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Relazione del Presidente Roma, 16 giugno 2015

Relazione del Presidente - REF Ricerche · la natura anticiclica dei settori di pubblica utilità. Il valore della produzione è cresciuto mediamente di quasi il 20%, il totale attivo

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Relazionedel Presidente

Roma, 16 giugno 2015

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SOMMARIO

1. Sviluppo del sistema associativo: perché UTILITALIA 2

1.1 Verso un nuovo paradigma della “rappresentanza” 2

1.2 L’associazione e la sua capacità di essere interprete

del cambiamento 3

2. La missione di UTILITALIA 5

3. La “cifra” industriale dei servizi pubblici locali 7

3.1 Gli andamenti economici dell’ultimo quinquennio 7

3.2 Patrimonializzazione, occupazione e recuperi di efficienza 9

4. Il sistema dei servizi pubblici a rete 12

4.1 La lunga metamorfosi dei servizi pubblici a rete 12

4.2 Dallo “Sblocca Italia” alla Legge di Stabilità 2015:

l’avvio di un nuovo corso 14

4.3 L’avvio delle gare nelle distribuzione gas 18

4.4 Il riordino dei servizi pubblici locali nella Riforma Madia:

uno slancio, non l’ennesima ripartenza 20

5. Le imprese dei SPL, il fabbisogno infrastrutturale

e l’opportunità per il Paese 22

5.1 Il fabbisogno infrastrutturale 22

5.2 Verso un nuovo ciclo degli investimenti nel settore energetico 29

5.3 La riforma del WACC: un passaggio delicato 30

5.4 Il “Piano Juncker”: una opportunità da cogliere 31

6. Le politiche del lavoro 33

6.1 Regole semplici, uniformi, efficaci 33

6.2 Sistema di relazioni industriali, contrattazione collettiva,

diritto di sciopero 34

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1.2 L’associazione e la sua capacità di essere interprete del cambiamento

Non è la prima volta che l’organizzazione dei servizi pubblici cambia per accompagnare nuove fasi della storia del nostro Paese.

Nel titolo del convegno di oggi vediamo tappe, apparentemente molto distanti: 1903, 2015 e 2020.

La municipalizzazione - con la Legge Giolitti di inizio secolo - ha accompagnato la crescita dell’Italia. Ha avviato il primo progetto industriale di radicamento sul territorio e di garanzia dei servizi.

I grandi enti nazionali del dopoguerra, autori delle importanti infrastrutture dorsali, hanno dato vita a quel tessuto connettivo che ancora oggi caratterizza il Paese, operando in sintonia con le realtà territoriali.

I cambiamenti degli anni ’90 hanno accompagnato i processi di liberalizzazione e nuova regolazione dei diversi settori.

Oggi – di fronte ad una società che esprime bisogni differenti, a cittadini che hanno maggior consapevolezza dei propri diritti e servizi – è necessario approntare nuove risposte organizzative e ridefinire la missione.

Nel 2015, gestire servizi di pubblica utilità non significa più solo garantire parità di condi-zioni di accesso. Oggi si chiede di assicurare al tempo stesso l’efficienza economica, la sostenibilità ambientale, la responsabilità sociale, l’innovazione.

Se le tendenze degli ultimi anni dovessero essere confermate, in futuro le nostre città saranno ambienti sempre più popolati e più inquinati, produrranno più rifiuti: per questo avranno più bisogno di servizi con prestazioni maggiori e di qualità, tra i quali – ad esempio - la mobilità elettrica o a metano.

L’innovazione giocherà un ruolo centrale nel cambiamento. In un mondo sempre più iper-conesso le aziende dei servizi pubblici locali a rete devono essere anche il baluardo della tecnologia. Le città saranno “smart”, solo se lo saranno le nostre aziende.

Nel cambiamento, che investirà anche i piccoli gesti quotidiani, le utility giocano un ruolo centrale per aumentare la qualità della vita nelle nostre case.

Ogni tappa storica ha richiesto un sistema associativo coerente.

Dalla Federazione Aziende Municipalizzate Italiane (FAMI) - del 1910, che ebbe come primo presidente Giovanni Montemartini, alla FAIMI che nel 1946 affiancava la parola “industriali” indicando una diversa qualificazione di questi servizi. La successiva specia-lizzazione nella FNAMGAV e nella FNAEM poi Federgasacqua e Federelettrica sono la testimonianza del peso assunto dalle politiche settoriali.

1. SVILUPPO DEL SISTEMA ASSOCIATIVO: PERCHÉ UTILITALIA

1.1 Verso un nuovo paradigma della “rappresentanza”

La nascita di Utilitalia segna un passaggio importante, non soltanto per il sistema asso-ciativo delle imprese dei servizi pubblici locali, ma per la funzione di rappresentanza in generale.

Il mondo è cambiato. L’economia conosce cicli differenti rispetto al passato. La politica tende alla disintermediazione e le associazioni di imprese aggiungono flessibilità e servizi alla tradizionale funzione di rappresentanza per contrastare una comprensibile spinta centrifuga.

È sufficiente osservare la cronaca degli ultimi anni, per intuire un diverso ruolo dei “corpi intermedi”: partiti, sindacati, associazioni. Cambiamenti che a volte assumono i contorni di una crisi di risorse, di ruolo e spesso di identità. Il processo di globalizza-zione indistinta che ha caratterizzato gli ultimi decenni si sta orientando verso un ruolo trainante delle economie territoriali e delle grandi metropoli. Una delle risposte a livello di impresa e a livello associativo a questo nuovo contesto è quella di “aggregare” per dar vita a soggetti in grado di raccogliere le nuove sfide. Aggregare non significa appiattire. Aggregare in modo intelligente, seguendo idee di evoluzione, strategie di lungo periodo e progetti realizzabili, è un modo di costruire un nuovo sviluppo.

La strada da noi intrapresa con la fusione tra Federutility e Federambiente è al tempo stesso un argine alla crisi di rappresentanza del mondo associativo e un contributo fattivo contro la crisi del nostro Paese.

I numeri rendono evidente come, in questi anni di crisi economica, le nostre aziende, fortemente radicate sul territorio, abbiano sostenuto lo sviluppo economico locale, svol-gendo una importante funzione anticiclica.

Di fronte all’assenza di grandi investimenti infrastrutturali nel Paese e alla carenza di programmazione di lungo periodo, le imprese dei servizi pubblici locali a rete hanno continuato a realizzare investimenti mirati, settoriali e territoriali, svolgendo un ruolo di traino per il tessuto economico e l’occupazione.

Attività che hanno liberato risorse anche per gli enti locali, consentendogli di svolgere la funzione loro propria di tutela del benessere dei cittadini e di garanzia dei servizi essen-ziali ed universali.

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2. LA MISSIONE DI UTILITALIA

Utilitalia nasce da subito con una missione chiara ed obiettivi concreti:

• Porre al centro dell’attività lo sviluppo industriale, su tutto il territorio nazionale, dei servizi pubblici a rilevanza economica nei settori energetici (gas, elettricità) ed ambientali (acqua e rifiuti);

• Superare i differenziali territoriali Nord-Sud, città-aree rurali;

• Attivare politiche di integrazione delle aree metropolitane e regionali costruendo moderne ed efficienti reti di servizi, portandole ai livelli delle più avanzate regioni europee.

Non un’organizzazione autoreferenziale, non un club di amministratori, non un’associa-zione corporativa, non un soggetto che punta a politiche di rivendicazione.

Utilitalia è una federazione di imprese di servizi industriali, che si impegnano con senso di responsabilità ad essere efficienti, legate ai territori e con una cultura della legalità costruita sulla responsabilità diretta.

Assume su di sé l’impegno di accompagnare lo sviluppo dei servizi sul territorio svilup-pando politiche di tutela delle risorse energetiche, idriche ed ambientali.

