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R U F F I A N I D E L L A G U E R R A Il fungo intanto sale. La morte intanto alza la voce pesante schiacciante. Il vostro amore non l’ho visto. Bisogna opporsi, opporsi mattina e sera. Il vostro amore non lo sento. Bisogna esserci esserci con tutta la carne e con tutta la vita. Ruffiani della guerra. Ruffiani della morte. La vostra pace mi terrorizza la vostra pace è bugiarda e ladra la vostra pace divora anche la notte la vostra pace non la voglio, non la voglio. Ferrucio BRUGNARO (da Un pugno di sole, Zambon Verlag Editore) P.I. Spa – Spedizione in abbonamento postale, Art.1, comma 1 – D.L. 353/2003 (convert. in L. 27.02.2004 N° 46) Art.1, DCB Varese - ISSN 0391-3600 LUGLIO- DICEMBRE 2014 216 - 218 V I A R E G G I O : U N A S T R A G E F E R R O V I A R I A D I C U I N O N S I D E V E P A R L A R E I P A R A D O S S I D E L L A C R E S C I T A I N F I N I T A I N U N P I A N E T A F I N I T O I L D I R I T T O A L L A V I T A A P P E S O A U N R A M O E L A S V O L T A R I S A R C I T O R I A L E T R E A G R I C O L T U R E : C O N T A D I N A , I N D U S T R I A L E , E C O L O G I C A G E N E T I C A , O G M E A G R I C O L T U R A Q U E L C H E R E S T A D I E X P O

Referenti di Medicina DemocraticaE-mail: [email protected] Sede M.D. della provincia di Varese, Via Roma n 2, 21053 – Castellanza (VA) CALABRIA - Ferruccio Codeluppi ,

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RUFFIANI DELLA GUERRA

Il fungo intanto sale.La morte intanto alza

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schiacciante.Il vostro amore non l’ho visto.Bisogna opporsi, opporsi

mattina e sera.Il vostro amore non lo sento.Bisogna esserci esserci

con tutta la carnee con tutta

la vita.Ruffiani della guerra.Ruffiani della morte.La vostra pace mi terrorizzala vostra pace è bugiarda

e ladrala vostra pace divora

anche la nottela vostra pacenon la voglio, non la voglio.

Ferrucio BRUGNARO (da Un pugno di sole, Zambon Verlag Editore)

216 - 218

VIAREGGIO: UNA STRAGE FERROVIARIA DI CUI NON SI DEVE PARLARE

I PARADOSSI DELLA CRESCITA INFINITA IN UN PIANETA FINITO

IL DIRITTO ALLA VITA APPESO A UN RAMO E LA SVOLTA RISARCITORIA

LE TRE AGRICOLTURE: CONTADINA, INDUSTRIALE, ECOLOGICA

GENETICA, OGM E AGRICOLTURA

QUEL CHE RESTA DI EXPO

P.I. S

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1 –

D.L

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27.

02.2

004

N° 4

6) A

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SN 0

391-

3600

LU

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ICEM

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201

4

RUFFIANI DELLA GUERRA

Il fungo intanto sale.La morte intanto alza

la vocepesante

schiacciante.Il vostro amore non l’ho visto.Bisogna opporsi, opporsi

mattina e sera.Il vostro amore non lo sento.Bisogna esserci esserci

con tutta la carnee con tutta

la vita.Ruffiani della guerra.Ruffiani della morte.La vostra pace mi terrorizzala vostra pace è bugiarda

e ladrala vostra pace divora

anche la nottela vostra pacenon la voglio, non la voglio.

Ferrucio BRUGNARO (da Un pugno di sole, Zambon Verlag Editore)

216 - 218

VIAREGGIO: UNA STRAGE FERROVIARIA DI CUI NON SI DEVE PARLARE

I PARADOSSI DELLA CRESCITA INFINITA IN UN PIANETA FINITO

IL DIRITTO ALLA VITA APPESO A UN RAMO E LA SVOLTA RISARCITORIA

LE TRE AGRICOLTURE: CONTADINA, INDUSTRIALE, ECOLOGICA

GENETICA, OGM E AGRICOLTURA

QUEL CHE RESTA DI EXPO

Page 2: Referenti di Medicina DemocraticaE-mail: medicinademocratica@alice.it Sede M.D. della provincia di Varese, Via Roma n 2, 21053 – Castellanza (VA) CALABRIA - Ferruccio Codeluppi ,

Sede Nazionale e Sede Amministrativa Via dei Carracci, 2 - 20149 Milano

COMITATO DI REDAZIONE: Fulvio AURORA (direttore responsabile), Lino BALZA, Angelo BARACCA, Cesare BERMANI, Ga briella BERTINI, Roberto BIANCHI, Sergio BOLOGNA, Marco CAL-DIROLI, Roberto CARRARA, Germano CASSINA, Carla CA VAGNA, Gianni CAVINATO, Maria Luisa CLEMENTI, Elisabetta COSANDEY, Angelo COVA, Fernando D’ANGELO, Rino ERMINI, Giorgio FORTI, Giorgio GALLEANO, Pietro e Sara GALLI (grafici), Maurizio LOSCHI, Luigi MARA (direttore), Dario MIEDICO, Marcello PALAGI, Barbara PERRONE, Roberto POLILLO, Maurizio PORTALURI, Chiara SAS SO, Matteo SPREAFICO, Vito TOTIRE, Laura VALSECCHI, Bruno VITALE. INOLTRE COLLABORANO A QUESTA RIVISTA: Carlo ALBERGANTI, Giorgio ALBERTINALE, Beppe BANCHI, Giuseppe BLANCO, Mario BRAGA, Ferruccio BRUGNARO, Paolo BULETTI, Roberto CARMINATI, Marco CERIANI, Massimo

COZZA, Michele DE PASQUALE, Rossana DET-TORI, Elisabetta DONINI, Antonino DRAGO, Gior -gio DUCA, Walter FOSSATI, Cristina FRANCE-SCHI, Lidia FRANCESCHI, Ida GALLI, Valerio GENNARO, Patrizia GENTILINI, Liliana GHILAR-DI, Ma ria Grazia GIANNICHEDDA, Claudio GIOR-NO, Pietro GRILLAI, Giuseppe MARAZZINI, Maurizio MARCHI, Gilberto MARI, Gianni MAT-TIOLI, Bruno MEDICI, Claudio MEZZANZANICA, Alfredo MORABIA, Corrado MONTEFALCHESI, Celestino PANIZZA, Pietro PEROTTI, Agosti noPIRELLA, Aris REBELLATO, Giuseppe REZZA, Franco RIGOSI, Marino RUZZENENTI, Aldo SACHERO, Nicola SCHINAIA, Anna SEGRE, Giovanni SERRAVALLE, Claudia SORLINI, Gianni TAMINO, Flavia TRIOZZI, Bruno THIEME, Enzo TIEZZI, Lu ca TRENTINI, Attilio ZINELLI. IMPA-GINAZIONE: Giulia DEBBIA, An drea PRAVETTO-NI, Stefano DEBBIA.

5 per 1000E' possibile versare nella prossima dichiarazione dei redditi il 5 per mille dell'IRPEF all'Associazione “Medicina Democratica - Movimento di Lotta per la Salute O.N.L.U.S.”, in breve “Medicina Democratica – O.N.L.U.S.”. Come è noto, si tratta di un’associazione autogestita che opera senza fini di lucro attraverso il lavoro volontario e gratuito e le sottoscrizioni dei suoi associati e simpatizzanti, che non ha mai goduto e che non gode di finanziamen-ti nè diretti nè indiretti da parte di chicchessia. Pertanto, se ne condividete l’operato e intendete sostenere le sue iniziative per affermare la Salute, la Sicurezza e l’Ambiente salubre in fabbrica, così come in ogni dove della società, nel rigoroso rispet-to dei Diritti Umani e contro ogni forma di esclu-sione, emarginazione, discriminazione e razzismo, Vi chiediamo di indicare il numero di Codice Fiscale 97349700159 dell’Associazione “Medicina Democratica - Movimento di Lotta per la Salute O.N.L.U.S.”. N.B. Si ricorda che la scelta del 5 per mille non sostituisce quella dell'8 per mille (dedicata, per esempio, al culto): le opzioni 5 per mille e 8 per mille si possono esprimere entrambe.

BIMESTRALEN° 216-218 luglio-dicembre 2014

Autorizzazine del Tribunale di Milano n° 23

del 19 gennaio 1977

Iscritta al Registro Nazionale della Stampa

(Legge 58/81 n. 416, art. 11) il 30 ottobre 1985

al n° 8368317, foglio 657 ISSN 0391-3600

EDIZIONE:Medicina Democratica

Movimento di Lotta per la Salute - O.n.l.u.s.

Tel. 02-4984678Fax 02-48014680

20100 Milano

REDAZIONE: e-mail:

[email protected] Fax 0331-501792

Via Roma, 221053 - Castellanza (VA)

PER SOTTOSCRIZIONEdella quota associativa annua:

ordinaria €. 35,00sostenitrice €. 55,00

e per le DONAZIONI bonifico bancario

IBAN:IT48U0558401708000000018273

presso la Banca Popolare di Milano, oppure con bollettino

postale sul c/c 001016620211 inte-stato a “Medicina Democratica –

O.N.L.U.S.”, Milano, Via dei Carracci 2, c.p. 245, 20100

indicando la causale.

Spedizione postale STAMPA:

GRAPHITI S.r.l. Via Newton, 12 20016 Pero (MI)

Referenti di Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute - O.N.L.U.S.

SEGRETERIA NAZIONALE- Via dei Carracci n° 2, 20149 Milano - Tel. 02/4984678

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Redazione e diffusione della RivistaFax: 0331/501792E-mail: [email protected] Sede M.D. della provincia di Varese, Via Roma n° 2, 21053 – Castellanza (VA)

CALABRIA- Ferruccio Codeluppi , via Villini Damiani 15/O, 89822 Serra San Bruno (CZ) tel 096371231- Alberto Cunto, via della Repubblica 46, 87028 Praia a Mare - tel./fax 0985-74030, cell. 3883649126, e-mail [email protected] oppure [email protected]

SICILIA- Franco Ingrillì. Via Simone Cuccia 12, 90144, Palermo, tel 091/303669

EMILIA ROMAGNA- Bruna Bellotti, via Bellaria 55, 40139 Bologna, email [email protected] - Tavolazzi Valentino, via Calzolai 184, Ferrara tel 348 2494954; e-mail: [email protected] Gentilini Patrizia, via Nievo 5, 47100 Forlì- Monfredini Roberto, via Montegrappa 15, Solignano di Castelvetro (MO), tel 338 4566388

LAZIO- Antonio Valassina c/o Università Cattolica, largo E. Gemelli 8; email [email protected] Nicola Schinaia, Via Oristano 9, 00182 Roma. Tel. 06/4990 int. 820, oppure 06/4460124 (uff.)- Mario Sacilotto, Via Della Scala 63, Roma. Tel. 06/5885026 (abit.), 06/59994272

PIEMONTE- Sede M.D. via San Pio V, n. 4, 15100 Alessandria, tel. 3470182679 e-mail: [email protected] Lino Balza, via Dante 86, 15100 Alessandria, tel. 013143650 –3384054068 email: [email protected]

- Renato Zanoli, via G. Emanuel 16, 10136 Torino, tel. 3384054068 –011392042, email [email protected] - Enzo Ferrara,., corso Giulio Cesare 58/E , 10152 , Torino, [email protected] Cavagna Carla, via Mossotti 3, 28100 Novara tel 0321612944; 3336090884 e-mail [email protected] Dario Miedico, Arona (NO), tel 335265547, email [email protected]

LOMBARDIA- Sede M.D. Milano. Via dei Carracci 2, 20149 Milano, tel 024984678- Sede M.D. Gallarate, c/o Coop. Unione Arnatese, via de Checchi 4, 21013 Arnate di Gallarate (VA)- Sede M.D. della Provincia di Varese, via Roma 2, 21053 Castellanza, fax 0331501792;- Duca Piergiorgio, via Bramante 23, 20154 Milano, - Matteo Orlandi , via Biancardi 9 Lodi. Cell 3922485840- Silvana Cesani, via Borgo Adda n° 3, 20075 Lodi, Tel. 0371/423481; Cell. 335/7595947- Attilio Zinelli, via Bettole 71, 25040 Camignone (BS), tel 030653237- Luigi Mara, via S. Giovanni 11, 21053 Castellanza (VA) tel 0331500385, fax 0331501792 email: [email protected] Walter Fossati, via Moscova 38, 20025 Legnano (MI) tel 0331599959 –3284840485- Elisabeth Cosandey, viale Campania 4, 20077 Melegnano (MI), tel. 029836928- Laura Valsecchi, Unità Spinale –Niguarda Cà Granda, Piazza Ospedale Maggiore 3 – 20162 Milano tel 0264443945 – 023313372 e-mail:[email protected] Marco Caldiroli, via Quintino Sella 115, 21052 Busto Arsizio (VA) e-mail: [email protected]

TRENTINO - ALTO ADIGE - Adriano Rizzoli, via dei Castori, 55 –38121 Martignano (TN) – tel. 0461 820002 – [email protected].

PUGLIA- Tonino d’Angelo, via Cantatore 32/N, 71016 San Severo (FG), tel 0882228299; fax 0882228156

CAMPANIA- Paolo Fierro, Traversa Privata Maffettone 8, 80144, Napolitel 3274514127; e-mail [email protected]

BASILICATASede M.D, via E. De Martino 65, 75100 Matera.- Mario Murgia, via Martino 47, 75100 Matera, tel. 340.7882621 email:[email protected]

TOSCANASede M.D. Firenze, Piazza Baldinucci8/rosso, 50129 Firenze- Gino Carpentiero, via Montebello 39, 50123, Firenze, tel 055285423; 0556263475; e-mail [email protected]; cell. 347-5481255 - Beppe Banchi, via Incontri 2, 50139, Firenze, tel 055412743,e-mail: [email protected] Maurizio Marchi, via Cavour 4, 57013 Rosignano Solvay (LI) tel 328-4152024; e-mail: [email protected] Floridi Amanda, via Verdi 110, 57127 Livorno; - Liliana Leali via Montebello 38, 50123 Firenze tel. 3280535454- Marcello Palagi, via XX Settembre n° 207, 54031 Avenza (MS). tel. 0585/857562e-mail: [email protected]

VENETO- Antonio Pignatto - via Beccaria 41/B -30175 Marghera (VE) - tel 041/924618 -e-mail: [email protected] Franco Rigosi - via Napoli 5 - 30172 Mestre (VE) - tel. 041/952888 - e-mail: [email protected] Ferruccio Brugnaro, Spinea (VE), Tel. 041/992827- Maria Chiara Rodeghiero, piazza Biade 11, 36100 [email protected] Paolo Nardin, via Don Sante Ferronato n° 44/2, 33030 Pianiga (VE), tel. 3497447189, e-mail: [email protected] (referente per Padova e provincia)

MARCHE- Loris Calcina, via Campanella 2, 60015 Falconara Marittima (AN).Tel. 3339492882- Claudio Mari, Via Buonarroti n° 31, 61100 Pesaro. Tel. 0721/33135 (uff.); 0721/287248 (abit.); Cell. 329/3637004

LIGURIA- Sede M.D. Via Crispi 18 rosso, 17100 Savona, tel. 0192051292, e-mail: [email protected] Maurizio Loschi, via Luccoli 17/7, 17072 Albisola Mare (SV), tel. 019486341 cell.3474596046, e-mail [email protected], skype: mauryematty- Eraldo Mattarocci, cell.3486039079 [email protected] Avv. Rita Lasagna Piazza della Vittoria 14/18 Savona 17100, cell. 3356152757- Valerio Gennaro via Trento 28, 16145 Genova, tel. 010.310260 - 010.5558.557 (ore 9.00-19.00) skype: valeriogennaro1; e-mail: [email protected]

SARDEGNA- Francesco Carta, via Toscanini 7, 09170 Oristano

Sede Nazionale Via Venezian, 1 - 20133 Milano - Sede Amministrativa Via dei Carracci, 2 - 20149 Milano

COMITATO DI REDAZIONE: Fulvio AURORA (direttore responsabile), Lino BALZA, Angelo BARACCA, Cesare BERMANI, Ga briella BERTINI, Roberto BIANCHI, Sergio BOLOGNA, Marco CAL-DIROLI, Roberto CARRARA, Germano CASSINA, Carla CA VAGNA, Gianni CAVINATO, Maria Luisa CLEMENTI, Elisabetta COSANDEY, Angelo COVA, Fernando D’ANGELO, Rino ERMINI, Giorgio FORTI, Giorgio GALLEANO, Pietro e Sara GALLI (grafici), Maurizio LOSCHI, Luigi MARA (direttore), Dario MIEDICO, Marcello PALAGI, Barbara PERRONE, Roberto POLILLO, Maurizio PORTALURI, Chiara SAS SO, Matteo SPREAFICO, Vito TOTIRE, Laura VALSECCHI, Bruno VITALE. INOLTRE COLLABORANO A QUESTA RIVISTA: Carlo ALBERGANTI, Giorgio ALBERTINALE, Beppe BANCHI, Giuseppe BLANCO, Mario BRAGA, Ferruccio BRUGNARO, Paolo BULETTI, Roberto CARMINATI, Marco CERIANI, Massimo

COZZA, Michele DE PASQUALE, Rossana DET-TORI, Elisabetta DONINI, Antonino DRAGO, Gior -gio DUCA, Walter FOSSATI, Cristina FRANCE-SCHI, Lidia FRANCESCHI, Ida GALLI, Valerio GENNARO, Patrizia GENTILINI, Liliana GHILAR-DI, Ma ria Grazia GIANNICHEDDA, Claudio GIOR-NO, Pietro GRILLAI, Giuseppe MARAZZINI, Maurizio MARCHI, Gilberto MARI, Gianni MAT-TIOLI, Bruno MEDICI, Claudio MEZZANZANICA, Alfredo MORABIA, Corrado MONTEFALCHESI, Celestino PANIZZA, Pietro PEROTTI, Agosti noPIRELLA, Aris REBELLATO, Giuseppe REZZA, Franco RIGOSI, Marino RUZZENENTI, Aldo SACHERO, Nicola SCHINAIA, Anna SEGRE, Giovanni SERRAVALLE, Claudia SORLINI, Gianni TAMINO, Flavia TRIOZZI, Bruno THIEME, Enzo TIEZZI, Lu ca TRENTINI, Attilio ZINELLI. IMPA-GINAZIONE: Giulia DEBBIA, An drea PRAVETTO-NI, Stefano DEBBIA.

5 per 1000E' possibile versare nella prossima dichiarazione dei redditi il 5 per mille dell'IRPEF all'Associazione “Medicina Democratica - Movimento di Lotta per la Salute O.N.L.U.S.”, in breve “Medicina Democratica – O.N.L.U.S.”. Come è noto, si tratta di un’associazione autogestita che opera senza fini di lucro attraverso il lavoro volontario e gratuito e le sottoscrizioni dei suoi associati e simpatizzanti, che non ha mai goduto e che non gode di finanziamen-ti nè diretti nè indiretti da parte di chicchessia. Pertanto, se ne condividete l’operato e intendete sostenere le sue iniziative per affermare la Salute, la Sicurezza e l’Ambiente salubre in fabbrica, così come in ogni dove della società, nel rigoroso rispet-to dei Diritti Umani e contro ogni forma di esclu-sione, emarginazione, discriminazione e razzismo, Vi chiediamo di indicare il numero di Codice Fiscale 97349700159 dell’Associazione “Medicina Democratica - Movimento di Lotta per la Salute O.N.L.U.S.”. N.B. Si ricorda che la scelta del 5 per mille non sostituisce quella dell'8 per mille (dedicata, per esempio, al culto): le opzioni 5 per mille e 8 per mille si possono esprimere entrambe.

BIMESTRALEN° 213-215 gennaio-giugno 2014

Autorizzazine del Tribunale di Milano n° 23

del 19 gennaio 1977

Iscritta al Registro Nazionale della Stampa

(Legge 58/81 n. 416, art. 11) il 30 ottobre 1985

al n° 8368317, foglio 657 ISSN 0391-3600

EDIZIONE:Medicina Democratica

Movimento di Lotta per la Salute - O.n.l.u.s.

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indicando la causale.

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LOMBARDIA- Sede M.D. Milano. Via dei Carracci 2, 20149 Milano, tel 024984678- Sede M.D. Gallarate, c/o Coop. Unione Arnatese, via de Checchi 4, 21013 Arnate di Gallarate (VA)- Sede M.D. della Provincia di Varese, via Roma 2, 21053 Castellanza, fax 0331501792;- Duca Piergiorgio, via Bramante 23, 20154 Milano, - Matteo Orlandi , via Biancardi 9 Lodi. Cell 3922485840- Silvana Cesani, via Borgo Adda n° 3, 20075 Lodi, Tel. 0371/423481; Cell. 335/7595947- Attilio Zinelli, via Bettole 71, 25040 Camignone (BS), tel 030653237- Luigi Mara, via S. Giovanni 11, 21053 Castellanza (VA) tel 0331500385, fax 0331501792 email: [email protected] Walter Fossati, via Moscova 38, 20025 Legnano (MI) tel 0331599959 –3284840485- Elisabeth Cosandey, viale Campania 4, 20077 Melegnano (MI), tel. 029836928- Laura Valsecchi, Unità Spinale –Niguarda Cà Granda, Piazza Ospedale Maggiore 3 – 20162 Milano tel 0264443945 – 023313372 e-mail:[email protected] Marco Caldiroli, via Quintino Sella 115, 21052 Busto Arsizio (VA) e-mail: [email protected]

TRENTINO - ALTO ADIGE - Adriano Rizzoli, via dei Castori, 55 –38121 Martignano (TN) – tel. 0461 820002 – [email protected].

PUGLIA- Tonino d’Angelo, via Cantatore 32/N, 71016 San Severo (FG), tel 0882228299; fax 0882228156

CAMPANIA- Paolo Fierro, Traversa Privata Maffettone 8, 80144, Napolitel 3274514127; e-mail [email protected]

BASILICATASede M.D, via E. De Martino 65, 75100 Matera.- Mario Murgia, via Martino 47, 75100 Matera, tel. 340.7882621 email:[email protected]

TOSCANASede M.D. Firenze, Piazza Baldinucci8/rosso, 50129 Firenze- Gino Carpentiero, via Montebello 39, 50123, Firenze, tel 055285423; 0556263475; e-mail [email protected]; cell. 347-5481255 - Beppe Banchi, via Incontri 2, 50139, Firenze, tel 055412743,e-mail: [email protected] Maurizio Marchi, via Cavour 4, 57013 Rosignano Solvay (LI) tel 328-4152024; e-mail: [email protected] Floridi Amanda, via Verdi 110, 57127 Livorno; - Liliana Leali via Montebello 38, 50123 Firenze tel. 3280535454- Marcello Palagi, via XX Settembre n° 207, 54031 Avenza (MS). tel. 0585/857562e-mail: [email protected]

VENETO- Antonio Pignatto - via Beccaria 41/B -30175 Marghera (VE) - tel 041/924618 -e-mail: [email protected] Franco Rigosi - via Napoli 5 - 30172 Mestre (VE) - tel. 041/952888 - e-mail: [email protected] Ferruccio Brugnaro, Spinea (VE), Tel. 041/992827- Maria Chiara Rodeghiero, piazza Biade 11, 36100 [email protected] Paolo Nardin, via Don Sante Ferronato n° 44/2, 33030 Pianiga (VE), tel. 3497447189, e-mail: [email protected] (referente per Padova e provincia)

MARCHE- Loris Calcina, via Campanella 2, 60015 Falconara Marittima (AN).Tel. 3339492882- Claudio Mari, Via Buonarroti n° 31, 61100 Pesaro. Tel. 0721/33135 (uff.); 0721/287248 (abit.); Cell. 329/3637004

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A volte ritornano, anzi nonse ne sono mai andati!

di Luigi MARA

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 2014

Maurizio Sacconi, già PSI nell’orbita di DeMichelis a Venezia, già sottosegretario e, poi,ministro del Lavoro nei governi Berlusconi(il peggiore dalla nascita della Repubblica);ora come presidente della CommissioneLavoro del Senato, in quota NCD, nel gover-no Renzi, il 18.08.2014 ha dichiarato al quo-tidiano la Repubblica: “L’obbligo di reinte-gro di un lavoratore licenziato senza giustacausa è una cosa assurda” (sic!). Questo signore non ha nessuna remora evergogna ad esprimere posizioni culturalicosì rozze, che negano ogni principio dilegalità, di democrazia e di convivenza civi-le. Vien da chiedersi, cosa direbbe, se fosse invita, il Ministro del Lavoro socialistaBrodolini che, il 30 maggio 1970, promulgòlo Statuto dei Diritti dei Lavoratori e delleLavoratrici? Va detto che Sacconi è in buona compagniacon i suoi sodali di partito e di governoAlfano e Lupi, nonché con Poletti e con ilsegretario del PD e capo del governo Renzi,a tacere di molti altri.Sergio Chiamparino, già Sindaco di Torinoper 10 anni, poi subito nominato Presidentedella Fondazione bancaria S. Paolo diTorino, bontà Sua, da questa poltrona si èsubito autoproclamato e reso disponibile afare il Presidente della Regione Piemonte,poltrona sulla quale ora siede, il 24.08.2014ha dichiarato al quotidiano la Repubblica:“Contrariamente a quel che si dice, io neisalotti non ci sono mai entrato”; infatti si èsolo limitato ad andare a mangiare la pizzacon Marchionne per meglio comprendere esostenere il programma FIAT Italia con 20miliardi di Euro (virtuali!) per raddoppiarein Italia la produzione automobilistica, pre-

via espulsione dalle stesse fabbriche dimigliaia di operai da Termini Imerese aNapoli, a Torino, e in altri stabilimenti FIAT,con pulizia etno-sindacale per tutti i lavora-tori e le lavoratrici iscritti alla FIOM ed aisindacati di base, perché non in sintoniacon il Marchionne (e Chiamparino) pensie-ro, e con l’imposizione dell’ignobile contrat-to aziendale sottoscritto dalle ancelle sinda-cali CISL, UIL e dal sindacato Fiat …., non-ché dall’ex sindacato missino UGL.Per questo, anche Chiamparino dall’alto delsuo seggio regionale, non ha voluto essereda meno, e ha dichiarato: “Bisogna discute-re anche dei vincoli ritenuti eccessivi dalleimprese”. “Riscriviamo Statuto e l’articolo18, il PD superi i tabù per creare lavoro”. “Seio tornassi a fare il sindacalista oggi chiede-rei di riscrivere lo Statuto dei lavoratori”. Ealla domanda del giornalista del quotidianola Repubblica: “E abolirebbe l’articolo 18?”<<E discuterei sul sistema migliore per tute-lare i diritti di chi lavora eliminando quelliche sono considerati dalle imprese vincolinon più compatibili con la globalizzazio-ne>>. E alla successiva domanda: “Lei credeche la sinistra italiana sarà disposta a fareun’operazione tanto radicale?” <<Credo siaun’operazione necessaria>>. (la Repubblica, 24 agosto 2014, pag. 7). Renzi, come capo del governo, da buonimbonitore, la scorsa estate, ha più voltedichiarato (sintetizzo): “Non è ora ilmomento di parlare dell’articolo 18 delloStatuto, dato che io lo cambierò e lo riscri-verò completamente” (sic!). Al di là deglisproloqui degli ascari della destra, sonoseguiti schiere di pifferai del “palazzo”, chesi definiscono di “sinistra” o più o meno di“centro-sinistra” o “progressisti”, intenti a

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spiegarci che l’eliminazione dei vincoli perle imprese - [viceversa, si leggano i dirittifondamentali e sindacali di ogni lavoratricee lavoratore!] - ha lo scopo di offrire a tuttele persone migliori condizioni di lavoro,appunto a “tutele crescenti”! , così comepartorite dall’attuale governo confindustria-le, e continuamente proclamate in ognidove da quell’ex compagno della Lega delleCooperative che, nel governo Renzi, ricoprela carica di ministro del Lavoro. Nella palude nella quale naviga l’attualegoverno di destra che tanto piace al padro-nato, Confindustria in testa, si è distintoanche il presidente della CommissioneLavoro della Camera dei deputati CesareDamiano. Questo sinistro paladino del lavo-ro, durante un confronto con il senatoreIchino sui temi dello Statuto dei Lavoratori,nella trasmissione “Bersaglio mobile”messa in onda lo scorso ottobre sulla TV la7,a fronte delle affermazioni del senatore checonsiderava troppo breve per le aziende unperiodo di prova di tre anni, CesareDamiano manifestava subito la Sua dispo-nibilità a portare tale termine contrattuale aquattro anni, aggiungendo: l’accordo si puòtrovare (sintetizzo), così “come abbiamofatto per cambiare la precedente legge sulloStatuto dei Lavoratori (promulgata dalgoverno Monti, ndr.)… l’abbiamo scrittaassieme Tu, Io e Sacconi” (sic!).Chi scrive su queste pagine ha già avutomodo di denunciare simili vergognosi com-portamenti, a tacer d’altro! Non va taciuto che la destrutturazione delloStatuto dei Lavoratori e la cosiddetta“manutenzione” dell’articolo 18, con lerelative connivenze con il padronato delleforze politiche e sindacali che si proclama-no di sinistra, vengono da lontano.Qui, per brevità, mi limito a ricordare cheGoverno e Confindustria nel primo triennio2001-2003, dopo aver fallito l’attacco direttoteso ad abolire l’art. 18 (il cuore delloStatuto!), hanno proseguito nel loro intento,scegliendo una via più lunga e tortuosa perraggiungere il medesimo obiettivo ai dannidelle lavoratrici e dei lavoratori.Infatti, con l’introduzione della L. n°30/2003 e l’emanazione per la sua attuazio-ne del D.Lgs 10 settembre 2003, n° 276 (checonsta di ben 86 articoli), il governo, in sin-

tonia con la Confindustria, ha intrapresouna serie di interventi - (i cui passaggi quinon vengono ripresi per non appesantireoltre queste note) - finalizzati a destrutturarelo Statuto, aggirarne le sue norme e privarele lavoratrici ed i lavoratori dei loro dirittiattraverso l’imposizione di ben 47 tipologiedi contratti di lavoro: una vera e propriagiungla contrattuale tesa a perpetuare la pre-carietà del lavoro.Ma tutto questo non basta a un padronato,vorace e reazionario, incapace di concepirerapporti di lavoro rispettosi della dignità,della personalità, della soggettività e deidiritti umani di ogni lavoratrice e lavoratore,nonché - (per restare all’oggetto di questenote) - la democrazia nei luoghi di lavoro.Da qui la martellante campagna mediaticaintensificata e condotta dall’attuale presi-dente del governo non eletto (così come isuoi predecessori Monti e Letta, a capo deic.d. governi tecnici), con il sostegno di unaclasse politica imbelle e di un giornalismoprono ai voleri del palazzo (le lodevoli ecce-zioni confermano la regola) e, segnatamen-te, della Confindustria che persegue l’obiet-tivo politico di cancellare i diritti di tutti ilavoratori, per restaurare in fabbrica, e inogni altro luogo di lavoro, il comando gerar-chico ante 1968-1969.Non si pensi a forzature!Marchionne ha avuto “illustri” predecesso-ri.In proposito, uno spaccato di questa aggres-sività padronale è ben rappresentato dalledichiarazioni rilasciate a metà degli anni ’80dal prof. Felice Mortillaro, allora consiglieredelegato di Federmeccanica, l’associazionedelle aziende metalmeccaniche italiane delsettore privato, che, di fronte ad una sceltaplatea, composta da una cinquantina di diri-genti di azienda, ha affermato: “Nelle fabbri-che italiane è stato finalmente reintrodottoquel sano strumento psicologico che è lapaura”. E, andando oltre, questo paladinodel padronato italiano, rincarava la dose:“Le epidemie furono provvidenziali pergarantire lo sviluppo della nascente rivolu-zione industriale. La peste ha eliminato ipiù deboli…” (1). Ponendo mente che lamoderna peste, oggi come allora, è la disoc-cupazione e che le epidemie italiane sono(state) gli accordi sindacali FIAT (1980),

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Montedison (1981), Alfa Romeo (1982) e viavia quelli che sono seguiti, con i quali dallefabbriche (e non solo da esse!) sono stati/eespulsi/e a migliaia e migliaia uomini edonne ammalati/e, anziani, nonché coloroche si erano impegnati/e sindacalmente epoliticamente per affermare i diritti sancitidalla Carta Costituzionale e dallo Statuto deiDiritti dei Lavoratori e delle Lavoratrici e, inprimis, i diritti sindacali, al lavoro e allasalute, ci si rende conto del sinistro signifi-cato che il padronato dava e dà a “quel sanostrumento psicologico che è la paura”. Sepossibile, ciò è ancor più grave perché èavvenuto e avviene con il pratico consensodelle organizzazioni sindacali, le eccezioniconfermano la regola. (Uno spaccato di que-sta repressione e discriminazione padronaleattuate contro le lavoratrici ed i lavoratoriattraverso gli accordi sindacali si può rica-vare dalla lettura del Quaderno monografi-co n° 1 della rivista di Diritto “Lavoro ‘80”,che affronta il “Caso Alfa Romeo: sindacatoe diritti individuali”, Milano 1982). A ulteriore conferma, valgono più di tanteparole i comportamenti dei vertici di duesocietà: quello della Fiat di Termoli e quellodella Vodafone del call center di Roma.Nel primo caso, agli operai iscritti alla FIOMsono stati tagliati in busta paga 250 eurorispetto ai lavoratori iscritti ad altri sindaca-ti. A Termoli, la società Fiat Powertrain erastata condannata, nel mese di aprile 2012,per comportamento antisindacale. Infatti, ilgiudice del Tribunale di Larino aveva accol-to il ricorso della FIOM, sindacato al qualenon era stato permesso di partecipare alleelezioni delle rappresentanze sindacali inazienda il 19 e il 20 aprile, e aveva dispostoche agli iscritti FIOM non andasse applica-to il contratto separato siglato dall’aziendacon i soli sindacati metalmeccanici FIM-CISL e UILM-UIL, essendo ancora valido(come sosteneva la FIOM) quello unitariofirmato nel 2008.Per tutta risposta, la direzione Fiat, calpe-stando leggi e contratti, ha deciso nei con-fronti dei lavoratori iscritti alla FIOM diannullare in busta paga le maggiorazioniretributive derivanti dal contratto, ivi com-prese le integrazioni previste dai vecchicontratti aziendali. Pertanto, agli iscritti allaFIOM-CGIL, che erano 280 su 2100 dipen-

denti, sono stati corrisposti solo i minimiprevisti dal contratto nazionale.Non v’è chi non veda che si tratta di unignobile ricatto economico (e non solo diesso!) nei confronti dei lavoratori che, condignità, hanno riconfermato la loro iscrizio-ne alla FIOM, il sindacato metalmeccanicoche non ha sottoscritto l’accordo “capestro”imposto da Marchionne alla Fiat di Pomi-gliano, e, proprio per questo è stato impedi-to a questo sindacato di partecipare alle ele-zioni in fabbrica per il rinnovo delleRappresentanze Sindacali Aziendali (RSA).Comunque, nei giorni delle elezioni (19-20

aprile 2012) gli iscritti alla FIOM-CGILhanno allestito dei banchetti ai cancellidello stabilimento, invitando i lavoratori e lelavoratrici a votare presso questo seggio elet-torale alternativo.La lista FIOM ha così avuto 713 voti, il 33%dei dipendenti, che però dentro la fabbricanon hanno avuto alcuna rappresentanza! A tacer d’altro, si tratta di una odiosa e pale-se violazione dell’articolo 14 dello Statutoche, sul “Diritto di associazione e di attivitàsindacale”, stabilisce <<Il diritto di costitui-re associazioni sindacali, di aderirvi e disvolgere attività sindacale, è garantito a tuttii lavoratori all’interno dei luoghi di lavo-ro.>>.Sul punto, va osservato che questo chiaris-simo articolo di legge viene scientementeignorato dai sostenitori – (governo, politici,giornalisti, Confindustria, nonchè da CISL eUIL) – di tale accordo separato imposto daMarchionne negli stabilimenti del gruppoFiat.Alla faccia delle più elementari norme diconvivenza civile e di democrazia!

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Nel secondo caso, i 33 lavoratori del callcenter della società Comdata Care che il 20gennaio 2012 hanno ottenuto dal Tribunaledi Roma una sentenza favorevole nellaquale è stato sancito il loro diritto ad esserereintegrati nella società Vodafone (dallaquale nel 2007 erano stati esternalizzati nel-l’anzidetta società Comdata assieme adaltri/e 900 dipendenti), ma invano.Infatti, nonostante la sentenza sia esecutivala società Vodafone, difesa nel ricorso dallostudio degli avvocati Ichino-Brugnatelli(proprio lo studio legale nel noto senatore,ritornato nel febbraio del 2015 nelle fila delPartito Democratico), non li ha riammessi allavoro, ma solo posti a libro paga, per poiinserirli immediatamente tra il personale inmobilità per “esubero strutturale”!Un chiaro avvertimento verso gli altri centolavoratori che avevano seguito la stessa stra-da promuovendo un analogo ricorso avantiil Giudice del Lavoro e che per questo, inparte, lo hanno ritirato “scegliendo” di resta-re alle dipendenze della società ComdataCare, per il timore di finire fra il personale inmobilità per “esubero strutturale”. Questavicenda rivela anche altri aspetti poco edifi-canti, in quanto la cessione avvenuta nel2007 - (per la quale nella sentenza si evi-denzia che “l’operazione avrebbe celatouna mera esternalizzazione di manodoperaeccessivamente costosa e sgradita”) - erastata avallata dai sindacati CGIL-CISL-UIL,nonostante i lavoratori li avessero diffidatidal sottoscrivere tale accordo nei loro con-fronti. Infatti, gran parte dei lavoratori ester-nalizzati aderivano ai Cobas, che si eranoopposti a tale esternalizzazione. Al di là delle dichiarazioni tranquillizzantiche quotidianamente vengono propinatealla pubblica opinione, queste (e si potreb-bero fare altri esempi) sono le realtà che lelavoratrici ed i lavoratori vivono sulla pro-pria pelle.

