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RE-CYCLE VENETO A CURA DI LORENZO FABIAN STEFANO MUNARIN ETTORE DONADONI

RE-CYCLE VENETO - Aracne editrice · P. R. Consulting S.r.l (PD) R.E.M. S.r.l. ... Nel workshop, come nella ... Nel rapporto sul mercato delle costruzioni del centro studi CRESME3

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RE-CYCLE VENETO

A CURA DILORENZO FABIANSTEFANO MUNARINETTORE DONADONI

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo

Copyright © MMXVAracne editrice int.le S.r.l.

[email protected]

via Quarto Negroni, 1500040 Ariccia (RM)(06) 93781065

isbn 978-88-548-8642-1

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio 2015

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PRIN 2013/2016PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALEArea Scientifico-disciplinare08: Ingegneria civile ed Architettura 100%

Unità di RicercaUniversità IUAV di VeneziaUniversità degli Studi di TrentoPolitecnico di MilanoPolitecnico di TorinoUniversità degli Studi di GenovaUniversità degli Studi di Roma“La Sapienza”Università degli Studi di Napoli “Federico II”Università degli Studi di PalermoUniversità degli Studi “Mediterranea” di Reggio CalabriaUniversità degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-PescaraUniversità degli Studi di Camerino

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Re-Cycle Veneto Lorenzo Fabian, Stefano Munarin

PRIMA PARTE:RICICLARE I TERRITORI DEL PIAVE E DEL PEDEMONTE

Esercizi di riciclo post-metropolitanoMauro Berta

Paesaggio e infrastruttura del Pedemonte Matteo Aimini

Le energie della Valle del PiaveElisa Beordo, Stefano Munarin

Dalle retrovie ai campi di battagliaAndrea Iorio, Claudia Pirina

Paesaggi fluviali in produzioneCarlo Magnani, Margherita Vanore, Francesca Zannovello

INDICE

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SECONDA PARTE:RICICLARE I TERRITORI DEI FIUMI E DELLE INFRASTRUTTURE

Paesaggio: così è se vi pareFranco Zagari

Esplorazioni progettuali e ricercaChiara Merlini

Ri-ciclare spazi e forme della mobilitàLorenzo fabian, Ettore Donadoni, Luca Velo

L’Ostiglia fra lo Zero e il DeseFlavia Pastò

Trama pubblica lungo il MarzenegoMaria Chiara Tosi, Viviana Ferrario, Claudia Faraone, Cristina Renzoni, Andrea Bortolotti

TERZA PARTE:RICICLARE I TERRITORI DELLA PRODUZIONE

Riciclo come progetto/progetto come ricicloMosè Ricci

Riciclare i territori della produzioneEzio Micelli

Veniceland Sara Marini, Sissi Cesira Roselli, Vincenza Santangelo, Giuseppe Piperata, Micol Roversi Monaco

Tessile pedemontano e temporary hostingMario Lupano, Ethel Lotto

Urbs in Horto. Nuovi cicli di vita per le placche industriali nella città diffusaPaola Viganò, Andrea Curtoni, Giulia Mazzorin

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QUARTA PARTE:LA NARRAZIONE DEL TERRITORIO COME STRUMENTO DI PROGETTO

All that jazzRenato Bocchi

Pubblicare Ve.Net: appunti per un manuale di progettazione da viaggioGiulia Ciliberto

Il modello territoriale Ve.Net. Mapping, delayering, relayeringGiuseppe Caldarola

Territori contesi. Il progetto tra razionalità tecnica e performatività narrativa Irene Guida

Viva i paesaggi post-belli (ci)Claudio Bertorelli (direttore Fondazione Francesco Fabbri)

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NETWORK

RicercaElisa BeordoGiuseppe CaldarolaGiulia CilibertoEttore DonadoniClaudia FaraoneIrene GuidaAntonella IndrigoAndrea IorioEmanuel LanceriniEthel LottoGiulia MazzorinFlavia PastòClaudia PirinaSissi RoselliSebastiano RoveroniLuca Velo

Supervisione Aldo AymoninoRenato BocchiFernanda De MaioLorenzo FabianAlberto FerlengaEnrico FontanariLuigi LatiniMario LupanoCarlo MagnaniSara MariniStefano MunarinMaria Chiara TosiPaola Viganò