Affida ad un impegno di efficienza, la corretta e concreta declinazione di due concetti importanti - solidarietà e responsabilità – favorendo l’accesso ai servizi universali alle fasce deboli, ma al tempo stesso adottando un rigoroso contrasto a comportamenti illegali ed abusivi.

Una tale sfida - coerente con la direzione intrapresa dall’Italia e dall’Europa – non può certo prescindere da un rilancio della produttività e dalla responsabilizzazione di tutti i fattori produttivi, a partire dal lavoro.

La rendicontazione pubblica, la trasparenza amministrativa, la corresponsabilità nei risul-tati, sono ingredienti fondamentali specie nella fase di scarsità delle risorse.

L’impegno al rispetto del nuovo Codice Etico che Utilitalia si è data, la valorizzazione delle eccellenze, il sostegno a chi intende recuperare storici ritardi e l’esclusione dal sistema associativo di chi persegue fini particolari a discapito degli obiettivi industriali comuni, sono i nostri strumenti per garantire reputazione ed affidabilità al sistema delle imprese energetiche idriche e ambientali.

I problemi della cattiva gestione e del malaffare non si risolvono con un aumento di norme burocratiche o con vincoli all’autonomia gestionale.

Lo stesso può dirsi per Federambiente, che ha affiancato un determinante approccio tecnico e industriale alle nuove sensibilità ambientali emerse negli anni ‘70.

E ancora – la fusione in Federutility dei settori idrici ed energetici - fino ad arrivare proprio, giugno 2015, alla creazione di un unico soggetto con Federambiente: UTILITALIA.

Una parola sola, due parti: utility e Italia.

Non è un caso che oggi la parola Italia sia espressa integralmente. Il riferimento geogra-fico decisivo è diventato, infatti, l’Europa.

Le politiche ambientali ed energetiche hanno un orizzonte ben più ampio dei nostri confini.

Aldilà della forma organizzativa che assume la governance del territorio, sono le Direttive Europee in materia di acqua, energia, gas e rifiuti ad avere il timone del lavoro quotidiano delle nostre aziende.

Un sistema associativo che rappresenta il mondo dei servizi di pubblica utilità, non può non tenere conto di questi nuovi confini geografici e delle tappe cui l’appartenenza all’Unione Europea ci lega. Un appartenenza comunque da sviluppare anche con spirito critico.

Ecco il perché anche dell’anno 2020 citato nel titolo del nostro incontro.

Un salto temporale di “appena” cinque anni, accanto ad uno di oltre cento.

Si sono ridotti i tempi decisionali, così come i tempi dell’economia. Una velocità che deve caratterizzare anche la nuova federazione e la sua capacità di essere artefice del cambia-mento.

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3. LA “CIFRA” INDUSTRIALE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

3.1 Gli andamenti economici dell’ultimo quinquennio

In Italia le imprese dei servizi pubblici locali di rilevanza economica partecipate dagli enti locali (energia elettrica, gas naturale, servizio idrico, igiene urbana) sono poco più di un migliaio, generano ricavi annui per 42,9 miliardi di euro, utili per 1,4 miliardi e occupano circa 120 mila addetti.

L’analisi dei principali indicatori di performance economica degli ultimi 5 anni restituisce la natura anticiclica dei settori di pubblica utilità. Il valore della produzione è cresciuto mediamente di quasi il 20%, il totale attivo ha visto un incremento medio del 15%, segno di una costante propensione agli investimenti nonostante il contesto economico difficile, e il Patrimonio Netto è salito di oltre il 5%.

I margini operativi sono rimasti stabili, intorno ad un buon 8%. In linea generale, a crescere più della media sono le imprese multiutility, che verosimilmente hanno potuto sfruttare la diversificazione settoriale per sfruttare le economie di scopo.

Variazione % Valore della Produzione, EBITDA, EBIT dell’intero comparto

SPL (Trend 2009-2013). Campione di 805 bilanci.

Fonte: Utilitatis ed elaborazioni su dati Aida Bureau Van Dijk

Solo con buona reputazione ed affidabilità saremo nella posizione di poter chiedere alle Istituzioni ed al legislatore, l’esclusione di norme lineari che finiscono per penalizzare gestioni efficienti, appiattendo verso il basso il confronto competitivo. Questa è la strada per combattere un giudizio ingeneroso, dove non si distingue la buona dalla cattiva gestione, verso un mondo che molto ha dato per lo sviluppo del Paese.

L’attuazione della nostra missione è declinabile in tre grandi priorità:

1. Riorganizzazione della domanda e dell’offerta dei servizi a rete, inclusi i rifiuti;

2. Recupero del gap infrastrutturale tra le diverse realtà del Paese;

3. Incremento di efficienza e produttività ed una valorizzazione del fattore lavoro.

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3.2 Patrimonializzazione, occupazione e recuperi di efficienza

La distribuzione degli addetti in relazione al grado di patrimonializzazione delle imprese evidenzia che circa il 40% del valore della produzione è ascrivibile ad una quota minori-taria di aziende di grandi dimensioni (le grandi multiutility quotate in borsa), con Patri-monio Netto superiore al miliardo di euro: si tratta delle grandi realtà industriali quotate, dove si concentra il 40% della redditività del settore, a fronte del 27% degli addetti.

Significativo è anche il peso delle aziende con Patrimonio Netto compreso tra 100 milioni e 1 miliardo di euro, che rappresentano il 27% del valore della produzione ed impiegano circa il 28% degli addetti. Sotto ai 100 milioni di Patrimonio Netto si concentra invece il 36% del valore della produzione e il 46% degli addetti.

Valori economici di riferimento delle aziende partecipate direttamente

dagli EELL per classi di Patrimonio Netto

ANNO 2013

Classe di Patrimonio

Netto (euro)VP EBITDA

Reddito

NettoTot Attivo

Patrimonio

NettoN° addetti

(Migl. ¤) (Migl. ¤) (Migl. ¤) (Migl. ¤) (Migl. ¤) (stima)

PN>1mld 17.547.692 501.947 33.388.636 9.109.191 31.910

100mln<PN<1mld 11.693.434 2.281.382 675.765 25.634.398 10.991.034 34.362

15mln<PN<100mln 7.264.160 1.276.517 217.004 19.143.076 6.465.008 24.880

1mln<PN<15mln 5.347.302 616.657 11.047 8.492.252 1.739.252 25.245

1mln<PN 1.100.635 81.874 734 1.446.860 111.705 6.163

Totale 7.401.312 88.105.222 28.416.191 122.560

Fonte: Utilitatis ed elaborazioni su dati Aida Bureau Van Dijk

EBIT/VP 2009-2013 (valore medio ponderato al valore della produzione).

Campione di 805 bilanci.

Fonte: Utilitatis ed elaborazioni su dati Aida Bureau Van Dijk

Lo spaccato settoriale evidenzia una convergenza negli anni recenti tra le performance delle imprese mono e multyutility, a fronte di una redditività che si conferma più elevata nel caso dei business energetici e, al contrario, anche per ragioni strutturali, inferiore per quelli di igiene urbana, a fronte di un discreto recupero del contributo al margine della gestione operativa delle attività del servizio idrico. Ma le eccellenze presenti anche nel settore dei rifiuti sono la dimostrazione che un diverso approccio è possibile.

EBIT/VP 2009-2013 (dettaglio per settore) – (valore medio ponderato

al valore della produzione). Campione di 805 bilanci.

Fonte: Utilitatis ed elaborazioni su dati Aida Bureau Van Dijk

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Sono dati che suggeriscono l’esistenza di margini di recupero di efficienza del sistema, che passano per la promozione della qualità, per l’adozione dei costi standard e per il raggiun-gimento di una scala operativa adeguata.