SUI “MANUTENTORI” DELL’ARTICO-LO 18 DELLO STATUTOPreliminarmente, va osservato che con ladepenalizzazione del falso in bilancio ilpadronato non è più sottoposto a un realecontrollo di legalità nella gestione dellesocietà e, segnatamente, sotto il profilo eco-nomico-finanziario. E tutto questo nono-

stante che, quotidianamente, le cronache siincarichino di segnalare scandali e dilagan-ti fenomeni di corruzione nel paese.Con il c.d. governo tecnico Monti si è fattastrada la cosiddetta “manutenzione” (2) del-l’art. 18 dello Statuto - (come sanno tutti,nella realtà si tratta dell’abrogazione dellanorma che prescrive la reintegrazione nelposto di lavoro della lavoratrice o del lavora-tore licenziata/o senza giusta causa) – attra-verso la quale il padronato ha perseguito (epersegue!) anche l’obiettivo di eliminare ilcontrollo di legalità sul proprio operato infabbrica.Un punto sul quale molti, troppi, taccionocolpevolmente.Verrebbe da dire: in un paese ove regna l’il-legalità, il padronato (e il suo governo) nonpuò tollerare alcun controllo di legalità,men che meno in fabbrica!Altro che rilancio dell’economia e dell’oc-cupazione, giovanile e non, con la cosiddet-ta riforma del mercato del lavoro.Sull’assenza di una reale opposizione poli-tica di fronte all’attacco ai diritti fondamen-tali delle lavoratrici e dei lavoratori preferi-sco non dire. La verità è che l’attacco ai diritti fondamen-tali delle lavoratrici e dei lavoratori (e nonsolo di essi!) viene da lontano e i suoi fauto-ri allignano da tempo anche tra le fila delleforze politiche che si proclamano di sinistra(o di centro-sinistra) e che vorrebbero fareriferimento alla classe operaia: oggi, ipocrita-mente, quegli stessi esponenti si straccianole vesti di fronte alla pratica abrogazione del-l’articolo 18, il cuore dello Statuto.Per questo, per un elementare bisogno ditrasparenza va ricordato anche in questasede, quali sono da tempo le posizioni di taliesponenti sull’articolo 18, per limitarci altema che qui ci occupa. Infatti, nel devastato panorama sociale e cul-turale, ancor prima che politico, nel qualeversa da anni il paese, nel 2009, come senulla fosse, c’è chi, come il senatore Ichinoe l’onorevole Bersani, non ancora sazi deimilioni di lavoratrici e lavoratori costrette/ia una cronica precarietà del lavoro (e dell’e-sistenza!) (3), afferma che in Italia serve “laflexsecurity – che, se applicata, risolverebbegran parte dei problemi connessi alla man-canza di garanzie per il lavoratore, all’im-

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mobilismo generato dall’applicazione noncorretta degli ammortizzatori sociali, allascarsa flessibilità del mercato e a tutti quegliaspetti che caratterizzano le Politiche delLavoro nella nostra Nazione.” E, proseguo-no - in un comunicato del 15.05.2009 - gliestimatori delle inaccettabili proposte deidue parlamentari: “Il Convegno si è tenutonella splendida cornice del PalazzoBologna - (Roma, 14.05.2009, Senato dellaRepubblica, ndr.) - in un’elegante sala tuttaesaurita da uditori interessati e partecipi.Molti gli spunti di riflessione.... Il PD devecaratterizzarsi come il partito del lavoro,favorendo una specie di patto tra i lavora-tori e gli imprenditori, in uno scambio reci-proco di diritti e doveri. Uno scambio basatosui seguenti […] “punti salienti:- l’adozione per i rapporti dipendenti di ununico contratto a tempo indeterminato;- periodo di prova di 6 mesi;- dopo il periodo di prova si applica la pro-tezione dell’art. 18 con l’unica eccezione deilicenziamenti per motivi economici ed orga-nizzativi;- in caso di licenziamento per motivi eco-nomici ed organizzativi il lavoratore riceveun congruo indennizzo; si attiva la cosid-detta assicurazione di disoccupazione […]applicabilità del nuovo modello solo ainuovi contratti.” (4).Non v’è chi non veda che si tratta delle (ana-loghe) proposte del governo Monti almomento del suo insediamento, che, stradafacendo, ha esteso il predetto modello nonsolo ai nuovi contratti, ma a tutti i contrattidi lavoro esistenti come ha avuto modo direplicare energicamente il Presidente delConsiglio alle (in allora) lamentele dellaConfindustria in merito alla c.d. riforma dellavoro.Pertanto, va detto a chiare lettere che propo-ste così oscene sono state finalizzate a can-cellare del tutto ogni protezione e dirittodella lavoratrice e del lavoratore e, segnata-mente, quelli sanciti dall’art. 18 delloStatuto: chi sarà mai quel padrone che licen-zierà senza invocare i “motivi economici edorganizzativi ? (!).Un nefasto lavoro politico e sindacale perse-guito (e tuttora in corso!) dall’attuale gover-no Renzi.Non a caso le predette inaccettabili proposte

di legge per chi lavora, hanno trova(to)no ilplauso della Confindustria e dei governidelle destre (Monti, Letta e Renzi), e, non acaso, il relatore, ieri come oggi, di simili pro-poste di legge è il senatore Ichino che già nel2002 aveva presentato una proposta dilegge, assieme ai suoi colleghi di partito,Michele Salvati e Franco Debenedetti, permonetizzare i licenziamenti e abolire legaranzie dell’art. 18 dello Statuto.Sul punto, ogni ulteriore commento ciappare superfluo.Che dire poi dei maldestri tentativi mediati-ci tesi a convincere l’opinione pubblica, e,

segnatamente, le lavoratrici ed i lavoratoridella “bontà” taumaturgica di tale iniziativaammantata di strumentali pseudo-giustifi-cazioni (“per il rilancio dell’occupazionegiovanile e non”, “per rendere dinamico ilmercato del lavoro”, “per consentire lo svi-luppo economico del sistema e la sua com-petitività”, “per aumentare il PIL”, “persuperare le divisioni di trattamento fra lavo-ratori con contratto a tempo indeterminato,per i quali vige lo Statuto, rispetto a quellicon i più diversi contratti a tempo determi-nato per i quali lo Statuto non vige”, “perattrarre gli investimenti stranieri”, etc. etc.),ove la parola licenziamento non viene maipronunciata?La cruda verità è che con la c.d. riforma delmercato del lavoro, approvata in fretta efuria con il voto di fiducia del Senato il 31maggio 2012. (231 voti favorevoli, compresoquello di Monti, e 33 voti contrari), l’art. 18dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori è statoviolentato: quella che chiamano flessibilitàin uscita si traduce nel linguaggio comunein libertà di licenziamento. Quella che chia-

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NOTE1. Cfr. il Manifesto, quotidiano del 24 maggio1985.2. Termine più volte usato negli ultimi due annidall’on. Bersani nelle interviste televisive, non-chè da altri esponenti politici.3. Per esempio, nel settembre 2003 quando fuemanato il D.Lgs. n° 276, in Italia il numero com-plessivo dei cosiddetti lavoratori COCOCO era

di 2.300.000.4. Un’Idea di Paese: un Mercato del LavoroRiformista – Roma 14.05.2009, Convegno orga-nizzato dal Circolo On Line Pd Communitas2002 dal titolo “QUALE LAVORO NELLAGRANDE CRISI, Flessibilità e Garanzie persconfiggere la Precarietà” (www.pd.communi-tas2002.org; www.pd.communitas2002.org).

mano flessibilità in entrata non è altro cheprecarietà, estesa dai giovani a tutte la fasced’età. Per i giovani, trovare un posto di lavo-ro (ma anche per chi giovane non lo è più) èun’impresa titanica; infatti, oltre alla crisieconomica, quella occupazionale è stataancor più aggravata dall’allungamento del-l’età pensionabile, ormai portata senzacolpo ferire sulla soglia dei 70 anni!Di fronte ad una opposizione imbelle, allafine del 2014, l’ulteriore devastazione delloStatuto dei Lavoratori e delle Lavoratrici, esegnatamente del suo art. 18, è stata un viag-gio in carrozza per il governo Renzi: unalegge declamata vergognosamente “a tutelecrescenti”, mentre la stessa continua a pre-vedere 47 tipologie di contratti che danno ilvia libera ai licenziamenti individuali e col-lettivi, e che cronicizza il lavoro precario deigiovani e delle persone attempate. Di fronte allo scempio dei diritti fondamen-tali della persona, lavoratrice e lavoratore,sanciti dalla Carta Costituzionale, i sindaca-ti (ad eccezione della FIOM e dei sindacatidi base) erano in tutt’altre faccende affac-cendati!Nonostante la grave crisi sociale, culturale epolitica nella quale versa da molti anni ilPaese, e le immani difficoltà che è indi-spensabile superare per cambiare positiva-mente lo stato delle cose esistente, penso,

per restare al Diritto del Lavoro, cheMedicina Democratica debba porsi l’obietti-vo di contribuire a sviluppare una puntualeinformazione, con interventi finalizzatianche a dar vita ad aggregazioni sociali eculturali per promuovere un ReferendumPopolare abrogativo della legge emanata dalgoverno Renzi, il c.d. Jobs act (e la c.d. leggeFornero), che eli mina, sostanzialmente, latutela dell’articolo 18 dello Sta tuto deiDiritti dei Lavoratori e delle Lavoratrici peri futuri con tratti a tempo inde ter mi nato. Intal senso, sarebbe estremamente utile pro-muovere nei prossimi mesi un convegnonazionale a Milano, presso la Casa dellaCultura, o presso la Regione Lombardia oaltra sede appropriata, invitando fra i relato-ri Piergiovanni Alleva, un autorevole giuri-sta con la schiena dritta.Chi scrive continua a considerare le condi-zioni di lavoro in fabbrica (si legga ogniluogo di lavoro) come il termometro delgrado di civiltà di un paese: la mancata tute-la del diritto al lavoro rappresenta la pre-messa per la negazione di ogni diritto in fab-brica (e nella società!) e, in primis, il dirittoalla salute, alla sicurezza del e nel lavoro,nonché la violazione della dignità, dellapersonalità e della soggettività della lavora-trice e del lavoratore: una regressione dellademocrazia dalla fabbrica alla società.

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 20146 note a margine

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Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 2014poesia 7

UN ALBERO DEVE CRESCERE

Un seme dobbiamo piantarecompagni

sotto queste valvole, queste tubazioni.Un albero grande deve crescere subito

con grossi ramipotenti nidi.

Cercate, cerchiamo tra le nostre labbramorse dall’amarezzadall’insulto.

Non dobbiamo aspettare, tergiversare.Molti alberi devono ergersi

al cielo prestocon enormi dimensioniprofondi capovolgimenti.

Molte vite attendono confinatenei tuguridelle loro anime.

Oggi stesso compagni, dobbiamo sotterrarequel seme.

Oggi stesso comincerà a crescere.Oggi stesso comincerà a roderea travolgere la sofferenza, la sopraffazione.

Ferruccio BRUGNARO(da Un pugno di sole, ed. Zambon Verlag, 2011)

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SSoommmmaarriioo

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 20148 sommario

Note a margine di Luigi MARA 1

IL SESTANTEa cura di Luigi MARA 9

INTERVENTI & ESPERIENZE

29.06.2009 – Strage ferroviaria di Viareggio:una vicenda di cui non parlaredi Maurizio DALLA CASA 19

Eternit di Casale Monferrato, Montedison di Bussi val di Pescara, Marlane di Praia Mare.Nessun colpevole!di Marino RUZZENENTI 25

DOSSIER

Fraunhofer: lavoro e competitivitàdi Luigi AGOSTINI 33

I paradossi della crescita infinita in un pianeta finito. Quando l’economia tradisce se stessadi Maurizio PALLANTE 36

1. - Sulla nota di aggiornamento deldocumento di economia e finanza approvata dalConsiglio dei ministri il 30.09.2014di Antonio MARESCO 46

2. - Sulla nota di aggiornamento del documento dieconomia e finanza approvatadal Consiglio dei ministri il 30.09.2014di Delfina ROSSATO 52

Quel che resta di Expodi Enzo FERRARA ed Enrico MORICONI 55

Le tre agricolture: contadina, industriale, ecologica.Nutrire il pianeta e salvare la terradi Pier Paolo POGGIO 61

Genetica, OGM e agricolturadi Giorgio FORTI 66

CONTRIBUTI GIURIDICI

Il diritto alla vita appeso al ramo e la svolta risarcitoria di Roberto RIVERSO 69

La Costituzione e la decadenza previdenziale di Roberto RIVERSO 79

RUBRICHE

Scuola e societàdi Rino ERMINI 27

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ASSOCIAZIONE ITALIANA MEDICI PER L’AMBIENTE – ISDE : “A DUE ANNI DALLE DRAM-MATICHE E PREOCCUPANTI CONCLUSIONI DELLO STUDIO VALUTAZIONE EPIDEMIOLO-GICA DEGLI EFFETTI SULLA SALUTE IN RELAZIONE ALLA CONTAMINAZIONE DA ARSE-NICO NELLE ACQUE POTABILI NELLE POPOLAZIONI RESIDENTI NEI COMUNI DEL LAZIO,ANCORA INADEGUATI, INCOMPLETI ED INSUFFICIENTI GLI INTERVENTI A TUTELADELLA SALUTE DELLE POPOLAZIONI DELL’ALTO LAZIO”

il sestante 9 Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo volen-tieri questo pregnante documentoche denuncia i gravi rischi per lasalute pubblica derivanti dal con-sumo alimentare - (e aggiungiamonoi, anche per l’uso irriguo, segna-tamente nella coltivazione degliortaggi) - delle acque potabili inqui-nate da Arsenico (As) esistenti indiversi comuni della Regione Lazio.In particolare, due anni fa, nell’a-prile del 2012, si concludeva lo stu-dio “Valutazione Epidemiologicadegli effetti sulla salute in relazionealla contaminazione da Arseniconelle acque potabili nelle popola-zioni residenti nei comuni delLazio”, realizzato dal Dipartimentodi Epidemiologia del ServizioSanitario Regionale della RegioneLazio:(http://www.deplazio.net/it/attivi-ta/79 ).Il 20 ottobre sempre di quello stes-so anno, presso la sede dell’Ordinedei Medici - Chirurghi di Viterbo,la dottoressa Antonella Litta, refe-rente dell’Associazione italianamedici per l’ambiente - Isde(International Society of Doctorsfor the Environment) e il dottorLuciano Sordini, segretario della

Federazione Italiana Medici diMedicina Generale - Sezione diViterbo, presentavano in una confe-renza stampa i dati rilevanti e preoc-cupanti di questo studio circa mor-talità e malattie correlate all’esposi-zione cronica all’Arsenico nei cit-tadini residenti in tutti i comuniinteressati della Provincia diViterbo.Questo studio documentava infattiuna situazione sanitaria estrema-mente grave e preoccupante in par-ticolare nell’Alto Lazio, riportandoa pag 42: “l’indagine evidenziaeccessi di incidenza e mortalità neiComuni con livelli stimati per ilperiodo 2005-2010 per patologieassociabili ad esposizione ad arse-nico (tumori del polmone e dellavescica, ipertensione, patologieischemiche, patologie respiratorie,diabete).” A pagina 8 dello stesso studio silegge: “I risultati dell’indagine evi-denziano alcuni eccessi di morta-lità, di prevalenza e di incidenza,per patologie per le quali è stata giàevidenziata nella letteratura inter-nazionale un’associazione conesposizione ad Arsenico (gruppo dicomuni a maggior esposizione

nella provincia di Viterbo:Caprarola, Castel Sant’Elia, CivitaCastellana, Fabrica di Roma,Carbognano, Capranica, Nepi,Ronciglione) e nei comuni espostidella provincia di Latina.E nelle conclusioni: “I risultati indi-cano la necessità di un continuomonitoraggio dei livelli di contami-nazione da Arsenico (As) delleacque e di interventi di sanità pub-blica per assicurare il rispetto deilimiti previsti dalla legislazioneattualmente in vigore (direttiva98/83/EC, As < 10 µg/l)”.A due anni di distanza dalla con-clusione di questo studio al quale sisono successivamente aggiuntianche i risultati della ricerca“Arsenico urinario speciato qualebiomarcatore dell’esposizione ali-mentare all’arsenico inorganico inpopolazioni residenti in aree ricchedi arsenico nel Lazio”, realizzatadall’Istituto Superiore di Sanità -Dipartimento di Sanità PubblicaVeterinaria e Sicurezza Alimentare,che confermano la contaminazio-ne da Arsenico anche attraversogli alimenti, l’Associazione italia-na medici per l’ambiente diViterbo deve purtroppo continua-

il sestanteil sestanteil sestante

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re a denunciare l’inadeguatezza,l’incompletezza e l’insufficienzadi interventi risolutivi a tuteladella salute delle popolazionidell’Alto Lazio.L’Isde di Viterbo pertanto torna achiedere che si avviino subito pro-grammi di prevenzione, con scree-ning gratuiti, relativi alle patologiecorrelate all’esposizione cronicaall’Arsenico e al Fluoro ed eviden-ziate dal succitato lavoro di ricerca,studi di tipo osservazionale dellostato di salute delle popolazioni ein particolare dello stato di salutedei bambini, anche per i noti effettitossici e cancerogeni dell’Arsenicosullo sviluppo neurocerebrale feta-le e pediatrico.E’ necessario che si rispetti in con-creto il diritto alla salute come san-cito dall’articolo 32 della Cartacostituzionale e le vigenti disposi-zioni di legge in materia di potabi-lità e salubrità delle acque ovvero:realizzare interventi efficaci e riso-lutivi per la completa dearsenifica-zione delle acque ad uso potabile eper l’avvio di una informazionecorretta e diffusa rivolta a tutte/i le/icittadine/i delle aree interessate ein particolare per quelli residentinei Comuni dell’Alto Lazio interes-sati da questa problematica, e nellescuole, negli ambulatori medici,nelle strutture militari e carcerarie.E’ da tenere sempre ben presenteinfatti che l’Arsenico è classificatodall’Agenzia Internazionale diRicerca sul Cancro (I.A.R.C.) comeelemento cancerogeno certo diclasse 1 e posto in diretta correla-zione con molte patologie oncolo-giche e in particolare con il tumoredel polmone, della vescica, delrene e della cute; una consistentedocumentazione scientifica lo cor-rela anche ai tumori del fegato e delcolon.E che sempre l’assunzione cronicadi questo elemento tossico e cance-rogeno, è indicata anche quale

responsabile di patologie cardiova-scolari; neurologiche; diabete ditipo 2; lesioni cutanee; disturbirespiratori; disturbi della sferariproduttiva e malattie ematologi-che. E’ per queste ragioni che il DecretoLegislativo 31/2001, in recepimen-to della Direttiva europea 98/83 fis-sava già nel lontano 2001 il limitemassimo del contenuto di arsenicoin 10 microgrammi/litro, per leacque destinate ad uso potabile eper il loro utilizzo nelle preparazio-ni alimentari, ed è per queste stesseragioni che l’Organizzazione mon-diale della sanità (Oms) raccoman-da valori di arsenico il più possibi-le prossimi allo zero.[Associazione italiana medici perl’ambiente - Isde(International Society of Doctorsfor the Environment) di Viterbo.Per comunicazioni:[email protected]; tel. 3383810091].A quest’ultimo riguardo, si sotto-linea anche in questa sede, che,per un cancerogeno, quale èl’Arsenico, non esiste una soglia,per quanto infinitesima, al disotto della quale non vi è rischiooncogeno per le popolazioniesposte: l’unico limite scientifica-mente e umanamente valido èquello corrispondente al valoreZero, ovvero la singola persona e lacollettività non debbono essereesposte all’agente tossico e cance-rogeno!

ROMANA BLASOTTI PAVESI,PRESIDENTE DELL’ASSOCIA-ZIONE FAMIGLIARI E VITTIMEAMIANTO, DENUNCIA LE FAL-SITA’ DI STEPHAN SCHI-MIDHEINY, CONDANNATO A 18ANNI DI RECLUSIONE DALLACORTE D’APPELLO DI TORINOPER LE MORTI DI MIGLIAIA DIOPERAIE/I E CITTADINE/I CAU-SATE DALL’INQUINAMENTO

DA AMIANTO, ALL’INTERNOED ALL’ESTERNO DEGLI STABI-LIMENTI ETERNIT DI CASALEMONFERRATO, CAVAGNOLO,RUBIERA E BAGNOLI<<Spett. Redazione ATS - BernaSpett. - Redazione ATS - LuganoSchimidheiny è sereno? Beh, noino!Ho letto in questi giorni l’intervistadi Stephan Schimidheiny pubbli-cata dal giornale di Zurigo - Nzz amSonntag - il 20 aprile scorso e ripre-so dalla vostra agenzia, con riferi-mento al maxi processo di Torino.Stephan Schimidheiny si dichiarasereno, di aver attraversato momen-ti di grande sconforto e che <<allo-ra>> (l’Eternit in Italia ha cessatonel 1986) <<non si sapeva che l’a-mianto era cancerogeno>>. E pernoi che negli ultimi giorni abbia-mo subito altre quattro vittime d’a-mianto, quando finirà lo sconfor-to?Noi non possiamo liberarci dallapaura di ammalarci o peggio chesi ammalino i nostri figli, i nostrinipoti....Perchè S. Schimidheiny non si èmai presentato in tribunale? Nonha avuto il coraggio di farsi guarda-re negli occhi? Perchè non risarci-sce le vittime e le Istituzioni comestabilito dalle sentenze? Forse per-chè ha i beni all’estero?Il processo di Appello di Torino haelevato la pena da 16 anni in Primogrado (allora inflitta anche al baro-ne belga Louis de Cartier deMarchienne), a 18 anni di reclusio-ne per Stephan Schimidheiny per“disastro ambientale doloso per-manente”: tremila vittime, lavora-tori e cittadini di Casale,Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli-Napoli.La gran parte sono morti da meso-telioma come mio marito cheaveva lavorato alla Eternit, mentremia sorella, mio nipote, mia cuginae per ultima mia figlia a causa del-

10 il sestante Medicina Democratica numeri 216- 218 luglio / dicembre 2014

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l’inquinamento ambientale deldisastro Eternit.Le morti da amianto sono in cresci-ta, solo a Casale Monferrato (35.000abitanti) 2000 famiglie sono statecolpite anche ripetutamente comela mia.Perchè affermare che <<allora nonsi sapeva>>? Le asbestosi mortalisono state riconosciute in Europaed in America almeno dagli inizidegli anni ‘40. La cancerogenità del-l’amianto è documentata in Germa-nia prima della seconda GuerraMondiale e riconosciuta con assolu-ta certezza scientifica almeno daiprimi anni ‘60 sulle pubblicazioniscientifiche internazionali. Le stesse testimonianze del fratelloThomas e di Leo Mittelholzer (ulti-mo amministratore delegato Eternitin Italia) confermano che ne parla-vano fra loro ed in “famiglia” nor-malmente.La condotta dolosa di StephanSchimidheiny è enormemente do-cumentata dai verbali, lettere edocumenti sequestrati dalla Procu-ra di Torino (Dr. R. Guariniello e col-laboratori).E’ lo stesso S. Schimidheiny, nellariunione di Neus – Germania - coni suoi manager nel 1976, ad affer-mare <<le malattie asbesto-correla-te sono conosciute da tempo>> eche occorre organizzare <<una rea-zione difensiva dai notevoli mezzimessi in campo contro l’amian-to>>.A Casale, come altrove, per vent’an-ni siamo stati persino spiati perconto di S. Schimidheiny comerisulta dalla numerosa documenta-zione sequestrata: fatture di paga-mento, relazioni periodiche, testi-monianze, ecc.Vorremmo che si sappia: chiedia-mo solo la verità e un po’ di giusti-zia.Ne abbiamo il diritto!Grazie per l’ospitalità.>>.Presidente AfeVA - Romana

Blasotti Pavesi [AFeVA –Associazione Famigliari e VittimeAmianto, Casale Monferrato eCavagnolo [email protected]–www.afeva.it)].Purtroppo, la nefasta sentenzaemessa il 19.11.2014 dalla Corte diCassazione ha cancellato vergogno-samente le condanne della Corted’Appello di Torino, dichiarandoprescritto il reato di disasttroambientale, che prescritto non era etuttora non è.

ELIA, SOSTITUISCE MORETTI,AL VERTICE DELLE FERROVIEUN SOLO GRIDO: VERGOGNA!Ieri 29 maggio 2014, ad un meseesatto dal 5° anniversario della stra-ge ferroviaria di Viareggio, l’Ad diRete ferroviaria italiana (Rfi),Michele Elia, è stato nominatoAmministratore delegato (Ad) diFerrovie dello Stato italiane (FSi).Dopo Moretti, anche Elia ha la suapromozione. Prima di passare aFinmeccanica, Moretti aveva cal-deggiato la candidatura di Elia epreteso questa nomina come suosostituto. Dopo un mese e 4 sedutesenza esito, alla quinta Moretti èstato accontentato. Il governo Renzi, prima ha promos-so Moretti con uno stipendio supe-riore a quello di FSi, poi ha cedutoalla richiesta di nominare Elia.Bella figura Renzi, bella figuraanche per il ministro delle Infra-

strutture e dei Trasporti, Lupi, chegià a suo tempo si era dichiaratocontrario alla rinomina di Morettiin ferrovia e ora alla nomina di Eliaa FSi. Moretti ha imposto ancorauna volta la sua volontà e la suapolitica! Il governo Renzi ha subi-to il ricatto di Moretti ed il mini-stro Lupi si è dovuto mettere daparte, come due di picche quan-do briscola è cuori. Elia, nomina-to Ad di FSi, è rinviato a giudi-zio, assieme a Moretti, per la stra-ge ferroviaria di Viareggio del 29giugno 2009. Ora Moretti gestiràFinmeccanica e continuerà a con-trollare anche le ferrovie delloStato, sempre da imputato o,meglio, da rinviato a giudizio perun processo con 32 Vittime, incorso presso il Tribunale di Lucca.Le “pressioni” di Moretti sono ora-mai note ed accertate. Lo Stato nonsi è costituito parte civile al proces-so; il capo dello Stato Napolitanoha nominato Moretti cavaliere dellavoro; il governo Berlusconi primae, poi, quello di Letta il 6 agosto2013 (quando Moretti era stato giàrinviato a giudizio) lo hanno rino-minano Amministratore delegatodelle ferrovie; il governo Renzi loha promosso Ad di Finmeccanica;il Partito democratico e la Cgil lohanno invitato a convegni e con-gressi. In qualche modo, Moretti èstato ‘assolto’(!). Anche i giudicisubiranno le pressioni dello Stato,delle istituzioni, dei poteri forti edello stesso Moretti?Ieri sera numerosi familiari soste-nuti da una cinquantina di personesono andati nella stazione diViareggio improvvisando una pro-testa immediata e spontanea controla inqualificabile e provocatorianomina di Elia. I familiari delleVittime sono scesi sui binari constriscioni e foto e per un quartod’ora hanno bloccato un treno pro-veniente da Milano e diretto aSiracusa.

il sestante 11Medicina Democratica numeri 216- 218 luglio / dicembre 2014

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Governo e forze politiche per l’en-nesima volta sono stati capaci dioffendere le Vittime della strage fer-roviaria di Viareggio ed i Loro fami-liari.[(Il prossimo 29 giugno tutti etutte a Viareggio per il 5° anniver-sario della strage ferroviaria.Viareggio (dal Comunicato 30maggio 2014 dell’Associazione deifamiliari “Il mondo che vorrei” edell’ “Assemblea 29 giugno”)].

MALATTIE E MORTI OPERAIEPER ESPOSIZIONI LAVORATIVEAD AMIANTO PRESSO GLI STA-BILIMENTI PIRELLI DI MILA-NO: TRA GLI IMPUTATI DELPROCESSO IN CORSO, ANCHEL’EX PRESIDENTE DELL’AIRCData la rilevanza della notizia, e perun elementare problema di traspa-renza, riportiamo di seguito quantogià pubblicato da il FattoQuotidiano il 5 giugno 2014, dalgiornalista Alfredo Faieta: <<PieroSierra, ex amministratore delegatodi Pirelli, ha guidato l’Associazioneitaliana per la ricerca sul cancro(Airc) per nove anni, fino al 28maggio. E’ accusato, con altri exdirigenti della società degli pneu-matici, di omicidio colposo per lemorti degli operai colpiti da tumo-ri e altri malattie dopo essere statiesposti all’amianto negli stabili-menti milanesi di viale Sarca e viaRipamonti. Decine di milioni di euro sonoaltrettante buone ragioni per segui-re il processo Pirelli per le morti daamianto, entrato da poco nella fasedibattimentale presso il Tribunaledi Milano. Si tratta di 55 milioni dieuro nel 2012, più di 60 milioni nel2011 e così a ritroso fino al 2006:soldi che gli italiani hanno affidatoall’Associazione italiana per laricerca sul cancro (Airc) attraversoil 5 per mille. Un bonifico alla spe-ranza, lo si potrebbe chiamare, per

l’alto valore simbolico che quelladevoluzione rappresenta. Ma pro-prio l’Airc si trova a fronteggiare,con l’apertura di questo procedi-mento per omicidio colposo: tra gliimputati vi è infatti Piero Sierra,ex amministratore delegato diPirelli (dove ha trascorso la sualunga carriera professionale) esoprattutto presidente dell’associa-zione negli ultimi nove anni, finoallo scorso 28 maggio quando ilsuo terzo mandato è scaduto e nonè stato riconfermato: al suo posto èstato nominato l’avvocato PierGiuseppe Torrani.Non si fa fatica a comprendere ilmotivo di questo imbarazzo: idecessi da amianto sono dovuti inbuona parte al mesotelioma pleuri-co, un tumore che solitamente nonlascia speranza a chi lo contrae. Edelle proprietà cancerogene dell’a-mianto si sa da molto tempo,anche se solo dal 1992 è vietato ilsuo utilizzo in Italia. Ma nell’ulti-mo decennio a capo del più impor-tante motore per la ricerca sul can-cro italiano (Airc nel 2012 ha devo-luto 88 milioni di euro alla ricerca)c’è stato colui al quale il sostitutoprocuratore Maurizio Ascione -coordinato dall’aggiunto NicolaCerrato - addebita più di centomorti accertate, due terzi dellequali da mesotelioma, a causa del-l’esposizione all’amianto negli sta-bilimenti milanesi di viale Sarca evia Ripamonti. Non solo: tra gli 11imputati per i due tronconi neiquali è stato suddiviso questoprocedimento c’è anche GuidoVeronesi, anch’esso in passato aivertici della Pirelli e fratello diUmberto, il chirurgo oncologo difama mondiale (ex ministro dellaSalute) tra i creatori di Airc,dell’Istituto Europeo di oncologiae della Fondazione omonima.Ovvero i salotti buoni della ricercaitaliana, dove siedono i manager e

imprenditori più importanti d’Italia.“L’associazione è in una posizionedi attesa rispetto a questo procedi-mento”, dice a ilfattoquotidiano.itNiccolò Contucci, direttore genera-le di Airc. “Abbiamo molto rispettoper il lavoro fatto in questi anni dalpresidente Sierra, manager dalleottime capacità organizzative cheha permesso ad Airc di continuarea svilupparsi fino agli attuali livelli.Ricordo che anche nel 2013 ilnostro sostegno alla ricerca è statoimportante con 77 milioni di eurodeliberati grazie a tutte le donazio-ni e i contributi di cui godiamo”.Oltre al 5 per mille, l’Airc ricevefondi dai propri soci e dalla raccol-ta attraverso le giornate dedicatealle azalee, alle arance della salutee simili, per un totale di un’altracinquantina di milioni nel 2012.“Di questi solo un paio di milioniderivano da contributi aziendali,perlopiù legati ai biglietti di augurifestivi che le aziende ci commissio-nano per sostenere le nostre attività.Negli ultimi 10 anni nessun contri-buto è arrivato da Pirelli: il più gran-de sostenitore tra le aziende restaEsselunga (Giuseppe Caprotti siedenel board direttivo, ndr).”Pirelli invece sostiene da circadieci anni la Fondazione UmbertoVeronesi attraverso donazioni perla realizzazione dell’annuale con-ferenza “Future of science”, che sitiene a Venezia. La società si sfilada ogni responsabilità e fa saperedi “non aver mai utilizzato amian-to quale componente nella produ-zione degli pneumatici” e che“all’epoca l’uso dell’amianto negliedifici era pratica comune nelletecniche di costruzione.” I testimoni citati a processo hannoraccontato di scarsa o nulla atten-zione alle procedure sanitarie perdifendersi dalla polvere di amian-to. Dice in una deposizione giurataFrancesco Saia, operaio fino al

12 il sestante Medicina Democratica numeri 216- 218 luglio / dicembre 2014

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1984, parlando del suo lavoro nellegallerie dello stabilimento di VialeSarca a Milano: “Molte volte c’eradell’amianto in terra, come dire:coibentazione delle tubazioni, cheerano rotte, oppure che avevanoappena fatto delle riparazioni c’erain terra l’amianto e una cosa e l’al-tra e passando volava via lo stesso,e tutto quanto. Materiale polverosoche non veniva bagnato, che nonveniva fatta la pulizia. E restava giùdei mesi”. Alla domanda del pub-blico ministero se i colleghi chetagliavano il vecchio coibente neicunicoli avessero le mascherine, larisposta è stata “no, non ce neerano, allora non si usavanomascherine quando sono entrato io.Non c’erano mascherine, non c’era-no guanti, non c’era niente”.>>.Come è noto i fatti sono più duridelle parole, e le decine di operaidegli stabilimenti Pirelli, che, Loromalgrado, hanno contratto neopla-sie professionali amianto-correlate(segnatamente: mesoteliomi dellapleura e del peritoneo, e cancri pol-monari) con esito infausto, stannolì a ricordarcelo!

L’ACQUA AVVELENATA DELLAVAL PESCARA: UN GRAVISSI-MO CRIMINE INDUSTRIALECAUSATO DALLO SVERSA-MENTO E DALLA TUMULAZIO-NE DI CENTINIA DI MIGLIAIADI TONNELLATE DI RIFIUTITOSSICI DELLO STABILIMEN-TO EX MONTEDISON, ORASOLVAY DI BUSSIIl Corpo forestale ha effettuato ilprelievo di campioni contenentisostanze tossiche da sottoporre adanalisi, che sono risultati fortemen-te inquinati. “L’acqua contaminata è statadistribuita in un vasto territorio e acirca 700 mila persone senza con-trollo e persino a ospedali e scuo-le”. E’ il duro passaggio della rela-

zione dell’Istituto Superiore diSanità (ISS) che ha analizzato perl’Avvocatura dello Stato le acquecontaminate dalla mega discaricadi veleni tossici nel pescarese.“La qualità dell’acqua è stata indi-scutibilmente significativamente epersistentemente compromessa”,prosegue la Relazione dell’ISSdepositata agli atti del processo diChieti dove sono sotto processo ivertici delle società Montedison(ora Edison) S.p.A. e Solvay S.p.A.con oltre 20 indagati dopo l’inchie-

sta del Corpo Forestale. Si legge neldocumento, il disastro ambientaleè stato causato “per effetto dellosvolgersi di attività industriali distraordinario impatto ambientalein aree ad alto rischio per la faldaacquifera e per le azioni incontrol-late di sversamento.”“La mancanza di qualsiasi infor-mazione relativa alla contamina-zione delle acque con una molte-plicità di sostanze pericolose e tos-siche, solo una parte delle qualipotrà essere tardivamente e discon-tinuamente oggetto di rilevazionenelle acque, ha pregiudicato la pos-sibilità di effettuare nel tempo trat-tamenti adeguati alla rimozionedelle stesse sostanze dalle acque”.Così si legge nella relazione deiconsulenti tecnici dell’Avvocaturadello Stato Pietro Comba, IvanoIavarone, Mirko Baghino ed EnricoVeschetti, relativa alla enorme

discarica di veleni industriali deri-vanti dallo stabilimento di Bussiche hanno gravemente contami-nato (avvelenato!) le falde acquife-re della Val Pescara. Nelle conclu-sioni della relazione tecnicadell’Istituto Superiore della Sanità,si legge: “Del significativo rischio inessere non è stata data comunica-zione ai consumatori che pertantonon sono stati in condizioni diconoscere la situazione ed effettua-re scelte consapevoli”. Ci sonoquindi “incontrovertibili elementioggettivi coerenti e convergenti nelconfigurare un pericolo significati-vo e continuato per la salute dellapopolazione esposta agli inquinan-ti attraverso il consumo e l’utilizzodelle acque” (sic!).Davanti a un ecocidio di questa gra-vità e magnitudo, è indispensabile,irrinunciabile, realizzare rigorosi,efficaci e tempestivi interventi dibonifica di tutte le matrici ambien-tali (acque superficiali e di falda,suolo e sottosuolo, aria) così grave-mente inquinate, addebitando d’uf-ficio i costi di tali interventi allesocietà inquinatrici, la EdisonS.p.A. e la Solvay S.p.A., pena ulte-riori e più gravi danni alla salutepubblica delle attuali e delle futuregenerazioni di questo territorio cosìduramente colpito.Tali interventi di bonifica sono irri-nunciabili e gli stessi, si spera,dovrebbero por fine al fatto che «Lastupidità ha fatto progressi enormi.È un sole che non si può più guar-dare fissamente. Grazie ai mezzi dicomunicazione, non è più nem-meno la stessa, si nutre di altrimiti, si vende moltissimo, ha ridi-colizzato il buon senso, spande ilterrore intorno a sé». Ennio Flaiano, Ombre grigie (elze-viro sul Corriere della sera, 13marzo 1969). Purtroppo, come senulla fosse il Tribunale ha assoltotutti gli imputati (v. oltre l’articolo

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di Marino Ruzzenenti, pp.25-26).

«LO STATO CI DIA LO STATUSDI SCHIAVI». RICHIESTA SHOCK DEGLIIMMIGRATI DEL NAPOLETANOIl Quarto Mondo esiste, ormai daanni, in Italia. Nel mentre partiti,sindacati, governo e amministra-zioni locali, da decenni hanno gira-to la testa da un’altra parte, intutt’altre faccende affaccendati.Infatti, come i fatti che seguonostanno lì a ricordarci, siamo giuntial più bieco e schifoso sfruttamen-to dell’uomo sull’(altro) uomo: unabarbarie che si riverbera in modonefasto su ogni uomo e donna diquesta società.I migranti bengalesi, presi dall’e-strema disperazione per le ignobilicondizioni di lavoro e di vita nellequali sono costretti da anni dapadroni criminali, dei veri e propriaguzzini, sono arrivati a chiedere lostatus di schiavi per sfuggire alricatto dei “padroni” di lavoro diSant’Antimo che, sottraendo loro ipassaporti, li costringono a lavorarefino a 14 ore al giorno senza ripososettimanale con una paga, quandoraramente corrisposta, che nonarriva a 250 euro al mese! Si trattadella tragica e disperata richiesta diaiuto di questi lavoratori tessili, cheè stata raccolta dall’Associazioneper la difesa dei diritti degli immi-grati «3 Febbraio», per difendere lecentinaia di cittadini bengalesi,molti dei quali clandestini, che daanni sono costretti a lavorare, comeschiavi, nelle fabbriche tessili diSant’Antimo e di altri comuni vici-ni a nord di Napoli.«Denunceremo per riduzione inschiavitù - si legge in un comunica-to dell’Associazione - gli imprendi-tori italiani e bengalesi chiedendoal prefetto che siano concessi a tuttii firmatari i permessi di soggiornoper motivi umanitari, così comeprevisto dall’ex articolo 18 della

legge 40 sull’immigrazione».Nello scorso mese di febbraio, perla prima volta, i lavoratori benga-lesi di Sant’Antimo si sono riunitiin assemblea in una sala della par-rocchia del paese.«È stata l’occasione per molti diloro di uscire coraggiosamente dal-l’anonimato - spiega GianlucaPetruzzo dell’Associazione 3 feb-braio - e le storie di sfruttamento edi violenza che hanno raccontatonon sono certo degne di un Paesecivile.>>. I lavoratori al terminedella riunione hanno ribadito il lorono al nuovo schiavismo ritrovando-si nella piazza di Sant’Antimo inoccasione della festa della linguadel Bangladesh. Fatto estremamen-te positivo: Essi hanno alzato latesta contro le sartorie dello sfrutta-mento: si tratta di subappaltatori dinote marche della moda italiana.Queste fabbriche tessili diffuse trala provincia di Napoli e di Caserta,a volte sono gestite da italiani, o dastranieri; viceversa, i lavoratori e lelavoratrici sono sempre migranti ela loro paga è da fame. Capita cosìche dopo la tragedia di Prato, consette operai cinesi morti nel rogodella fabbrica che faceva anche dacasa, tanti decidano che è ilmomento di cominciare ad alzarela testa. E’ accaduto a S. Antimo, dovediversi lavoratori bengalesi delletante sartorie tessili si stannoincontrando periodicamente inpiazza per denunciare le condizio-ni di sfruttamento e per avviarecause di lavoro (sostenuti daMaurizio D’Ago, avvocato dell’As-sociazione 3 febbraio), con l’obietti-vo di cambiare in meglio le lorocondizioni di lavoro e la qualitàdella vita.L’iniziativa di lotta è cominciatacon la mobilitazione di parte deitessitori bengalesi che lavorano inquattro sartorie tra S. Antimo,Grumo Nevano e Casandrino, fon-

date da un proprio connazionale,che è arrivato in Italia con un pre-ciso progetto imprenditoriale,disponendo di capitali e proprietàgià nel paese d’origine. Viceversa,lo si ripete, i lavoratori sono costret-ti a orari di lavoro massacranti epaghe da fame, come in molte altrefabbrichette della zona create danapoletani: 14 ore di lavoro neigiorni feriali e sette nei festivi persalari che raramente superano i300 euro al mese…!Si tratta della versione informale(meglio dire, infernale!) di quellache i francesi chiamano “délocali-sation sur place”… la globalizza-zione della precarietà invece chedei diritti, inserendo una fabbricanelle filiere che promettono buoniguadagni, mantenendo però unbassissimo livello dei salari.A quando verrà proclamato unosciopero generale contro queste inu-mane e inaccettabili condizioni dilavoro e di vita imposte a migliaia emigliaia di donne e uomini migran-ti che, in Italia, producono ricchez-za per un padronato, anche in dop-piopetto, che definire criminale èun eufemismo?

LA FRANCIA TOGLIE TUTTELE DEROGHE E VIETA LE IRRO-RAZIONI AEREEL’iter del provvedimento è statoaccelerato dagli episodi di malesse-ri degli alunni di una scuola irrora-ta nella Gironda.(Fonte: http://www.ecoblog.it/post/130923/pesticidi-francia-pronta-a-bloccare-le-irrorazioni-aeree).Il ministro Ségolène Royal pronta afirmare, ma è braccio di ferro fraassociazioni ambientaliste e agri-coltori sul divieto di spargimentoaereo di prodotti fito-sanitari. Il 27maggio 2014, il ministro francesedell’ecologia, dello sviluppo soste-nibile e dell’energia, SégolèneRoyal, si è impegnata a firmaresubito il blocco delle irrorazioni

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aeree dei pesticidi, nonostante chela Direzione generale dell’alimen-tazione (Dgal) aveva mantenutovive alcune deroghe per alcuniagricoltori.In proposito, in un comunicato ilministro ha ribadito che lo stopverrà esteso a tutte le colture, anchea quelle che potevano ancora bene-ficiare delle deroghe. Nelle ultimesettimane si è verificato un vero eproprio braccio di ferro fra Dgal egoverno: il 6 maggio 2014 ilConsiglio di Stato ha deciso di sop-primere tutte le deroghe, ma il 20maggio scorso la Dgal ha rispostoautorizzando alcuni agricoltori acompiere gli spargimenti aerei. Lasicurezza dei consumatori prima ditutto, questo il diktat di SégolèneRoyal. E i provvedimenti riguarda-no anche i territori controllati dallaFrancia fuori dall’Hexagon, comela Guadalupa dove si coltivano lebanane che finiscono sulle tavoledei francesi.Il dossier sullo spargimento aereodei pesticidi è oggetto di un asprodibattito fra le associazioni ambien-taliste e i produttori di banane delleAntille che chiedono di poter usu-fruire di tutti i mezzi concessi dallachimica per lottare contro la proli-ferazione di funghi parassiti e con-tro le malattie che attaccano lefoglie delle banane.La posta in gioco è ancora più alta,perché i prodotti fito-sanitari sonoalla base della scomparsa delle apie, quindi, della minore produttivitàdi molti raccolti. Comunque, a faraccelerare il governo è stato il casodi malesseri fra gli allievi di unascuola della Gironda che era statairrorata di pesticidi con alcuni veli-voli. Superfluo dire che MedicinaDemocratica, non solo è contrarial’irrorazione aerea dei pesticidianche in Italia, dato che si batte dasempre contro il loro uso e peraffermare la lotta biologica in agri-coltura.