Partner operativiAltevie Technologies S.r.l (Villorba, TV)Ikos Costruzioni S.r.l. (VE)Il Prato Publishing House (Saonara, PD)La Quercia (Scorzé, VE)Lago S.p.a. (Villa del Conte, PD)Marcello Faggin S.a.s. (PD)Marzotto S.p.a. (Valdagno, VI)P. R. Consulting S.r.l (PD)R.E.M. S.r.l. (Livenza, TV)Sartori BlueHiTech S.r.l. (PD)Sinergo S.p.a. (Martellago, VE)Sive Formazione S.r.l. (Marghera, VE)Zintek S.r.l. (Marghera, VE)

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RE-CYCLE VENETO*

Lorenzo FabianStefano Munarin

Un workshop, una ricercaLe pagine che seguono riassumono gli esiti del lavoro svolto da alcuni docenti, assegnisti di ricerca e studenti della laurea magistrale dell’uni-versità Iuav di Venezia che, nell’ambito della più vasta ricerca Recycle Italy, si sono organizzati in dieci “tavoli di lavoro” per indagare le possibilità di riciclo del territorio Veneto e al contempo utilizzare questo contesto per indagare alcune possibile articolazioni dell’idea di riciclo. Le ricerche e le sperimentazioni progettuali che nelle pagine seguenti sono illustrati esplorano così da angolazioni differenti i concetti base e condivisi della ricerca, ossia la possibilità di avviare nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture esistenti, dismesse o obsolete, entro strategie di progetta-zione che si interrogano su diversi temi, che vanno dalle questioni am-bientali, energetici e della mobilità alla percezione e fruizione di alcuni specifici paesaggi o alla riflessione intorno al concetto di patrimonio. Questo specifico progetto, della durata di un anno e intitolato Re-Cycle Veneto Lab1, si è concluso con il workshop di progettazione Ve.Net2, tenu-tosi nell’ottobre 2014 all’Università Iuav di Venezia e presso la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo. Al progetto hanno partecipato insieme ai docenti, studenti e ricercatori dell’università Iuav i rappresentanti di associazioni di categoria, amministrazioni, aziende e imprese, coinvolti in una comune ri-

* Questo testo è frutto della collaborazione tra gli autori, tuttavia esso è stato redatto da Stefano Munarin per i paragrafi "Un workshop, una ricerca" e "Ricicli", Lorenzo Fabian per i paragrafi "Un nuovo ciclo di trasformazione" e "Re-Cycle Veneto".

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flessione volta ad esplorare le possibili ricadute economiche e strategiche di una ipotesi di radicale trasformazione del territorio veneto. Nel workshop, come nella pubblicazione, i dieci tavoli sono stati suddivisi in tre parti, cui corrispondono anche differenti ambiti tematici e geografici. La prima parte, “Riciclare i territori del Piave e del pedemonte”, fa riferi-mento agli ambiti compresi fra le Alpi e l’alta pianura asciutta, territo-ri dinamici, oggi interessati dai cambiamenti indotti dalla realizzazione dell’autostrada pedemontana e alla ricerca di una nuova e più chiara definizione. La seconda parte, “Riciclare i territori dei fiumi e delle infra-strutture”, fa riferimento al deposito di acque, strade e ferrovie regionali che hanno strutturato la pianura e la città diffusa veneta, al loro neces-sario ripensamento alla luce dell’emergere di nuovi temi ambientali, del welfare e della valorizzazione del paesaggio. La terza parte, “Riciclare i territori della produzione”, fa riferimento alla conclusione di un lungo ciclo economico-produttivo e al necessario ripensamento, anche concettuale, dei suoi spazi. Infine un’ultima parte, cui corrisponde anche un ultimo tavolo di lavoro, è dedicata, fra storytelling e processo, alla narrazione del territorio come possibile forma del progetto.

fino al 1910Parete in pietra (intonaco, pietra, intonaco):con pietre squadrate grossolana-mente nelle zone montane,in prossimità dei corsi d’acqua, veniva utilizzato del pietrame avente forma irregolare e leggermente arrotondata

fino al 1950Muratura in mattoni pieni

fino al 1960Muratura in mattoni pieni a tre

teste faccia a vista.Muratura in mattoni pieni con

intercapedine.