L’introduzione di una regolazione indipendente, nel settore dei rifiuti, è a nostro avviso decisiva.

Alla luce delle evidenze si può affermare che nei servizi pubblici le dimensioni - così come fotografate dall’elevata patrimonializzazione - unitamente alla maggiore produttività del lavoro, sono la condizione per assicurare risultati economici equilibrati, un servizio di qualità e tariffe contenute agli utenti.

Si può ben comprendere come - se le risorse liberate da politiche gestionali orientate all’efficienza, fossero destinate a colmare il divario infrastrutturale - il problema finanziario ne risulterebbe sensibilmente attenuato.

Ripartizione valori economici per tipologie di società

Fonte: Utilitatis ed elaborazioni su dati Aida Bureau Van Dijk

Una quota prevalente delle gestioni è rappresentata da aziende mono-servizio, dove si rinviene anche il maggiore numero di addetti: il 42% del totale.

Il settore dei rifiuti da solo rappresenta oltre il 66% degli occupati (76 mila), seguito a lunga distanza dal settore idrico con il 24% (28 mila) e dalla distribuzione di gas naturale con appena il 10% (11 mila).

Si può dunque affermare che mentre il settore dei rifiuti è caratterizzato da elevata inci-denza di lavoro, l’idrico e l’energia sono settori a maggiore intensità di capitale. Aspetto quest’ultimo che va tenuto in debita considerazione, per le implicazioni in termini di azioni orientate al miglioramento dell’efficienza.

In effetti, da un rassegna degli studi presenti il letteratura di REF Ricerche emerge che l’avvento della regolazione indipendente e la crescita delle dimensioni hanno favorito un notevole aumento di efficienza nella distribuzione del gas nell’ultimo decennio. Ciò non di meno vi sono ancora spazi di miglioramento.

Nei servizi ambientali stupisce invece la variabilità degli esiti documentati dagli studi.

Nel caso dell’idrico, accanto ad 1/5 di gestioni efficienti, dove le potenzialità di riduzione dei costi non superano il 10%, vi è ancora una porzione equivalente di gestioni, dove i tassi di recupero appaiono decisamente superiori.

Nell’igiene urbana, circa la metà dei possibili incrementi di efficienza si pone fra lo 0 ed il 20%, con potenzialità di recupero anche superiori nelle altre gestioni, in funzione delle dimensioni e del territorio.

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Il conflitto istituzionale - testimoniato da oltre 200 pronunce della Corte Costituzionale - è stato fonte di incertezze e inerzie.

Settori che avrebbero beneficiato di un disegno industriale organico e di respiro stanno ancora oggi attendendo un chiarimento su ruoli e responsabilità dei tanti livelli di governo. Le recente Riforma del Titolo V, motore immobile di questo percorso, tenta di superare lo stallo, restituendo allo Stato la supremazia sulla materia ambientale.

A conferma della riconosciuta strategicità e della necessità di un riordino della disciplina, il Programma Nazionale di Riforma (PNR) incluso nel Documento di Economia e Finanza 2015, ha di recente ribadito la centralità dei servizi pubblici locali per il rilancio dell’e-conomia del Paese, individuando un percorso attuativo delle riforme riconducibile alle seguenti principali linee:

• Riassetto della disciplina vigente, attraverso l’emanazione di un testo unico in materia di SPL e di un testo unico in materia di partecipazioni pubbliche (la predisposizione di tali testi unici, in effetti, è prevista nella delega al Governo di cui al DDL 1577, il c.d. Disegno di legge Madia, relativo a “Riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche”);

• Promozione della concorrenza e del mercato, la cui attuazione (come espressamente affermato nel testo del PNR) deve avvalersi delle competenze acquisite dall’Osserva-torio per i Servizi pubblici;

• Attuazione di processi di aggregazione e rafforzamento della gestione industriale dei servizi.

Dopo l’impasse - seguita all’abrogazione dell’articolo 23-bis del D.L. 112/2008 con il refe-rendum del 2011 e dell’articolo 4 del D.L. 138/2011 ad opera della Corte Costituzionale - la politica sembra avere ripreso ad esercitare le proprie prerogative.

Accantonati i progetti di liberalizzazione e privatizzazione l’accento si è ora spostato sul ruolo della politica industriale e della crescita delle dimensioni delle aziende necessarie a traguardarne l’efficienza.

È in questo contesto che nell’ultimo anno sono maturati una serie di provvedimenti governativi che descrivono il canovaccio di una strategia di riassetto dei servizi pubblici locali a rilevanza economica che rappresentano un segnale di speranza, anche perché più coerenti con il contesto europeo.

4. IL SISTEMA DEI SERVIZI PUBBLICI A RETE

4.1 La lunga metamorfosi dei servizi pubblici a rete

L’ultimo ventennio ha segnato una profonda cesura per i servizi pubblici locali a rilevanza economica, sia sul versante istituzionale, sia su quello economico e organizzativo.

Solo per citarne alcuni: l’avvento di autorità di regolazione, l’affermazione del prin-cipio comunitario del full cost recovery, l’adozione della tariffa quale corrispettivo di un servizio, la trasformazione dalle gestioni in economia in realtà industriali, l’allontana-mento dei servizi pubblici dalla sfera di influenza politico-partitica.

Non sembra azzardato riferirvisi come ad una metamorfosi. Una trasformazione, tuttavia, non ancora compiuta in modo completo.

Dopo l’apprezzabile slancio di metà anni ’90 - quando questa trasformazione è stata avviata - le strade dei servizi pubblici locali si sono divaricate.

Da un lato quelli energetici, in cui la regolazione indipendente e i progressi delle liberaliz-zazioni/privatizzazioni, hanno accelerato l’affermazione di logiche industriali, di investi-mento e qualità; dall’altro i servizi a matrice ambientale, che dopo svariate fermate e ripar-tenze sono rimasti a lungo terreno di inerzie e inadempienze. Un ambito privilegiato della non scelta e delle prescrizioni disattese, dove l’eterna attesa Riforma diviene il pretesto che giustifica l’immobilismo.

Per il servizio idrico, invero, con il mandato conferito ad AEEGSI a fine 2011 è stato avviato un nuovo corso.

Nel caso del servizio di igiene urbana, invece, la governance a più livelli (Stato, Regioni, Province, Ambiti Territoriali, Comuni) mostra evidenti limiti di coordinamento, per una fase di pianificazione che travalica i confini comunali e un finanziamento saldamente ancorato al bacino di utenza servito.

A questi elementi, si aggiungono le carenze di un settore che - nato in un contesto stru-mentale all’attività degli Enti locali e vivendo di finanza derivata - ha avuto serie difficoltà a sviluppare una gestione industriale.

Un quadro critico che finisce per non rappresentare adeguatamente il fatto che esiste un’a-nima di aziende con un solido approccio industriale, in grado di generare qualità, benes-sere e valore per la collettività, con alcune eccellenze in ambito nazionale e internazionale.

Dopo la riforma Costituzionale del 2001 le competenze legislative in materia ambien-tale hanno infatti vissuto un moto oscillatorio, con ampliamenti e riduzioni della sfera di azione dello Stato e delle Regioni.

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Incremento della dimensione media del bacino di domanda

degli ATO idriche

Situazione pre

L.42/2010

Situazione

aprile 2015

N. ATO 91 N. ATO 70

Popolazione

media 615.997

Popolazione

media 860.485

Fonte: Utilitatis

Stato di attuazione della L. 191/2009 nel comparto idrico

4.2 Dallo “Sblocca Italia” alla Legge di Stabilità 2015: l’avvio di un nuovo corso

Il cosiddetto decreto “Sblocca Italia” – istituendo gli Enti di Governo d’Ambito - ha reintrodotto un soggetto che era stato abolito nel 2010 (le ex Autorità d’ambito), manife-stando con questo la volontà di dotare il settore idrico e il settore ambientale, di un livello territoriale di governo.