LA REGIONE MARCHE CON-TRO GLI OGMLe Marche, sulla base di analisi tec-niche ed economiche, hanno sceltoun approccio favorevole alla salva-guardia delle produzioni tipiche diqualità e biologiche; un approccionon ideologico, già normato con lalegge regionale n. 5 del 2004, chevieta la coltivazione degli OGM sul-l’intero territorio regionale, e checontinua a perseguire, attraverso ladivulgazione del marchio QM

(Qualità garantita dalle Marche),per la salvaguardia dei prodotti diqualità regionali.Il Corpo forestale dello Stato, inqualità di Forza di Polizia specia-lizzata nella tutela delle risorseagro-alimentari e ambientali, èchiamato dalle vigenti normativead effettuare i controlli, attraverso ilcampionamento dei lotti di semen-ti di mais e soia, sospetti dal puntodi vista commerciale, in quantoprivi delle certificazioni OGMFree. E, aggiungiamo noi, i control-li debbono riguardare tutte lepotenziali colture che possonoessere fatte oggetto dell’introduzio-ne di sementi OGM.

I BREVETTI OGM, NON SOLOVANNO FERMATI, MA VANNOABOLITI. LA RASSEGNA CHESEGUE FOCALIZZA LE RAGIO-NI DEL DEL NO AGLI OGMPreliminarmente, si sottolinea l’im-

portanza di far applicare con rigorela moratoria del 2000 dovuta allaConvenzione ONU sulla diversitàbiologica, impedendo alle multina-zionali di indebolire il bando consubdoli e svariati tentativi messi inatto più volte con le complicitàdelle forze politiche e delle istitu-zioni europee.Se questi tentativi dovessero aversuccesso, ne deriverebbe unaimmensa minaccia alla biodiver-sità e alla sicurezza alimentare dimilioni di persone che vivono solodi agricoltura, specialmente neipaesi in via di sviluppo, per questodobbiamo fermare anche i brevettisugli OGM.

BREVETTI OGM ANCHE PERBAYER E BASF, NON SOLOMONSANTOLa discussione sui semi genetica-mente modificati è dominata dallecritiche rivolte alla MONSANTO.Sulla scia della MONSANTO lacompagnia tedesca BAYER èdiventata una delle più grandi mul-tinazionali dell’agricoltura nelmondo. La BAYER è già oggi unodei principali fornitori di pesticidie di semi. Una recente indagineall’Ufficio Europeo dei Brevettimostra che, in termini di numerodi brevetti sugli OGM, la BAYER èaddirittura la prima.Mais, frumento, riso, orzo, soia,cotone, barbabietola da zucchero,rape, patate, tabacco, pomodori,uva: la lista delle piante transgeni-che di cui la BAYER CROPSCIEN-CE detiene il brevetto, è lunga. Lamultinazionale ha brevettato anchealberi geneticamente modificati,come per esempio, pioppi, pini edeucalipti. Questo è il risultato diuna recente indagine pressol’Ufficio Europeo dei Brevetti diMonaco, in Germania, condottadalla Coalizione contro i pericoliderivanti dalla Bayer (Germania)assieme a No Patents on Seeds! (No

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Medicina Democratica numeri 216- 218 luglio / dicembre 201416 il sestante

ai brevetti sui semi!). A questoscopo, l’iniziativa ha esaminatotutte le richieste di brevetto presen-tate dalla BAYER negli ultimi 20anni. Secondo i risultati dell’indagi-ne, la Compagnia possiede 206 dei2000 brevetti concessi in totale inEuropa su piante transgeniche.Questo mette la BAYER al primoposto, davanti a PIONEER (179),BASF (144), SYNGENTA (135) eMONSANTO (119).=> Brevetti OGM (Bayer, Syngenta)=> Brevetti OGM (BASF, Pioneer,Dow, Monsanto).

CRESCENTE CONCENTRAZIO-NE DEL MERCATOCon una fetta di mercato del 20 percento, la BAYER CROPSCIENCE,una sussidiaria posseduta intera-mente dalla BAYER AG, è la secon-da maggior produttrice al mondo dipesticidi (dopo SYNGENTA).Riguardo ai semi la Compagnia è alsettimo posto con una fetta di mer-cato del 3 per cento.Il processo di concentrazione delmercato agricolturale sta proceden-do da decenni. Nel settore semi epesticidi, le dieci più grandi multi-nazionali possiedono una fetta dimercato di oltre il 70%. L’obiettivodi questo oligopolio è quello dispartirsi il mercato, stabilire i prez-zi, indirizzare le politiche e, allafine, controllare il modo in cui l’u-manità produce il cibo e quindicontrollare le sorti dell’intero piane-ta. “Chi controlla i semi, comanda ilmondo“ ha detto una volta l’exSegretario di Stato statunitenseHenry Kissinger. E, a tal fine, i bre-vetti su piante e animali sono mezziessenziali.Già nel 2008 lo studio InternationalAssessment of Agricultural Scienceand Technology for Development(valutazione internazionale dellascienza agricola e della tecnologiaper lo Sviluppo, IAASTD), avviatodalle Nazioni Unite e dalla BancaMondiale, ha espresso preoccupa-

zione per il fatto che la ricerca e ladiffusione delle conoscenze vengo-no limitate dalla crescente registra-zione di brevetti. Specialmente neipaesi in via di sviluppo, ciò rendepiù difficile l’adozione di praticheagricole adattate alla situazionelocale, che contribuirebbero allasicurezza alimentare e alla sosteni-bilità economica.

USO CRESCENTE DI ERBICIDIMONSANTO è di gran lunga ilmaggior fornitore nel mondo disemi geneticamente modificati. Lamultinazionale ha acquisito dozzi-ne di piccoli produttori e coltivato-ri di semi, raggiungendo una fetta dimercato intorno al 27%.La compagnia statunitense è anchedavanti a tutti nella vendita di erbi-cidi: il 95% della soia OGM e il75% di piante OGM, tipo il mais oil cotone, sono resistenti all’erbicidaglifosato estremamente tossico ecancerogeno (nome commercialeROUNDUP), sviluppato dallaMONSANTO.Ci sono studi che indicano chel’uso di questa sostanza può causa-re difetti alla nascita e cancro. Unnumero sempre più alto di coltiva-tori ne vengono avvelenati, soprat-tutto in America Latina.Contrariamente alle costanti pro-messe dell’industria, l’uso di piantegeneticamente modificate non haper niente diminuito l’uso di pesti-cidi, che invece è continuamenteaumentato. Le critiche rivolte allaMONSANTO, sono quindi giustifi-cate.Ma questo mette le compagnietedesche BAYER e BASF in unaposizione di comodo, in quantonon ricevono molta attenzione neldibattito pubblico. Invece, il glufo-sinato, un pesticida della BAYER,parente del glifosato, che vieneusato anch’esso in combinazionecon semi resistenti agli erbicidi, èaltrettanto pericoloso.Il principio attivo può causare

deformità nel feto ed è perciò clas-sificato come reprotossico. Per questa ragione l’erbicidadovrà essere ritirato dal mercatoeuropeo al massimo entro il 2017.Ma ciò non ha impedito allaBAYER di annunciare, nel maggio2013, la costruzione di una nuovaenorme fabbrica di glufosinatonegli USA. Con questa mossa, lamultinazionale vuole colmare ilvuoto causato dalla crescenteinefficacia del glifosato contro leerbe selvatiche.

ARRIVA LA BAYERNel campo della “tecnologia OGMverde“, la BAYER sta costantemen-te avanzando.La Compagnia sta portando avantila ricerca sulle piante geneticamen-te modificate, fin dagli anni ‘80. Nel 2001 ha fatto il suo ingresso trale grandi del settore con l’acquisi-zione di AVENTIS CROPSCIENCE,la quale a sua volta era stata creatadai settori OGM di SCHERING,RHONE POULENC e HOECHST.In seguito la BAYER ha compratoaltre compagnie, come PLANTGENETICS SYSTEMS, PLANT-TEC, PROSOY GENETICS eATHENIX. Inoltre ha creato accordidi cooperazione con compagnie dibiotecnologia, come la EVOGENE(ricerche sul riso), MERTEC (soia) eFUTURAGENE (cotone), oltre checon istituti di ricerca come ilCommonwealth Scientific andIndustrial Research Organisation(frumento) e il Brazilian Centre forSugarcane Technology (canna dazucchero).Al momento la BAYER raggiunge levendite maggiori con i semi di coto-ne, su cui la Compagnia possiede18 brevetti OGM. La BAYER fornisce anche colza,canna da zucchero, mais e soiageneticamente modificati e, giàdieci anni fa, ha fatto domanda perl’importazione in Europa del risoOGM resistente agli erbicidi, LL62.

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Medicina Democratica numeri 216- 218 luglio / dicembre 2014il sestante 17

206 BREVETTI OGM DELLABAYERLa nostra indagine mostra che negliultimi 20 anni, la Bayer ha presen-tato un totale di 771 domandeall’Ufficio Europeo Brevetti e 206 diqueste sono state accettate (vediTabella 1 che segue). Addiritturadue compagnie tedesche sono intesta per numero di brevetti asse-gnati negli ultimi tre anni: la BASFcon 69 e la BAYER con 56.La BAYER, detiene 26 brevetti soloper amido e zucchero. L’obiettivo èquello di produrre amido per usoindustriale attraverso piante geneti-camente modificate e, sempre attra-verso la modificazione genetica,produrre specifici tipi di zuccheroper usi speciali.23 brevetti della BAYER riguardanola resistenza agli erbicidi. I brevettisul glufosinato risalgono in parteagli anni ‘80 e sono ora scaduti. Perestenderne la durata, la BAYER haapportato piccoli cambiamenti alDNA di piante importanti come lasoia e il cotone e ha fatto domandadi nuovi brevetti in tal senso.Dal momento che il brevetto per ilglifosato della MONSANTO èanch’esso scaduto, la BAYER lo staproducendo e detiene 10 brevettisulle tecnologie di produzione. Peresempio, il brevetto N. EP1994158,descrive un processo di resistenzaal glifosato con il quale la BAYERha avanzato diritti su ben 23 piantediverse, tra cui mais, frumento,orzo, soia e riso, vari alberi e addi-rittura erbe.

LO SCANDALO DELLA CONTA-MINAZIONEIn agosto 2011, la BAYER ha rice-vuto dall’Unione Europea, il per-messo di importare la soia resisten-te al glufosinato del tipo A5547-127. Questo tipo di soia sarà colti-vata principalmente in SudAmerica e importata in Europacome mangime per animali. Solopochi mesi prima, la Compagnia

aveva ottenuto, per questa soia, unbrevetto che sarà valido fino al2026. Il brevetto, con il prevedibileproposito di evitare controlli indi-pendenti, dà alla Compagnia ancheil diritto esclusivo di controllare isemi per quanto riguarda le conta-minazioni da questo tipo di soiageneticamente modificata.Una pianta resistente al glufosinato,è anche stata la responsabile del piùgrande scandalo da contaminazio-ne nella storia dell’ingegneria gene-tica.Nel 2006, il riso genetico modi-ficato del tipo LL 601, fu trovato neisupermercati di tutto il mondo,anche se non esisteva alcun per-messo. Poco più del 30% del rac-colto degli Stati Uniti risultò conta-minato. L’Europa e il Giappone bloccaronotutte le importazioni di riso dalNord America. Nel 2012 la BAYERdovette pagare oltre 900 milioni didollari di indennizzo ad agricoltoridanneggiati dalla contaminazione.Il riso LL 601 esiste ancora e vieneregolarmente trovato nel riso com-merciato convenzionalmente.

BREVETTI TERMINATORPer migliaia di anni gli agricoltorihanno prodotto i loro semi creandotipi di piante che si adattavano inmodo ottimale alle condizioni loca-li. Questo metodo auto-perpetuanteè chiaramente problematico per iproduttori su vasta scala. Il truccopiù insidioso usato dai giganti del-l’agricoltura contro la libera ripro-duzione dei semi, è la cosiddetta“tecnologia terminator”:una modificazione genetica cherende la pianta sterile dopo un solociclo di semina e costringe quindigli agricoltori a comprare ogni annonuovi semi.Tutte le grandi compagnie del set-tore agricolo conducono ricerchesui semi “terminator” e hanno otte-nuto dei brevetti in questo campo.Dopo l’acquisizione di HoechstSchering Agrevo GmbH (in seguito

divenuta AVENTIS), anche laBAYER detiene brevetti sulla tecno-logia “terminator”. Per esempio,uno si chiama “Processo per la pro-duzione di piante a sterilità femmi-nile”.Le piante terminator non sonousate al momento, perchè dal 2000,esiste una moratoria dovuta allaConvenzione ONU sulla diversitàbiologica. Questa però non è legal-mente vincolante e ci sono stati sva-riati tentativi di indebolire il bando.Se questi tentativi dovessero aversuccesso, ne deriverebbe unaimmensa minaccia alla biodiversitàe alla sicurezza alimentare di milio-ni di persone che vivono solo diagricoltura, specialmente nei paesiin via di sviluppo. Per questo, cisono in tutto il mondo iniziativeecologiche che chiedono un bandopermanente su questa tecnologia,così come sui brevetti che la riguar-dano.

SCAMBIO DI BREVETTIMalgrado l’alto numero di brevettie cooperazioni, il programma diingegneria genetica della BAYER sibasa principalmente su due soletecniche: prima, semi resistenti aglierbicidi, venduti in combinazionecon gli erbicidi glufosinato o glifo-sato; seconda, piante che contengo-no il Bacillus thuringiensis (Bt), unbatterio velenoso che uccide gliinsetti.Entrambi i metodi sono sul merca-to dagli anni ‘90. A causa dei peri-coli che causano all’uomo e all’am-biente, la Coalizione contro i peri-coli derivanti dalla Bayer (CBGGermania) chiede che il glufosinatoe il glicosato siano immediatamen-te ritirati dal mercato.Richiesta di divieto della produzio-ne, della commercializzazione edell’uso dei due prodotti tossici cheviene condivisa e fatta propria daMedicina Democratica.Dal momento che le piante geneti-camente modificate perdono via

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Medicina Democratica numeri 216- 218 luglio / dicembre 201418 il sestante

via il loro effetto, la BAYER hascambiato molti brevetti con MON-SANTO, DUPONT, SYNGENTA eDOW. Le compagnie usano ora letecniche dei loro concorrenti eoffrono semi che sono resistenti adue o anche tre erbicidi. Nel 2012 èstato introdotto un tipo di soia resi-stente al glufosinato, al glifosato e al2,4-D (quest’ultimo erbicida era uncomponente del famigerato defo-liante Agent Orange contenentediossine come impurezze, con ilquale le truppe USA nella guerra inVietnam hanno irrorato le foresteavvelenando le matrici ambientalie le popolazioni). La MONSANTOha recentemente fatto domanda peravere il permesso di importare inEuropa il mais dolce “Smartstax“,che non solo è immune al glifosatoe al glufosinato, ma contiene anchesei tossine del Bacillus thuringien-sis.

BREVETTI SU PIANTE CONVEN-ZIONALINegli ultimi 25 anni, la BAYER e isuoi simili non sono riusciti a scuo-tere lo scetticismo dei consumatoriEuropei nei confronti dell’ingegne-ria genetica. La BASF si è arresa eha spostato negli USA l’intero set-tore della ricerca sugli OGM.Inoltre le profezie sugli esiti dellemanipolazioni genetiche si sonorivelate sbagliate. I raccolti nonsono aumentati significativamentee l’uso dei pesticidi non si è ridotto.Per questi motivi la BAYER sta oraintensificando di nuovo l’uso dimetodi di coltivazione convenzio-nali. Ma la coltivazione convenzio-nale genera profitto solo se la com-pagnia ha dei brevetti su di essa, ecosì la BAYER mira a ottenerli e ciè già riuscita. Nell’agosto del 2011, l’UfficioEuropeo Brevetti, ha concesso unbrevetto per la coltivazione di pian-te con accresciuta resistenza allostress (brevetto EP1616013). Il bre-vetto è valido fino al 2024. I fattori

considerati di stress sono, peresempio, siccità, troppa luce o trop-po calore o un terreno povero disostanze nutrienti.Solo 100, dei 2000 brevetti rilascia-ti dall’Ufficio Europeo Brevetti,riguardano piante coltivate conven-zionalmente. Una prassi comune èanche quella di prendere piantecoltivate prima convenzionalmen-te e geneticamente manipolate inseguito, perché in questo modo èpiù facile ottenere il diritto al bre-vetto. Concedendo questi brevetti,l’Ufficio Europeo Brevetti accetta,di fatto, che anche piante coltivateconvenzionalmente siano dichiara-te “invenzioni” e che le risorsegenetiche vengano monopolizzate.Questo dimostra che la legge inter-nazionale sui brevetti è cambiatasignificativamente, in peggio.Sia la Convenzione di Strasburgosui Brevetti, nel 1963, che laConvenzione Europea sui Brevetti,nel 1977, escludevano richieste didiritti proprietari riguardanti “pro-cedure essenzialmente biologiche”.Razze e speci di animali o piantenon venivano considerate inven-zioni da proteggere e l’obiettivodella decisione era quello di impe-dire che i processi vitali divenisse-ro beni di mercato. Questa situazio-ne avrebbe reso pressoché impossi-bile che l’ingegneria geneticadiventasse un settore economicoredditizio. Perciò le lobby dellaBAYER e delle altre compagnie,hanno fatto di tutto per reinterpre-tare la legge con qualche acrobazialegale. Il colpo buono è venuto nel1980, quando un ufficio brevettistatunitense ha concesso il copyri-ght su un batterio, sostenendo cheera molto più simile a un compostochimico senza vita che non a uncavallo, a un’ape o a una fragola. Daquel momento in poi le cose si sonomosse in fretta. Nel 1988, l’Università di Harvard èriuscita ad ottenere la proprietàintellettuale sul cosiddetto onco-

mouse (un topo particolarmentesuscettibile di contrarre il cancro) eha immediatamente concesso uncontratto di licenza alla compagniafarmaceutica DuPont. Oggi,l’Ufficio Europeo Brevetti concedediritti proprietari anche su piantecoltivate convenzionalmente.C’è comunque uno spiraglio di spe-ranza. Nell’ultimo incontro primadella pausa estiva, il DeutscherBundestag, il parlamento tedesco,ha deciso di cambiare la legge tede-sca sui brevetti e bandire la conces-sione di diritti proprietari su ani-mali e piante allevati convenzional-mente. E’ vero che questa legge noninterferisce con le pratichedell’Ufficio Europeo Brevetti, ma èpossibile che altri paesi decidano diimitarla e bandiscano i brevettisugli organismi viventi.

Tabella 1.A. Numero di brevetti emessidall’Ufficio Europeo Brevetti

1. BAYER 2062. DUPONT-PIONEER 1793. BASF 1444. SYNGENTA 1355. MONSANTO 1196. DOW 20

B. Numero di domande di brevet-to

1. DUPONT-PIONEER 1.454 2. BASF 1.273 3. SYNGENTA 961 4. MONSANTO 811 5. BAYER 771 6. DOW 228Fonte:[email protected];22 agosto 2014. Sul tema si vedaanche l’articolo di Giorgio Forti neldossier di questo fascicolo diMedicina Democratica. Il dibattitosu queste pagine è aperto.

[A cura di Luigi MARA].

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.2009 - Strage ferroviariadi Viareggio: una vicenda di cuinon parlare

di Maurizio DALLA CASA*

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 2014

Tribunale Penale di Lucca, Collegio Tre:Presidente dr. Gerardo Boragine, Giudici alatere dr.ssa Nadia Genovese e dr.ssa ValeriaMarino.Nel quasi totale disinteresse dei medianazionali, è dinanzi a detto Tribunale che sista svolgendo il processo per la morte di 32persone decedute nel disastro ferroviarioverificatosi nella stazione di Viareggio il 29giugno 2009. Uno dei tratti più inquietanti di questavicenda, è che quasi tutte le vittime eranoinermi cittadine/i che si trovavano all’inter-no delle loro abitazioni quando venneroinvestite dalle esplosioni e dagli incendiconseguenti al deragliamento di un trenomerci che trasportava GPL ed allo sversa-mento di quest’ultimo sulla sede ferroviaria.Le ipotesi di reato contestate agli imputati sisostanziano nella violazione degli artt.li 423e 449 c.p. (incendio colposo), 430 e 449commi 1 e 2 c.p. (disastro ferroviario colpo-so), 589 commi 1, 2 e 4 c.p. (omicidio col-poso plurimo) e 590 commi 1, 2, 3 e 4 c.p.(plurimi lesioni personali colpose aggrava-te).Il tutto “passando” attraverso la contesta-zione della violazione di plurime disposi-zioni del D. Lgs.vo 81/08 cioè del TestoUnico in materia di tutela della salute edella sicurezza nei luoghi di lavoro (per es.artt.li 15, 17, 18, 23, 70 e 71), delle normecautelari di cui agli artt.li 2043, 2050, 2051 e2087 codice civile e di altre che per meraopportunità di spazio non è possibile elen-care in questa sede. Ma ripercorriamo i fatti.Alle ore 23.48 del 29 giugno 2009 un trenomerci proveniente da Trecate (Novara) edestinato a Gricignano (Salerno) formato da14 cisterne cariche di GPL entra nella sta-

zione di Viareggio alla velocità di 90 km/h(il limite consentito era di 100 km/h) quan-do, poco prima dell’inizio della banchinaasservita al quarto binario, si verifica la rot-tura dell’assile (assile o sala montata : insie-me di due ruote unite dall’asse centrale)posteriore del carrello di testa del primocarro .Ciònonostante il treno prosegue la sua mar-cia strisciando con la boccola della primasala montata e con il carrello di testa sullabanchina destra del proprio senso di mar-cia, che così “contiene” il treno nella suacorsa, mentre le ruote sinistre del carrello ditesta rotolano in mezzo al binario.Giunto in prossimità dell’uscita dalla stazio-ne, il treno incontra un cosiddetto passaggioa raso (intersezione tra binari che consente ilpassaggio di persone o mezzi di soccorso)che fa sì che il carrello di destra sormonti ilmarciapiede, così dando al primo carro unaspinta verticale che ne causa il ribaltamentocompleto sul fianco sinistro.In queste condizioni il primo carro prosegueancora la sua corsa, arando con il carrello ditesta le traversine e strisciando sui binarifino a quando incontra un oggetto presentesulla rete ferroviaria che provoca uno squar-cio della cisterna ribaltata; da tale squarciofuoriuscirà il GPL.Il gas è inodore, contenuto in forma liquidaall’interno delle cisterne, ma a contatto conl’aria si disperde in forma di vapore ai latiest ed ovest della sede ferroviaria, proprioove sono ubicate le abitazioni dei residentidella zona; dopo qualche istante si verificala prima esplosione poi seguita da unaseconda. L’incendio conseguente travolgedette abitazioni distruggendo un interoquartiere.Al termine di lunghe e laboriose indagini

*Biografia Maurizio Dalla Casa (www.oltreilragionevo-ledubbio.com – [email protected])Milano, 1961. Avvocatoiscritto all’Albo degliAvvocati del Tribunaledi Lucca. Legale dellaassociazione dei fami-gliari delle vittime deldisastro ferroviario diViareggio del 29 giugno2009, nonché legale dialcune persone offesenel relativo procedi-mento penale.Coautore con l’Ing.Fabrizio D’Errico(Taranto, 1973) dellavoro MultilevelEvents AnalysisSequence in CriminalCases of IndustrialAccidents presentatoalla V InternationalConference ofEngineering FailureAnalysis (2012, L’Aia,Olanda). Oratore invi-tato alle due edizionidell’ ’“AdvancedAccident RecostrucionSeminar” organizzatidalla NationalAcademy of ForensicEngineering (NAFE)americana tenutosi inSan Diego (California,USA) nel luglio 2012 eMinneapolis(Minnesota, USA) nelluglio 2013. Relatoreper gli anni 2013 e2014 al Corso biennaledi “Failure Analysis &Forensic Engineering “organizzato dalDipartimento diMeccanicadell’Università delPolitecnico di Milano.Co-autore unitamenteall’Ing. FabrizioD’Errico del manuale“Oltre il ragionevoledubbio – prove scienti-fiche per il tracciamen-to delle responsabilitànegli incidenti e disa-stri industriali”, anno2012, edito da EdizioniTecnico Scientifiche(ETS) di Pisa.

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che hanno travalicato i confini nazionali perle ragioni che saranno di seguito esposte,sono state rinviate a giudizio 33 persone e 8società, alle quali è stata contestata la viola-zione del d.lgs.vo 231/01. Per capire chi sono gli imputati, i loro ruolinella vicenda ed il contenuto delle ipotesi direato loro contestate, almeno secondo laprospettiva accusatoria fatta propria dallalocale Procura della Repubblica, è necessa-rio capire quali siano state le cause chehanno generato tale disastro.In data 03.11.2008 le società AversanaPetroli S.r.l. (con sede legale in Aversana) edFS Logistica Business Unit IndustriaChimica e Ambiente S.p.A. (società consede legale in Roma, interamente partecipa-ta dalla holding Ferrovie dello Stato S.p.A.,il cui pacchetto azionario è a sua volta inte-ramente detenuto dal Ministero delleFinanze) sottoscrivono un “Contratto per iltrasporto ferroviario di GPL da Trecate aGricignano”; con esso la società AversanaPetroli affida alla società FS Logistica l’orga-nizzazione del servizio di trasporto via fer-rovia di GPL dallo stabilimento SARPOMdi Trecate (Novara) al deposito di AversanaPetroli sito nella Zona Industriale diGricignano.Esso si sarebbe dovuto sostanziare, in termi-ni contrattuali, in un servizio da esplicarsiper due volte alla settimana per 48 settima-ne annue, con “treni completi di 16 carri”nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2009ed il 31.12.2011.FS Logistica S.p.A. è una società del GruppoFerrovie dello Stato S.p.A. iscritta all’albodegli spedizionieri e come tale non possie-de né l’attrezzatura di lavoro né le abilita-zioni necessarie per lo svolgimento del ser-vizio. Pertanto, per adempiere al contratto stipula-to con Aversana Petroli, incaricherà lasocietà Trenitalia S.p.A. (altra società intera-mente controllata dalla holding Ferroviedello Stato S.p.A. ed unica, tra le societàappartenenti al Gruppo, ad essere abilitataal trasporto di merci e persone su rotaia)all’esecuzione del trasporto vero e proprio.Le ferro cisterne (intendendo con tale termi-ne la struttura composta dalla cisterna edalla sottostruttura) che saranno utilizzate atal fine sono già nella disponibilità di FS

Logistica in virtù di un precedente contrattodi noleggio stipulato da quest’ultima nel-l’anno 2005 con la società Gatx Rail Austriae successivamente prorogato nel tempo(all’epoca il contratto venne sottoscrittodalla società Cargo Chemical S.p.A., poiconfluita in FS Logistica). A questo punto il cerchio si chiude: - Trenitalia, in qualità di vettore, trasporteràil GPL da Trecate a Gricignano;- per fare ciò utilizzerà le ferro cisterne a leisub noleggiate da FS Logistica S.p.A. che, inprecedenza, le ha a sua volta noleggiatedalla società GATX Austria; - il trasporto verrà effettuato transitandosulle rete ferroviaria italiana che, come noto,è gestita da altra società del Gruppo Ferroviedello Stato, denominata RFI S.p.A., anch’es-sa interamente partecipata dalla holdingFerrovie dello Stato S.p.A..Abbiamo già detto che la ragione del dera-gliamento del treno è stata la rottura del-l’assile posteriore del carrello di testa delprimo carro; ma quale è stata la causa chel’ha provocata ?La risposta, sulla quale al momento non vi ècontestazione alcuna, è che essa è stata cau-sata da una criccatura (che possiamo defini-re come una discontinuità di materiale ocrepa) iniziata sulla testa di un componentedell’assile, che si è poi propagata nel temposino a generarne la rottura definitiva.Come abbiamo già evidenziato la societàGATX Austria è la proprietaria dei carricisterna; quest’ultima è parte della brancheuropea della GATX Corporation, multina-zionale americana avente il suo quartieregenerale a Chicago, Illinois.Un’altra componente della branch europeadella GATX è rappresentata dalla GATXGermania, a sua volta proprietaria, perchéda essa interamente partecipata, dellasocietà Jungenthal Gmbh che si occupa,quale officina, della manutenzione dei rota-bili GATX e dei loro componenti.L’assile oggetto della frattura (il cui numeroidentificativo è 98331) era stato revisionatonel novembre 2008 proprio dalla societàJungenthal mediante un controllo ad ultra-suoni, tra le cui finalità vi è proprio quella diindividuare l’esistenza di simili cricche.Purtroppo nel nostro caso ciò non accadde,cosicchè la sala superò la revisione e venne

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stoccata presso la Jungenthal in attesa diessere impiegata in futuro.Fu così che quando nel gennaio 2009 unadelle ferro cisterne impiegate nel trasportodi GPL venne inviata, su indicazione dellaGatx Austria, alla società Cima RiparazioniS.p.A. (società italiana con sede nel manto-vano) per essere sottoposta ad una serie diattività manutentive, gli operatori di que-st’ultima si accorsero che due delle saleasservite a quella ferro cisterna dovevanoessere sostituite e segnalarono la cosa allaGatx Austria, chiedendo nel contempo l’in-vio di due sale in sostituzione. Una di queste fu proprio la sala 98331 che,unitamente alla gemella n. 85890, CimaRiparazioni S.p.A. montò sotto il carro nelfebbraio 2009, così originando la condottache ha poi portato sul banco degli imputatisia il suo amministratore unico che alcunidegli operatori che si sarebbero dovutiaccorgere, secondo la prospettazione accu-satoria, del cattivo stato manutentivo dellasala 98331. Questa - ahimè - articolata esposizione si èresa necessaria in quanto tali sono i fatti edi soggetti coinvolti nella vicenda. Vediamoa questo punto chi sono gli imputati ed ititoli in forza dei quali sono stati chiamati arispondere dei reati loro ascritti, suddivi-dendo l’elenco in base alle società di appar-tenenza:Mario Castaldo, nella sua doppia qualità diAD della società che noleggiò il carro daGATX Austria e quale Direttore dellaDivisione Cargo di Trenitalia;Gilberto Galloni, quale AD di FS LogisticaS.p.A.;Vincenzo Soprano, Presidente del CdA diFS Logistica S.p.A. e di AD di TrenitaliaS.p.A.;Salvatore Andronico, quale Responsabiledella struttura Sicurezza Sistema dellaDivisione Cargo di Trenitalia S.p.A.;Emilio Maestrini, Responsabile dell’UnitàProduttiva Direzione Ingegneria Sicurezza eQualità di Sistema Trenitalia S.p.A.;Daniele Gobbi Frattini, ResponsabileTecnico dell’azienda Cima RiparazioniS.p.A. e Responsabile Commessa carri diCima Riparazioni S.p.A.;Paolo Pizzadini, quale Capo Commessa delsettore carri e Responsabile tecnico del

reparto sale dell’azienda Cima RiparazioniS.p.A.;Giuseppe Pacchioni, Direttore Generaledella società Cima Riparazioni S.p.A.;Massimo Vighini, Capo squadra del repartocarri dell’azienda Cima Riparazioni S.p.A.;Kriebel Uwe, dipendente dell’OfficinaJungenthal che eseguì i controlli ad ultra-suoni nel novembre 2008; Andreas Schroeter, tecnico di secondolivello e sostituto supervisore degli esaminon distruttivi effettuati da Kriebel Uwe;Joachim Lehmann supervisore e responsa-bile degli esami non distruttivi presso l’offi-

cina Jungenthal; Andreas Barth, dipendente OfficinaJungenthal responsabile di produzione;Brodel Helmut, dipendente dell’OfficinaJugenthal di Hannover; Uwe Koennecke, responsabile dell’OfficinaJungenthal; Rainer Kogelheide, AD di Rail GatxGermania , e direttore generale dell’OfficinaJungenhtal; Peter Linowski, Responsabile della elabora-zione delle regole interne di manutenzionedi sale e carrelli delle officine europee delgruppo GATX; Roman Mayer Responsbaile Manutenzioneflotta carri merci di Gatx Austria;Johannes Mansbart, AD di Gatx RailAustria; Tutti gli imputati predetti sono divenuti talisulla base di contestate inadempienze con-nesse alla non corretta manutenzione dellasala poi fratturatasi o all’omesso accerta-

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mento della bontà della sua esecuzione.Però per quanto riguarda gli imputati appar-tenenti alla società Trenitalia S.p.A., essihanno assunto tale ruolo anche perché,secondo l’ipotersi ricostruttiva della Procuradella Repubblica presso il Tribunale diLucca, pur avendo compiti di salvaguardiadella salute ed integrità dei lavoratori e deiterzi in connessione alle mansioni loro affi-date, avrebbero omesso di segnalare comenecessaria e/o utile l’adozione del cosiddet-to detettore antisvio quale fattore di conteni-mento del rischio.Si tratta di uno strumento che ove installatosui carri trasportanti merci pericolose,sarebbe capace di mandare in frenatura diemergenza il convoglio al sorgere di unosvio, evitando così possibili ribaltamenti econseguenti danni alle cisterne.Sembrerebbe che il cerchio dei fatti si siacosì chiuso, ma in realtà un significativofilone di indagine ha riguardato la societàgestore della rete ferroviaria italiana (ovveroRFI S.p.A.) che ha visto rinviati a giudizioalcuni dei suoi esponenti apicali e di rangointermedio e segnatamente:Michele Mario Elia, quale AD di RFI S.p.A.;Mauro Moretti, quale AD di RFI S.p.A. dal2001 al 2006 e poi quale AD della holdingFerrovie dello Stato S.p.A.;Giovanni Costa, quale Responsabiledell’Unità Produttiva di sede centraleDirezione Tecnica di RFI S.p.A.;Giorgio Di Marco, quale Responsabiledell’Unità Produttiva Sede CentraleDirezione Tecnica di RFI S.p.A.;Francesco Favo, Responsabile dell’IstitutoSperimentale e della S.O. certificazioneSicurezza Imprese ferroviarie, facenti partedella Direzione Tecnica di RFI S.p.A.;Alvaro Fumi, Responsabile della S.O.Istituto Sperimentale facente parte dellaDirezione Tecnica di RFI S.p.A.;Giulio Margarita quale Direttore dellaStruttura operativa di RFI S.p.A. Sistema diGestione Sicurezza Circolazione Treni edEsercizio ferroviario; Enzo Marzilli, responsabile delle S.O.Direzione Norme, Standard Sviluppo eOmologazione di RFI S.p.A.;Angelo Pezzati e Calogero Di Venuta, qualiDirettori Compartimentali Infrastruttura diFirenze di RFI S.p.A. tra loro succedutisi dal

2001 al 2009; Stefano Rossi, Giuseppe Farneti e MarioTesta, quali responsabili della S.O. Arma-mento in RFI S.p.A. succedutisi tra il 2001ed il 2009. Ma per quale ragione anche RFI S.p.A.,nelle persone indicate, è coinvolta in que-sto processo ? L’individuazione delle loro responsabilitàderiva dall’analisi della funzione precipuadi RFI S.p.A., che è quella di garantire ade-guate condizioni di sicurezza del trasportoferroviario, sia a tutela della integrità fisicadei lavoratori e delle lavoratrici che si trova-no ad operare in esso, che di terzi.A tale riguardo, le indagini compiute dallalocale Procura della Repubblica hanno por-tato a rilevare una serie di omissioni, ora sot-toposte al vaglio della magistratura di meri-to, così sinteticamente riassumibili: - mancata previsione della necessità od uti-lità di ridurre la velocità nell’attraversamen-to di centri abitati (il convoglio in questionepoteva transitare in Viareggio alla velocità di100km/h) per i carri merci trasportantimerci pericolose; - mancata segnalazione della necessità odutilità della adozione del sopra citato “detet-tore antisvio” sui carri merci trasportantimerci pericolose;- mancata valutazione - e loro sostituzionecon strumenti di minore capacità offensiva -,della pericolosità dei cosiddetti picchettidi tracciamento delle curve che, costituitida uno spessore di rotaia infisso in parte inun plinto di cemento infossato nel terreno,sarebbero stati la causa della foratura dellacisterna dopo il suo ribaltamento (questaversione è contraddetta dalle difese degliimputati che attribuiscono tale foratura adaltro insostituibile elemento strutturalepresente sulla rete).Il tutto, secondo l’assunto accusatorio, nellaconsapevolezza che: Vi sono stazioni, come quella di Viareggio,che si trovano nel cuore di centri abitati, conuna sede ferroviaria priva di struttura diconfinamento e/o di protezione delle areeurbane ad essa limitrofe; Vi è l’impossibilità e/o difficoltà, a reperirepercorsi alternativi rispetto a quelli attraver-santi centri abitati.Infine, a tutte le società coinvolte nella

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vicenda sono state contestate plurime viola-zioni del D. Lgs.vo 231/01, in connessionealla violazione delle norme sulla tutela dellasalute e della sicurezza dei luoghi di lavoro.Sempre secondo la prospettazione accusa-toria, tali illeciti amministrativi si sarebberosostanziati in indubbi vantaggi per gli entipoichè l’omissione degli interventi necessa-ri a garantire adeguate condizioni di sicu-rezza sul lavoro e/o la qualità delle attivitàmanutentive, si sarebbe tradotta in ingentirisparmi di spesa e quindi, nella salvaguar-dia dei valori della relative partecipazioniazionarie.Questo il quadro, sinteticamente descritto,del terrificante disastro ferroviario avvenutoil 29 giugno 2009 a Viareggio. Da esso deri-vano almeno due semplici considerazioni,ma di significativo spessore.La prima è che il disastro ferroviario diViareggio trascende i confini nazionali,coinvolge società di diversi Paesi europei equindi, inevitabilmente, tutte le organizza-zioni che a livello nazionale e sovranazio-nale sono deputate a garantite la circolazio-ne (cd interoperabilità ) dei sistemi ferrovia-ri dei singoli Paesi, in condizioni di sicurez-za. Il tutto, ovviamente, con particolareattenzione alla attività di manutenzione lacui qualità e tracciabilità deve essere garan-tita sempre e comunque, ma in particolareallorquando su una rete nazionale si vannoad utilizzare rotabili o componenti di rota-bili provenienti da altri Paesi.In tal senso il quadro che gli investigatori sisono trovati dinanzi è stato quello di unassordante vuoto normativo; non esistonoregole manutentive uniformi in Europa inquanto la responsabilità della correttamanutenzione è rimessa al singolo detento-re ovvero, nel nostro caso, alla società GatxAustria proprietaria dei carri cisterna.L’auspicio che si può formulare è di unapresa d’atto di tali lacune e di un interventoadeguato, rapido e serio da parte delle auto-rità comunitarie, tra le quali un ruolo deter-minante deve essere svolto dall’ERA(European Railway Agency).Ovviamente ciò dovrà essere fatto anche pertutte le altre questioni che il disastro ferro-viario di Viareggio ha sollevato (confina-mento dei tratti ferroviari posti a ridosso dizone residenziali, riduzione della velocità,

dotazione del detettore antisvio, altri com-ponenti e sistemi per garantire la sicurezzadel trasporto merci, segnatamente di quellepericolose, etc..) e che riguardano più ingenerale le condizioni di massima sicurezzapossibile per il trasporto di merci pericoloseche attraversano tutti i giorni ed in numerocospicuo, i centri abitati delle città europee. La secondaconsiderazione nasce dal nume-ro elevato delle società che, ognuna per pro-prio conto e poi tutte insieme, seppure inmaniera indipendente le une dalle altre, sisono trovate coinvolte nella vicenda.Ciascuna costituisce una struttura organiz-

zata, con propri compiti, caratteristiche efinalità ed un proprio segmento di interven-to in questa drammatica storia.Ciò rappresenta la caratteristica difficoltàche i cosiddetti incidenti complessi o indu-striali (ovvero gli “incidenti” che avvengonoall’interno di un sistema organizzato o trapiù sistemi organizzati che tra loro si trova-no a cooperare, anche in maniera autonomagli uni dagli altri, in vista di un comunerisultato finale, come per esempio accade inun aeroporto) impongono all’attenzionedegli operatori giudiziari.Comprendere come si è verificato un even-to frutto di una concatenazione di accadi-menti tra loro legati e risalire per ciascuno diessi all’accertamento delle responsabilità ècompito difficile, articolato e, non ultimo,estremamente delicato.Perché è accaduto l’evento A? e perché daun evento A è disceso l’accadimento B? eperché se dall’avvenimento A potevano

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discendere gli accadimenti B, C, D ed E, si èverificato proprio B e non uno degli altri ?ed una volta verificatosi l’accadimento A,era inevitabile l’accadimento B o si potevaevitare? quante di queste concatenazionierano prevedibili? e se lo erano, si potevanoevitare? e come? Questo è un esempio dellacomplessità dei quesiti che nascono dasimili vicende.Da qui l’auspicio che ogni qual volta sidebba dibattere di temi così complessi nelleaule di giustizia, le corti (ma anche le particoinvolte) si avvalgano di esperti nella rico-struzione degli incidenti complessi; ma nonmeno importante, tuttavia, è che tali indagi-ni siano svolte con comprovati ed accertatimetodi scientifici (quindi confutabili) e diassoluta affidabilità.Infatti, nelle aule di giustizia si assiste spes-so alla sfilata di esperti avvolti da un’aureadi autoreferenzialità che, argomentando incontraddittorio tra loro, sono capaci disostenere qualsivoglia tesi a seconda delruolo assunto (consulente dell’accusa, delladifesa o perito nominato dal tribunale), cosìcreando gravi difficoltà di comprensione ainon esperti della materia, quali sono magi-strati ed avvocati.E non vi è nulla di più complesso, per unmagistrato chiamato ad accertare la penaleresponsabilità di un imputato, che trovarsidinanzi a tesi complesse e tra loro discor-danti, sostenute da autorevoli esponenti diuna particolare materia tecnicamente artico-lata.Da qui la necessità di una minuziosa, preci-sa e dettagliata raccolta delle tracce che que-

sti incidenti lasciano dietro di sé, affinchètramite esse sia possibile determinare il“cosa è accaduto” e così risalire al “come”,per poi giungere al “perché”.Questo significa valorizzare al massimo l’o-perato della polizia giudiziaria e scientifica,che ha il compito di eseguire questa primarilevazione e mappatura delle tracce, specieladdove il suo intervento è antecedenteall’intervento degli esperti eventualmentenominati, così da garantire e preservare tuttigli elementi utili alla ricostruzione del fatto.Perché quando si tratterà di dover spiegareil “come” è accaduto un determinato even-to, sarà necessario che tutte le evidenze rile-vate siano utilizzate e che a tutte esse sianodate adeguate spiegazioni in ordine a ciòche le ha causate. Una ricostruzione della dinamica che neutilizzi solo alcune è di per sé oggettiva-mente inaffidabile e comunque sarà sempremeno credibile rispetto ad una, diversa, chele utilizzi tutte in maniera coerente.Questi sono gli aspetti (scientificità delmetodo applicato, spiegazione di tutte letracce rilevate sul campo e loro integrale uti-lizzo nella ricostruzione della dinamicaincidentale) che si devono pretendere da unesperto che si cimenti nella ricostruzione diun “incidente” complesso.Perchè è soltanto l’adozione di un metodoscientificamente affidabile e chiaro, capacedi fondere due linguaggi tra loro diversi(quello del legale e quello del tecnico) lachiave di lettura per ricostruire e soprattut-to, comprendere, “oltre il ragionevole dub-bio“ la catena degli eventi.

