le nuove frontiere

della lotta al crimine organizzato 672. Finalità delle misure patrimoniali e profili di costituzionalità 70

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3. Le indagini patrimoniali 734. Il sequestro e la confisca 785. Le misure di prevenzione patrimoniali

e i beni acquisiti prima della L. 646/82 856. La cauzione 867. La sospensione dalla amministrazione dei beni 888. Il terzo nel procedimento di prevenzione

e nei provvedimenti interdittivi e decadenziali 90

CAPITOLO V - L’investigazione preventiva 971. L’indagine preventiva 972. Gli obiettivi dell’indagine 993. I protagonisti dell’indagine 1014. Le possibili competenze di diversi livelli 1025. La competenza della Direzione Investigativa Antimafia 1046. Il Procuratore Nazionale Antimafia 1057. I mezzi di ricerca degli indizi 1078. Il controllo del territorio 1079. Perquisizioni 10910. Attività di ricerca latitanti 11011. Perquisizioni di edifici 11112. Intercettazioni preventive 11113. Colloqui investigativi 11314. Ricerca documentale 11415. Supporto dei mezzi di informazione 115

CAPITOLO VI - … Per concludere 117

Allegati 120

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PRESENTAZIONE

Il contrasto alla criminalità è una priorità operativa per l’Arma dei carabinieri,

sia in relazione ai compiti istituzionali ad essa demandati, sia con riguardo

alle considerevoli risorse umane, tecniche e professionali impiegate nello

specifico settore.

L’attività di contrasto, d’altronde, può manifestarsi in molteplici modalità

attuative, tra le quali assume rilevanza prevalente la fase preventiva.

La prevenzione della criminalità comporta un impegno concettuale, orga-

nizzativo ed esecutivo certamente non secondario a quello profuso nella repres-

sione dei reati. Prevenire significa capacità di prevedere gli eventi, di pianificare

e di programmare gli interventi operativi, di svolgere servizi di controllo del terri-

torio oculati, remunerativi ed efficienti.

Nell’ultrasecolare storia dell’Arma, non a caso la pertinente regolamentazione

organica e di servizio ha sempre sottolineato che “l’essenza della missione dei

Carabinieri” consiste soprattutto in “una vigilanza attiva, non interrotta”, cioè nella

costante e capillare presenza sul territorio al fine di salvaguardare, dissuadere e

se necessario persuadere, prima ancora di reprimere.

La prevenzione è, quindi, parte fondante della nostra cultura professionale,

è il cardine sul quale costruiamo la nostra stessa etica del dovere e della solidarietà.

Ed in base alle precedenti riflessioni che con molto piacere presento il la-

voro dei tenenti colonnelli Luigi Cortellessa e Giovanni Di Blasio. Ufficiali su-

periori dell’Arma dalle diversificate esperienze professionali, gli autori hanno sa-

puto condensare in un manuale, di facile e piacevole lettura (e anche questo per

un manuale è un pregio di non poco conto), una serie di considerazioni attente

e ponderate sul complesso sistema normativo di contrasto alla criminalità.

Senza alcun velleitarismo dottrinale, ma con la semplicità e la concretezza

di uno stile letterario tecnico-professionale, in pochi capitoli vengono analizzati

l’attività di prevenzione nei suoi presupposti legislativi ed operativi, le misure di

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prevenzione personali e patrimoniali, gli strumenti di contrasto alla criminalità

organizzata e l’investigazione preventiva.

Il lettore non si attenda un’erudita esposizione di teorie penalistiche o

un’elegante illustrazione dei diversi orientamenti giurisprudenziali nella specifica

materia.

I “Quaderni” della Rassegna hanno come finalità principale quella di offrire

un riscontro applicativo al quadro teorico di riferimento operativo. Questo potrà

costituire - forse - un limite per un’elaborazione dottrinale colta ed esauriente,

ma incarna perfettamente l’idea guida che costituisce il fondamento della nostra

stessa formazione professionale: il sapere per fare.

Un doveroso ringraziamento, allora, devo indirizzare ai due valenti autori

che con passione professionale e con rigore concettuale hanno fornito un quadro

descrittivo del sistema normativo di prevenzione alla criminalità e ne hanno svi-

scerato i molteplici profili applicativi, in modo da rendere il lavoro “spendibile”

con immediatezza ed efficacia sul piano operativo.

Con questo nuovo “Quaderno”, inoltre, la Rassegna continua idealmente

l’opera di approfondimento nello specifico campo di attività istituzionale, in-

trodotta ed avviata con il manuale di Canio Giuseppe La Gala “Il riciclaggio di

denaro”, edito come supplemento al n. 4/1999.

Tutto ciò nella speranza di ulteriori riflessioni e contributi in una materia

di interesse strategico per l’Istituzione, affinché il dialogo continui, utile e proficuo,

e la Rassegna possa sempre più rappresentare quella illuminante palestra di idee,

motivo per il quale è nata e per il quale da decenni promuove l’aggiornamento e

la preparazione dei Quadri dell’Arma.

Gen. D. Vittorio Barbato

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CAPITOLO I

L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

Luigi CORTELLESSA

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I fondamenti sociali e giuridici della prevenzione. - 3. Caratteri gene-rali della prevenzione. - 4. I presupposti applicativi. - 5. I profili di costituzionalità. - 6.Evoluzione storica del sistema.

1. Premessa

Lo Stato è il supremo garante delle condizioni di vita dei suoi consociati e pertan-to deve assumersi la responsabilità di ricercare, garantire e mantenere le condizioni cheassicurino il libero e ordinato svolgersi della vita sociale. La comunità, al suo interno,deve confrontarsi con spinte contrarie alle sue finalità: tra queste, in primo luogo, la vio-lazione delle leggi poste a fondamento della struttura sociale. L’ordinamento giuridicopersegue, anche al fine di garantire la sua stessa sopravvivenza, l’obiettivo di prevenire,impedire e reprimere i comportamenti che contrastano con le norme che lo compon-gono e che per tale motivo vengono qualificati illeciti. In tal senso, lo Stato, nella suafunzione di depositario delle scelte legislative e di attuatore delle stesse a mezzo dei suoiapparati, è il titolare delle scelte di politica criminale, dopo aver individuato i beni giu-ridici meritevoli di tutela, primo tra tutti quello della libertà del cittadino poiché “dallabontà delle leggi penali dipende principalmente la libertà del cittadino(1)”.

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(1) - MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Libro XII, Rizzoli, Milano, 1989, pag. 341.

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Pertanto, lo Stato ha la necessità di allestire un apparato difensivo interno,costituito da organismi, disposizioni legislative, modalità attuative, per garanti-re la sua integrità rispetto alla minaccia di azioni contrarie alle sue finalità ed allasopravvivenza dell’ordinamento.

Nell’esercizio di questa funzione, deve essere riconosciuta allo Stato lapotestà di adottare, in determinate situazioni, provvedimenti autoritativi diret-ti verso gruppi di cittadini, od anche verso il singolo, capaci di limitarne, siapure temporaneamente, l’esercizio di alcuni diritti, che peraltro non possonoessere limitati da nessun’altra manifestazione di volontà esterna.

Vi è, accanto, la necessità di fornire risposte tranquillizzanti ai consociati,che nei comportamenti antisociali intravedono la lesione o la messa in pericolodi un sistema di valori di riferimento, cui essi affidano il sereno svolgersi dellavita quotidiana.

L’insicurezza, prima di essere un fatto, è una sensazione; chi detieneresponsabilità politiche ed istituzionali deve comprendere quali siano le ragioniche sono all’origine del senso di insicurezza, considerando comunque che essofa leva su due elementi: la sensazione dell’impunità del criminale e la frequentedisattenzione verso la vittima.

Nel campo penale questo scopo è affidato principalmente alle pene deten-tive (ergastolo reclusione ed arresto)e pecuniarie (multa e ammenda), le qualicostituiscono, in via principale, una punizione a fronte della commissione di unillecito (funzione retributiva)e mirano, in fase di esecuzione, alla rieducazionedel reo (funzione correttiva).

La pena svolge, altresì, in tale contesto, una funzione di deterrenza, quale ele-mento di intimidazione che esorta a non commettere reati (funzione preventiva).

In definitiva, deve riconoscersi che “…lo Stato, attuando la giustizia pena-le, provvede alla necessità della difesa sociale, e poiché l’umana società (nazio-ne) può essere minacciata e danneggiata dall’esterno o dall’interno, lo Stato hadue funzioni supreme di difesa sociale, che sono: la difesa militare contro leaggressioni esterne e la giustizia penale contro le aggressioni interne quandosono già avvenute, la polizia di sicurezza prima che avvengano

(2)”.

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CAPITOLO I

(2) - FERRI, Principi di diritto criminale, Torino, 1928, pag.110.

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2. I fondamenti sociali e giuridici della prevenzione

Pur tuttavia, se la risposta di tipo penale, attuata attraverso la scelta di benigiuridici da proteggere, potrebbe rivelarsi la più efficace e la più dotata di pote-re deterrente, è anche vera la necessità di predisporre, per maggiore tranquillitàdei cittadini, un livello di anticipazione delle forme più gravi di aggressione. Piùauspicabile sarebbe davvero una prevenzione attuata nella prospettiva secondocui, promovendosi riforme ed istituti sociali, si realizzassero le istanze di fondodella società e si contribuisse, nel contempo, a rimuovere indirettamente lecause del crimine, così come prefigurato dall’armonica indicazione dei principicostituzionali.

La tranquillità sociale, pertanto, non deve essere affidata esclusivamente allarisposta di tipo repressivo-penalistico, ma deve trovare svolgimento anche attra-verso lo spostamento in avanti del fronte, con l’apprestamento di una mirata atti-vità di prevenzione, che abbia la capacità di incidere sul singolo e di garantire, alcontempo, la eliminazione della cause criminogene presenti all’interno dellasocietà: su quest’ultimo aspetto, il compito dello Stato si traduce negli interven-ti intesi a rimuovere le cause sociali che favoriscono la commissione dei reati.

La garanzia di un ordine generalizzato e di condizioni di vita accettabilicostituiscono, quindi, una legittima pretesa da parte del cittadino, pur titolare,in questo contesto, di analoghi diritti in tema di libertà personale. La politicadella prevenzione si pone, quindi, come dimensione essenziale del continuoprocesso di modernizzazione dello Stato e come una rassicurazione formaleofferta ai cittadini: si tratta di una politica in cui pragmatismo, consenso poli-tico, collaborazione interistituzionale, collegamento col territorio, equilibrio fracentro e periferia, trasparenza istituzionale, valutazione dei dispositivi, mobili-tazione della ricerca al servizio dell’azione diventano le categorie che struttura-no il quadro generale degli interventi. In effetti, lo Stato, qualunque sia la suaforma e sotto qualsiasi tipo di regime, non può accontentarsi della giustiziapunitiva, ma deve necessariamente preoccuparsi di evitare, innanzitutto, e almeglio possibile, che i reati vengano commessi(3).

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L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

(3) - MEREU, Cenni storici sulle misure di prevenzione nell’Italia liberale, in LE MISURE DI PREVEN-ZIONE, Atti del Convegno di Alghero, Milano, 1975, pagg. 197 e ss.

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Si tratta di un’esigenza insita nella natura stessa della società, ribadita dalladottrina, che ha individuato nella prevenzione del crimine una componenteontologicamente necessaria di ogni società organizzata(4).

La sola repressione non ha mai risolto il problema dell’insicurezza, che sipuò ridurre solo con iniziative di prevenzione, basate sulla responsabilizzazionee il coinvolgimento di tutti, ed attività repressive motivate e specifiche.

La ricerca di utili ed efficaci procedimenti di prevenzione è stata oggettodi interesse recente anche da parte della criminologia che ha elaborato, in pro-posito, diversi modelli applicativi. In particolare, nell’ambito della prevenzionesociale, anche in Italia hanno ricevuto forte impulso i programmi alternativi alsistema penale; hanno concorso a tale spinta la riscoperta della centralità dellavittima, la crisi del paradigma risocializzativo e dell’efficacia preventiva del siste-ma penale nel suo complesso, lo scossone recato dalle teorie abolizioniste, l’af-fermarsi del modello di giustizia riparativa e, secondo alcuni, l’asserita incapaci-tà del sistema giudiziario di soddisfare, in taluni casi, le legittime aspettative ditutela del singolo e della collettività. In generale, si intende per mediazionepenale quel particolare programma che, attraverso la figura e il ruolo terzo neu-trale, appunto quello del mediatore, tenta di ricomporre i conflitti in ambitosociale, famigliare, lavorativo e scolastico(5).

In pratica, la mediazione penale si caratterizza per gli attori che interven-gono, autore e vittima, e per la necessità di trovare una qualche forma di ripa-razione al danno subito. Essa, tuttavia, trova due significativi ostacoli, peraltrodi ordine normativo: l’obbligatorietà dell’azione penale e la presunzione d’inno-cenza, cui si accompagna il diritto dell’indagato di tacere.

La prevenzione può essere intesa anche come un elemento costitutivo dellasfera generale dei diritti di cittadinanza, riscontrato anche dalla Dichiarazione delleNazioni Unite sui Diritti dell’Uomo: all’art. 22 viene statuito che “ogni persona, inquanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale”.

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CAPITOLO I

(4) - BRICOLA, Forme di tutela ante delictum e profili costituzionali della prevenzione, IN LE MISURE

DI PREVENZIONE, Atti del Convegno di Alghero, cit., pag. 29.(5) - Tale nuova tendenza applicativa della criminologia è oggetto di recente trattazione in uno

studio realizzato da Di Martino, Criminologia. Analisi interdisciplinare della complessità delcrimine, Simone, 2002, pag. 179.

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Il principio viene ribadito al successivo art. 28, laddove si afferma che“ogni persona ha diritto a che, sul piano sociale e su quello internazionale, regniun ordine tale che i diritti e le libertà enunciati nella presente Dichiarazionepossano trovarvi pieno sviluppo”. Gli stessi intendimenti vengono enunciatidalla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo; all’art. 5 viene affermato che“ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza”. Ciò che immediatamentesi evidenzia è che la libertà, quale contenitore e strumento di efficacia dei dirit-ti, non può che esplicarsi in un contesto ove la sicurezza, sociale e dei singoli,sia consolidata e garantita(6).

Ed inoltre, in senso più pratico, anche a livello comunitario si sono riscon-trate delle iniziative intese ad esaltare il livello della prevenzione contro la crimi-nalità(7), in particolare con la “Risoluzione del Parlamento Europeo sul pianod’azione contro la criminalità organizzata(8)”.

Il documento, più specificamente, nel considerare che un ulteriore diffon-dersi della criminalità organizzata può pregiudicare la possibilità di realizzazio-ne politica, economica e sociale dei cittadini dell’Unione, minacciare la lorolibertà e ostacolare il funzionamento delle istituzioni democratiche, esprime laconvinzione del parlamento Europeo acché i provvedimenti da adottare inmateria di prevenzione ed efficace lotta alla criminalità organizzata siano anchee soprattutto finalizzati alla sicurezza dei cittadini e soprattutto dei bambini ealla tutela di altri rilevanti diritti fondamentali.

In sostanza, emerge che la prevenzione non è finalizzata esclusivamentealla rimozione delle condizioni di pericolo materiale, ma deve intendersi comeimpalcatura del luogo di esercizio dei diritti e delle libertà. E se la libertà per-sonale è il fondamento della Costituzione democratica, essa è irrinunciabil-mente connessa con l’esistenza di condizioni di legalità che ne favorisconol’espandersi.

11

L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

(6) - Sull’argomento cfr.: DE SALVIA, La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, Procedure e con-tenuti, Editoriale Scientifica, Napoli, 1997, passim.

(7) - Il documento più significativo è il Piano d’azione contro la criminalità organizzata, adottatonel quadro del Consiglio Europeo di Amsterdam, del 16 e 17 giugno 1997, elaborato dalGruppo ad alto livello “Criminalità organizzata”.

(8) - G.U. del 15 agosto 1997, pag. 1.

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Nella nostra Costituzione, si rinvengono, altresì, taluni riferimenti alla esi-genza di un’attività di polizia di sicurezza, negli artt. 16, 17 comma 3, 18, 21commi 2 e 6, 41 comma 2: dalla loro lettura è desumibile come si sia intesodisegnare il ruolo della polizia di sicurezza, quella più specificamente intesa allaprevenzione, come attività amministrativa tendente a garantire la sicurezza, l’or-dine e l’incolumità pubblica, con l’esercizio di interventi in grado di incidereperfino sulle libertà fondamentali. In queste disposizioni è possibile rinveniredei riferimenti alle singole componenti dell’ordine pubblico, quali la sanità, lasicurezza, l’incolumità, il buon costume(9).

3. Caratteri generali della prevenzione

La prevenzione, ben lungi dall’essere un concetto assoluto e di univocaapplicazione, può definirsi come un articolato sistema di norme e procedure, spes-so assai diverse anche per collocazione. Anzitutto, si può affermare che essa con-siste in un complesso di attività che lo Stato pone in essere attraverso i suoi orga-nismi di sicurezza, articolati secondo le aree tematiche di competenza degli inter-venti. Si tratta, nella generalità, delle attività di pubblica sicurezza poste in esseredalle Forze di polizia. Le attività di prevenzione della criminalità in genere si pre-sentano articolate in un’ampia gamma, che comprende iniziative di prevenzioneprimaria, volte a incidere sulle motivazioni di fondo dei comportamenti crimina-li (aumento di aiuti e interventi sociali, programmazione di attività educative erieducative, riduzione del tasso di disoccupazione, miglioramento della qualitàdella vita) e altre di prevenzione situazionale, miranti a ridurre le occasioni con-tingenti che possono portare un individuo a commettere un reato. In tale conte-sto, la prevenzione trova attuazione anche in quella che recentemente è stata defi-nita come sorveglianza naturale, che fa riferimento al controllo sociale e che si puòdefinire come quella supervisione che si effettua naturalmente ogni giorno, valo-rizzata attraverso i progetti architettonici di “spazio difendibile”

(10).

12

CAPITOLO I

(9) - Mone, L’Amministrazione della Pubblica Sicurezza e l’ordinamento del personale, LaurusRobuffo, 1995, pag. 21.

(10) - Carrer, Sicurezza in cità e qualità della vita, Editrice Libertà, Roma, 2000, pagg. 116-117.

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Allorché si parla, però, di prevenzione dei reati in senso tecnico, si hariguardo a quelle norme che sono espressamente dettate allo scopo di preveniree non di reprimere: sono quindi orientate essenzialmente nel senso della preven-zione speciale. Tale tipo di prevenzione può, a sua volta, essere concepita sia antedelictum, sia post delictum.

Queste ultime, accolte nella codicistica penale, rispondono appunto ad unaesigenza preventiva, quella cioè di sottoporre il colpevole di un reato ad un prov-vedimento idoneo ad agire sulle cause di esso, vale a dire sulla sua pericolositàsociale. Tali misure si innestano sul criterio, accolto dal nostro sistema, del dop-pio binario: da un lato la pena per gli individui capaci di intendere e di volere,dall’altro la misura di sicurezza per gli individui socialmente pericolosi(11). Perciòla misura di sicurezza non deve intendersi come una sanzione, bensì come unmezzo di tutela preventiva a carattere amministrativo contro le cause del reato.La legge penale, all’art. 202 c.p., prevede l’applicabilità delle misure di sicurezzaalle persone socialmente pericolose che “abbiano commesso un fatto prevedutodalla legge come reato”. La pericolosità sociale trova la sua unica definizione, rin-venibile nei testi legislativi, proprio in tale ambito, all’art. 203, ove si afferma che“…è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibi-le, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente, quan-do è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati”. Laqualità di pericolosità del soggetto si desume dai parametri forniti dall’art.133c.p. (Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena)

(12). In definitiva, carat-

teristica essenziale delle misure di sicurezza è la possibilità di applicazione sul pre-supposto dell’accertamento giudiziale di un fatto reato, indipendentemente dallacircostanza se sia punibile o se si tratti di un evento di lieve o particolare gravità.

13

L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

(11) - La differenza tra pena e misura di sicurezza è oggetto di ampia trattazione critica da parte diBETTIOL - MANTOVANI, Diritto penale, CEDAM, Padova, 1986, pagg. 941-965.

(12) - Secondo la norma, la gravità del reato viene desunta: dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dal-l’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; dalla gravità del danno o delpericolo cagionato alla persona offesa dal reato; dall’intensità del dolo o dal grado della colpa. Lacapacità a delinquere, che maggiormente attiene alla valutazione della pericolosità sociale, vieneinvece tratta: dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai precedenti penali e giudiziari e,in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; dalla condotta contemporaneao susseguente al reato; dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

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4. I presupposti applicativi

L’applicazione delle misure di prevenzione supera le premesse della perico-losità sociale di natura squisitamente penalistica, poiché prescinde dall’esisten-za, o dalla commissione, di un reato, e fonda, invece, la sua ratio su una situa-zione di pericolosità intesa come probabilità che vengano commessi dei reati. Ilsistema fonda la sua essenza e la sua ragion d’essere su ipotesi probabilistiche, ecioè, nella pratica, sulla eventualità che un soggetto possa delinquere: in defini-tiva, si tratta di un’impostazione deterministica, non fondata su presuppostiriscontrabili in senso assoluto. Il reato, comunque, non cessa di permanerecome elemento di confine irrinunciabile tra le diverse tipologie di istituti, sianell’ipotesi storicamente accertata che sia stato commesso, sia nella probabilitàche esso abbia a verificarsi. Nell’attuale architettura delle misure di prevenzio-ne, è ancora l’illecito penale ad esprimere una componente fondante dell’edifi-cio giuridico. Ciò che distingue dalla misura di sicurezza attiene ad un profiloformale ed eventuale: da una parte l’accertamento indiziario, cioè il reato mera-mente presupposto; dall’altra il completo ed acclarato accertamento giudizialedel reato. È quindi possibile rinvenire elementi di colleganza tra le misure diprevenzione e quelle di sicurezza, laddove si osservi che esse condividono, essen-zialmente, il requisito della pericolosità sociale e, con essa, una valutazione pro-gnostica circa il futuro comportamento criminale dell’individuo, corroborata,ove possibile, dalla presenza di tipologie a pericolosità qualificata e da una omo-geneità strutturale tra talune fattispecie personali e patrimoniali. Entrambe, poi,fondano la loro essenza sulla vocazione special-preventiva, finalizzata versol’obiettivo della difesa sociale(13).

Taluna dottrina, infine, suole suddividere la prevenzione ante delictum inremota o prossima. È remota quando si rivolge a contrastare le cause che con-corrono al sorgere della criminalità, sia nei singoli che nei gruppi. È prossimaquando è finalizzata alla commissione di un determinato reato, con riferimen-to, pertanto, ad una pericolosità in concreto(14).

14

CAPITOLO I

(13) - MANGIONE, La misura di prevenzione patrimoniale fra dogmatica e politica criminale,CEDAM, 2001, pag. 65.

(14) - NUVOLONE, alla voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO, pag. 632.

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Secondo parte della dottrina, l’elemento di spartiacque decisivo si rivelanella connotazione del sospetto, indirizzandosi l’attenzione sull’autore di reati iquali, non potendosi provare, vengono tacitamente presunti. In tal senso, si affer-ma che la categoria della pericolosità sociale è ciò che nell’ordinamento sostieneil peso delle qualifiche soggettive, che delineano la fisionomia dei soggetti cuiapplicare la misura. E difatti, permane una stretta parentela tra le due diversetipologie d’istituti, solidificata dal collante della pericolosità sociale, se non altroperché la qualificazione di quest’ultima si può trarre esclusivamente dalle formu-lazioni adottate per le misure di sicurezza. È possibile affermare, cioè, che le pro-blematiche afferenti alle misure di prevenzione richiamano, nel loro quadrogenerale, le medesime tematiche delle misure di sicurezza, facendo perno sulcomune antecedente della pericolosità: si tratta, soprattutto, della qualificazionedella pericolosità sociale, che nelle misure di prevenzione si appella alle configu-razioni di pericolosità qualificata, di cui al codice penale. Nella pratica, è semprela categoria della pericolosità sociale a dovere reggere giuridicamente il peso dellequalifiche soggettive che delineano la fisionomia dei destinatari delle misure diprevenzione; in tale caso, ovviamente, non si tratta di assumere a fondamento lamedesima certezza che è lecito pretendere in sede penale, bensì di un qualcosa didiverso, che poggia su un minor rigore nella prefigurazione dei presupposti(15).

5. I profili di costituzionalità

L’individuazione giuridica delle misure di prevenzione ha portato al dibat-tito, peraltro tuttora fervente, circa la loro aderenza ai principi costituzionali: insostanza la loro definizione come pene del sospetto, mascherate con una inve-rosimile finalità di prevenire la commissione di reati sistematicamente smentitadai fatti, oppure la loro accettazione come strumenti certo discutibili, ma indi-spensabili per affrontare determinate forme di pericolosità sociale che, per laloro particolare aggressività, necessitano di una significativa anticipazione dellatutela, ad una soglia precedente alla prova della commissione di un reato.

15

L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

(15) - NUVOLONE, alla voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, cit., pag. 635.

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Emerge, nella sostanza, come le misure in questione pongano un dilemma circala delimitazione del potere dello Stato di incidere su taluni diritti fondamenta-li, in circostanze indipendenti dalla avvenuta ed accertata violazione della leggepenale, ma dipendenti in via esclusiva dalla mera pericolosità del soggetto.Quindi, si tratta di verificare la ammissibilità costituzionale di tale tipologia diinterventi, verificando entro quali limiti essi possono trarre la loro accettabilitànel sistema. Sin dal dibattito costituente, l’argomento delle misure ante delictumtrovò un evidente accantonamento, forse, come sottolineato da taluno autore,allo “scopo di non riconoscerle (o forse di ignorarle, evitando i problemi)

(16)”.

La stessa fonte dottrinale esprimeva, addirittura, la forte convinzione chel’intero apparato delle misure ante delictum si ponesse in antitesi netta con i prin-cipi costituzionali. Veniva difatti affermato che le esigenze di salvaguardia dellasicurezza pubblica dovessero recare carattere di temporaneità, non potendosiaccettare la vigenza di una eterna emergenza che ingenerasse, finanche, una sospen-sione delle garanzie costituzionali(17). Altra posizione di dissenso, seppur con tonipiù moderati, argomentava che i contenuti dell’art. 25(18) Cost. riconoscesserolegittimità alle sole misure che presuppongono, per la loro applicazione, la com-missione di un reato o di un quasi-reato(19): configurando le misure di prevenzio-ne come restrittive, nella pratica, della libertà personale, dotate quindi di caratte-re affittivo, esse, in assenza del presupposto indicato dall’art. 25, quello cioè delfatto commesso, devono ritenersi senza dubbio illegittime. In tale ambito, è statoaltresì argomentato come proprio i precetti contenuti nell’art. 25 Cost., che ripor-tano il nostro ordinamento nell’ambito dei “diritti penali del fatto”, esprimereb-bero un deciso rifiuto nei confronti di un indirizzo inteso, ai fini della sanziona-bilità del soggetto, come l’essere di costui o, semplicemente, il suo atteggiamentocomportamentale nei confronti della volontà espressa dal legislatore(20).

16

CAPITOLO I

(16) - BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, pag. 137.(17) - BARILE, op. cit., pagg. 147 e 148. (18) - Il comma 2 dell’art. 25 Cost. afferma che: “Nessuno può essere punito se non in forza di una

legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.(19) - ELIA, Libertà personale e misure di prevenzione, Milano, 1962, pag. 32.(20) - MAZZA, Le misure di prevenzione: un passato nebuloso, un futuro senza prospettive, Prolusione

ufficiale al 7° Corso di alta formazione per funzionari ed ufficiali delle FF.PP., Roma, 5novembre 1991, su RIVISTA DI POLIZIA, 1992, pag. 385.

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È stato altresì osservato che non solo la Costituzione, nel suo insieme, nonoffrirebbe alcun appiglio alla legittimazione nell’ordinamento delle misure, maaddirittura la presunzione di non colpevolezza recata dall’art. 27 Cost. indiche-rebbe un chiaro intendimento di esclusione assoluta: il principio, che in quan-to tale non può circoscriversi al solo processo penale, verrebbe altrimenti supe-rato, nel caso delle misure di prevenzione, da “una colossale truffa delle etichet-te: per cui basterebbe qualificare trattamenti afflittivi in termini diversi dallepene per aggirare la presunzione ed imporre al soggetto passivo l’onere di dimo-strare la sua innocenza

(21)”.

Di contro, non sono mancati gli argomenti proclamati a favore delsistema preventivo ante delictum (22). Più specificamente, individuata una con-nessione tra l’art. 13 e l’art. 16 Cost., si è sostenuto che ogni restrizione allalibertà di circolazione, soggiorno ed espatrio, che non intacchi la sfera dellapersonalità nei suoi tratti essenziali, in particolare nella sua dignità sociale enella personalità morale, attraverso una qualifica di antisocialità, deve esserericondotta non già alle fattispecie ricomprese dall’art. 13, ma a quelle del-l’art. 16(23), pur sostenendosi che il ricorso a tali misure deve comunque assu-mere connotazione solo con la rilevazione di comportamenti tipici, previsticon sufficiente determinatezza in puntuali fattispecie legislative. Pertanto,debbono ritenersi illegittime quelle disposizioni che fondano la loro applica-zione su ipotesi di mero sospetto, cui si ricorre in mancanza di presuppostidi ordine processuale, e che pertanto recano i connotati del surrogato dellasanzione repressiva(24).

Fu questo, soprattutto, uno degli argomenti che fece scaturire dei dubbi dilegittimità delle misure; in proposito, va ricordato che da parte di certa dottri-na, pur sostenendosi la doverosità costituzionale della prevenzione dei reati, si

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L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

(21) - CORSO, Profili costituzionali delle misure di prevenzione. Aspetti teorici e prospettive di riforma,in AA.VV., La legge antimafia tre anni dopo, a cura di FIANDACA - COSTANTINO, Milano,1986, pag. 136.

(22) - BARBERA, Principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1967, passim.(23) - L’art. 16 Cost. prevede, con specifico riferimento, che “Ogni cittadino può circolare e sog-

giornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che lalegge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.

(24) - BARBERA, op. cit., pagg. 200, 201 e 228.

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asseriva che proprio l’originario testo dell’art. 1 L. 1423/1956 elencava una seriedi fattispecie che, di per sé, costituiscono reato, ma rispetto alle quali l’impossi-bilità di accertarli con prova piena li rendeva di fatto non punibili: con ciò lamisura da preventiva diventerebbe repressiva (con evidente rischio di sconfina-mento di settore), per di più collegata a presupposti vaghi, non ispirati dai prin-cipi di tassatività e legalità(25).

Il riconoscimento e l’apprestamento di garanzie in favore dei diritti invio-labili dell’uomo, sanciti dall’art. 2 Cost., recano un ulteriore argomento a favo-re del sistema preventivo, poiché, in base a tale assunto, lo stato è tenuto adimpegnarsi per una tutela efficace di tali diritti, anche antecedentemente allaloro offesa, con ciò avallandosi la logica di misure di prevenzione tese proprioad impedire la commissione di reati. La Corte costituzionale ha affermato che“il principio di prevenzione e di sicurezza sociale affianca la repressione in ogniordinamento, come esigenza e regola fondamentale

(26)”.

Con sentenza di analogo tenore, la Corte affermava che la legittimità costi-tuzionale delle misure di prevenzione, in quanto limitative della libertà perso-nale, deve essere subordinata all’osservanza del principio di legalità, con riferi-mento sia all’art. 13 sia all’art. 25 della Carta fondamentale, ed all’esistenzadella garanzia giurisdizionale: donde la necessità di prevedere fattispecie legali dipericolosità sufficientemente predeterminate, dalla cui verifica dipende la pro-gnosi di pericolosità formulata dal giudice. Nella stessa pronuncia, si affermavala legittimità di misure applicate sulla base di elementi presuntivi, corrisponden-ti pur sempre a comportamenti obiettivamente identificabili: dunque, sulla basedi fatti e non di semplici sospetti(27).

Altrettanto accolto rimane comunque il principio che il contenuto di talimisure non può prescindere da un suo modellarsi proprio sulle garanzie carat-terizzanti di quelle libertà, di cui s’invoca la protezione, con il conseguentedivieto per le pubbliche autorità di detenere ed esercitare “blocchi di potereindifferenziato

(28)”.

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CAPITOLO I

(25) - L’argomento è ampiamente trattato da Nuvolone, Le misure di prevenzione, Giuffrè, 1975.(26) - Corte Cost., 20 giugno 1964.(27) - Corte Cost., n. 23 del 23 marzo 1964.(28) - CORSO, op. cit., pag. 138.

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Analogamente, pur ammettendosi una differenziazione tra legalità repres-siva e legalità preventiva, non si può rinunciare all’invocazione di certezza dellefattispecie, ove si consideri che “…la misura di prevenzione può essere irrogatasolo in base all’accertamento di situazioni soggettive di pericolosità, i cui indicidevono essere previsti tassativamente dalla legge”, non potendosi scambiare lamisura di prevenzione “con una specie di sanzione anomala, per punire un com-portamento non approvato dalla collettività

(29)”.