Una governance che vede nelle Regioni il garante primo del percorso e poi nella Presi-denza del Consiglio dei Ministri l’eventuale stimolo all’inerzia da parte di queste.

Il processo di riordino risulta al momento avviato, sebbene con disomogeneità territoriali e settoriali.

Allo stato attuale si riscontrano criticità, a partire dalla incompleta costituzione degli enti di Governo degli ATO, da parte delle Regioni.

Un fenomeno che riguarda soprattutto – ma non solo – le aree meridionali. A questo si aggiungono la diffusa mancata adesione degli enti locali agli Enti di Governo d’Ambito e i ritardi da parte di questi negli affidamenti.

Una recente indagine - condotta in seno all’Osservatorio dei servizi pubblici locali operante presso il Ministero dello Sviluppo Economico - ha condotto ad una mappatura, Regione per Regione, dello stato di attuazione delle norme sull’organizzazione dei sevizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, evidenziando le aree in cui si concentrano i ritardi e le inadempienze.

Anche grazie a questa ricognizione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha diffidato quattro Regioni inadempienti, che a distanza di oltre venti anni dalla Legge Galli e di quasi dieci dal Codice dell’Ambiente, non hanno ancora provveduto.

Il decreto “Sblocca Italia” ha inoltre sancito tempi certi per le procedure di affidamento, prevedendo poteri espropriativi in capo agli Enti di governo ai fini della realizzazione delle opere e la possibilità di un esercizio di tale poteri, delegato alle gestioni laddove contemplato dalle convenzioni di servizio.

I “nuovi” Enti di Governo, oltre a decidere la modalità dell’affidamento del servizio, sono tenuti a verificare la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa comunitaria, a indi-care le motivazioni che hanno condotto a preferire una determinata opzione, alla stesura di un piano economico-finanziario della gestione che contenga anche la proiezione dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti.

Il legislatore riserva un trattamento peculiare agli affidamenti in house, affinché - laddove prevale - questa scelta abbia anche i presupposti per funzionare.

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partecipazioni, comprensivo di modalità e tempi di attuazione, nonché dell’esposizione in dettaglio dei risparmi di spesa da conseguire.

Tra i criteri guida di questo percorso è espressamente indicata l’aggregazione delle società dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

È tuttavia importante precisare che solo il 16%, 1.168, delle oltre 7000 società/enti a partecipazione pubblica locale opera nei servizi di interesse economico generale.

Oltre il 70% delle partecipate pubbliche è dunque rappresentato da enti “strumentali” delle amministrazioni locali. Società impegnate in attività di promozione del territorio e del turismo, in servizi amministrativi e informatici o in altre attività dirette all’ente e non ai cittadini.

Ripartizione aziende partecipate direttamente dagli EELL

per tipologia di settore

Fonte: Utilitatis

Con queste premesse è evidente come - quando si parla di servizi di pubblica utilità - la razionalizzazione delle partecipate pubbliche non debba essere dettata solo da un taglio della spesa, ma funzionale ad un disegno industriale: riduzione del numero delle imprese, crescita dimensionale degli operatori e incrementi di produttività e efficienza.

Da una prima ricognizione sui Piani di razionalizzazione approvati gli esiti non sono ancora quelli auspicati. Non tanto o non soltanto in termini di risparmi di spesa, acqui-siti in seno alla spending review, quanto piuttosto di riduzione della frammentazione esistente.

Le neo istituite Città metropolitane, da un lato, e gli Enti di Governo d’ambito, soggetti che avrebbero dovuto essere artefici del consolidamento, chiamati a definire il perimetro dei servizi in una logica di area vasta, sono ancora soggetti istituzionali acerbi, privi di una reale capacità di incidere sulle scelte.

Così le esigenze della razionalizzazione, correttamente incentrate sulla amministrazione locale in quanto detentrice delle partecipazioni, finiscono per prevalere su quelle dell’ag-

Incremento della dimensione media del bacino di domanda

degli ATO rifiuti

Situazione

Novembre 2009

Situazione

Aprile 2015

N. ATO 125 N. ATO 79

Popolazione

media 476.954

Popolazione

media 755.509

Fonte: Utilitatis

Stato di attuazione della L. 191/2009 nel comparto rifiuti

NOTA (*): Regione Veneto: 1 ATO Regionale e 12 sub-ambiti di dimensione provinciale, Sub/Sovra Provinciale

Un altro tassello è certamente quello del superamento della frammentazione gestionale, che nei settori dell’acqua e dei rifiuti, è il principale ostacolo ad uno sviluppo in senso industriale.

L’approdo alla gestione “unica” del servizio idrico, introdotto dallo Sblocca Italia, rappre-senta certamente un altro passo avanti.

Un impulso decisivo al consolidamento dovrebbe poi giungere dalla razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche, avviato con la Legge di Stabilità 2015.

Entro il 31 marzo 2015 ciascuna Istituzione locale - Regione, Provincia, Comune o altra amministrazione locale - era tenuta ad approvare un Piano di razionalizzazione delle

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Calendario delle gare per ATEM

Fonte: Utilitatis

gregazione, lasciata a valutazioni discrezionali e subordinata a tempi lunghi, condizionati da appuntamenti elettorali, ritenuti necessari per la maturazione del consenso.

Manca ancora un preciso mandato politico a perseguire la strada del consolidamento e del superamento della dimensione comunale dei servizi.

4.3 L’avvio delle gare nelle distribuzione gas

Il settore della distribuzione di gas naturale ha visto negli ultimi anni una serie di inter-venti legislativi che hanno sancito l’obbligo di gara per l’assegnazione delle concessioni di servizio e la ridefinizione del perimetro di gestione.

Ad oggi si è giunti all’individuazione di 177 Ambiti Territoriali Minimi (ATEM) in cui il servizio dovrà essere svolto attraverso la selezione di un gestore mediante gara, strumento principe della concorrenza per il mercato in grado di favorire la selezione dell’operatorie più efficiente e con essa il contenimento dei costi del servizio (da conseguire anche attra-verso opportune aggregazioni per sfruttare le economie di scala e densità) a beneficio di consumatori e utenti.

Entro il mese di luglio 2015 - salvo ulteriori rinvii - dovrebbero essere bandite le gare per gli ATEM delle principali città italiane: Milano, Bologna, Torino.

Entro la fine del 2015 saranno in tutto 82 gli ATEM coinvolti, pari al 49% delle reti di distribuzione (59% dei volumi, 53% dei clienti), mentre entro la fine del 2016 si dovreb-bero concludere tutte le restanti procedure competitive.

Appare opportuno richiamare alcuni risvolti critici dell’attuale impostazione delle gare:

• Rilevanti squilibri tra ATEM (un disomogeneità delle concentrazioni territoriali tra aree settentrionali e aree meridionali che rende queste ultime meno contendibili anche a causa dei consumi più contenuti);

• Una maggiore contendibilità degli ATEM di minori dimensioni;

• Una diversa “appetibilità” degli ATEM in funzione del valore del rimborso del gestore uscente e alle proprietà delle reti (Comuni/gestori);

• Una cadenza temporale delle gare troppo impattante (le scadenze più vicine sono concentrate nelle regioni del Centro, mentre tra le ultime rientrano quelle delle aree del mezzogiorno).

• L’esistenza di problemi irrisolti collegati alle tematiche del lavoro (trasferimenti, diffe-renziali contributivi, mancata soppressione del Fondo gas).