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Eternit di Casale Monferrato,Montedison di Bussi val diPescara, Marlane di Praia Mare,nessun colpevole!Marino RUZZENENTI*

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Lo scoramento, dopo questa raffica terribiledi assoluzioni, è grande e la rabbia rischia ditramutarsi in rassegnazione.Del resto i casi hanno una loro storia e carat-teristiche proprie, presentano evidenze lam-panti di un disastro ambientale reiterato neltempo, ognuno con la propria genesi tossicae con una comprovata nocività in danno deilavoratori e della popolazione inerme.Tuttavia, le peculiarità dei tre casi si dissol-vono nei dispositivi delle sentenze, quasiredatti in fotocopia, che mandano assoltitutti gli imputati.E’ questo che più impressiona e che ci fadire che in Italia la giustizia in campoambientale è impossibile.Giovanni Maria Flick, già presidente dellaCorte Costituzionale, è perentorio e impie-toso a questo proposito: “Il reato di disastroambientale non è finora previsto dal nostroCodice”, e, se lo si volesse includere nelgenerico ‘altro disastro’, <<la norma attualesarebbe comunque un’arma spuntata, per-ché la misura (bassa) della pena minima, ela difficoltà di prolungare nel tempo ilmomento in cui il reato ‘si consuma’, fannosì che la prescrizione scatti in tempi abba-stanza brevi, perfino anteriori al verificarsidegli effetti dannosi, ed eventualmentedelittuosi, sulla popolazione e l’ambiente>>(“Il fatto quotidiano”, 23 dicembre 2014).Un’analisi lucidissima, confermata purtrop-po dalle recenti sentenze. Vien da chiedersiperché, lo stesso Flick, tra il 1996 e il 1999,ministro della giustizia con il governo Prodie autore di “una serie di leggi organiche diriforma del sistema giudiziario che verran-no approvate quasi integralmente”, comerecita il suo profilo di Wikipedia, non abbiapensato di inserirvi il reato ambientale,ponendo fine a questa clamorosa lacuna dalui stesso evidenziata. Ora il “reato ambien-

tale”, come è noto, è ricomparso nel dibatti-to parlamentare, con un testo, da molti rite-nuto ambiguo, approvato alla Camera e damesi in attesa al Senato. Non c’è fretta…Dunque la vicenda, se vogliamo vederla conrazionalità, ha una sua logica ferrea, che vaben oltre la cosiddetta “malagiustizia”. E’ lalogica, appunto, di un “Sistema”, nell’acce-zione che la storia del nostro Paese haampiamente sperimentato e da cui tuttora èattraversato: la “chiesa istituzione”, il regi-me fascista, la “democrazia bloccata” delsecondo dopoguerra, la mafia, la corruzionepolitica… Ogni “Sistema” per perseguire ipropri fini ha bisogno di “vittime sacrificali”che vanno accettate in nome di interessisuperiori. E per questo è del tutto illusorioed impensabile che un simile “Sistema” siain grado di autogiudicarsi ed autocondan-narsi: le vittime dell’inquisizione di ieri edella pedofilia ecclesiastica di oggi attendo-no ancora giustizia; i criminali fascisti, sfug-giti ad un tribunale “altro” come quello diNorimberga, hanno goduto di un “salutare”colpo di spugna; le stragi per “bloccare” lademocrazia restano in gran parte impunite;oggi sembra “impossibile” estirpare le mafiee la corruzione politica. Paradossalmente,tra l’altro, è proprio “l’intermediazione dellavittima” che rende forte il “Sistema” (J.-P.Dupui, Per un catastrofismo illuminato,2011). Cosicché, la mancata giustizia viene“compensata” celebrando le vittime, monu-mentalizzandole. Nei casi in questione il“Sistema” è il capitalismo industriale italia-no, così come si è costruito nel corso delNovecento. Una sorta di “Supersistema”,perché animato dalla “superideologia”dello sviluppo (Pier Paolo Poggio), comunea tutte le ideologie novecentesche (liberal-democratica, fascista, comunista).Con l’amico Pier Paolo Poggio, abbiamo cer-

*Storicodell’Ambiente, col-labora con laFondazione LuigiMicheletti diBrescia; è il rappre-sentante delComitato popolarecontro l’inquina-mento “zonaCaffaro”, ed è ade-rente a “MedicinaDemocratica –O.N.L.U.S.”.(www.ambientebre-scia.it).

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cato di definire la peculiarità italiana di que-sto “Supersistema” (P. P. Poggio, M.Ruzzenenti, Il caso italiano: industria, chi-mica e ambiente, 2012).L’industrializzazione repentina dell’Italia, inparticolare nel secondo dopoguerra, che hapermesso di superare d’un balzo lo storicoritardo nei confronti dei Paesi industrial-mente avanzati, è avvenuta sfruttando ilvantaggio competitivo delle risorse ambien-tali a costo zero. Questo “peccato originale” rappresenta unapesantissima eredità che si rivela oggi nellavastità e profondità della devastazioneambientale che, all’esaurirsi del secolo “ter-moindustriale”, abbiamo “scoperto” pro-prio in alcune delle aree più incantevolidella penisola e delle isole. Ma non solo: lalegittimazione di quell’immane scempioopera ancora in profondità, è un dato strut-turale dell’industrializzazione italiana anco-ra oggi. Perché il “Supersistema” in versio-ne italiana, in generale, salvo poche ecce-zioni, rimane un gigante con i piedi di argil-la, ancora oggi dipendente da quelle condi-zioni che ne determinarono le fortune nelsecondo dopoguerra: bassi salari; energiaimportata a basso costo grazie all’Eni diMattei; imitazione creativa delle innovazio-ni altrui senza dover sviluppare in propriocostose strutture di ricerca; risorse ambien-tali concesse a titolo gratuito e senza alcunvincolo. Nella congiuntura attuale e nel con-testo di una globalizzazione senza regole,emerge con ogni evidenza la sua strutturalefragilità: quelle condizioni di un tempo siincontrano oggi molto più vantaggiose intante regioni del mondo, mentre l’energiafossile non ce la regala più nessuno. E l’Italiamanifatturiera, in molti settori, arranca, ine-vitabilmente. Dunque può il nostro “Supersistema”, inqueste condizioni di grande difficoltà, fare iconti con i disastri ambientali che ne hannodeterminato le fortune?Anzi. Il “Supersistema” chiede alla politica,se possibile, un ulteriore balzo in avanti nel-l’illusione che si possano ricreare oggi lecondizioni di un nuovo “miracolo econo-mico”, “riagganciandoci”, finalmente, allamitica “crescita”: mortificare ancor più ilsindacato e i diritti dei lavoratori per depri-merne le pretese salariali; rilanciare la ricer-ca di idrocarburi sul territorio nazionale enei nostri mari in spregio alla loro naturale

fragilità; destinare le poche risorse pubbli-che, non all’unica grande opera necessariadi manutenzione e risanamento del territo-rio disastrato del Paese, ma a benefici fiscaliper le imprese distribuiti a pioggia, dunquequalitativamente inefficaci; “sbloccare”grandi opere inutili, rimuovendo per l’en-nesima volta l’intralcio dei vincoli ambien-tali. Le assoluzioni per i disastri ambientalidel passato sono quindi coerenti con la cul-tura e la politica attuali, sostanzialmentedominate dalla logica totalitaria del“Supersistema”. Si tratta della versione ita-liana di una sorta di “oscurantismo progres-sista. Un oscurantismo di cui il ‘negazioni-smo’ degli assassini della memoria deicampi non era altro che un segno premoni-tore”, e che consiste nel “non prendere inconto i danni di un progresso tecnico cre-scente, senza limiti e senza alcun freno” (P.Virilio, L’università del disastro, 2008).A quasi 80 anni dalla Shoah, in particolarenoi italiani ci ritroviamo ancora con molticonti in sospeso per le nostre responsabilitàin quella catastrofe. Sconfiggere il “negazio-nismo” del “Supersistema” è dunque un’im-presa improba e di lunga lena.Importanti sono l’iniziativa politica e lamobilitazione incessante dei cittadini e deicomitati che finalmente hanno trovato unluogo efficace di dialogo e di connessionenel Coordinamento nazionale dei siti conta-minati (http://sinforma.smplhost.com/).Ma essenziale è la ricerca storica, condottain profondità con rigore e indipendenza, perriportare alla luce quella realtà indicibileche il “negazionismo” del “Supersistema”intende occultare e che per ora non riesce adattingere la “verità” giudiziale. Vi sono, quie là, alcuni ricercatori coraggiosi, anche gio-vani, che, spesso in solitudine, scavano sualcuni “casi” di disastro ambientale indottodall’industrializzazione novecentesca. LaFondazione Micheletti di Brescia, sollecita-ta dall’instancabile professor GiorgioNebbia, da anni ha in corso un progetto perla costruzione di un Atlante storico dei sitiindustriali inquinati (http://www.indu-striaeambiente.it). Le difficoltà sono supe-riori ad ogni immaginazione, tuttavia è unlavoro di ricerca imprescindibile se voglia-mo sconfiggere il “negazionismo” del“Supersistema”, far emergere la verità ecreare le condizioni perché infine alle vitti-me sia data giustizia.

26 interventi & esperienze

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Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 2014rubriche 27

Serve una breve premessa. Credonon ci voglia molto a vedere comel’attuale governo sia in tutto e pertutto uguale ai precedenti, e comela teatralità piuttosto spicciola e loscilinguagnolo del Presidente delConsiglio altro non siano che unlabile paravento dietro cui stannoprogrammi devastanti per la vitaquotidiana della gente comune,semplice proseguimento di cosegià viste; in alcuni casi si trattaaddirittura di provvedimenti cheprecedenti esecutivi, magari per lacialtronaggine di colui che li pre-siedeva e di coloro che li compo-nevano, non erano riusciti a varare. Questi sono i miei convincimenti,ma ho fatto uno sforzo per liberar-mene e mettermi nella miglior pre-disposizione d’animo e di mentequando mi sono accinto alla lettu-ra del Documento in questione.Può essere che non l’abbia bencompreso, come può accadere,può essere che io sia troppo obnu-bilato dalle mie opinioni sulloStato e sui governi, ma non mi haconvinto. Eppure avrei voluto con-vincermi, avrei voluto sbagliarmied essere costretto a riconoscerecome positivo un programma ema-nazione del potere. Insomma, peruna volta mi sarebbe piaciuto nonessere all’opposizione, non essere“contro”. Sono convinto che non ècolpa mia se ciò non è accaduto.Vediamolo questo Documento, e la

musa, se ne esiste una a ciò prepo-sta, mi aiuti ad essere molto mamolto più breve delle 136 paginerenziane. Si intitola “La buonascuola” ed ha per sottotitolo“Facciamo crescere il Paese”.Tanto per cominciare: “crescere” inche senso? Se guardiamo alle politiche dell’at-tuale Governo e di quelli venutiprima, di destra o di “sinistra” chefossero, dietro a questa parola nonpossono esserci che contenuti emodalità tali per cui, dal nostropunto di vista, si tratterà allora di“pessima” scuola. Crescere nelsenso di produrre di più? Crescere aumentando il PIL con-teggiando anche i proventi dellevarie mafie o massacrando, comesi sta facendo da tempo, le condi-zioni di vita di milioni di persone?O aumentando i profitti attraversola deregolamentazione selvaggiadelle norme di tutela delle lavora-trici e dei lavoratori nonché di quel-le di tutela ambientale? Ci sarebbevoluto poco per aggiungere a quel-la parola qualche avverbio. Adesempio “culturalmente”, “uma-namente”, “civilmente”, “social-mente”, “democraticamente”. Senon hanno messo un bel nientenon è perché lì per lì erano disat-tenti o carenti in italiano. Nonhanno messo niente perché sannobene quale crescita essi intendono,e se non specificano è perché

vogliono trarre in inganno. Il documento esordisce quindi conla fraudolenza, che lo caratteriz-zerà da cima a fondo. Sarebbe faci-le insistere su questo tasto già dalleprime righe, dove è detto che “ciserve una buona scuola perché l’i-struzione è l’unica soluzione strut-turale alla disoccupazione, l’unicarisposta alla nuova domanda dicompetenze espresse dai muta-menti economici e sociali”. Noiavremmo scritto che ci serve unabuona scuola perché l’istruzione, el’educazione, sono l’unica soluzio-ne contro la disoccupazione, certo,ma anche contro l’ignoranza, ildegrado sociale, la catastrofica dif-fusione delle dipendenze, la cadu-ta della cittadinanza, l’arroganza,l’assenza di partecipazione e difuturo, e via elencando.Nel Documento è riservato ampiospazio all’assunzione, a partire dalsettembre 2015, di circa 150.000docenti. Ce ne rallegreremo, se saràfatto. Non possiamo non rammen-tare tuttavia che si tratta di perso-nale precario che già ogni anno, damolto tempo, lavora per coprire ivuoti esistenti nell’organico diruolo; pertanto si tratterebbe diregolarizzare un rapporto di lavorogià esistente, non di nuove assun-zioni; ma naturalmente farà beneRenzi se provvederà a sanare unatale deplorevole situazione. Che glisia di stimolo il fatto che “la

La buona scuola. Lettura e commento deldocumento del governo Renzi sulla scuola di Rino ERMINI

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Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 201428 rubriche

Commissione europea ha avviatouna procedura di infrazione per lanon corretta applicazione delladirettiva 1990/70/CE, relativa allavoro a tempo determinato, che èfinita davanti al giudice comunita-rio” (cfr. pag. 36 del documento) èquestione che potrebbe dirla lunga,ma qui interessa relativamente. Epoi vengono promessi concorsi inmodo tale da assumere ogni annoil personale necessario a coprire levacanze dovute ai pensionamenti.Buono anche questo, se si farà. Oraperò si pongono due questioni, leponiamo noi, non stanno nel docu-mento, sebbene a ben riflettere siveda come potrebbero tranquilla-mente starci se sotto non vi fossealtro intendimento da quel chesembrerebbe. La prima: perché non andare oltrenel discorso sull’occupazionediminuendo il numero di alunniper classe e bloccare gli accorpa-menti di scuole o la loro chiusuraquando si trovano in piccoli centri?Se siamo interessati all’occupazio-ne, come è dichiarato nell’incipit,quale modo migliore che bloccare iprovvedimenti che finora hannodiminuito costantemente i posti e,allo stesso tempo (i classici due pic-cioni con una fava), migliorare ladidattica; perché come ognuno bensa, e nessuno finora è riuscito adimostrare il contrario, in classimeno numerose il docente è ingrado di seguire meglio ogni singo-lo allievo. La seconda questione: perché nonestendere l’assunzione di tutto ilpersonale necessario anche aglialtri settori di interesse pubblico? Quanti posti per neodiplomati eneolaureati se si assumessero tuttigli operai e i tecnici necessari per laintegrale e definitiva bonifica del-l’intero territorio nazionale da rifiu-ti e inquinanti? Quanti per la sua messa in sicurez-

za e il ripristino ambientale? Quanti per un funzionamento qua-litativamente alto degli ospedali edi tutti gli altri luoghi destinati aprevenzione, cura e assistenza? Quanti per un funzionamentoaltrettanto alto dei musei, monu-menti, siti archeologici, biblioteche,parchi, cinema e teatri?Un’altra questione presa in consi-derazione è l’età media dei docentiche è, si dice ed è vero, molto ele-vata. Tanto per fare un interessan-te riferimento alla storia della scuo-la, ma anche all’attualità, ricordia-mo a Renzi e ai suoi collaboratoriche oltre ai Sindacati di base negliultimi anni, se ne lamentava giànel 1903 la FNISM (FederazioneNazionale Insegnanti ScuolaMedia),dicuieranomembri illustrifra i tanti Salvemini e Mondolfo,che in un suo programma di riven-dicazioni ben precise chiedeva chefossero attuati i seguenti provvedi-menti:- Riduzione del numero di alunniper classe;- Svecchiamentodelcorpodocente;- Nuovi edifici scolastici;- Sviluppo delle biblioteche e deilaboratori.Nel Documento si parla di questaetà media troppo alta come se lesue cause andassero ricercate chisa dove. Di certo non siamo statinoi ad aver elevato l’età pensiona-bile e nemmeno abbiamo maidetto di bloccare le assunzioni oridurre il personale per risparmiaresulla spesa pubblica. Sono Renzi ei suoi sodali che dovrebbero saper-ne qualche cosa, e parlano invececome se la responsabilità fosse dialtri.Altro punto importante riguarda ilcosiddetto “organico di scuola” dicui comunque si parla da tempo eche dovrebbe essere fondamentaleper l’autonomia dei singoli Istituti.L’organico di scuola non è altro che

lasciare al dirigente scolastico lapossibilità di allontanare queidocenti che non rispondessero alleesigenze e agli indirizzi che l’istitu-to si è dato, per assumerne altri rite-nuti più adatti. Sarà istituito un“registro nazionale dei docentidella scuola” ove saranno riportatii dati e le competenze che li riguar-dano. Esso sarà lo “strumento cheogni scuola (o rete di scuole) utiliz-zerà per individuare i docenti chemeglio rispondono al propriopiano di miglioramento e alle pro-prie esigenze. E servirà quindi perincoraggiare e facilitare la mobilitàdei docenti...il dirigente scolasti-co... potrà in tal modo chiamarenella sua scuola i docenti con cur-riculum coerente con le attività concui intenda realizzare l’autonomiae la flessibilità della scuola. In que-sto modo le scuole potranno utiliz-zare la leva più efficace per miglio-rare la qualità dell’insegnamento:la scelta delle persone” (cfr. pag. 68documento cit.). C’è da vergognar-si! E vengono i brividi solo a leggereparole ed espressioni come “mobi-lità”, “flessibilità”, “scelta delle per-sone”. Dove andrebbero quelliallontanati? Si assicura che, trat-tandosi di personale assunto perconcorso in una amministrazionepubblica, non potranno esserelicenziati. Ma io insisto: dovevanno allora? Ci dicono, ad esem-pio, che potranno andare nell’“organico dell’autonomia”, cioè inuna sacca di riserva dove attingerein caso di bisogno. In altre parole,vanno a casa o in giro a mendicareun altro posto. Dalle mie parti sichiama licenziamento e disoccu-pazione.Legato al discorso dell’autonomia ealla facoltà del dirigente di sceglier-si come in una normale azienda ipropri dipendenti e mandarli acasa quando lo ritiene opportuno,

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c’è l’ormai accettato da tutti feticciodel “merito”. Non si procede più nella carrieraper anzianità, ma per merito. E chilo stabilirà questo merito? Il diri-gente, che ne rivendica il diritto inquanto garante dell’autonomiadell’istituto, o un ente statale al disopra dei singoli istituti, o un’agen-zia privata chiamata dall’esterno agiudicare del valore dell’insegna-mento di ciascun docente? Insomma: saranno gli ispettoriministeriali, saranno docenti distac-cati presso centri di ricerca, saran-no i dirigenti scolastici, sarannofunzionari della confindustriamagari con qualche infiltrazionevaticana? Tutta gente che, se maiqualche volta è stata in cattedra, hafatto di tutto per lasciarla onde evi-tarsi la fatica e il fastidio di entrareogni giorno in aula per fare inse-gnamento concreto. Io non negoche vi siano, come capita ovunque,una minoranza di docenti chefanno male il proprio lavoro, anzifanno addirittura dei danni. Mamentre penso che ciò accada pur-troppo anche altrove (accade,tanto per fare qualche nome, inParlamento, nei governi, in Magi-stratura, ai vertici dei ministeri efermiamoci qui per carità dipatria) ritengo che sia necessariorisolvere il problema in altro modo.Innanzitutto con una seria prepa-razione dei nuovi insegnanti, nelleuniversità e con un periodo ade-guato di tirocinio pagato, a fiancodi un docente di ruolo. Inoltre conun serio periodico aggiornamento,sempre pagato e non a carico del-l’interessato. E infine, partendo dalpresupposto che il pane non vadatolto a nessuno, passare ad altroincarico chi si mostrasse palese-mente inadatto all’insegnamento.E come? Potrebbe avvenire con giu-dizio di una seria Commissioneeletta democraticamente in ogni

singola scuola e composta dai rap-presentanti delle studentesse edegli studenti, dei docenti, dei geni-tori e da un sindacalista (o avvoca-to) scelto dal docente interessato, laquale, a fronte di palese e provataincapacità prenda provvedimenti.Ma questo mi si dirà che non c’en-tra con la progressione di carriera,c’entra con l’allontanamento di chinon è adeguato. Certo, è vero. Mauna volta allontanati gli inadegua-ti, vuol dire che tutti gli altri non losono e quindi, se proprio vogliamo

che ci sia una “carriera”, gli scattidevono essere solo sulla base del-l’anzianità. Inutile dire che stiamoragionando per addivenire ad uncompromesso, poiché la nostraidea sarebbe quella che, giovane oanziano, quando si fa bene il pro-prio lavoro, visto che tutti poi simangia allo stesso modo e sidovrebbero avere gli stessi diritti, lostipendio dovrebbe essere ugualeper tutti.E veniamo per l’appunto agli sti-pendi. C’è nel documento unatabella (cfr. pag. 49) da cui prendo,tanto per capirci, il seguente esem-pio. Vi si dice che un docente discuola secondaria di II grado cheabbia da 21 a 27 anni di anzianitàguadagna euro lordi 47.751,28all’anno. Io nel 2012 ero insegnan-te di scuola secondaria superiore diII grado al mio 28° anno di servizio

di ruolo (entrato in ruolo a seguitodi concorso vinto) e il mio stipen-dio lordo annuo (lo ricavo dal CUDche ho davanti) era di 33.765,82euro, corrispondente a circa 1860euro netti mensili più la tredicesi-ma. O Renzi mi dice perché c’èquesta differenza o chiedo gli arre-trati. Dove hanno preso i loro dati isuoi collaboratori? Non avrannomica per sbaglio copiato da un lorocedolino mensile scambiandoloper l’annuale di un docente?Sapete quanto guadagna secondoloro un insegnante con 35 anni diservizio? Ben 53.985,17 euro lordiall’anno. Che cosa vogliono direallora con queste cifre e a chi sirivolgono? Vogliono dirci che idocenti guadagnano troppo, e biso-gna ricorrere al famoso merito perfarli scattare e sgobbare e soprat-tutto, in cambio di un po’ di bricio-le in più ai più disposti ad aumen-tare il loro carico di lavoro, lasciareal palo gli altri. Ci vengono detteanche le cifre. I docenti che dovran-no accedere ai compensi previstiper chi “merita” saranno il 66% diogni scuola. Se i numeri hanno unsenso vuol dire che il 34% dovràrimanere fuori. Domanda: ma se in una scuola,come io credo possa facilmenteaccadere, vi saranno poniamo,solo un 10%, di fannulloni e un bel90% di gente che fa bene il propriolavoro, che cosa si farà, si tira asorte per escluderne il 24%?La questione dei finanziamenti allescuole. Lo Stato provvederà in unadeterminata misura che, stando aquanto si è visto negli ultimi anni(difficoltà a volte a comprare anchela carta igienica, taglio di attivitàdidattiche extra che non è più pos-sibile retribuire, difficoltà ad acqui-stare materiali didattici e così via),non sarà sufficiente. Bisogneràricorrere al privato. E tutti gli appel-li a legarsi al territorio altro non

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Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 201430 rubriche

significano che cercarsi coloro chedovranno fornire i finanziamentiper andare avanti. Più finanzia-menti si troveranno e meglio,ovviamente, si funzionerà. Ma ifinanziamenti, soprattutto in tempicome quelli che stiamo attraver-sando, chi li darà? Le banche forse,che li concedono col contagocceanche ai settori privati industriali,impegnate come sono in ben altrigiochi a livello di speculazionefinanziaria? O quegli imprenditoriancora in piedi i quali, piccoli ogrossi che siano, se devono cacciarfuori del denaro lo fanno magariper una squadra di calcio o di pal-lavolo? Ma poi, al di là di tutto que-sto, che scuola sarebbe mai quellache deve dipendere da una bancao da un imprenditore (oltre ad esse-re essa stessa “azienda”)? Dove sta-rebbero a quel punto la cultura o lalibertà di insegnamento e appren-dimento? Tutte domande retoricheperché da tempo governi di destrae non di destra hanno già dato unarisposta e si sono mossi di conse-guenza. E l’ultimo non fa eccezio-ne. Questa scuola azienda doveallora troverà i soldi? Anche qui damolto tempo ormai le cose hannopreso una piega precisa: i soldi sichiedono alle famiglie che, cosìcome pagano la sanità e tutti glialtri servizi, pagheranno anche l’i-struzione. E chi non potrà, s’arran-gi. Siamo o non siamo in unasocietà del mercato? E’ semprestato più o meno così, intendiamo-ci, ma negli ultimi anni, attraversoil “contributo volontario” stabilitoscuola per scuola dal Consiglio diistituto, si è percorsa decisamentela via del far pagare gli utenti. E suquesta strada si andrà avanti.Avverrà quindi che la scuola nelcentro di Milano avendo una uten-za danarosa e in grado di pagarbene sarà una scuola di eccellenza. Le scuole invece nel paesino di

campagna o di certe periferie citta-dine dove non ci sono famiglie chenavigano nell’oro, vivacchierannofornendo un servizio di seconda oterza qualità. E, stando al Docu-mento, da qui i docenti migliori sene andranno perché saranno attrat-ti da quelle scuole e quei presidi piùin grado di valorizzarli e fornir lorol’opportunità di progredire nellacarriera attraverso il famoso “meri-to”. Si capisce o no che cosa dovràsuccedere? La buona istruzione sarà per chipotrà pagarsela. Per gli altri soloun parcheggio.Nel Documento si parla anche distudenti, i quali dovranno prepa-rarsi alla competizione, sempre dicorsa, pronti a riciclarsi seguendole necessità dell’impresa e dellaproduzione; non studiare per farsiuna cultura per il gusto della cultu-ra o per essere persone e cittadinicon valori alti, ma per essere rotel-le di un meccanismo cui dovrebbeessere finalizzata la vita intera.Non possiamo che dissentire forte-mente. Noi vogliamo una vitapiana, tranquilla, fatta sì di lavoro,ma lavoro in serenità. Vogliamo ilposto fisso per tutti, noi vogliamonon i privilegi di cui parla Renziche non esistono (i privilegi lihanno semmai lui e quelli comelui), ma i diritti che spettano aognuno come persona e cittadino,noi vogliamo lavorare il giusto,senza vivere una vita di ansia per-ché niente è più garantito. Che vita è se il lavoro non è più undiritto, se tutta l’esistenza deveessere un continuo mutare ruolo,posto, funzioni e soprattutto nonavere mai la certezza di un salarioe del domani? Noi non vogliamo correre per tuttala vita. Vogliamo fermarci. Si pro-duce oggi al mondo così tanto chesarebbe più che sufficiente per tuttia condizione che vi fosse una

distribuzione più equa. E’ ora difinirla con questa storia di aumen-tare la produzione. E’ ora di finirladi produrre perché molti vivanonel lusso e sprechino. Vogliamo iltempo per starcene tranquilli, perstudiare, andare a camminare o inbiblioteca, o a teatro o al cinema, ostare con la propria famiglia.Vogliamo stare anche con le maniin mano e se ci sono cose chevogliamo aumentare queste sonola conoscenza e la speculazionefilosofica, l’amore, la chiacchera ela salute, l’amicizia e il sonnellinopomeridiano.Sempre in riferimento agli studen-ti, un altro punto importante è lacosiddetta “alternanza scuola-lavoro”. Non solo se ne parla datempo ma la si sta già facendo inmolte scuole. Si tratta di alternare,appunto, al tempo passato sui ban-chi di scuola periodi passati a lavo-rare in aziende disponibili a questamodalità. L’alternanza è lavoro. Lavoro gratis,così come avviene, sebbene inmisura minore, per periodi piùbrevi passati presso le aziende (icosiddetti stage). Si dice che è per ilbene dello studente che così impa-ra anche a lavorare e poi magari,quando finisce il corso di studi,trova pure il posto di lavoro nell’a-zienda in cui ha fatto l’alternanza.Niente di più falso. Non può esserequell’uno per cento che poi trovaeffettivamente lavoro o fa unaalternanza correttamente che puòfare testo. Sono del parere che se siè studenti, al liceo come in un pro-fessionale, si deve fare gli studenti,e lo si faccia nel miglior modo pos-sibile. Il che dovrebbe significarelaboratori efficienti prima di tutto emolto studio e pratica in essi, nonsolo teoria. Varrebbe molto anche illaboratorio “antiquato”, ma effi-ciente. Chi l’ha detto che si deveavere a disposizione l’ultimo

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modello di macchina o l’ultimocomputer per far bene? L’hannodetto forse quelli della confindu-stria o quelli che vendono materia-le informatico. Se un disegnatoreimpara a disegnare in un buonlaboratorio provvisto di tecnigrafiva benissimo; anzi, eccola lamanualità che sviluppa abilitàanche intellettive. Ad imparare adisegnare e progettare con un com-puter, un giovane diplomato o lau-reato avrà tempo in poche settima-ne quando andrà nel posto di lavo-ro. Bisogna piantarla di pensare lascuola che deve preparare per ilmercato e la concorrenza e la pro-duttività e cose simili. Bisogna riba-dire oggi più che mai che la scuoladeve preparare prima di tutto adessere uomini e donne, persone,cittadine/i e poi a dare le basi per ilmondo del lavoro, ma sempre basilegate alla cultura, allo sviluppodella persona, non funzionali alcapitale. Se ci sarà poi bisogno diinserirsi in una fabbrica e impararea usare strumenti che non si sonomai visti a scuola, ebbene lo si faràin un periodo di “apprendistato”.Che cosa vieta di assumere un gio-vane con regolare contratto atempo indeterminato e lasciarloper un periodo nella condizione diapprendista perché partendo dalleesigenze dell’azienda che lo haassunto e dalla sua preparazioneacquisita a scuola, possa inserirsigradatamente e proficuamente nel-l’azienda stessa e nel suo organico? Che cosa lo vieta se non una deva-stante e criminale visione delmondo e della vita? E il Docu-mento che stiamo leggendo è darifiutare proprio perché impregna-to di questa logica. Anche le visitedi istruzione e le uscite didattiche

per visitare, oltre che musei e cittàd’arte anche luoghi di lavoro,andrebbero incrementate e valoriz-zate, non l’alternanza scuola-lavo-ro. Tutto questo sarebbe buonascuola. E sarebbe buona scuolamolto altro che in questo docu-mento manca, ad esempio la pre-parazione sui contratti, sulladignità del lavoro, sulla dignità delsindacalismo, sul fatto che chilavora non può avere gli stessi inte-ressi del padrone, sul fatto che sideve lavorare per vivere dignitosa-

mente, non vivere in funzione delprofitto e della competizione mer-cantile.Devo concludere. Ho accennato aquei punti del Documento che misono parsi fondamentali, e lascio lalettura completa e approfonditaagli interessati. Il Documento èquello che non poteva non essere:demagogico; fraudolento; proseguenella distruzione della scuola pub-blica (se tale, da tempo, la si puòancora chiamare); è contro unaconcezione egualitaria della vita,della cultura e del lavoro; fautoredella gerarchia; ambisce a premia-re il “merito”, ma si tratta del meri-to di classe e dell’obbedienza gerar-

chica; scarica lavoratori e utenti escuole non funzionali al sistema;punta invece tutto su quelli e quel-le che stanno anima e corpo nelsistema e sono funzionali a merca-to e capitalismo. Ergo: capitale,mercato, gerarchia, merito. E privi-legi sempre più forti e più garantitiper una fetta di popolazione, a sca-pito di un’altra consistente fetta,considerata inutile zavorra. Starebbe in primo luogo ai docentie agli studenti, e poi alle famiglie ea quella parte della società checrede in un mondo migliore,opporsi e imporre strade diverse dapercorrere. Ad esempio puntare suun tipo di scuola pubblica cosìcome l’abbiamo delineata tantevolte da queste pagine, ma facendoleva da ora in poi anche sugli spaziprevisti dall’autonomia. Lo Stato e il capitale ritengono one-roso far funzionare bene tutte lescuole e le lasciano in balia delmercato perché funzionino benesolo quelle dei ricchi e muoiano lealtre? Ebbene, le altre le “occupia-mo” noi: famiglie, studenti e lavo-ratori della scuola; magari, sarebbeauspicabile, con l’appoggio fattivodi tutti i lavoratori attraverso le loroorganizzazioni sindacali. Le occu-piamo nel senso che essendo pub-bliche, cioè nostre, le vogliamo farfunzionare per il bene di tutti, pre-tendendo dallo Stato i finanzia-menti adeguati, per creare cultura,integrazione fra sapere teorico esapere pratico, senso critico, consa-pevolezza. In una parola per crea-re crescita umana e alla fine, seproprio ce la vogliamo mettere, cre-scita dell’economia, ma che siaquella di un’economia pulita, soli-dale e costruita sulla giustiziasociale.

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Strage di Viareggio, 29 giugno 2009

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Fraunhofer:lavoro e competività

di Luigi AGOSTINI*

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 2014

La giornata del 25 di ottobre 2014 acquista,per la CGIL, giorno dopo giorno, il caratteredi una grande chiamata a raccolta: una chia-mata si ha quando si avverte che la città è inpericolo. Si appresta allora la difesa dellapropria storia e si appronta una propria ideadi futuro. E si suona la Generale. La competitività è diventato l’argomentocentrale di chi sostiene che l’articolo 18 rap-presenta la ragione di fondo della scarsacompetitività dell’apparato industriale ita-liano. Articolo 18 come emblema dei vinco-li che zavorrerebbero l’impresa, e senza iquali, l’impresa capitalistica galopperebbe,garantendo a tutti, lavoro e prosperità. Partendo da tale assunto la deduzione poli-tica è semplice: per la salvezza di tutti si puòsacrificare il diritto di chi lavora (non ovvia-mente le proprie rendite o la propria roba). Se si generalizza tra il popolo tale convin-zione, una impostazione tutta centrata suidiritti e sulla loro difesa, viene alla lunga tra-volta: per la elementare ragione per cui, persalvare mille vite se ne possono sacrificaredieci, anche se con tormento. Poi si vedrà. Il discorso sulla competitività, quindi,diventa centrale, chiama in ballo il ruolo e lecaratteristiche della impresa capitalistica, fascattare immediatamente il raffronto conquello che succede da altre parti, special-mente con la Germania, data la forza com-petitiva raggiunta dal suo apparato produtti-vo.

LA CHIAMATA A RACCOLTA DELLACGILPer reggere la sfida deve quindi evitare diridurre il tutto ad una questione, pur sacro-santa di diritti, ma deve riaffrontare il temadel modello di sviluppo, del ruolo dell’im-presa capitalistica e della competitività,

temi scomparsi dalla riflessione, in questidecenni, anche a Sinistra. L’assunto che lo sviluppo va affidato unica-mente alla impresa privata è diventato quasisenso comune. Tanto da proporre tale ipote-si, come proposta centrale nella struttura-zione di un territorio assolutamente partico-lare, come il Sociale sta avvenendo nellaLegge-Quadro sul Terzo Settore. Trascurando per un momento il discorsogenerale, cioè la miopia di una concezioneche pensa che il superamento della crisipossa realizzarsi attraverso l’adozione diuna forma di mercantilismo centrato sulleesportazioni (qualcuno dovrà pur sacrificar-si ad importare in tale schema), è forse utilecircoscrivere e approfondire il tema. Personalmente ho sempre invidiato allaFrancia l’ENA, alla Germania FRAUNHO-FER:La competitività della industria tedesca haun nome sopra tutti gli altri, anche sopra lecosiddette riforme di Schröder, su cui tuttirimangono come bloccati: si chiamaFRAUNHOFER. L’apparato produttivo tedesco ha alle spalleuna grande Agenzia pubblica (si badi pub-blica) composta da circa trentamila trascienziati, tecnologi, ingegneri etc., espres-sione dei grandi Politecnici tedeschi, a cuiogni azienda, di fronte ad una qualsiasistrozzatura produttiva, può rivolgersi stabi-lendo un contratto di ricerca, per avererisposta all’eventuale problema. La FRAUNHOFER alimenta cosi, con le suerisposte, un continuo flusso di investimentie, attraverso tale flusso, un processo di inno-vazione incrementale e sistemico. Gli investimenti infatti non si improvvisa-no, tanto è vero che oggi, pur portando laBCE il denaro a un costo tendente allo zero,

*Ex Segretario dellaCGIL Nazionale –Note critiche delnovembre 2014.

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il cavallo non beve, il ciclo di investimentinon riprende. Domanda strategica: a quando unaFRAUNHOFER italiana (1), a quando unPolitecnico anche nel Centro-Sud del Paese,vista anche la particolare geo-struttura pro-duttiva italiana in cui le grandi imprese,oltretutto sempre più ridotte di numero,hanno sostanzialmente smantellato i loroistituti di ricerca (pensiamo al CSM aPomezia per la siderurgia e a tanti altri), e lepiccole imprese vivono soprattutto copiandoo affidandosi al famigerato “genio italico”?Esempio quotidiano la vicenda dei cosid-detti distretti industriali e la loro tenutamessa a dura prova dall’atavico ed esaspe-rato privatismo individualistico dei loro sin-goli componenti. Quindi, una FRAUNHOFER ITALIANA,riorganizzando, unificando, ristrutturando,potenziando e finalizzando i centri di ricer-ca che pur esistono e spesso anche di note-vole qualità. E strutturare un nuovo ruolodel Pubblico a tale livello strategico. A benvedere, al di là di certe mitologie, è quelloche è successo mutatis mutandis, anchenella celebrata Sylicon Valley. Oggi per questa via si fa politica industriale,cioè innovazione di processi e di prodotti, equindi investimenti e quindi occupazione ediritti. Oggi, infatti, la politica industriale, scom-parse le Partecipazioni statali ed essendoimpossibili le svalutazioni competitive,passa essenzialmente per tale via maestra. Adire la verità, non ci voleva un’aquila a capi-re tutto ciò quando siamo entrati nell’euro,ma evidentemente tali rapaci non allignanotra i nostri gruppi dirigenti. Si tratta, se non si vuole ridurre la questioneinvestimenti a denuncia o invocazione, didare quindi un seguito alla grande tradizio-ne italiana dei Natta, degli Ippolito, deiBuzzati-Traverso etc. e strutturare un nuovoruolo del Pubblico a tale livello strategico,dopo il fallimento degli animals spirits delMercato. Cosa testimonia la sovraccapacità produtti-va accumulata in questi decenni (media-mente del trenta per cento in tutti i settorifondamentali) se non il fallimento dellasovranità dell’impresa capitalistica sulledecisioni di investimento?

L’anarchia del mercato, ammoniva già Marx,non può che portare a tali esiti esiziali.Una Sinistra Pensante questo dovrebbe faree non unirsi al coro di una classe dirigentedi Inetti (nel significato del termine), senzaidee e senza progettualità, unicamente dedi-ta a scaricare i problemi su chi sta peggio,sostenuta da un sistema comunicativo ingran parte di “venduti al Capitale”. I costidelle sue scelte, che hanno portato, in quasitutti i settori, ad un accumulo di sovracca-pacità produttiva sempre più difficile dasmaltire e, soprattutto, da sostituire. Qui infatti sta la ragione vera della crisi chestiamo attraversando, in tutto l’Occidente especificamente in Italia, e della impossibi-lità di superarla, se non mettendo manoall’insieme del modello di sviluppo: model-lo produttivo e, per la prima volta, modellodi consumo. L’articolo 18 rappresenta storicamente l’a-vamposto più avanzato di una concezioneche pensa il lavoro non come una merce trale altre, da affidare al diritto commerciale; illavoro in tale concezione rappresenta l’a-spetto essenziale di ogni persona, a prote-zione del quale si costruisce appunto undiritto preciso, il diritto del lavoro. L’articolo 18 - fra l’altro già riformulatorecentemente - rappresenta un grande test,perfino in termini di onestà e di disonestàintellettuale e morale. Non per caso, è ogget-to degli attacchi più disonesti e faziosi, apartire da gente che - travestendosi da‘moderni innovatori’, secondo il vero sportdel trasformismo italiota - invitano a supe-rare le “ideologie”, a “uscire dal Nove-cento”, come se uno strumento di difesaverso la eventuale prepotenza padronalefosse una ideologia e non uno strumento dicontenimento e come se il capitalismo dioggi non fosse figlio e continuazione delcapitalismo di ieri. Viene semmai da pensare, per quello che sipuò intuire, data la totale segretezza in cui sistanno svolgendo le trattative del cosiddettoPatto Transatlantico tra Stati Uniti edEuropa, che l’articolo 18 e la libertà didemansionamento si configurino, dato losquilibrio di forze tra i due contraenti, comele prime vittime di un drastico ridimensio-namento, se non azzeramento, dei diritti dellavoro che Sindacati e Sinistra politica

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hanno realizzato in Europa con lunghe lotte,nel corso di due secoli. Tali lotte – è bene ricordarlo agli smemorati- hanno avuto in fondo un comun denomi-natore: condizionare la totale libertà del-l’impresa capitalistica, “civilizzare” cioè,come alcuni dicono, gli spiriti animali delcapitalismo, contrastare la tendenza sponta-nea dell’impresa capitalistica a ridurre illavoro semplicemente a merce, da affidare

alle regole del diritto commerciale. Una Sinistra sociale e politica - specie aitempi di papa Bergoglio - qualora decidessedi ammainare il simbolo più ricco di signi-ficato del diritto del lavoro prodotto in Italia,invece di generalizzarlo, potrebbe esserericordata come quel tale di Efeso che perpassare alla storia incendiò il tempio diDiana, una delle sette meraviglie delmondo.