A ciò si aggiunga la veste di garanzia offerta alle misure in questione dal-l’avvenuta e consolidata giurisdizionalizzazione, attraverso cui si passa per laloro irrogazione: è anche quest’ultima ad offrire, secondo i più, una omologa-zione di garanzia con le misure di sicurezza.

La rispondenza o meno del sistema delle misure di prevenzione ai princi-pi costituzionali continua ad alimentare una dialettica animata di posizionidiverse, ciascuna, peraltro, dotata di fondamenti non facilmente superabili. Parequindi condivisibile l’auspicio, fortemente proclamato, di “adoperarsi per dareal sistema vigente la maggiore possibile razionalità e il massimo possibile ade-guamento ai principi garantistici della Costituzione

(30)”.

Tale invito si consolida vieppiù in un contesto storico come il nostro,che vede il sorgere di ulteriori spunti di riflessione circa la conformità costi-tuzionale, a fronte dell’espansione di un dispiegato utilizzo del sistema controla criminalità organizzata, con conseguenti effetti sui patrimoni e sulle attivi-tà economiche, in ragione, soprattutto, di una necessità politica difficilmenteeludibile(31).

Ne deriva che l’esigenza di una razionalizzazione dell’intero comparto sirende oramai irrinunciabile, affidandosi al legislatore il compito di dar vita adun sistema preventivo rispettoso dei principi di civiltà sanciti dallaCostituzione(32).

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L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

(29) - NUVOLONE, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, in ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO,Milano, 1976, XXVI, pag. 635.

(30) - GALLO, Misure di prevenzione, in ENCICLOPEDIA GIURIDICA, Treccani, Milano, 1976,XXVI, pag. 3.

(31) - PADOVANI, Diritto penale, Milano, 1995, pag. 445.(32) - Sull’argomento, cfr.: GUERRINI - MAZZA, Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e proces-

suali. CEDAM, 1996, pagg. 3-31.

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6. Evoluzione storica del sistema

Le misure ante delictum vantano, all’interno dell’ordinamento, una anticaquanto tormentata tradizione, risalente alle codificazioni preunitarie(33).

Lo Stato Sabaudo fornì l’architrave su cui si modellerà il sistema preventi-vo degli stati liberali. Sin dal 1567 si assisté alla emanazione di ben 25 provve-dimenti nel settore, che troveranno, infine, nelle Reali Costituzioni di CarloEmanuele del 1770, una scelta in senso penale di ipotesi inizialmente colpitecon meccanismi preventivi. Sin dall’inizio, i comportamenti di oziosità, vaga-bondaggio e mendicità venivano intesi come status soggettivi, condizioni di vita,appartenenza razziale, sanzionati con misure preventive personali, quali l’espul-sione ed il bando, la cui osservanza veniva protetta dalla irrogazione di penedetentive e patrimoniali, come la confisca, antesignana delle attuali conseguen-ze patrimoniali delle misure personali. Un successivo editto di Carlo Emanueledel 1750 prevedeva, contemporaneamente, l’espulsione per i poveri stranieri el’arresto per gli oziosi, i vagabondi e i mendicanti validi al lavoro; nel 1756 l’ar-resto verrà esteso anche ai frequentatori abituali di giochi, osterie e bettole.

L’oscillazione di scelta tra il sistema preventivo e quello sanzionatorio cul-minò con il succitato provvedimento del 1770, che imponeva la punizione pergli zingari, gli oziosi ed i vagabondi, in quanto tali, con un singolare complessodi natura afflittiva, che comprendeva la galera per i maschi, la fustigazione perle donne maggiorenni, il carcere per le donne tra i 18 ed i 20 anni di età, la cate-na per un anno ai maschi e per sei mesi alle donne. In tempi successivi, nelRegno di Sardegna ebbe vigenza la legge 26 febbraio 1852, n. 1339, che recavaprovvedimenti provvisori in materia di pubblica sicurezza, con cui venivanodefinite e disciplinate le prime misure di prevenzione personali a carattere stret-tamente amministrativo, e cioè la sottomissione, la diffida, il foglio di via obbli-gatorio, il ricovero di minori di anni 16 in stabilimento di pubblico lavoro.

I destinatari dei provvedimenti erano i forestieri che esercitavano il com-

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CAPITOLO I

(33) - L’aspetto della costruzione nel tempo del sistema preventivo e del suo consolidamentonell’ordinamento è trattato da: ANCHESI, Evoluzione normativa del sistema delle misure diprevenzione nell’ordinamento giuridico italiano, in RIVISTA TRIMESTRALE DELLA SCUOLA DI

PERFEZIONAMENTO PER LE FORZE DI POLIZIA, n. 1/2, gennaio-giugno 1999.

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mercio ambulante senza licenza, coloro che erano sospettati di commettere furtidi campagna, o pascolo abusivo, gli oziosi e i vagabondi(34).

Del sistema di prevenzione ante delictum si confermò la necessità sin daglialbori dello Stato unitario. Difatti, il fenomeno del brigantaggio postunitario nelleProvince meridionali mise in crisi, di fatto, l’autorità del governo legittimo su inte-re regioni. Nell’agosto del 1863, il Parlamento approvò un insieme di aspre dispo-sizioni legislative, la legge Pica, le quali, oltre a ristabilire la competenza deiTribunali Militari per i reati di brigantaggio e istituire, in quasi tutte le provincedell’Italia Meridionale, l’istituto del domicilio coatto per i sospetti e i “manutengo-li”, comminavano la fucilazione, o i lavori forzati a vita nel caso di attenuanti, indi-scriminatamente per tutti i briganti che avessero opposto resistenza a mano armata(35).

L’art. 4 della legge, antesignano del sistema delle misure di prevenzione,individuava, come si è detto, un preciso ambito di pericolosità sociale, da indi-viduarsi nelle categorie degli oziosi, vagabondi, persone sospette, “manutengolie camorristi”. Sin dall’epoca liberale, le misure di prevenzione furono elaborateper fronteggiare determinate categorie di soggetti che non avevano ancora com-messo reati. La connessa pericolosità sociale fu formalmente ritagliata su feno-meni di mera antisocialità e cioè su condotte di vita contrarie ai valori sociali emorali, talvolta sintomatiche di classi a rischio, che potevano tradursi in situa-zioni di devianza sociale, anche se penalmente irrilevanti(36). In tale direzione dipolitica applicativa, con legge del 24 giugno 1871, per la repressione delmalandrinaggio, si pervenne ad una ampia riforma della legge organica diPubblica sicurezza, risalente al 20 marzo 1865, n. 2248, allegato b.

Una organica sistemazione delle misure di prevenzione si ebbe con la Leggedi Pubblica sicurezza 30 giugno 1889, n. 6144, che segnò la scomparsa dalCodice Zanardelli dei reati meramente indiziari che colpivano le persone sospet-te, in quanto indicate, dalla pubblica voce, come autori di crimini o delitti, inparticolare estorsioni, grassazioni, furti e truffe, nonché quei fatti puramente sin-tomatici già perseguiti dalla previgente legislazione sardo-piemontese.

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L’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE

(34) - La legge fu inserita nella Raccolta degli Atti del Governo il 28 febbraio 1852.(35) - La problematica connessa agli effetti della gestione dell’ordine pubblico in quegli anni è sot-

toposta ad una rivisitazione storica da: GALLI DELLA LOGGIA, Il brigantaggio, in AA.VV., Mitie storia dell’Italia unita, Il Mulino, 1999, pagg. 39-47.

(36) - Sull’argomento cfr.: CALVI, Tipo criminologico e tipo normativo d’autore, I. Padova, 1967, pag. 357.

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Si trattava di una legislazione sostanzialmente intesa a garantire forme diprotezione ad un assetto sociale ancora non pienamente identificato nello Statounitario; in questa direzione si inseriva, in chiave preventiva, anche il RegioDecreto 19 novembre 1889, n. 6535, “Regolamento sulla mendicità”, inteso aregolare e controllare l’ampia fascia di disagio sociale presente in quegli anni nelleprovince del Regno. Nell’immediato II dopoguerra sopravvivevano, nel nostroordinamento, le misure previste dagli artt. 157 e 164 del Testo Unico delle Leggidi Pubblica Sicurezza, che prevedevano, come misura più affittiva, il confino dipolizia, da espiarsi in una colonia o in un comune diverso da quello di residen-za; il procedimento di applicazione veniva instaurato e gestito dall’AutoritàAmministrativa, nella fattispecie il Prefetto o il Questore, in assenza di alcunagaranzia per il proponendo. Fu proprio la natura estremamente afflittiva del pro-cedimento a sollecitare una pronuncia da parte della Corte costituzionale, che difatto smantellò l’intero sistema. Accadde, difatti, che la Corte costituzionaledichiarò la illegittimità costituzionale del 1° comma dell’art. 157 TULPS, nellaparte relativa al rimpatrio obbligatorio o per traduzione di persone sospette e del2° e 3° comma dello stesso articolo, nelle parti relative al rimpatrio per traduzione(37).

La stessa Corte, in tempi successivi, dichiarava la illegittimità delle normecontenute negli articoli dal 164 al 176, relative all’ammonimento(38). Si perven-ne, così, alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, che costituisce, ancora oggi, lapietra miliare attorno alla quale è stato realizzato l’intero sistema, peraltroalquanto affollato da corpi normativi che si sono succeduti talvolta in sequenzaassai ravvicinata(39). Con il tempo si è venuta consolidando l’idea della prevenzio-ne speciale od individuale attraverso il formarsi di un eterogeneo complesso dimisure neutralizzatici, terapeutiche e rieducativi-risocializzanti, tese ad impedireche l’individuo potesse incorrere o ricadere nel delitto(40). Il sistema, certamente,non ha goduto di una semplificazione, di cui, specie in campo applicativo, siavverte la necessità. Quasi sempre esso si è evidenziato per talune incongruenzeinterpretative, finanche in materia di catalogazione e definizione degli istituti.

22

CAPITOLO I

(37) - Corte Cost., n. 2 del 14 giugno 1956.(38) - Corte Cost., n. 11 del 19 giugno 1956.(39) - Per una panoramica delle principali leggi in materia (vedi allegato 1).(40) - MARINI, alla voce Pena (diritto penale), in NOVISS. DIG. IT., Appendice, Torino, 1984, V, pag. 794.

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CAPITOLO II

LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

Giovanni DI BLASIO

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I soggetti. - 3. Le misure preventive personali. - 4. L’avviso orale. - 5. Ilrimpatrio con foglio di via obbligatorio. - 6. La sorveglianza speciale. - 7. Gli obblighiderivanti dalla sorveglianza speciale.

1. Premessa

Come si è appena visto, la normativa vigente è la risultante di stratificazio-ni legislative quasi sempre sollecitate da interventi giurisprudenziali e dottrina-li, oltre che da scelte di politica criminale.

L’attuale architettura normativa trova il suo fondamento nella legge 27dicembre 1956 n. 1423, che costituisce la legge fondamentale in materia dimisure di prevenzione ed alla quale occorre fare riferimento, anche per ciò checoncerne la successiva legiferazione antimafia e quella riguardante le altre formedi prevenzione qualificata.

La legge, all’art. 1, nel delimitare l’ambito soggettivo, opera una elencazio-ne dei soggetti ai quali la normativa di prevenzione è applicabile.

Benché il testo attuale abbia subìto una significativa riforma ad opera del-l’art. 2 della Legge 3 agosto 1988 n. 327, riteniamo utile ricostruire brevemen-te l’originaria formulazione, per valutare attraverso quale percorso evolutivo sisia giunti all’odierno assetto e comprenderne così i presupposti logici.

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Il testo originario, difatti, contemplava cinque categorie di pericolosi “comuni”:1)gli oziosi e vagabondi;2)le persone ritenute abitualmente e notoriamente dedite a traffici illeciti;3)le persone che, per la condotta di vita, dovessero ritenersi vivere abitual-

mente, anche in parte, con il provento di delitti o con il favoreggiamento, o chedessero fondato motivo di ritenere di essere proclivi a delinquere;

4)le persone che, per il loro comportamento, dovevano ritenersi dedite afavorire o a sfruttare la prostituzione o la tratta delle donne o la corruzione deiminori, ad esercitare il contrabbando, ovvero ad esercitare il traffico illecito disostanze tossiche o stupefacenti o ad agevolare dolosamente o a gestire abitual-mente bische clandestine o, infine, ad esercitare abitualmente scommesse abu-sive nelle corse;

5)le persone che svolgevano abitualmente altre attività contrarie alla mora-le pubblica e al buon costume.

La dottrina aveva, poi, operato una sostanziale distinzione criminologicaall’interno di queste categorie, ritenendo che quelle previste ai nn. 1, 2 e 5 inte-grassero una situazione di asocialità e quelle di cui ai nn. 3 e 4 una situazionedi antisocialità(41).

La distinzione, come vedremo, ha perso gran parte della sua rilevanza, aseguito della revisione imposta dalla L. 327/88.

La Corte Costituzionale, come sottolineato in precedenza, ha avutomodo di intervenire più volte sulla legittimità di tali norme. In effetti, a fron-te della costante consapevolezza dell’esigenza di prevenzione, è sempre aleggia-to, soprattutto in dottrina, il sospetto che con i provvedimenti preventivi sivolessero in realtà perseguire finalità repressive, allorquando, in presenza di fat-tispecie costituenti di per sé reato, si registrava una carenza di accertamento inassenza di prove piene, anzi in presenza di presupposti vaghi e generici.

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CAPITOLO II

(41) - È interessante osservare la corrispondenza con la teoria criminologica messa a punto daMerton e relativa al conflitto tra mete e fini istituzionali, in particolare per ciò che riguardadue delle modalità di connessione dei fattori enunciati, l’apatia (intesa come rifiuto o nega-zione dei fini culturali e dei mezzi per conseguirli) e la ribellione (affermazione di nuovi finicon nuovi mezzi) assimilabile appunto al concetto di antisocialità. Per un approfondimentointerdisciplinare cfr.: RATZINOVICH, Idee in criminologia, ed. Giuffrè, purtroppo ormai quasiintrovabile, e PONTI, Compendio di criminologia, ed. Libreria Cortina, Milano, 2000.

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Cosicché, se da un lato la Corte Costituzionale(42) ha sempre ribadito lacostituzionalità delle misure di prevenzione riconoscendo che “l’ordinato epacifico svolgimento dei rapporti sociali deve essere garantito, oltre che dalsistema di norme repressive di fatti illeciti, anche da un sistema di misure pre-ventive contro il pericolo del loro verificarsi in avvenire”, per contro l’alto con-sesso ha provveduto a perimetrare la loro legittimità, condizionandola all’osser-vanza del principio di legalità (il riferimento è agli artt. 13 e 25 Cost.) edall’esistenza di garanzie giurisdizionali (si tratta di quella caratterizzazione chela dottrina ha catalogato con l’espressione “giurisdizionalizzazione delle misu-re di prevenzione”). Ne è derivata l’esigenza di prevedere fattispecie predeter-minate connesse con la pericolosità, esigenza che ha condotto la Corte adichiarare l’illegittimità dell’art.1, n.3, nella parte riguardante coloro che, perle manifestazioni cui avessero dato luogo, dessero fondato motivo di riteneredi essere proclivi a delinquere, formulazione che mal si conciliava con la cen-nata esigenza di predeterminatezza delle fattispecie di pericolosità(43).Questi, insintesi, i presupposti che hanno determinato le modifiche alla L. 1423, adopera della L. 3 agosto 1988 n.327.

2. I soggetti

L’applicazione delle misure di prevenzione, ai sensi dell’attuale testo dellaL. 1423, presuppone l’appartenenza ad una delle tre categorie seguenti, indivi-duate sulla base di precisi e più tassativi parametri comportamentali:

a) soggetti considerati in base ad elementi di fatto abitualmente dediti a traf-fici delittuosi;

b) individui che, per condotta e tenore di vita, si ritiene, in base ad elemen-ti di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di atti-vità delittuose;

c) soggetti che per il loro comportamento si ritiene, sulla base di elementi di

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

(42) - Corte Cost., n. 23, 23 marzo 1964. Corte Cost. n. 449, 10 dicembre 1987.(43) - Circa le diverse ipotesi formulate dalla dottrina sulla legittimità costituzionale delle misure de

quo (vds. quanto più specificamente trattato nel I Capitolo).

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fatto, che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettonoin pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezzao la tranquillità pubblica. Come si è già sottolineato nel precedente capitolo, il concetto di pericolo-

sità è generico e non può essere tipizzato; il legislatore si limita a definire lecaratteristiche dei destinatari del provvedimento e della loro pericolosità, rimet-tendo alle Autorità preposte il giudizio sulla sussistenza di tale presupposto.

Le attuali categorie di destinatari comprendono, come si vede, soltanto lepersone sospettate di essere dedite alla commissione di reati, avendo il legislato-re eliso il riferimento agli oziosi ed ai vagabondi, la cui percezione criminogena,sotto il profilo sociale, ha assunto nel tempo connotati differenti; così comesono stati cassati i riferimenti alle persone che svolgono attività contrarie allamoralità pubblica e al buon costume.

In particolare, la previsione del n. 5 dell’art.1, utilizzato per lo più al finedi combattere il fenomeno della prostituzione, destava perplessità applicative acausa della genericità dei concetti, oltretutto soggetti a mutevoli apprezzamen-ti, a seconda delle concezioni etiche dominanti nei diversi periodi storici.

Comunque anche il nuovo testo, nonostante il più pregnante requisitodegli elementi di fatto ai fini dell’accertamento della pericolosità, non è andatoesente da critiche.

Innanzitutto nel n.3 dell’art.1, che peraltro nella nuova formulazioneomette l’avverbio “abitualmente”, potrebbero farsi rientrare nella categoria dicoloro che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono inpericolo la tranquillità pubblica anche i soggetti che realizzano attività contro lamorale pubblica o il buon costume, come nel caso di fastidioso esercizio dellaprostituzione nelle pubbliche vie.

Per di più, lo stesso concetto di tranquillità pubblica appare assai elasticoe di non facile individuazione(44).

Si è poi osservato che, sebbene sul piano della determinatezza le nuove fat-tispecie corrispondano più propriamente ai canoni costituzionali, esse si riferi-scono ad attività costituenti reato, che, perciò, possono assumere anche natura

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CAPITOLO II

(44) - CASTAGNOLI - PERINA, Le misure di prevenzione e la normativa antimafia, Laurus Robuffo,Roma, pag. 25.

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di fattispecie contravvenzionali, se non è previsto testualmente un riferimentoad un delitto. In effetti, sebbene ai nn. 1 e 2 si faccia riferimento soltanto alleattività e ai traffici delittuosi, il n. 3 è riferito invece ai reati in genere.

Quanto agli oziosi ed ai vagabondi, la cui previsione tra le categorie didestinatari generava peraltro la difficoltà di distinguere i casi in cui un soggettonon presti attività lavorativa volontariamente ovvero forzosamente, a ben vede-re, la categoria potrebbe ancora oggi essere ricondotta all’art. 5, comma 2, ovesi fa riferimento, tra gli altri, agli oziosi e vagabondi sottoposti a sorveglianzaspeciale della P.S.

La norma prevede, infatti, a carico di costoro, la prescrizione di darsi allaricerca di un lavoro entro un congruo termine. Permane il dubbio, invero, chel’art.5 possa costituire un refuso.

Alle categorie di persone interessate al dispiegarsi degli effetti della L. 1423debbono poi aggiungersi i soggetti ai quali è rivolta la legislazione antimafia equella a tutela dell’ordine pubblico, dei quali più diffusamente trattiamo in altraparte, e che, per il momento, definiamo genericamente pericolosi “mafiosi” e“politici”, intendendosi da una parte gli indiziati di appartenere ad associazionidi tipo mafioso, comunque localmente denominate (art.13 legge 646/1982, cheha sostituito l’originario art.1 L. 575 del 1965), con l’estensione ai soggettiorganici a sodalizi dediti a traffico di stupefacenti ed alla commissione di reatidi particolare gravità(45), e dall’altra ai soggetti pericolosi per la sicurezza pubbli-ca, in quanto sodali alla cosiddetta eversione politica, analiticamente classifica-ti dall’art.18 L. n. 152/75.

Soltanto a fini sistematici, vanno infine ricordate le disposizioni sull’irro-gazione di misure preventive a categorie particolari, quali i minorenni, i tossi-codipendenti, gli stranieri, i soggetti dediti a condotte violente in occasione dimanifestazioni sportive, riguardo alle quali è opportuno limitarsi a sottolineare,in questa sede, l’importanza del coordinamento con la disciplina generale dellamateria(46).

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

(45) - Legge 18 febbraio 1992, n. 172 e legge 7 marzo 1996, n. 108.(46) - Si segnala al riguardo la recentissima legge 24 aprile 2003, n. 88 (G.U. n. 95 del 24 aprile

2003), che converte il decreto legge 28/2003 recante “Disposizioni urgenti per contrastare ifenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive”. La norma integra e modifica laL. 401/1989.

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3. Le misure preventive personali

Accertata la necessità di garantire la difesa sociale anche mediante gli stru-menti di carattere preventivo, il giurista sensibile ai valori dello Stato liberale siè posto da sempre il problema della giustificabilità degli istituti che, in variomodo, limitano libertà costituzionalmente garantite. La questione si pone poicon diversa gradualità a seconda che riguardi le misure di prevenzione reali, cheapprestano, come vedremo, strumenti idonei a rendere difficoltosa la commis-sione di reati, ovvero quelle personali, le quali agiscono sulla sfera d’azione delcittadino, comprimendo la facoltà di esercizio di taluni diritti.

Muovendo dalla convinzione, peraltro confermata dall’esperienza deglioperatori, che una significativa incisività nella prevenzione possa più agevol-mente riconoscersi alle misure di carattere finanziario e patrimoniale, occorretuttavia che l’analisi della materia prenda le mosse dalle misure di prevenzionepersonali, non soltanto per ovvi motivi logico-sistematici, ma più propriamen-te perché, come vedremo, queste ultime costituiscono, salvo casi ben individua-ti, presupposto necessario al dispiegarsi delle prime: anzi, quelle di caratterepatrimoniale potrebbero addirittura essere considerate non già quali mezzi auto-nomi di prevenzione ma come conseguenze patrimoniali delle misure di preven-zione personali.

4. L’avviso orale

L’art. 1 della L. 3 agosto 1988 n. 327 ha soppresso l’istituto della diffida,con la quale il Questore ingiungeva alle persone indicate all’art.1 della L.1423/56 di mutare condotta, con l’avvertenza che, in caso contrario, avrebberopotuto essere applicate le misure preventive indicate dalla legge stessa. In luogodella diffida vige oggi l’istituto dell’avviso orale, quale atto amministrativodiscrezionale che, anche nella formulazione dell’attuale art. 3 L. 1423/56, sipone come presupposto necessario per l’applicazione delle misure di prevenzio-ne personali, limitatamente alle misure diverse da quelle irrogabili in forza dellalegislazione antimafia (L. 575/1965 e succ. mod.).

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CAPITOLO II

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Sul problema della natura dell’avviso orale, giurisprudenza e dottrina sonoripetutamente intervenute. Il profilo che risulta più pacificamente focalizzatoattiene alla circostanza che esso non costituirebbe una autonoma misura preven-tiva, perché strumentale all’applicazione delle misure cui è preordinato(47).Difatti, può farsi richiesta dell’applicazione della misura preventiva trascorso undeterminato arco temporale dal monito, non escludendosi, peraltro, che ilQuestore possa adottare l’avviso orale anche nei casi in cui esso non costituiscapresupposto necessario dell’atto di prevenzione. Sulla natura della strumentali-tà dell’avviso orale permangono invece diverse impostazioni e differenti indica-zioni della stessa Corte di Cassazione, che lo ha qualificato alla stregua di unacondizione di procedibilità(48), ma anche quale mero requisito di validità in rife-rimento a proposte concernenti la cosiddetta pericolosità generica, che andreb-be distinta dalla pericolosità specifica contemplata dalle leggi antimafia(49), per laquale, in effetti, l’avviso non è richiesto.

Sotto quest’ultimo profilo, effettivamente le ipotesi rispettivamente consi-derate dalla L. 1423/56 e dalla L. 575/65 sono tra loro diverse e, conseguente-mente, differente è la disciplina a cui devono essere assoggettate, sebbene ancheper i casi previsti dalla L. 1423/56 la necessità del preventivo avviso sia limita-ta alle categorie di cui all’art. 3. Sussiste, dunque, nei casi di indiziati di appar-tenenza ad associazioni mafiose, un’esigenza di celerità e di efficienza che puòessere soddisfatta soltanto omettendo qualsiasi preavviso che condurrebbe ildestinatario a premunirsi. La disposizione prescinde, peraltro, dall’autorità com-petente ad attivare la proposta, sebbene anche di questo tema la giurisprudenzaabbia dovuto ripetutamente occuparsi, almeno fino al 1992, quando con d.L. 8giugno 1992, n. 306, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, il testo dell’art. 2L. 575/65 è stato definitivamente rinnovellato con la definitiva esclusione dellanecessità del preventivo avviso orale per tutti i titolari dell’azione di proposta (ilProcuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica ed il Questore).

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

(47) - Cfr.: T.A.R. Sicilia, Sez. I, Sent. 1549, 2000 con cui il collegio annulla la revoca della quali-fica di agente di pubblica sicurezza a soggetto sottoposto ad avviso orale ritenendo appuntoche la misura non produce altro effetto se non quello di consentire, entro tre anni, l’applica-zione di una misura di prevenzione.

(48) - Cass. pen., Sez. I, 1.10.1990, in Cass. pen. 1992, 1594.(49) - Cass. pen., Sez. I, 9 giugno 1993, Palombo in C.E.D. Cass, n. 194638.

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L’avviso orale si concretizza in una dichiarazione di presunzioni gravi, pre-cise e concordanti che supportano un convincimento indiziario(50) dei sospetti acarico del soggetto, i quali verranno utilizzati a fondamento del futuro procedi-mento preventivo, per confrontare il comportamento antecedente con quellosuccessivo. Sebbene la dottrina non ritenga necessaria la presenza di elementi difatto(51), si rinvengono pronunciamenti che, al contrario, supportano l’avvisocon la presenza di riscontri fattuali. Il provvedimento è stato, ad esempio, con-siderato illegittimo se basato su fatti così lontani nel tempo da non giustificarepiù alcuna prognosi attuale di pericolosità sociale o su comportamenti che noncostituiscono prova dell’accompagnarsi con pregiudicati o con persone di nonspecchiata condotta.

Quantunque caratterizzato da un contenuto indirettamente precettivo, inquanto si invita un soggetto a tenere un comportamento rispettoso della legge,l’avviso non ha un carattere immediatamente incidente sulla sfera dell’eserciziodei diritti da parte dell’avvisato(52). Sembra, pertanto, che i suoi effetti siano piùtenui di quelli della diffida, sostanziandosi in un invito, e non più in un’ingiun-zione, e concretizzandosi, più propriamente, in una garanzia offerta al soggettoavvisato(53).

Ciò dovrebbe far affermare, anche se il fatto non è rigorosamente certo,che l’atto non sia immediatamente impugnabile nella sede giurisdizionale, inquanto, appunto, non immediatamente lesivo delle sfere giuridiche di cui ildestinatario rimane titolare. Del resto, l’unico effetto che vi si ricollega, consi-stente nell’applicazione di una misura preventiva a chi non muti condotta, nonè a tempo indeterminato, ma è limitato a tre anni dall’invito del Questore, salvola possibilità di revoca anticipata.

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CAPITOLO II

(50) - Cons. Stato, Sez I, 23 marzo 1989, in Cons. Stato 1991, I, 1404.(51) - CASTAGNOLI - PERINA, op. cit., pag.35.(52) - T.A.R. Veneto, Sez. I, 27.8.1990, 879.(53) - Cfr. sentenza T.A.R. Sicilia, 2702, 30 settembre 2002, che, analogamente alla decisione

riportata in nota 45, annulla il provvedimento con cui il Prefetto aveva revocato al ricorrenteil conferimento della qualifica di agente di P.S. per essere stato sottoposto ad avviso orale.Osserva il collegio che nessun elemento rilevante appare sostenere la valutazionedell’Amministrazione poiché l’avviso orale non produce altro effetto se non quello di consentire,entro tre anni, l’applicazione di una misura di prevenzione, in riferimento ad analoga decisionedello stesso T.A.R. 396, 21 marzo 1997.

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Quanto al pericolo che tale misura possa assumere carattere di permanen-za, tramite un rinnovo alla scadenza di ogni triennio, soccorre la ragionevoleregola che l’eventuale reiterazione dell’invito dovrà essere supportata da nuovisospetti, fondati su fatti ulteriori o almeno di nuova conoscenza del Questore.Sussiste, inoltre, un termine, fissato in 60 giorni, prima del quale non è possi-bile presentare proposta per l’applicazione di una misura preventiva, sia per con-sentire all’avvisato di cambiare condotta, sia per consentire all’Autorità di P.S.un periodo per osservare e valutare il comportamento del soggetto.

Rimane da rilevare la novella introdotta dall’art. 15 della legge 26 marzo2001, n. 128, che modifica il 4° comma dell’art. 4 legge 1423/1956(54). Lanorma consente al Questore, contestualmente all’adozione dell’avviso orale, diimporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti noncolposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi appara-to di comunicazione ricetrasmittente, radar, visori notturni, indumenti e acces-sori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modi-ficati al fine di aumentare la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunquepredisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, nonché programmi infor-matici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.La violazione di tale disposizione è punita con la reclusione da uno a tre anni econ la multa da tre a dieci milioni (oggi conv. in euro). Alla pena consegue laconfisca degli apparati, che possono essere assegnati alle forze di polizia operan-ti per l’utilizzo nei servizi d’istituto.

Si tratta di uno strumento già noto per ciò che concerne l’assegnazione deibeni confiscati alle forze di polizia (si pensi alle norme di contrasto al traffico distupefacenti) che tuttavia assume, in questo caso, portata più generale, perchéla norma opera un generico riferimento ai servizi di istituto senza limitazionisulla destinazione d’uso dei beni stessi mentre, come noto, i veicoli confiscati inoperazioni antidroga possono essere utilizzati soltanto in tali contesti operativi.

Quanto al merito dei divieti imposti contestualmente all’avviso orale inforza del riformato art. 4, 4° comma, correttamente è previsto che essi sianoopponibili davanti al giudice monocratico.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

(54) - Ricordiamo che la norma era già stata oggetto di intervento ad opera della legge 3 agosto1988, n. 327.

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Ciò non sembra incoerente con quanto prima affermato, in ordine allanon immediata impugnabilità dell’avviso orale nella sede giurisdizionale, inquanto non immediatamente lesivo delle sfere giuridiche di cui il destinatariorimane titolare.

In questo caso, infatti, la lesione si realizza effettivamente, quanto menoin termini di compressione di taluni diritti, talché è necessario che sia esperibi-le una tutela avverso le determinazioni dell’Autorità di pubblica sicurezza.

5. Il rimpatrio con foglio di via obbligatorio

L’art. 2 L. 1423/56, nella vigente formulazione, prevede che le personericomprese nelle categorie di cui all’art.1 possono essere rimandate, con attomotivato del Questore, nel luogo di residenza, qualora risultino pericolose perla sicurezza pubblica; con lo stesso provvedimento, inoltre, si impone ai desti-natari il divieto di rientrare senza autorizzazione, e comunque per un temponon superiore a tre anni, nel comune dal quale sono stati allontanati.

Anche se a rigore la misura non dovrebbe essere comprensiva del divietodi transito nel comune di allontanamento, salvo soste che potrebbero riprodur-re il pericolo per la sicurezza pubblica che si intende prevenire, la giurispruden-za maggioritaria(55) segue un orientamento assolutamente rigoroso, includendonel divieto qualsiasi ipotesi di presenza.

Com’è intuibile, nell’ambito delle misure preventive, il rimpatrio coattosoddisfa le esigenze di prevenzione più elementari, tendendo ad anemizzare lasituazione di pericolosità tramite l’allontanamento dell’interessato.

Il provvedimento, sotto il profilo documentale, si sostanzia in due atti:l’ordine di rimpatrio e il foglio che contiene, come atto conseguenziale, l’ordi-ne di esecuzione del provvedimento del Questore, regolando le modalità delrimpatrio stesso (foglio di via obbligatorio).

Quest’ultimo, che dà contezza dell’appartenenza ad una delle categorie indi-cate dalla legge, indica la residenza, intesa generalmente quale reale ed effettiva, efornisce elementi sulla pericolosità per la sicurezza pubblica della permanenza del

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CAPITOLO II

(55) - Es., Cass. 26.1.1993, in CASS. PEN., 1994, 124.

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soggetto in quel luogo e, quindi, sulla concreta possibilità del mancato rispettodi leggi fondamentali che attengono alla vita dello Stato, alla vita ed all’incolu-mità dei cittadini nonché alla salvaguardia dei beni pubblici e privati. È pertan-to insufficiente il mero riferimento al criterio di semplice appartenenza ad unadelle categorie espressamente considerate, essendo richiesto l’ulteriore requisitodella pericolosità per la sicurezza pubblica.