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Si tratta di assicurare alle gestioni pubbliche efficienti l’autonomia organizzativa neces-saria a realizzare il proprio Piano industriale, sulla base del piano economico e finanziario approvato, sotto la vigilanza degli Enti di governo d’ambito e dell’autorità di regolazione. Un disegno industriale, naturalmente, ha successo solo se accompagnato da un manage-ment competente e motivato.

Dal riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale è dunque auspica-bile che giungano segnali di una strategia industriale che veda nei servizi pubblici a rete un volano di crescita e sviluppo imperniata sul consolidamento, la crescita dimensionale e il recupero di efficienza.

4.4 Il riordino dei servizi pubblici locali nella Riforma Madia: uno slancio, non l’ennesima ripartenza

La delega alla riforma dei servizi pubblici locali cui il Governo sta lavorando in questi mesi deve essere l’occasione per semplificare e consolidare in un unico testo ciò che di buono è stato finora fatto e non una ennesima riscrittura di regole, che alla prova dei fatti si rivelano puntualmente disattese.

È auspicabile che nei decreti delegati della Riforma della PA che vedranno presto luce si specifichino in modo chiaro i criteri, i tempi e gli obblighi per il conseguimento degli obiettivi di consolidamento auspicati: scadenze cogenti, riduzione dei trasferimenti e l’in-dividuazione di precise fattispecie di responsabilità, sino al commissariamento nei casi di reiterate inerzie e inadempienze.

Si tratta di codificare in un unico testo anche il complesso delle prescrizioni (positive) introdotte dai due provvedimenti cardine - il decreto Sblocca Italia e Legge di Stabilità 2015 - ribadendo la volontà di sostenere il percorso appena (ri)avviato, confe-rendo altresì un mandato di regolazione indipendente anche per il servizio di igiene urbana, per definire metodologie tariffarie, regole chiare di rendicontazione dei costi, disciplinare i contratti di servizio, assicurare il raggiungimento degli obiettivi comunitari di forte incremento della raccolta differenziata, individuare obiettivi di miglioramento della qualità commerciale.

Aspetti questi che dovrebbero interessare anche la determinazione dei corrispettivi in ingresso alle discariche e agli inceneritori, per la quota riferita ai rifiuti urbani e assimilati, vista la rilevanza che il recupero di energia e lo smaltimento rivestono nell’economia del ciclo dei rifiuti.

Apprezzabile è la previsione di incentivi economici e finanziari in favore delle amministra-zioni locali che accompagnano il consolidamento: si tratta, ad esempio, delle premialità di natura finanziaria e fiscale, dell’esclusione dal patto di stabilità dei proventi delle dismis-sioni, dell’assegnazione in via prioritaria dei finanziamenti a fondo perduto e, soprattutto, del prolungamento delle concessioni, laddove necessario ad assicurare l’equilibrio econo-mico-finanziario delle gestioni oggetto di consolidamento, con il beneplacito della compe-tente Autorità di regolazione (una disposizione che traspone norme già presenti nell’or-dinamento sovranazionale, cfr. articolo 43 della Direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione).

In ultimo, è fondamentale che la Riforma eviti una impostazione a taglia unica, che acco-muni con regole rigide enti strumentali e realtà industriali dei servizi pubblici a rete.

Una soluzione di buon senso appare quella di graduare regole, autonomia e responsabilità in base a parametri di natura economica e finanziaria, assicurando margini di manovra superiori laddove le imprese pubbliche risultano efficienti e svolgono un’attività indu-striale su una scala d’ambito coerente con le economie di costo.

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Fonte: ISPRA

5. LE IMPRESE DEI SPL, IL FABBISOGNO INFRASTRUTTURALE E L’OPPORTUNITÀ PER IL PAESE

5.1 Il fabbisogno infrastrutturale

A fronte di questo panorama industriale, non può essere sottaciuto il pessimo stato delle infrastrutture legate all’ambiente.

L’Italia vanta ben 16 procedure di infrazione comunitarie in materia ambientale: di queste 4 hanno a che vedere con il mancato recepimento delle prescrizioni in materia di disca-riche e per la violazione o la non corretta applicazione delle direttive sui rifiuti.

Il panorama del Paese si caratterizza ancora per un ricorso significativo alla discarica quale modalità prevalente di smaltimento. Quasi il 40% dei rifiuti urbani raccolti è avviato a smaltimento in discarica, contro una media UE15 che si ferma al 27% (percentuale che sale al 34% nell’UE28).

Il confronto con alcuni partner europei rivela tratti peculiari: Germania, Austria, Olanda, Belgio, Svezia e Danimarca presentano un ricorso alla discarica prossimo allo zero.

Per contro, il ricorso al trattamento termico dei rifiuti si ferma in Italia al 18%, contro un valore medio del 27% per UE15, con Paesi come Danimarca e Olanda che registrano percentuali del 52% e 49%, seguiti da Germania e Austria con il 35%.

Gli obiettivi comunitari di azzeramento del conferimento in discarica, di massimizzazione del riciclaggio, del riutilizzo e del recupero di energia, laddove non riciclabili, implicano una precisa strategia che coinvolga l’intero sistema Paese.

Il solo recupero energetico dei rifiuti attualmente smaltiti in discarica vale un miliardo di euro l’anno.

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È dunque opportuno ricordare il deficit impiantisco di cui soffre cronicamente il Paese: il 4% della popolazione è ancora priva di adeguati impianti acquedottistici ed il 7% di un collegamento alla rete fognaria. Sul versante della depurazione della acque emerge poi un ritardo drammatico con il 15% della popolazione sprovvista di impianti di trattamento (il 21% del carico inquinante): in grave ritardo il Mezzogiorno dove 3 famiglie su 10 non sono collegate a un depuratore.

Il principale ostacolo agli investimenti è il desiderio di non cagionare una crescita “ecces-siva” delle tariffe, accettando in questo modo un eccessivo degrado del servizio, eroga-zioni razionate degne di un Paese in via di sviluppo (in alcune aree del Mezzogiorno), e dell’ambiente, con l’inquinamento di fiumi e coste.

L’attuale Metodo Tariffario Idrico definito da AEEGSI fissa un limite massimo all’in-cremento annuale delle tariffe, pari al 6.5% per i territori dotati di adeguata dotazione impiantistica, che può salire sino al 9.5% in presenza di un rilevante deficit infrastruttu-rale. Nel 2014 la crescita media delle tariffe idriche è stata del 6%, per il 2015 la varia-zione si attesta al 5%.

Non appaiono numeri eclatanti una volta considerato il fatto che le tariffe sono oggi tra le più basse dell’Europa continentale, e che dicendo “no” agli investimenti si preclude anche la possibilità di creare occupazione, sostenere i consumi delle famiglie e promuovere uno sviluppo “sano” e sostenibile del territorio.

Costo unitario del servizio idrico integrato.

Famiglia con consum di200 m3/anno.

Fonte: Laboratorio REF Ricerche e SMAT

In ambito di infrastrutture idriche le cose non vanno meglio.

A distanza di oltre venti anni delle Direttive dei primi anni ‘90 il Paese non ha ancora recepito le prescrizioni che chiedevano agli Stati membri di dotarsi di sistemi di raccolta delle acque reflue urbane e di garantire opportuni trattamenti per rimuovere gli inquinanti dagli scarichi.

Le carenze infrastrutturali nel servizio idrico sono già state oggetto di sentenze di condanna da parte della Corte di Giustizia Europea per mancata attuazione della Direttiva 91/271/CEE, con sanzioni che potrebbero presto essere recapitate al Paese: sono più di 800 gli agglomerati con oltre 2 mila abitanti equivalenti che non sono dotati di adeguate infrastrutture di raccolta e trattamento dei reflui.