dal 2005nuova generazione di edifici

fino al 1976Per l’edilizia residenziale privata

predominano le strutture a pilastri in cemento armato completate con murature di tamponamento con

doppia parte in laterizio faccia vista, Per l’edilizia residenziale pubblica

vengono impiegati sistemi industrializzati per la realizzazione di

pareti e solai in cemento armato In alternativa viene realizzata

un’intelaiatura in travi e pilastri in cemento armato,

fino al 2005A partire dal 1976 e fino al 2005, si afferma la realizzazione di edifici

con struttura a pilastri in cemento armato con murature di

tamponamento con doppia parte in doppia parete in laterizio, isolante nell’intercapedine e rivestimento

in intonaco sia all’interno che all’esterno.

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1966-19722° ciclo / 7 anni

consolidamento:casa di proprietà, seconde

case

1951-19661° ciclo / 15 anni

ciclo della ricostruzione: espansione

ricostruzione e boom economico

1972-19763° ciclo

inizio abusvismo

1977-19854° ciclo / 8 anni

compravendite + 84,7%prezzi + 26,5%

1985-19945° ciclo / 9 anni

ciclo della trasformazionecompravendite + 44,3%

prezzi + 67,9%

recupero centri storici (non in veneto)

1994-2010 6° ciclo / 16 anni

della nuova costruzione / espansionecompravendite +64%

prezzi + 63%condoni, politiche di sostegno

20107° ciclo / ...della trasformazionefra il 2008 e il 200le domande per ristrutturazione crescono del 14%

-9,8%-20% del mercato

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Cicli di vita del mercato delle costruzioni inItalia Fonte: L. Fabian con M. Barucco, rielabo-razione da Bellicini L et al., (2011), Il mer-cato delle costruzioni 2011, XXII rapporto congiunturale e previsionale Cresme. 2010-2015 l’avvio del VII ciclo edilizio. VOL3 CRESME

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Un nuovo ciclo di trasformazioneAnche in Veneto, come in altri territori contemporanei, è sempre più chia-ra la percezione che un lungo ciclo di costruzione della città si stia chiu-dendo.Nel rapporto sul mercato delle costruzioni del centro studi CRESME3 tale percezione si rende manifesta in un grafico che illustra il susseguirsi dei cicli del mercato immobiliare in Italia dal 1950 ad oggi. Il grafico, che mo-stra l’alternarsi dei momenti di espansione e di contrazione del mercato, si conclude con un ultimo grande ciclo edilizio – il sesto in ordine di tempo – iniziato a metà degli anni Novanta del XX° secolo e che oggi è in fase conclusiva e di intensa deflazione. Caratterizzato dalla dirompente cre-scita dei volumi edilizi e del suolo urbanizzato, esso fa luce su una strate-gia di trasformazione che, nei quindici anni a cavallo dei due millenni, ha applicato al territorio le tipiche dinamiche del mercato di consumo: una trasformazione senza riciclo, avvenuta perché ciò che esisteva non sem-brava più adeguato a rispondere alle esigenze di una società in rapido e profondo cambiamento o al fine di alimentare artificialmente la crescita “squilibrata” di un mercato delle costruzioni ormai saturo. Naturalmente il processo non è stato senza conseguenze. L’ultimo ciclo

fino al 1910Parete in pietra (intonaco, pietra, intonaco):con pietre squadrate grossolana-mente nelle zone montane,in prossimità dei corsi d’acqua, veniva utilizzato del pietrame avente forma irregolare e leggermente arrotondata

fino al 1950Muratura in mattoni pieni

fino al 1960Muratura in mattoni pieni a tre

teste faccia a vista.Muratura in mattoni pieni con

intercapedine.

dal 2005nuova generazione di edifici

fino al 1976Per l’edilizia residenziale privata

predominano le strutture a pilastri in cemento armato completate con murature di tamponamento con

doppia parte in laterizio faccia vista, Per l’edilizia residenziale pubblica

vengono impiegati sistemi industrializzati per la realizzazione di

pareti e solai in cemento armato In alternativa viene realizzata

un’intelaiatura in travi e pilastri in cemento armato,

fino al 2005A partire dal 1976 e fino al 2005, si afferma la realizzazione di edifici

con struttura a pilastri in cemento armato con murature di

tamponamento con doppia parte in doppia parete in laterizio, isolante nell’intercapedine e rivestimento

in intonaco sia all’interno che all’esterno.