Non è comunque semplice individuare quando quest’ultima si realizzi inconcreto, dal momento che, come si è visto, non si tratta di valutare la presen-za di un dato fattuale, ma si mira ad evidenziare elementi di sospetto.

Parte della giurisprudenza ha, tuttavia, precisato che il giudizio di perico-losità scaturente dalla presenza di un soggetto in una determinata città, per giu-stificare il provvedimento di rimpatrio obbligatorio, necessita di una valutazio-ne unitaria e complessiva degli elementi di fatto, delle denunce e delle condan-ne che riguardano il destinatario del provvedimento. Di conseguenza, se alcunecircostanze sono state ritenute per errore sussistenti, la stessa valutazione nel suocomplesso deve ritenersi viziata, in quanto basata su un’alterata rappresentazio-ne della realtà(56). Occorre inoltre evidenziare la flessibilità del provvedimento,che per la sua adozione non richiede l’intervento del giudice, essendo quindiriconducibile al potere discrezionale dell’Autorità di P.S. Tale discrezionalitàesige, evidentemente, una adeguata motivazione dell’atto. Di essa si dà contez-za nell’ordine di rimpatrio, che contiene i riferimenti ad elementi obiettivi, daiquali possa desumersi il presupposto della prognosi di pericolosità(57).

Si tratta di un requisito sostanziale del provvedimento, finalizzato al con-trollo di legittimità, a cui soggiacciono in via generale gli atti amministrativi cheincidono, limitandoli, sui diritti perfetti del cittadino. Avverso il provvedimen-to del Questore sono esperibili i mezzi di tutela tipici degli atti amministrativi.È pertanto ammesso il ricorso gerarchico al Prefetto, la cui determinazione, invirtù delle norme di semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsiamministrativi(58) e contrariamente a quanto previsto in precedenza dall’art. 6del T.U.L.P.S. (ulteriore ricorso al Ministro), è definitiva.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

(56) - T.A.R. Lazio, Sez. Latina, 2.8.1988, in FORO AMM. 1989, 306.(57) - Cass. pen., Sez. I, 16 gennaio 1986.(58) - D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.

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Avverso quest’ultimo provvedimento sono ovviamente sempre esperibili ilricorso straordinario al Presidente della Repubblica o il ricorso giurisdizionale(complesso T.A.R. - Consiglio di Stato), nel rispetto della regola dell’alternati-vità, secondo la quale electa una via non datur recursus ad alteram. Tutto ciò salvala facoltà della diretta impugnativa in sede giurisdizionale, e cioè senza necessi-tà di attivare prima il ricorso gerarchico, riconosciuta dall’art. 20 della legge isti-tutiva dei T.A.R. (L. 6 dicembre 1971, n. 1034).

La Corte Costituzionale ha fino ad oggi sostanzialmente salvaguardato lamisura del f.v.o. dagli attacchi di illegittimità invocati, in particolare, in riferi-mento agli artt.13 e 16 Cost. In effetti, la limitazione imposta al cittadino conil foglio di via obbligatorio sembrerebbe rispettosa dell’art. 16 Cost., che, nelgarantire la libertà di circolazione e soggiorno del cittadino, fa salve le limitazio-ni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza(59). Per dipiù, la misura non costituisce, strictu sensu, una limitazione della libertà perso-nale e quindi non rientra tra i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 13 Cost.,devono essere adottati o convalidati dal giudice. Quanto alla circostanza che lamisura verrebbe talora attivata per ragioni di moralità pubblica, non più con-template dopo la modifica intervenuta ad opera della citata L. 327/88, la Cortestessa ha ritenuto invece tali fattispecie riconducibili a profili di sanità e sicurez-za, tanto è vero che il soggetto che, pur diffondendo o praticando principiimmorali, non commetta atti pericolosi per la sicurezza e la sanità, non puòesservi assoggettato: ciò al fine di non interferire sull’esercizio di libertà costitu-zionalmente garantite attraverso la repressione di un comportamento immoralema non criminoso.Per ultimo, va ricordato che l’avviso orale non costituiscepresupposto per l’adozione del rimpatrio, non tanto in ragione della soppressio-ne dell’istituto della diffida, la cui previa irrogazione era invece espressamenterichiesta, quanto per la natura stessa dell’avviso orale che, a norma del novella-to art. 4, costituisce presupposto soltanto per l’applicazione della sorveglianzaspeciale(60), istituto del quale ci occuperemo tra breve.

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CAPITOLO II

(59) - La prima sentenza in tal senso fu la n. 45 del 30.6.1960. In seguito, tra le altre, CASS. PEN.Sez. I, 24.6.1988, in CASS. PEN. 1990, I, 1376, Cass. pen. Sez. VI, 4.11.1989, in CASS. PEN.1991, I, 813.

(60) - MILETTO, Le misure di prevenzione, Utet, 1989, pag. 161.

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6. La sorveglianza speciale

Il provvedimento in esame è rivolto alle persone indicate dall’art.1L.1423/56, precedentemente avvisate, e a quelle che, anche in assenza di avvi-so, siano indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorrao ad altre associazioni con finalità o metodi equivalenti a quelli delle associazio-ni di tipo mafioso (artt.1 e 2 L. 575/65) e a coloro che siano assimilati a questiin virtù dei già citati artt.18 e 19 L. 152/75.

Essa ha lo scopo di consentire all’Autorità di pubblica sicurezza di vigilaresulla persona per verificare l’osservanza di tutte le prescrizioni che il Tribunaleha ritenuto opportuno imporle al fine di fronteggiarne la pericolosità: ciò perimpedire o rendere comunque arduo il compimento di iniziative criminose.

Dal momento che tale misura può comportare una incisiva limitazionedella libertà personale dell’individuo, è necessario che essa venga irrogatadall’Autorità giudiziaria in esito ad un procedimento teso ad accertare che,nonostante il previo avviso orale, non si sia verificato alcun mutamento nellacondotta del soggetto.

Quest’ultima valutazione può essere supportata da elementi risultanti dairapporti dell’Autorità di P.S., purché si tratti di elementi obiettivi e specifici enon di generiche affermazioni di condotte in ordine alle quali non si indichinoriscontri probatori. È inoltre fondamentale che i dati rilevati non risultinosuscettibili di prova contraria e che non vengano smentiti con riferimento allaspecifica fattispecie di pericolosità(61).

Suole distinguersi la sorveglianza speciale c.d. semplice dalla sorveglianzaspeciale qualificata: il provvedimento, in quest’ultimo caso, è accompagnato daldivieto o dall’obbligo di soggiorno. In realtà, mentre si tende ad affermare cheil divieto costituisce mero accessorio della sorveglianza, sull’obbligo di soggior-no sussistono prevalenti orientamenti a favore di un riconoscimento dell’auto-nomia dell’istituto.

Ciò è coerente, in effetti, con la modifica dell’art.3 L. 1423/1956, che inorigine prevedeva il caso in cui alla persona sottoposta alla misura di prevenzio-ne della sorveglianza speciale di P.S. dovesse essere imposto l’obbligo di soggiorno

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

(61) - Cass. pen. Sez. I, 22.2.1988, in GIUST. PEN., 1988, III, 462 e segg.

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in un determinato comune e che attualmente sancisce l’applicabilità in via resi-duale dell’obbligo di soggiorno, quando le altre misure non siano considerateidonee. Quanto all’esame delle singole misure qualificate, il divieto di soggior-no, che non è applicabile alle persone indiziate di appartenere ad associazioni ditipo mafioso ed assimilate, è adottato quando lo postulino le circostanze delcaso e non riguarda soltanto la residenza e la dimora, ma anche, appunto, ilsemplice soggiorno.

La finalità, come suggeriscono gli orientamenti giurisprudenziali, è quelladi impedire ogni forma di ritorno nel territorio, comprese le brevi soste(62). Gliunici casi in cui l’interessato può fare ritorno temporaneo nei luoghi che glisono impediti sono legati ad esigenze di necessità ed umanità purché, stantel’interpretazione analogica dell’art.7 bis L. 1423(63), il giudice abbia rilasciatoapposita autorizzazione.

La norma è evidentemente riconducibile ai valori etico-sociali tutelati dal-l’art. 32 Cost., che qualifica la salute non soltanto come fondamentale dirittodell’individuo ma quale interesse della società.

In precedenza, la sorveglianza speciale con divieto di soggiorno perseguival’intento di allontanare il soggetto dal suo ambiente criminogeno, con lo scopodi comprimere la sua propensione a commettere reati(64). Questa necessità direcisione avrebbe costituito, tra l’altro, l’unico effettivo elemento di differenzia-zione tra questa misura e la sorveglianza semplice.

Tuttavia, il timore che i fenomeni di criminalità si trapiantassero in realtàdiverse da quella dell’interessato e il puntuale realizzarsi di tale prospettivahanno indotto il legislatore (L. 256/1993) ad abrogare la previsione del divietodi soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

L’opportunità di incidere sul collegamento del soggetto con il proprioambiente, per impedirgli di frequentare i luoghi che hanno causato o comun-que favorito la sua pericolosità, aveva nella pratica originato nuove dinamichedelinquenziali, caratterizzate dalla riorganizzazione e dalla penetrazione sunuovi territori di fenomeni criminali ancora più subdoli.

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CAPITOLO II

(62) - Cass. pen., Sez. VI, 30.6.1990, in CASS. PEN., 1991, I, 2041.(63) - Comma così sostituito dall’art 1 legge 24 luglio 1993, n. 256.(64) - Cass. pen., Sez. I, 14.1.1991, in CASS. PEN., 1992, 1596.

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Per quanto concerne l’altra misura qualificata, l’obbligo di soggiorno, lalegge 327/88 ha limitato la sua applicabilità escludendo la possibilità che essavenga disposta per un comune diverso da quello di residenza o di dimora abi-tuale. Essa continuava tuttavia ad essere prevista in alcuni casi. Infatti con l’art.20 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio1991, n. 203 veniva modificato il testo dell’art. 2 L. 575/65, stabilendosi che“nei confronti delle persone pericolose cui possono essere applicate le misurepatrimoniali ed interdittive previste dalla presente legge, quando la misura dellasorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza odimora abituale non sono ritenute idonee, può essere imposto l’obbligo di sog-giorno in un altro comune o frazione di esso, ricompreso nella stessa provinciao regione e che sia sede di un ufficio di polizia”.

Con l’art. 22 d.L. 8 giugno 1992, n. 306, nel testo introdotto con le modi-fiche apportate dalla legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356, l’art. 2 L. 575è stato sostituito con nuove disposizioni in base alle quali, pur essendo general-mente circoscritto l’obbligo di soggiorno al comune di residenza o di dimoraabituale, ricorrendo eccezionali esigenze di tutela sociale o di tutela dell’incolu-mità della persona interessata, il soggiorno obbligato poteva essere dispostoanche in una località, indicata dal Questore, che garantisse la sicurezza.

Successivamente, con l’ulteriore modifica apportata dall’art. 1, comma 2,L. 256/1993, la disposizione appena citata veniva abrogata, sicché resta esclusa,in ogni caso, la possibilità di irrogare l’obbligo di soggiorno in un comunediverso da quello di residenza o di dimora abituale della persona pericolosa.

L’excursus normativo, articolato e denso anche in riferimento al breveperiodo in cui si è dispiegato, se da un lato evidenzia il tentativo del legislatoredi realizzare la maggiore aderenza possibile all’irrequieto divenire del crimine, inparticolare di quello organizzato, per contro denuncia le difficoltà che talvoltagli stessi operatori devono affrontare per districarsi in un impianto normativocaratterizzato da intrinseca complessità.

Quanto all’accertamento della pericolosità, fermi restando i principi enun-ciati in altra parte del presente lavoro, esso comporta una valutazione rigorosa-mente soggettiva, che prescinda dalla gravità dei reati addebitati, la cui naturaoggettiva ed astratta non consente di affermare se l’individuo ha i connotati cui

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

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la legge ricollega l’applicazione delle misure stesse(65).In particolare, si riteneva che tale pericolosità dovesse essere di grado più

elevato non solo della sorveglianza c.d. semplice, ma anche di quella con divie-to di soggiorno. Essa era applicabile quando le altre fossero state valutate comeinsufficienti ad assicurare la tutela della sicurezza pubblica. La legge richiedevauna grave pericolosità, intesa non tanto in riferimento al grado di temibilità del-l’individuo, quanto ai connotati di tale pericolosità, rapportata alle condizioniambientali in cui essa aveva modo di manifestarsi(66).

L’altro presupposto, costituito dall’inidoneità delle altre misure, eracomunque da valutare caso per caso, in relazione alla personalità e alla situazio-ne ambientale, anche in riferimento all’esistenza in loco di fenomeni di crimi-nalità organizzata. Ciò indicava il carattere residuale, dovendo il giudice appli-care la misura meno gravosa(67).

Tale qualificato presupposto sembra essere venuto meno, rendendo incertol’ambito di operatività dell’obbligo di soggiorno, che pur tuttavia rimane, perindicazione normativa, l’extrema ratio (art. 3, comma 3 L. 1423). Ciò non impli-ca, pertanto, la maggior gravità della misura in esame.

Si tratta, in altri termini, di correlare l’esigenza di applicare la misura menogravosa con le capacità preventive dei singoli istituti, prescindendo per ciò stessoda valutazioni aprioristiche(68).

In definitiva, il divieto può considerarsi irrogabile quando, in base ad un giu-dizio di graduazione, la pericolosità può essere controllata allontanando il propo-sto dalle zone di territorio diverse da quelle di residenza o di dimora abituale, cheper le relazioni ambientali favoriscono l’esplicarsi della pericolosità.

Se invece quest’ultima postula necessariamente che il controllo si attui circo-scrivendo la presenza in un determinato territorio, sarà legittima l’applicazione del-l’obbligo di soggiorno. In definitiva, la scelta non caratterizza la gravità della misu-ra, ma soltanto il dispiegarsi dei suoi effetti in relazione all’obiettivo di prevenzio-ne che essa si pone.

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CAPITOLO II

(65) - Cass. pen., Sez. I, 23.11.1987, in GIUST. PEN., 1988, III, 447.(66) - Cass. pen., Sez. I, 21.4.1986, in CASS. PEN., 1987, 1456.(67) - GUERRINI - MAZZA, op. cit., pag. 106.(68) - Cass. pen., Sez. I, 27.10.1989, in CASS. PEN., 1990, 675.

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Se in base a questa impostazione l’obbligo di soggiorno non costituiscemisura più grave ma solo diversa da quella del divieto, la precedente disciplinanormativa di quest’ultima poteva far addirittura ritenere che fosse proprio ildivieto ad avere connotati di maggior severità.

Quando infatti il divieto era applicabile nei comuni differenti da quelli diresidenza e dimora, si riscontrava una illogicità nella scelta del legislatore del1988 che, se da una parte configurava una misura teoricamente più afflittiva,l’obbligo di soggiorno, di fatto rendeva il divieto più severo, potendo comporta-re l’allontanamento dai luoghi di residenza o dimora abituale.

In realtà appariva difficilmente collegabile il requisito della maggior perico-losità di un soggetto e l’applicazione dell’obbligo del soggiorno nel comune diresidenza o di dimora abituale.

Da qui si evince come la motivazione fosse determinante per dare ragionedell’applicazione dell’una o dell’altra, potendosi ricavare che la scelta non dipen-desse, in realtà, da un diverso grado di pericolosità, ma dall’opportunità di sot-toporre il soggetto all’obbligo di soggiorno, con possibilità di controllo - ma conil rischio che i legami con l’ambiente non venissero recisi - o al divieto, che, vice-versa, comportava un minor controllo.

La scelta dipendeva da una valutazione caso per caso che quindi, se rende-va la legge 88/327 criticabile per aver alterato il rapporto di continenza tra ildivieto e l’obbligo, consentiva comunque ricadute positive sul piano pratico.

7. Gli obblighi derivanti dalla sorveglianza speciale

Un aspetto che accomuna la “sorveglianza speciale” alle due forme di “sor-veglianza speciale qualificata” è costituito dall’imposizione di una serie di obbli-ghi all’interessato, che ne qualificano il particolare status(69), e dalle sanzioni checonseguono alla loro violazione.

Sono previste pene sia per l’inosservanza agli obblighi della sorveglianza insé (art. 9 comma 1, L. 1423) punibile con l’arresto(70), sia in caso di violazione

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LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI

(69) - Cass. Pen., Sez. I, 20.3.1985.(70) - CASS. PEN., Sez. I, 6 12.1990, in Riv. pen., 1991, 927.

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di precisi obblighi connessi con la sorveglianza speciale qualificata (reclusione).Quest’ultima non costituisce, peraltro, circostanza aggravante della precedentefattispecie, ma autonoma figura di reato(71) (art. 9 comma 2 L. 1423). Nel primocaso, si è in presenza di un reato contravvenzionale riferito sia alla sorveglianzaspeciale semplice sia a quella qualificata e consistente nella violazione delleseguenti prescrizioni(72):

a) violazione dell’obbligo di trovare uno stabile lavoro;b)rincasare o uscire in anticipo dalla propria abitazione;c) trattenersi abitualmente in bettole ed osterie;d)intrattenere abituale frequentazione con pregiudicati;e) allontanarsi dalla propria dimora senza avviso all’Autorità di P.S. A tale ultimo proposito, è illegittimo il provvedimento con il quale si

impone a persona sottoposta alla misura della sorveglianza speciale con divietodi soggiorno il puro e semplice divieto di allontanarsi dall’abitazione, indipen-dentemente da ogni avviso all’autorità, posto che un tale obbligo equivale, nellasostanza, all’imposizione degli arresti domiciliari, previsti dall’ordinamentocome misura cautelare nell’ambito di un procedimento penale(73). È possibile,infatti, imporre l’obbligo di non allontanarsi dalla dimora senza preventivoavviso all’autorità locale di P.S. e non quello di non allontanarsi sic et simpliciterdall’abitazione.

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CAPITOLO II

(71) - CASS. PEN., Sez. I, 27.5.1989, in Cass. pen., 1990, I, 1989.(72) - CASS. PEN., Sez. I, 29.2.1988, in Cass. pen., 1989, 1838.(73) - CASS. PEN., Sez I, 22.6.1990, in Cass. pen., 1991, I, 2042; Cass. pen., Sez. I, 22.6.1990, in

CASS. PEN., 1991, I, 2042.

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CAPITOLO III

IL CONTRASTO ALLA

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

Luigi CORTELLESSA

SOMMARIO: 1. L’adattamento del sistema. - 2. La definizione dei sodalizi. - 3. L’indizio di apparte-nenza. - 4. Tipologia dei provvedimenti. - 5. Effetti sanzionatori dei provvedimenti pre-ventivi. - 6. L’estensione soggettiva dei provvedimenti preventivi. -7. Le misure di tute-la della Pubblica Amministrazione. - 8. Le interdizioni alle cariche elettive. - 9. La pre-venzione ante delictum nei confronti di altre forme di criminalità. - 10. L’intervento pre-ventivo nei confronti degli Enti Locali.

1. L’adattamento del sistema

Il sistema antimafia si appropria della legislazione sulle misure di preven-zione, rimodellandola ed adattandola alle esigenze proprie di contrasto e conte-nimento della criminalità organizzata. La vocazione emergenziale del sistema haprodotto un sistema non sempre armonico e coerente, talvolta poco intelligibi-le. La legge 31 marzo 1965, n.575 è il primo testo legislativo che fa esplicitoriferimento, anche nel titolo, al fenomeno delinquenziale mafioso.

Per anni, dal 1965 al 1982, in assenza di specifici istituti sostanziali di rife-rimento, essa è stata l’unica legge espressamente dedicata al contrasto antimafia,senza peraltro includere la previsione di altre consorterie diverse dalla stessa.

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Rimane, pur tuttavia, il connettivo di riferimento sul quale sono stateimpostate le altre normazioni. Sotto il profilo storico, il testo rappresenta larisposta che il Parlamento dell’epoca intese offrire alle proposte scaturite dailavori della Prima Commissione Parlamentare d’indagine sulla mafia siciliana,istituita con legge del 12 dicembre 1962.

L’organismo bicamerale, sulla base della legge istitutiva, aveva il compito distudiare le caratteristiche e la genesi del fenomeno mafioso e di predisporre lemisure necessarie per reprimere le manifestazioni ed eliminare le cause di esso. Ese è vero che l’istituzione della Commissione seguiva, anche come risposta emoti-va, un periodo assai grave per la recrudescenza di efferati fatti delittuosi di mafia,è altrettanto riscontrabile che i successivi interventi legislativi in materia hannocorrisposto ad esigenze di tipo emergenziale, non sempre in linea con l’esigenza difornire una risposta armonica, sorretta da strumenti di agevole applicazione.

La legge, nel suo complesso, è informata ad un maggiore rigore rispettoalla L. 1423/1956, poiché indirizzata ad un settore qualificato da maggiore peri-colosità in quanto connesso al fenomeno della mafia, e perciò tale da esigere unadiversa regolamentazione(74). Essa, inoltre, omologando gli istituti su esigenzeben chiare, ha risposto ad istanze di garanzia e di certezza del diritto, riempien-do le esangui fattispecie di pericolosità sociale con l’inserimento di elementi ilpiù possibile oggettivi e pregnanti(75).

2. La definizione dei sodalizi

La legge 575, primo tassello di prevenzione antimafia, rimanda alla nor-mativa generale per quanto concerne le misure di prevenzione personali, dicui essa prevede l’applicazione ai soggetti indiziati di appartenere ad associa-zioni di tipo mafioso (art. 1): la conseguenza che risalta per prima è quella chele elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali sedimentate nel tempo, in rela-zione alla prevenzione generale, esprimono valenza anche riguardo alla pre-venzione qualificata.

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CAPITOLO III

(74) - Cass. pen., Sez. I, 29 ottobre 1969.(75) - MANGIONE, op. cit., pag. 77.

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La norma pone anzitutto dei problemi di direzione applicativa. Difatti,dalla lettera della norma, si individua la qualità del gravame richiesto, quello diindizio, e la categorizzazione dell’appartenenza, allorché viene indicata la tipo-logia di sodalizio, cui la stessa si indirizza. All’atto della emanazione della leggesi assistette, con non poche difficoltà di prima applicazione, alla singolare ipo-tesi della indicazione del fenomeno da perseguire, senza che dello stesso si aves-se una compiuta definizione. Difatti, la originale enunciazione della norma silimitava a prevedere la sua applicazione per gli “indiziati di appartenere ad asso-ciazioni mafiose”. Nel tentativo di fornirne un’interpretazione, vi erano stati, inquesta direzione, esclusivamente dei tentativi, operati più nell’ambito dellediscipline storica e sociologica, che non nell’ambito della dottrina giuridica(76). Difatto, si poteva procedere all’applicazione delle misure esclusivamente sulla basedi un sospetto del sospetto, senza un ancoraggio di certezza minima(77). Il pro-blema trovò superamento solo molti anni dopo, con la legge Rognoni-La Torreche, nell’introdurre l’art. 416 bis del c.p., provvedeva a fornire una definizionedella delinquenza mafiosa(78).

Con la stessa legge, all’art. 13, si provvedeva, infatti, ad un aggiustamentodel tiro, stabilendosi che la stessa trovava applicazione nei confronti degli “indi-ziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre asso-ciazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agisconocon metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.

Si è pervenuti, quindi, alla netta definizione di un fenomeno, tanto piùavvertita in sede penale, per adeguarne il contrasto, quanto più la sua spiegazio-

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(76) - Per una attenta interpretazione storica del fenomeno mafioso, in connessione, specialmente,con le problematiche della questione meridionale, cfr.: HOBSBAWM, I ribelli,Forme primitivedi rivolta sociale, Einaudi, Torino, 2002, pagg. 41-74.

(77) - TAGLIARINI, Le misure di prevenzione contro la mafia, in AA.VV., Le misure di prevenzione,Milano, Atti del Convegno di Alghero, 1975, pag. 373.

(78) - La definizione di mafia è fornita dal comma 3 dell’art. 416 bis c.p.: “L’associazione è di tipomafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vin-colo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commet-tere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo diattività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizza-re profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero, al fine di impedire od ostacolare il libe-ro esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

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ne veniva trattata in consessi di altro tipo (letterario, sociologico, economico),che, per quanto apprezzabili, non riuscivano da soli a strutturare degli arginioperativi per abbattere il fenomeno. Ed è altrettanto chiaro che la nuova defini-zione suggellata dall’art. 416 bis non riesce forse da sola a ricomprendere unfenomeno assai complesso come la mafia, che è una struttura criminale e delin-quenziale, o meglio un insieme di organizzazioni, dotata di una particolare cara-tura politica: della capacità, cioè, di radicarsi in un territorio, di disporre diingenti risorse economiche, di esercitare forme di controllo su porzioni crescen-ti della società locale, imponendosi con l’utilizzazione di un apparato militare(79).

Carattere fondamentale di tale forma di criminalità è sempre la disponibi-lità all’esercizio della violenza, sulla cui industria si basano processi di accumu-lazione economica e di mobilità sociale, che altrove sono incanalati in formelegittime di competizione e di mercato e di conflitto sociale. In tale contesto, laviolenza viene utilizzata dai mafiosi per controllare risorse economiche, eserci-tare una diffusa egemonia sociale, presentarsi, quindi, sul mercato politico siacome forza sociale autonoma e specifica, sia come dispensatori di consenso elet-torale, ottenendone un ulteriore rafforzamento.

La dottrina ha poi sottolineato che la nozione di associazione mafiosa deveessere svincolata dalla sua matrice storico-geografica e riferita ormai ad ogni rag-gruppamento di persone che, con mezzi criminosi, si proponga come fine quel-lo di assumere o mantenere il controllo di zone, gruppi o attività produttive,attraverso l’intimidazione sistematica e l’infiltrazione di propri membri, inmodo da creare una situazione di assoggettamento e di omertà che rende impos-sibili o altamente difficili le normali forme di intervento dello Stato(80).

La giurisprudenza ha confermato l’interpretazione asserendo che: “la nozio-ne di associazione mafiosa deve essere svincolata dalla sua matrice storico-geogra-fica, in quanto il fenomeno investe da tempo tutto il territorio nazionale ed èindividuabile attraverso caratteristiche proprie. Pertanto, per essa, deve intender-si ogni sodalizio di più persone che opera assumendo o mantenendo il controllo

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CAPITOLO III

(79) - PEZZINO, Mafia, stato e società nella Sicilia contemporanea: secolo XIX e XX, in AA.VV., Lamafia, le mafie, a cura di FIANDACA - COSTANTINO, Laterza, 1994, pag.10.

(80) - MOLINARI - PAPADIA, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale e nelle leggi antimafia,Giuffrè, 1994, pag. 361.

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di attività economiche, attraverso l’intimidazione sistematica in modo da creareuna situazione di assoggettamento e di omertà che renda impossibili o partico-larmente difficili le normali forme di intervento punitivo dello Stato

(81)”.

Difatti “…non occorre che l’associazione debba avere origine mafiosa oessere ispirata o collegata necessariamente alla mafia: l’espressione legislativasignifica soltanto “modello mafioso” come la camorra, o qualunque altra asso-ciazione, comunque localmente denominata, caratterizzata da metodi di intimi-dazione, di omertà e di sudditanza psicologica per via dell’uso sistematico dellaviolenza fisica o morale in settori della vita socio-economica

(82)”.

3. L’indizio di appartenenza

Chiarita la natura dei sodalizi, bisogna porre l’attenzione sulla qualificaindiziaria dei soggetti cui la legge è indirizzata. In tal senso, l’indizio segna la suadifferenza dalla prova consistendo in un fatto specifico donde dedurre, in ter-mini probabilistici, la conoscenza di un atto ignoto, a differenza della prova, checonsente la conoscenza certa del fatto, allorché viene sottoposta al vaglio incro-ciato del dibattimento(83).

La natura dell’indizio presenta un gravame probatorio autonomo rispettoalla prova in senso tipico; difatti, tale connotazione ha dei riflessi in ordine alladifferenza tra il processo penale ed il provvedimento di prevenzione, determi-nandosi non solo l’autonomia dei due procedimenti, ma anche una notevolerilevanza nelle questioni probatorie. Il primo richiede che la responsabilitàpenale in ordine ad un reato sia fondata su prove piene, che sono tali anche sedi natura indiretta in quanto anche gli indizi debbono condurre alla certezza delfatto ignoto; il secondo prescinde dall’accertamento della responsabilità penaleper un reato, avendo come presupposto la pericolosità sociale (comune o quali-ficata) del soggetto rapportata a determinati parametri, sicché si fonda su ele-

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(81) - Cass. Pen., Sez. I, 11 aprile 1983.(82) - Cass. Pen., Sez. VI, 12 giugno 1984.(83) - Per una esaustiva interpretazione del connotato indiziario di appartenenza alle associazioni di tipo

mafioso, cfr.: POLLARI - DEL CIOPPO, Combattere cosa nostra, Buffetti, Roma, 1995, pagg. 6-7.

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menti con minore efficacia probatoria, che, tuttavia, qualora si tratti di perico-losità qualificata dell’appartenenza ad associazione di tipo mafioso, debbono, inconsiderazione delle più gravi conseguenze, anche di natura patrimoniale,rispetto alla pericolosità sociale di comune, raggiungere la consistenza dell’indi-zio, con esclusione, quindi, di sospetti, congetture ed illazioni, che sono mereintuizioni del giudice, mentre l’indizio è sempre fondato su un fatto certo. Datoil minore livello probatorio degli elementi necessari per l’applicazione dellamisura di prevenzione, è sufficiente che gli indizi dimostrino anche la sola pro-babilità che il prevenuto sia appartenente ad un’associazione di tipo mafioso(84).

In tale quadro, viene rilevato che la qualifica di indiziato non vale a legit-timare l’indagine, bensì, eventualmente, a giustificarla, in quanto fissa una ipo-tesi di lavoro da verificare attraverso le indagini(85).

Pur tuttavia, emerge, in favore delle strategie investigative e delle esigenzedella repressione criminale, un redditizio modello bifasico, secondo cui, dinan-zi a condotte pressoché identiche, la relativa valutazione giuridica sfocia sulpiano della repressione penale o su quello della prevenzione esclusivamente inrelazione allo spessore del materiale probatorio raccolto dagli inquirenti(86).

Anche nell’ambito del riconoscimento di pericolosità, tuttavia, la leggenon consente di conferire rilievo ai meri sospetti, richiedendosi, al contrario, lasussistenza e la convergenza di veri e propri indizi, cioè quella categoria di ele-menti di prova che sono ricavati, mediante un procedimento logico-induttivo,da circostanze, fatti e comportamenti specifici e concreti che, come tali, devo-no essere sottoposti ad analisi critica, contestazione e dimostrazione(87).

Viene affermato da certa parte della dottrina che si renderebbe necessariooperare in quelle situazioni in cui, già al momento della proposta, sussista qual-cosa in più del semplice sospetto, ma nello stesso tempo, “qualcosa di meno del-l’indizio vero e proprio

(88)”.

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CAPITOLO III

(84) - Cass. Pen., Sez. I, 14 agosto 1987.(85) - SIRACUSANO, Indagini, indizi, e prove nella nuova legge antimafia, in RIV. IT. DIR. PROC. PEN.,

1984, pag. 910.(86) - Sulla problematica della eventuale sovrapposizione tra fattispecie preventive e repressive, cfr.:

BRICOLA, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, in QUEST. CRIM., 1975, pagg. 267 e ss. (87) - NANULA, La lotta alla mafia, Giuffrè, 1999, IV ed., pag. 16.(88) - FIANDACA, la prevenzione antimafia tra difesa sociale e garanzie di legalità, in FORO IT., 1987, II, c. 368.

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Il nesso intercorrente tra indizio di appartenenza e natura del sodalizio èindividuabile nella pericolosità del soggetto proponendo alla luce delle relazio-ni che lo collegano ad un gruppo che ha le caratteristiche indicate, appunto,nell’art. 416 bis c.p.

L’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso è deducibile, oltre che dallaben più grave partecipazione al reato a titolo di concorso, anche da una condot-ta qualitativamente diversa che, pur non configurando un gravame di responsa-bilità per le condotte illecite commesse dal gruppo, esprime, tuttavia, un segna-le di inserimento organico in una comunità che si è costituita e si mantiene ille-citamente e con la violenza. Ed inoltre, la configurazione indiziaria può ricavar-si anche in caso di passività rispetto alla volontà ed alle esigenze delinquenzialidel sodalizio.

Il sistema preventivo trova luogo di applicazione allorché il collegamentocon un gruppo criminale si evidenzi sulla scorta di un’adeguata base indiziaria,connotandosi, in tal modo, la diversa struttura del quadro probatorio del pro-cedimento di prevenzione rispetto a quello del processo penale, fondato, inve-ce, sul dispiegarsi della prova nella sua pienezza. Tale circostanza concorre asegnare l’autonomia dei due diversi procedimenti e ad evidenziare l’assenza diuna pregiudiziale penale rispetto al procedimento di prevenzione.