Sono coinvolte quasi tutte le Regioni italiane, con le situazioni più critiche che riguardano la Sicilia, Calabria, Lombardia e Campania. Una terza procedura risulta pendente: la Commis-sione Europea ha recentemente inviato un parere motivato ancora in riferimento al mancato adeguamento alla Direttiva 91/271/CEE, un ultimo passaggio, che precedere il rinvio al giudizio della Corte di Giustizia Europea per una probabile condanna (sarebbe la terza).

Le indicazioni del Ministero dell’Ambiente e dalla Tutela del territorio (MATT) pongono a oltre 480 milioni di euro l’ammontare delle sanzioni pecuniarie che potrebbero essere comminate al Paese dal 1° gennaio 2016 e fino al completamento delle opere.

Nel complesso il fabbisogno di investimenti per le infrastrutture nei servizi ambientali è riassunto da pochi numeri: per il servizio idrico servirebbero circa 5 miliardi di euro l’anno per i prossimi 30 anni: un valore in linea con le migliori esperienze dei nostri partner europei, Germania e Francia, a fronte dei circa 2 miliardi anno previsti dalla piani-ficazione.

Gli investimenti pro-capite del nostro paese si collocano dunque su livelli decisamente inferiori a quelli dei principali Paesi europei: si va dai 79 euro/abitante in Germania fino ai 139 euro/abitante in Danimarca.

Fabbisogno di investimenti nel comparto idrico

Fonte: Utilitatis

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Le cause di questo stallo non possono essere ascritte in toto alla carenza di risorse finan-ziarie, quanto piuttosto alla mancanza di una governance chiara dei settori e ad un deficit nella capacità di progettazione e avvio dei cantieri: le già limitate risorse rinvenienti dal bilancio pubblico e dalle istituzioni comunitarie rimangono spesso inutilizzate specie dove non esistono gestori industriali di rilievo come nel Mezzogiorno.

Assai eloquente è il caso dell’ultima delibera Cipe 60/2012, che ha messo a disposizione oltre un miliardo e 700 milioni di euro per il finanziamento di circa 180 interventi (tra depuratori e reti fognarie). Ad oggi, il MATT ha esaminato la progettazione relativa a 128 interventi, pari al 70% del totale impegnato, valutandone positivamente appena 36: ciò implica che oltre il 72% dei progetti sottoposti a valutazione richiede correzioni e integra-zioni funzionali a ben 3 anni di distanza dallo stanziamento dei fondi.

Proprio a causa dell’incompletezza e incongruenza dei progetti lo stato di avanzamento delle opere finanziate è praticamente nullo.

Utilizzo dei fondi CIPE per il finanziamentodelle infrastrutture idriche

Fonte: Laboratorio REF Ricerche su dati Ivitalia

Secondo una recente ricognizione operata dalla Presidenza del Consiglio sull’accordi di partenariato 2007-2014 che ricomprende i fondi comunitari stanziati per le politiche di coesione, il rapporto tra la capacità di spesa e la dotazione dei fondi comunitari è pari in Italia al 62,2%: un dato che seppur in crescita nell’ultimo anno (era pari al 53% a fine 2013) palesa ancora un deficit di programmazione e una diffusa carenza di capacità tecnica e amministrativa negli enti deputati alla pianificazione.

Come si è detto i ritardi e le inadempienze al completamento del processo di integra-zione territoriale pur essendo presenti nell’intero contesto nazionale sono fortemente

L’introduzione del Bonus sociale idrico dovrà agevolare questo percorso. Sarebbe auspi-cabile lasciare agli Enti di Governo d’ambito la facoltà di prevedere un sostegno superiore allo “standard” minimo nazionale, laddove l’incidenza più elevata della spesa o la dimen-sione del disagio sociale dovessero suggerirne l’opportunità. Un impegno degli Enti locali alla promozione e alla diffusione del Bonus idrico, che riporti la tariffa al ruolo di corri-spettivo di un servizio industriale, sganciandola da quello di strumento per la gestione del consenso.

Nel caso dei servizi di igiene urbana la situazione non è diversa: per raggiungere gli obiet-tivi di recupero indicati nelle Direttive comunitarie sarebbe necessario almeno 1 miliardo di euro l’anno nei prossimi cinque anni di investimenti nella capacità impiantistica per il compostaggio, nella filiera del riciclo e nel recupero energetico dei rifiuti.

Riconoscendo la debolezza dell’architettura istituzionale, in materia di recupero energe-tico dei rifiuti, l’art. 35 dello Sblocca Italia ha manifestato la volontà di disegnare una rete nazionale integrata di impianti di trattamento, che potranno essere autorizzati a lavorare fino a saturazione del carico termico, al fine di porre rimedio alla cronica carenza di capa-cità di smaltimento in cui versa larga parte del Paese. L’accentramento delle competenze in materia di pianificazione sembra dunque inserirsi nella medesima direzione dell’attuale percorso di revisione costituzionale delle competenze tra Stato e autonomie locali.

La soluzione adottata, supera il principio dell’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, e permette il conferimento di rifiuti urbani in Regioni diverse da quelle da cui originano al fine di raggiungere la piena capacità di utilizzo degli impianti esistenti, richiedendo idonee misure di compensazione a beneficio dei territori che si fanno recettori per il tempo necessario alla realizzazione delle opere necessarie a ripristinare l’equilibrio tra fabbisogno e capacità di recupero/smaltimento.

Fabbisogno di investimenti nel comparto ambiente

Fonte: Utilitatis

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5.2 Verso un nuovo ciclo degli investimenti nel settore energetico

Gli ultimi anni sono stati teatro di cambiamenti nei sistemi di produzione, di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, sia dal punto di vista tecnologico che normativo ed economico.

Oggi la rete elettrica italiana costituisce un sistema essenzialmente passivo, in cui l’energia viene distribuita in una sola direzione, dalle centrali di generazione ai consumatori finali.

Lo sviluppo delle fonti rinnovabili e della generazione distribuita impongono una revi-sione dell’architettura della rete, in cui la generazione, il trasporto e la distribuzione sono interrelati: è il nuovo paradigma delle “Smart Grid”, ovvero la trasformazione delle reti di distribuzione in sistemi intelligenti.

Questa sorta di “rivoluzione” del sistema elettrico richiede la creazione di una infrastrut-tura smart che funga da piattaforma per successivi sviluppi, per gestire in sicurezza la partecipazione delle risorse diffuse ai servizi di dispacciamento.

Ulteriori potenzialità giungeranno nei prossimi anni dalla diffusione della banda larga e dalla interoperabiità tra quest’ultima e la rete elettrica per consentire l’erogazione di servizi a contenuto tecnologico: è la strada della cosiddetta building automation, che consente una gestione coordinata, integrata degli impianti di climatizzazione, distribuzione acqua, gas ed energia, delle reti informatiche e delle reti di comunicazione, in grado di accrescere la sicurezza, migliorare la qualità della vita e il comfort delle abitazioni e contenere i costi di gestione.

Con queste premesse, la regolazione è chiamata a creare le condizioni, sia in termini di remunerazione delle risorse investite sia di regole di accesso, affinché i gestori possano accompagnare questo sviluppo, con ricadute anche in favore delle imprese di distribu-zione, che nel sistema attuale non avrebbero incentivi a sviluppare nuove soluzioni tecno-logiche.

Solo nella distribuzione gas il fabbisogno di investimenti per il servizio di misura e il rinnovo/manutenzione delle reti comporta un impegno annuo superiore ad 1,5 miliardi di euro ed altrettanto sarà richiesto nella distribuzione elettrica.

La Commissione UE individua per la rete di distribuzione elettrica europea investimenti pari a cinque volte quelli necessari per la rete di trasmissione al fine di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.

Una considerazione sulle nostre città. Attualmente il 50% della popolazione mondiale vive nelle città, passerà all’80% nel 2050 , passando da 3.5 miliardi a 7.7 miliardi di abitanti.