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NOTE 1. Esiste già una Fraunhofer italiana aBolzano, di diritto privato e di proprietàtedesca, con una microscopica partecipazio-ne dell’imprenditoria altoatesina, che però

non ha la pretesa di essere un sistema nazio-nale, anche se progetta di aprire altre sedinel nostro Paese; ma non esiste un progettoitaliano in tale senso.

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I paradossi della crescita infinita in un pianeta finito.Quando l’economia tradiscese stessa di Maurizio PALLANTE*

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Le parole crescita e decrescita non hannoalcuna connotazione di valore. Indicanorispettivamente un aumento e una diminu-zione quantitativa. Acquistano una valenzaqualitativa, di miglioramento o di peggiora-mento, quando sono riferite a fenomeni cuisi attribuisce una connotazione di valore. Inquesti casi, la crescita di un fenomeno che siconsidera positivo è un miglioramento, mala crescita di un fenomeno che si consideranegativo è un peggioramento; viceversa, ladecrescita di un fenomeno che si considerapositivo è un peggioramento, ma la decre-scita di un fenomeno che si considera nega-tivo è un miglioramento. Per fare qualcheesempio, la crescita del numero delle perso-ne che guariscono dal cancro è un migliora-mento, ma la crescita del numero dei mala-ti di cancro è un peggioramento. La decre-scita del numero dei globuli rossi nel sangueindica un peggioramento della salute, ma ladecrescita della febbre indica un migliora-mento.

Sono considerazioni banali, su cui non var-rebbe la pena soffermarsi, ma non si puòevitare di ricordarle per cercar di capirecome mai nell’immaginario collettivo allaparola crescita si annetta automaticamenteuna connotazione di valore positiva e allaparola decrescita una connotazione di valo-re negativa. Come mai la parola crescita siautilizzata come sinonimo di miglioramentoe la parola decrescita come sinonimo di peg-gioramento. Per sostenere la valenza positi-va del concetto di crescita, e di conseguenzala valenza negativa del concetto di decresci-ta, un importante giornalista scientifico haaffermato: “crescono gli alberi, crescono ibambini”, omettendo di aggiungere che,come sa per esperienza diretta anche chi

non ha una cultura scientifica, nessun orga-nismo vivente continua a crescere per tuttala vita. Un altro importante giornalista, cui èstato anche affidato l’incarico di dirigere unimportante istituto di cultura italiano all’e-stero, ha scritto in un articolo polemico: “ladecrescita no, no”, come un bambinocapriccioso davanti a una minestra che nonvuol mangiare. La connotazione positiva della parola cre-scita raggiunge l’apoteosi quando vieneesplicitamente riferita all’economia di unpaese. Non c’è economista, sociologo, poli-tico, industriale, sindacalista, rappresentan-te di associazione di consumatori, che nonripeta come un mantra in ogni discorso pub-blico che l’obiettivo della politica economi-ca è la crescita; che non veda, nei periodi direcessione, i segnali di una ripresa in atto,una lucina in fondo al tunnel; che non con-cateni la crescita del Pil alla crescita delbenessere e dell’occupazione. Ma da dovederiva questa convinzione, che non puòricevere naturalmente alcuna autorevolezzadal solo fatto di essere ripetuta dalla mag-gioranza delle persone? Che cos’è la crescitaeconomica? Cosa misura il parametro concui si misura? Misura davvero la quantitàdei beni che vengono prodotti e dei serviziche vengono forniti da un sistema economi-co nel corso di un periodo temporale di rife-rimento, come generalmente si crede?Aumenta il benessere? Fa crescere l’occupa-zione?

IL PRODOTTO INTERNO LORDOIl parametro con cui si misura la crescitaeconomica è il prodotto interno lordo, il Pil,un indicatore che misura il valore moneta-rio degli oggetti scambiati con denaro. Cioèdelle merci comprate e vendute. Poiché nei

*Lectio magistralis,Terra Madre, svolta

dall’Autore a Torinoil 24 ottobre 2014.

[email protected] – circoli@decre-

scitafelice.it –www.decrescitafeli-

ce.it.

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paesi occidentali da alcune generazioni lepersone sono abituate a comprare tutto ciòdi cui hanno bisogno per vivere, tendono aconfondere il concetto di merce col concet-to di bene. Nella lingua inglese entrambisono ormai normalmente espressi con laparola goods, che significa beni, per quantonel vocabolario persista come un relitto fos-sile la parola commodities, che significamerci. In realtà i due concetti sono diversi,ma non alternativi. Le merci sono oggetti eservizi che si comprano. I beni sono oggettie servizi che rispondono a un bisogno o sod-disfano un desiderio. Ma non tutto ciò chesi compra risponde a un bisogno o soddisfaun desiderio. Non tutte le merci sono beni.L’energia termica che si disperde dalle pare-ti, dal tetto e dagli infissi degli edifici malcoibentati è una merce che si paga semprepiù cara, ma non è un bene perché nonserve a riscaldarli. E non tutto ciò cherisponde a un bisogno o soddisfa un desi-derio si può solamente comprare. La frutta ela verdura coltivate in un orto familiare perautoconsumo sono un bene, ma non unamerce. Non tutti i beni sono merci. Alcuni sipossono autoprodurre, o scambiare recipro-camente sotto forma di dono nell’ambito dirapporti fondati sulla solidarietà.Il prodotto interno lordo contabilizza il valo-re monetario delle merci comprate e vendu-te, anche se non sono beni, ma non puòprendere in considerazione i beni che nonvengono scambiati con denaro. Tuttavia unamerce che non ha nessuna utilità nonmigliora il benessere, anche se fa crescere ilPil, mentre lo migliora un bene autoprodot-to o scambiato come forma di dono, che nonlo fa crescere. Il Pil non può pertanto essereconsiderato un indicatore di benessere.

Nel tentativo di ridargli un po’ di credibilità,alcuni economisti sostengono che sia unindicatore insufficiente perché prende inconsiderazione solo il benessere materiale,ma non i fattori di benessere che, pur aven-do un’importanza decisiva nella qualitàdella vita, non possono avere un valorecommerciale. Per esempio la qualità dell’a-ria, il livello medio dell’istruzione, la duratadella vita. Pertanto, se oltre ai beni materialicalcolati dal Pil, si prendono in considera-zione anche questi elementi, si possono ela-

borare, secondo questi economisti, indicato-ri di benessere più significativi. Gli indica-tori che sono stati elaborati sulla base di que-ste considerazioni, non sono pertanto alter-nativi, come si cerca di far credere, ma inte-grativi del Pil. Pur essendo doverosa, questaprecisazione è meno significativa del fattoche gli indicatori integrativi del Pil si basa-no su un errore di fondo, perché il Pil non èun indicatore insufficiente del benessere,ma un indicatore sbagliato. Non misuranemmeno i beni materiali, ma solo gli scam-bi commerciali. Aumenta se aumentano gliincidenti stradali e le malattie. Diminuiscese aumenta il consumo di ortaggi coltivatiper autoconsumo, che sono migliori quali-tativamente di quelli comprati, diminuiscese diminuisce il consumo di medicine per-ché le persone si ammalano di meno, dimi-nuisce se si rafforzano i rapporti di solida-rietà tra vicini. Il Pil non misura il benesse-re, ma il tantoavere e un’economia finaliz-zata al tantoavere non può che generaremalessere, perché deve indurre le persone adesiderare sempre di più, a non acconten-tarsi mai di ciò che hanno, a invidiare chi hadi più. Una volta ristabilita la differenza tra i con-cetti di merce e di bene, si può vedere chetra le merci e i beni ci possono essere quat-tro tipi di relazioni:1. alcune merci non sono beni;2. alcuni beni possono non essere merci;3. alcuni beni si possono avere solo sottoforma di merci;4. alcuni beni non si possono avere sottoforma di merci.

LE MERCI CHE NON SONO BENIPer riscaldare gli edifici in Italia si consu-mano mediamente 20 litri di gasolio o 20metri cubi di gas (200 kilowattora) al metroquadrato all’anno. In Germania (e in Italia inAlto Adige) non viene data la licenza di abi-tabilità a edifici che ne consumino più di 7,ma ai migliori ne bastano 1,5. Se per legge sipuò imporre che un edificio non consumipiù di 7 litri/metri cubi di metano al metroquadrato all’anno, quelli che ne consumano20 vuol dire che ne disperdono all’esterno i2/3. Un edificio mal costruito, che spreca 13litri/metri cubi su 20 fa crescere l’economiapiù di un edificio ben costruito che ne con-

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suma 7. Se un edificio mal costruito vieneristrutturato e i suoi consumi scendono da20 a 7 litri/metri cubi al metro quadratoall’anno, il prodotto interno lordo decresce,ma il comfort termico non si riduce, perchél’energia che si spreca non offre nessuna uti-lità, e la qualità della vita migliora, perché siriducono dei 2/3 le emissioni di anidridecarbonica, quindi si riduce l’effetto serra.Per avere idea della grandezza di questisprechi basta pensare che in Italia, nei cin-que mesi invernali gli edifici consumano lastessa quantità di energia consumata datutte le automobili e tutti i camion nel corsodi un anno. In Italia il valore monetario del cibo che sibutta è il 3 per cento del Pil. Se si evitasse dibuttare cibo, il Pil decrescerebbe del 3 percento, ma non ci sarebbe nessuna diminu-zione del benessere, perché il cibo che sibutta non offre nessuna utilità, e la qualitàdella vita migliorerebbe perché si ridurreb-be la parte putrescibile dei rifiuti, quella piùdifficile da gestire. Se si riduce la morbilità attraverso la pre-venzione, si riducono le spese sanitarie el’acquisto di medicine, per cui si può ridur-re la fiscalità. Il Pil diminuisce, ma il benes-sere migliora e aumenta anche il reddito procapite!

La decrescita si realizza in prima istanzariducendo la produzione e il consumo dimerci che non sono beni. A differenza dellarecessione, che è una diminuzione genera-lizzata e incontrollata di tutta la produzionedi merci, la decrescita implica l’introduzio-ne di criteri qualitativi di valutazione dellavoro umano. Non ritiene che il lavoropossa essere un fare privo di connotazioniqualitative finalizzato a fare sempre di più(la crescita del Pil), anche quando ne deriviun peggioramento della qualità della vita(vedi le recenti alluvioni conseguenti allacementificazione del territorio), ma ritieneche debba essere un fare bene finalizzato amigliorare la qualità della vita. Il fare non èun valore in se stesso, perché si può anchefare male. Solo il fare bene è un valore. Trala recessione e la decrescita c’è una diffe-renza analoga a quella che intercorre tra unapersona che non mangia perché non ha damangiare e una persona che non mangia

perché ha deciso di fare una dieta. Se la con-seguenza socialmente più drammatica dellarecessione è la disoccupazione, la decresci-ta comporta invece, al contrario di quantogeneralmente si crede, l’aumento di un’oc-cupazione con caratteristiche di grandissi-mo interesse. Innanzitutto si tratta di un’oc-cupazione utile perché riduce sprechi checausano danni. Inoltre richiede l’adozionedi tecnologie più evolute di quelle attual-mente in uso, finalizzate però non adaumentare la produttività, ma a ridurre, aparità di benessere:1.1. il consumo di materie prime;1.2. il consumo di energia;1.3. la quantità di oggetti portati allo smalti-mento (incenerimento e interramento).Infine paga i costi d’investimento che richie-de con la riduzione dei costi di gestione,senza aumentare i debiti pubblici. Se siristruttura una casa e i suoi consumi diriscaldamento diminuiscono da 20 a 7 litridi gasolio / metri cubi di metano al metroquadrato all’anno, i costi della sua bollettaenergetica si riducono dei due terzi e in uncerto numero di anni i risparmi consentonodi ammortizzare i costi d’investimento. Intermini generali il fare bene e l’occupazioneutile, finalizzati alla riduzione selettiva dellaproduzione e del consumo di merci che nonsono beni, liberano del denaro che oggi sispende per acquistare risorse che si spreca-no e di pagare con quel denaro i salari e glistipendi di chi lavora per ridurre gli sprechidi quelle risorse.La decrescita selettiva della produzione edel consumo di merci che non sono beni èl’unico modo per superare la crisi che dal2007 affligge i paesi industrializzati.

I BENI CHE POSSONO NON ESSEREMERCIAlcuni beni e servizi si possono ottenere piùvantaggiosamente non sotto forma di merci,ma con l’autoproduzione o mediante scam-bi non mercantili fondati sul dono e la reci-procità. I beni autoprodotti e i beni scam-biati sotto forma di doni reciproci non solonon fanno crescere il Pil, ma lo fanno decre-scere perché fanno diminuire la domandadelle merci corrispondenti. Pertanto le eco-nomie finalizzate alla crescita non possononon indurre a sostituire i beni autoprodotti

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con merci e gli scambi non mercantili conscambi mercantili. Pur rimanendo all’inter-no di libere scelte, queste sostituzioni sonostate rese pressoché inevitabili attraversodue tipi di interventi. In primo luogo sono stati sradicati dal patri-monio delle conoscenze condivise queisaperi che per millenni hanno consentitoagli esseri umani di autoprodurre molti beniessenziali per la sopravvivenza quotidiana:l’orticoltura e l’allevamento per autoconsu-mo, l’utilizzo controllato delle fermentazio-ni per produrre cibo e bevande (pane, for-maggio, vino, birra), le tecniche di conserva-zione dei cibi deperibili, le manutenzioni ele piccole riparazioni, le tecniche di base delcucito ecc. Nel giro di due generazioni gliesseri umani inseriti nei sistemi economicifinalizzati alla crescita sono stati deprivati diqueste abilità e sono diventati totalmentedipendenti dal mercato per la soddisfazionedei bisogni più elementari. In questo pas-saggio le perdite sono state superiori ai van-taggi, perché i beni autoprodotti costanomeno e sono qualitativamente migliori dellemerci che li hanno sostituiti, ma soprattuttoperché è venuta meno la caratteristicadistintiva della specie umana rispetto a tuttele altre viventi: la capacità di fare delle coseutili che non esistono in natura adoperandole mani sotto la guida dell’intelligenza pro-gettuale, e la capacità di farle sempre megliorielaborando le informazioni che le mani,quando fanno, offrono all’intelligenza attra-verso le due funzioni del tatto e della pren-sione. Il secondo modo in cui si è accresciuta ladipendenza degli individui dall’acquisto dimerci è stata la distruzione delle reti di pro-tezione offerte dalle relazioni di caratterecomunitario basate sul dono del tempo e lareciprocità. Anche questo processo, che haisolato gli individui costringendoli ad acqui-stare sotto forma di merci molti servizi cheprima venivano scambiati reciprocamentesenza l’intermediazione del denaro, è statospacciato e vissuto a livello di massa comeun processo di emancipazione, mentre inrealtà poneva un ulteriore limite, ancora piùforte, all’autonomia delle persone, accre-scendone la dipendenza dal mercato e tra-sformando tutte le relazioni in rapporticommerciali, cioè competitivi, e non più

collaborativi. In seconda istanza la decrescita si realizzapertanto aumentando la produzione e l’usodi beni che non sono merci.

I BENI CHE SI POSSONO AVERE SOLOSOTTO FORMA DI MERCII beni a tecnologia evoluta, o che richiedonocompetenze tecniche specialistiche, si pos-sono avere solo sotto forma di merci. Se siha bisogno di un computer, di un orologio,di una risonanza magnetica, non si può farea meno di acquistarli. La decrescita non implica la riduzione dei

beni che si possono avere solo sotto forma dimerci, perché ciò comporterebbe un peggio-ramento della qualità della vita. La decresci-ta comporta un miglioramento della qualitàdella vita solo nei casi in cui il meno coinci-de col meglio. La decrescita indiscriminatanon è concettualmente alternativa alla cre-scita indiscriminata. Non costituisce uncambiamento di paradigma culturale. Tuttavia, anche nell’ambito dei beni che sipossono ottenere solo in forma di merci sipuò realizzare una decrescita che costitui-sce un miglioramento:1. contrastando l’obsolescenza programma-ta, ovvero progettando oggetti che duranopiù a lungo, possono essere riparati, posso-no essere resi più performanti sostituendosoltanto i componenti che accrescono l’effi-cienza;2. producendo oggetti riparabili;3. progettando oggetti che al termine dellaloro vita utile possano essere smontati inmodo da suddividere per tipologie omoge-

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nee i materiali di cui sono composti, al finedi poterli riutilizzare per costruire altrioggetti, riducendo così i rifiuti e il consumodi materie prime.

I BENI CHE NON SI POSSONO AVERESOTTO FORMA DI MERCINel famoso discorso tenuto il 18 marzo1968 all’Università del Kansas, RobertKennedy disse che il Pil «misura tuttoeccetto ciò che rende la vita veramentedegna di essere vissuta». Si riferiva alla crea-tività e alle relazioni umane, ai legami fami-liari in particolare, che rappresentano il noc-ciolo duro dei rapporti comunitari, scalfitima non del tutto smantellati dalla mercifi-cazione. In realtà i sistemi economici fina-lizzati alla crescita del Pil non si limitano aignorare il contributo insostituibile fornito albenessere delle persone dai rapporti d’amo-re, di solidarietà, di empatia nei confrontidegli altri. S’impegnano attivamente a ridi-mensionarli, perché ritengono che possanocostituire fattori di distrazione rispetto alladedizione totale che gli individui nellafascia d’età produttiva devono dedicare allaproduzione di merci. Non per cinismo, maperché valutano e inducono a credere chequello sia il parametro del benessere. Per farsì che le energie migliori siano dedicate allavoro, affidano a una serie di istituzioni ilcompito di gestire, sotto forma di servizimercificati, le relazioni più intime che gliesseri umani hanno da sempre vissuto nel-l’ambito della famiglia. I primi a essere pri-vati delle connotazioni relazionali familiarisono stati gli uomini, che da padri, figli, fra-telli, mariti sono stati ridotti esclusivamentea produttori di merci. I loro elementi con-notativi sono diventati il lavoro e il reddito.La conseguenza più evidente di questoimpoverimento è stata la perdita della figu-ra paterna, che ha creato gravi problemi,non solo all’educazione dei figli, diventan-do un potente fattore di disgregazione alivello sociale.La riduzione al ruolo di produttori e consu-matori di merci si è poi gradualmente este-sa anche alle donne e la famiglia si è trasfor-mata da struttura comunitaria in un sogget-to di spesa sempre più dipendente dal mer-cato per la soddisfazione dei bisogni vitalidei suoi componenti.

Per il benessere delle persone, i beni rela-zionali, la creatività e la spiritualità sonomolto più importanti dell’aumento del red-dito, e la felicità, come è stato dimostrato danumerose ricerche empiriche, non èinfluenzata significativamente dalle varia-zioni di quest’ultimo. In particolare, nel1974 l’economista Richard Easterlin, hadocumentato che all’aumento del reddito lafelicità umana aumenta fino a un certopunto, poi comincia a diminuire, seguendouna curva a U rovesciata. Il risultato di que-sta ricerca contraddiceva l’assunto fondantedel sistema di valori che identifica il benes-sere con la crescita del Pil, tanto che fu defi-nito il paradosso della felicità. La quarta modalità di realizzare la decresci-ta consiste nella riduzione del tempo dedi-cato alla produzione di merci e nell’aumen-to del tempo dedicato alle relazioni umane.

DECRESCITA FELICE NON È AUSTE-RITÀ, RINUNCIA, PAUPERISMOSolo la consapevolezza della differenza tra ilconcetto di merce e il concetto di bene con-sente di introdurre elementi di valutazionequalitativi del fare umano evitando diconfondere la decrescita con l’austerità, larinuncia, l’impoverimento, perché se la cre-scita può essere considerata fattore di benes-sere solo da chi identifica il più col meglio -e non è vero - la decrescita non è l’identifi-cazione del meno col meglio - che non èvero ugualmente - né la scelta del menoanche se è peggio, per ragioni etiche, perchési configurerebbe come rinuncia e la rinun-cia implica la valutazione positiva di ciò acui si rinuncia, ma è il rifiuto del più quan-do si valuta che sia peggio e la scelta delmeno quando si valuta che sia meglio. Ladecrescita non si identifica nemmeno con lasobrietà, anche se la sobrietà è un valore checontribuisce a realizzare la decrescitamediante la riduzione degli sprechi neglistili di vita, né col pauperismo, come sosten-gono alcuni critici prevenuti. Se si fondasulla distinzione tra i concetti di merce ebene, presuppone scelte edonistiche. Èmaggiormente felice chi lavora tutto il gior-no per avere un reddito che gli consenta dicomprare più merci da buttare sempre piùin fretta, o chi lavora di meno e trascorre piùtempo con le persone a cui vuole bene, per-

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ché compra solo le merci che gli servono epuò vivere con un reddito inferiore? Qualedei due rinuncia a qualcosa?

DECRESCITA, RICCHEZZA E POVERTÀNelle società in cui l’economia è finalizzataalla crescita del Pil, il denaro è, inevitabil-mente, la misura della ricchezza. Se la mag-gior parte dei beni si ottengono sotto formadi merci, chi ha più soldi può comprarne dipiù. Ma i beni possono essere identificaticon le merci solo da chi non può contare suuna rete di solidarietà ed è incapace di auto-produrre alcunché. Per chi sa autoprodurreuna parte dei beni di cui ha bisogno e puòcontare su una rete di solidarietà il denaronon è la misura della ricchezza, ma il mezzoper poter acquistare quei beni che si possonoavere solo sotto forma di merci. Chi non saautoprodurre nulla e non può contare su unarete di solidarietà dipende totalmente dalmercato per la soddisfazione dei suoi biso-gni. Chi sa autoprodurre ed è inserito in unarete di solidarietà è più autonomo. L’Italiaimporta il gas di cui ha bisogno dalla Russiae dalla Libia. Tra una famiglia con più soldiche riscalda la propria abitazione con unimpianto alimentato a gas, e una famigliacon meno soldi che coltiva un pezzo dibosco da cui ricava la legna per alimentaredelle stufe, quale è più ricca se Putin e i suc-cessori di Gheddafi decidono di chiudere irubinetti dei gasdotti? Si può farcire un pani-no con un biglietto di dieci euro? I sistemieconomici fondati sulla crescita della produ-zione di merci misurano la ricchezza con ilvalore monetario del Pil pro-capite. In realtàil valore del Pil pro-capite misura il livello dimercificazione di un sistema economico eproduttivo. Un popolo in cui l’autoprodu-zione soddisfa la massima parte del fabbiso-gno alimentare e i rapporti di solidarietàriducono al minimo i litigi e le spese legaliha un Pil pro-capite inferiore a quello di unpopolo in cui tutta la popolazione deve com-prare cibo coltivato chissà come e le speselegali sono alte perché è alto il tasso di com-petizione e di litigiosità. Ma quale dei due hauna migliore qualità della vita?

LA FINALIZZAZIONE DELL’ECONOMIAALLA CRESCITA È LA CAUSA DELLACRISI AMBIENTALE

La crescita economica non è di per sé unfatto negativo e, anzi, offre dei vantaggi, se:- la quantità di risorse rinnovabili che ven-gono trasformate in merci non eccede la lorocapacità di rigenerazione annua:- le emissioni dei cicli produttivi che sonometabolizzabili dai cicli biochimici noneccedono le loro capacità di metabolizzarli;- non vengono prodotte ed emesse sostanzenon metabolizzabili dai cicli biochimici;- i materiali contenuti negli oggetti dismessie negli scarti non si accumulano in qualchematrice della biosfera, ma vengono riutiliz-zati per produrre altre merci.

Se si rispettano questi vincoli entropici, laqualità della vita migliora se aumentano ibeni e i servizi che consentono alla specieumana di non patire la fame, il freddo e ilcaldo, di alleviare il dolore e la fatica, dicurare le malattie, di ampliare i saperi e ilsaper fare, di togliersi dei capricci, di oziare.È la finalizzazione dell’economia alla cre-scita a creare problemi sempre più gravi siaal pianeta terra, sia alla specie umana, per-ché, se l’obiettivo delle attività economichee produttive è accrescere di anno in anno laproduzione di merci, il consumo delle risor-se rinnovabili cresce di anno in anno fino adeccedere la loro capacità di rigenerazione, leemissioni metabolizzabili aumentano finoad eccedere la capacità di assorbimento daparte della biosfera, si utilizzano quantitàcrescenti di risorse non rinnovabili fino alloro esaurimento, si sintetizzano sostanzenon metabolizzabili dai cicli biochimici, pertenere alta la domanda di merci se ne acce-lera la trasformazione in rifiuti, si intasa l’at-

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mosfera di gas nocivi, si ricoprono superficisempre più vaste del pianeta di incrostazio-ni di materiali inorganici, di sostanze putre-scenti, di sostanze non biodegradabili, disostanze inquinanti. Un sistema economicoe produttivo finalizzato alla crescita ha lecaratteristiche di un tumore: si nutre sot-traendo quantità crescenti di sostanze vitaliall’organismo in cui si sviluppa, ne alteraprogressivamente le funzioni e i cicli biochi-mici, lo fiacca riducendone giorno dopogiorno la capacità di nutrirlo e muore nelmomento in cui lo fa morire. Che la crescitaeconomica abbia già ridotto la capacità dellabiosfera di nutrirla e di assorbire i suoi scartiè testimoniato da alcuni indicatori fisiciampiamente documentati:- dal 1987 la specie umana consuma primadel 31 dicembre una quantità di risorse rin-novabili pari a quelle rigenerate annual-mente dal pianeta e, da allora, si avvicina dianno in anno la data del loro esaurimento: èstata il 21 ottobre nel 1993, il 22 settembrenel 2003, il 20 agosto nel 2013;- nel settore petrolifero il rapporto tra l’ener-gia consumata per ricavare energia e l’ener-gia ricavata (eroei: energy returned onenergy invested) tra il 1940 e il 1984 (datadell’ultima rilevazione pubblicata da unarivista scientifica internazionale), è sceso da1 a 100 a 1 a 8; dal 1990 ogni anno si con-suma una quantità di barili di petrolio moltosuperiore a quanta se ne trovi in nuovi gia-cimenti: 29,9 miliardi a fronte mediamentedi meno di 10 miliardi (dato 2011);- le emissioni di anidride carbonica eccedo-no in misura sempre maggiore la capacitàdell’ecosistema terrestre di metabolizzarlecon la fotosintesi clorofilliana, per cui se neaccumulano quantità sempre maggiori inatmosfera: sono state 270 parti per milionenegli ultimi 650 mila anni, sono diventate380 nel corso del XX secolo, nel mese dimaggio del 2013 hanno raggiunto il valoredi 400, lo stesso del Pliocene, circa 3 milio-ni di anni fa, quando la specie umana nonera ancora comparsa, la temperatura mediadel pianeta era più calda dell’attuale di 2 –3 °C, il livello dei mari era più alto di 25metri;- in conseguenza dell’aumento delle con-centrazioni di anidride carbonica in atmo-sfera, nel secolo scorso la temperatura

media della terra è aumentata di 0,74 °C e,secondo l’Unione Europea, se si riuscirà aridurre le emissioni del 20 per cento entro il2020, obbiettivo pressoché impossibile daraggiungere perché non rientra tra le prioritàpolitiche di nessun partito, l’aumento dellatemperatura terrestre in questo secolo potràessere contenuto entro i 2 °C, quasi il triplodel secolo scorso; - negli oceani Atlantico e Pacifico galleggia-no ammassi di frammenti di plastica estesicome gli Stati Uniti, con una densità di 3,34x 106 frammenti al km²;- la fertilità dei suoli agricoli si è drastica-mente ridotta e la biodiversità diminuisce dianno in anno (si estinguono 50 specie algiorno, a un ritmo da 100 a 1000 volte supe-riore rispetto a quello naturale).

LA FINALIZZAZIONE DELL’ECONOMIAALLA CRESCITA È LA CAUSA DELLACRISI ECONOMICA DEI PAESI INDU-STRIALIZZATI Il 6 ottobre il capo del personale dellaVolkswagen, Horst Neumann, ha dichiaratoin un’intervista che nei prossimi anniandranno in pensione 32.000 dipendenti,ma non potranno essere rimpiazzati danuovi assunti perché la concorrenza inter-nazionale non lo consente. Nell’industria automobilistica tedesca ilcosto del lavoro è superiore a 40 euro all’o-ra, mentre nell’Europa dell’est è di 11 euro ein Cina di 10. In queste condizioni l’unicapossibilità per rimanere competitivi è lasostituzione degli operai con robot, cheattualmente per lo svolgimento dei lavoriripetitivi hanno un costo orario di 5 euro,destinato ad abbassarsi in conseguenza del-l’evoluzione tecnologica del settore. Ma i robot comprano anche le automobiliche contribuiscono a produrre? Hanno biso-gno di cibo e vestiti? Di una casa, di un lettoe delle coperte? Vanno al cinema o in vacan-za al mare? Mandano i figli a scuola? Non civuole molto a dedurre che la sostituzionedelle operaie e degli operai con macchineche producono di più e costano di meno,comporta un aumento dell’offerta e unadiminuzione della domanda di merci.Questa è la causa della crisi iniziata nel2008, che in Italia ha già comportato unariduzione del Pil superiore a quella causata

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 201442 dossier

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dalla grande depressione del ‘29. Una crisida cui non si riesce a venir fuori, né ci si riu-scirà, se si continuerà a pensare che il finedell’economia sia la crescita della produzio-ne di merci e la globalizzazione sia una cosabuona. Il fatto è che i due fenomeni sono inscindi-bili: le economie dei paesi industrializzatinon possono continuare a crescere se noncresce il numero dei produttori e dei consu-matori di merci al di fuori dei loro confini,se non possono continuare a rifornirsi al difuori dei loro confini delle quantità crescen-ti di materie prime e di fonti fossili di cuihanno bisogno, se non possono venderequantità crescenti dei loro prodotti al difuori dei loro confini. Ovvero, se il modo diproduzione industriale non si estende a per-centuali sempre maggiori della popolazionemondiale. Ciò implica il coinvolgimentonelle dinamiche del mercato globale dipaesi in cui costi e tutele dei lavoratori sonoinferiori. Senza globalizzazione le economiedei paesi di più antica industrializzazionenon crescerebbero più, ma la globalizzazio-ne le mette in crisi. Per sostenere la concor-renza internazionale, questi paesi hanno trepossibilità: sostituire i lavoratori con mac-chine aumentando la disoccupazione, tra-sferire le proprie aziende nei paesi in cui ilcosto del lavoro è più basso, ridurre il costoe le tutele dei lavoratori nei propri paesi. Intutti e tre i casi, le condizioni di vita dei loropopoli sono destinate a peggiorare e ladomanda interna a diminuire. Per questo leloro economie sono entrate in crisi e non rie-scono a venirne fuori. La finalizzazione dell’economia alla crescitacausa uno squilibrio permanente traaumento dell’offerta e diminuzione delladomanda di merci, che è stato compensatofacendo ricorso per decenni ai debiti pub-blici e privati per sostenere la domanda, finoa quando il loro ammontare ha raggiunto unvalore così alto da mettere in difficoltà ilsistema bancario, facendo fallire nel 2008alcuni tra i più importanti istituti di creditodel mondo. Dal quel momento la crescita,che, pur mantenendosi positiva, aveva regi-strato tassi d’incremento decrescenti dopo ilivelli raggiunti nei trent’anni seguenti allafine della seconda guerra mondiale, si èbloccata e le misure tradizionali di politica

economica non sono state in grado di farlaripartire, perché se sono finalizzate a ridur-re il debito pubblico deprimono la doman-da e l’aggravano, se sono finalizzate a soste-nere la domanda per rilanciare la produzio-ne richiedono un aumento dei debiti. Neipaesi industrializzati la crescita è arrivata allivello in cui si blocca da sé.

LA FINALIZZAZIONE DELL’ECONOMIAALLA CRESCITA È LA CAUSA DELLAPOVERTÀ DEI POPOLI POVERI E DELLEGUERRE PER IL CONTROLLO DELLERISORSE

Per sostenere la loro crescita economica, ipaesi industrializzati hanno depredato persecoli le risorse di cui avevano bisogno datutti i luoghi del mondo in cui si trovavano.I metodi che hanno utilizzato sono quantodi peggio gli esseri umani hanno fatto nelcorso della storia. Dagli ultimi decenni delsecolo scorso, e con un’accelerazione cre-scente dall’inizio di questo secolo, questadinamica, che ha causato sofferenze inenar-rabili, si è accentuata, perché il fabbisognodi materie prime da trasformare in merci haavuto un impulso straordinario dalla cresci-ta economica di quattro paesi in cui vivequasi la metà della popolazione mondiale:Brasile, India, Cina e Russia. Oltre ad averaggravato tutti i fattori della crisi ecologica,l’aumento dei pretendenti ha moltiplicato leguerre per il controllo delle risorse. A ragio-ne papa Francesco ha parlato di una terzaguerra mondiale in corso, benché frammen-tata in una serie crescente di conflitti locali.Oltre ad accrescere la povertà dei popoli

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poveri e le guerre, il fabbisogno crescente dirisorse per sostenere la crescita economicadei paesi di antica e di recente industrializ-zazione sta compromettendo drammatica-mente la vita delle generazioni future: gliabitanti dei paesi che hanno finalizzato leloro economie alla crescita stanno mangian-do non solo nei piatti dei popoli poveri, maanche nei piatti dei loro nipoti e pronipoti.

LA FINE DELL’EPOCA STORICA INIZIA-TA TRE SECOLI FA CON IL MODO DIPRODUZIONE INDUSTRIALELe considerazioni svolte sino ad ora induco-no a ritenere che si stia concludendo l’epocastorica iniziata circa tre secoli fa con la rivo-luzione industriale. Tutte le crisi in atto - lacrisi ecologica e climatica, la crisi economi-ca e occupazionale, la crisi dei rapportiinternazionali e la moltiplicazione delleguerre, le crisi umanitarie, le migrazioni dimassa, la diffusione delle povertà, delle ini-quità e della violenza - sono intrecciate traloro, si rafforzano a vicenda ed hanno un’u-nica causa nella finalizzazione dell’econo-mia alla crescita della produzione e del con-sumo di merci. Se si continuerà a ritenereche il fine dell’economia sia questo e laristretta élite che governa il mondo conti-nuerà a impiegare tutto il suo potere nel ten-tativo di farla ripartire, tutti i fattori di crisisono destinati ad aggravarsi, come sta succe-dendo da qualche decennio, e questa epocastorica si chiuderà con un crollo, come èaccaduto all’impero romano, ma le conse-guenze saranno molto più drammatiche.L’alternativa è un grande slancio creativo eprogettuale finalizzato all’elaborazione di un

nuovo paradigma culturale in cui il patri-monio delle conoscenze scientifiche e tec-nologiche accumulato dall’umanità sia indi-rizzato a connotare qualitativamente il lavo-ro umano, trasformandolo dal fare finalizza-to a fare sempre di più cui è stato ridotto, aun fare bene per aggiungere bellezza allabellezza originaria del mondo. In questaprospettiva la ricerca scientifica e le innova-zioni tecnologiche dovranno essere indiriz-zate ad accrescere l’efficienza nell’uso dellerisorse, a ridurre gli sprechi, a sostituire lesostanze inquinanti con sostanze metaboliz-zabili dai cicli biochimici, a ridurre le emis-sioni di sostanze metabolizzabili in misuracompatibile con le capacità della biosfera. Auna decrescita selettiva della produzione dimerci che non sono beni. Ma per dare que-sto nuovo slancio alla scienza e alla tecnicaoccorre elaborare un sistema di valori chepromuova e renda desiderabili la collabora-zione, la solidarietà, la convivialità, misura,la creatività, la contemplazione. Occorre riscoprire che gli esseri umani nonsono soltanto produttori e consumatori dimerci, ma hanno una dimensione spiritualeche non può essere subordinata e sacrificataal lavoro. Non possono essere ridotti a mezzidi un sistema finalizzato alla crescita dellaproduzione di merci, ma la produzione dimerci deve tornare ad essere il mezzo di cuiessi si servono per ridurre la loro dipenden-za dalla necessità, migliorare la qualità dellaloro vita, realizzare le proprie esigenze cono-scitive, creative, relazionali.La decrescita, così come abbiamo cercato didescriverla, è la strada che consente di rag-giungere questa meta.

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Stabilimento Ilva di Taranto, dicembre 2007. (Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Ilva)

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1. Sulla nota di aggiorna-mento del documento dieconomia e finanzaapprovata dal Consiglio deiMinistri il 30.09.2014 di Antonio MARESCO*

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Riceviamo e pubblichiamo volentieri l’inte-ressante scambio epistolare intercorsorecentemente sulla tematica in oggetto fraAntonio Maresco e Delfina Rossato, che,con acume, focalizzano le previsioni erratedegli economisti (e dei vari organismi nazio-nali ed internazionali). Essi, non senza iro-nia, demistificano le dichiarazioni deglieconomisti, i luoghi comuni, svelando ilruolo di questi come maggiordomi del pote-re, proni al volere del “palazzo” (superfluoricordare che si tratta di un ruolo che svol-gono molti altri!).

*******Napoli, 4 ottobre 2014

Cara Delfina,la Nota di aggiornamento del Documento diEconomia e Finanza approvata dalConsiglio dei Ministri il 30 settembre suproposta dal premier Renzi e del suoMinistro del Tesoro, l’economista con curri-culum internazionale Pier Carlo Padoan,contiene un’ammissione che potrebbe sem-brare clamorosa, anche se in realtà è solouna conferma di quanto ogni persona nor-modotata aveva già ripetutamente constata-to: tra il 2006 e il 2013 le previsioni di cre-scita formulate dal Ministero del Tesoro perl’anno successivo a quello in corso sonostate sempre sovrastimate, e non di poco: inmedia del 2,2 per cento. Più di quanto nonsiano state sopravvalutate nello stesso perio-do da tutti gli altri istituti di ricerca, nazio-nali e internazionali, che auscultano ansio-samente ogni minimo battito cardiaco delsistema economico: Bankitalia, Istat,

Confindustria, Ocse e chi più ne ha più nemetta. Come mai? Tre sono le interpretazio-ni possibili. La prima è che gli economisti e gli statisticisiano incompetenti. Tutti e totalmenteincompetenti. Oddio, le loro facce non sonodelle più sveglie. Più che facce sembranomaschere della commedia dell’arte. Maresta il sospetto che a Roma si esprime conla domanda: «ce fai o ce sei»? Se «ce sei», èmeglio che ti limiti a fare danni a casa tua,ma se non arrivi a capirlo da solo dovrebbeesserci qualcuno incaricato di accompa-gnarti con dolcezza, ma con fermezza allaporta. Macché. Li fanno girare da un’istitu-zione all’altra, a fare le stesse diagnosi sba-gliate e a prescrivere le stesse terapie sba-gliate con un cappello diverso.Se, invece, «ce fai», stai consapevolmenteimbrogliando la popolazione per far credereche le tue terapie per curare la crisi sianoefficaci e stiano dando risultati positivi, chel’economia riparte, anzi è già ripartita e sivede la luce in fondo al tunnel, per cui viabbiamo fatti neri, continuiamo a farvi neri,però le previsioni dimostrano che ne valevala pena (vostra). Guido Tabellini, l’ex rettoredella Bocconi, la principale fucina in cui liplasmano in Italia prima di completare lacottura negli Stati Uniti, assunto come con-sulente dall’attuale premier, l’ha detto conchiarezza il 17 agosto: bisogna abbassare isalari anche sotto i minimi contrattuali eabbassare le tasse alle imprese, che potran-no così diventare più competitive a livellointernazionale. Togliere i soldi ai poveri perdarli ai ricchi, per consentire ai ricchi didiventare più ricchi vendendo all’estero i

*Lettera, 4 ottobre2014, inviata da

Antonio Marescoall’amica Delfina

ROSSATO.