Da certa parte della dottrina si intende superare qualsiasi differenza tra ilconcetto di appartenenza e quello di partecipazione, sostenendosi che la diffe-renza tra procedimento di prevenzione e procedimento penale non attiene altema probatorio, bensì all’intensità del rigore probatorio richiesto per l’applica-zione della misura di prevenzione o della sanzione penale, con differente impo-stazione rispetto alla individuazione della pericolosità semplice(89).

Diversamente, viene affermato che la individuazione della differenza tral’indiziato di appartenere ad associazione mafiosa ed il partecipante ex art. 416bis c.p. si fonda proprio nella diversa figura del partecipe rispetto a quella del-l’appartenente: figure caratterizzate da evidente diversità ontologica riflettente, asua volta, le diverse finalità cui sono diretti il giudizio penale, volto ad accerta-re la sussistenza del reato, e quello di pericolosità, diretto ad accertare la esistenza

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(89) - CASTAGNOLI - PerIna, Le misure di prevenzione e la normativa antimafia, Laurus Robuffo,Roma, pagg. 72 e ss.

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degli estremi per l’applicazione delle misure di prevenzione(90).Sostanzialmente, ciò che si richiede a sostegno dell’adozione della misura

è un gravame indiziario che, pur con conclusioni univoche di appartenenza,non abbia la medesima intensità e la gravità tali da giustificare un procedimen-to penale. Può asserirsi, inoltre, che l’applicazione di una misura di prevenzio-ne possa articolarsi sul recupero di elementi probatori che nel processo penalenon troverebbero valorizzazione, oppure la cui valenza è già stata scartata in unospecifico processo penale(91).

Tuttavia, perché un soggetto possa ritenersi raggiunto da fondati sospettidi un suo inserimento in un’organizzazione criminale di tipo mafioso, tali dalegittimare l’adozione di una misura de quo, è necessario che siano emersi indi-zi connotati da circostanze oggettive, che portino inequivocabilmente ad ungiudizio di qualificata probabilità che la persona sia stabilmente inserita nell’as-sociazione, non essendo di contro sufficiente che la stessa si sia resa responsabi-le di isolati fatti penalmente rilevanti(92). L’autonomia della ipotesi penale daquella preventiva poggia sulla considerazione che il concetto di appartenenzadeve essere incardinato su un comportamento che, pur non realizzando il reatoassociativo, sia tuttavia funzionale agli interessi dei poteri criminali(93).

Si rende quindi opportuna una oggettiva valutazione dei fatti sintomaticidella condotta abituale e del tenore di vita del soggetto, tanto da escludere valu-tazioni meramente soggettive e incontrollabili da parte dell’Autorità proponen-te, che è invece tenuta ad allegare fatti incontrovertibilmente certi, quali prece-denti penali, denunce per gravi reati, motivazioni di eventuali ordinanze dicustodia cautelare, tratti emblematici del tenore di vita, frequentazione abitua-le di pregiudicati o di soggetti sottoposti a misura di prevenzione, ulteriori ele-menti indicativi di manifestazioni contrastanti con la sicurezza pubblica: in

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CAPITOLO III

(90) - GROSSI, Nota a sentenza del Tribunale di Lecce 9 novembre 1990, in RIV. PEN., 1991, pag. 184.(91) - GIANFROTTA, Le misure di prevenzione previste dalle leggi antimafia, in AA.VV., Atti del

Convegno, Nuove forme di prevenzione della criminalità organizzata: gli strumenti di aggressio-ne dei profitti di reato e le misure di prevenzione, Frascati 18-20 dicembre 1997, su QUADERNI

DEL C.S.M., anno 1998, n. 104.(92) - Cass. pen., Sez. I, 6 novembre 1992.(93) - GUGLIELMUCCI, Nozione di indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose e di indiziato di

misure di prevenzione, in CASS. PEN., 1987, pag. 1669.

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sostanza, un patrimonio indiziario che legittimi una prognosi negativa sul suofuturo comportamento. In tal senso, secondo la giurisprudenza, non è necessa-ria una particolare dimostrazione dell’appartenenza del soggetto ad associazionidi tipo mafioso, ma è sufficiente la sussistenza di indizi di tale appartenenza,ossia di elementi di fatto certi nella loro esistenza, aventi valore sintomatico,idonei a suffragare il giudizio circa la possibile appartenenza del soggetto adun’associazione criminosa avente la fisionomia mafiosa. Ciò non deve tuttaviaindurre il giudice della prevenzione a prescindere da una corretta valutazionedegli elementi indiziari e dall’obbligo di una motivazione che presenti i fonda-mentali e necessari requisiti della correttezza (ossia delle aderenze alle risultanzeprocessuali), della completezza (ossia della estensione a tutti gli elementiinfluenti per la formazione dei singoli giudizi) e della logicità (ossia della con-formità ai canoni che presiedono alle forme del ragionamento)(94). In tal senso,l’appartenenza del soggetto ad un’associazione richiede l’acquisizione di fattioggettivamente valutabili e controllabili che conducano ad un giudizio di ragio-nevole probabilità(95). In sintesi, l’indizio richiesto dalla specificità antimafiadelle misure di prevenzione si fonda su una prognosi di pericolosità che, pro-prio per la sua collocazione ante delictum, può sostenersi in via induttiva.

Si tratta, tuttavia, di una sorta di pericolosità che si veste di un ben deli-neato habitus, quello cioè della mafiosità, con tutte le implicazioni di caratterecomportamentale e subculturale.

Inoltre, il requisito “…dell’attualità della pericolosità sociale è da conside-rare necessariamente implicito nella ritenuta attualità della presumibile appar-tenenza del proposto ad una consorteria di tipo mafioso

(96)”.

Pur tuttavia, non si richiede che l’associazione venga individuata edescritta con esattezza in tutti i suoi elementi e caratteristiche, essendo suffi-ciente il mero accertamento della esistenza di un sodalizio che ne reca i trattidistintivi(97).

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(94) - Cass. pen., Sez. I, 15 dicembre 1988.(95) - BERTONI, Rapporti sostanziali e processuali tra associazione mafiosa e fattispecie di prevenzione,

in CASS. PEN., 1986, pag. 1884.(96) - Cass. pen., 19 dicembre 1996.(97) - Cass. pen., Sez. I, 23 gennaio 1973.

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Ed ancora, ma in senso opposto, per ritenersi esclusa l’immanenza dellapericolosità, “…occorre acquisire il recesso personale del singolo o la disintegra-zione dell’associazione(98)”.

Ed infine, pare ormai costante l’affermazione della compatibilità tra appli-cazione della misura di prevenzione e la custodia cautelare, proprio perché talecondizione non esclude la pericolosità attuale, potendo cessare in qualsiasimomento(99).

4. Tipologia dei provvedimenti

All’art. 2 viene specificata la natura dei provvedimenti irrogabili. Nei con-fronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso può essereirrogata la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza(100) e dell’obbligo di sog-giorno nel comune di residenza o di dimora abituale(101), rinnovellandosi, inquest’ultima ipotesi, l’istituto già previsto dall’art. 3, comma 3, della L.1423/1956. Il provvedimento è adottabile anche senza preventivo avviso orale,e ciò costituisce la peculiarità dell’ipotesi applicativa in materia antimafiarispetto alle premesse di fatto richieste per l’irrogazione del provvedimento neiconfronti dei soggetti a pericolosità semplice, o non qualificata. La propostapuò essere avanzata dal Procuratore Nazionale Antimafia(102), dal Procuratore

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CAPITOLO III

(98) -Cass. pen., Sez. I, 30 maggio 1995.(99) -Cass. pen., Sez. I, 9 dicembre 1991.(100) -Cfr. art. 3 della legge 1423/1956, commi 1 e 3.(101) -Si tratta dell’unica ipotesi residuale di limitazione della libertà di circolazione imposta al sog-

getto prevenuto, dopo le modifiche intervenute sull’istituto. Nel testo originario, era previ-sta anche l’ipotesi dell’obbligo di soggiorno in Comune diverso da quello di residenza,ricompreso nella stessa Provincia o Regione o che fosse stato sede di ufficio di polizia. Laipotesi successiva, quella cioè dell’obbligo di soggiorno in una località specificamente indi-cata dal Questore ed avente idonee caratteristiche territoriali e di sicurezza, è stata abrogatadall’art. 1, comma 2, della legge 24 luglio 1993, n. 256.

(102) - Il Procuratore Nazionale Antimafia è stato istituito dall’art. 6 della legge 20 gennaio 1992,n. 8, di conversione del Decreto legge 20 novembre 1991, n. 367, “Coordinamento delleindagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata”, con la introduzione dell’art.76 bis del Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, “Ordinamento giudiziario”. Per gli appro-fondimenti, vds. ultimo capitolo.

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della Repubblica del circondario di dimora della persona interessata e dalQuestore. La precedente normativa attribuiva la facoltà di proposta ancheall’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenzamafiosa(103).

Le facoltà previste da quest’ultima disposizione, a seguito di modificheordinative del comparto di contrasto, sono state assunte dal Direttore dellaDirezione Investigativa Antimafia, il quale, ai sensi del D.M. 23 dicembre1992, ha la facoltà di avanzare proposta di misura di prevenzione al Tribunalecompetente nei confronti di persone pericolose ex art. 1 L. 575/1965(104).

Nel quadro generale del sistema è rinvenibile, inoltre, una particolareforma di innesco del procedimento: è previsto difatti, all’art. 23 bis della legge646/1982, che, in caso di procedimento nei confronti di imputato per i delittidi cui all’art. 416 bis c.p. e all’art. 75 della legge 685/1975(105), il PubblicoMinistero titolare ne informa, senza ritardo, il Procuratore della Repubblica ter-ritorialmente competente per l’eventuale attivazione del procedimento di appli-cazione di una misura di prevenzione antimafia, qualora già non pendente(106).

L’attività informativa viene supportata, in fase successiva, dalla trasmissio-ne degli atti di interesse da parte del titolare del procedimento penale al giudi-ce competente per il procedimento preventivo, qualora non sussistano esigenzedi secretazione. Si tratta, in sostanza, di una necessaria attività di coordinamen-to investigativo e di valorizzazione del patrimonio informativo, che, qualoranon assurgente a dignità di prova, ben può assumere la sufficienza indiziaria peruna misura di prevenzione, pure incidente sull’illiceità dei sodalizi mafiosi. Lanorma si impone per la introduzione del principio di obbligatorietà dell’azionepreventiva, da taluni sostenuto(107).

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(103) -L’attribuzione promanava dall’art. 1 quinquies del D.L. 6 settembre 1982, convertito nellalegge 12 ottobre 1982, n. 726, aggiunto dall’art. 2 della legge 15 novembre 1988, n. 486.

(104)- La disposizione è stata integrata dal successivo D.M. 30 novembre 1993, che ha esteso lafacoltà propositiva anche per le misure di carattere patrimoniale.

(105) -Si tratta della previgente normativa in tema di stupefacenti.(106) -L’art. è stato introdotto dall’art. 9 della legge 19 marzo 1990, n. 55.(107) -Sull’argomento, cfr.: DI CASOLA, Dalla marginalità sociale alla macro - criminalità: Una

panoramica introduttiva delle principali questioni, in Nuove forme di prevenzione della crimi-nalità organizzata: gli strumenti di aggressione dei profitti di reato e le misure di prevenzione,cit., pag. 91.

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La dottrina prevalente afferma, difatti, che la norma imponga, oramai,l’esercizio dell’azione di prevenzione, in parallelo con il procedimento penale,quando si procede nei confronti di persone indagate per associazione di tipomafioso. Sulla base del comma 2 della norma, laddove viene prevista la secreta-zione degli atti, è da ritenersi che il P.M. possa disporre in tal senso durante l’in-tera fase delle indagini preliminari, con la conseguente interdizione dell’azionedi prevenzione, ma che appena inizi l’azione penale, con la formulazione del-l’imputazione, abbia l’obbligo giuridico di investire il Tribunale della prevenzio-ne, originando un sistema legittimamente definibile del doppio procedimentocontemporaneo.

5. Effetti sanzionatori dei provvedimenti preventivi

L’art. 5 prevede la reclusione da due a cinque anni per il sorvegliato spe-ciale che si renda responsabile di allontanamento abusivo dal Comune o dallafrazione del Comune di soggiorno obbligatorio(108). In tal caso, la polizia giudi-ziaria può procedere all’arresto anche fuori dei casi di flagranza. È stato ritenu-to che il reato in questione non si configura come istantaneo, bensì come per-manente, talché la consumazione si protrae per tutto il tempo in cui l’agente sisottrae senza giustificato motivo alla misura cui è sottoposto(109).

Si tratta di una ipotesi sanzionatoria aggravata rispetto a quelle già previ-ste dagli artt. 9, comma 2, e 12, comma 1, della L. 1423, pure riferite ad obbli-ghi e prescrizioni connessi alla misura. I rapporti di covigenza tra i due diversiistituti sono stati chiariti dalla Cassazione, che ha specificato che l’art. 5 riguar-da l’inosservanza dell’obbligo di soggiorno unicamente da parte dei soggettiindicati dall’art. 1 L. 575/1965, mentre l’art. 9 comma 1 L. 1423/1956 concer-ne i casi di trasgressione alla sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di sog-giorno, riguardanti qualsiasi categoria di soggetti, e quindi anche quella degliindiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso(110).

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CAPITOLO III

(108) -La norma fu integralmente sostituita dall’art. 17 della legge 13 settembre 1982, n. 646.(109) -Cass. Pen., 18 dicembre 1984.(110) -Cass. Pen., 25 gennaio 1993.

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Le persone sottoposte a misura di prevenzione con provvedimento defini-tivo sono, inoltre, destinatarie di talune norme collaterali, che aggravano il regi-me sanzionatorio in determinate posizioni di fatto. In particolare:

- all’art. 7(111) viene previsto un aumento di pena da un terzo alla metà peralcuni delitti previsti dal c.p.(112) ed un aumento di pena, secondo i criteri fissa-ti dall’art. 99 c.p., per talune contravvenzioni previste nello stesso codice(113);vengono, altresì, previste la procedibilità d’ufficio, anche per reati generalmen-te perseguibili a querela (all’evidente scopo di evitare la possibile influenza nega-tiva di intimidazioni e condizionamenti), e l’arresto anche fuori dei casi di fla-granza; inoltre, sono stati stabiliti limiti temporali di applicabilità dell’aggravan-te, nel senso che, premessa comunque l’esistenza di provvedimento definitivo diirrogazione della misura, il reato deve essere commesso durante il periodo diapplicazione della misura stessa o nel corso dei tre anni successivi, a far tempodalla data di cessazione della esecuzione;

- all’art. 8 viene prevista la esclusione assoluta dalla concessione di licen-ze per detenzione e porto d’armi, nonché per la fabbricazione, deposito, ven-dita e trasporto di materie esplodenti; viene prevista la revoca in caso di prece-dente concessione; l’aspetto assai interessante della norma è che essa va inter-pretata nel senso che i divieti elencati valgono per le persone che siano soltan-to indiziate di appartenenza ad associazione mafiosa, indipendentemente dalladefinizione del relativo provvedimento di prevenzione. In tal senso, in unadelle prime pronunce sulla delicata materia, si argomentò che all’Autorità diP.S. compete un autonomo potere di accertamento dell’indizio de quo solo perònell’ipotesi non penale di cui all’art. 8.

Tuttavia, in tal caso, la pronuncia deve delimitarsi al rifiuto o alla revocadella licenza in materia di armi e non può ritenersi legittimo un accertamentofatto in via preventiva ed autonoma al di fuori della suddetta necessità(114); inpratica, l’Autorità competente al rilascio della licenza è autorizzata ad accerta-

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(111) -L’attuale versione della norma è la risultante della sostituzione operata dall’art. 6, comma 1,D.L. 13 maggio 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.

(112) - Si tratta degli artt. del c.p. 336, 338, 353, 378, 379, 416, 416 bis, 424, 435, 519 bis, 575, 605,610, 611, 612, 628, 629, 630, 632, 633, 634, 635, 636, 637, 638, 640 bis, 648 bis e 648 ter.

(113) -Si tratta degli artt. del c.p. 695, primo comma, 696, 697, 698, 699.(114) -Pretore di Reggio Calabria, 26 luglio 1965.

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re se l’istante, anche se solo in via indiziaria, appartenga a consorterie mafiose(115);- all’art. 9 viene previsto un aumento di pena per i reati connessi alle armi

alterate o alle armi e materie esplodenti, di cui alla legge 18 aprile 1975, n. 110;deve trattarsi di reati concernenti le armi e le munizioni da guerra e tipo guer-ra (art. 1 L. 110/1975), ovvero di armi e munizioni comuni da sparo (art. 2della stessa legge, limitatamente ai commi 1 e 2).

Il successivo art. 10(116) estende il suo ambito di applicazione alla limitazio-ne di attività lecite, che vengono interdette alle persone sottoposte a misura diprevenzione.

Queste non possono ottenere:- licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;- concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché conces-

sioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività impren-ditoriali;

- concessioni di costruzione, nonché di costruzione e gestione di opereriguardanti la Pubblica Amministrazione e la concessione di servizi pubblici;

- iscrizioni negli albi di appaltatori o fornitori di opere, beni e serviziriguardanti la Pubblica Amministrazione e nell’albo nazionale dei costruttori,nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’in-grosso e nei registri dei commissionari astatori presso i mercati annonariall’ingrosso;

- altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concesso-rio o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunquedenominate;

- contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dellostesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, dialtri enti pubblici e delle Comunità Europee, per lo svolgimento delle attivitàimprenditoriali.

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CAPITOLO III

(115) -Sull’argomento: MARINO, La tutela giurisdizionale del cittadino nel sistema delle misure di pre-venzione e della legge antimafia, in GIUR. IT., 1966, II, pag. 193.

(116) -Si tratta di una norma che, nel tempo, è stata sottoposta a varie rivisitazioni e successiviaggiustamenti, venendo dapprima sostituita dall’art. 19 della legge 13 settembre 1982, poiintegrata dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1982, n. 936, infine sostituita integralmente dal-l’art. 3 della legge 19 marzo 1990, n. 55.

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In tale ottica, la norma prevede che, allorché sia reso definitivo il provve-dimento di applicazione della misura, si determini la decadenza delle situazioniautorizzatorie di cui sopra, oltre al divieto di concludere contratti di appalto, dicottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la PubblicaAmministrazione, nonché i relativi subcontratti, i cottimi di qualsiasi tipo, inoli a caldo e le forniture con posa in opera.

Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate d’ufficio, mentrele iscrizioni vengono cancellate a cura degli organi competenti. In pendenza delprocedimento di irrogazione, il Tribunale, ove rilevi motivi di particolare gravi-tà, può dare attuazione provvisoria ai divieti suddetti e sospendere l’efficaciadelle iscrizioni, delle erogazioni e degli altri provvedimenti ed atti connessi.

Il provvedimento del Tribunale è soggetto, in qualsiasi momento, a revo-ca da parte del giudice procedente e perde naturalmente efficacia nella ipotesidi non irrogazione del provvedimento definitivo.

È data, infine, facoltà al giudice di poter rinunciare all’applicazione deiprovvedimenti che incidono su autorizzazioni e licenze di polizia, allorquandosia concretamente verificato che le decadenze o divieti possano incidere negati-vamente sui mezzi di sostentamento dell’interessato e della sua famiglia; natu-ralmente sono esclusi dall’eccezione gli atti autorizzativi connessi ad armi,munizioni e materie esplodenti.

Nel complesso, si tratta di un complesso di decadenze di diritto, che nonrichiedono la emanazione di uno specifico ed apposito provvedimento: in talsenso, è stato osservato che si tratta di un meccanismo amministrativo che rap-presenta una vera e propria capitis deminutio per il soggetto colpito da misuradi prevenzione personale(117).

Tali misure interdittive, tuttavia, hanno suscitato pareri diversificati daparte della dottrina. Anzitutto è stato osservato che ci si trova dinanzi ad unasanzione amministrativa obbligatoria, scaturente dal venir meno dei requisiti diidoneità del soggetto(118).

È stato altresì osservato che i provvedimenti in questione, nonostante la

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(117) -LUPACCHINI, Le misure di polizia per la prevenzione della criminalità organizzata, in CRIT.PEN., 1991, pag. 1017.

(118) -MACRÌ C. e V., La legge antimafia, Jovene, Napoli, 1983, pag. 156.

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loro collocazione nell’ambito di una normativa afferente alle situazioni antedelictum, esprimono una e vera e propria misura a carattere penalistico a cagio-ne dei limiti che impongono nell’ambito delle iniziative imprenditoriali(119). Allemisure non viene inoltre riconosciuta la natura di pena accessoria, trattandosidi misure di ordine sanzionatorio che esplicano i loro effetti quale espressionedi supremazia che compete all’amministrazione(120).

6. L’estensione soggettiva dei provvedimenti preventivi

Nel quadro della generale capacità di espansione delle misure antimafia,intesa a neutralizzare concretamente l’espansione dell’economia illecita, la normadell’art. 10 estende l’applicazione dei provvedimenti, ai sensi del comma 4, anchenei confronti di chiunque conviva con la persona soggetta alla misura, nonchénei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui il prevenuto siaamministratore o sia, a qualsiasi titolo, condizionatore di scelte e indirizzi.

Il provvedimento, cui si perviene su richiesta del Procuratore dellaRepubblica o del Questore, può essere adottato, in caso ne sussistano le condi-zioni, anche dopo l’applicazione della misura e vi provvede lo stesso Tribunaletitolare del provvedimento principale, del cui procedimento vengono adottatele medesime forme. Si tratta di una ipotesi cautelare, intesa ad evitare che il pre-venuto, pur nella fase di esecuzione del provvedimento, aggiri l’efficacia di que-st’ultimo, continuando a gestire la propria influenza in aree economiche e pro-duttive comunque contigue alla criminalità organizzata. Risulta chiaro, tuttavia,che, per l’evidente incidenza del provvedimento su persone non direttamenteconnotate da pericolosità, le legge ha previsto un maggiore sostegno di garan-zie. Difatti, l’art. 10 quater (121) ha previsto l’ingresso nel procedimento delleparti interessate, da chiamarsi con decreto motivato; esse possono, anche con lapresenza di un difensore, addurre in camera di consiglio le loro deduzioni,

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CAPITOLO III

(119) - CURI, Commenti articolo per articolo l. 19 marzo 1990, n. 55, art. 3, in LEG. PEN., 1991, pag. 398.(120) -T.A.R. Lombardia, 9 dicembre 1985, n. 351.(121) -La norma è stata inserita dall’art. 20 della legge 13 settembre 1982, n. 646, con successive

modifiche operate dall’art. 5, commi 1 e 2, della legge 19 marzo 1990, n. 55.

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facendo anche richiesta di acquisire ogni utile elemento ai fini della decisione,cui, peraltro, si perviene a seguito di accertamenti condotti secondo le formepreviste dagli artt. 2 bis e 2 ter della legge 575/ 1965.

7. Le misure di tutela della Pubblica Amministrazione

Il legislatore ha previsto, a lato delle disposizioni di cui si è detto, delle normeche rendano effettivo il sistema di prevenzione e che apprestino una sostanziale effi-cacia del sistema di autocontrollo della Pubblica Amministrazione, concependo, trale altre, delle norme penali specificamente intese ad evitare delle possibili collusio-ni di pubblici funzionari con la criminalità organizzata. Innanzitutto, la concessio-ne di autorizzazioni e licenze e la stipula di contratti con la P.A. non possono attuar-si nei confronti di persone nei cui confronti è in corso procedimento di prevenzio-ne, senza preventiva comunicazione al giudice competente, il quale, in tale penden-za ed in sussistenza di presupposti, può disporre i divieti e le sospensioni previstedalla norma. Tuttavia, i relativi procedimenti amministrativi sono soggetti asospensione fino al provvedimento del giudice e comunque per un periodo nonsuperiore ai venti giorni dalla comunicazione da parte della P.A.

L’art. 10 bis (122) stabilisce modalità applicative, procedure ed attribuzioniper l’attuazione dei provvedimenti enunciati dall’articolo precedente. È previstoun intervento sanzionatorio, con la reclusione da due a quattro anni, nei con-fronti del funzionario o dipendente infedele, che, malgrado l’intervenuta deca-denza o sospensione, non dispone, entro trenta giorni dalla comunicazione, ilritiro delle licenze, autorizzazioni, abilitazioni o la cessazione delle erogazioni oconcessioni ovvero la cancellazione dagli albi(123); è prevista l’ipotesi colposa, conla pena della reclusione da tre mesi a un anno.

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(122) -Aggiunto dall’art. 20 della legge 13 settembre 1982, n. 646, successivamente integrato dal-l’art. 3 della legge 23 dicembre 1982, n. 936 e dall’art. 4 della legge 19 marzo 1990, n. 55.

(123) -L’ipotesi penale è stata configurata dall’art. 20 della legge 13 settembre 1982, n. 646, suc-cessivamente modificato dall’art. 4, comma 4, della legge 19 marzo 1990, n. 55. Con lanorma si prevede l’applicazione delle stesse pene anche in caso di rilascio di licenze, conces-sioni, autorizzazioni o abilitazioni ovvero di iscrizioni nonché di concessione di erogazioniin violazione delle norme recate dall’art. 10.

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Viene sottolineato, nel caso, come il legislatore abbia voluto espressamen-te introdurre una norma specifica diretta a mettere in guardia i pubblici funzio-nari, pur potendo già disporre della sanzione generale prevista dall’art. 328 c.p.Ma, se si è ritenuto di dover apprestare un reato specifico, ciò significa che èstato ritenuto poco adatto il tradizionale strumento repressivo previsto dal codi-ce sostanziale; in tal senso, l’introduzione della ipotesi colposa trova fondamen-to nella difficoltà di estrapolare la prova del dolo omissivo(124).

Analogamente, all’art. 10 quinquies (125), viene prevista la reclusione da duea quattro anni per il pubblico amministratore, il funzionario o il dipendentedello Stato o di altro ente pubblico, ovvero il concessionario di opere e di servi-zi pubblici che consente alla conclusione di contratti o subcontratti in violazio-ne dei divieti di cui all’art. 10; anche in questo caso, come per il precedente,viene ipotizzata, con la stessa pena, l’ipotesi colposa.

Si tratta di un reato proprio, monosoggettivo, dal momento che il legisla-tore ha voluto privilegiare il consenso del soggetto indicato alla stipulazione delcontratto invece della intesa negoziale, con la conseguenza, altresì, della ipotiz-zabilità della fattispecie di compartecipazione eventuale ex art. 110 c.p.(126);viene inoltre ipotizzata la forma di concorso con i reati di cui agli artt. 319 e323 c.p.

È stato infine osservato che il “consentire alla conclusione”, espressamen-te previsto nella norma in esame, non deve intendersi limitato alla semplicecondotta relativa alla prestazione del consenso necessaria per la stipulazione delcontratto, ma deve ritenersi estensibile ad ogni altra forma di cointeressenza allaformazione del contratto, finanche in termini di semplice agevolazione(127).

In tale generale ambito di predisposizioni difensive, deve essere collocatala previsione dell’art. 21 L. 646/1982.

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CAPITOLO III

(124) -FIANDACA, Le nuove norme incriminatici dirette a responsabilizzare i pubblici amministratori,in FORO IT., 1984, pag. 277.

(125) -Anche questo art. è stato introdotto dall’art. 20 della legge 13 settembre 1982, n. 646, e,dopo altri interventi, presenta l’attuale lettura a seguito della parziale integrazione operatadall’art. 6, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55.

(126) -ZANOTTI, Commenti articolo per articolo l. 19 marzo 1990, n. 55, art. 6, cit., pag. 407.(127) -TAORMINA, Fattispecie contrattuali, certificato antimafia e responsabilità penale del pubblico

amministratore, in GIUST. PEN., 1990, II, c. 449.

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La norma prevede che chiunque, avendo in appalto opere riguardanti laP.A., concede, anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, leopere stesse, in assenza di autorizzazione dell’Autorità competente, è punito:

- con l’arresto da sei mesi ad un anno;- con l’ammenda non inferiore ad un terzo del valore dell’opera concessa

in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivodell’opera ricevuta in appalto.

Sono previste pene anche nei confronti del subappaltatore e dell’affidata-rio del cottimo, nei cui confronti viene prevista la pena dell’arresto da sei mesiad un anno, unitamente all’ammenda pari ad un terzo del valore complessivodell’opera. Inoltre, l’Amministrazione appaltante può esercitare la facoltà dichiedere la risoluzione del contratto. Ove, tuttavia, l’Amministrazione intendarilasciare l’autorizzazione prevista, essa deve procedere alla verifica dei requisitidi idoneità tecnica del subappaltatore, nonché del possesso dei requisiti sogget-tivi per l’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori; l’autorizzazione, tuttavia,non può essere rilasciata nei casi previsti dal citato art. 10 quinquies.

8. Le interdizioni alle cariche elettive

Degli ulteriori accorgimenti sono stati individuati dal legislatore pergarantire la effettività del sistema anche nel più generale e delicato ambito dellabuona gestione della cosa pubblica.

L’art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55(128) dispone taluni limiti: alla let-tera f ) del comma 1 viene disposto che coloro nei cui confronti il Tribunale haapplicato, con provvedimento definitivo in base alla sentenza n. 141 del 6 mag-gio 1996 della Corte Costituzionale, una misura di prevenzione, in quanto indi-ziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all’art. 1 della legge575/1965, non possono:

- essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscri-zionali;

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(128) - Il capo II è specificamente dedicato all’ambito di applicazione delle leggi 31 maggio 1965,n. 575, e 13 settembre 1982, n. 646.

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- ricoprire le cariche di presidente di giunta regionale, assessore e consigliereregionale, presidente di giunta provinciale, sindaco, assessore e consigliere provin-ciale e comunale, presidente e componente di consiglio di amministrazione deiconsorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comu-ni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istitu-zioni ex art. 23 legge 8 giugno 1990, n. 142, amministratore e componente degliorgani comunque denominati delle unità sanitarie locali, presidente e componentedegli organi esecutivi delle comunità montane.

9. La prevenzione ante delictum nei confronti di altre forme di criminalità

L’istituto della sorveglianza speciale, così come concepito dalla legislazioneantimafia, con le disposizioni connesse, si inserisce, divenendone elemento por-tante, anche nel sistema che in anni successivi venne apprestato a difesa dell’or-dinamento costituzionale, nell’azione di contrasto contro la criminalità politica.Difatti, la legge 22 maggio 1975, n. 152, “Disposizioni a tutela dell’ordine pub-blico”, recepisce quasi per intero le disposizioni della legge 575/1965, per appli-carle ad una categoria di soggetti ben individuati dall’art. 18, e cioè a coloro che:

- operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori,obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con lacommissione di uno dei reati previsti dal capo I titolo VI, del libro II del codi-ce penale(129) o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stes-so codice, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo ancheinternazionale(130);

- abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge20 giugno 1952, n. 645(131), e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il com-

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CAPITOLO III

(129) - Il Titolo VI del c.p. comprende i Delitti contro l’incolumità pubblica, mentre il Capo I rag-gruppa i Delitti di comune pericolo mediante violenza.

(130) - Il comma è stato modificato dall’art. 7 del D.L. 18 ottobre 2001, convertito in legge 15dicembre 2001, n. 438.

(131) -Si tratta delle “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (commaprimo) della Costituzione”, meglio nota come Legge Scelba. La legge disciplina in manieraorganica la repressione delle attività neofasciste e la ricostituzione del partito fascista.

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portamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quellaprecedente;

- compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostru-zione del partito fascista ai sensi dell’art. 1 della citata legge n. 645 del 1952, inparticolare con l’esaltazione o la pratica della violenza;

- fuori dei casi indicati nei numeri precedenti, siano stati condannati peruno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895(132), e negli articoli 8e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497(133), e successive modificazioni,quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano pro-clivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato nel precedenten. 1). La normativa estende il suo ambito di applicazione anche agli istigatori,ai mandanti e ai finanziatori. Il successivo art. 20 stabilisce che le indagini fina-lizzate ad acquisire elementi utili per l’applicazione della misura in questionesono condotte dal procuratore della Repubblica, sia direttamente sia avvalendo-si della polizia giudiziaria. Infine, con riferimento ai soggetti elencati alla lett.a), giova precisare che il riferimento agli indiziati di appartenenza ad organizza-zioni eversive internazionali è stato introdotto dalla recente normativa introdot-ta dalla L. 438 /2001, recante “Disposizioni urgenti per contrastare il terrori-smo internazionale”. La legge, emanata in un contesto temporale di grave pre-occupazione per la efferatezza di gravi attacchi terroristici lesivi della pace inter-nazionale, ha rivisitato le fattispecie penali nello specifico settore, prevedendoun allargamento sanzionatorio delle condotte eversive, con la rimodulazionedell’art. 270 bis c.p., oggi rubricato come “Associazioni con finalità di terrori-smo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico

(134)”. Gli istitu-

ti della legislazione antimafia in tema di prevenzione possono trovare applica-zione anche in riferimento ad altre categorie: difatti, l’art. 14 della L. 55/1990stabilisce che i provvedimenti previsti dalla L. 575/1965 possono essere appli-cati anche ai soggetti indicati nel numero 2) del primo comma dell’art. 1 dellaL. 1423/1956, quando l’attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(132) -Si tratta della legge contenente “Disposizioni per il controllo delle armi”.(133) -Si tratta della legge recante “Nuove norme contro la criminalità”.(134) -CORTELLESSA, La nuova normativa in tema di terrorismo internazionale, su RASSEGNA

DELL’ARMA DEI CARABINIERI, n. 2, anno L, aprile-giugno 2002, pagg. 100-109.