Producono il 50% dei rifiuti mondiali, la maggior parte di emissioni gas serra e consu-mano il 75% di risorse naturali.

concentrate nelle Regioni del Mezzogiorno e costituiscono una fondamentale remora allo sviluppo delle infrastrutture e all’efficienza dei servizi. Nelle aree meridionali, in effetti, è ancora prevalente la scala mono-comunale, con molte gestioni in economia, e la conse-guente frammentazione organizzativa e gestionale. In molti casi, soprattutto nei settori dei rifiuti e idrico, le filiere dei servizi non sono integrate e i singoli segmenti vengono eserci-tati dai Comuni. Ciò determina un profondo squilibrio che si manifesta su terreni diversi: da quello della dotazione dei servizi, a quello industriale a quello gestionale. Si consideri al riguardo che il rapporto tra il valore della produzione dei gestori dei servizi e il PIL presenta un dato medio nazionale del 2,3%, che si attesta al di sopra del 3% al Nord, intorno al 2% al Centro e allo 0,8% al Sud.

Ciò insomma sta a dimostrare che la gestione dei servizi pubblici locali in forma di impresa ha riguardato, fin dall’origine, le regioni più industrializzate del Paese nelle quali si sono poi sviluppati processi di integrazione, di aggregazione e di estensione delle aree di attività.

Si impone dunque un cambio di passo.

Non appare avveniristico ritenere che in presenza di carenze e inerzie che lasciano intendere una limitata attenzione alla congruità e completezza progettuale e/o soluzioni tecnologiche non coerenti con i risultati attesi, agli Enti attuatori si possano affiancare o sostituire ai gestori dei servizi, con il coordinamento di una struttura amministrativa centralizzata, secondo logiche di sussidiarietà.

Occorre altresì valutare attentamente i costi/benefici tra la certezza di pagare sanzioni giornaliere di centinaia di migliaia di euro per la carenza di adeguate infrastrutture idriche e la possibilità di consentire adeguamenti delle tariffe dei servizi coerenti con il necessario fabbisogno di investimento. Una soluzione oggi praticabile per l’efficacia delle soluzioni adottate ad esempi dal regolatore nel settore idrico.

Va considerato infatti che i fondi pubblici assegnati dal Cipe per le opere idriche costi-tuiscono solo una parte del fabbisogno annuale e che lo stesso decreto “Sblocca Italia” richiede che le gestioni beneficiarie delle risorse pubbliche compartecipino al finanzia-mento delle infrastrutture con il gettito della tariffa.

In sostanza, si tratta di non reiterare gli errori del passato, quando gli investimenti infra-strutturali sono stati troppo spesso sacrificati sull’altare del contenimento tariffario aggra-vando il debito infrastrutturale a carico delle future generazioni.

In particolare nel settore dei rifiuti, dopo le negative esperienze degli ultimi anni (TARSU, TARES, TARI) è indispensabile superare la natura impositiva a favore di una tariffa basata sul principio “chi inquina paga”, che riconosca costi efficienti (costi standard) e che consenta ai gestori il recupero dei costi del capitale investito, anche per finanziare nuovi ed urgenti investimenti.In questo quadro è decisiva la separazione del sistema tariffario dei rifiuti dalla “local tax” che il Governo sta preparando per il 2016.

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Sarà dunque necessario operare scelte in merito alla determinazione delle sue componenti che ne garantiscano la robustezza, coerenza, utilizzando anche le principali esperienze internazionali.

Le scelte dovrebbero altresì possedere un elevato grado di coerenza interna e consistenza intertemporale, cioè essere in grado di superare le turbolenze dei mercati finanziari, offrendo un sostegno costante nel tempo al fabbisogno di investimento.

Servirà forte coerenza nella scelta dei parametri del WACC e nelle metodologie di aggior-namento.

Non si può dimenticare il contributo che viene alle economie territoriali dallo sviluppo e gestione delle infrastrutture di rete ed alla loro gestione integrata. La discussione sulla banda larga di questi giorni indica dove è possibile davvero fare economia.

5.4 Il “Piano Juncker”: una opportunità da cogliere

Il Presidente della Commissione Europea ha recentemente annunciato un provvedimento che mira a rilanciare gli investimenti e la crescita: il cosiddetto “Piano Juncker”, che ha l’ambizione di finanziare progetti infrastrutturali per un ammontare di 315 miliardi di euro nel triennio 2015-2017 e creare fino a 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro.

La dotazione del Fondo potrà contare su 21 miliardi di euro provenienti dal bilancio UE e dalla BEI, da offrire a garanzia degli investimenti e al finanziamento delle piccole e medie imprese. La restante parte delle risorse dovrebbe essere assicurata da investimenti privati.

I singoli Stati nazionali possono prevedere risorse aggiuntive: il Governo italiano ha annunciato uno stanziamento di 8 miliardi di euro, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti.

Tra i progetti candidati dall’Italia a rientrare nel piano di investimenti della Commissione europea ci sono 93 opere, per un investimento previsto nel prossimo triennio (2015-2017) di 83,7 miliardi di euro, il 16,7% del volume totale degli investimenti accreditati dai 28 paesi Ue.

Il Piano Juncker si basa sulla capacità delle garanzie pubbliche di fungere da moltiplica-tore degli investimenti: un beneficio che potrà esplicarsi solo se alla dotazione del Fondo si accompagnerà il sostegno delle istituzioni comunitarie e nazionali, sia in termini di selezione di progetti “credibili” sia di regole certe sul ritorno degli investimenti.

Si rendono dunque necessari interventi legislativi e “binari” regolatori dedicati ai progetti strategici che assicurino stabilità e certezza delle regole.

Riguardo a quest’ultimo punto la stessa Commissione UE ricorda che un ruolo centrale dovrà essere giocato dalla qualità e dalla certezza delle regole.

In Italia, i servizi regolati da autorità indipendenti sono i naturali candidati, grazie proprio

La sfida dei prossimi anni sarà quella di migliorare la qualità della vita in particolare nelle città, sfruttando tutte le opportunità di innovazione nei servizi, efficienza e riduzione delle emissioni.

Il contributo che le utility possono dare in questo campo è enorme. Si tratta di indivi-duare il giusto sistema di regole per remunerare gli investimenti valorizzando le esternalità positive associate.

Fabbisogno di investimenti nel comparto energia

Fonte: Utilitatis

5.3 La riforma del WACC: un passaggio delicato

La determinazione del costo standard del capitale investito è uno dei pilastri su cui si incardina il principio comunitario del full cost recovery: occorre riconoscere un costo del capitale congruo, cioè coerente con le condizioni di mercato, tale da assicurare l’afflusso dei finanziamenti necessari ai settori che esprimono un fabbisogno di investimento.

Il documento messo in consultazione in questi giorni dall’Autorità per il settore elettrico, contiene proposte che possono essere migliorate nella direzione che lo stesso governo ha dichiarato necessarie per la ripresa.

Considerato il nuovo contesto dei mercati finanziari, nonché la volatilità che ha caratteriz-zato gli ultimi anni, è necessario cambiare la metodologia tariffaria adottata finora.

Le modifiche devono essere tali da sostenere il livello degli investimenti delle imprese, anche tenendo del trend decrescente degli ultimi anni.

Le attuali proposte dell’Autorità non sembrano ancora sufficienti a tal fine.

Servono segnali economici coerenti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo, sicurezza, integrazione delle reti per cogliere tutte le opportunità.

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alla presenza di regole certe in materia di rimborso degli investimenti: una occasione che non può essere persa dai settori dei servizi pubblici a rete a rilevanza economica.