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consolidamento:casa di proprietà, seconde

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ciclo della ricostruzione: espansione

ricostruzione e boom economico

1972-19763° ciclo

inizio abusvismo

1977-19854° ciclo / 8 anni

compravendite + 84,7%prezzi + 26,5%

1985-19945° ciclo / 9 anni

ciclo della trasformazionecompravendite + 44,3%

prezzi + 67,9%

recupero centri storici (non in veneto)

1994-2010 6° ciclo / 16 anni

della nuova costruzione / espansionecompravendite +64%

prezzi + 63%condoni, politiche di sostegno

20107° ciclo / ...della trasformazionefra il 2008 e il 200le domande per ristrutturazione crescono del 14%

-9,8%-20% del mercato

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Abbandono, sottoutilizzo, disuso nell'area centrale del VenetoMappa del Dross dell'area centrale veneta PATREVE (30x30km); in rosso gli spazi ab-bandonati, in nero gli spazi sottoutilizzati, in grisio la morfologia del costruito. Fonte: osservazione diretta, C. Furlan, Dottorato di Rocerca in Urbanistica, Iuav.

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edilizio, oltre ad aver consumato nuove consistenti porzioni di territorio sottraendole all’agricoltura, ha depositato sul suolo scarti di forma e di-mensioni differenti che oggi, anche alla luce dei rischi ambientali e della crisi economica, rendono evidente le fragilità del territorio e introducono ad alcuni possibili slittamenti di senso dei temi del progetto.

RicicliAnche alla luce di questi problemi, recentemente, e in particolare a partire dalla crisi del 2007, si è cominciato a guardare anche al territorio Veneto mettendone in evidenza i processi di abbandono e dismissione edilizia. Se si prova però a rilevare il fenomeno, a costruire delle mappe dell’ab-bandono ci si trova nella necessità di articolare le categorie analitiche, riconoscendo che se si cerca ciò che è completamente e univocamente abbandonato si trova poco mentre diventa assai più interessante segnare ciò che è solo parzialmente utilizzato, ciò che è momentaneamente vuoto, sottoutilizzato o sta cambiando destinazione, ciò che è in attesa di diven-tare altro, ecc. La dismissione, la chiusura e l’abbandono cioè, qui nel Veneto, appaiono come fenomeno articolato, sia spazialmente (con situazioni economiche ed insediative che reggono, altre che si trasformano ma continuano e altre ancora che soffrono e chiudono) sia nelle forme e nei processi. Se si cammina nelle zone industriali del veneto osservando i processi di dismissione ci si trova spesso di fronte a situazioni spurie, dove accanto a pochi eclatanti ed univoci abbandoni si ritrovano tante altre situazione intermedie. Se si osserva l’area di Bassano, la valle del Chiampo o la gran-de zona industriale di Vittorio Veneto si nota che il capannone e la zona industriale cambiano, si evolvono, diventano altro, ma assai più raramente vengono semplicemente abbandonati. La dismissione qui appare fenomeno opaco, micro, frammentato, richie-dendo sguardi più attenti e progetti e politiche più articolati e mirati. Un ingente patrimonio immobiliare sottoutilizzato o dismesso si scopre invece se si osserva l’edilizia residenziale. I due idealtipi prevalenti – la casa isolata e la piccola palazzina – che pervadono il territorio veneto co-stituendo quasi la nota di base, oggi sembrano improvvisamente subire un precoce invecchiamento, appaiono obsoleti e non più congrui rispetto alle nuove domande sociali. Allo stesso modo, spesso obsoleto, male utilizzato o abbandonato appare quel vasto supporto costituito dalle reti di acque, strade e ferrovie minori