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sia una di quelle previste dagli articoli 629, 630, 648 bis o 648 ter del codicepenale(135), ovvero quella di contrabbando.

10. L’intervento preventivo nei confronti degli Enti Locali

La particolare capacità di incidenza che la criminalità organizzata ha dimo-strato di saper esercitare sulla libera attività di organismi pubblici, condizionan-done scelte e limitandone la stessa sovranità, ha indotto il legislatore ad interve-nire con un comparto normativo ad hoc, che trovava la sua espressione nelDecreto Legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito con modificazioni, nellalegge 22 luglio 1991, n. 221 “Misure urgenti per lo scioglimento dei consiglicomunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenome-ni di infiltrazione e di condizionamento mafioso

(136)”. Attualmente la normativa

è confluita nel d.lgs 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico delle leggisull’ordimento degli enti locali. Il d.lgs. 267/2000 ha formalmente abrogato ild.lgs 164/1991. Si tratta di una normativa di particolare incidenza, che trova ori-gine nelle diverse istanze tese ad evitare la collusione tra organizzazioni crimina-li e parti corrotte della P.A.; si è avvertita, nella pratica, l’esigenza di allargare ilcontrasto sull’insidioso mercato nel quale si incontrano il mafioso ed il politico.Si è verificato, in alcuni non rari casi, che il primo offre voti, cioè, in ultima ana-lisi, consenso, il secondo garantisce, implicitamente o anche apertamente, di ren-dere sensibili le funzioni pubbliche agli interessi dell’organizzazione mafiosa.

La particolare vocazione strategica della legge è essenziale anche dal punto divista della erosione dei margini di consenso che la criminalità organizzata trovaall’interno della società, ove si tenga conto che la mafia è una forma di criminalitàche tende comunque ad esercitare una sovranità territoriale assoluta e fonda il suopotere non solo sull’intimidazione e la violenza, ma anche sulla eventuale debolez-za e sulla colpevole arrendevolezza di talune istituzioni, nonché sul consenso, espli-cito e convinto.

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CAPITOLO III

(135) -Si tratta dei reati di estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, riciclaggio edimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

(136) -La legge veniva successivamente modificata ed integrata dal D.L. 20 dicembre 1993, n. 529,convertito nella legge 11 febbraio 1994, n. 108.

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L’art. 143 d.lgs n.267/2000, nell’introdurre l’art. 15 bis della legge 19marzo 1990, n. 55, prevede importanti strumenti di tutela, nella pratica dellemisure interdittive di speciale prevenzione

(137), consentendo la possibilità di scio-

glimento dei consigli comunali e provinciali, allorché emergano risultanze dicollegamento diretto o indiretto degli amministratori con la criminalità orga-nizzata. La norma individua, altresì, ulteriori condizioni a premessa del provve-dimento, laddove il condizionamento degli stessi amministratori sia tale da:

- compromettere la libera determinazione degli organi elettivi e il buonandamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolarefunzionamento dei servizi alle stesse affidati;

- arrecare grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica.Proprio quest’ultima indicazione, che richiama i concetti posti a fonda-

mento delle misure di tipo personale, e cioè la pericolosità sociale in rapportoad un ambiente contrassegnato da criminalità di tipo mafioso, lascia ritenere,pur in assenza di una specifica tradizione dottrinale, che il provvedimento inquestione ben possa qualificarsi come una misura di prevenzione a carattere col-lettivo, attraverso la quale lo Stato apparato appresta una sorta di autotutela,laddove veda minacciato il corretto andamento della cosa pubblica.

Lo scioglimento viene disposto con Decreto del Presidente dellaRepubblica ed è adottato su proposta del Ministro dell’Interno, previa delibera-zione del Consiglio dei Ministri. Esso ha carattere temporaneo, avendo vigenzatra i dodici ed i diciotto mesi, prorogabili fino ad un massimo di ventiquattromesi laddove ciò sia esigibile per gravi motivi di ordine pubblico.

Il provvedimento di scioglimento deliberato dal Consiglio dei Ministriviene trasmesso alle Camere ed al Presidente della Repubblica per la emanazio-ne del decreto. Allorché emanato, esso viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.La procedura trova scaturigine dalla iniziativa del Prefetto della Provincia, ilquale predispone all’uopo una relazione nella quale sono indicati i motivi chene determinano la proposta. In tale contesto, è consentito all’autorità propo-nente, in caso di pendenza di procedimento penale, di richiedere preventiva-mente informazioni al Procuratore della Repubblica competente, il quale, in

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(137) -GALLO, alla voce Misure di prevenzione, su ENCICLOPEDIA GIURIDICA TRECCANI, pag. 26.

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deroga all’obbligo imposto per le indagini preliminari, fornisce le informazioniche ritiene non debbano essere secretate. Con il decreto di scioglimento, vienenominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, composta datre membri scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tramagistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza: l’organoè destinato a rimanere in carica fino allo svolgimento del primo turno elettora-le utile. È stato sottolineato come la scelta del legislatore in favore di un organocollegiale sia maggiormente aderente alle necessità di immediato ripristino dellalegalità e della credibilità dello Stato in aree fortemente condizionate dalla pre-varicazione criminale(138).

Deve sottolinearsi che l’esigenza fonda anche su ragioni di cautela, doven-dosi evitare di accentrare su una sola persona le eventuali quanto probabili ritor-sioni da parte della criminalità organizzata. L’azione intrapresa per il ritorno anormali condizioni di gestione viene monitorata dal Ministero dell’Interno,presso cui è costituito un apposito Comitato di sostegno e di supporto all’atti-vità delle Commissioni Straordinarie e dei Comuni nuovamente riaffidati allagestione ordinaria. Situazioni di urgente necessità possono indurre il Prefetto,in attesa del decreto di scioglimento, a sospendere gli organi dalla carica rico-perta, nonché da incarichi ad essa connessi, per un periodo non superiore a ses-santa giorni, garantendo la funzionalità dell’ente con l’invio di commissari.

Particolari accorgimenti sono assicurati per la conduzione dell’ente duran-te la gestione commissariale: difatti, allorché sia necessario assicurare il regolarefunzionamento dei servizi, il Prefetto, sulla scorta di richiesta avanzata dallaCommissione, può disporre l’assegnazione, in via temporanea ed in posizionedi comando o di distacco, di personale amministrativo e tecnico diAmministrazioni ed Enti Pubblici, previa intesa con gli stessi, anche in posizio-ne di sovraordinazione. Il provvedimento poggia sulla necessità, avvertita innumerose esperienze, di arginare i pesanti condizionamenti attuati anche nei con-fronti del personale degli enti da parte delle consorterie mafiose e per far frontealle non infrequenti manifestazioni di boicottaggio verso le Commissioni, eserci-tate da taluni segmenti del comparto burocratico degli stessi enti commissariati.

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CAPITOLO III

(138) -NANULA, La lotta alla mafia, Giuffrè, 1994, II ed., pag. 152.

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È risultata di tutta evidenza, talvolta, l’azione di frenaggio al ristabilimentodella legalità da parte di alcuni dipendenti degli enti in questione, magari essi stes-si fiancheggiatori dei sodalizi ed assunti in base a logiche clientelari, derivanti daun serrato controllo malavitoso delle strutture pubbliche: si è trattato, in talunecircostanze, anche del tentativo di dimostrare una asserita inutilità dei provvedi-menti del Governo, in modo da screditare il prestigio dello Stato e dimostrare laincapacità dello stesso nel ristabilire condizioni di riaffermata legalità.

Lo scioglimento degli organi rappresentativi degli enti locali è stato ogget-to di qualche perplessità circa la loro aderenza ai principi costituzionali. L’AltaCorte, nella sostanza, ha sostenuto gli intendimenti del legislatore, poggiandole sue argomentazioni sul carattere straordinario ed urgente delle misure, fina-lizzate, nella loro essenza, a contrastare in definitiva, l’aggressione della crimina-lità organizzata in un contesto territorialmente distinto. Si è sostenuto, difatti,che la natura del provvedimento di scioglimento non mira a sanzionare diretta-mente il comportamento dei singoli eletti, bensì la promiscuità dell’intero orga-no elettivo con i segmenti criminali della società(139).

I provvedimenti, nella sostanza, sono stati giudicati come un legittimo stru-mento di intervento da proporsi in presenza di accertate situazioni di fatto, cheevidenziano le collusioni e le connivenze del crimine organizzato sugli organi digoverno locale e che, per ciò stesso, richiedono una risposta rapida ed efficace, ido-nea a ristabilire la trasparenza, la legalità e l’imparzialità dell’Amministrazione. Lastessa Corte ha ampiamente chiarito che lo scioglimento non incide affatto suidiritti di elettorato attivo e passivo, poiché non scalfisce né il diritto di voto delsingolo, né la facoltà di accedere a cariche elettive; ciò che si intende intaccareè invece l’utilizzo di strumenti realizzati dalla sovranità popolare per finalità bendistanti dalla buona vita della moltitudine.

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IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

(139) - Corte Cost., n. 103 del 19 marzo 1993.

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CAPITOLO IV

LE MISURE DI

PREVENZIONE PATRIMONIALI

Giovanni DI BLASIO

SOMMARIO: 1. L’ordine economico e le nuove frontiere della lotta al crimine organizzato. - 2.Finalità delle misure patrimoniali e profili di costituzionalità. -3. Le indagini patrimo-niali. - 4. Il sequestro e la confisca. - 5. Le misure di prevenzione patrimoniali e i beniacquisiti prima della L. 646/82. - 6. La cauzione. - 7. La sospensione dalla amministra-zione dei beni. - 8. Il terzo nel procedimento di prevenzione e nei provvedimenti inter-dittivi e decadenziali.

1. L’ordine economico e le nuove frontiere della lotta al crimine organizzato

Pur dovendo prescindere, per ambito specifico di trattazione, da valutazio-ni di carattere sociologico, appare opportuno, prima di esaminare le misure diprevenzione patrimoniali, formulare alcune osservazioni di politica criminale,utili per meglio comprendere le scelte operate dal legislatore al riguardo.

Alla base della espressione mafiosa, vi è, comunque e sempre, una volontàdi accumulazione di capitali in tempi brevi, con modalità illecito-parassitarie, inun quadro operativo che si estende ormai oltre i confini nazionali(140).

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(140) -CARINGELLA, Lo status di sottoposto a misura di prevenzione. Riflessi amministrativi, con parti-colare riferimento alla legislazione in tema di appalti pubblici, in ATTI DEL CONVEGNO, cit.

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Da qui la necessità, per i gruppi criminali, di presupposti operativi fonda-mentali, quali i rapporti con ambienti dell’alta finanza internazionale, conmediatori spregiudicati, ecc.

Il sistema più ricorrente di arricchimento è, come noto, il traffico delladroga, che richiede forti legami a livello internazionale; non vanno trascurati, intale considerazione, il contrabbando di armi e sigarette, i sequestri di persona ascopo di estorsione, che producono alla criminalità elevati fatturati, l’intromis-sione nell’assegnazione degli appalti e dei subappalti, le truffe in danno dellaCEE, attivate con condotte e modalità insinuose.

Gli ingenti capitali accumulati vengono inseriti dalla criminalità del 2°livello nel circuito delle banche e delle società finanziarie, nazionali ed estere,attraverso canali neri: per le mafie è perciò necessario uno stretto legame con icanali puliti della finanza. Il danaro, così canalizzato verso nuove direzioni,viene investito, delineandosi quindi l’attività criminosa del 3° livello, che pog-gia la sua forza sulla disponibilità di un capitale non sofferto, che rende diffici-le la competizione da parte della imprenditoria onesta.

Ne deriva la necessità di un sistema legislativo capace di colpire quel per-verso arricchimento che poggia su una apparente, e quindi piú pericolosa, fac-ciata di liceità.

Fatte salve le diverse connotazioni strutturali, sociali e culturali, le espres-sioni criminose esterne dei vari sodalizi hanno subìto, negli ultimi anni, evolu-zioni egualmente orientate ad elevare il proprio potenziale attraverso l’acquisi-zione dell’illecito controllo di attività economiche(141).

Da questo quadro emerge una situazione indicatrice della elevata poten-zialità disgregante della mafia, che minaccia l’intero sistema economico, costi-tuendo una variabile non facilmente prevedibile e fronteggiabile. Essa è capacedi condizionare la pianificazione economica, il senso della libera iniziativaimprenditoriale, il quadro dei rapporti interni. E comunque, ciò che allarma èla capacità di condizionamento che la mafia imprenditrice ha mostrato nei con-fronti di enti o persone con i quali è entrata in rapporto.

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CAPITOLO IV

(141) -Lo sviluppo della criminalità economica assume un’importanza tanto più forte oggi, in unmondo che si orienta verso la competizione globale, tendendo a costituire una fase patolo-gica di competizione (vedi TONDO, in ATTI DEL CONVEGNO, cit.).

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Non a caso la Commissione Parlamentare di Inchiesta sul fenomeno dellamafia aveva raccomandato misure che colpissero la struttura proprio nel patri-monio, essendo il lucro e l’arricchimento gli obiettivi di questa criminalità, cheben si distingue per origini e funzione storico-politica dalla criminalità comunee dalla criminalità politica strettamente intesa. L’espansione dell’interventomafioso, l’articolazione complessa della mafia che, mentre non trascura alcunsettore produttivo e di servizi, trova nell’intervento pubblico la sua principalecommittenza, facevano quindi esigere più puntuali strumenti(142).

Cominciò, quindi, a delinearsi l’idea di tutelare quell’insieme di rapportie relazioni che i giuristi moderni individuano definendo l’ordine economico,inteso come accezione particolare del più generale concetto di ordine pubblico.In effetti, riesaminando per un momento l’art 416 bis c.p., ciò che esalta ildisvalore penale del fatto descritto sono le modalità di condotta attraverso lequali l’associazione persegue i propri scopi (l’avvalersi della forza di intimidazio-ne del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà chene deriva). Le modalità della condotta tipiche del sodalizio mafioso sono quel-le che individuano il significato dell’offesa. Piuttosto che di tutela dell’ordinepubblico nel suo tradizionale significato, connesso alla pacifica convivenza edalla tranquillità dei rapporti sociali, sembra più opportuno esprimersi in termi-ni di libertà del consenso(143). Il bene tutelato, l’ordine pubblico economico, cor-risponde alla libertà della controparte, considerata nella previsione penale, nongià quindi nella tradizionale prospettiva di tutela individuale, ma come interes-se collettivo.

Sembra opportuno osservare che in questi duecento anni di diritto pena-le, da Cesare Beccaria ad oggi, l’interesse del legislatore non è mai stato diretta-mente orientato ai fatti economici e alla loro tutela. Solo nell’ultimo ventenniole scelte di politica criminale hanno dovuto considerare la necessità di un dirit-to penale dell’economia.

Tale nuovo atteggiamento deve, però, tenere in debito conto i caratteridistintivi di un sistema economico che, per cultura e tradizione, si ispira allamassima libertà e che è sempre stato considerato un hortus clausus ad ogni inge-

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(142) -VIII Legislatura, op. cit., 115.(143) -A. CARMONA, Seminario presso la Scuola Ufficiali Carabinieri, Roma, 1995.

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renza di regole diverse da quelle proprie. Si tratta, quindi, di contemperare ilbisogno di tutela della collettività con le esigenze della libera impresa, di rinve-nire, cioè, un punto di equilibrio tra repressione e libertà(144).

In tale quadro, complesso ed estremamente dinamico, andranno conside-rate le norme relative alle misure di prevenzione patrimoniali di cui ci stiamoper occupare.

2. Finalità delle misure patrimoniali e profili di costituzionalità

Per lungo tempo, come si è evidenziato, il legislatore ha consentito unica-mente l’applicazione di misure preventive incidenti sulla libertà personale, nonammettendo quelle che incidono sulla proprietà privata. Ciò in qualche misuracostituiva un vero e proprio ribaltamento delle previsioni costituzionali, lequali, nella gerarchia dei valori, mettono innanzitutto la libertà e poi la proprie-tà privata. Eppure l’art 41, 2° comma Cost. sancisce espressamente che la liber-tà d’iniziativa economica privata è subordinata al rispetto dell’utilità sociale, allamancanza di danno, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana(145).

L’approccio alle misure patrimoniali è dovuto alla consapevolezza, da partedel legislatore(146), del fatto che la normativa antimafia non può più essere circo-scritta alla salvaguardia dell’ordine pubblico tradizionalmente inteso, ma deveessere estesa all’ordine economico in generale.

Si è, infatti, preso atto che, a fianco della consueta devianza presente nelsettore economico, in virtù della quale molte attività delinquenziali vengonopraticate nel mondo dell’impresa, si è sviluppato un altro fenomeno, in cui rile-vanti obiettivi economici sono perseguiti attraverso il crimine e fini delittuosisono realizzati con strutture imprenditoriali apposite, dando così vita ad un’au-tentica economia criminale.

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CAPITOLO IV

(144) -L. VIOLANTE, Giornata di studio su Economia e criminalità, SCUOLA UFFICIALI CARABINIERI,Roma, 1993.

(145) -C. MACRÌ, - V. MACRÌ, La legge antimafia, Novene, Napoli, 1983, pag. 101.(146) -FIANDACA, Misure di prevenzione profili sostanziali, in DIGESTO DELLE DISCIPLINE PENALISTI-

CHE, VIII, Torino, 1994, 121, prende atto del sensibile progresso nella lotta alla mafia segna-to dalla legge 646/82.

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La ratio delle misure patrimoniali risiede nella necessità di recidere il lega-me tra il soggetto e il suo patrimonio, dal legislatore considerato come loscopo, sotto il profilo dell’accumulo di ricchezza, dell’illecita attività e, nel con-tempo, lo strumento adoperato per poter efficacemente svolgere ed incremen-tare l’attività stessa e, cioè, come causa ed incentivo di ulteriori manifestazionidi pericolosità.

Il primo obiettivo che si intende cogliere attraverso l’irrogazione di misu-re patrimoniali consiste nel consentire il controllo dei beni comunque immessinel regime dell’economia illegale, tramite la vigilanza su coloro che ne dispon-gono. Se infatti il controllo sui beni in sé è alquanto problematico, è più facilepercorrere a ritroso il cammino, partendo dal soggetto a cui i beni o il denarofanno capo, in base a sospetti correlati ad un collegamento tra i due.

Le misure patrimoniali risultano, in realtà, più efficaci ed incisive di quel-le personali, in quanto il timore di subire la confisca dei propri beni opera dafattore dissuasivo dal commettere attività destinate a produrre ricchezze opache.

Esse sono poi meno esposte delle misure personali alle obiezioni di illegit-timità costituzionale. Pur apprezzandosi talune smagliature del sistema, nullasembra infatti da eccepirsi in merito ai profili di carattere costituzionale; la stes-sa Corte Costituzionale ha posto l’intera normativa in una situazione di com-provata legittimità.

Le misure di prevenzione patrimoniali non sono contrastanti con gli artt.13, 35 perché mirano soltanto a prevenire attività illecite svolte nell’ambito deirapporti economici privati. Non sono confliggenti con l’art.25 Cost., poiché lalegge si riferisce ai beni di cui dispone il prevenuto nel momento della sua entra-ta in vigore e prende in considerazione l’appartenenza attuale ad associazionimafiose.

Tale minor contestabilità delle misure in questione rispetto a quelle perso-nali fa sì che la moderna scienza penalistica non abbia in genere difficoltà adaccettarle e addirittura ad offrire il suo contributo a realizzare strumenti costi-tuzionalmente più corretti per individuare la ricchezza che non sembra essersiformata legittimamente(147).

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(147) -L. VIOLANTE, Giornata di studio su economia e criminalità, SCUOLA UFFICIALI CARABINIERI,Roma, 1993.

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Non va però sottaciuto il dubbio di chi pone a baluardo, in senso contra-rio, il concetto di iniziativa economica postulato dall’art.41 Cost., nella consi-derazione che il sottrarre all’interessato la effettiva disponibilità di risorse puòminarne la libertà nello specifico settore. In tale ottica, la risposta al problemaviene rinvenuta proprio nella Costituzione la quale, sempre all’art. 41, comerilevato all’inizio di questo paragrafo, precisa che l’attività economica non puòsvolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicu-rezza, alla libertà e alla dignità umana: pertanto, in questa ultima ipotesi, si trat-ta di individuare quel tipo di impresa che si avvale di beni provenienti da traf-fici illeciti, condotti da persone indiziate di appartenere ad associazioni mafio-se. Tuttavia, ritenendo che l’impresa in genere, secondo la costruzione civilisti-ca, è fonte e sede di lavoro, può apparire meno certa la conformità del nuovosistema rispetto al diritto di lavoro.

L’origine del dubbio si individua nella estensione, ad ampia latitudine,della portata normativa. Difatti le perplessità scaturiscono dalla considerazioneche possono essere sequestrati e confiscati tutti i beni dell’individuo e che, inol-tre, talune autorizzazioni amministrative soggette a revoca sono necessarie nonsolo per lo svolgimento di attività imprenditoriali lato sensu, ma anche per pre-stazioni di lavoro autonomo o finanche dipendente: è quindi necessario ponde-rare meglio la esigenza di contemperare eventuali interessi connessi con la sal-vaguardia, peraltro doverosa, delle fonti di reddito minime per il soggetto sot-toposto a provvedimento preventivo.

Si può verificare, quindi, che il soggetto, pur indiziato di appartenere adun sodalizio, veda enormemente menomato il suo diritto di lavoro. Nella stes-sa disciplina amministrativa del lavoro si rinvengono principi emanati nell’inte-resse generale, affinché il rapporto abbia svolgimenti senza che la persona dellavoratore ne subisca danno, con il contemporaneo obbligo, per l’apparato pub-blico, di predisporre tutte le misure di legge e le cautele necessarie per un libe-ro svolgersi del rapporto stesso.

Muovendoci in questa cornice, cercheremo di illustrare qui di seguito iconnotati caratterizzanti del sequestro e della confisca, con una inevitabile sele-zione degli elementi trattati e con una preferenza degli aspetti maggiormentediscussi.

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CAPITOLO IV

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3. Le indagini patrimoniali

In virtù dell’art. 2-bis L. 575/65(148), nei confronti delle persone indiziatedi appartenere ad un’associazione di tipo mafioso o equiparata che sono sotto-poste alla procedura per l’applicazione della sorveglianza speciale o a quelle neiconfronti delle quali può essere proposta la sorveglianza speciale, il Procuratoredella Repubblica o il Questore competente a richiedere l’irrogazione di unamisura di prevenzione devono effettuare una serie di indagini miranti alla veri-fica del suo patrimonio o del tenore di vita, indagini che, come si vedrà, sonostrumentali all’applicazione di una misura preventiva patrimoniale(149). La lette-ra della norma lascia intendere che le indagini possono essere avviate ancorprima che sia stata formulata la proposta di irrogazione di una misura di pre-venzione e quindi prima dell’inoltro della proposta al Presidente del Tribunale,purché esse si fondino sulla previa sussistenza di indizi circa l’appartenenza delsoggetto al sodalizio criminoso.

Sembrerebbe evincersi, in ogni caso, il rapporto di pregiudizialità che,salvo talune eccezioni, esiste tra le conseguenti misure patrimoniali e quelle per-sonali, in quanto il sequestro si ricollega cronologicamente all’avvenuto iniziodel procedimento di prevenzione, già avviato per la sorveglianza speciale. Laconfisca, d’altro canto, può essere disposta in vari momenti ma comunque nonpuò mai precedere l’applicazione della sorveglianza speciale. Essa può, innanzi-tutto, essere disposta al momento dell’applicazione di quest’ultima come prov-vedimento ad essa accessorio, così configurandosi l’ipotesi più tipica, ma puòanche essere adottata successivamente all’applicazione della misura, non oltreun anno dopo l’avvenuto sequestro, quando ciò sia richiesto dalla complessitàdelle indagini di polizia e degli accertamenti. In ogni caso, stante il dato testua-le dell’art.2 ter comma 6, non possono essere disposte misure patrimoniali oltrela cessazione della misura personale(150).

L’applicazione delle misure in argomento è estesa anche nei confronti deisoggetti indiziati di appartenere alle associazioni indicate nell’art.7 bis

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(148) - Introdotto dall’art. 14, L. 646/82.(149) -TURONE, Mafia, in DIZIONARIO DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE. Milano, 1986, 597.(150) -Cass. pen., Sez. I, 17.6.1985, in GIUST. PEN., III, 425.

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l.685/75 e dei soggetti indicati nell’art.1 n.1 e 2 L. 1423/56, quando l’attivi-tà delittuosa dalla quale si ritiene derivino i proventi sia quella contemplatanell’art.630 c.p.(151).

Quanto ai destinatari, non vi sono dubbi sul fatto che la normativa inesame riguardi non soltanto gli indiziati di partecipazione ad associazione mafio-se ma anche coloro che vivono dei proventi di azioni delittuose della criminalitàorganizzata, come pure sembra ormai pacifico che esse possano essere imposteanche alle persone indicate nell’art. 1, n. 1 e 2 della legge 1423/1956(152). Ciò invirtù del rinvio formale disposto dall’art. 19 della legge 22 maggio 1975, n.152(153).

Merita, invece, un cenno una questione di ordine sistematico: se le misu-re di prevenzione patrimoniali sono subordinate ad un procedimento per l’irro-gazione di una misura di prevenzione personale, potrebbe concludersi che sitratti non già di autonomi istituti ma più propriamente di effetti o conseguen-ze patrimoniali delle misure preventive personali.

In realtà non mancano interventi giurisprudenziali che segnalano invecel’assoluta autonomia della confisca rispetto ad ogni procedimento relativo amisure di prevenzione personali.

È stato, ad esempio, precisato che la confisca può applicarsi anche allorchésia venuta a mancare la persona cui attribuire i presupposti di pericolosità e diindimostrata legittima provenienza dei beni(154). In particolare, è stato osservatoche l’autonomia della confisca va ricondotta al fine perseguito dalla normativaantimafia al riguardo, che è quello di eliminare dal circuito economico beni chesi presumono illecitamente acquisiti da soggetti collegati ad una organizzazionecriminale mafiosa.

I beni assoggettati a confisca sono, cioè, oggettivamente pericolosi inquanto strumento di sviluppo dell’organizzazione criminale e dei suoi membri.L’applicabilità della confisca non può quindi venir meno a seguito della morte

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CAPITOLO IV

(151) -Sequestro di persona a scopo di estorsione.(152) -Come modificato dall’art. 13 della legge 3 agosto 1988, n. 327.(153) -Nel senso, Cass. pen., Sez I, sent. 17 gennaio 1990, Marcellino; conformi: Sez. I, sent. 5063

del 28 ottobre 1999, Gangi e Sez. I, sent. 6825 del 25 marzo 1997, Rinaldi.(154) -Cfr. Corte Appello Napoli, 16 gennaio 2001 (decr.) - Pres. Di Nola - Est. Grasso - Ric. Zaza,

Liguori, Capaldo.

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della persona relativamente alla quale siano certi i presupposti di pericolosità edi indimostrata legittima provenienza dei beni richiesti dalla legge(155).

La normativa in materia di misure patrimoniali prevede, come si è visto,una serie di accertamenti orientati all’aspetto economico dell’attività mafiosa edei fenomeni omologhi di criminalità organizzata. Le indagini patrimonialiindicate dal citato art. 2 bis L. 575/65, sul tenore di vita, sulle disponibilitàfinanziarie e sul patrimonio hanno lo scopo di individuare l’origine, l’evoluzio-ne e l’entità di un patrimonio attraverso la definizione e la conoscenza di strut-ture, modelli di comportamento, soggetti e legami tra gli stessi.

Nell’individuare le valenze del tenore di vita occorrerà riferirsi alle dimo-strazioni esterne dell’individuo, anche correlandole con quelle degli anni prece-denti. Ben altra portata assume l’accertamento sulle disponibilità finanziarie esul patrimonio: in effetti, la moderna economia offre varie facce della ricchezzain termini di complesso di attività, titoli, denaro ed altro. Il buon esito di taliindagini dipende essenzialmente dall’accuratezza con cui vengono effettuate edal diretto studio dei soggetti. Generalmente è proprio l’osservazione diretta chepermette infatti di individuare le persone fisiche o giuridiche del cui patrimo-nio la persona in questione può disporre. Comunque, il dettato normativo nonspecifica puntualmente in cosa consistano le indagini e non pone alcun tipo dilimite, richiedendo semplicemente l’accertamento di eventuali licenze, autoriz-zazioni, concessioni o abilitazioni all’esercizio di attività imprenditoriali e com-merciali, comprese le iscrizioni ad albi professionali e pubblici registri, ed anchese il proponendo benefici di finanziamenti o mutui agevolati o altre erogazionida parte delle Stato, di enti pubblici o delle Comunità Europee.

La scarsa determinatezza dell’istituto desta, invero, qualche riserva; sem-brerebbe che, nonostante l’importanza di tali accertamenti nell’ambito del pro-cedimento e la possibilità che essi sfocino in un procedimento penale per asso-ciazione mafiosa (art. 416 bis c.p.), il legislatore non si sia curato di tipizzare gli

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(155) - Cass., Sez. I, sent. 13 novembre 1997, Di Martino e altri; Sez. I, sent. 28 ottobre 1999, n. 5092;Sez. I, sent. 4 marzo 1999, n. 5830. Si tratta, invero, di una conclusione che, in dottrina, hagenerato talune critiche in quanto la fattispecie non rientra tra quelle elencate al comma 7 del-l’art. 2 ter della legge 575/1965, la cui individuazione è ritenuta tassativa (assenza, residenza odimora all’estero della persona alla quale potrebbe applicarsi la misura di prevenzione).

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atti che possono essere compiuti al fine di verificare la reale situazione economi-co-finanziaria del soggetto. Ad ogni buon conto, tra le possibilità accordate dallaL. 575/65 (art. 2 bis) assumono un particolare rilievo le indagini bancarie(156),prima della L. 646/82 praticamente irrealizzabili anche grazie ad un più o menoconsapevole silenzio normativo. Esse si connotano per la facoltatività stante lalettera dell’art. 2 bis L.575/65 (possono richiedere).

L’enorme uso che si è fatto delle indagini bancarie ha però spesso causatorallentamenti proprio nelle indagini relative alle persone il cui patrimonio fosseeffettivamente difficile da giustificare. È quindi importante che l’attivazionedello strumento venga limitato alle persone per le quali le indagini patrimonia-li o il tenore di vita abbiano fatto rilevare una consistenza patrimoniale non giu-stificabile. Le indagini ex art. 2 bis coinvolgono sia i beni di cui il soggettodispone direttamente sia quelli che lo riguardano indirettamente ovvero che,pur essendo intestati ad altri, di fatto risultano essere nella sfera giuridica del-l’interessato, con una relazione molto simile al possesso(157).

Risulta per esempio ininfluente per dedurre la disponibilità del bene da partedel prevenuto stabilire se l’effetto traslativo della proprietà si sia compiutamenterealizzato dal punto di vista giuridico-formale nei confronti del terzo; necessita, alcontrario, accertare se tra quest’ultimo e l’interessato sussista una situazione fidu-ciaria tale da consentire al secondo la disponibilità di fatto, indiretta, del bene(158).

Per ora preme sottolineare che, mentre nel caso in cui il bene sia intestatoal prevenuto è sufficiente verificare la fonte di provenienza della cosa o del red-dito colpito, nell’altra ipotesi occorre innanzitutto verificare che l’interessato neabbia la disponibilità, per poi accertare la fonte, sebbene il fatto che egli dispon-ga di un bene altrui sia indizio significativo sulla sua dubbia provenienza(159).

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CAPITOLO IV

(156) -DAVIGO - GARONE, Le indagini patrimoniali e bancarie nella legislazione antimafia, inCONVEGNO NAZIONALE, Le indagini bancarie nei reati di criminalità organizzata, di crimina-lità economica e per le misure di prevenzione. Rapporti tra la Magistratura e gli Istituti di credi-to. Relazioni, 1988, 106.

(157) -Trib. Napoli, 14.3.1986, in FORO IT.,1987, II, 365.(158) -Corte Appello Reggio Calabria, 6.3.1986, in FORO IT., 1987, II, 361.(159) -La possibilità che un indiziato di mafia possegga anche un patrimonio acquisito legittima-

mente impone al giudice un’indagine sui singoli beni, in quanto il cumulo degli accertamen-ti eluderebbe la individuazione dei beni di provenienza illecita (Cass., Sez. I, 18.5.1992, inMASS. CASS. PEN., 1992, 12, 111).

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La disponibilità può derivare addirittura dal solo rapporto intercorrentetra il titolare formale del bene e il prevenuto o dal tipo di bene di cui si tratta:ciò allo scopo di neutralizzare le modalità elusive usate dalla malavita nell’inte-stazione degli immobili e dei mobili registrati.