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loro prodotti, per cui chi se ne frega se inconseguenza della diminuzione dei salarivenderanno di meno sul mercato interno. Inpratica, bisogna abolire l’articolo 18 delloStatuto dei lavoratori per eliminare lenorme che tutelano dai licenziamenti senzagiusta causa e incentivare le aziende multi-nazionali a fare investimenti in Italia,andando in giro per il mondo a raccontareche il nostro paese ha cambiato verso, i sin-dacati non contano più e la crescita final-mente sta ripartendo, come documentanotutte le previsioni. E invece no. Anche que-sta volta non è ripartita, ma sta ripartendo esi vede la luce in fondo al tunnel, comedocumentano tutte le previsioni. La stessasolfa ripetuta senza variazioni per otto annidi seguito, durante i quali sono cambiatesolo le maschere della commedia dell’arteche la ripetevano con le stesse parole. Inconfronto Pulcinella e Arlecchino sono deidilettanti. Naturalmente si può prendere in considera-zione una terza ipotesi, quella del mix tra il«ce sei» e il «ce fai». In questo caso, dalmomento che è osservabile una costantecoincidenza temporale tra gli annunci delleprevisioni di crescita e l’aggravamento ditutti i fattori di crisi (diminuzione del Pil edella produzione industriale, aumento deltasso di disoccupazione generale e giovani-le, aumento dello spread tra i buoni del teso-ro italiani e i bund tedeschi, crollo dellaBorsa, diminuzione della vendita di auto-mobili), si può ragionevolmente dedurreche i previsori, ovvero gli economisti, gli sta-tistici, i ministri del Tesoro, i ministri delLavoro, i primi ministri e, più in generale, igoverni che si sono succeduti dal 2006 aoggi, portino sfiga, per cui ogni volta chequelli in carica dicono che si vede la luce infondo al tunnel non ci resta che pregare SanGennaro e prendere in mano un cornetto. Dopo otto anni di questa solfa, finalmente èarrivato l’outing: abbiamo sempre sopravva-lutato le previsioni. Forse cominciano a ren-dersi conto che la loro credibilità è arrivataal livello di quel ragazzo che a forza di bur-lare i vicini gridando «al lupo!, al lupo!»quando il lupo non c’era, non fu credutoquando lo gridò perché c’era davvero e fulasciato da solo col lupo che lo sbranava. Oforse cominciano a rendersi conto che le

misure tradizionali di politica economica, leuniche che riescono a concepire, non sonoin grado di rilanciare la crescita, l’unica pro-spettiva che rientra nel loro breve orizzontementale. A non capirlo è rimasto solo lospianatutti, che non essendosi accorto del41 per cento degli elettori che non è andatoa votare, confonde il 41 per cento dei votan-ti per lui col 41 per cento gli aventi diritto alvoto, per cui col 24 per cento effettivo deiconsensi si crede onnipotente. Certo, haasfaltato i secondi, che, altrettanto convintidella propria onnipotenza, erano sicuri diarrivare primi e si sono fermati alla metà deisuoi voti. Ha asfaltato gli avversari interni,caricando sul suo carro gli opportunisti cheprima erano contro di lui e lasciando a piediin mezzo alla strada quelli che non gli inte-ressava far salire. Tenterà di asfaltare i sin-dacati che si oppongono ai suoi tentativi difar pagare ai lavoratori i costi delle misurecon cui i suoi consiglieri economici pensa-no di rilanciare la crescita. Ma le causeoggettive della crisi non sono così facili daasfaltare come le imbarazzanti mediocritàdei suoi concorrenti politici, più preoccupa-ti dei propri privilegi che del bene comune.Hanno la durezza dei fatti e da otto anniresistono a tutti i tentativi di rimuoverle.Davanti al rodomonte che proclamava diabbatterle come birilli, una al mese, nonhanno fatto una piega. Le sue panzane nonle hanno nemmeno scalfite. Ottanta euro inpiù in busta paga sotto forma di detrazionefiscale, ha proclamato con l’aria soddisfattadel guitto che a una fiera di paese, oplà,svela un coup de theatre davanti agli spetta-tori attoniti aspettandosi un lungo ohhhhh.Ma se si trovano in busta paga sotto forma didetrazione fiscale, ammesso che venganospesi e facciano crescere la domanda dellefamiglie, di certo fanno diminuire della stes-sa cifra la spesa pubblica. Come si può pen-sare che in questo modo possano aumenta-re i consumi? E infatti non sono aumentati.Hai sentito fare questa banale constatazioneda qualche economista, o dai rivali politicidel venghino, signori verghino, non ve lo doper quattro, non ve lo do per tre, ve lo rega-lo? Se non l’hanno fatta loro, si poteva pen-sare che la facessero i beneficiari del gruz-zolo a un mese dalle elezioni che lo avreb-bero fatto sentire onnipotente? E in base a

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quale principio d’equità ne sono stati esclu-si i percettori di un reddito annuo inferioreagli 8.000 Euro e i disoccupati, che ne avreb-bero avuto più bisogno? Lo stesso principiodi equità in base al quale dice di voler abo-lire le tutele che l’articolo 18 dello Statutodei lavoratori garantisce agli occupati atempo indeterminato per equipararli ai pre-cari che non le hanno? Non sarebbe piùequo estendere ai precari le tutele deglioccupati? Mi fermo qui, cara Delfina, perché tutto ilresto che vorrei ricordarti in proposito l’hoelencato in un pro-memoria, che ti accludo,

sull’andamento della crisi economica dalgiorno in cui l’asfaltatore è diventato primoministro e sugli esiti delle misure di politicaeconomica che ha adottato con l’aiuto delsuo fido scudiero (o tutore?) al Ministero delTesoro.Un abbraccio tuo Totò

BREVE STORIA DELLA CRISI DURAN-TE IL GOVERNO GUIDATO DALLOQUACE MATTEO RENZI, INCARICA-TO DI FORMARE L’ESECUTIVO DALPERSPICACE GIORGIO NAPOLITANOIl 22 febbraio 2014 entra in carica il governoguidato da Matteo Renzi.Il 12 marzo, dopo due giorni di votazioni, laCamera dei Deputati approva in prima let-tura la nuova legge elettorale Italicum.Numerose polemiche per la sostanzialeidentità con il Porcellum (abnorme premiodi maggioranza, elevate soglie di sbarra-mento, mancata introduzione delle prefe-

renze). Il Consiglio dei Ministri vara undecreto-legge sui contratti a termine e undisegno di legge delega sul lavoro denomi-nato Jobs Act. In conferenza stampa il presi-dente del Consiglio annuncia «la svoltabuona»: 100 giorni di lotta durissima percambiare, nel mese di aprile la pubblicaamministrazione, nel mese di maggio ilfisco, nel mese di giugno la giustizia.Annuncia inoltre una riduzione del caricofiscale di 80 euro al mese ai lavoratoridipendenti e assimilati con un reddito nettocompreso tra gli 8 e i 24 mila euro all’anno. L’8 aprile il Consiglio dei ministri approva ilrelativo decreto-legge e il Documento dieconomia e finanza, che prevede un incre-mento del PIL dello 0,8 per cento nell’annoin corso (il governo Letta aveva previsto l’1per cento) e dell’1,3 per cento nel 2015.Nonostante la crescita, si prevede anche unaumento del tasso di disoccupazione al 12,8per cento. In conferenza stampa il premierafferma: «Questo è un documento moltoserio e molto rigoroso. Credo che dobbiamoalla storia anche personale di Padoan ilrispetto che si deve a previsioni che io hodefinito rigorose, lui mi ha corretto conserie». E, riferendosi al fatto che la crescitapresunta è inferiore rispetto alla previsionedel precedente governo, aggiunge: «Sperosarò smentito in positivo. Chi tra voi imma-ginava di poter utilizzare questa occasioneper dire ‘ma guarda i numeri sono ballerini’,si scontra con un dato di fatto. E cioè chediamo numeri seri». L’8 maggio, nel corso di un convegno allaLuiss il ministro dell’Economia, Pier CarloPadoan, dichiara: «La fase peggiore dellacrisi economica è finita, ora si tratta di rico-struire». Il 16 maggio, l’Istat comunica che nel primotrimestre dell’anno il Pil italiano è tornato ascendere, anche se di un marginale -0,1 percento rispetto al trimestre precedente, madel -0,5 su base annua, vanificando le aspet-tative su una ripresa ormai imminente.«Non mi faccio facili illusioni quando il Pilè +0,1 per cento, non mi deprimo quando,come oggi, è -0,1 per cento. Valuteremo congrande attenzione i dati Istat che sicura-mente non ci fanno piacere, commenta ilpremier Matteo Renzi, che si dichiara inogni caso «molto fiducioso, ottimista» sul-

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l’economia italiana, perché, ancora unavolta, «i numeri sono molto incoraggianti».Dal 22 al 25 maggio si svolgono le elezionieuropee, in cui il PD ottiene il 40,8 per centodei voti, il doppio del risultato elettoraleottenuto dal secondo partito, il Movimento5 stelle. Ma la percentuale dei votanti èappena del 58,68 per cento, per cui il con-senso reale è del 24 per cento degli elettori. Il 4 giugno Confindustria rende noto chementre i volumi della produzione indu-striale mondiale tra il 2000 e il 2013 sonocresciuti del 36 per cento, il nostro paese è«in netta controtendenza» con una riduzio-ne del 25,5 per cento. Dall’inizio della crisisono state chiuse 100.000 aziende e si èperso un milione di posti di lavoro. Nellagraduatoria dei maggiori paesi industrializ-zati l’Italia è stata superata dal Brasile ed èscesa dal settimo all’ottavo posto. Il 28 giugno si registra il flop del bonus gio-vani del precedente governo Letta: solo22.000 assunti, invece dei 200.000 cheerano stati previsti stanziando lo scorso ago-sto 800 milioni di euro. [Risposta alladomanda del 26 giugno 2013: sembreràstrano, ma un’azienda che non ha ordini inportafoglio non viene incentivata ad assu-mere da una riduzione delle tasse sullenuove assunzioni.] A conferma di quanto dichiarato dal presi-dente del Consiglio nella conferenza stampadell’8 aprile sulle previsioni rigorose e inumeri seri, sfuma definitivamente l’incre-mento del Pil del +0,8 per cento previsto dalDEF per il 2014 e, a fortiori, la speranza diuna smentita in positivo. Secondo l’Istat lacrescita sarà dello zero per cento. È dimi-nuita anche l’inflazione, perché i consuminon sono cresciuti nonostante il bonus di 80euro stanziato dal governo. Bankitalia eConfindustria valutano che l’effetto espansi-vo è stato praticamente nullo (+0,2 per centosui consumi, +0,1 per cento sul Pil nel bien-nio 2014-2015) e confermano i dati Istatsulla stagnazione. Tuttavia prevedono, tantoper cambiare, che in futuro il Pil cresceràanche più di quanto precedentemente pre-visto, questa volta dell’1,3 per cento nel2015, contro l’1 per cento stimato a gennaio.Il 30 giugno l’Istat conferma che il Pil nelprimo trimestre 2014 è diminuito dello 0,1per cento rispetto al periodo precedente e

dello 0,5 per cento su base annua.L’economia è tornata a scendere dopo il +0,1per cento congiunturale dell’ultimo trime-stre 2013. Il tasso di disoccupazione a mag-gio raggiunge il 12,6 per cento, con unaumento di 0,1 punti percentuali rispetto adaprile e di 0,5 punti nei dodici mesi.Rispetto al massimo storico del 12,7 percento raggiunto a gennaio e febbraio,l’Istituto mette in evidenza un leggeromiglioramento. Il tasso di disoccupazionedei giovani tra i 15 e i 24 anni è stabile al 43per cento: in calo di 0,3 punti percentuali suaprile, ma in crescita di 4,2 punti su base

annua. In termini assoluti i disoccupatisono 3.222.000, gli occupati 22.300.000(61.000 meno dello scorso maggio).Non riuscendo i governi in nessun modo afar ripartire la crescita, l’istituto di statisticadell’Unione europea elabora una revisionedel sistema di calcolo del Pil (Sec 2010)introducendo tra le attività che concorronoa definirne l’ammontare: i servizi della pro-stituzione, il contrabbando di alcol e tabac-co, il traffico di droga. Su questa revisioneMatteo Renzi fonda la speranza di unaripartenza col botto dopo le vacanze estive,come dice allusivamente ai mass media.Invano il 23 giugno l’ufficio studi diBankitalia aveva provato a frenare gli entu-siasmi prevedendo che il ricalcolo «Avrà disicuro un effetto sui livelli assoluti del Pil,ma non sul tasso di variazione. La dinami-ca congiunturale resta quella». L’armasegreta, che più volte ha fatto prefigurarealla fantasia del premier una sorpresa posi-tiva nell’ultimo trimestre dell’anno, potreb-

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be rivelarsi spuntata. Il 1 agosto l’infaticabile Presidente delConsiglio illustra in conferenza stampa lelinee guida di un decreto legge battezzatoSblocca Italia, destinato, nelle sue intenzio-ni, a facilitare l’esecuzione di grandi operepubbliche non ancora avviate, opere edili einfrastrutture, snellendo le procedure e sot-traendo agli enti locali ogni potere decisio-nale in merito. Il 6 agosto l’Istat comunica che nel secondotrimestre il prodotto interno lordo italiano ècalato dello 0,2 per cento. Poiché nel primotrimestre la diminuzione era stata dello 0,1per cento, l’Italia è di nuovo in recessione,dopo esserne uscita solo alla fine del 2013.La variazione del Pil acquisita per il 2014,cioè quella che si avrebbe se fino a fine annonon ci fossero variazioni, è pari al -0,3 percento e costituisce il livello più basso regi-strato negli ultimi 14 anni. Anche Germania e Francia oscillano tracalo del Pil e stagnazione. Il Pil tedescodiminuisce per la prima volta dal 2012,facendo registrare un -0,2 per cento nelsecondo trimestre rispetto al primo. Il datoè peggiore delle attese che indicavano unapossibile flessione del -0,1 per cento. InFrancia l’economia non ha avuto incre-menti per due trimestri consecutivi. Le atte-se erano di un incremento dello 0,1 percento. Crescita zero per tutta l’area euro nelsecondo trimestre. Le successive smentite delle sue previsionirigorose e dei suoi numeri seri, inducono ilministro Padoan a dire: «Il Pil non bastapiù, il benessere dei cittadini ha più dimen-sioni». [Versione aggiornata della favoladella volpe e l’uva: dopo aver posto a finedella politica economica la crescita del Pil,non esserci riuscito e dubitando di riuscirciin futuro, il ministro s’accorge che non ècosì importante.] Il guaio è che la diminu-zione del Pil farà salire il rapporto defi-cit/Pil a un livello più alto rispetto al 2,6 percento che il governo aveva inserito cinquemesi prima nel Documento di economia efinanza. Quindi non sarà possibile aumen-tare il debito per sostenere la crescita. Acomplicare le cose ci si mette anche la defla-zione. Alla fine d’agosto l’indice dei prezzial consumo misurato dall’Istat segna un calodello 0,1 per cento rispetto allo stesso mese

dell’anno precedente. Non accadeva dal1959, però allora l’economia era in forteespansione e la variazione dei prezzi alribasso avvenne in una fase di tassi negatividurata sette mesi e non sette anni. Gli 80euro in più nelle buste paga non sono servi-ti a rilanciare la domanda, ma l’evidenzanon impedisce al premier di sostenere chegli effetti espansivi si vedranno in futuro.Il 29 agosto Il Consiglio dei Ministri appro-va il decreto legge Sblocca Italia.A metà settembre l’Istat presenta i valoridel Pil degli anni precedenti, ricalcolati colnuovo sistema che include le attività ille-gali. E, finalmente, senza che sia cambiatonulla nell’economia reale, il Pil cresce. Nel2011 risulta di 1.638,9 e non di 1.579,9miliardi di euro come precedentementeindicato, con un incremento di 59 miliar-di, pari al 3,7 per cento. Ma il rapportodeficit/Pil è migliorato molto meno delleaspettative: solo di 0,2 punti, scendendodal 3,7 al 3,5 per cento. Nei due anni suc-cessivi gli incrementi apportati al Pil dalleattività illegali non riducono le variazionipercentuali sull’anno precedente: nel 2012la diminuzione sul 2011 scende dal -2,4 al-2,3 per cento, nel 2013 rimane invariata al-1,9 per cento sul 2012.Tornando alla dura realtà del presente, leprevisioni dell’Ocse valutano che il Pil ita-liano nel 2014 farà registrare una flessionepiù alta del previsto, raggiungendo il -0,4per cento, invece del +0,5 per cento cheaveva previsto a maggio e del +0,8 percento previsto dai calcoli seri del governo. Di ritorno dal G20 in Australia, il 24 settem-bre il ministro dell’economia Pier CarloPadoan dice in un’intervista: «Per definizio-ne una crescita nominale così bassa, datada crescita reale negativa [come dire, perfare un esempio che non c’entra niente, cheun minus habens ha un’intelligenza realenegativa] e inflazione molto bassa, è un pro-blema in più per la dinamica del debito. Se la crescita nominale fosse più in lineacon gli obiettivi della Bce, l’Italia vivrebbe suun pilota automatico. Il nostro surplus strut-turale al netto degli interessi, più tassi d’in-teresse ragionevolmente bassi sul debito euna crescita nominale superiore al 2 percento, sommando un po’ di crescita reale eun po’ di inflazione, darebbero risultati

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chiari: il debito sarebbe in calo a velocità piùche soddisfacente». [«Se mio nonno avesseavuto le ruote sarebbe stato un tram» erapiù facile da capire e più efficace, ma nonl’ha inventata un economista, per di più conesperienza internazionale]. A settembre i prezzi al consumo si riduconodi un ulteriore 0,1 per cento. Nella fasciad’età dai 15 ai 24 anni il tasso dei disoccu-pati sale al 44,2 per cento (+1 per cento sulmese precedente, +3,6 per cento su baseannua). Secondo l’Istat il Pil dovrebbe avere

una crescita dell’economia: dal +0,8 al -0,3per cento nel 2014, ma, tranquilli, nel 2015rapporto tra deficit e Pil sarà al 3 per centonel 2014, la soglia limite prevista dagliaccordi europei, e al 2,9 per cento nel 2015.Per aumentare la domanda e rilanciare lacrescita il premier propone di mettere nellabusta paga dei lavoratori dipendenti del set-tore privato il 50 per cento del Trattamentodi fine rapporto, pari a una somma cheoscilla tra i 50 e i 100 euro al mese a secon-da dello stipendio lordo iniziale.

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2. Sulla nota di aggiorna-mento del documento dieconomia e finanzaapprovata dal Consiglio deiMinistri il 30.09.2014

di Delfina ROSSATO*

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Canosio, 11 ottobre 2014Caro Antonio,sul Fatto quotidiano on line del 6 ottobre èstato pubblicato un trafiletto che riportavaun intervento del capo del personale dellaVolkswagen, Horst Neumann, sul giornaletedesco Sueddeutsche Zeitung, a cui non èstato dato molto risalto dalla stampa italia-na, anche se, a mio parere, spiega le causedella crisi in modo chiarissimo e non para-gonabile alle fumose analisi con cui cercanodi rimbambirci gli economisti italiani. Tipoquesta dichiarazione assurda rilasciata dalministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, loscorso 24 settembre, al ritorno dall’Austra-lia, dove aveva partecipato al G20: «Per defi-nizione una crescita nominale così bassa,data da crescita reale negativa e inflazionemolto bassa, è un problema in più per ladinamica del debito. Se la crescita nomina-le fosse più in linea con gli obiettivi dellaBce, l’Italia vivrebbe su un pilota automati-co. Il nostro surplus strutturale al netto degliinteressi, più tassi d’interesse ragionevol-mente bassi sul debito e una crescita nomi-nale superiore al 2 per cento, sommando unpo’ di crescita reale e un po’ di inflazione,darebbero risultati chiari: il debito sarebbein calo a velocità più che soddisfacente». A partire dalla definizione di crescita nega-tiva, che è un’assurdità logica (a chi salte-rebbe in mente, per fare due esempi, di defi-nire gioventù negativa la vecchiaia, o intelli-genza negativa l’incapacità di capire?),sarebbe stato quasi impossibile esprimersiin maniera più contorta per dire alla fin fineun concetto che la saggezza popolare ha

espresso con la frase: «se mio nonno avesseavuto le ruote sarebbe stato un tram». Che,come Tu hai ricordato, è più efficace e menoinutilmente complicata, ma non è statainventata da un economista, per di più conesperienza a livello internazionale.Il capo del personale della Volkswagen èstato, invece, di una semplicità disarmante.Ha detto che nei prossimi anni andranno inpensione 32.000 dipendenti, ma nonpotranno essere rimpiazzati da nuovi assun-ti perché la concorrenza internazionale nonlo consente. Infatti, non ci vuole molto adedurre che la sostituzione delle operaie edegli operai con macchine che produconodi più e costano di meno, comporta unaumento dell’offerta e una diminuzionedella domanda di merci. E questa è la causadella crisi iniziata nel 2008, che secondol’attuale ministro del Tesoro ha comportatouna riduzione del Pil superiore alla quellacausata dalla grande depressione del ‘29.Una crisi da cui non si riesce a venir fuori,né ci si riuscirà, se si continuerà a pensareche il fine dell’economia sia la crescita dellaproduzione di merci e la globalizzazione siauna cosa buona. Il fatto è che i due fenome-ni sono inscindibili: le economie dei paesiindustrializzati non possono continuare acrescere se non cresce il numero dei pro-duttori e dei consumatori di merci al di fuoridei loro confini, se non possono continuarea rifornirsi al di fuori dei loro confini dellequantità crescenti di materie prime e di fontifossili di cui hanno bisogno, se non possonovendere quantità crescenti dei loro prodottial di fuori dei loro confini. Ovvero, se il

*Canosio, 11 otto-bre 2014. Lettera diDelfina ROSSATO,maestra di famiglia

contadina dellaVal Maira, all’ami-co Antonio MARE-

SCO.

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modo di produzione industriale non siestende a percentuali sempre maggiori dellapopolazione mondiale. Ciò implica il coin-volgimento nelle dinamiche del mercatoglobale di paesi in cui costi e tutele dei lavo-ratori sono inferiori. Senza globalizzazionele economie dei paesi di più antica indu-strializzazione non crescono, ma la globaliz-zazione le mette in crisi. Lo sottolineo persostenere la concorrenza internazionale,questi paesi hanno tre possibilità: sostituirei lavoratori con macchine aumentando ladisoccupazione, trasferire le proprie azien-de nei paesi in cui il costo del lavoro è piùbasso, ridurre il costo e le tutele dei lavora-tori nei propri paesi. In tutti e tre i casi, lecondizioni di vita dei loro popoli sono desti-nate a peggiorare e la domanda interna adiminuire. È per questo che le loro econo-mie sono entrate in crisi e non riescono avenirne fuori. In questo contesto si comprende l’ostinazio-ne con cui l’ex presidente del ConsiglioMonti e la sua ministra Fornero si sonoimpegnati per abolire le norme dell’articolo18 dello Statuto dei lavoratori che ostacola-vano i licenziamenti senza giusta causa, riu-scendoci però solo in parte. E si comprendeperché con determinazione ancora maggio-re ci si stia impegnando l’attuale presidentedel Consiglio Renzi e perché Monti vedeuna continuità tra il suo governo e quello diRenzi, a cui riconosce una maggiore abilitàpolitica. Ma si comprende anche perché,nonostante la riduzione delle tutele deilavoratori, il nostro paese non è uscito dallacrisi, il Pil ha continuato a diminuire, ladisoccupazione e la precarietà hanno conti-nuato a crescere. Se questi sono i risultatiche si ottengono, mi domando che sensoabbia indirizzare i progressi tecnologici adaccrescere la produttività e ridurre l’inci-denza del lavoro umano sul valore aggiun-to. Io credo non si sia capito che la fase sto-rica iniziata 250 anni fa con la rivoluzioneindustriale è arrivata al capolinea e le misu-re di politica economica che fino ad orasono riuscite a riavviare la crescita nei perio-di di crisi, non funzionano più. Per uscire daquesta situazione che peggiora ogni anno,occorre rendersi conto delle differenze traquesta crisi e tutte le altre che l’hanno pre-ceduta e domandarsi se non sia arrivato il

momento di rimettere in discussione ildogma della crescita. Come fanno a non capirlo degli specialistilaureati col massimo dei voti, che hannoconseguito più di un master nelle miglioriuniversità degli Stati Uniti, hanno girato ilmondo e ricoperto incarichi della massimaimportanza? Almeno così sembra a me, chevengo da una famiglia contadina, ho solo ildiploma di maestra e non mi sono maiallontanata dai luoghi in cui sono nata.Qualche viaggio l’ho fatto, anche all’estero,ma sono sempre tornata in questo angolo dimondo appartato, dove ho le mie radici esono sepolti i miei vecchi. Mi viene da pen-sare che ci sia una verità misconosciutanella frase di Gesù riportata nel Vangelo diMatteo, 11, 25-26: hai tenuto nascoste que-ste cose ai sapienti e agli scaltri e le hai rive-late ai semplici. Probabilmente i sapienti egli scaltri non hanno mai usato un flessibile,riparato le ruote di una bicicletta, vangatoun orto, piantato dei pomodori. Non sono ingrado di fare nient’altro che comprare tuttociò di cui hanno bisogno e per questo, manon solo per questo, adorano il denaro,confondono benessere con tantoavere, pen-sano che tutto abbia un prezzo e che i pro-blemi economici si possano risolvere con lapolitica monetaria e fiscale, togliendo dena-ro con le tasse a chi ne ha di meno e giran-dolo con gli incentivi a chi ne ha di più. Che senso ha produrre sempre di più se perprodurre sempre di più occorre aumentarela precarietà, ridurre le tutele dei lavoratorie il numero degli occupati, peggiorare lecondizioni di vita individuali di un numerosempre più ampio di persone e renderesempre più conflittuali i rapporti sociali?Per non parlare delle guerre per il controllodelle risorse e dei danni ambientali causatidall’aumento dei consumi e delle emissio-ni inquinanti. Ma il fine del lavoro non è ilmiglioramento delle condizioni di vita degliesseri umani? Anche a me sembra, comedici tu, che qui siano asciti tutti pazzi. Nonsarebbe ora di cancellare dalle nostre testeche lo scopo dell’economia sia la crescita, olo sviluppo, che non è un obiettivo diversocome si vorrebbe far credere, ma solo, scu-sami per quello che sto per dire, la defini-zione paracula della crescita? Non sarebbeora di finirla di pensare che la via d’uscita

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dalla crisi sia un fantomatico nuovo model-lo di sviluppo, di cui tanti parlano perché fafine ma non significa niente, o la crescitaqualitativa, che è un tentativo di rivalutareun concetto quantitativo con una genericaconnotazione di qualità non consentitadalla sua natura? Non sarebbe ora di libera-re le attività produttive dalla finalizzazionea qualsiasi tipo di crescita, o sviluppo chedir si voglia, ristabilendo che il loro scopo èil miglioramento della qualità della vitaattraverso il lavoro, come è sempre statodalla notte dei tempi? Élemire Zolla (anchese sono solo una maestra, leggo forse di piùdi certi sapienti che hanno fatto il masternegli Stati Uniti) riteneva che i danni pro-vocati dal modo di produzione industrialepotessero essere riparati solo da una reces-sione ben temperata, Nicholas GeogescuRoegen da una trasformazione dell’econo-mia in bioeconomia, Ivan Illich dal recupe-ro della convivialità e delle culture vernaco-lari, il Movimento per la decrescita felice dainnovazioni tecnologiche finalizzate a rea-lizzare una decrescita selettiva della produ-

zione di merci che non sono beni, dall’au-toproduzione di beni e da relazioni fondatesul dono e la reciprocità. Questi sono gli ele-menti che possono liberare il lavoro dallecatene della mercificazione e della crescita,riportandolo alla sua funzione di migliorarele condizioni di vita della specie umana. Le scelte esistenziali che abbiamo fatto conle nostre famiglie sono come la goccia d’ac-qua che il colibrì, nell’apologo caro a PierreRabhi, porta nel suo minuscolo becco percontrastare l’incendio divampato nellaforesta. Serviranno a poco, ma ci fanno starbene, non solo con la nostra coscienza, maanche nella nostra vita quotidiana, a diffe-renza di chi si affanna dalla mattina allasera e vive in modi devastanti per averesempre più soldi per comprare sempre piùcose da buttare sempre più in fretta. Perfortuna non siamo i soli ad andare in dire-zione ostinata e contraria a questa corrente,perché la follia della crescita non è riusci-ta, nonostante il suo impegno, a contagiaretutti. Un abbraccio, Delfina.

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Quel che resta dell’Expo

a cura di Enzo FERRARA* ed Enrico MORICONI**

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L’ESPOSIZIONE UNIVERSALE 2015Milano ospita dal 1 maggio al 31 ottobre2015 l’Esposizione universale (Expo) 2015:Nutrire il pianeta. Energia per la vita.Secondo gli organizzatori sarà il più grandeevento mai realizzato su alimentazione enutrizione con l’obiettivo concreto e vitaledi garantire cibo sano, sicuro e sufficienteper tutti i popoli, nel rispetto del pianeta edei suoi equilibri. La maggior attrattiva saranno i padiglionidei paesi ospiti che esibiranno le loro coltu-re. Nell’area fieristica alla periferia nord-occidentale di Milano sono attesi visitatoriinteressati ad assaggiare i migliori piatti delmondo e a scoprire le eccellenze della tradi-zione agroalimentare e gastronomica – pos-sibilmente made in Italy – il tutto corredatoda eventi musicali, convegni, mostre e labo-ratori.Roberto Perotti ha pubblicato su La voce il12 maggio 2014 (http://www.lavoce.info/archives/19567/perche-expo-e-un-grande-errore/) un’analisi sufficientemente attentaper suscitare scetticismo, se non sospetto,rispetto alla coerenza fra affermazioni diintenti sul diritto al cibo e le modalità sceltedai promotori di Expo per la loro messa inpratica. Per permettere a più di 140 paesi,organizzazioni internazionali e multinazio-nali di attrezzarsi per il rispetto del pianetae dei suoi equilibri, solo per l’area espositivasono stati spogliati e ricoperti di cemento1,1 milioni di metri quadri di terreno untempo agricolo; a questi va aggiunto il suoloconsumato per le opere infrastrutturali con-nesse che includono nuove linee metropoli-tane e autostrade come la Brebemi e laPedemontana. La spesa per le sole installa-zioni fieristiche (padiglioni, anfiteatro etc.)ammonta a 3,2 miliardi di euro; l’affare

complessivo è di 14 miliardi di euro. Neipadiglioni gli stand sono concessi a 12.000euro al mq; un costo sostenibile solo daigrandi gruppi industriali. Lavazza ha pagato1 milione di euro per l’esclusiva del caffènel settore italiano; nello stesso luogo,la piazzetta tematica acqua al costo di 1,1milioni di euro sarà gestita da SanPellegrino di proprietà Nestlé, non esatta-mente made in Italy.La retorica che sostiene Expo è grossolana esuperficiale. Un bilancio spropositato di 55milioni di euro è stato dedicato alla visibilitàe alla cura d’immagine della fiera(http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/21/expo-55-milioni-giornali-tv-per-progetti-5-testate-estere/1313817/). I promotori dimenticano rapidamente lapromessa di cibo sano, sicuro e sufficientequando prevedono per Expo una produzio-ne addizionale di beni per 23,6 miliardi dieuro, corrispondenti a un Pil aggiuntivo di10,1 miliardi; l’occupazione attesa è pari a191.000 posti annuali; si aspettano 20 milio-ni di visitatori; per effetto indiretto è previ-sto che Expo faccia nascere nuove aziende eaumenti il turismo milanese anche dopo il31 ottobre, ampliando il valore del patrimo-nio immobiliare della città per l’effetto dellenuove costruzioni e per la maggiore attratti-vità.

CONTRADDIZIONILasciando anche qui, per ora, il ragiona-mento sul cibo, si può discutere sulle cifredell’esposizione partendo dai visitatori: dei20 milioni attesi – che Maurizio Martina,ministro delle Politiche Agricole, Alimen-tari e Forestali (con delega a Expo) si auguradiventino 20 milioni di ambasciatori deldiritto al cibo del mondo – se ne prevedono

*Istituto Nazionaledi RicercaMetrologica-INRIMDivisioneElettromagnetismoStrada delle Cacce,91 I-10135 Torino.Sezione di MedicinaDemocratica diTorino e provincia.

**Medico Veteri-nario presso ASL diTorino, dellaSezione di MedicinaDemocratica diTorino e provincia.

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15 milioni italiani. Un italiano su quattro,insomma, inclusi anziani e bambini, dalTrentino alla Sicilia, dovrebbe visitare Expo.In attesa di dati sui posti di lavoro, intanto7500 volontari su 14000 aspiranti sono staticooptati per fornire, ognuno per 15 giorni,5,30 ore quotidiane di assistenza ai visitato-ri. Perfino laCaritas cerca 1000 volontari peraiutare a comprendere la sfida in gioco sultema dell’alimentazione e le sue contraddi-zioni. Verso l’esposizione sono stati dirottatifondi dedicati ad altre priorità: con il decre-to mille proroghe, 9,7 milioni dei 10 stan-ziati per il pattugliamento e il monitoraggio

della Terra dei Fuochi sono stati spostati sulprogetto strade sicure Expo “anche in rela-zione alle straordinarie esigenze di sicurez-za connesse alla realizzazione dell’evento”(DL n. 192, 31.12.2014, art. 4). La Triennale,infine, avrebbe prenotato l’uso dei padiglio-ni per la rassegna internazionale di architet-tura del 2016 con l’idea di “continuare atenere accesa la creatività”. Eppure il bandosul destino delle aree Expo è andato deser-to: alla scadenza, il 15 novembre 2014 nes-sun privato ha presentato offerte per un’o-perazione immobiliare che accanto alleinchieste giudiziarie chiuderà la tormentatastoria dell’esposizione dovendo occuparsidel destino dei terreni tra Milano e Rho,quando i padiglioni saranno smontati.Mentre questo fascicolo della Rivista è infase di stampa, il 7 febbraio 2015 si è tenu-to il convegno di presentazione delle idee diExpo 2015, e le prime proteste venivanoarginate dalla polizia mentre presso ilComune di Milano, a palazzo Marino, siteneva contemporaneamente il convegno

Nutrire il pianeta o le multinazionali? Unvideomessaggio del Pontefice ha esplicita-mente parlato di economia che uccide, del-l’esclusione e dell’iniquità, intanto il presi-dente del Consiglio dopo aver annunciato il2015 come anno felix, con tutte le condizio-ni per tornare a correre, definiva Expoun’occasione troppo ghiotta perché l’Italiapossa farsela sfuggire e scagliandosi controcoloro che intendono farlo fallire.In effetti, andrebbe chiarito chi siano i verinemici di Expo e dei suoi contraddittoripropositi.Sicuramente sono nemici di Expoi disonesti di cui dovranno occuparsi leProcure per il sistema di tangenti nato findalla candidatura di Milano nel 2007 e ali-mentato anche dalle stime economicheazzardate che hanno avallato la propagandadei promotori, accettata e ripetuta acritica-mente dai mezzi d’informazione. Tra inemici dei propositi di Expo sul cibo cisono i ciarlatani della faciloneria tecnologi-ca, che si fanno portatori di un futuro diabbondanza per l’umanità, di “un nuovoparadigma per l’esistenza del mondo” (Conl’Expo ritorneranno i tempi di super Milano,di Letizia Moratti, Il Sole 24 Ore, 24 luglio2009) senza considerare i limiti delle risorsee la loro iniqua distribuzione. Poi ci sono gliesperti – che sanno tutto, ma non sannonient’altro – da cui diffidare come i troppi(500) convocati all’Hangar Bicocca per pre-parare la Carta di Milano: un documentoteso a promuovere il punto di vista origina-le dell’Italia sul tema della nutrizione. Sidovrà nello stesso tempo trovare una sintesiardua fra la necessità di nutrire il pianeta ela promozione su scala globale delle eccel-lenze italiane. Expo è anche un’allucinazio-ne collettiva supportata e legittimata da dif-fusa ignoranza su cosa sia davvero oggi inItalia e nel mondo il sistema della produ-zione agroalimentare e su quale sia la realesostanza della cosiddetta “eccellenza”made in Italy.

CRISI DELL’AGRICOLTURA E COLPEDELLE MULTINAZIONALIUna rapida analisi sullo stato dell’agricoltu-ra, della produzione e dei consumi in Italiapresentata da Giovanni Fabbris, coordinato-re di Altragricoltura, durante il convegnocontro il trattato di libero scambio tra USA e

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UE Stop TTIP (Transatlantic Trade andInvestiment Partnership) svoltosi a Torino il31 gennaio 2015, evidenzia che i cittadini,sommersi da quantità esorbitanti di cibo neisupermercati, si accorgono dei problemidell’agricoltura e dell’allevamento soloquando crescono i prezzi a causa della crisiche avviene nei campi e nelle stalle. Crisiche colpisce le piccole e medie imprese,dimostrata dai dati: negli ultimi 15 anni leaziende agricole sono diminuite del 33 %,cioè un terzo ha chiuso e così è aumentatala superficie media coltivata per azienda,passata da 5,5 ettari a 7,5/8 ettari.Economicamente la zootecnia vale 17,3miliardi di euro e rappresenta il 35 % del-l’intera agricoltura, occupando circa 800mila persone. Tuttavia, per quanto riguardal’allevamento, dal 2008 si contano 2 milionidi animali in meno: 250.000 bovini su untotale di 8 milioni, 800.000 maiali su untotale di 9 milioni e poi pecore e capre;secondo Coldiretti, sono a rischio di estin-zione 130 razze autoctone, 38 di pecore, 24di bovini, 22 di capre, 19 di cavalli, 10 dimaiali, 10 di polli e 7 di asini. Il processo è in atto da tempo; le piccole pro-prietà non reggono tra prezzi calanti dei pro-dotti agricoli e spese crescenti. In zootecniapoi si sta diffondendo sempre più la socci-da, pratica con la quale i proprietari dellestalle accudiscono animali di proprietàaltrui, soprattutto industrie mangimisticheche sfruttano economie di scala per guada-gnare. Così avviene per il pollame, dove piùdell’80% degli animali è di proprietà dipochi marchi operanti a livello nazionale(Aia, Amadori, tanto per intenderci) e per isuini. La diminuzione della produzionenazionale non è avvertita dai consumatori,ma si importa il 42 % del latte, il 40 % dellacarne di maiale e bovina, il 30 % di quellaovina e il 10% della carne di coniglio. Si deve rilevare come il comparto produtti-vo, tutto preso, forse inevitabilmente, a sal-vaguardia della propria redditività, non rie-sce ad analizzare complessivamente il pro-blema e si attesta su una difesa, impossibile,del made in Italy, cercando di otteneregaranzie sulle produzioni autoctone, senzaconsiderare che è il modello a non funzio-nare. E il made in Italy non è solo rose efiori: il nostro paese importa per 41 miliardi

di materia prima e l’export equivale solo a33,4 miliardi. Certo se non esportassimoforse sarebbe peggio, o non si sa.Questo modello, con il beneplacito delleamministrazioni politiche internazionali,favorisce le multinazionali che fanno dimi-nuire i prezzi di acquisto dei vegetali e deiprodotti animali giocando sul fatto che pos-sono acquistare la merce dove più gli con-viene, costringendo agricoltori e allevatoriad accettare il prezzo proposto. Così, senegli anni ‘80 il valore aggiunto dei prodot-ti agricoli si divideva in tre parti quasi ugua-li, – un terzo ciascuno ad agricoltura, tra-

sformazione e commercializzazione – oggidue terzi vanno alla commercializzazione eil terzo rimanente se lo dividono trasforma-zione e agricoltura; per quest’ultima rimanesolo un risicato 17 % del terzo spettante,circa il 6 % dell’intero valore.Questa situazione pressoché inevitabile fin-ché non cambiano gli stili di vita e non siinsegna a chi acquista a guardare non solo il“cosa” – da dove proviene cioè – ma “quan-to” si acquista. Le multinazionali dell’agroindustria e lecatene dei supermercati non sono affattopreoccupate delle iniziative per la tuteladelle produzioni locali, sono molto piùattente a incentivare le quantità, e per farlosono disposte a ribassare i prezzi fin dove èpossibile.Una confezione su due di latte a lunga con-servazione è straniera, perché il consumoitaliano è di 20 milioni di tonnellate controuna produzione di solo 11 milioni; la metàdelle italianissime mozzarelle è fatta con

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latte o cagliate straniere. E il parmigiano nonè da meno. Oltre alle cagliate si importanopolvere di latte, caseine e caseinati, chediventano formaggi italiani. Si vende unaquantità di mozzarella di bufala doppiarispetto a quanto si può produrre con il lattedi questi animali allevati in Italia.Produciamo 24,5 milioni di cosce di maialema ne importiamo 57 milioni dall’estero:due prosciutti italiani su tre provengono damaiali allevati altrove. Molti sono venduticome prodotto nazionale poiché basta unabolla che faccia risultare l’animale allevatoda 60 giorni in Italia per acquisire l’italia-

nità.Importiamo olive che diventano olio tosca-no, asparagi dalla Nigeria (per via area);70mila tonnellate di concentrato di pomo-doro dagli Usa, fagiolini e carciofi dal deltadel Nilo e altrove. Se davvero acquistassimosolo made in Italy, la disponibilità diminui-rebbe e i prezzi salirebbero; si può ipotizza-re un rialzo del 60–70 % e, con stipendi epensioni fermi, ci sarebbe un brusco calodelle possibilità di acquisto per milioni dipersone.Stati Uniti ed Europa hanno costruito unsistema agroalimentare che colonizza ilmondo intero: abbiamo convinto, o costret-to, i paesi extra europei ad abbandonare leproduzioni con cui si sfamavano per passa-re a monocolture di cibi da esportare.Inoltre, asparagi e fagiolini, ad esempio,sono pagati al campo con prezzi da fame e ipiccoli proprietari che prima riuscivano asostenersi ora non hanno risorse a sufficien-za per sfamarsi; sono così costretti a vende-

re le terre, spesso proprio alle multinaziona-li.Il sistema è sostenuto dalle sovvenzioni chel’agricoltura europea e statunitense ricevonodai governi; quasi il 50 % dei contributieuropei va all’agro-zootecnica. In questomodo si è realizzato il capolavoro: la batta-glia dei prezzi espelle piccoli agricoltori eallevatori in Europa e Usa, ma anche neipaesi extraeuropei; il guadagno è solo per lemultinazionali della chimica e del commer-cio.Purtroppo, anche l’establishment scientificosostiene il sistema attuale. Sulla Stampa del2 febbraio 2015, Roberto Defez, professoredell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse delCnr di Napoli si è lanciato contro il divietodi coltivare sementi Ogm in Europa affer-mando che si perde l’opportunità di com-petere con i paesi che permettono tali colti-vazioni. È vero che si consumano circa10mila tonnellate di soia transgenica al gior-no, non è vero però che le coltivazioni Ogmgioverebbero a tutti gli agricoltori. Lo hascritto anche Valentino Mercati di Abocacon una lettera aperta agli scienziati che sulSole 24 ore del 6 e 13 luglio 2014 si sonoespressi a favore degli Ogm in Italia(http://www.liberidicoltivare.it/appello/). Isemi transgenici implicano un ulterioreincremento delle multinazionali della chi-mica, che possono permettersi di brevettaree rivendere i semi a caro prezzo. La derivadei piccoli e medi proprietari costretti alasciare le terre agli accaparratori è incenti-vata anche dai prodotti transgenici: i conta-dini che li usano guadagnano sempre menoanche se producono di più. E ciò accadreb-be anche in Europa come nei paesi extraeu-ropei. Si fa leva sulla scarsa consapevolezzadei consumatori facendo balenare l’idea dipiù cibo a minor costo per difendere unsistema che porta guadagno solo ai grandigruppi. Se non si realizza un cambiamentodel modello non c’è alternativa, l’evoluzio-ne della agro-zootecnica continuerà nelladirezione attuale: aumento delle importa-zioni, crisi dei produttori nazionali, concen-trazione delle proprietà. La soluzione nonpuò essere una difesa “dell’italianità” senzaripensamenti delle modalità di consumo. Sideve diminuire lo spreco anche attraversouna riduzione del consumo: se si acquista

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meno cibo lo si può pagare un po’ di piùricompensando in modo più adeguato iprimi produttori.