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che nel tempo lungo ha reso estensivamente abitabile il territorio, per-mettendo di attraversarlo e stabilirsi praticamente ovunque. I canali, i fossi e le scoline che, come i fossati di cui ci parla Richard Ma-bey, sembrano "vocaboli superstiti dell’antico idioma della terra… e anche se l’antico tracciato è interrotto in più punti… sembrano criptiche trincee scavate in ere remote per assolvere a molteplici funzioni… Di sicuro, un fossato non è mai un fossile, una cosa inerte, ma è l’elemento di una nar-razione della terra, tenace e adattabile come una buona storia tramandata da generazioni"4.Allo stesso modo, le ferrovie minori e le piccole stazioni, le strade bianche, le carrarecce, le rive dei fiumi, i “trosi”, appaiono come tante piccole opere che, come ci ricorda Robert Macfarlane parlando in modo particolare dei sentieri, costituiscono una sorta di "labirinti di libertà, supporto monda-no nel senso migliore del termine perché appartengono al mondo, sono aperti a tutti", e come i sentieri, spesso, sono "tracce di esperienze collet-tive (che) senza manutenzione collettiva e collettivo impiego spariscono"5. Questo elenco aperto di infrastrutture, edifici e attrezzature ci invita ad an-dare a fondo sul concetto di “crisi”, dismissione e possibili scenari di “ri-ciclo”, ricordandoci subito che diventa interessante e necessario ricono-scere vari gradi di dismissione, che l’idea di riciclo se applicata ai sistemi insediativi rinvia all’idea di “ciclo di vita”6. Ai processi di continuo cambia-mento che attraversano la città e il territorio, al grado di disponibilità alla trasformazione che i diversi materiali urbani consentono, alla malleabilità del patrimonio esistente, che se vogliamo continui ad essere veramente patrimonio dobbiamo continuamente reinventare e riadattare e quindi alla possibilità di prospettare nuove interessanti visioni di cambiamento senza utilizzare ulteriore suolo libero, senza “urbanizzare” nuovo suolo agricolo ma facendo diventare diversamente abitabile ciò che abbiamo fin qui già edificato. Tra l’altro, ricordando che proprio attraverso un continuo pro-cesso di riciclo dell’esistente nei secoli scorsi abbiamo prodotto i centri antichi che ora tanto ci affascinano. Più in generale le trasformazioni in atto nel territorio veneto ci segnalano che il sesto ciclo edilizio ha qui prodotto una competizione non solo tra attività produttive e tendenze speculative, ma anche tra le parti di ter-ritorio che richiedono operazioni di recupero e quelle dove sono ancora possibili nuove urbanizzazioni di suolo agricolo: se nel prossimo futuro lasceremo che le nuove energie economiche e sociali (gli investimenti e le idee imprenditoriali) producano nuovi edifici in territori agricoli (operazioni

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facili) difficilmente troveremo altre energie in grado di rilavorare l’enorme quantità di edifici e spazi che hanno concluso un loro primo ciclo di vita e richiedono l’avvio di nuovi processi d’uso e attribuzione di senso. Muovendo dal presupposto che il sistema insediativo contemporaneo non rappresenta lo stato conclusivo di un lungo processo di modificazione e stratificazione ma solamente una sua fase, appare evidente come pro-prio a partire dalla “crisi” che stiamo vivendo si possa avviare un nuovo sforzo di immaginazione volto a definire futuri assetti territoriali. Nuovi assetti che devono certamente rispondere a criteri di sostenibilità (anche economica) ma dimostrarsi al contempo maggiormente inclusivi, garan-tire sicurezza idraulica ed ambientale, essere capaci di rispondere alle domande espresse da nuove popolazioni (immigrate e non) immaginando un nuovo ruolo sia per gli innumerevoli edifici e spazi dismessi sia per il patrimonio costituito dagli spazi del welfare, elementi che nell’insieme possono diventare nuovi assi portanti dell’assetto territoriale complessivo. Occorre domandarsi quindi come un vasto insieme di manufatti e spazi costruiti nel corso di più di mezzo secolo possano costituire oggi il punto di partenza per una grande trasformazione del territorio veneto, per l’avvio di nuovi cicli di vita basati sulla reinterpretazione e riconcettualizzazione dell’esistente, sulla logica delle 3R (riduci, riusa, ricicla).Osservando il territorio veneto ci troviamo di fronte ad un sistema inse-diativo dinamico, che certamente sta attraversando e deve affrontare sfide assai rilevanti: è un territorio nel quale il tumultuoso processo di sviluppo economico dei decenni passati ha lasciato un ingente patrimonio di spazi in disuso o comunque potenzialmente riusabili; è un territorio che si sco-pre sempre più spesso a rischio idraulico, nel quale occorre tornare ad osservare attentamente lo spazio occupato dall’acqua e il suo ruolo nella formazione del paesaggio sotto molteplici forme (dal grande fiume fino al più piccolo fosso, dalle aree depresse e umide agli ambiti di risorgiva, ecc.); è un territorio non sempre e non da tutti facile da abitare, nel quale la mobilità è privilegio degli adulti in possesso dell’automobile; è un terri-torio che si deve confrontare con l’arrivo di nuove e diverse popolazioni con il relativo sviluppo di tensioni e innovazioni sociali; è un territorio in cui si assiste all’incessante processo di trasformazione della sua base econo-mica e produttiva, con i distretti in continuo mutamento, spesso capaci di ripresentarsi sotto forme nuove, sorprendenti, proprio mentre se ne sta studiando la presunta fine. Un territorio abitato, caratterizzato dalla compresenza di diversi sistemi