Per quanto concerne i beni appartenenti al coniuge, ai figli e ai conviven-ti, la legge ritiene sufficiente l’accertamento della loro titolarità formale del benein questione, da cui, senza necessità di ulteriori accertamenti, si arguisce chel’interessato ne abbia la disponibilità(160).

Il panorama delle possibilità accordate agli operatori di polizia nell’ambitodelle indagini patrimoniali è assai vasto e deve comprendere tutte le possibili fontidi reddito e, più in generale, di ricchezza che possono essere ricondotte al soggettointeressato.

Tra questi si segnalano, a titolo orientativo e senza intento esaustivo:- la disponibilità di immobili, in particolare di abitazioni oltre a quella

principale;- la disponibilità di beni mobili di particolare prestigio anche per l’onere

che deriva dal mantenimento (aeromobili, navi, natanti, cavalli da corsa, auto-mobili esclusive, etc.);

- la frequentazione di case da gioco o di locali e di luoghi di svago parti-colarmente costosi;

- l’acquisto di beni di ingente valore (quadri d’autori, oggetti d’arte ingenere o di collezionismo);

- l’elargizione di ingenti somme o altre utilità a familiari o a persone contigue;- la disponibilità di servitù;- il possesso o la disponibilità di riserve di caccia;- la titolarità di imprese o la partecipazione ad esse nonché la titolarità di

licenze, autorizzazioni, concessioni eventualmente connesse;- la fruizione di contributi e di mutui agevolati concessi sia dallo Stato, sia

dall’Unione Europea;- le eventuali quote di partecipazione a società o ad iniziative di carattere

finanziario.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(160) - Sono a tal fine irrilevanti i rapporti obbligatori che comportano solo una detenzione temporanea.

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I soggetti pubblici e privati presso i quali orientare le indagini sono conse-guenti a tali indicatori e vengono illustrati schematicamente (Allegato 2). Alriguardo va sottolineato che l’onere operativo connesso a tali accertamenti èalleviato dalla possibilità di accedere, quanto meno nella fase di iniziale orienta-mento, alle banche dati informatiche della gran parte degli enti interessati,disponibili on line presso gli uffici di polizia.

4. Il sequestro e la confisca

Se da tali indagini risulta che il valore dei beni è eccessivo rispetto al red-dito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero se vi sono sufficienti indi-zi - e non meri sospetti - in base ai quali si ha motivo di ritenere che essi sianoil frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego, il Tribunale(161)

deve disporne il sequestro, ferma restando la possibilità della sospensione prov-visoria dall’amministrazione, misura della quale ci occuperemo appresso.

Il sequestro non può avere ad oggetto il patrimonio del soggetto nella suainterezza, ma deve concernere i singoli beni, sebbene di questi si abbia un’acce-zione assai lata comprendente anche le quote azionarie(162).

In caso di persona indiziata di appartenenza ad associazione mafiosa, l’at-tività illecita di cui i beni sequestrati costituiscono frutto o reimpiego non devenecessariamente consistere in un’attività mafiosa(163).

Gli indizi menzionati dalla norma in esame sono sufficienti motivazioni,non contrastate da altre univoche argomentazioni; in più, questi indizi non deb-bono, come gli altri riguardanti il sistema, fornire una certezza di pericolosità,ma debbono soltanto addurre motivi per ritenere che la pericolosità sussista. Inogni caso, il sequestro deve contenere una motivazione dalla quale dedurre inbase a quali elementi il soggetto sia da ritenere indiziato ex art.1 L. 575. Inoltre,

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CAPITOLO IV

(161) -CURI, Commenti articolo per articolo alla L. 19.3.1990 n.55, in LEG. PEN., 1991, 395.(162) -Per quanto concerne l’applicabilità delle misure patrimoniali alle imprese mafiose che non

sono beni, come richiesto dall’art. 2 ter, ma attività, vedi Bracciodieta, in Atti cit. Il giuristapone il problema della definizione del concetto di impresa mafiosa domandandosi, ad es., sela “qualità “di mafioso di chi esercita un’impresa per ciò solo rende mafiosa quest’ultima.

(163) -Cass. pen., Sez I, 5.2.1990, in CASS. PEN., 1991, I, 812.

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deve essere indicata l’origine indiziaria della provenienza illecita dei beni e sullascorta di quali fatti si concretizzi la disponibilità da parte dell’indiziato.

È interessante osservare che i due presupposti sono attualmente alternati-vi in quanto la L. 256/1993 ha modificato la disposizione secondo la quale lasproporzione costituiva solo un indice della provenienza illecita dei beni. Il legi-slatore indicava, infatti, il più rilevante degli indizi (sperequazione tra tenore divita e reddito) da cui si poteva ricavare il convincimento che i beni fossero frut-to di attività illecite o ne costituissero il reimpiego.

D’altro canto, svincolando dai sufficienti indizi la sproporzione tra valoredei beni e reddito dichiarato, il legislatore potrebbe non risultare in linea con lasentenza della Corte Costituzionale n. 48/1994 che ha dichiarato illegittima,per violazione dell’art. 27 Cost., comma 2, la previsione di una reclusione peringiustificato possesso di beni o valori sproporzionati rispetto al reddito dichia-rato o all’attività economica svolta (art. 12 quinquies comma 2 d.l. 8 giugno1992, conv. con L. 356/92).

Come si vedrà, però, le due ipotesi sono differenti perché, mentre può nonessere in contrasto con i principi costituzionali una norma che al fine di appli-care una misura di prevenzione desume dalla mera qualità di indiziato per alcu-ni reati il sospetto che la sproporzione tra beni posseduti e reddito dichiaratopossa essere frutto di illecita attività, diversa è la conclusione se la situazioneviene ricondotta all’interno di una fattispecie di reato, stante l’art. 27 Cost.

In definitiva, nonostante l’alternatività dei due presupposti, la norma in séindica espressamente quale può essere un indizio sufficiente: la notevole spere-quazione tra il tenore di vita(164) - inteso non semplicemente come quantità dibeni consumati ma quale patrimonio posseduto - e l’entità dei redditi apparen-ti o dichiarati; pur tuttavia, la prassi non deve indurre a valutare questa comecircostanza sufficiente visto che la norma, riferendosi agli indizi, intende senz’al-tro riferirsi alla pluralità di essi.

Per verificare la sussistenza dei descritti presupposti, occorre muovere dallaverifica del patrimonio iniziale del soggetto, per analizzare poi quanto reddito èstato prodotto nel tempo lecitamente e quanto ne è stato consumato.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(164) -NANULA, La lotta alla mafia, Milano, 1995, 44.

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Se raffrontando tutti questi elementi si desume che il patrimonio iniziale,aumentato di quello prodotto lecitamente nel tempo e diminuito di quello con-sumato, è molto inferiore al patrimonio attuale, è possibile qualificare in termi-ni patrimoniali il risultato delle attività illecite o di reimpiego ed ottenere ilsequestro della quota parte esuberante.

Il sequestro anticipa, in funzione conservativa, quanto eventualmentedisposto in seguito con la confisca. Ciò è di tutta evidenza nell’istituto delsequestro precauzionale, introdotto dall’art. 1 L. 55/90, che consente alProcuratore della Repubblica o al Questore di richiedere al Tribunale la confi-sca dei beni e il sequestro anticipato degli stessi prima della fissazione del-l’udienza, in presenza di concreto pericolo che i beni che si ritiene verranno con-fiscati vengano dispersi, sottratti o alienati nelle more del procedimento(165).

Si aprono, al riguardo, taluni problemi sotto il profilo della legittimità,perché la norma non prevede alcun contraddittorio con il destinatario dellamisura e consente di effettuare un giudizio prognostico sulla base di un altrogiudizio prognostico (quello relativo alla confisca) che solo eventualmente saràavverso per il soggetto. La misura della confisca interverrà, infatti, solo se nonverrà dimostrata la legittima provenienza dei beni sequestrati (art. 2 ter L.575/65).

Quanto alla confisca, la sua ratio consiste nella recisione definitiva di qual-siasi legame tra la persona e il suo patrimonio, conseguente alla esecuzione delsequestro, entro un anno dal quale deve irrogarsi.

A ben vedere, la presenza degli indizi è menzionata solo nel comma 2 del-l’art. 2 ter, come se in caso di confisca tali indizi non fossero necessari; ciò nonsignifica, tuttavia, che la confisca possa essere legittimamente disposta se si sco-pre che quelli che erano considerati sufficienti indizi in realtà non lo sono o cheessi abbiano perso il loro significato originario; infatti, dal momento che, comesi vedrà, il sequestro è strumentale alla confisca, non è ipotizzabile che gli ele-menti fondanti del primo provvedimento siano incoerenti con quelli che legit-timano il secondo. Comunque, si parla spesso di doppia prova per distinguere ipresupposti della confisca e del sequestro, in quanto, per la prima, occorrerebbe

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CAPITOLO IV

(165) - NANULA, cit., 54.

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la dimostrazione, per il sequestro, invece, la mera probabilità, dell’appartenen-za del soggetto alla associazione di tipo mafioso e degli indizi inerenti ai beni.In realtà, anche la confisca è giustificata dal concorso di indizi di ordine perso-nale, che sono indicativi dell’appartenenza del proposto a consorterie mafiose,e da indizi inerenti ai singoli beni, rilevatori della mancanza di giustificazionedel loro acquisto e/o della provenienza di essi da investimenti di profitti illecitio comunque ingiustificabili e ingiustificati(166).

Nonostante le critiche sollevate, la Corte di Cassazione(167) non ha rinvenu-to nell’art. 2 ter L. 575/65(168) un’ipotesi di inversione probatoria ma si è limita-ta ad individuare, a carico dell’indiziato, solo un onere di allegazione circa l’ori-gine dei beni che fanno parte del suo patrimonio e a richiedere che gli indizidell’illegittima provenienza dei beni stessi e delle somme impiegate per il loroacquisto siano inerenti a ciascuno di essi. Ciò non esclude che l’accusa debbafornire la prova indiziaria, nel rispetto della dialettica processuale e del liberoconvincimento del giudice. Sarà l’accusa che dovrà dimostrare la permanenzadegli indizi riscontrati allorquando si è proceduto al sequestro, fornendo ele-menti necessari e concreti a dimostrazione di tale convincimento, fermo restan-do l’interesse del soggetto a fornire elementi diretti a sminuire l’efficacia indi-ziante di quelli dedotti dalla controparte.

Se i chiarimenti offerti dal proposto saranno considerati inconsistenti osaranno contrastati da elementi di segno contrario, i presupposti di partenza,giusitificativi del sequestro, saranno sufficienti a supportare la confisca, purchéopportunamente riesaminati con adeguata motivazione.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(166) -Cass. pen., Sez I, 17.11.1989, in GIUST. PEN., 1991, I, 813.(167) -Cass. Pen., Sez I, 21.1.1991. La stessa Corte di Cassazione, in successiva sentenza

18.5.1992, in MASS. CASS. PEN., 1992, 12, 111, puntualizza che la razionalità della norma èsalvaguardata comunque perché:a) i destinatari sono soggetti portatori di una pericolosità qualificata dall’indizio di apparte-nenza ad una organizzazione mafiosa;b) la disposizione è inserita in un contesto di norme dirette a prevenire attività illecite svol-te nell’ambito dei rapporti economici privati e pubblici;c) la proprietà privata di tali soggetti non viene pregiudicata senza ragioni non solo perchéanche la proprietà privata può essere espropriata ma anche perché i modi di acquisto dellastessa devono essere leciti.

(168) -Come sostituito dalla L. 55/90.

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Ad ogni buon conto, dal momento che la percentuale di sequestri tradot-ti in confisca ammonta al 20% circa della cifra complessiva (nel 1994 si regi-strava il 12%(169)), si pone il problema, finora irrisolto, di comprendere se ciò siadovuto ad una frettolosa valutazione in sede di sequestro, necessariamente sot-toposta a revisione nel successivo provvedimento di confisca, o se non sia il casodi modificare il regime probatorio, che allo stato attuale conduce spesso al dis-sequestro di beni di persone di indubbia appartenenza mafiosa, ma la cui ille-gittima provenienza non sia stata sufficientemente suffragata.

La questione, come accennato, attiene evidentemente al delicato problemadell’onere della prova ed al rapporto tra quest’ultimo e il c.d. onere di allegazio-ne. Si tratta cioè di verificare se muovendo dall’accertamento di una ricchezzanon giustificata nel suo ammontare si possa desumere, iuris tantum, la sua pro-venienza illecita senza giungere ad una inversione dell’onere della prova.

L’inversione dell’onere probatorio, a rigore non esistente nel nostro ordi-namento come istituto a sé stante, in quanto espressione di un fenomeno pato-logico della prova, sembra essere disposto dall’art. 12 sexies(170).

L’inversione dell’onere probatorio attiene al conflitto tra la cultura giuridi-ca, omologata su standards di massima legalità, e la necessità del legislatore,socialmente sensibile, di proporre nell’ordinamento forme alternative, ma con-cretamente idonee a risolvere situazioni particolari per motivi di ordine e disicurezza pubblica.

Fino a qualche tempo fa, ed esattamente dal 1992 al febbraio 1994, l’unicoesempio di inversione di onere probatorio era rappresentato dall’art.12 quinquies,comma 2, inserito nel contesto della legislazione d’emergenza (L. 306/92).

Esso puniva con la reclusione da due a quattro anni e con la confisca deibeni le persone che, essendo indagate per un reato sintomatico di aderenza allacriminalità organizzata, non giustificassero la legittima provenienza di beni inloro disponibilità ed il cui valore fosse sproporzionato rispetto alla dichiarazio-ne dei redditi.

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CAPITOLO IV

(169) -Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia approvata nella seduta del18 febbraio 1994, 383. Il dato si riferisce, peraltro, ad un periodo successivo a quello dellestragi Falcone-Borsellino, in quanto lo scarto tra sequestro e confisca nel periodo anteceden-te è ancora più elevato.

(170) - Introdotto dalla L. 8.8.1994, n. 501.

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La norma sanciva appunto l’inversione dell’onere della prova, strettamen-te correlata alla qualificazione più o meno presuntiva dei soggetti passivi ed alricorso ad un concetto di prova indiziaria che suffragava una prova dichiarativaresa ardua se non impedita dalla tipicità del modus esplicandi del mafioso. In talemodo, con un’indagine non particolarmente onerosa, era possibile per gli inve-stigatori costringere il sospettato mafioso ad un onere probatorio sulla sperequa-zione tra reddito denunciato e ricchezza reale.

La legislazione emergenziale operava spostamenti progressivi della rottaculturale di tipo accusatorio, ripristinando spazi inquisitori in continua espan-sione per far fronte a meccanismi di manipolazione o indebolimento dei pro-cessi da parte della criminalità, che aveva costruito veri e propri sistemi diimmunità dai meccanismi giuridici.

Dichiarato incostituzionale in relazione all’art. 27 Cost., considerato dallaCorte Cost. assorbente della violazione degli artt. 25 e 24, la ratio dell’art. 12quinquies comma 2 è stata, come si è visto, integralmente recuperata dall’art. 12sexies (introdotto dalla L. 8 agosto 1994 n.501), che prevede una ipotesi di con-fisca obbligatoria di valori ingiustificati conseguente a condanna o a patteggia-menti (ex 444 c.p.p.) per reati di criminalità mafiosa o solitamente funzionalialle attività delle più agguerrite associazioni delinquenziali. Tenendo conto del-l’atteggiamento delle realtà criminali, si confisca l’ingiustificato arricchimentonel suo complesso in quanto, per la natura di reato addebitato, si ritiene derivida condotte illecite informate al presumibile carattere continuativo.

Nei confronti di tale norma si è osservato che:a) la confisca prescinde dall’accertamento dell’ingiustificata situazione

patrimoniale, violando il diritto di difesa (art. 24 Cost.);b)l’imputato non dovrebbe essere obbligato a giustificare la provenienza

dei suoi beni, pena la loro confisca in caso di condanna, prima che la sua col-pevolezza sia accertata in via definitiva (art. 27 Cost);

c) la confisca prescinde da un collegamento dei beni confiscati al reato percui vi è condanna;

d)il concetto di sproporzione tra reddito e patrimonio è assolutamentevago e contrasta con l’art.42 Cost., che nel tutelare la proprietà non indica ilimiti estensivi della stessa.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

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Tuttavia la norma non incontra le obiezioni di costituzionalità rivolteall’art. 12 quinquies, poiché si riferisce al condannato e non più al sottoposto aprocesso. La sanzione è solo ablatoria e consegue alla condanna, senza irrogazio-ne di pene detentive per il possesso ingiustificato di valori.

Inoltre essa evita la dirompente conseguenza di imporre allo Stato la resti-tuzione dei beni ai condannati per criminalità organizzata, a causa della deca-denza del 12 quinquies.

Tornando all’esame delle caratteristiche della confisca, secondo taluno(171)

tale misura, a differenza delle misure a carattere personale, avrebbe caratterepuramente repressivo. Ciò parrebbe dimostrato anche dal fatto che sarebbeinconciliabile la natura preventiva con la definitività della confisca. Essa nonviene, infatti, applicata in conseguenza di comportamenti che, se ritenuti peri-colosi, possono far supporre la commissione di altri illeciti in futuro, bensì sullabase di comportamenti che hanno già in passato dato luogo ad attività illecite.Non a caso, tale provvedimento riguarda solo i beni di cui non si sia in gradodi dimostrare la lecita provenienza mentre, invece, la pericolosità dovrebbe pre-scindere dall’accertamento della detta provenienza. Non si terrebbe conto,quindi, né della pericolosità del bene, che anzi costituisce la conversione di atti-vità illecite, né della pericolosità della persona, e l’unico elemento di applicazio-ne della confisca sarebbe l’indizio di appartenenza alla associazione mafiosa, ecioè l’indizio di un fatto costituente reato.

Tuttavia non si può negare che, in realtà, le misure preventive della leggeantimafia, e in particolare la confisca, costituiscono istituti atipici, aventi unaduplice natura, preventiva e sanzionatoria.

Se è così, la confisca potrebbe essere ricondotta a quel tertium genus costi-tuito dalla sanzione amministrativa, equiparabile quanto al contenuto ed aglieffetti, alla misura di sicurezza prevista dall’art. 240, co. 2, c.p.(172).

Del resto, se è vero che le stesse sanzioni penali hanno ormai non solonatura afflittiva ma anche preventiva in via generale, non ha, a maggior ragio-ne, senso pretendere di distinguerle da quelle preventive sulla base del fine.Sembra piuttosto conveniente individuare la diversità in virtù dei presupposti.

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CAPITOLO IV

(171) -Vedi rif. in MOLINARI - PAPADIA, op. cit., pag. 450.(172) -Cass., Sez. Un., Sent. 3 luglio 1996, Simonelli e altri.

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Naturalmente, in un’ottica generale di tutela della proprietà, la decisione sullaconfisca può essere preceduta dalla audizione in camera di consiglio dei terzi,cui appartengono i beni sequestrati. In tal senso, le deduzioni e le nuove acqui-sizioni non possono che avere un solo scopo: dimostrare, cioè, oltre che l’appar-tenenza, anche la effettiva disponibilità dei beni. Appare poi marcata la giurisdi-zionalizzazione del provvedimento, con la possibilità di eventuale assistenza deldifensore e la predisposizione del “termine a dibattere”, corollari dell’indispen-sabile bagaglio di garanzie.

Si evince, in sostanza, che il potere conferito agli organi inquirenti in talespecifico settore risulta assai ampio e obiettivamente abbastanza organico.Tuttavia, se è vero che lo strumento della confisca può percorrere diverse lati-tudini, colpendo il tallone d’Achille della criminalità organizzata, è anche veroche si pongono problemi successivi al provvedimento stesso. Difatti, se nessu-na questione sollevano il sequestro e la confisca di beni mobili del tipo danaroliquido, depositi bancari, azioni e obbligazioni societarie e in genere quote dipartecipazioni a società di vario tipo, ovvero di beni immobili o mobili regi-strati già esistenti e ben individuati, difficoltà sorgono per la confisca di azien-de commerciali, industriali e produttive in genere per i riflessi che si possonodeterminare sul piano della gestione e su quella della occupazione del lavora-tore dipendente.

5. Le misure di prevenzione patrimoniali e i beni acquisiti prima della L. 646/82

Pare qui opportuno un breve accenno ad un’altra questione che ha gene-rato contrasti interpretativi. Ci si riferisce al problema dell’applicabilità dellemisure di prevenzione patrimoniali con riguardo ai beni acquistati prima dellaentrata in vigore della L. 646/1982. Da punto di vista logico, va precisato cheil patrimonio di un individuo, fluttuante per antonomasia, rappresenta non giàun elemento statico, bensì il punto di arrivo di un cammino cadenzato da tappediverse.

La Corte di Cassazione ha statuito che le misure patrimoniali possonoessere adottate anche nei confronti di beni che risultino essere acquisiti al patri-

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

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monio in epoca precedente all’entrata in vigore della legge che ha introdotto lemisure stesse(173).

Si è, infatti, argomentato che le misure hanno valenza giuridica e finalitàdiverse da quelle costituenti pene pecuniarie per le quali, eminentemente, siriscontra il carattere sanzionatorio. Le misure in questione sono poste a tuteladi una garanzia di prevenzione rispetto ad una condotta antisociale, non aven-do finalità sanzionatoria. Quindi, nella nostra ipotesi, deve trovare applicazioneil principio sancito dall’art. 200 del c.p. in tema di misure di sicurezza, che al2° comma sancisce che se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura disicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione.

Non va tralasciata la considerazione che l’applicazione della misura patri-moniale tende ad eliminare una situazione di pericolo attuale, costituita dal pos-sesso di una ricchezza che, se pure iniziato in epoca antecedente, si protrae neilunghi periodi, con conseguente accrescimento delle potenzialità criminogenedella mafia e con grave pericolo della economia in generale(174).

6. La cauzione

La legge Rognoni - La Torre, all’art. 15, ha previsto una conseguenza perchi sia stato sottoposto a misura di prevenzione. E difatti l’art. 3 bis dellaL.575/1965 prevede che il Tribunale con l’applicazione della misura di preven-zione, dispone che la persona sottoposta a tale misura versi presso la cassa delleammende una somma, a titolo di cauzione, di entità che, tenuto conto dellesue condizioni economiche e dei provvedimenti adottati a norma del preceden-te art. 2 ter, costituisca una efficace remora alla violazione delle prescrizioniimposte.

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CAPITOLO IV

(173) -Cass. pen., Sez. I, 3.2.1986, in CASS. PEN. 1987, 814.Più recentemente, Corte Cass., Sez. II.2.3.1995: “Ai fini della legittimità della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dicui alla legge 13 settembre 1982, n. 646, è irrilevante la circostanza che alcuni dei beni chevi sono assoggettati siano stati acquistati prima dell’entrata in vigore della legge predetta,essendo sufficiente la dimostrazione della riconducibilità dei beni stessi ad illecite modalitàdi acquisizione”.

(174) -Quaderni del C.S.M., Seminario di Studi Simonetta Lamberti, Maiori, 1982, pag. 45 e ss.

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La cauzione deve essere imposta obbligatoriamente con l’applicazionedella misura(175) ed ha per oggetto i beni esclusi dai provvedimenti di sequestroe confisca. Essa dimostra come i suggerimenti della Commissione Parlamentaredi inchiesta siano stati ben recepiti nella proposta di legge n. 1581(176).

Sostanzialmente si è voluto operare, anche in tal senso, con uno strumen-to del tutto anteriore a quelli tipici processuali penali, strumento che, essendocommisurato alle condizioni economiche dell’interessato, risulta pienamenteconforme all’art. 3 Cost.

La cauzione si risolve nell’obbligo di versare una somma presso la cassa delleammende: tuttavia è previsto espressamente al comma 3 che l’individuo interes-sato possa fare istanza per sostituire il versamento con la presentazione di idoneegaranzie reali. Su questa ultima istanza decide con decreto il tribunale e, qualoral’istanza sia accolta, si indicheranno anche i modi di custodia dei beni dati inpegno.

In particolare, allorché si tratti di beni immobili, sarà disposta l’ipotecalegale, con conseguente trascrizione presso l’Ufficio delle Conservatorie dei regi-stri immobiliari del luogo in cui i beni medesimi si trovano.

La somma da versare a titolo di cauzione va individuata secondo la esigen-za di costituire un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte. Intale direzione deve scorgersi la ratio della norma, che peraltro, affida al poterediscrezionale del Tribunale la concreta determinazione del complessivo-ammontare.

La legge prevede poi, che qualora l’interessato non ottemperi, nel terminefissato dal tribunale, all’ordine di deposito o non offra garanzie sostitutive èpunito con la pena dell’arresto da 6 mesi a 2 anni: quindi, con riguardo sia allacauzione obbligatoria sia a quella facoltativa, sarà praticamente rimessa alTribunale la facoltà di stabilire quali fra i comportamenti che esso disciplineràsaranno penalmente sanzionati.

Il reato si configura istantaneo, rilevato che, alla scadenza del termine fis-sato dal provvedimento emanato dal Tribunale, non può essere più data util-mente esecuzione.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(175) -DI RAIMONDO: Lineamenti delle misure di prevenzione, Padova, 1983, 76.(176) -VIII Legislatura, cit., 116 ss.

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Come si è visto, la imposizione della cauzione trova ragione nella esigenzadi dissuadere il prevenuto dal disattendere gli obblighi scaturenti dalla misura.

Pertanto il comma 6 dell’art. 3 sanziona la violazione degli obblighi e deidivieti derivanti dalla misura con la confisca della cauzione o con l’esecuzionedei beni costituiti in garanzia, fino a concorrenza dell’ammontare della cauzio-ne. È una sanzione che viene aggiunta al sistema delle leggi precedenti.

Il provvedimento viene adottato in sede di processo di prevenzione. Il pro-cedimento inizierà con la richiesta del Procuratore della Repubblica o delQuestore; il Tribunale, nell’osservanza del contraddittorio e con l’intervento deldifensore, accerterà l’eventuale violazione delle prescrizioni imposte con l’appli-cazione della misura di prevenzione. Esso compie tale accertamento in via inci-dentale, avendo la possibilità di confiscare i beni a prescindere dall’eventualepronuncia giurisdizionale definitiva sul reato che configura la violazione deipredetti obblighi.

Le suddette violazioni non esauriscono le loro conseguenze nella confiscao nella esecuzione sui beni costituiti in garanzia; il comma 7°, difatti, stabilisceche la cauzione “deve essere rinnovata qualora permangano le condizioni chegiustificano la cauzione”, anche per somma superiore a quella originaria.

7. La sospensione dalla amministrazione dei beni

L’istituto della sospensione dalla amministrazione dei beni è previsto nelsistema delle misure patrimoniali dall’art. 3 quater L. 575/65(177) e dispiega i suoieffetti allorquando, a seguito di indagini patrimoniali o di accertamenti volti averificare pericoli di infiltrazione mafiosa, sussistano sufficienti indizi per rite-nere che l’esercizio di attività economiche in genere sia sottoposto alle condizio-ni di intimidazione o assoggettamento previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero possaagevolare l’attività di soggetti nei cui confronti sia stata proposta o applicata unamisura di prevenzione ex art. 2 (sorveglianza speciale) o sottoposti a procedi-

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CAPITOLO IV

(177) - Introdotto dall’art. 24, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modificazioni in L. 7 agosto1992, n. 356.

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mento penale per determinati reati e non ricorrano i presupposti per l’applica-zione della sorveglianza speciale. In presenza di tali presupposti, il Procuratoredella Repubblica o il Questore possono richiedere al competente Tribunale(quello titolare dell’azione di prevenzione) di disporre ulteriori indagini everifiche sulle predette attività oltre all’obbligo di giustificare la legittima pro-venienza di beni o altre utilità di valore non proporzionato al proprio redditoo alla propria capacità economica.

Quando l’esito di tali accertamenti si concreta in sufficienti elementi perritenere che il libero esercizio delle attività economiche anzidette agevoli i sog-getti sopra indicati, il Tribunale dispone la sospensione temporanea dall’ammi-nistrazione dei beni utilizzabili direttamente o indirettamente per svolgimentodella attività in argomento.

L’istituto sembra avere un carattere prevalentemente interlocutorio nelpanorama del contrasto preventivo perché non riguarda coloro che sono giàannoverati, a giusto titolo, nella categoria dei mafiosi: in tal caso costoro sareb-bero, infatti, destinatari di un provvedimento di sequestro. Si tratta, più pro-priamente, di una misura strumentale che è rivolta a verificare la legittima pro-venienza dei beni e la loro appartenenza.

È interessante osservare come il comma 1 della norma faccia riferimentoai sufficienti indizi che debbono caratterizzare il presupposto delle ulterioriindagini, mentre il comma 2, ai fini dell’adozione della misura e della relazio-ne qualificata tra attività economica ed attività criminale, richieda sufficientielementi

(178).

Il comma 5 prevede poi, in caso di concreto pericolo che i beni da sotto-porre ad amministrazione controllata possano essere sottratti alla misura, che ilTribunale possa disporre il sequestro, su richiesta delle medesime Autorità pro-ponenti. Si tratta evidentemente di una tipica misura cautelare.

L’Amministrazione temporanea dei beni è determinata in sei mesi, termi-ne rinnovabile per non più di dodici mesi complessivi, oltre il quale è dispostaalternativamente la revoca del provvedimento ovvero il sequestro o la confiscaquando nel frattempo sia accertata la provenienza illecita.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(178) -FRATTASI, Disposizioni in materia di armi e modifiche al codice penale nella più recente legisla-zione, DOCUMENTI DI GIUSTIZIA, n. 9, 1992, pag. 1219.

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8. Il terzo nel procedimento di prevenzione e nei provvedimenti interdittivi edecadenziali

I poteri di indagine del Procuratore della Repubblica e del Questore si esten-dono anche nei confronti del coniuge, dei figli, dei conviventi nell’ultimo quin-quennio ed inoltre nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, associazioni edenti del cui patrimonio le persone indicate dall’art. 2 bis, comma 1, L. 575/65,risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente.

La norma, certamente innovativa, consente qualsiasi tipo di investigazionesul conto dell’indiziato e del prestanome, e mira a frustrare gli espedienti interpo-sitivi praticati dalla criminalità. In definitiva, con l’utilizzo di tali strumenti, è pos-sibile procedere ad una completa ricostruzione storica del fluttuare e del modifi-carsi del patrimonio di soggetti e imprese e quantificare, altresì, gli investimenti.Va, però, puntualizzato che l’accertamento deve comunque dirigersi verso l’indi-ziato, l’unico ad essere coinvolto personalmente nella procedura. E difatti, la stes-sa previsione di un’efficacia nei confronti dei terzi delle misure patrimoniali sud-dette - anch’essa riferibile alle indicazioni della Commissione Parlamentare anti-mafia - trova il proprio fondamento logico nella constatazione che un tratto carat-teristico e ricorrente del modello comportamentale del soggetto mafioso o, ingenere, socialmente pericoloso, è costituito dalla intestazione fittizia dei propri benia terzi, finalizzata sia a svuotare di contenuto probatorio i sospetti dell’Autorità suanomali arricchimenti sia a sottrarre a questa ed ai suoi eventuali provvedimentirestrittivi il patrimonio, ricavato dalle attività illecite o destinate ad esse(179).

La fondatezza della norma va ricercata nel riconoscimento del fatto che lecosiddette imprese mafiose hanno intessuto rapporti economici con realtànazionali ed estere, affinando le proprie capacità e ridistribuendo ingenti capi-tali. Sarebbe quindi non proficua una indagine limitata al singolo individuo,che offrirebbe una visuale ristretta della realtà effettiva.

Tutto ciò va messo in sistema con la constatazione che mai i beni dellamafia vengono immobilizzati o tesaurizzati, ma vengono sempre reinvestiti inattività lecite o paralecite.

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CAPITOLO IV

(179) -VII Legislatura, Proposta 3358, in Atti Parlamentari, 137.

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Prima di affrontare la problematica dell’ingerenza delle misure nella sferadei terzi, occorre chiarire se la confisca abbia natura essenzialmente preventiva.A rigore non occorre travolgere i diritti dei terzi sul bene, ma è sufficiente impe-dire che il prevenuto commetta con esso una serie di reati, separandolo dallostesso. Tuttavia, tale orientamento potrebbe non apparire condivisibile, in quan-to la confisca non presuppone la pericolosità né del bene né del soggetto, tantoda difettare di quel carattere preventivo tipico delle misure di sicurezza.

Se al provvedimento di confisca si attribuisce, invece, natura sanzionato-ria, qualsiasi diritto del terzo, diverso dalla proprietà, verrà travolto dall’acqui-sto da parte dello Stato, anche se sorto prima della misura di prevenzione.

Al di là di tali considerazioni, si può ora esaminare la normativa vigenteche, innanzitutto, per evitare che la disciplina in materia di prevenzione vengaelusa, stabilisce che chiunque trasferisca fittiziamente ad altri la titolarità o ladisponibilità di beni al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di talimisure patrimoniali, è punito con la reclusione da due a sei anni, salvo che ilfatto costituisca più grave reato (art.12 quinquies, comma 1 L.356/92). La fat-tispecie richiede che il soggetto attivo risulti avere la disponibilità del bene e siaassoggettato a procedimento preventivo. Il precetto, che è di natura monosog-gettiva, presuppone evidentemente la condotta criminosa del terzo prestanome,che prima poteva essere punito ex art.12 quinquies, 2° comma, e oggi può incor-rere invece nei rigori dell’art.12 sexies, se ne ricorrano gli estremi(180).