ALTERNATIVESui presunti benefici di grandi eventi eopere come Expo, Marco Ponti, docente diEconomia applicata al Politecnico diMilano ha più volte evidenziato una siste-matica sottostima dei costi e una altrettantosistematica sovrastima della domanda, erro-ri ripetuti che implicano benefici marginalio inesistenti per la collettività. “La modernateoria delle scelte pubbliche non lasciadubbi sulle cause degli errori – ha scrittoPonti – gli interessi di breve periodo di deci-sori politici nazionali e locali, costruttori,agenzie di credito determinano sistemati-che asimmetrie informative ai danni deipagatori in ultima istanza, soggetti nonvocali privi di peso nel meccanismo deci-sionale” (http://www.traspol.polimi.it/documenti/Assessment/Ponti-2003-L’introduzione.PDF). Pagatori in ultima istanza, soggetti nonvocali: cittadini senza voce. La distinzionetra addetti e non addetti alle scelte decisio-nali corrisponde a una distinzione fra ope-ratori e operati di queste scelte. Nel caso della produzione agroalimentare acui Expo afferma di rivolgersi gli interlocu-tori non sono i produttori che nel mondooperano nel rispetto del pianeta e dei suoiequilibri ma le multinazionali le cui politi-che contraddittorie non sono in discussionema accettate e integrate nel meccanismodell’Esposizione. Basti l’osservazione, raramente evidenziata,che una catena ininterrotta di sfruttamentodel lavoro accompagna l’intera filiera agroa-limentare industriale, dal bracciantato deimigranti schiavizzati al precariatodedito allascaffalatura nei magazzini metropolitani,passando per gli autotrasportatori, i lavorato-ri della logistica, gli operai dei mattatoi, gliaddetti allo spargimento di diserbanti neicampi e alla somministrazione di ormoninelle stalle. Il rischio principale di Expo è lo stesso cheha caratterizzato le scelte di sviluppo eco-nomico in Italia degli ultimi decenni: quan-do si rinuncia a ogni considerazione sulbene comune non esiste possibilità di bilan-

cio positivo per la collettività. Passato l’in-namoramento retorico, i residui del passatodiventano non simboli di progresso mazavorre insostenibili. Per queste ragioni, èbenemerita ogni iniziativa tesa a restituire ildiritto di parola a chi ne è stato privato,come le tante in corso nel paese e come ilconvegno sulle Tre agricolture che si terrà aBrescia ad aprile 2015 – presentato da PierPaolo Poggio nelle pagine seguenti. La costruzione di uno spazio pubblico perquesto genere di dibattito non è semplice;l’attuale fase di sviluppo della sensibilitàagro-ecologica è dominata dal moltiplicarsi

di una miriade di movimenti locali come igruppi di acquisto solidale, le fiere di auto-produzione e i mercatini di autodetermina-zione alimentare (http://genuinoclandesti-no.noblogs.org/), sorti anche per reazioneagli aspetti più alienanti del sistema di pro-duzione e distribuzione industriale. La spin-ta all’azione ha ugualmente a che fare con lepreoccupazioni per la salute e l’ambiente.Fra i temi da affrontare in agricoltura, infat-ti, c’è anche quello sulle condizioni del ter-ritorio italiano con aree contaminate a forterischio per la produzione agroalimentare; sipensi al rapporto diffuso nel 2011 dalcomando della Us Navy di Napoli: oltre dueanni di esami costati milioni di euro sull’in-quinamento di acqua, terreno e abitazioniper capire quanto fosse pericoloso vivere inCampania per i militari americani e le lorofamiglie (http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/15/news/veleni-in-cam-pania-il-dossier-dello-scandalo-1.141232).Le preoccupazioni sono diffuse, dall’entro-

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terra circumvesuviano ai territori mineraridel Sulcis–Iglesiente in Sardegna, passandoper i residui tossici della Caffaro nel bre-sciano e per il circondario dell’Ilva: nel rag-gio di decine di chilometri intorno alla fab-brica di Taranto il territorio è stato distruttoo reso inutilizzabile, colture e allevamentisono vietati. Il discorso riguarda la produ-zione industriale e l’ambiente di lavoro inItalia, ma anche e soprattutto le condizionidi salute dell’ambiente e della popolazione. Occorrerebbero una presa di coscienza euna volontà di cambiamento collettive, gui-date dalla politica e sostenute dal sistemaeducativo e culturale; le scelte individualinon bastano. Le strade del cambiamentodevono essere intraprese su scala interna-zionale e devono prevedere la revisione

delle modalità di sostegno all’agricolturaper favorire non le multinazionali ma le pic-cole e medie aziende e le produzioni locali.Si deve lavorare anche per costruire reti difornitura alimentare scollegate dalla grandedistribuzione, per avvicinare chi produce echi consuma garantendo più guadagno alprimo e prodotti genuini a costi ragionevoliper il secondo. È una strada percorribile,anche se difficile. Occorre il coinvolgimen-to dei cittadini nella consapevolezza chel’acquisto e la preparazione del cibo quoti-diano, scelte di semplice economia dome-stica ma non secondarie, in realtà determi-nano politiche socio economiche strategi-che che oltre al settore dell’agro-zootecnica,coinvolgono la salute dei cittadini assiemealla difesa del lavoro e del territorio.

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Convegno* - Le tre agricol-ture: contadina, industriale,ecologica. Nutrire il pianetae salvare la terraa cura di Pier Paolo POGGIO**

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INTRODUZIONENegli ultimi anni l’agricoltura è tornata inprimo piano; è un fatto importante e sor-prendente che smentisce l’idea diffusa manon più dominante che prevedeva la suasoppressione, riducendola a un reparto del-l’industria, senza più un legame organicocon la terra, divenuta un semplice sostegnospaziale. Per capire quel che è successo e gliscenari futuri bisogna allargare lo sguardo aun paesaggio ricco e multiforme in cui coe-sistono una grande pluralità di forme di agri-coltura e sistemi agro-alimentari, senzadimenticare che la spinta verso un’agricoltu-ra libera dai vincoli naturali si è tutt’altro cheesaurita, anzi in termini di potenza e forzaeconomica e finanziaria surclassa le agricol-

ture tradizionali e le agricolture alternative,accomunate da una opzione che per brevitàdiciamo ecologica. L’egemonia culturale del-l’industrialismo si è incrinata anche se non sipuò certo sostenere che si sia affermato unparadigma alternativo univoco. Siamo piut-tosto in una fase di incertezza e di conflit-tualità tra opzioni diverse, però una brecciasi è aperta sia nei Paesi di più antico e con-solidato sviluppo industriale come quellieuropei e nordamericani, sia in Paesi in cuil’agricoltura contadina è presente ancora inmodo massiccio e combattivo, tanto inAmerica Latina che in Asia e in Africa (sep-pure sotto la pressione pesantissima dell’a-gribusiness). Le cause della rottura del per-corso unilineare sono molteplici, sta di fatto

*Brescia 20 - 22aprile 2015, Museodell’Industria e delLavoro (MUSIL) diRodengo Saiano.Promotori:Fondazione LuigiMicheletti, SlowFood Lombardia.**Direttore dellaFondazione LuigiMicheletti diBrescia.

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Nutrire il pianeta. Energia per la vita, nonpoteva EXPO 2015 trovare un tema dai con-tenuti maggiormente stridenti rispetto allagrandeur che dai tempi del Crystal Palace diLondra e della Torre Eiffel di Parigi accom-pagnano l’organizzazione delle grandi espo-sizioni universali. Il Mega evento milanesepretende di tenere assieme la garanzia dicibo sano, sicuro e sufficiente per tutti, nelrispetto del pianeta e dei suoi equilibri conun modello economico fondato sull’esclu-sione e sullo sfruttamento di persone e terri-tori, la genuinità dei prodotti di eccellenzacon la scarsamente appetibile produzioneindustriale globale. Quest’ultima è capace diimporsi solo in assenza di prodotti concor-renti e ha come principale strategia la can-cellazione di ogni possibile forma alternativadi produzione agroalimentare.Nell’area Expo in periferia di Milano saràdifficile non sentire disagio pronunciandotermini come spreco, fame, povertà, e se cisarà occasione di parola sui problemi a essi

correlati dubitiamo che anziché testimo-nianze sentiremo la parola degli esperti checonoscono il cibo e la terra soprattutto comemerci e corridoi per il loro spostamento. Perquesto riteniamo importanti le iniziative tesea restituire la parola ai veri protagonisti dellaproduzione agroalimentare, troppo a lungoprivati anche di questo diritto oltre a quellodi decisione. Il convegno che si terrà aBrescia dal 22 al 24 aprile 2015 sulle tre agri-colture – quella contadina del passato, quel-la industriale contemporanea e quella possi-bilmente ecologica del futuro – qui presenta-to da Pier Paolo Poggio direttore dellaFondazione Luigi Micheletti di Brescia,un’ottima occasione di dialogo e confronto,sarà seguito da Medicina Democraticaanche per le tante implicazioni che, comeaffermato nel precedente contributo di EnzoFerrara ed Enrico Moriconi, correlano la pro-duzione agroalimentare alla cultura del-l’ambiente e della salute. (“Medicina Democratica - O.n.l.u.s.”)

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che sia nelle città metropolitane sia nellecampagne, trasversalmente ai ceti sociali, neicontesti caratterizzati dal consumo opulentocome nelle regioni più povere, il modello diagricoltura industriale e i suoi prodotti ali-mentari hanno incontrato critiche e resisten-ze sempre più diffuse che la stessa crisi eco-nomica di lunga durata in atto dal 2007 nonè riuscita a spazzare via, segno inequivocabi-le del radicamento strutturale e della forzaculturale delle varie forme di resistenza e diproposte alternative.Il titolo del Convegno qui presentato “Le treagricolture: contadina, industriale, ecologi-ca” intende evocare una semplice e innega-bile successione storica e, in definitiva, ilrapporto istitutivo tra storia e agricoltura. Intale ottica, l’agricoltura è alla base del corsostorico, segnando una discontinuità con gliavvenimenti che segnavano l’interazionequasi immobile fra uomo e ambiente natura-le delle ere precedenti. Contrariamente aquanto ci restituiscono molte e potenti rap-presentazioni letterarie, il mondo contadinonon è mai stato eterno e immutabile, bensìprofondamente implicato nella dinamicastorica fungendone da supporto. Lo è tantopiù oggi a decenni o secoli, a seconda del-l’angolo visuale, della sua conclamata scom-parsa: una fine che nell’immaginario corren-te (ma non più dominante) segna l’avviodella modernizzazione, una traiettoria inar-restabile che tutto travolge a velocità cre-scente. Su questo scenario il ritorno dei con-tadini, esemplificato da fenomeni come “Lavia campesina” e molti altri, segna una pie-tra d’inciampo su cui riflettere e uno stimoloall’azione. L’agricoltura contadina non è allo-ra solo l’incarnazione di un passato da archi-viare o, all’opposto, da evocare sentimental-mente, ma una dimensione rilevante deltempo presente. Al di là dei giudizi tecnici odi valore, questo è un dato di fatto, e non sitratta di un fenomeno esotico o puramentemarginale. Per motivi che meritano di essereindagati la “soluzione finale” non è giunta acompimento. L’agricoltura contadina appar-tiene al passato ma anche al presente e forseal futuro. Resiste e non solo, anche in Italia,un Paese che più di altri ha creduto e tuttoracrede nel miracolo della modernizzazioneindefinita, a cui affidarsi per superare i suoiguai e i pretesi ritardi.

Un Paese che ha creduto come pochi nel-l’industrializzazione, specie quando que-st’ultima è riuscita a soddisfare i bisogni ele-mentari delle masse lavoratrici, con la diffu-sione su grande scala dei beni di consumodurevoli, ma ancor più con la rivoluzionealimentare, resa possibile dall’industrializza-zione di agricoltura, allevamento e pesca,nonché della trasformazione e distribuzionedegli alimenti. Si è trattato di uno tsunamicapace di travolgere e annichilire tutte leresistenze. Con prodromi che affondano neidecenni precedenti, a partire dagli anniSessanta del Novecento, l’industrializzazio-ne dell’agricoltura, facente perno sulla mec-canizzazione e la chimica, si è imposta intutto il Bel Paese, con cambiamenti enormi erapidi, alla cui conclusione il settore prima-rio tradizionale è risultato marginalizzato daogni punto di vista, economico, sociale, cul-turale, politico. L’agricoltura, nella visionecorrente, è diventata un reparto dell’indu-stria, adottandone la logica di standardizza-zione, uniformazione, economie di scala,espulsione e precarizzazione della manodo-pera (in termini più radicali che nel settoremanifatturiero).

LE TRE STORIE DELL’AGRICOLTURA:CONTADINA, INDUSTRIALE, ECOLOGI-CAL’agricoltura industriale ha avuto il suo bat-tesimo effettivo negli Usa già nel XIX secoloe da allora, pur tra contrasti e conflitti duris-simi, si è imposta sulla scena mondiale attra-verso formule politiche diverse e configgen-ti: nei Paesi capitalisti e nelle loro colonie,così come nei Paesi socialisti o ex comunisti,sotto regimi politici di destra e di sinistra. Ilprogresso dell’agricoltura industriale è statopresentato e visto come l’unica via percorri-bile per risolvere i problemi di base dell’u-manità, per debellare la fame e la povertà,alimentare una popolazione mondiale incontinua espansione demografica, consenti-re a tutti di poter godere del benessere che laproduzione industriale nel suo complessoera in grado di mettere a disposizione.Questa grande narrazione trovava poi la suapiena legittimazione nella saldatura tra indu-strializzazione dell’agricoltura (e di tutte lefiliere del comparto alimentare) e sviluppidella tecnica e della scienza. L’agricoltura

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moderna, di oggi, non è più soltanto indu-striale ma tecno-scientifica, non è più soloquestione di meccanica e chimica ma di bio-tecnologia e genetica: uno scenario fanta-scientifico se rapportato alle esperienze evisioni dei contadini di ieri (e di oggi), conintrecci inestricabili tra centri di ricerca eaziende chimiche e farmaceutiche, Stati,organismi sovranazionali, capitali di rischio,speculazioni sulle derrate, privatizzazione ecommercializzazione di ogni risorsa natura-le (e umana).L’agricoltura capitalistico-industriale si èstrutturata secondo le esigenze tecniche ecommerciali della distribuzione alimentare,a sua volta industrializzatasi attraverso l’af-fermarsi dilagante dei “supermercati” e lacreazione di complesse catene logistiche sututto il food system. Solo che questa macchi-na formidabile, circondata di manutentori epropagandisti, presenta delle crepe e vibra-zioni pericolose, sembra procedere allacieca, creando guasti eccessivi nel terreno sucui poggia e avanza, arrecando danni alleforme viventi che travolge e alle stesse per-sone che trasporta nella sua marcia apparen-temente inarrestabile. In sintesi le promessenon mantenute e i problemi principali del-l’agricoltura industriale nella sua versionepiù avanzata sembrano essere i seguenti: 1) èinsostenibile per l’ambiente, a causa dellosperpero di risorse non rinnovabili e per ipesanti attacchi che porta alla varietà e vita-lità degli ecosistemi terrestri (e marini), oltreche ai paesaggi storicamente costruiti; 2) pro-duce alimenti di bassa qualità, minando alleradici la varietà e ricchezza delle tradizionialimentari locali e regionali; 3) fomenta con-flitti politici e vere e proprie guerre; 4) toglieposti di lavoro e moltiplica i lavori semi-schiavili; 5) diffonde la cultura dello sprecoe del consumo senza qualità e consapevo-lezza.Le implicazioni dell’agricoltura industrialesulla salute dei consumatori sono, a lorovolta, oggetto di forti controversie. In terminigenerali l’agricoltura e l’intero sistema delcibo per come sono oggi strutturati e funzio-nano concorrono a riprodurre la disugua-glianza, creando una divisione inaccettabiletra chi ha troppo e spreca alimenti e chimanca del cibo o deve accontentarsi di ali-menti scadenti e insufficienti: una macchina

formidabile e in continua espansione non stanutrendo il pianeta ma una struttura diingiustizia. Non meno importante, anzi anostro avviso decisivo, è il secondo dato cri-tico saliente, specifico della nostra epoca,ossia l’incompatibilità tra l’agricoltura indu-strializzata e l’ecosfera, la vita degli ecosiste-mi e la colonizzazione del globo da parte del-l’agrobusiness. Se il primo aspetto, nono-stante tutti i fallimenti, parrebbe risolvibilecon un diverso assetto politico-sociale, ameno che non lo si ritenga giustificabile inquanto esito dell’economia di mercato, laseconda criticità comporta una discontinuitàforse più impegnativa e per questo motivorisulta inaccettabile e regressiva per la visio-ne prevalente, che riesce a pensare il temposolo come processo di avanzamento mecca-nico, unilineare, guidato dalla tecno-scienza.Oggi tutti i settori della società e dell’econo-mia sono investiti dal dilemma causato dallacrisi ecologica globale, di cui il riscaldamen-to del pianeta è solo una delle manifestazio-ni. E’ possibile e necessario continuare sullastrada in cui ci troviamo, avente il suo epi-centro e motore effettivo nell’industrializza-zione, oppure è auspicabile e necessariocambiare rotta e iniziare concretamente latransizione ecologica, collocandosi cultural-mente e materialmente al di là del ciclo sto-rico dominato dall’industrializzazione delmondo? Nel primo caso il modello che siintende realizzare comporta il controllo tota-le della natura o, almeno, dei rapporti tra laspecie umana e l’ambiente. Attraverso unaserie di passaggi che, per altro, si stanno rea-lizzando rapidamente, la meta consiste nel-l’artificializzazione del mondo, superando loscarto tra ambiente (natura) e mondo(società). A questo punto l’agricoltura nonavrà più ragion d’essere, tutti i prodotti ali-mentari saranno completamente artificiali,realizzati senza passare attraverso il rapportocon la terra e i cicli naturali. Nel secondocaso, l’agricoltura, da settore marginale delsistema economico tardo industriale, acqui-sterà una imprevista importanza e addirittu-ra centralità, nel senso che le partite decisivedel futuro si giocheranno attorno al cibo, laterra, l’acqua. Si delineano due scenari: gene-ralizzazione ad ogni ambito della vita dell’e-conomia industriale, nella sua attuale formaa dominanza capitalistico-finanziaria, oppu-

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re conversione ecologica dell’economia edella società, partendo dall’agricoltura e ali-mentazione in quanto ambiti in cui la con-versione è immediatamente fattibile, esperi-bile, tangibile. Una economia contadina rin-novata, ecologica, può far leva su alcuniindubbi punti di forza: è in grado di fornireun reddito dignitoso, un lavoro soddisfacen-te, la sperimentazione di nuove forme diconvivenza sociale e con l’ambiente di vita.La sua affermazione, passando da situazionidi nicchia a fenomeno socialmente rilevan-te, le consentirà di svolgere un ruolo prezio-so di rigenerazione sul piano sociale, ecolo-gico, culturale (e/o spirituale).È in atto un passaggio d’epoca di cui è diffi-cile avere l’esatta percezione, ma per tutticoloro, pochi o tanti che siano, che nonintendono sottomettersi all’autonomizzazio-ne della Tecnica, la forma contemporanea diservitù volontaria, la riconsiderazione radi-cale del rapporto dell’uomo con la natura,l’attenzione per i modi di produzione-tra-sformazione-distribuzione delle risorse ali-mentari, del cibo in primo luogo, si impon-gono come altrettanti imperativi culturali epolitici. Come sottolinea un recente docu-mento di Slow Food (“Ritornare alla Terra”),il ritorno alla Terra racchiude in sé un valoreimmenso, troppo spesso banalizzato e con-fuso con un ingenuo auspicio di un impos-sibile ritorno a un passato irreplicabile. Ilritorno alla terra è invece un riavvicinamen-to ai ritmi naturali dai quali la cultura mecca-nicistica dell’accumulazione ci ha allontana-ti. E’una rivoluzione copernicana che ci invi-ta essenzialmente a tre rivoluzioni culturali: - rimettere al centro dell’operare umano ilvalore aggiunto del saper fare e della manua-lità;- riconsiderare il valore del tempo, dei tempidell’attesa, come parte significativa dellosvolgersi temporale, del susseguirsi dei pienie dei vuoti come ciclicità che rigenera; - rivalutare il silenzio e l’otium come oppor-tunità di conoscenza, come capacità di gode-re senza consumare.Quel che sta avvenendo negli ultimi tempiun po’ in tutti i Paesi, anche se in formemolto diverse e con diverse sensibilità e visi-bilità sembra confermare che l’agricoltura, lalavorazione della terra, la produzione, ladistribuzione e il consumo degli alimenti,

costituiscono settori in cui le due opzionisommariamente richiamate si fronteggianoin una partita che pare aperta, nonostante lavistosa disparità delle forze. Al punto che,addirittura in termini strettamente economi-ci, l’agricoltura cosiddetta “biologica”, staconseguendo performance, in certi casi,superiori alle produzioni industrializzate,geneticamente modificate, ad alta intensitàchimico-farmaceutica. Una situazione chespiega le forti compagne mediatiche soste-nute da portatori di interessi particolarmen-te robusti, ma anche da chi si batte sempli-cemente in nome del progresso scientificocontro derive considerate oscurantiste e rea-zionarie. Si pone però anche il problema diuna possibile convergenza tra agricolturabiologica e industria, così come di tanteforme intermedie che mettono in discussio-ne le contrapposizioni più rigide e astratte.Insomma si deve prendere atto che l’agricol-tura, le forme e i modi di lavorare la terra e dirapportarsi ad essa da parte della società chene utilizza i prodotti per riprodursi sonodiventati inopinatamente banchi di prova dinuovi e antichi conflitti ideologici, espliciti omascherati.Un’evoluzione sorprendente rispetto agliscenari dominanti nel Novecento, nonchéalla tendenza in atto su scala globale verso laconcentrazione di masse crescenti di popo-lazione in agglomerati urbani, talvoltamostruosi, in cui si raccoglie ormai la mag-gioranza della popolazione mondiale. Maparadossalmente i contadini dimostrano unmaggior protagonismo da minoranza piutto-sto che quando raccoglievano grandi mag-gioranze prive di peso politico, culturalmen-te emarginate. La nostra tesi è che ciò accadeperché l’agricoltura è il comparto in cui simanifesta con maggiore incidenza il conflit-to centrale della nostra epoca, quello tra eco-nomia industrializzata e ambiente, tra tecni-ca e natura. Non ci si deve far ingannaredalla scarsa attenzione che vi prestano imedia, le forze politiche, gli opinion maker,oltre, ovviamente, tutte le correnti di pensie-ro tecnofilo, sia apologetiche che critiche neiconfronti del capitalismo. La partita è sicu-ramente rilevante se non decisiva e gli attoriin gioco sono molteplici e tra loro spesso dis-sonanti, anche nel campo delle agricolturealternative rispetto a quella mainstream, a

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sua volta contaminata da pratiche tradizio-nali e da aperture reali o solo pubblicitarieverso i temi della sostenibilità e dell’impattoambientale (tema cavalcato dalla pubblicitànel rapporto coi clienti finali).

STRUTTURA DEL CONVEGNOUn esame analitico delle principali opzionialternative all’agricoltura industriale è unodegli obiettivi del Convegno ma bisognaricordare che la crisi ecologica ha riattivatoposizioni di critica dell’agricoltura di segnodiverso, che hanno una lunga storia e chepossono trovare oggi nuove formulazioni intermini tanto ecologici che scientifici. Dettoin breve, si argomenta che la contrapposizio-ne tra agricoltura e industria è fasulla, datoche proprio l’agricoltura è stata alla basedella frattura originaria tra la specie umana ela natura, quindi proprio l’agricoltura ha for-giato i quadri mentali, le pratiche e i saperiche poi l’industria ha ereditato e enorme-mente potenziato. Inutile dire che in talmodo vengono evocati temi che hanno a chefare con la nascita delle civiltà e delle reli-gioni (o della storia). Tornando però a oriz-zonti più limitati, ci limitiamo a sostenere,polemicamente, che il fondamentalismoecologico, antiumanistico, si salda perfetta-mente con l’assolutismo tecnologico: inentrambi i casi, in nome della Natura o dellaTecnica, non c’è posto per la specie umana,che deve essere reintegrata nell’ambiente otrascesa verso una qualche postumanità.Il rapporto tra le tre agricolture è di carattere

storico ma anche dialettico. La posizione dichi organizza il Convegno, il che non vuoldire di chi vi prenderà parte, è che l’agricol-tura ecologica, rispondente ai bisogni e allenecessità dell’oggi, debba raccogliere e supe-rare sia l’eredità dell’agricoltura contadinache di quella industriale, cosa che sarebbeimpossibile se il progetto della modernità,imperniato sulla distruzione del mondo con-tadino, si fosse realizzato secondo i tempi e imodi previsti dalle ideologie politiche otto-novecentesche. E’ necessario sicuramenteaprirsi al futuro e fare i conti con gli esitimigliori della ricerca scientifica, quandoispirata alla salvaguardia della salute edignità dei viventi, ma è altrettanto necessa-rio riconoscere l’importanza del mondo con-tadino di ieri e di oggi per il ruolo che hasvolto nel passato e tutt’oggi nel nutrire e sal-vare il pianeta. L’agricoltura ecologica nascedalla convergenza consapevole di passato efuturo e ha ottime carte da giocare per la qua-lità della vita degli individui (e del pianeta),a fronte della depressione e del nichilismoche rimbalzano dall’economia alla politica,minando le società e le culture. La sua affer-mazione e generalizzazione sono in grado dioffrire sia lavoro che soddisfazione nel lavo-ro, realizzando un miglior equilibrio mente-corpo; di porre progressivamente al riparo legenerazioni future dai guasti ambientali del-l’attuale modello di vita; di restituire o ren-dere possibile la sovranità alimentare allecomunità umane, contribuendo a renderlecapaci di costruirsi il proprio destino.

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BIBLIOGRAFIA1. Resistenza contadina di Pier Paolo Poggio - Icontadini come novità di Silvia Pérez-Vitoriaincontro con Giuliano Battiston - L’agricoltura inItalia di Alberto Rocchi - Prima i braccianti diAlessandro Leogrande - Le cose belle si ottengo-no lottando di Yvan Sagnet - L’accaparramentodelle terre di Stefano Liberti, in “Il ritorno allaterra”, Lo Straniero, N. 141, marzo 2012.2. Marcel Mazoyer and Laurence Roudart, Ahistory of world agriculture, From the NeolithicAge to the Current Crisis. London Sterling, VA(USA) 2006.3. Marc Edelman, Tony Weis, Amita Baviskar,Saturnino M. Borras Jr, Eric Holt-Giménez,Deniz Kandiyoti & Wendy Wolford,Introduction: critical perspectives on food sove-reignty, The Journal of Peasant Studies, Volume

41, Issue 6, 2014, pages 911-931. 4. Ornella Bellucci, testimonianze sul braccian-tato sfruttato e abusato: Terre Emerse, RAIRadio3 ( http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/pro-grammi/PublishingBlock-f72882ff-f3bc-41dc-85fa-49f15e4e7f7c.html); Testimonianze suimutamenti del lavoro agricolo in Italia: Terre diPuglia, podcast RadioArticolo1 (www.radioarti-colo1.it ).5. Holt-Giménez Eric; Patel Raj, Food rebellions!La crisi e la fame di giustizia, Slow Food (colla-na Terra Madre) 2010.6. Carlo Petrini, Buono Pulito e Giusto, Einaudi,Torino 2005.7. Roberto Meregalli, CIBO non CIBO. La fragi-lità alimentare, Dai campi alla tavola conoscereper cambiare, MC 2014.

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Genetica, OGM e agricoltura

di Giorgio FORTI*

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In questi giorni il dibattito sugli organismigeneticamente modificati (OGM) si sta svi-luppando con rinnovata intensità, anche inrelazione a progettate modifiche, nellaComunità Europea ed in Italia, delle normeche regolano il loro uso in agricoltura. Sivuole qui dare un contributo alle conoscen-ze necessarie per valutare razionalmente ilproblema, che molti affrontano troppo emo-tivamente. Occorre respingere l’introduzio-ne degli OGM in agricoltura, che rappresen-tano lo strumento chiave con cui le grandimultinazionali del biotec assoggettano gliagricoltori, a tutti i livelli sociali della loroposizione nella divisione del lavoro agrico-lo. Per questo, occorre evitare di usare argo-menti che possano facilmente esser squalifi-cati come prescientifici, o che possano effet-tivamente ostacolare il progresso dellaconoscenza e delle importanti applicazionidella “ingegneria genetica” per la terapiagenica.Gli OGM sono piante o animali in cui sonostati introdotti uno o più geni estratti da altriorganismi, anche di specie diversa, conmetodi diversi da quelli naturali della ripro-duzione sessuale. Lo scopo dichiarato dellaproduzione di OGM è di ottenere piante oanimali che abbiano caratteristiche pregiateper l’economia umana, o siano di beneficioper la cura di malattie ereditarie o insorgen-ti durante la vita (“terapia genica”). La valu-tazione del “pregio” degli OGM viene fatta,nella realtà dell’economia di mercato chedomina il mondo di oggi, sulla base del pro-fitto delle aziende che attuano e commer-cializzano tale produzione, e spesso otten-gono appoggio e promozione da parte deigoverni di molti Paesi, senza alcuna consi-derazione degli aspetti ambientali né diquelli sociali delle popolazioni a cui tale

politica industriale viene proposta, o, nellamaggioranza dei casi, imposta. Per comprendere la base scientifica di que-sta operazione industrial-commerciale sononecessarie alcune nozioni, discusse qui diseguito.Nella seconda metà del XX° secolo è statascoperta la natura chimica dei geni respon-sabili della trasmissione dei caratteri eredi-tari, dando così sostanza in termini di strut-tura chimica alla grande scoperta di Mendel(del 1865) che aveva, con i celebri esperi-menti di incroci di piselli, dimostrato ilmodo generale in cui vengono trasmessi icaratteri ereditari, indipendentemente gliuni dagli altri, o associandosi in ben defini-ti modi; ha così avuto inizio la ScienzaGenetica. Mendel ignorava tutto della bio-chimica dei caratteri ereditari, ed i “caratte-ri” che i figli ereditano dai genitori erano dalui simboleggiati con le lettere dell’alfabeto,maiuscole e minuscole: aveva creato unmodello matematico dell’eredità biologicacon esperimenti che prendevano in consi-derazione caratteri ereditari facilmente rico-noscibili a occhio nudo. Mendel non potevatuttavia collegare le sue conclusioni decisi-ve alle conoscenze sulla biochimica e lafisiologia dei viventi, in rapido progresso aisuoi tempi, ma ancora del tutto inadeguataa questo scopo. La natura ed il modo di fun-zionare dei geni mendeliani (come oggichiamiamo i suoi “fattori ereditari”) risiedenei dettagli della struttura chimica del lorocostituente, il DNA (scoperta 88 anni dopo),che dà ragione delle singolari proprietà diquesta macromolecola, capace sia di tra-smettere l’informazione genetica alla gene-razione successiva riproducendo sé stessain copia fedele (ma con un piccolissimomargine di errore, dal quale dipende la

*Prof Emerito allaFacoltà di Scienze

dell’Universitàdegli Studi diMilano, socio

dell’AccademiaNazionale dei

Lincei.

66 dossier

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Evoluzione darwiniana dei viventi), che ditradurre questa informazione nella strutturadelle proteine, che sono gli effettori di tuttele funzioni degli organismi viventi. Tutte,compresa quella di riprodursi simili a séstessi, compreso il processo dello sviluppoembrionale, compreso il funzionamento delcervello, e quindi la prestazione che sta allabase dell’evoluzione culturale: cioè il mododi formazione e funzionamento dei collega-menti tra neuroni, dai quali dipende laconoscenza e la memorizzazione di quantoappreso con l’esperienza.La corrispondenza chimica tra la strutturadel DNA (il gene) e quella delle proteine è lastessa in tutti i viventi: animali e piante,virus e microrganismi adoperano lo stessolinguaggio genetico, universale. Questo fattocostituisce un argomento molto forte a favo-re della teoria darwiniana dell’Evoluzione,perchè consente di capire come, modifican-dosi chimicamente il DNA, si modificano inmodo corrispondente le proteine e quindi lestrutture e funzioni fisiologiche, cioè le pre-stazioni dei viventi necessarie per adattarsiall’ambiente in cui vivono. Si è oggi in grado di trasferire un tratto diDNA, contenente uno o più geni, da unorganismo ad un altro, con metodi diversida quelli naturali della riproduzione sessua-le che trasferisce i geni entro la specie (gliibridi interspecifici sono sterili). I metodiusati per creare gli OGM vengono collettiva-mente indicati come “ingegneria genetica”.La modificazione del patrimonio geneticodi una cellula avviene, in natura, in diversimodi. Il principale è la riproduzione ses-suale, quando il gamete maschile “inietta” ilproprio nucleo cellulare nel gamete femmi-nile: tutti i geni (tutto il DNA) del gametemaschile vengono così iniettati nel gametefemminile, e si forma la cellula (lo “zigote”)da cui ha origine il nuovo individuo. Suquesta imponente modificazione geneticadi una cellula è basata la vita e l’evoluzionedegli organismi. Esistono tuttavia altri modi,naturali e no, di modificazione genetica, incui solo uno o pochi geni vengono aggiuntio modificati: (i) l’incorporazione di geni “estranei”mediante l’ingresso nella cellula di virus oplasmidi che la infettano, introducendo ilproprio DNA. Questi apporti possono cau-

sare malattie, ma possono anche esserebenefici, o almeno innocui. I biologi pensa-no oggi che questo fenomeno abbia contri-buito e contribuisca più di quanto si pen-sasse un tempo all’evoluzione biologica,perché modifica il DNA e le modifiche pos-sono essere trasmesse alla discendenza. (ii) L“ingegneria genetica”, cioè la produ-zione di OGM, che può essere praticata suanimali, piante o microrganismi. Nei duecasi citati, l’infezione da virus e la costru-zione di OGM, il DNA introdotto vieneincorporato nel DNA della cellula recipien-te con gli stessi meccanismi biochimici cheoperano in natura nella ricombinazionegenetica durante la formazione delle cellulesessuali ( i “gameti”) maschili e femminili.Una importante utilizzazione dell’ingegne-ria genetica è la cosiddetta “terapia genica”,che da poco ha cominciato ad essere utiliz-zata con qualche, notevolissimo, successo.Di questa importantissima applicazionedella bioingegneria non voglio qui trattare,limitandomi agli OGM di piante coltivate.La produzione di piante OGM è diventatauna grossa attività di grandi aziende multi-nazionali, ed ha lo scopo di produrre piantedi interesse agricolo con specifiche caratte-ristiche desiderate: maggiore produttività,resistenza a malattie da parassiti (virus, bat-teri, funghi o insetti), resistenza ad avversecondizioni climatiche o comunque ambien-tali, resistenza agli erbicidi usati in agricol-tura come diserbanti. Siccome la produzio-ne di OGM richiede competenze ed attrez-zature che le aziende agricole, di qualsiasidimensione, non possono avere, essa è pre-rogativa di grandi aziende industriali, cheproducono e vendono agli agricoltori lesementi OGM (nei paesi i cui governi liaccettino) dopo averle brevettate.Gli agricoltori che le acquistano sono cosìdeprivati della loro tradizionale prerogativadi riprodurre le proprie sementi, perchésono costretti, per contratto, a comperarledalla Società proprietaria del brevetto. Oltreal danno economico immediato del doveracquistare la semente per ogni semina, chicoltiva la terra è ridotto allo stato di dipen-dente, precario e non pagato, di grandisocietà multinazionali. Attualmente la mul-tinazionale USA Monsanto produce evende circa l’80% delle sementi OGM in

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commercio (vedere “Il Mondo SecondoMonsanto”, di Marie M. Robin, AriannaEditrice 2009). L’imposizione degli OGMagli agricoltori sopprime così una ricca cul-tura umana, patrimonio che è cresciuto ecresce attraverso le generazioni, ed ha pro-dotto varietà locali di piante coltivate, spes-so molto ben adattate all’ambiente in cuisono state selezionate. Assoggetta anche laricerca libera di ricercatori di Università edEnti pubblici di ricerca, che, con il miraggiodi partecipare ai vantaggi economici di bre-vetti utilizzati da grandi multinazionali,adottano i criteri del “mercato”, basati sullaconcorrenza e competizione. I quali nonsono congeniali alla ricerca scientifica cheper la sua natura di avventura intellettualerichiede invece cooperazione e mente e fan-tasia libere da calcoli economici. Questo tra-dimento degli addetti ai lavori ha già causa-to e causerà danni gravissimi al progressoscientifico.La politica dei governi che hanno messo inatto la teoria economica neo-liberista, e perquesto hanno tagliato drasticamente le risor-se per la ricerca scientifica alle Università edagli Enti pubblici di ricerca, ha imposto airicercatori di finanziare le proprie ricerchecercando i finanziamenti “sul mercato”:cioè chiedendole alle grandi corporazioniindustriali ed alle banche, che concedono ifinanziamenti solo alle ricerche che giudi-

cano, con i propri criteri, redditizie.D’altra parte, i successi degli OGM per la

produttività agricola sono stati, sinora, estre-mamente modesti, limitati alla resistenza adalcuni parassiti ed a diserbanti usati controle piante infestanti. Inoltre, in certi casi èavvenuto che la modificazione genetica siainstabile e si perda in poche generazioni,probabilmente per la scarsa efficienza del“promotore” a cui il gene trasferito è legatosul DNA della cellula recipiente.Tra gli inconvenienti degli OGM si deveanche considerare la contaminazione dei“campi del vicino” che non li desidera, e sitrova le coltivazioni contaminate da essi,perché il loro polline è diffuso dal vento odagli insetti. Inconvenienti sono stati ripor-tati anche per la salute umana, alcuni deiquali meritano certo più approfondita anali-si prima di accettare l’uso degli OGM nellapratica agricola, cioè nella produzione delcibo per noi e gli animali.Nonostante l’istintiva diffidenza del pubbli-co verso gli OGM, la loro diffusione è pur-troppo aumentata di continuo negli annirecenti, a riprova della potenza di persua-sione delle grandi compagnie multinaziona-li, che ottengono spesso l’appoggio deigoverni, soprattutto nei paesi del terzomondo ed in America settentrionale, e lacomplicità di parte almeno dei ricercatoriscientifici, a tutti i livelli.

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Il diritto alla vita appesoal ramo e la svolta risarci-toria

di Roberto RIVERSO*

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Fino alla sentenza 1361/2014 dellaCassazione, la giurisprudenza offriva l’op-portunità di effettuare “il delitto perfetto” alivello civilistico (s’intende) e di non paga-re nulla nel rispetto dell’ordinamento;bastava uccidere immediatamente e sce-gliere una persona che non avesse unaoccupazione, nè prossimi congiunti; e nonsi rischiava assolutamente niente. Da circa un secolo la giurisprudenza domi-nante (dalla Cassazione alla CorteCostituzionale) sosteneva infatti che chimuore immediatamente per responsabilitàaltrui non subirebbe alcun danno civilisti-co perché - questo il paradosso del dirittoalla vita - quando è arrivata la morte il sog-getto più non esisteva per maturare il dirit-to al risarcimento e trasmetterlo iure here-ditatis. In sostanza l’ordinamento nonavrebbe potuto risarcire il danno alla vitaperché per il diritto non c’era nulla darisarcire e non essendoci nessuno su cuipotesse agire una riparazione civilistica ilrisarcimento avrebbe avuto una funzioneesclusivamente punitiva.Contro questa concezione – a dir pocoinquietante - poteva bastare lo stesso sensocomune ed il sentimento di giustizia cherifiutano di ammettere che chi ha perso lavita non abbia subito nessuna perdita.Oggi contro questa concezione si è espres-sa finalmente la Corte di Cassazione (sen-tenza n.1361/2014) con dovizia di argo-menti logici e giuridici.