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Ricicli delle aree produttive in VenetoAttraversando le zone industriali ed en-trando nei capannoni è possibile ricono-scere situazioni assai differenti e articolati processi di trasformazione. Dal grande capannone inutilizzato e mai finito perché probabilmente realizzato solo per benefi-ciare della cosiddetta “legge Tremonti” (1) al piccolo spazio intensamente utilizzato da vecchi e nuovi makers (2); dal vasto spazio inizialmente pensato per attività manifat-turiere ed oggi riutilizzato per attività che all’edifico e alla zona industriale probabil-mente chiedono altre prestazioni (3) fino al capannone “scatola da scarpe” riciclato come palestra, discoteca o sala giochi (4). Tanti capannoni simili, spesso anonimi e apparentemente “muti” se osservati lasciando scorrere lo sguardo dall’automo-bile ma che in realtà raccontano diverse storie e cicli di vita. Fotografie di Brando Posocco

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insediativi, certo non immune da difetti e limiti ma dinamico, che appare ai nostri occhi dotato di una buona resilienza, capacità di mutare, “adattarsi” al cambiamento, un sistema insediativo “intrigante” proprio perché diffi-cile da ridurre entro un’unica immagine riassuntiva (positiva o negativa che sia). Un sistema insediativo interessante perché formato da diversi “modelli urbani” posti vicino l’uno all’altro e che consentono stili di vita diversi: dalla città antica, che ha in Venezia l’esempio esemplare, all’a-bitare nella rada “città inversa” che si è sviluppata lungo le strade della centuriazione romana; dai quartieri di edilizia residenziale pubblica, trop-po spesso criticati sulla base di pregiudizi mentre invece con la loro ricca dotazione di servizi costituiscono una sorta di “isole del welfare” cui fanno riferimento anche gli abitanti delle lottizzazioni private di case su lotto spesso prive dei servizi elementari, alle parti di città compatta costruite a partire dal secondo dopoguerra attorno ai nuclei antichi, parti che grazie alla loro relativa alta densità permettono lo sviluppo di “strade corridoio” con i negozi al piano terra e servite dal trasporto pubblico. Un sistema insediativo nel quale diventa interessante prestare attenzione al contempo agli spazi, ai diversi materiali che vi si sono depositati e alle pratiche, ai soggetti e ai processi sociali che li attraversano reinterpre-tandoli. Osservare gli spazi riflettendo sul concetto di “capacità”, sulle possibilità che questi offrono, misurando il benessere sulla base di ciò che gli indi-vidui possono fare ed essere, piuttosto che su ciò che possiedono. Pen-sando che anche di fronte ai problemi e alle crisi del territorio, sia utile cercare di ridurre le forme di ingiustizia (che limita ciò che possiamo fare ed essere) piuttosto che puntare alla realizzazione di un mondo perfet-tamente giusto (finendo con il riflettere più sulle forme istituzionali che sulla concreta giustizia). Un atteggiamento pragmatico ed incrementale forse, che si alimenta an-che di più suggestive ed ampie immagini utopiche ma che ci sembra in-teressante perché non parte dalla condanna preventiva di ciò che stiamo osservando (cioè modi di abitare il mondo, qui ed ora). Interpretando il deposito materiale realizzato e più volte riscritto nel cor-so del tempo come lascito imprescindibile, “supporto” fisico a partire dal quale è possibile sviluppare nuove immagini e idee, nuovi “modi di stare al mondo” che non devono necessariamente fare riferimento all’idea tradi-zionale di città o di campagna, ma ad inediti spazi di civitas che consenta-no lo sviluppo di forme di “democrazia sostanziale”7.

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