L’art.2 bis pone il problema di individuare chi siano realmente i terzi cuisi fa riferimento; innanzitutto si potrebbe affermare che la legge abbia una puravalenza processuale e serva a consentire la chiamata del terzo; per il resto, la nor-mativa concentrerebbe il proprio interesse sul concetto di disponibilità del beneche, se risulta da indizi sufficienti insieme al presupposto dell’appartenenza adassociazione mafiosa, giustifica l’applicazione della misura preventiva.

Se, invece, si ritiene che la norma abbia una valenza sostanziale, occorreidentificare il concetto di terzo, in quanto gli effetti delle misure preventive siatteggiano diversamente a seconda che questi sia titolare di un diritto di pro-prietà, di un diritto reale di godimento sul bene o di credito.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(180) - IANNIZZOTTO, Mafia e Antimafia nella legislazione italiana, 1995, 296.

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Il terzo proprietario o titolare di un diritto di godimento sul bene vienecomunque salvaguardato, salvo la prova che il bene stesso sia nella realtà del pre-venuto ed abbia origine illecita.

Questi ultimi profili, per quanto interessanti sul piano dottrinale, non ver-ranno ulteriormente approfonditi perché esulano dalle finalità del presente lavo-ro, non coinvolgendo direttamente gli operatori di polizia e gli organismi che ingenere si occupano delle attività connesse all’accertamento dei presupposti per l’ir-rogazione delle misure di prevenzione patrimoniali(181).

Per ciò che concerne la tutela dei creditori, ci limitiamo a rilevare che laratio della confisca, consistente nel sottrarre al mafioso quei beni di provenien-za illecita che, utilizzati da costui, possano provocare ulteriore danno, non esclu-de l’ammissibilità di tale tutela(182).

Riguardo, invece, all’influenza degli stessi accertamenti nella sfera giuridi-ca dei terzi, occorre fare una distinzione tra i soggetti indicati dall’art. 2 bis,comma 3, L. 575/65, finora esaminati, e quelli previsti dall’art. 10 comma 4della stessa legge.

Quest’ultima sancisce che “Il tribunale dispone che i divieti e le decaden-ze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva(183)

con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti diimprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura diprevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi.

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CAPITOLO IV

(181) -Per un approfondimento dell’argomento, cfr.: MONTELEONE, Effetti ultra partes delle misurepatrimoniali antimafia, in RIV. TRIM. DIR. PROC. CIV., 1988, 576.

(182) -Se, però, si ammette la natura originaria dell’acquisto da parte dello Stato, si ricava, conse-guenzialmente, che tutti i diritti dei creditori vengono travolti.

(183) -Per incidens, va sottolineata l’importanza della normativa di cui trattasi dal punto di vista delriconoscimento, pur se con effetti nella specie negativi, dell’equiparazione della famiglia difatto, anche non accompagnata dalla procreazione, a quella legale. Quanto all’estensionedegli effetti decadenziali, va precisato che il terzo comma, art. 10, L. 31 maggio 1965, n.575, nel disporre la revoca di diritto dei provvedimenti amministrativi rilasciati ai familiario ai conviventi di soggetti colpiti da misure di prevenzione, presuppone la misura caducato-ria già prevista dal 1° comma nei confronti di questi ultimi; di conseguenza, il divieto di rila-scio e la revoca di diritto operano soltanto con riferimento ai familiari e conviventi i qualirichiedano il rilascio di quegli stessi provvedimenti abilitativi intestati al soggetto (familiareo convivente) nei cui confronti si sia già verificata la decadenza (T.A.R. Sicilia, 3 marzo1986, n. 282, in FORO AMM., 1986, 2550).

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In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni(184)”.Gli istituti interdittivi e decadenziali sono diffusamente illustrati nel capi-

tolo relativo agli effetti sanzionatori dei provvedimenti preventivi. Occorre sol-tanto annotare che, sebbene le indagini siano strumentali anche all’adozione ditali misure, non vi è perfetta coincidenza tra i soggetti menzionati dalle duenorme. Difatti, mentre l’art. 2 bis comprende coloro che hanno convissuto nel-l’ultimo quinquennio con i soggetti elencati nel primo comma, nonché i coniu-gi e i figli, l’art. 10 esclude i non conviventi.

Altra peculiarità rileva dalla circostanza che i provvedimenti patrimonia-li o amministrativi possono essere adottati persino nei confronti di soggettinon sottoponibili ad indagini, indicati nell’art. 18 L. 152/75 e nell’art. 1 n. 1e 2 L. 1423/56.

Nessun problema particolare sembra invece rinvenirsi in ordine alla indi-viduazione dei soggetti destinatari delle misure in esame che, come si è visto,vengono chiaramente indicati dalla legge.

Qualche questione nasce, invero, per la presenza della categoria dei convi-venti, che non possono essere intesi generalmente come tutti coloro che condi-vidono con l’interessato l’abitazione, con esclusione solo dei coabitanti mera-mente occasionali derivanti da rapporti di ospitalità. Si deve piuttosto trattaresoltanto di coloro che contribuiscono con il prevenuto a mettere in comune ilreddito da lavoro o parte di esso e, sembra opportuno, si deve trattare anche disoggetti che contribuiscono a determinare quella situazione di pericolosità perla quale si ritiene di applicare le misure in esame. Inoltre, riguardo ad essi, l’in-terdizione opera automaticamente, presumendosi la pericolosità, anche se èosservato il contraddittorio.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(184) -Cons. giust. amm. Ssc., 23 febbraio 1987, n. 31, in CONS. STATO, 1987, I, 237, secondo cuialla luce della espressa previsione di limiti temporali degli effetti delle misure di prevenzio-ne per soggetti terzi, deve concludersi che “per le persone direttamente colpite da tali misu-re, viene contemplata una situazione giuridica caratterizzata da effetti permanenti che siriflettono sullo status giuridico della persona senza alcuna limitazione di carattere tempora-le”. Contra, però, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent.19.7.1988, n.7, in FORO

IT., 1989, III, 71, nota Caruso), la quale ha osservato che gli effetti preclusivi e decadenzia-li indotti dall’applicazione di una misura di prevenzione personale non hanno carattereultrattivo, né tanto meno perpetuo, dovendo cessare automaticamente in coincidenza con lospirare dell’efficacia della misura personale presupposta.

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I divieti e le decadenze menzionate dalla norma sono quelle introdotte dallegislatore per far fronte alla forte influenza esercitata dalla criminalità organiz-zata nella realtà imprenditoriale(185).

Spesso, infatti, l’imprenditoria si trova a dover fare i conti con le pressioniesercitate dalla criminalità, particolarmente evidente nelle gare d’appalto. Perimpedire in via preventiva che i soggetti privi di requisiti possano accedere aprovvedimenti amministrativi favorevoli o che li conservino anche dopo averperso le condizioni necessarie, il legislatore ha introdotto le misure interdittive.

Tali misure esplicano i loro effetti nell’ambito dell’ordinamento ammini-strativo, quali espressioni di supremazia speciale che compete all’amministrazio-ne nel corso del rapporto di autorizzazione o concessione.

A tal fine la legge attribuisce particolare importanza al provvedimentodefinitivo che applica la misura della sorveglianza speciale di P.S., semplice oqualificata, e sulla base di esso attiva tutti gli organi pubblici interessati affinchédiano attuazione alle misure interdittive e decadenziali previste dalla normativa.

Il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modifiche dalla L. 7 agosto1992, n. 356, integrando con il comma 5 bis il citato art. 10 della legge575/1965, ha ulteriormente rafforzato il novero delle preclusioni e delle inter-dizioni tratteggiate, disponendo che, salvo i casi di semplice rinnovo, l’emana-zione dei provvedimenti innanzi esaminati e la stipulazione dei contratti con laP.A. da parte di soggetti sottoposti a procedimenti di prevenzione, non può esse-re consentita senza preventiva comunicazione all’Autorità Giudiziaria, la qualepuò disporre opportuni divieti o sospensioni. All’uopo, i relativi procedimentisono ipso jure congelati fino a quando il giudice non provvede e comunque perun periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui la P.A. ha procedutoalla comunicazione.

È evidente l’anticipazione temporale dell’intervento preventivo giurisdi-zionale, caratterizzato dalla possibilità di coartare qualunque tipo di iniziativaeconomico-imprenditoriale sulla base del solo presupposto dell’ipotetica appar-

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CAPITOLO IV

(185) -Sulla natura delle misure inibitorio-interdittive, CARINGELLA, in Atti del Convegno di Bari,14-16 febbraio 1997. Le misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e prassi applicativa.Inediti. Egli cita sia la tesi di chi ne sostiene la natura sanzionatoria, sia l’opinione di coloroper i quali si tratta di un effetto amministrativo delle misure di prevenzione personali.

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tenenza ad un’associazione mafiosa. L’area coperta non riguarda più, quindi, iclassici comportamenti ante delictum, così come concepiti dal legislatore del1956 e del 1965, ma impinge su atteggiamenti che, del tutto pregiudizialmen-te si teme abbiano matrice mafiosa(186).

Detto arretramento della soglia del controllo preventivo è compensatodalla valvola di sfogo in forza della quale, decorso un certo periodo di tempo(venti giorni) dalla comunicazione dell’autorità amministrativa a quella giuri-sdizionale, l’interessato può intraprendere l’attività economica ripromessa, senzaessere vincolato da un’ulteriore attesa dell’espresso pronunciamento del giudicecompetente. Ne deriva la spericolata traslazione in ambito giudiziario di un isti-tuto tipicamente amministrativo, come quello del silenzio assenso, surrettizia-mente riproposto proprio in un settore di confine qual’è quello delle misure diprevenzione(187).

È bene precisare, comunque, che siccome in tali casi la sottoposizione amisura preventiva costituisce il presupposto per l’adozione di un provvedimen-to di divieto e decadenza, operano, per quanto concerne quest’ultima, gli stessilimiti temporali della misura di prevenzione, con la conseguenza che devonoritenersi illegittimi i provvedimenti adottati allorché la misura di prevenzioneche ne costituiva il presupposto abbia già esaurito i suoi effetti(188).

In un quadro così delineato, con il coinvolgimento dei terzi, la legge vuolecolpire il prevenuto oltre che come intestatario anche come dominus delle atti-vità a lui ricollegabili, immobilizzando anche il nucleo di soggetti che gli ruotaintorno ed estendendo l’operatività della norma finanche ai conviventi.

Ciò comporta la legittimità della decadenza del diritto a carico dei fami-liari anche con riguardo agli atti emanati prima della decadenza a carico del sot-toposto a misura di prevenzione. È stato in merito superato, con l’art.3, commaquarto, legge 55/90, l’orientamento secondo il quale ciò non era consentito(189),se non nei casi in cui l’Amministrazione avesse verificato elementi precisi disospetto di partecipazione all’attività della persona pericolosa.

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LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI

(186) -CURI, Commento all’art 3 della legge 55/1990, in LEG. PEN., 1991(187) -CURI, op. cit, pag. 403.(188) -Cons. Stato, a. plen., 18.7.1988 n.7, in CONS. STATO, 1988, I, 793.(189) -T.A.R. Campania, Sez. III, Napoli, 22.5.1986, FORO AMM., 1986, 2292.

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Per stabilire invece quando ricorrono i presupposti per estendere le misu-re in questione alle società, imprese, etc., occorre aver riguardo, oltre all’even-tuale carica ricoperta nella loro organizzazione, anche alla reale funzione eserci-tata dal soggetto nell’ambito della struttura sociale, imprenditoriale o consorti-le per cogliere l’eventuale influenza dominante, in grado di condizionare pesan-temente le scelte della persona giuridica.

Comunque, la sanzione consistente nella decadenza di diritto delle licen-ze, concessioni etc. è talmente grave che non può non essere espressamente pre-vista dalla legge; pertanto il venir meno, in capo al legale rappresentante di unasocietà, del requisito consistente nell’assenza di misure di prevenzione, compor-ta l’apertura del procedimento di cancellazione dell’interessato dal registrocamerale, non anche l’automatica cancellazione della società, potendo questaprovvedere a regolarizzare tempestivamente la propria posizione con legali rap-presentanti provvisti dei prescritti requisiti(190).

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CAPITOLO IV

(190) - Cons. Giust. amm. sic., 23.2.1987, in CONS. STATO, 1987, I, 234.

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CAPITOLO V

L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

Luigi CORTELLESSA

SOMMARIO: 1. L’indagine preventiva. - 2. Gli obiettivi dell’indagine. - 3. I protagonisti dell’indagi-ne. - 4. Le possibili competenze di diversi livelli. - 5. La competenza della DirezioneInvestigativa Antimafia. - 6. Il Procuratore Nazionale Antimafia. - 7. I mezzi di ricercadegli indizi. - 8. Il controllo del territorio. - 9. Perquisizioni. - 10. Attività di ricerca lati-tanti. - 11. Perquisizioni di edifici. - 12. Intercettazioni preventive. - 13. Colloqui inve-stigativi. - 14. Ricerca documentale. - 15. Supporto dei mezzi di informazione.

1. L’indagine preventiva

Gli elementi storici a sostegno di una proposta di misura di prevenzione siraccolgono e si collazionano attraverso:

- l’esame di documenti già posseduti e l’acquisizione di altri di specificointeresse;

- la ricerca e la selezione di elementi di fatto sul territorio.Si tratta, in pratica, di un’attività investigativa in senso proprio, con molte

analogie con la tipica indagine preliminare in sede penale: la differenza fra ledue tipologie si fonda sul fatto che l’indagine su reato verte sull’acquisizionedelle fonti di prova, mentre la investigazione prodromica ad una proposta dimisura di prevenzione è finalizzata, essenzialmente, alla ricerca di indizi ed allaloro valorizzazione. Tuttavia, si può affermare che il metodo e le procedure sono

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le medesime. L’indagine giudiziaria trova il suo fondamento normativo nell’art.55 c.p.p., laddove si indica come compito della polizia giudiziaria quello di“…prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulte-riori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti diprova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.

Dalla lettura della norma, emerge come, anche nel contesto investigativogiudiziario, viene ricompresa una finalità preventiva, laddove si impone di evi-tare le conseguenze ulteriori del reato.

Come è evidente, la legge provvede ad una indicazione delle finalità e nonad una descrizione delle attività, quanto a metodo e procedure: è la prassi con-solidata quella che fornisce il metodo acquisito

(191).

La natura dell’indagine preventiva trova una importante diversificazioneanzitutto nella circostanza che essa non è connessa con un principio di rigidadoverosità applicativa, quale quello della obbligatorietà della legge penale, san-cito dall’art. 112 Cost.; ed inoltre, non si rinviene nella legge ordinaria il con-cetto di dipendenza degli organi di polizia, in questo caso nella loro valenzaamministrativa, da un organo giurisdizionale, come nel caso della dipendenzafunzionale della polizia giudiziaria dal P.M. È da sottolineare, inoltre, una fon-damentale differenza rispetto alla dinamica che si innesta nel procedimentopenale: in questo caso la notizia criminis viene sottoposta, sin dalle indagini pre-liminari, ad un progressivo sviluppo che culmina nell’udienza preliminare e neldibattimento(192).

L’ipotesi storica acquisita viene incanalata lungo un binario che è teso alsuo affinamento sino ad attribuirle quel valore di corrispondenza alla veritàlegale che solo la capacità probatoria del contraddittorio può consentire; nelprocedimento di prevenzione, di contro, l’ipotesi nasce indiziaria e muore indi-

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CAPITOLO V

(191) - L’indagine giudiziaria trova regolamentazione nel c.p.p., con riferimento esclusivamente allecompetenze, ai termini ed alle tipologie degli atti, senza che si faccia riferimento alle modalitàesecutive. La letteratura in tal senso è piuttosto esigua. Il più recente ed originale studio, che,a nostro parere si sofferma in maniera esaustiva sul “modo di condurre l’indagine”, suggeren-do un metodo operativo e di analisi criminale, è quello di ANGELOSANTO, La gestione dell’in-dagine, su RASSEGNA DELL’ARMA DEI CARABINIERI, Anno L, gennaio-marzo 2002, pagg. 25-58.

(192) -Sull’argomento, cfr.: GIANNITI, Rilievi sul fatto nel processo penale, in RIV. IT. DIR. PROC. PEN.,1999, pagg. 408 e ss.

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ziaria, seppur supportata dall’ulteriore elemento della sufficienza. L’indagine ditipo preventivo trova la sua unica specificazione normativa nell’art.3, comma 2,della L. 410/1991, ove si afferma che “formano oggetto di investigazione pre-ventiva della Direzione Investigativa Antimafia: le connotazioni strutturali, learticolazioni e i collegamenti interni ed internazionali delle organizzazioni cri-minali, gli obiettivi e le modalità operative di dette organizzazioni, nonché ognialtra forma di manifestazione delittuosa alle stesse riconducibile ivi compreso ilfenomeno delle estorsioni”.

Accanto, vi è l’esigenza di avvalersi di strumenti di analisi criminale, redat-ti da organismi istituzionali e recanti lo stato della criminalità organizzata indeterminate aree del paese; è evidente che tali documenti, per esprimere effica-cia, devono contenere non l’insieme analitico dei fatti accaduti, ma debbono,principalmente, essere impostati su ipotesi deterministiche tali da prevedere,con buon margine, le strategie future dei sodalizi criminali.

Contrariamente, si tratterebbe di documenti di mera consultazione perfinalità di cognizione storica.

2. Gli obiettivi dell’indagine

I destinatari dell’investigazione preventiva sono:- come obiettivo strategico, in primo luogo i sodalizi della criminalità

organizzata, alla cui disarticolazione si tende più in generale;- in fase di attività specifica, i singoli appartenenti ai suddetti sodalizi, nei

cui confronti, parallelamente ad una attività di tipo giudiziario, si rende neces-sario accalorarne la pericolosità sociale, per l’inoltro alla competente autorità diproposte di misure di prevenzione.

Risulta tuttavia chiaro, dai dati dell’esperienza, che il concetto di apparte-nenza ad una associazione di tipo mafioso soggiace a delle graduazioni di vin-colo e di ruolo, che determinano la individuazione di differenti livelli di com-partecipazione dei soggetti, per grandi linee così definibili:

- capi e/o promotori: si tratta dei vertici delle associazioni, nei cui con-fronti, generalmente, per la evidenza del gravame raccolto, viene intrapresa la

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

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indagine giudiziaria in senso proprio; va da sé che l’acclaramento di tale ruologeneralmente scaturisce da pronunce di carattere giurisdizionale o dalla emissio-ne di provvedimenti restrittivi a seguito di articolate indagini;

- affiliati: sono gli individui che costituiscono la truppa o la manovalanzadei clan, ai quali sono generalmente affidati compiti esecutivi e che non parte-cipano alla direzione strategica dei clan; il loro reclutamento avviene di regolanei segmenti di microcriminalità e nelle aree dell’emarginazione sociale;

- fiancheggiatori: sono le persone che, pur non organicamente inserite neiclan, vivono ai margini di questi, offrendo, a fronte di diverse utilità, la loro atti-vità di sostegno, generalmente di tipo logistico;

- incensurati “costretti”: sono gli individui che, per un concorso di ele-menti personali ed esterni, si trovano a subire l’influenza dei clan, da cui subi-scono richieste di prestazioni d’opera, indipendentemente da una loro volontàdi adesione ai piani criminosi; si tratta in genere di soggetti inseriti in settoridella burocrazia statale, con il compito di fornire informazioni alla criminalitào di condizionare, in favore di quest’ultima, le scelte della P.A.; la costrizione aicomportamenti adottati deriva generalmente da minacce o pressioni velate,condotte anche nei confronti dei famigliari; un tipico esempio di tale categoriapuò identificarsi nell’incensurato munito di licenza di porto d’armi, costretto adaccompagnare l’elemento di spicco di un sodalizio, che così si trova ad avereprotezione armata da chi può facilmente sottrarsi, per condizione personale, aicontrolli delle FF.PP.

Si ritiene, inoltre, che tra i destinatari delle misure di prevenzione antima-fia possono figurare anche i soggetti contemplati nell’art. 7 della L. 203/1991,cioè quelle persone condannate per i delitti, punibili con pena diversa dall’erga-stolo, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., ovve-ro commessi al fine di agevolare le attività dei sodalizi mafiosi.

Nell’insieme, si tratta, comunque, di un modello organizzativo altamentesensibile ai mutamenti di volta in volta imposti dai rinnovati obiettivi strategi-ci, assai pericoloso per la società legale, in quanto tendente, per sua natura, acostituire un contrordinamento criminale.

Dovendosi procedere ad una individuazione della pericolosità in capo aisingoli soggetti, è necessario procedere inizialmente all’esame dei sodalizi,

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CAPITOLO V

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tenendo presenti taluni tratti tipici, generalmente adattabili ai vari tipi di con-sorterie criminali, indipendentemente dalle latitudini di operatività, e cioè:

- gli elementi personali, che si individuano nelle personalità forti all’inter-no dei clan, quasi sempre sorrette da volontà irriducibile;

- le carriere criminali, consistenti generalmente in una rapida e continuaascesa sociale, fondata prevalentemente sul prestigio, sulla acquisizione di posi-zioni di rilievo nell’organizzazione pubblica e privata, sulla capacità di sottrarsiagli effetti sanzionatori della legge;

- gli standard comportamentali, improntati ad una sfiducia nella legge enella organizzazione sociale, ma, parimenti, dalla disponibilità a servirsene stru-mentalmente per il conseguimento degli obiettivi;

- l’uso dei mezzi violenti, calibrati secondo necessità, idonei a superare leresistenze non legalmente superabili;

- l’organizzazione, volta a garantire un rigoroso rispetto gerarchico degliaffiliati all’interno e la supremazia dei medesimi verso l’esterno, con il favoredelle relazioni sociali influenti;

- la segretezza, come habitus mentale e comportamentale, connessoall’omertà, quale efficace sistema difensivo rispetto ai possibili tentativi di infil-trazione;

- il sistema normativo non scritto, che garantisce una solida e duraturastruttura governativa.

3. I protagonisti dell’indagine

I protagonisti dell’indagine preventiva sono, nella pratica, tutti coloroche, pur nelle varie attribuzioni svolgono attività di controllo del territorio.

Ferme restando le attribuzioni della titolarità alla formulazione della pro-posta al Tribunale, fissate dalla legge, è naturalmente demandata alla FF.PP.l’attività, nel più ampio complesso di attribuzioni nel campo della pubblicasicurezza, di esprimere un elevato livello di attenzione nei confronti dei sogget-ti che, per abituale comportamento, esprimano una tendenziale pericolosità,tale da imporre, conseguenzialmente, l’elaborazione e l’inoltro di una proposta

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

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tipo di misura di prevenzione(193).Va da sé che la pericolosità sociale è un elemento che si rivela percettibile

solamente in un ambito locale, non essendo immaginabile che quest’ultimadispieghi i suoi effetti negativi in un contesto geografico assai ampio, e per ciòstesso evanescente, se non addirittura impercettibile.

L’indagine preventiva assume, quindi, un senso ove abbia dispiegamentoin un contesto sociale e geografico ben definito, nel cui ambito siano sufficien-temente delineabili comportamenti improntati a pericolosità sociale. Ed inoltre,l’attività conoscitiva è subordinata alla collocazione territoriale dei sodalizi, cuicollegare l’appartenenza indiziaria del proponendo, poiché l’attribuzione di taledisvalore non può avvenire senza il riferimento ad una consorteria criminaleoperante e sufficientemente inquadrabile con altri elementi di riscontro.

Allo stesso modo, il tenore di vita di un soggetto non può essere conside-rato se non nel contesto ambientale nel quale l’interessato e la sua famiglia vivo-no, essendo immediatamente connesso ad abitudini, sistema di vita, consumi.

Tali considerazioni consentono di meglio individuare i soggetti che, abuon titolo, possono concorrere alla ricerca ed alla acquisizione di elementi asostegno di una proposta di misura di prevenzione.

4. Le possibili competenze di diversi livelli

La natura degli obiettivi, pertanto, calibra anche la entità ed il tipo di forzeda impiegare nel settore delle investigazioni preventive, che, per la suddettadimensione localistica, possono individuarsi:

- nei Comandi Stazione Carabinieri, per la peculiare caratteristica di unitàoperativa elementare, estremamente aderente al territorio;

- nei Commissariati di P.S. e nei Comandi di Compagnia Carabinieri,che, per livello ordinativo, possono più facilmente gestire la attività informati-va sulla struttura e l’ambito di operatività criminale dei singoli clan;

- nelle Questure - anche in relazione alle prerogative propositive del

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CAPITOLO V

(193) -Per lo schema di una proposta tipo, (vds. Allegato 3).

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Questore -, nei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza e dell’Arma deiCarabinieri, che, per la più estesa ricezione di materiale informativo e per le co-responsabilità della gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, sono in gradodi monitorare costantemente le dinamiche intercorrenti tra i sodalizi (alleanze,faide interne, conflittualità) in ragione, soprattutto, di un più aggiornato qua-dro di situazione, risultante dalla sintesi delle singole dinamiche locali.

A titolo esemplificativo, una proposta di sorveglianza speciale può esseresviluppata come segue:

- scelta degli obiettivi (soggetti proponendi) da parte del Comando diCompagnia, con definizione del fabbisogno informativo e assegnazione delcompito ai Comandi di Stazione;

- raccolta dei dati significativi da parte di un Comando Stazione ed inol-tro al Comando Compagnia di una informativa preliminare;

- elaborazione dei dati informativi da parte del Comando Compagnia,che integrerà la informativa preliminare con i dati posseduti e con gli accerta-menti patrimoniali effettuabili in proprio, mediante la interrogazione delleBanche Dati;

- stesura della proposta definitiva ed inoltro al P.M. competente;- redazione di apposita segnalazione, avendo cura di informare i Comandi

superiori, la Questura, la Procura Nazionale Antimafia, la D.I.A.Naturalmente, ove si tratti di elaborare proposte nei confronti di soggetti

indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, emerge la presenza dialtre competenze, che si fondano sulla specifica attitudine di determinati orga-nismi investigativi ad operare nei confronti della criminalità organizzata, anchein ragione di un rilevante patrimonio informativo posseduto e di un quadro disituazione a livello strategico.

Si tratta di unità la cui previsione è sancita dalla legge: difatti, l’art. 12della L. 12 luglio 1991, n. 203(194), cristallizza, attraverso la previsione normati-va, l’attività di organismi delle FF.PP. già ampiamente sperimentati nel contra-sto alla criminalità di tipo mafioso.

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

(194) -Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buonandamento dell’attività, amministrativa, risultante dalla conversione del Decreto legge 13maggio 1991, n.152.

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La norma prevede difatti che, per assicurare il collegamento delle attivitàinvestigative sui delitti di criminalità organizzata, le amministrazioni interessa-te provvedono alla costituzione di servizi centrali ed interprovinciali dellaPolizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza.Inoltre, in determinate regioni e per particolari esigenze, tali servizi possonoessere costituiti secondo il modello interforze, assicurando la pari valorizzazio-ne delle forze di polizia che vi partecipano.

Entrambe le tipologie di servizi devono comunque garantire il coordina-mento ai fini informativi, investigativi ed operativi; tale coordinamento, overichiesto dalle esigenze, deve avvenire anche in rapporto agli altri organi o ser-vizi di P.G. previsti dalla legge.

Gli organismi di P.G. di cui al suddetto art. 12 sono:- il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato (S.C.O.);- il Raggruppamento Operativo Speciale (R.O.S.) dell’ Arma dei

Carabinieri;- il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata

(S.C.I.C.O.) della Guardia di Finanza. La possibilità di elaborare proposte dimisure di prevenzione, da parte di tali organismi a competenza centralizzata,ipotizza una naturale interlocuzione con il Procuratore Nazionale Antimafia,titolare, come si è detto, di un autonomo potere propositivo dinanzi ai Tribunalicompetenti.

5. La competenza della Direzione Investigativa Antimafia

Se la competenza dei suddetti organi, nel settore delle misure di preven-zione, può definirsi generica, ossia un elemento nel più vasto quadro di attribu-zioni, va sottolineato che la legge individua una competenza privilegiata nellaDirezione Investigativa Antimafia(195). L’art. 3, comma 1, della L. 410/1991attribuisce al suddetto organismo interforze il compito di “assicurare lo svolgi-mento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti

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CAPITOLO V

(195) -Per una esaustiva disanima dell’ordinamento e delle attribuzioni della D.I.A., cfr.: IANNIELLI

- ROCCHEGIANI, La Direzione Investigativa Antimafia, Giuffrè, 1995.

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alla criminalità organizzata…”. In tal senso, nell’ambito delle investigazioni pre-ventive innanzi descritte, viene attribuita al Direttore della D.I.A. un potere diautonoma proposta per l’adozione di misure di prevenzione(196), ivi compreso ilsequestro dei beni; in tale ambito egli può provvedere ad indagini sul tenore divita, sulle disponibilità finanziarie, sul patrimonio nonché sulle attività econo-miche dei soggetti indiziati, allo scopo anche di individuare le fonti di reddito.A tale scopo, il Direttore della D.I.A. si avvale di un’apposita articolazione, ecioè la 3^ Divisione del I Reparto, quest’ultimo specificamente preposto alleinvestigazioni preventive di cui al comma 2 dell’art. 3 della legge 410/1991.

In tale contesto, la capacità informativa del personale della D.I.A. trovarafforzamento nell’art. 118 c.p.p.(197), laddove viene sancito che esso, su delegadel Ministro dell’Interno, può ottenere dall’A.G. competente, anche in derogaal divieto stabilito dall’art. 329 c.p.p., copie di atti di procedimenti penali einformazioni scritte sul loro contenuto, ritenute indispensabili per la prevenzio-ne dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

La possibilità di raccolta di ulteriori elementi indiziari è esplicabile anchea mezzo di altre poteri riconosciuti ex lege, e cioè:

- la facoltà di accesso e d’accertamento presso banche, istituti di credito edintermediari finanziari in genere, da esercitarsi anche in deroga alle disposizio-ni vigenti;

- la possibilità di effettuare operazioni sotto copertura in materia di rici-claggio;

- la facoltà di convocare qualsiasi persona avvalendosi dei poteri di cuiall’art. 15 T.U.L.P.S.;

- il potere di disporre le operazioni sotto copertura di cui all’art. 12 quaterL. 356/1992.

6. Il Procuratore Nazionale Antimafia

Un riferimento deve essere rivolto alla figura del Procuratore Nazionale

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

(196) - Il potere scaturisce dai già menzionati DD.MM. 23 dicembre 1992 e 30 novembre 1993.(197) -Così modificato dall’art. 4, comma 10, della legge 356/1992.

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Antimafia, per la competenza generale che riveste in tema di contrasto alla cri-minalità organizzata.

La carica, come già accennato, è stata istituita con D.L. 367/1991, erisponde al ruolo di centrale del coordinamento investigativo

(198). Si tratta di un

organo che si colloca all’interno della Procura Generale presso la Corte diCassazione; le sue funzioni, indicate dall’art. 7 del citato decreto, si incardina-no all’interno del nuovo art. 371 bis c.p.p.

Essenzialmente, il PNA è chiamato a svolgere una funzione di coordina-mento investigativo per i procedimenti riguardanti i delitti indicati nell’art. 51c.p.p., comma 3 bis: si tratta di un coordinamento inteso ad una generale fun-zione di impulso, che tenga conto anche dei programmi di investigazione diampio respiro e della irrinunciabile ottimizzazione dell’impiego della poliziagiudiziaria. In tal senso, è stato espressamente previsto che il PNA dispone dellaD.I.A. e dei servizi centrali ed interprovinciali, impartendo le direttive volte adassicurare il coordinato e funzionale impiego delle suddette strutture che, perpotenzialità e specifica vocazione operativa, esprimono una maggiore efficacianelle investigazioni sulla criminalità organizzata.

È evidente che il volume di competenze non può essere affrontato senza unadeguato supporto di magistrati applicati ed un attendibile bagaglio di notizie edinformazioni, sia sullo sviluppo dei singoli procedimenti che sull’andamentocomplessivo del fenomeno criminale mafioso, anche allo scopo di elaborareun’analisi globale ed una politica di programmazione delle indagini, anche incampo squisitamente preventivo.

Pertanto, in ossequio all’esigenza di esprimere una risposta sempre più ade-rente a fronte della virulenza criminale, il D.L. 306/1992 ha allargato le compe-tenze del PNA, comprendendo anche la facoltà di avanzare direttamente la pro-posta di sottoposizione dell’indiziato alla misura di prevenzione della sorveglian-za speciale di P.S., eventualmente qualificata dall’obbligo di soggiorno nel comu-ne di residenza o di dimora abituale del soggetto.