PREMESSAAppeso al ramo di un albero, per circamezz’ora, fulminato da una scarica elettri-ca, lo sventurato lavoratore avrà provatosofferenza interiore percependo l’approssi-marsi della fine? Tratto da una vicenda

reale (Cass. n. 8360/2010), il caso riassumeil paradigma decisorio in base al quale lagiurisprudenza perveniva, talvolta, al con-troverso riconoscimento del c.d. dannotanatologico, con un incerto incedere dura-to circa 100 anni. Con la sentenza n. 1361/2014 la Cassazioneperviene ad una storica svolta, riconoscen-do per la prima volta, con una approfonditamotivazione che si snoda per più di 100pagine, il diritto al risarcimento del “dannoalla vita” in quanto tale, ovvero il danno damorte propria della vittima trasmissibileperciò iure hereditatis (agli eredi quali cheessi siano) nei cui confronti dovrà essereconseguentemente corrisposto l’equivalen-te.Si tratta di una sentenza importante chesegna un cambiamento di rotta epocalerispetto ad un orientamento giurispruden-ziale foriero di ingiustizie e disparità ditrattamento, troppo a lungo praticate. Nel novembre 2008 le stesse Sezioni Unitedella Cassazione con le quattro sentenzegemelle sul danno non patrimoniale, ave-vano incidentalmente rievocato la giuri-sprudenza sul danno da morte (c.d. tanato-logico) - inteso come danno morale (tra-smissibile iure successionis) - subito dallavittima di lesioni fisiche alle quali fosseseguita dopo breve tempo la morte e chefosse rimasta in lucida attesa durante l’a-gonia, “in consapevole attesa della fine”;da cui appunto la sofferenza morale ogget-to del risarcimento. Lo stesso pronunciamento delle Sez. Unite2008 rendeva bene, dunque, gli avvita-menti logici attraverso cui veniva costruitala figura del danno tanatologico nellanostra giurisprudenza. All’interno di unaimpostazione teorica che in via di princi-

*Giudice delLavoro presso ilTribunale diRavenna.

contributi giuridici 69

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pio non concepiva in realtà nessuna tutelaper il diritto alla vita, la Corte diCassazione era venuta creando una nozio-ne di danno tanatologico tanto sfaccettata,quanto gravida di dilemmi interpretativi esistematici. Non era chiaro prima di tutto dove risie-desse la demarcazione della linea stessadella risarcibilità ossia la distinzione tradanno tanatologico risarcibile e quello nonrisarcibile. Non si intuiva dove riposasse laseparazione con la diversa figura deldanno che veniva chiamato terminale eche era correlato alla morte che seguiva a

lunga distanza dal fatto lesivo (ad es. unamalattia professionale); figura rispetto allaquale veniva naturale domandarsi: maquando è che il danno tanatologico diven-ta terminale (dopo quanto tempo)? Neiconfronti del sistema del diritto civile ingenerale, poi, questa giurisprudenza pone-va soprattutto un interrogativo spiazzanterispetto all’ottica dei valori costituzionalinella quale era stata avvolta negli ultimianni la nuova sistematica del danno nonpatrimoniale: come era possibile, dunque,che il maggiore dei beni costituzionali di unapersona (la vita), tutelato nell’art.2 dellaCost., non venisse considerato sempre ecomunque risarcibile in caso di perditadovuta a fatto illecito altrui? Per non dire poidell’altalena interpretativa sulla naturaintrinseca del danno tanatologico che aseconda delle pronunce rilevava ora comemorale; altre volte come biologico o biologi-co catastrofico (ad es. Cass. 1072/2011); men-tre quello c.d. terminale era sempre undanno biologico, ma soltanto sub species dibiologico temporaneo.

Si tratta di distinzioni che sfuggono inrealtà ad una logica ricostruttiva chiara; eche riposano su criteri temporali incerti elatamente discrezionali: come l’immedia-tezza della morte rispetto al fatto lesivo checontraddistingueva il danno tanatologiconon risarcibile; il breve tempo che inveceveniva richiesto per l’ammissibilità deldanno tanatologico risarcibile; quello deltempo apprezzabile per il danno termina-le.

CRONOMETRISTI DELLA MORTE Tutto questo impianto non poteva checagionare incertezze e contraddizioni.Soprattutto per chi era obbligato a porsil’incongruente questione di quale duratadovesse avere la sopravvivenza per potersirisarcire la morte. Indotti dalla casistica, igiudici – ma non sono mancate lodevolieccezioni - si sono dovuti cimentare perciònel tragico ruolo di cronometristi dellamorte. In un caso la Cassazione (n. 870/2008) hadovuto cassare una sentenza di merito concui si era affermato che la sopravvivenza ditre giorni non integrasse un sufficientelasso di tempo tale da far acquistare allavittima il diritto al risarcimento del danno(qualificato peraltro come biologico). In un altro caso la Cassazione (4783/2001)ha invece stabilito che anche l’intervallo diquattro ore tra le lesioni e la morte potreb-be giustificare “la risarcibilità del dannobiologico iure hereditatis ove il danno fisi-co o psichico possa essere apprezzatodalla vittima come danno catastrofico purnel breve intervallo delle residue speranzedi vita”. Nella sentenza n. 8360/2010 la Cassazione,nel caso del lavoratore fulminato da unscarica elettrica proveniente dai fili dell’al-ta tensione mentre lavorava su un albero,ha sostenuto che anche la morte soprag-giunta dopo circa mezz’ora (essendo il decuius “rimasto appeso al ramo a cavalcio-ni”) meritasse un risarcimento del danno(già ritenuto come biologico e questa voltariqualificato dalla Corte come morale).

L’IRRILEVANZA DEL TEMPO E LA LUCI-DA AGONIA La giurisprudenza della Corte di Cassazione

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 201470 contributi giuridici

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aveva poi compiuto ulteriori passi nell’ela-borazione del danno tanatologico, superan-do del tutto la distinzione tra morte imme-diata e non immediata e dando risalto esclu-sivamente alla (prova della) percezionedella sofferenza. In qualche modo riveden-do e precisando i propri precedenti distin-guo ed anche l’arresto delle Sezioni Unite(SU) 2008 prima cit. che (limitandosi adoperare una mera ricognizione sugli orien-tamenti di legittimità) richiedevano ancora– insieme, come si è visto – il breve lasso ditempo, la lucida attesa e l’agonia. In particolare con due sentenze del 2010 e2011, la Corte di Cassazione aveva chiaritoespressamente che ai fini del risarcimentodel danno non patrimoniale, tanatologico,iure hereditatis, fosse del tutto irrilevante illasso di tempo intercorrente fra il sinistro el’evento letale. La sentenza n.1072/2011 (richiamando altriprecedenti: Cass. 3260/2007; 4783/2001)aveva infatti statuito che: “ In caso di lesio-ne dell’integrità fisica - nella specie conse-guente ad un infortunio sul lavoro - cheabbia portato a breve distanza di tempo adesito letale, è configurabile un danno biolo-gico di natura psichica subito dalla vittimache abbia percepito lucidamente l’approssi-marsi della morte, reclamabile dai suoieredi, la cui entità dipende non già dalladurata dell’intervallo tra la lesione e lamorte bensì dall’intensità della sofferenzaprovata; il diritto al risarcimento di taledanno è trasmissibile agli eredi.” Nell’altra pronuncia la Cassazione (n.13672/2010) aveva pure affermato che “Incaso di morte che segua le lesioni fisichedopo breve tempo, il danno c.d. tanatologi-co, consistente nella sofferenza patita dallavittima che sia rimasta lucida durante l’a-gonia, in consapevole attesa della fine,dev’essere ricondotto nella dimensione deldanno morale, inteso nella sua più ampiaaccezione, ed il diritto al relativo risarci-mento è trasmissibile agli eredi.” Ed anchein questa sentenza la Cassazione ha proce-duto a cassare la pronuncia della corte dimerito la quale aveva ritenuto che l’ambitotemporale estremamente circoscritto deifatti rendesse irrilevante l’accertamentosull’esistenza in vita del lavoratore (almomento della sua estrazione dalle mace-

rie) e sulla sua richiesta di aiuto. In parti-colare in quel caso risultava che il lavora-tore prima di morire si fosse limitato sol-tanto a chiamare aiuto da sotto le maceriedi un muro che gli era crollato addosso. Enella stessa sentenza la Corte, dando ragio-ne dello sviluppo giurisprudenziale di cuisi è detto prima ha osservato che “nel qua-dro sistematico del “danno non patrimo-niale” complessivo recentemente precisatodalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass.S.U. 11 - 11 - 2008 n. 26972), deve esserericonosciuto (ove, in sostanza, allegato eprovato) il “danno morale, a ristoro della

sofferenza psichica provata dalla vittimadi lesioni fisiche, alle quali sia seguitadopo breve tempo la morte, che sia rimastalucida durante l’agonia in consapevoleattesa della fine”. Peraltro questa Corte,anche in precedenza aveva affermato chela brevità del periodo di sopravvivenza allelesioni, se esclude l’apprezzabilità ai finirisarcitori del deterioramento della qualitàdella vita in ragione del pregiudizio dellasalute, ostando alla configurabilità di undanno biologico risarcibile, non escludeviceversa che la vittima abbia potuto per-cepire le conseguenze catastrofiche dellelesioni subite e patire sofferenza, il dirittoal cui risarcimento, sotto il profilo deldanno morale, risulta pertanto già entrato afar parte del suo patrimonio al momentodella morte, e può essere conseguentemen-te fatto valere “iure hereditatis”.In sostanza, sulla scorta degli sviluppi giu-risprudenziali di cui sopra, poteva affer-marsi che la giurisprudenza della Corte diCassazione avesse del tutto superato ilrequisito della morte immediata richieden-

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do soltanto quello della percezione dellasofferenza (Cass. 1072/2011 parla appuntoin sentenza della “irrilevanza del lasso ditempo intercorrente fra il sinistro e l’even-to letale”). Quello che occorreva, dunque, secondol’ultima giurisprudenza era soltanto la per-cezione della fine; non era necessario che ilgiudice di merito cronometrasse un perio-do di tempo apprezzabile tra la morte e l’e-vento. D’altra parte sarebbe veramenteassurdo pretenderlo, operando una incertadistinzione (di maggiore o minore lasso ditempo) foriera di irrazionalità ed inevita-

bilmente in contrasto con la superioredirettrice di ragionevolezza che promanadall’art. 3 Cost. Perché cosa potrebbe maicambiare nella situazione di sofferenza diun lavoratore ad es. seppellito sotto terra(come nel caso giudicato dalla Cassazione n.13672/2010) se la sua morte fosse interve-nuta dopo 1 minuto piuttosto che dopo 15minuti? Tuttavia anche questa condizione selettiva,aveva posto i giudici dei casi concreti adoperare con incerte presunzioni, spingendo-si talvolta, in una fantasiosa ricerca dellapercezione della sofferenza, a vere e propriefinzioni, onde aggirare la rigidità dell’orien-tamento tradizionale. Una sentenza delTribunale di Trieste per verificare se unapersona che aveva subito gravissime lesionimortali (dopo un incendio) avesse maturatoil danno tanatologico è stata costretta a chie-dersi se è stata cosciente durante il coma epur senza alcun elemento in tale senso haconcluso che l’interessato avrà avutocoscienza nei 33 giorni di coma “seppurpresumibilmente e per brevi tratti”. Mentre

nel caso del lavoratore fulminato sull’alberola Cassazione (8360/2010) ha soltanto pre-sunto che la vittima fosse stata coscientepoichè i soccorsi non sarebbero stati tempe-stivi, ma senza accertare perché la mortesarebbe sopraggiunta veramente dopo circamezz’ora.

LA MANCANZA DI TUTELA DEL BENEVITA. ORIENTAMENTO PRECOSTITU-ZIONE Seguitando a richiedere la percezione dellasofferenza interiore della vittima, comecondizione per la risarcibilità del danno damorte, la giurisprudenza continuava co-munque a ribadire che l’ordinamento nonammettesse tutela per la perdita diretta delbene vita, secondo la disciplina costituzio-nale dei beni, premessa alla teorica oramaipiù che decennale del danno non patrimo-niale. Si poteva perciò affermare che per il sistemarisarcitorio civilistico la vita della personanon aveva valore; e tanto meno quella dellavoratore, posto che essa non veniva certoindennizzata dall’INAIL (Cass. Sez. 3, Sen-tenza n. 15760 del 2006) il quale si occupadelle sole conseguenze patrimoniali che lamorte del lavoratore produce a determina-ti congiunti, ai quali l’istituto eroga unarendita (per diritto iure proprio e non certoiure successionis). Il fatto più sorprendenteera poi apprendere che le basi teoriche diquesta clamorosa carenza di tutela fosserolargamente opinabili, ancorchè avessero tro-vato suggello in un pronunciamento dellaCorte Costituzionale (sentenza 27.10.1994n. 372) (1) la quale si era limitata, peraltro,ad attestarsi su un orientamento giurispru-denziale risalente, addirittura, al periodopre-costituzionale in quanto elaborato nel1925 dalle Sezioni Unite della Cassazione(con la sentenza n.3475). Insomma su unaquestione di così fondamentale portata, cisi immagina chissà quali argomenti edostacoli normativi insormontabili e si sco-pre invece che tutto si fonda su una sen-tenza pre-Costituzione secondo la quale“se è alla lesione che si rapportano i danni,questi entrano e possono logicamenteentrare nel patrimonio del lesionato solo inquanto e fin quando il medesimo sia invita. Questo spentosi, cessa anche la capa-

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cità di acquistare che presuppone appun-to e necessariamente l’esistenza di un sub-bietto di diritto. Onde, in rapporto alla per-sona del lesionato, come subbietto dell’a-zione di danni, questi restano senz’altroconfinati nell’ambito dei danni verificatisidal momento della lesione a quello dellamorte, ed è soltanto rispetto ad essi che glieredi possono agire iure heriditatis”. La stessa argomentazione viene ripresadunque dalla Corte Cost. 27 ottobre 1994 n.372 , come argomento definitivo e preclu-sivo per il risarcimento del danno alla vita(sia pure erroneamente prospettato dal giu-dice a quo come massima lesione dellasalute) ricordando appunto che secondo“la non recente sentenza delle Sezioniunite della Corte di cassazione (n. 3475 del1925)” “un diritto di risarcimento può sor-gere in capo alla persona deceduta limita-tamente ai danni verificatisi dal momentodella lesione a quello della morte, e quindinon sorge in caso di morte immediata, laquale impedisce che la lesione si rifletta inuna perdita a carico della persona offesa,ormai non più in vita”. E questo costitui-rebbe secondo la stessa Corte Cost. “ unlimite strutturale della responsabilità civi-le: limite afferente sia all’oggetto del risar-cimento, che non può consistere se non inuna perdita cagionata dalla lesione di unasituazione giuridica soggettiva, sia allaliquidazione del danno, che non può rife-rirsi se non a perdite.”A fondamento della tesi negativa del risar-cimento del bene vita, i supremi giudiciavevano dunque elaborato una giustifica-zione sofistica fondata sul più tipico degliargomenti epicurei: se c’è la morte non c’èla vita (e viceversa). Veniva opposto, insostanza, che il bene della vita non potesseessere risarcito per un limite intrinsecodello stesso ordinamento risarcitorio, inquanto la morte immediata si opporrebbealla maturazione (istantanea) del diritto alrisarcimento in capo alla vittima; talchènon essendovi iato tra vita e morte non cisarebbe stato il tempo (lo spazio tempora-le) per una maturazione del diritto in capoalla vittima (come soggetto di diritto, comepersona) da trasmettersi agli eredi. A questo orientamento si poteva subitoreplicare che, in realtà, il titolare del bene

vita (come in ogni altro caso) diventa tito-lare del diritto al risarcimento al momentostesso della lesione, nè prima, nè dopo (eche qui andasse tenuto conto della naturadel bene). Si poteva obiettare cioè che nelmomento stesso in cui un soggetto fosseprivato del bene della vita, egli diventavatitolare del diritto al risarcimento deldanno da trasmettere agli eredi. E non pareche contro questa argomentazione si potes-sero opporre barriere logiche insormonta-bili: non poteva certo dirsi che chi è priva-to della vita non venisse privato di nulla,perché appunto con la morte non c’è la

vita. Anche perché, come è stato notatoaltre volte, la relazione tra i beni e tra i duetermini del discorso non era da impostarein termini puramente temporali, maappunto logici; a fini giuridici; distinguen-do un prius (la perdita del bene vita) dal-l’acquisto del suo equivalente giuridico(rappresentato dal risarcimento del danno)come posterius, rilevante sempre sul pianologico. D’altra parte anche il discorso scientificosupporta questa soluzione; sono oramaidiversi decenni (oltre 40 anni, dal congres-so della World Medical Assembly diSidney), che la morte di una persona vieneconsiderata come processo graduale alivello cellulare, in quanto i diversi tessutihanno diverse capacità di resistere alla pri-vazione di ossigeno; non esiste la morteistantanea, intesa come cessazione di tuttele funzioni vitali di una persona nello stes-so unico istante (se non in casi rarissimi);bisogna distinguere la morte come proces-so (il morire) dalla morte come evento(punto di morte). La stessa legge italiana

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accoglie oggi la definizione di morte comemorte cerebrale (cessazione delle funzionidell’encefalo). La morte cerebrale avvieneprima della morte cardiaca; e su questepremesse (dell’anticipazione della morte)che si fonda il fatto che i rianimatori nonincorrano più nell’accusa di essere consi-derati assassini se spengono le loro mac-chine; nè correvano tale rischio i chirurghiche espiantavano degli organi (ad es. ilcuore “da cadavere a cuore battente”,espiantato già nel 1967 da ChristianBarnard). Oggi addirittura con l’evoluzionedelle conoscenze scientifiche si può distin-guere anche all’interno della morte cere-brale; tra morte cerebrale totale e morte cor-ticale. In altri termini il rapporto tra vita e morte,anche dal punto di vista scientifico, nonsembra possa impostarsi in termini di pas-saggi rigidi come suppone la giurispruden-za che nega il danno alla vita.

RISARCIRE LA VITA: UN OSSIMORO? Un altro argomento che veniva oppostocontro il risarcimento del danno alla vitarisaliva alla concezione essenzialmenteriparatoria accolta dal nostro sistema didiritto civile, la quale non avrebbe consen-tito – secondo molti interpreti – di poterrisarcire per equivalente la vita ad una per-sona che più non esiste. Vi sono stati giu-dici che in proposito hanno perciò scrittoche risarcire la vita fosse un vero e proprionon sense o comunque un ossimoro (!). Inrealtà questo argomento non aggiunge pro-prio nulla alla discussione, ma soltantoribadisce che non si possa risarcire ildanno alla vita ad una persona che abbiacessato di esistere. Esso sottende la stessaaberrante considerazione che non ci sianulla da risarcire; e non essendoci nulla sucui possa agire una riparazione civilistica,il risarcimento avrebbe funzione esclusiva-mente punitiva. L’obiezione che si fondasulla concezione riparatoria della respon-sabilità civile vuol dire soltanto che chimuore non ha subito alcun danno, nessu-na perdita, perché - questo il paradosso deldiritto alla vita - quando è arrivata la morteil soggetto non può essere in vita per matu-rare il diritto al risarcimento.Si tratta di un’obiezione che può essere

disattesa sulla base dello stesso sensocomune e del sentimento di giustizia cherifiuta di ammettere che chi ha subito laperdita della vita non abbia subito nessunaperdita.

IL DANNO TERMINALE: PIÙ VIVI PIÙSEI RISARCITO! La prova più evidente che il diritto alla vitain quanto tale non venisse considerato aifini del risarcimento, era dimostrato dalfatto che quand’anche una persona fossedeceduta per effetto di una azione lesiva,dopo lungo tempo dal fatto ed in stato diperfetta lucidità, non fosse mai risarcito ilsuo danno alla vita (la perdita della vita),ma sempre la perdita di un altro bene (connon pochi paradossi). Ed è qui che viene inrilievo la vicenda del c.d. danno terminalecommisurato dalla giurisprudenza alladurata della lesione del danno biologico(temporaneo). Considerando soltanto iltempo tra la lesione e la morte la giuri-sprudenza finiva per risarcire in modo piùconsistente chi fosse vissuto più a lungo eliquidare di meno a chi fosse vissuto per untempo minore rispetto all’illecito. Unaprima evidente incongruità, perché perquanto si possa argomentare nessuno potràmai convincerci che (normalmente) moriresia un danno minore che vivere; e che vive-re di meno (normalmente) sia un dannomeno grave che vivere più a lungo. La figu-ra del danno terminale dimostrava in modopalmare come la perdita della vita non con-tava nulla per il nostro sistema risarcitorio;che risarciva il danno morale o il danno bio-logico catastrofico se la morte sopravveniva(anche nell’immediatezza ma) in stato dicoscienza; oppure il danno biologico se lamorte sopravveniva in stato di coscienzadopo lungo tempo. Talchè l’aver cagionatoad es. ad una persona l’insorgenza di unamalattia ad effetti sicuramente letali (comeun mesotelioma pleurico da illecita esposi-zione all’amianto) non determinava alcunrisarcimento del bene della vita.Non si spiegava poi nemmeno perché nelcaso del danno terminale venisse negatopure il risarcimento dello stesso danno bio-logico permanente, pure presente nelperiodo che va dalla stabilizzazione dellelesioni alla morte. Perchè se un soggetto

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fosse sopravvissuto alla liquidazione matu-rava diritto al danno permanente e tempo-raneo mentre se fosse morto prima gli eredipotevano reclamare solo quello tempora-neo? Nel periodo di invalidità pre mortenon vale l’invalidità permanente se lamalattia perdura per anni? E ciò confermapure che nel nostro ordinamento ucciderefosse sempre ed in ogni caso più conve-niente che ferire.Essere sottoposti ad una azione nociva checagionasse una lenta malattia mortale (pro-fessionale o non professionale) potevadunque costare assai poco dal punto divista risarcitorio. Seguendo la teorica delc.d. danno terminale il danno biologicoveniva limitato a quello temporaneo.Solitamente poche migliaia di Euro (cfr.però Corte Appello Torino che ha cercatodi rimediare a questa incongruenza; sen-tenza 287/2013). Non si liquidava il dannopermanente maturato nel corso di una vitafortemente menomata. Ed anche il dannomorale, ovviamente, ne risentiva perchécol nuovo corso delle Sez.Un. del 2008 igiudici per lo più lo liquidano in modoancor più automatico di prima (anche sepreferiscono parlare formalmente di perso-nalizzazione) all’interno del danno biologi-co o non patrimoniale che dir si voglia.Dimenticando che, come ricorda la stessasentenza 1361/2014 che qui si commenta,il danno morale ha riguardo anche alladignità della persona che è un aspetto deltutto distinto dalla sofferenza soggettiva; eche è perciò da escludersi possa essererisarcito con una frazione di danno biolo-gico tabellare.Pertanto quando il biologico (consideratosolo nella dimensione temporanea) è bassoancor più basso sarà il danno morale di chimuore per una lunga malattia. E se si valutain cifra il criterio di liquidazione adottato damolti giudici per il danno terminale si assi-ste a degli scostamenti veramente ingiustifi-cabili: si va dal criterio dell’indennità bio-logica temporanea pura - 600 euro! avevaliquidato il Tribunale di Fermo per unamorte avvenuta dopo gg. 27 (22 euro al gior-no); mentre il tribunale di Genova per unmesotelioma che aveva condotto alla mortedopo nove mesi ha riconosciuto 69 euro algiorno e liquidato circa 20000 - al criterio

del danno biologico personalizzato alla gra-vità del caso concreto come suggerisce laCassazione. (2)Per il tribunale di Bologna il criterio cor-retto sarebbe 600 euro come media (da 500a 1000 euro al giorno); e liquida € 16.200per la stessa morte di 27 giorni. La Corted’Appello di Venezia per una morte dimesotelioma avvenuto dopo nove mesiriconosce 150 euro al giorno (4500 euro almese) e liquida 40.000 euro per nove mesidi sofferenza. La Cass. 16 maggio 2003 n.7632 conferma una pronuncia della Corted’Appello di Venezia che aveva ricono-

sciuto il danno terminale di euro 31.500per un ragazzo di 17 anni morto dopo diecigiorni di agonia (e quindi in base a più ditremila euro al giorno). Da 22 a 3000 euroal giorno: uno scostamento da lotteriaforense, che non risponde certamente alprincipio cardine di equità che secondo laCassazione include anche il rispetto dellaparità di trattamento. Si tratta di liquidazioni che come ognunopuò vedere rasentono talvolta l’assurdo;anche perché in cifra assoluta il danno nonpatrimoniale (morale e biologico termina-le) di una vittima primaria del bene, finisceper valere molto meno del danno moraledei parenti della vittima; i quali per latabella di Milano quando muore un con-giunto vengono risarciti con cifre sicura-mente più elevate (anche di 5-10 volte piùelevate), fino ad arrivare anche a più di300.000 euro. Un criterio ragionevole sul terreno dellaliquidazione, fondato su una logica di con-gruità comparativa, poteva essere quello dinon stimare mai il danno di chi muore (per

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infortunio o malattia dovuta a responsabi-lità altrui) in misura inferiore a quelloliquidato per danno parentale dei congiun-ti; e ciò sulla base dell’indiscutibile assio-ma che la perdita della vita (o il dolore perla sua perdita) sia comunque più grave deldolore residuato in chi continui a vivere(se è vero che, come riconosce la saggezzapopolare, “il peggio è per chi muore, chechi vive si consola”….).

LA RIDUZIONE IN COMA: NESSUNRISARCIMENTO Anche per il coma ovvero nel caso di per-

sona che sopravviva alla lesione (per untempo più o meno lungo) ridotta però instato comatoso, la giurisprudenza nonaccordava nessun risarcimento. Ad esem-pio, Cassazione n. 79/2010 ha negato qual-siasi rilevanza risarcitoria per la riduzionein coma di una persona sostenendo (senzaulteriori necessarie specificazioni, quanto-meno sul tipo di coma) che chi venga ridot-to in coma sia “sostanzialmente deceduto”e non merita perciò alcun risarcimento; ma,appunto, non certo perché manchi il tempoper la maturazione (e quindi per il passag-gio) del diritto in capo alla vittima, ma per-chè mancherebbe lo stato di cosciente atte-sa della morte, ossia la percezione della sof-ferenza. Risultava quindi, ancora una volta, comenel nostro ordinamento la perdita del dirit-to alla vita (che subisce anche chi passa allamorte attraverso il coma) non venisse risar-cita non perchè mancherebbe una qualcheprecondizione giuridica o un qualche ele-mento costitutivo della responsabilità civi-le (la persona in coma potrebbe essere anzi

sopravissuta più a lungo alla lesione rispet-to a chi muoia cosciente dopo poco tempo);ma soltanto perché non si considerava lavita un bene risarcibile in quanto tale,dando rilievo risarcitorio soltanto alla soffe-renza soggettiva che si assume non potrebbesubire la persona non cosciente. Insomma mancando la tutela risarcitoria delbene vita e la giurisprudenza offriva l’op-portunità di effettuare “il delitto perfetto”, alivello civilistico (s’intende) e di non pagarenulla in applicazione della legge; bastavauccidere immediatamente e scegliere unapersona che non avesse lavoro e prossimicongiunti; e non si pagava proprio niente.

LA STIMA DEL RISARCIMENTO Neppure poteva essere attribuito rilievocontro il risarcimento del danno alla vita aduna supposta difficoltà di stimarne il valore.Al contrario, a livello di liquidazione giudi-ziaria risarcire la vita dovrebbe ritenersi piùfacile che risarcire altri beni immateriali; lavita dovrebbe avere infatti un valore di basetendenzialmente eguale per tutti. L’argomento secondo cui la vita non puòavere un valore non può ritenersi correttoo esaustivo: certo la vita è il bene sommo;e non c’è un valore patrimoniale sufficien-te per risarcirne la perdita in modo oggetti-vo. Ma questo non impedisce di trovareuna compensazione convenzionale perequivalente, come si fa per tutti gli altribeni di natura non patrimoniali (esiste ilvalore reale della salute? E dell’onore? Edel danno morale o del biologico catastro-fico e del danno terminale?). D’altra parte,se venisse stabilito un criterio di liquida-zione per il risarcimento del bene vita siimpedirebbero tante altre storture e si con-sentirebbe di non duplicare risarcimenti.Si liquiderebbe perciò tendenzialmentecon lo stesso parametro di base (salve leopportune personalizzazioni) il danno dichi è deceduto dopo un lungo periodo dimalattia e di chi è morto subito dopo ilfatto; di chi è morto cosciente o incoscien-te; di chi è stato in coma oppure no.

IL SUPERAMENTO DELL’ORIENTA-MENTO TRADIZIONALE. LA SENTEN-ZA N. 1361/2014L’orientamento tradizionale si poneva poi

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in contraddizione con la tesi espressa daaltre sentenze della Cassazione che quan-do non discorrono di risarcimento ma dialtri fini riconoscono espressamente ildiritto alla vita come bene giuridicosommo, diverso dalla salute, tutelato dalnostro ordinamento (ad es. Cassazione 27maggio 2009 n. 13326 che pure parla deldiritto alla vita). Esistevano inoltre pressanti argomenti dispessore costituzionale che muovevanoper il superamento di questa situazione didenegata tutela. Si poteva pensare di ripro-porre una nuova questione di costituziona-lità dell’art. 2059 c.c., oltre che per viola-zione dell’art. 2 Cost., anche per violazio-ne delle norme della CEDU. Il diritto allavita è infatti tutelato espressamente dal-l’art. 2 della Convenzione europea deidiritti dell’uomo (“Il diritto alla vita è tute-lato dalla legge”). La CEDU è quantomenoparametro interposto per la violazione del-l’art.117 o comunque dell’art. 10 dellaCost. Se quindi vi è una posizione soggetti-va come il diritto alla vita garantita dallaCEDU (secondo l’interpretazione che ne fala Corte di Giustizia) si rischia di renderecostituzionalmente illegittimo il sistemarisarcitorio (l’art. 2059 c.c.) per violazionedegli artt.117 e 10 Cost. La Corte Europeadei diritti dell’uomo ha infatti riconosciutoil diritto dell’erede (iure successionis) aldanno risentito dal defunto a causa dellasua uccisione nonostante la morte fosseavvenuta immediatamente (Affare Akkocc. Turquie 10 ottobre 2000, 136; Case of Gulv. Turkey 14 febbraio 2000, 110). I tempi sembravano quindi maturi per ilsuperamento dell’orientamento tradizio-nale; e questo compito è stato assolto dallaCassazione in modo meditato, con la sen-tenza n. 1361/2014. Dopo aver invitato (per circa 60 pagine) igiudici di merito a tener conto nella liqui-dazione del danno non patrimoniale di tuttele lesioni, ovvero di tutti gli interessi pregiu-dicati dall’illecito in tutti i loro aspetti (bio-logico, morale, esistenziale), nessuno deiquali può mai restare senza risarcimento(ovviamente in quanto allegato e provato);soltanto dopo, la Corte di Cassazione è pas-sata all’esame della questione del dannotanatologico.

Muovendo dalla contraddittorietà ed illegit-timità che inficiava l’argomentazione soste-nuta dai giudici del merito milanesi(Tribunale e Corte d’Appello di Milano) aproposito del fatto che nessun danno iuresuccessionis potesse sussistere nel caso esa-minato, essendo la vittima deceduta dopocirca tre ore e mezzo dal sinistro, dopo cioèun lasso di tempo, ritenuto dagli stessi giu-dici del merito, “insufficiente e far sorgere incapo alla vittima il diritto ad indennizzi disorta”. Quindi (a partire dalla pagina 66 inavanti) la Corte di Cassazione ha affrontato inodi teorici della (apparentemente) compli-cata questione, partendo dalla tesi negativaespressa dalla Corte Costituzionale con lasentenza del 27.10.1994 n. 372, nella qualein realtà la questione venne liquidata con unrichiamo esplicito (veramente sorprendentedata la natura stessa dell’organo) all’orienta-mento pre-costituzionale fatto proprio dalleSezioni Unite nel 1925, prima cit.La Corte di Cassazione 1361/2014 rievocaquindi le diverse figure elaborate dalla giu-risprudenza come succedanee del manca-to risarcimento del bene vita: il danno ter-minale biologico, il danno terminale mora-le (o catastrofale), il danno da perdita dellachanche di sopravvenienza; definendolesoluzioni indirette, ricostruzioni parzialied inappaganti, sebbene sintomatiche del-l’avvertita necessità di superare la rigiditàdell’assunto circa l’irrisarcibilità del dannoda perdita della vita. Qualifica perciò comemeri escamotages interpretativi i criteri dellasso di tempo, dell’entità delle sofferenze,della consapevolezza della fine che secon-do alcune sentenze potrebbe anche essere“non cosciente” (Cassazione 28.08.2007 n.18163). Ricorda che sebbene la salute sia unbene diverso dal diritto alla vita, ciò noncomporti che debba negarsi risarcibilità allaperdita della vita; cita più volte la giurispru-denza di merito che ne ha ammesso il risar-cimento (Tribunale Venezia 55492/2006;ma si veda anche Tribunale Ravenna07.06.2011, inedita). Nota come d’altra parte oramai si ammettala trasmissibilità agli eredi del diritto alrisarcimento dei danni non patrimoniali; ericorda i casi del neonato, del nascituro edella persona giuridica ammessi alla tuteladel danno non patrimoniale. Riconferma

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NOTE1. Per il commento alla sentenza 372/1994 vediin Resp. Civ. e prev., 1994, 976, con nota di ScalfiGiannini e Navaretta.2. Cass. 16 maggio 2003 n. 7632: La quantifica-zione equitativa del danno terminale va operatatenendo conto delle caratteristiche peculiari diquesto pregiudizio, consistenti nel fatto che sitratta di un danno alla salute che, sebbene tem-

poraneo, è massimo nella sua entità ed inten-sità, sia che si applichi il criterio di liquidazioneequitativa “puro” sia che si applichi il criterio diliquidazione tabellare, in quanto entrambi que-sti criteri di liquidazione sono legittimamenteutilizzabili, purchè vengano dal giudice adegua-tamente “personalizzati!”, ovvero adeguati alcaso concreto.

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che tra fatto e diritto la relazione è semprelogica e mai di natura empirica e tempora-le; e richiama perciò l’invito dottrinario anon considerare le categorie giuridichecome dati immodificabili, esistenti in rerumnatura, e ritenerli bensì in funzione serven-te del caso che si tratta di risolvere. L’invito è a superare la dimensione del dirit-to soggettivo e considerare invece l’otticadel bene che viene meno e che reclama tute-la, non solo quale danno del singolo che losubisce ma anche per la collettività. La Corte perviene quindi al superamentodell’orientamento negativo consolidato per-ché “non del tutto rispondente all’effettivosentire sociale nell’attuale momentostorico”; e senza che per questo sia necessa-rio superare (“allo stato”) l’assioma postodalle Sezioni Unite nel 1998 (pag. 89) secon-do cui solo i danni conseguenza sono risar-cibili ma non il danno evento. La perditadella vita non ha altre “conseguenze” perl’individuo che abbia cessato di vivere masolo perché comporta la perdita non di qual-cosa ma di tutto, di tutti gli effetti e le con-seguenze. Essa è dunque l’eccezione checonferma la regola: perché il danno non èmai risarcibile in re ipsa. Per la Cassazione la stessa funzione com-pensativa del diritto civile risulta assoltaanche ammettendo il risarcimento del dirit-to alla vita, siccome il credito della vittimaaccresce comunque il suo patrimonio eredi-tario, non diversamente da ogni altro caso didanno patrimoniale e non patrimoniale. Attraverso questa via la Corte giunge al rico-noscimento del danno alla vita definitocome danno della vittima che rileva in sé eper sé, nella sua oggettività, di perdita delbene vita, oggetto di un diritto assoluto e

inviolabile; a prescindere dalla consapevo-lezza che il danneggiato ne abbia, anche incaso di morte immediata. E senza che assu-ma rilievo nè il lasso di tempo, nè il criteriodell’intensità della sofferenza subita dallavittima.Per ciò che attiene al criterio di liquidazionela Corte suggerisce un sistema di quantifica-zione specifico, diverso da quello dettatoper il danno biologico da cui il danno allavita è autonomo. Occorre solo che sia equoe che non sia né meramente soggettivo (inbase alla valutazione che ciascuno abbiadella propria vita o altrui), nè oggettivo(uguale per tutti). Per la Corte occorre inve-ce che sia personalizzato (contano perciòetà, condizioni di salute, speranze di vitafutura, attività svolta, condizioni personali efamiliari).In definitiva, anche sulla liquidazione deldanno da morte, la Cassazione reitera l’invi-to al Giudice di merito ad operare una valu-tazione concreta dei danni guardando aifatti e dando conto di aver apprezzato oltreall’età della vittima tutti gli indici del fatto (ilsesso, grado di sensibilità dei danneggiatisuperstiti, situazioni di convivenza, gravitàdel fatto ed entità delle sofferenze). Perchéquesta è la reale personalizzazione deldanno; e non quella di cui spesso discorro-no sentenze che - quale che sia la lesionedella persona che hanno davanti - elevanosempre di una frazione la somma del dannobiologico tabellare, senza dar conto di alcunpercorso logico (né di fatto né di diritto); eviolando perciò il principio normativo diequità, a cui tutti i giudici devono ritenersipur sempre sottoposti nel nostro ordina-mento nella materia del risarcimento deldanno non patrimoniale.

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La Costituzione e ladecadenza previdenziale

di Roberto RIVERSO*

Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 2014

1.- La sentenza di illegittimità costituzio-nale in materia di retroattività (limitata alprimo grado!) della nuova disciplina delladecadenza previdenziale in materia di ade-guamento delle prestazioni riconosciute inparte (l’art. 38, comma 1, lettera d, del D.L.6 luglio 2011, n. 98, convertito in Legge 15luglio 2011, n. 111) era prevedibile se nonscontata (per la parte in cui cioè la stessadisciplina veniva estesa dal legislatore allecause in corso). E ciò perché da un parte la disciplinasostanziale ribaltava tre sentenze delle Sez.Unite della Cassazione che avevano soste-nuto l’esatto contrario; e cioè che in baseall’art. 47 DPR 639/1970 non poteva esi-stere decadenza alcuna dall’azione inmateria di adeguamento delle prestazioni,pensionistiche e non (le ultime due sen-tenze nel 2009 le nn. 12718 e 12720); ondeera evidente il carattere retroattivo dellastessa disciplina sostanziale. E dall’altra perché esiste ancora un qualchesbarramento logico e di giustizia che il legi-slatore non può superare (come lo stessoprincipio di realtà sotteso ad ogni norma eche si invera attraverso l’interpretazionegiurisprudenziale). 2.- La sentenza n. 69/2014 però non toccaminimamente la questione della decaden-za per la rivalutazione contributiva amian-to; a cui la Corte di Cassazione ha riservatoinvece - com’è noto - un trattamento spe-ciale, che si snoda attraverso queste sotti-lissime distinzioni: … la rideterminazionenon è una riliquidazione; la strumentalitàdel diritto alla posizione contributiva siaccompagna qui alla sua autonomia; sitratta qui di rivalutare i contributi e non lapensione, et similia……. 3.- Ora a parte il fatto che si vorrebbe sape-re che cosa sia mai ed a cosa serva “unaprestazione autonoma” che “incide suisoli contributi”!? Che istituto giuridico è ?

A quali finalità giuridiche obbedisce? 4. Quello che queste argomentazioni sofi-stiche hanno comunque prodotto (per chili segue) è di ritenere applicabile alle soleriliquidazioni per amianto una autonomadecadenza ex art.47 (prima ancora dellanuova normativa, ed a dispetto delle Sez.Unite, mai superate); e per di più con effet-ti tombali! 5.- In nessuna delle sue pronunce in mate-ria (che oramai da anni vengono redattesotto forma di ordinanza, l’ultima dellaserie è la n.4419/2014) la Corte di Cas-sazione si è MAI confrontata con due fon-damentali questioni, pur sollevate dalladifesa dei lavoratori esposti, parti in causa: a.- La disciplina della decadenza (l’art. 47dpr 639) è stata fatta oggetto di una normadi interpretazione autentica (art. 6 d.l. 29marzo 1991 n. 103, conv. in legge 1 giugno1991 n. 166) secondo la quale l’istitutodella decadenza porta alla sola perdita deisoli ratei pregressi e non del diritto.Ora se, come dice la stessa Cass., la rivalu-tazione amianto è un diritto autonomo enon una riliquidazione, tanto che gli appli-ca la decadenza (a prescindere dalle SezUnite) ci vuole dire anche la Cass. se undiritto soggettivo previdenziale autonomo(e per di più connesso al diritto fondamen-tale alla salute) si può perdere per sempreex art.47 ?b.- In realtà, oltre cozzare con la legge diinterpretazione autentica in vigore, civuole dire poi la Cass. cosa né dell’indiriz-zo Costituzionale consolidato secondo cuila Carta non consente che un diritto previ-denziale come la contribuzione per esposi-zione ad amianto (autonoma od accessoriache sia!) si possa perdere per sempre.Perché la Costituzione italiana tutela laposizione previdenziale dei lavoratoricome diritto irrinunciabile, imprescrittibi-le e non suscettibile a decadenza alcuna.

*Giudice delLavoro presso ilTribunale diRavenna.

note giuridiche 79

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Fonte: http://kompreser.espivblogs.net/2012/11/13/notav-valsusa/

Manifestazione NO TAV, Val di Susa, 13.11.2012.

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Fonte: http://www.metronews.it/sites/default/files/articolo/2014/11/19/eternit.jpg

19.11.2014 - Presidio davanti alla Cassazione dei famigliari delle vittime dell’Amianto di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli

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Medicina Democratica numeri 216-218 luglio / dicembre 201484

Fonte: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Quarto_Stato_(crop).jpg

Il Quarto Stato, Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1901.

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