La disposizione così strutturata è altresì finalizzata ad evitare che, per l’at-tivazione del procedimento di prevenzione nei confronti dei soggetti diretta-

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CAPITOLO V

(198) -NANULA, La lotta alla mafia, Giuffrè, 1999, IV ed., pag. 255.

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mente indagati, il PNA dovesse vedersi obbligato alla trasmissione degli atti alProcuratore competente in relazione alla dimora del proponendo.

Ed infine, oltre il materiale investigativo acquisito in caso di avocazionedei procedimenti, il PNA può anche essere destinatario di apposite informativedi natura preventiva da parte dei servizi centrali ed interprovinciali di P.G.

7. I mezzi di ricerca degli indizi

L’attività si svolge, come accennato, con molte analogie alla indagine giu-diziaria. Lo svolgimento delle attività è, per così dire, a forma libera, nel sensoche non vi è, nei corpi normativi, alcun riferimento alle modalità da seguirsi peracclarare, in capo ad un soggetto, elementi indiziari di pericolosità sociale.

Pur tuttavia, come nelle indagini preliminari esistono degli istituti, intesicome mezzi di ricerca della prova

(199), finalizzati alla ricerca ed alla acquisizione

delle fonti di prova, nel contesto preventivo, analogamente, possono individuar-si delle attività o degli strumenti che, opportunamente calibrati per la esigenza,si prestano ad un’utilizzazione efficace nella ricerca ed acquisizione degli indizidi pericolosità. Allo stesso modo, gli altri strumenti e modalità operative delleFF.PP. possono ben trovare adattamento nel rilevamento di fatti, situazionioggettive ed altri elementi conoscitivi che corroborano il materiale indiziario. Insostanza, non essendovi una casistica sancita da disposizioni di legge, si tratteràdi utilizzare per l’esigenza tutti gli strumenti che nella pratica possono rivelarsiefficaci. In questa sede, pur nella considerazione di non offrire una casisticaesaustiva, si tenterà di individuarne taluni.

8. Il controllo del territorio

Si tratta della normale attività svolta dagli organi di polizia per la preven-

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

(199) -La materia è regolata dal Codice di Procedura Penale, Libro III delle Prove, Titolo III, Mezzidi ricerca della prova.

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zione e la repressione dei reati. Più specificamente, con il termine controllo delterritorio si definisce il complesso delle attività volte a conoscere, in ogni detta-glio, le caratteristiche di una parte o dell’intero territorio nazionale (esigenzainformativa)e quelle intese a realizzare un razionale e sistematico impiego dellerisorse disponibili al fine di scoraggiare l’attuazione di azioni illecite (esigenza diprevenzione di carattere generale).

Sotto il primo profilo assumono rilevanza:- la conoscenza dei luoghi, maturata attraverso una presenza costante e

fattiva;- la presa d’atto di situazione oggettive di carattere sociale, economico, di

malessere e di devianza, che caratterizzano l’area di interesse;sotto il secondo profilo, invece:- le forze disponibili e la calibratura del loro impiego;- l’individuazione delle aree di maggiore esigenza preventiva.In tale circostanza, attraverso l’utilizzo dei normali dispositivi a livello

locale, è possibile sviluppare un’attività di osservazione sui soggetti ritenutiappartenere ad associazioni di tipo mafioso, attraverso:

- la esecuzione di posti di controllo nelle aree più sensibili;- l’osservazione dei suddetti soggetti, ponendo particolare attenzione ai

soggetti frequentati ed alle attività svolte in orari solitamente lavorativi;- l’espletamento di servizi mirati, quali il controllo degli avventori di eser-

cizi pubblici (bar, ristoranti, circoli ricreativi, locali notturni);- il controllo ai cantieri edili;- l’assistenza ai dibattimenti;- i servizi svolti in occasione di consultazioni elettorali. Gli elementi raccolti circa la pericolosità sociale di un individuo devo-

no sempre essere riportati in apposite relazioni di servizio, da allegarsi allaproposta.

Diversamente, si potrebbe incorrere nell’inconveniente del mancato rico-noscimento di fatti e circostanze che, pur accertati, possono essere sottoposti alrilievo di una mancata documentazione.

In questo contesto, come già accennato, assume rilievo l’attività informa-tiva, componente fondamentale dell’indagine in senso generale.

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CAPITOLO V

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Non può ipotizzarsi alcuna indagine, anche in campo preventivo, se que-sta non sia preceduta da un consolidato possesso di dati informativi.

In senso pratico, tale attività deve condurre ad una padronanza completadel territorio dal punto di vista conoscitivo, da realizzarsi attraverso una gestio-ne accurata delle fonti informative e l’applicazione di una mentalità sempre pro-tesa a sviluppare l’acquisizione e la elaborazione di dati informativi.

Come già specificato, l’accertamento concreto della pericolosità sociale sipresenta a base induttiva: dalla valutazione di fatti ed elementi passati o presenti,di volta in volta diversamente qualificati, si cerca di indurre una connotazioneulteriore e solo potenziale.

Tuttavia, la difficoltà più insidiosa risiede nella iniziale mancanza di attendi-bilità scientifica del materiale selezionato: tale problema deve allora essere traslatosul terreno della disponibilità di informazioni selezionate e qualificate sul compor-tamento umano, al fine di prevederne il futuro svolgimento.

9. Perquisizioni

Lo strumento, regolato dall’art. 247 c.p.p., appartiene tipicamente all’am-bito delle indagini preliminari: esso, pertanto, è finalizzato esclusivamente allaricerca ed alla acquisizione delle fonti di prova.

Rimane, quindi, inderogabile la possibilità di utilizzare quanto accertatoin tale sede esclusivamente nell’ambito del procedimento penale. Tuttavia, ciònon esclude che quanto ricavato dall’osservazione della P.G. non possa costitui-re utile elemento per attivare un’indagine di tipo preventivo, da svilupparsiseparatamente.

Nel corso delle perquisizioni difatti si possono acquisire degli elementiindiziari autonomi, di cui è possibile, comunque, riferire nel contesto di unaproposta di misura di prevenzione, specie quando si tratti di perquisizioni locali(art. 250 c.p.p.). Più specificamente, sono ricavabili utili elementi in relazione:

- al tenore di vita della persona, desumibili dal tipo di arredamento, dalpossesso di beni di consumo o di lusso, di opere d’arte catalogate, di capi d’ab-bigliamento costosi, etc.;

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

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- al collegamento con elementi della criminalità organizzata, desumibilida agende telefoniche, corrispondenza, collegamenti telematici, o dalla disponi-bilità di materiale fotografico, che ne renda inequivocabile la prova della fre-quentazione.

10. Attività di ricerca latitanti

Il concetto di latitanza è indicato dall’art. 296 c.p.p. il quale indica comelatitante “chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domi-ciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o a un ordine con cui sidispone la carcerazione”.

Nel contesto tradizionale della criminalità organizzata il latitante costitui-sce una figura assai emblematica; anzitutto la sua pericolosità nella dimensionelocale assume risalto ove maggiore è il periodo di sottrazione alla cattura: per-ciò, egli costituisce elemento di aggregazione criminale per il prestigio cheacquisisce nel sottrarsi alla detenzione. La conseguenza è che attorno al latitan-te si costituisce un focolaio di pericolosità locale, capace di attrarre un ampiosegmento di contiguità nella popolazione, specie laddove il malcontento e la sfi-ducia nelle istituzioni sono più marcate.

È evidente che la ricerca dei latitanti deve costituire un’attività primaria daparte delle FF.PP., anche per interdire ulteriori possibilità di aggregazione e perostacolare l’azione dei centri decisionali della criminalità organizzata.

Nel corso di tale attività è tuttavia possibile acquisire significativi elemen-ti di valutazione in ordine alla pericolosità eventuale dei soggetti viciniori al lati-tante, che, a diverso titolo, si ritiene ne favoriscano l’irreperibilità. L’adozione dimisure di prevenzione può, in tal caso, contribuire a:

- restringere lo spazio di operatività dei clan ed indebolire il prestigio dellatitante;

- fiaccare il supporto logistico che i vari soggetti proposti offrono al lati-tante stesso;

- delimitare lo spazio di ricerca del latitante, venendo meno le probabili-tà che dei sorvegliati speciali offrano a quest’ultimo possibilità di rifugio.

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CAPITOLO V

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11. Perquisizioni di edifici

Il Titolo VII del Decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nellalegge 7 agosto 1992, n. 356, “Modifiche urgenti al nuovo Codice di procedurapenale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”, già dalla sua inti-tolazione (Attività di prevenzione), esprime la sua precisa vocazione nel settorein trattazione. L’art. 25 bis (Perquisizione di edifici) introduce la possibilità pergli ufficiali di P.G. di procedere a perquisizioni locali di interi edifici o di bloc-chi di edifici dove si abbia fondato motivo di ritenere che:

- si trovino armi, munizioni o esplosivi;- sia rifugiato un latitante o un evaso in relazione a taluno dei delitti

indicati nell’art. 51, comma 3 bis, del c.p.p., ovvero ai delitti con finalità diterrorismo.

Nel corso di tali operazioni può essere sospesa, nelle aree interessate, la cir-colazione di persone e veicoli. Di quanto compiuto deve essere notiziato imme-diatamente, e comunque non oltre le dodici ore, il Procuratore della Repubblicacompetente, che, in presenza di presupposti, procede alla convalida entro lequarantotto ore successive.

12. Intercettazioni preventive

Si tratta di uno strumento che consente di rilevare dal vivo e con il massi-mo livello di attualità il livello di pericolosità sia dei clan operanti in un territo-rio sia la pericolosità dei singoli soggetti. Indipendentemente dalla possibilità disviluppo di indagini giudiziarie scaturenti dagli elementi acquisiti, esse possonoindicare le priorità sulle quali intervenire con mirate investigazioni preventive.L’istituto è stato, nel tempo, diversamente regolato da varie disposizioni dilegge(200), per trovare definitiva statuizione nell’art. 5 della L. 438/2001(201).

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

(200) -Lo strumento delle intercettazioni preventive è stato regolato anche dall’art. 25 ter della L.356/1992.

(201) -La norma ha sostituito l’art. 226 delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitoriedel Codice di procedura penale.

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L’attività è autorizzata con decreto dal Procuratore della Repubblica pres-so il capoluogo del distretto ove si trova il soggetto da sottoporre a controlloovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esi-genze di prevenzione.

Essa può essere richiesta:- dal Ministro dell’Interno;- su delega della suddetta Autorità, dal Direttore della D.I.A.,(esclusiva-

mente quando si procede per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.), e dairesponsabili dei Servizi centrali di P.G., nonchè dal Questore e da i ComandantiProvinciali dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

Esse possono essere svolte per:- conversazioni o comunicazioni telefoniche ed altre forme di telecomu-

nicazione;- flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici;- comunicazioni tra presenti, anche se queste avvengono nei luoghi indi-

cati dall’art. 614 c.p.Le operazioni possono essere svolte per un periodo di quaranta giorni,

suscettibili di proroga di venti giorni con decreto motivato del Procuratore dellaRepubblica, in permanenza dei presupposti. Le operazioni svolte ed i contenu-ti intercettati sono oggetto di verbalizzazione sintetica, che, unitamente ai sup-porti utilizzati, viene depositata presso l’A.G. autorizzante entro cinque giornidal termine delle stesse. Verificata la conformità delle attività compiute, ilProcuratore dispone l’immediata distruzione dei supporti e dei verbali. Con lestesse modalità si può autorizzare il tracciamento delle comunicazioni telefoni-che e telematiche intercorse e l’acquisizione di ogni altra utile informazione inpossesso degli operatori di telecomunicazioni. La norma specifica che, in ognicaso, gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere:

- utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi;- menzionati in atti di indagine;- oggetto di deposizione o di altro tipo di divulgazione.Le intercettazioni sono svolte con impianti installati presso la Procura della

Repubblica o presso altre idonee strutture individuate dal Procuratore, che con-cede l’autorizzazione.

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CAPITOLO V

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Rimane, tuttavia, ferma la possibilità che attraverso tali operazioni possa-no essere acquisiti utili elementi conoscitivi, di valutazione o di riscontro circaun’eventuale pericolosità ambientale in determinate aree; tali dati possono bencostituire il paletto iniziale per approfondire l’indagine preventiva in manieramirata rispetto ai soggetti maggiormente indiziati.

13. Colloqui investigativi

L’istituto è stato introdotto dall’art. 16, comma 3, della L. 356/1992, cheha introdotto l’art. 18 bis della L. 16 luglio 1975, n. 354(202).

La norma conferisce al personale della D.I.A., a quello dei Servizi centralied interprovinciali di P.G., nonché agli ufficiali di P.G. designati dai responsa-bili dei predetti organismi, la facoltà di visitare gli istituti penitenziari e la pos-sibilità di autorizzazione ad avere colloqui personali con detenuti ed internati alfine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti dicriminalità organizzata. L’autorizzazione ai colloqui viene rilasciata:

- dal Ministro della Giustizia o da un suo delegato, quando si tratta diinternati, di condannati o di imputati;

- dal Pubblico Ministero procedente, quando si tratta di persone sottopo-ste ad indagini.

Inoltre, l’art. 18 bis dispone che:- nei casi di particolare urgenza, attestati con provvedimento del Ministro

dell’Interno o, per sua delega, dal capo della Polizia, l’autorizzazione non èrichiesta e del colloquio è data immediata comunicazione al Ministro dellaGiustizia;

- il Procuratore Nazionale Antimafia può procedere ai colloqui personalisenza dover richiedere alcuna autorizzazione e deve essere informato dei collo-qui appositamente autorizzati o effettuati senza autorizzazione.

La materia è ulteriormente regolata da altre disposizioni, e cioè:- con D.M. 2 agosto 1993, il Ministro della Giustizia ha emanato dispo-

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

(202) -Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitativedella libertà.

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sizioni attuative anche in relazione alle modalità di svolgimento dei colloqui(art. 4) e alle comunicazioni da effettuare all’esito degli stessi (artt.6 e 8);

- con propria circolare in data 27 agosto 1993, il Dipartimentodell’Amministrazione Penitenziaria ha provveduto a disciplinare taluni aspettipeculiari della materia.

Con tale strumento, pur dovendosi valutare la disponibilità della personadetenuta, è possibile acquisire utili elementi cognitivi, soprattutto in relazione:

- alle dinamiche interne, alle articolazioni ed alle possibili linee d’azionedei sodalizi;

- alla individuazione, anche in via induttiva, dei personaggi a più marca-ta pericolosità;

- alla scelta di priorità investigative, anche in materia di misure di preven-zione, per prevenire gravi episodi delittuosi.

14. Ricerca documentale

Il documento, indipendentemente da come sia stato originato, costituiscela ricostruzione storica di un fatto, o di una sua circostanza.

Va da sé che la natura stessa del documento fornisce lo spessore indiziarioe la sua capacità di poter valer in sede giurisdizionale.

I documenti di interesse, donde trarre elementi che tratteggino la perico-losità, possono essere:

- sentenze dell’A.G., pronunciate anche in sede civilistica; in tal senso,giova sottolineare che esse, pur non contenendo un dispositivo di condanna neiconfronti del proponendo, possono tuttavia recare una cristallizzazione del-l’eventuale coinvolgimento o cointeressenza del soggetto in gruppi criminali, dicui si riconosce in tale sede l’esistenza e l’operatività: in tale quadro, ben posso-no desumersi indizi di compartecipazione, pur non ancora in grado di sorreg-gere una individuazione di responsabilità di tipo penale, e frequentazioni suffra-gate da riscontri circostanziali, sufficienti alla dimostrazione di una pericolositàsociale attuale;

- ordinanze di custodia cautelare: per loro stessa natura, esse, allorché

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CAPITOLO V

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riguardino reati di criminalità organizzata, esprimono il segnale di una perico-losità qualificata ed attuale; anche in questo caso, pur non rivolte al soggettoproponendo, esse, ove riguardino soggetti a quest’ultimo viciniori, possonocostituire elemento di indubbia valenza indiziaria;

- informative di P.G., ove non secretate in ragione del segreto delle inda-gini preliminari, e precedenti proposte in materia di misure di prevenzione acarico di soggetti diversi ma collegati con quello oggetto dell’indagine, special-mente se accolte;

- documenti della Commissione Parlamentare Antimafia: tali atti costi-tuiscono, per il loro autorevole livello e nella considerazione che il predettoorganismo opera con largo ricorso allo strumento dell’audizione e con i poteridell’A.G., dei documenti speculari delle singole realtà sociali intaccate da gravicondizionamenti di tipo mafioso; pertanto, la loro aggiornata consultazionepuò ben costituire elemento di spunto nella pianificazione di interventi di tipopreventivo;

- delibere ed atti degli Enti locali, che, in determinate aree, possono reca-re un quadro di situazione indicativo della situazione dell’ordine e della sicurez-za pubblica.

15. Supporto dei mezzi di informazione

Una delle caratteristiche salienti dell’attuale società è che si dispone adogni livello di una notevole quantità di notizie, continuamente ed incessante-mente somministrate dai mass media: oggi è possibile assistere in diretta adeventi che, per conseguenze politiche e personaggi coinvolti, esprimono unanotevole capacità di condizionare l’evolversi della situazione generale. Ma, para-dossalmente, la stessa utenza dell’informazione è in grado di intervenire sullafonte dell’informazione: esprimendo gradimenti, indicazioni di preferenze, intaluni casi partecipando direttamente alla formazione della notizia.

Oltre ai distributori mediatici nazionali ed internazionali, oggi sono pre-senti nel mercato della notizia numerose espressioni locali, quali emittenti tele-visive, radio private, quotidiani, che raccolgono un considerevole indice di

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L’INVESTIGAZIONE PREVENTIVA

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attenzione in ragione del fatto che l’utenza è interessata anche e soprattutto aglieventi della realtà sociale in cui vive.

In questo senso, assume importanza il livello informativo-mediatico loca-le, per la sua aderenza al territorio, generalmente circoscritto, e per la capacitàdi assumere, anche oltre la singola informazione, gli umori, le sensazioni, le pre-occupazioni della pubblica opinione in relazione alle problematiche dell’ordinee della sicurezza pubblica.

È possibile, cioè, attraverso lo strumento mediatico, individuare delle prio-rità d’intervento o degli spazi investigativi ancora non percorsi.

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CAPITOLO V

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CAPITOLO VI

… PER CONCLUDERE

Giovanni DI BLASIO

Non vi è dubbio che le misure preventive, e in particolare quelle patrimo-niali, nonostante le inquietudini di dottrina e giurisprudenza che non abbiamomancato di sottolineare, costituiscono un irrinunciabile strumento di lotta alcrimine ed al fenomeno mafioso in particolare; la normativa descritta ha giàavuto un apprezzabile banco di collaudo che ha consentito di verificare la suaefficacia ed ha fatto registrare unanime apprezzamento tra gli addetti ai lavori.

Va però riconosciuto che, sul piano della politica criminale, le misure perso-nali non hanno del tutto perso l’alea di provvedimento poliziesco connotato daautoritarietà, circostanza che deve indurre l’operatore accorto ad uno sforzo diprofessionalità nel raccogliere e documentare i presupposti per la loro irrogazione.

Diversa è la percezione, anche al di fuori delle mura dei Tribunali e degli uffi-ci di polizia, delle misure di prevenzione patrimoniali, che vengono invece avver-tite anche dal mondo dei media come strumenti attivi ed incisivi che consentonodi colpire la vera forza della mafia(203), i cui contorni sono stati più puntualmenteindividuati, proprio grazie agli accertamenti patrimoniali, nelle enormi concentra-zioni di capitale proveniente dalle estorsioni, dai sequestri di persona, dal trafficodella droga, dalle speculazioni edilizie che, riciclate in attività lecite, mettono fuori

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(203) -In generale, dalla rilevazione statistica a livello nazionale, si osserva che il ricorso a talistrumenti di prevenzione qualificata è stato più frequente negli uffici giudiziari del sud edelle isole.

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mercato l’economia sana soggetta agli alti costi del prestito bancario. La mafia imprenditrice deve oggi fare i conti con l’aumentata efficienza di

alcune strutture pubbliche che combattono contro la capacità mafiosa di con-dizionare la pianificazione economica, il senso della libera iniziativa imprendi-toriale, il quadro dei rapporti interni. Tale capacità si estrinseca non solo grazieall’applicazione delle norme anzidette ma anche attraverso il perfezionamentodi meccanismi investigativi complessi, capaci di penetrare l’articolato sistema dicamuffamento di patrimoni e capitali “opachi”.

L’esperienza applicativa ha fatto, peraltro, maturare alcuni suggerimenti diaggiustamento legislativo, in parte già accolti. Tali esigenze si sono rivolte essen-zialmente alla necessità del reinserimento produttivo dei beni sequestrati e con-fiscati, auspicata negli ultimi anni anche a livello politico, al fine di evitare riper-cussioni sull’economia e sul livello occupazionale. In particolare, la L. 7 marzo1996, n. 109 ha regolato la riutilizzazione dei beni confiscati prevedendo il ver-samento all’Ufficio del Registro delle somme di denaro nonché dei crediti, tito-li o beni mobili non costituiti in azienda.

Per i beni immobili la norma prevede, invece, che essi siano mantenuti nelpatrimonio dello Stato per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civi-le oppure trasferiti nel patrimonio del Comune per fini sociali o istituzionali.Quanto ai beni costituiti in azienda, infine, essi possono essere venduti, liquidatio mantenuti nel patrimonio statale per essere affittati a società pubbliche o priva-te oppure concessi a titolo gratuito ai lavoratori dipendenti dall’impresa confisca-ta. Si tratta, come si vede, di provvedimenti di grande impatto anche sul pianodell’immagine, che contribuiscono a riaffermare la supremazia e l’autorevolezzadelle Istituzioni (si pensi ad es. ad una villa appartenuta ad un esponente di spic-co di un sodalizio mafioso che viene convertita in caserma dei Carabinieri o in isti-tuto scolastico). A fronte di ciò, si è, però, rilevata la eccessiva rigidità del regimedei controlli in materia di licenze, concessioni e iscrizioni ad albi professionali.

Non sono mancati, inoltre, inviti a disciplinare in modo più organico epuntuale il nascente diritto penale dell’impresa, specie nel settore societario evalutario, e ad istituire più rigorosi controlli sui fondi di investimento e sui tito-li atipici, terreno di coltura della criminalità organizzata.

Non si può fare a meno, poi, di considerare che gli strumenti di intervento

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CAPITOLO VI

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predisposti dal sistema contro i fenomeni di collegamento tra criminalità ed eco-nomia sono, comunque, facilmente neutralizzabili da chi opera illegalmente; per-tanto un mezzo considerato utile e sufficiente in un determinato momento, puòfacilmente essere svuotato di significato nel volgere di poco tempo. Ciò postulal’esigenza di una maggior duttilità degli strumenti di contrasto che, però, in talu-ni casi, può dar luogo al rischio di minori garanzie sul piano costituzionale.

Per quanto concerne, infine, le misure preventive in generale, sembrereb-be giunto il momento di raccogliere in un testo unico la normativa esistente(204);difatti, al di là dei problemi sostanziali evidenziati dalla dottrina sulla conformi-tà delle misure preventive in quanto tali, e soprattutto di quelle personali, sipone un’esigenza di coordinamento delle leggi vigenti, per ovviare quantomenoalle difficoltà d’interpretazione dei testi giuridici.

Oltre agli interventi normativi, che sono sempre difficili e lunghi da rea-lizzare, occorre, in ogni caso, elaborare una vera e propria strategia in grado dicombattere la penetrazione mafiosa nella vita economica; sarebbe auspicabile unmaggior ricorso a tavoli nazionali in cui si confrontino giuristi, magistrati, ope-ratori finanziari e organizzazioni di commercianti e imprenditori, al fine di tro-vare un concreto punto di equilibrio tra le esigenze di libera iniziativa economi-ca, a cui abbiamo fatto cenno all’inizio del presente capitolo, e la costante edimprocrastinabile necessità di monitorare i flussi economici a fini preventivi.

Tali fini, è ormai evidente, costituiscono una linea irrinunciabile di politi-ca criminale, ma le innumerevoli questioni di legittimità costituzionale, alle qualipiù volte si è fatto cenno, anche se quasi sempre superate dalla Suprema Corte,rivelano un sistema che necessita senz’altro di essere ricondotto entro limiti giu-ridicamente ineccepibili e che si liberi delle altalenanti incursioni nel tessuto nor-mativo della legislazione emergenziale. Siamo, infatti, convinti che l’efficienza diun ordinamento risiede anche nella stabilità delle sue norme ed è inversamenteproporzionale alla frequenza degli interventi normativi che, se non governati dalinee coerenti di politica criminale, determinano nebulosità ed incertezze.

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… PER CONCLUDERE

(204) -Al riguardo nei provvedimenti di manovra finanziaria del 1997, si era dato mandato alGoverno di istituire testi unici sulle più diverse materie, alcuni dei quali poi realizzati, men-tre la commissione anti-corruzione presso la Camera dei Deputati ha presentato più proget-ti di legge complessi su tale argomento.

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PRINCIPALI DISPOSIZIONI IN TEMA DI MISURE DI PREVENZIONE

- Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericoloseper la sicurezza e per la pubblica moralità;

- Legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia;

- Legge 14 ottobre 1974, n. 497, Nuove norme contro la criminalità;

- Legge 22 maggio 1975, n. 152, Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico;

- Decreto Legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito con modificazioni dalla Legge 12ottobre 1982, n. 726, Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenzamafiosa;

- Legge 13 settembre 1982, n. 646, Disposizioni in materia di misure di prevenzione di caratterepatrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia;

- Legge 23 dicembre 1982, n. 936, Integrazioni e modifiche alla legge 13 settembre 1982, n.646, in materia di lotta alla delinquenza mafiosa;

- Legge 3 agosto 1988, n. 327, Norme in materia di misure di prevenzione personali;

- Legge 15 novembre 1988, n. 486, Disposizioni in materia di coordinamento della lotta controla delinquenza di tipo mafioso a integrazione del decreto legge 6 settembre 1982, n. 726;

- Decreto Legge 14 giugno 19889, n. 230, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 agosto1989, n. 282, Disposizioni urgenti per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscatiai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575;

- Legge 19 marzo 1990, n. 55, Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipomafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale;

- Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12luglio, n. 203, Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di tra-sparenza e buon andamento dell’attività amministrativa;

- Decreto Legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30dicembre 1991, n. 410, Disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informativee investigative nella lotta contro la criminalità organizzata;

- Decreto legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla Legge 20gennaio 1992, n. 8, Coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalitàorganizzata;

- Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto1992, n. 356, Modifiche urgenti al nuovo Codice di procedura penale e provvedimenti di con-trasto alla criminalità;

Allegato 1

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- Legge 24 luglio 1993, n. 256, Modifica dell’istituto del soggiorno obbligato e dell’articolo 2ter della legge 31 maggio 1965, n. 575;

- Decreto legge 17 settembre 1993, n. 369, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15novembre 1993, n. 461, Disposizioni urgenti in tema di possesso ingiustificato di valori e didelitti contro la pubblica amministrazione;

- Decreto Legge 20 dicembre 1993, n. 529, convertito dalla Legge 11 febbraio 1994, n. 108,Disposizioni urgenti in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli orga-ni degli altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipomafioso;

- Legge 17 gennaio 1994, n. 47, Disposizioni urgenti in materia di confisca di valori ingiusti-ficati;

- Decreto Legislativo 8 agosto 1994, n. 490, Disposizioni attuative della legge 17 gennaio1994, n. 47 in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia;

- Legge 7 marzo 1996, n. 109, Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni seque-strati o confiscati. Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e all’articolo 3 della legge 23luglio 1991, n.223. Abrogazione dell’articolo 4 del decreto legge 14 giugno 1989, n. 230, con-vertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282;

- Legge 26 marzo 2001, n. 128, Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza deicittadini;

- Decreto Legge 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella Legge 15dicembre 2001, n. 438, Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale.

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MODELLO DI PROPOSTA

PremessaDelineare, in breve, l’associazione di tipo mafioso cui il proponendo appartiene, indicando le attivitàillecite svolte dal gruppo e l’ambito territoriale di influenza. In tale ambito deve farsi menzione di:- elementi apicali dell’organizzazione criminale, anche in successione temporale;- pregresse o attuali situazione di contrasto all’interno del clan;- situazioni di conflitto esterne ed alleanze con altri gruppi;- gravi eventi delittuosi, specialmente fatti di sangue, avvenuti nel recente periodo nel terri-

torio di influenza del clan di appartenenza del proponendo;- area di influenza criminale del clan ed eventuale tendenza alla sua espansione in ambiti ter-

ritoriali di altri sodalizi.

Situazione anagrafica e personaleOccorre indicare, con tutti i dati anagrafici e di stato civile:- il nucleo famigliare;- i figli non conviventi ed eventuali loro coniugi e figli;- i conviventi dell’ultimo quinquennio.Su tutti devono essere indicati la professione, la eventuale situazione scolare, le frequentazione di istitutidi istruzione privati, di centri sportivi, di ippodromi, stadi, circoli ricreativi. Bisogna altresì menzionare:- eventuali soggiorni all’estero, specificando se si è trattato di vacanze studio o di permanenze turistiche;- la permanenza abituale in luoghi di villeggiatura (nel caso positivo, se in alberghi, villaggi

o case in affitto);Ove il proponendo sia originario di aree meridionali del paese, può risultare utile indicare itestimoni di battesimi, cresime, matrimoni, in considerazione della particolare importanzaattribuita a tali forme di vincolo, talvolta più forti di quelle parentali.

Biografia criminale del proponendoIn questo paragrafo occorre inserire tutti i presupposti che sono alla base della misura di pre-venzione personale:- condanne;- rinvii a giudizio;- ordinanze di custodia cautelare;- indizi di appartenenza ad una organizzazione mafiosa (quali ad esempio dichiarazioni dei

collaboratori di giustizia, frequentazione di pregiudicati, rapporti di lavoro con mafiosi);- precedenti di polizia (ricavabili dagli archivi elettronici di polizia).Occorre altresì indicare lo status della persona, e cioè se detenuto, latitante, già sottopostoad avviso orale.In particolare, bisogna ulteriormente specificare il ruolo del proponendo all’interno del claned il periodo in cui è avvenuta l’affiliazione (tale elemento è indispensabile per determinarein maniera certa i beni da proporre per la confisca), nonché, se conosciuta, la persona cheha proceduto alla iniziazione mafiosa del proponendo.

Allegato 2

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Allo scopo di meglio lumeggiare la pericolosità del soggetto, specie in relazione al suo gradodi percettibilità in ambito locale, si possono citare:- elementi caratteriologici e tratti salienti della personalità;- eventuali episodi eclatanti o leggendari, che hanno visto il proponendo come protagonista

e che sono noti in pubblico.

Accertamenti patrimonialiGli accertamenti patrimoniali devono essere esperiti sia consultando le banche dati disponibi-li che presso gli uffici o enti esterni notificando gli estremi del provvedimento autorizzatorio.Gli accertamenti bancari e postali vengono svolti notificando il provvedimento de quo agliistituti di credito ed agli uffici postali interessati. Gli accertamenti patrimoniali e bancarisono da circoscrivere alle aree di azione del proposto e devono essere estesi in ambito nazio-nale solo per quei soggetti di particolare spessore criminale.Sotto il profilo soggettivo gli accertamenti oltre al proposto vanno estesi nei confronti di:- coniuge e figli;- persone conviventi nell’ultimo quinquiennio;- persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni del cui patrimonio il propo-

sto risulti poter disporre, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente.Nel presente paragrafo occorre evidenziare:- l’eventuale sproporzione tra il reddito dichiarato ed il valore dei beni posseduti dal propo-

sto e dai suoi famigliari;- gli elementi indizianti in ordine all’illecita provenienza dei beni.Quando non è immediatamente possibile ravvisare la sproporzione tra i redditi dichiarati ed ibeni posseduti, si può fare ricorso ad ulteriori elementi di valutazione rilevando presso gli UfficiISTAT i dati relativi al costo della vita a livello provinciale; è da tenere presente, inoltre, che i red-diti rilevabili tramite la banca dati dell’anagrafe tributaria sono indicati al lordo delle imposte.

Beni proposti per il sequestro.Bisogna indicare i beni che si propongono per il sequestro ed il loro valore facendo, ove pos-sibile, riferimento a dati certi, come, ad esempio:- per gli immobili il valore catastale o quello, ove superiore, dichiarato in atti;- per le società le quote sociali;- per l’intera azienda il capitale netto;- per le autovetture il tipo, la targa, il numero di telaio, i passaggi di proprietà, l’effettivo possessore;- per le imbarcazioni la tipologia, il porto di ormeggio e le generalità dell’eventuale equipaggio.

Conclusioni e proposteDopo aver sinteticamente richiamato gli elementi indizianti di mafiosità a carico del propo-sto si indicano le misure di prevenzione che si ritengono applicabili.Per quanto concerne le misure a carattere patrimoniale, è necessario specificare le motivazio-ni poste alla base dell’eventuale richiesta di sequestro anticipato dei beni, quali:- possibile alienazione;- intestazione fittizia ad altri soggetti;- per aziende, mutamenti societari o cambi di ragione sociale.

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