La comunità finanziaria ha peraltro in più occasioni riconosciuto che, grazie ai progressi del quadro regolatorio degli ultimi anni, il settore idrico si presenta oggi attrattivo agli occhi degli investitori.

In questa ottica il superamento del retaggio culturale, che limita lo sviluppo della tariffa, rappresenta oggi la principale barriera non finanziaria agli investimenti.

Rimane poi il tema degli assetti proprietari idonei, in una geometria, quella del Piano Juncker, che punta in maniera decisiva sull’apporto di capitali di rischio e di debito.

Un fattore che nel caso di gestioni in house possedute da soggetti pubblici gravati dal patto di stabilità, rappresenta sicuramente una criticità.

Non sembra azzardato ritenere che in questi casi all’eventualità di una deroga comuni-taria al Patto di Stabilità e Crescita, che è comunque utile ribadire, non è allo stato attuale prevista, possa assommarsi anche una coerente deroga al patto di stabilità interno.

Sono questioni che riportano alla necessità di accelerare il percorso alla razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche auspicato dalla Legge di Stabilità 2015 e della rifocalizza-zione del ruolo dell’operatore pubblico.

Decisivo in questo senso è un passo in avanti della politica, che sciolga il nodo del conflitto di interessi tra controllato e controllore, distingua tra la titolarità della funzione pubblica a cui spettano poteri di indirizzo e controllo, dalla gestione operativa di impresa.

6. LE POLITICHE DEL LAVORO

6.1 Regole semplici, uniformi, efficaci

Profondi mutamenti sono intervenuti nella domanda di servizi pubblici specie nelle grandi aree urbane.

Non sempre l’offerta da parte delle imprese ha saputo raccogliere questa sfida in materia di organizzazione del lavoro, continuità dei servizi, competitività dei territori.

Due limiti in particolare: una scarsa propensione a cogliere le opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche ed il mantenimento di un organizzazione del lavoro tradizionale con livelli inadeguati di produttività, specie nei settori labor intensive.

Centrale nella strategia di sviluppo industriale dei servizi pubblici è un diverso approccio anche sui temi del lavoro, della contrattazione collettiva e delle relazioni industriali. Una sfida a cui non vogliamo sottrarci.

Un chiarimento. La natura pubblica, privata o mista dell’assetto proprietario non assume rilievo ai fini della qualificazione privatistica del rapporto di lavoro.

Valgono le norme del diritto del lavoro privato dettate dal Codice Civile e dalle leggi speciali del lavoro (dallo Statuto del 1970 al Jobs Act di oggi) e dalla contrattazione collet-tiva di diritto comune dei rispettivi comparti industriali privati.

Una qualificazione da sempre pacifica in dottrina e giurisprudenza ma non sempre chiara al legislatore.

Gli interventi legislativi, che partendo da un interesse generale di contenimento e controllo della spesa pubblica degli enti proprietari hanno cercato di piegare detto rapporto verso quello del pubblico impiego, si sono rilevati dubbi sul piano giuridico e sicuramente poco efficaci.

Altri sono gli strumenti per combattere inefficienza e cattive pratiche. La tecnica dei vincoli lineari finisce infatti per appiattire verso il basso le performance delle imprese.

Necessita inoltre affermare sempre più il principio dell’uniformità delle regole per le imprese che operano nei medesimi comparti, in particolare nei settori interessati dai processi di liberalizzazione, come il settore della distribuzione del gas impegnato nei pros-simi due anni ad un calendario di gare nei 177 ambiti territoriali.

Mantenere un differenziale contributivo di quattro punti percentuali a svantaggio delle imprese di derivazione pubblica oltre che ad essere iniquo finirà per creare problemi allo svolgimento delle gare stesse.

I processi di liberalizzazione, di riorganizzazione delle imprese partecipate, promossi dall’ultima legge di stabilità, impongono una revisione degli ammortizzatori sociali. Anche

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imporrà l’adozione di norme legali al posto di quelle pattizie.

Infine, un modello contrattuale decentrato, di prossimità, ed un modello di relazioni industriali partecipativo oltre ad una efficace disciplina in materia di rappresentanza richiede una forte normativa anche in materia di esercizio del diritto di sciopero.

Una materia delicata, con discipline non sempre efficaci. Buono il livello raggiunto nei servizi tecnologici a rete sin dagli anni ‘90, meno in altri settori come quello dei rifiuti.

Non possiamo che richiamare tutti al senso di responsabilità cercando di implementare gli accordi realizzati estendendo le buone pratiche ed evitando di bloccare le città con conflitti a volte incomprensibili. Si tratta di garantire determinati servizi e prestazioni ai cittadini anche quando il livello del conflitto è elevato, tanto più in settori dove i livelli retributivi risultano, nel confronto con altri settori, decisamente adeguati. Ad un innalza-mento del livello minimo dei servizi garantiti alla cittadinanza - ad esempio nella raccolta dei rifiuti anche per ragioni sanitarie - può accompagnarsi, e questo può essere un terreno proficuo di sperimentazione, un utilizzo di strumenti che consentano contemporanea-mente di dare visibilità alle ragioni dello sciopero.

in questo caso mantenere una disciplina speciale per le società totalmente pubbliche non appare giustificato.

Regole semplici, uniformi, efficaci, debbono essere le direttrici di questa riforma.

Le modifiche al mercato del lavoro recenti possono essere di supporto ad una politica di rilancio degli investimenti offrendo nuove opportunità di lavoro, e aprire ad un diverso approccio nel rapporto scuola-lavoro, come testimoniano alcuni accordi raggiunti dalle nostre imprese.

6.2 Sistema di relazioni industriali, contrattazione collettiva, diritto di sciopero

Gli obiettivi di sviluppo industriale illustrati in questa relazione necessitano di un diverso approccio in materia di relazioni industriali e contrattazione collettiva.

Un approccio diverso che non cancelli i positivi risultati che ad esempio sono venuti dalla stipula dei contratti di settore, nel settore idrico ed energetico, o dalla specializzazione dei livelli negoziali, nazionale ed aziendale, ma operi per renderli funzionali alla necessità di aumentare i livelli di produttività e ridurre il costo di determinati servizi.

Necessita un sistema di relazioni industriali responsabilizzante e contratti collettivi che favoriscano l’impiego di moderne tecnologie per innalzare gli standard qualitativi dei servizi e ridurne i costi.

I livelli retributivi delle nostre imprese sono allineati a quelli dei relativi settori merceo-logici ma contengono differenziali importanti nei riguardi dell’industria manifatturiera esposta sui mercati internazionali.

Scarso inoltre è ancora il peso nella struttura retributiva della retribuzione di efficienza a causa delle risorse oggi allocate nel contratto nazionale. Difficilmente i due livelli, quello nazionale e quello aziendale, possono coesistere con le dinamiche di costo attuali.

Abbiamo dato la nostra disponibilità a modificare l’attuale impostazione. Non farlo potrebbe minare la stessa possibilità di sopravvivenza del contratto nazionale. Qualunque sia la scelta finale, il principio invalicabile è che non si realizzi una sommatoria di norma-tive e costi tra i due livelli di contrattazione e si privilegi in materia di costi il livello ricon-ducibile alle dinamiche dell’impresa.

Le soluzioni che enfatizzano la retribuzione legata al miglioramento delle performance di impresa, qualitative ed economiche, richiedono un’alta qualità nel management aziendale ed un sistema di relazioni industriali a livello aziendale efficiente, anche dal punto di vista della rappresentanza. L’esigibilità di quanto sottoscritto rimane un obiettivo prioritario.

Riteniamo pertanto indispensabile l’attuazione e l’implementazione dell’accordo sulla rappresentanza (TU 2014) per gestire un sistema negoziale efficiente. Diversamente si

Page 20: Relazione del Presidente - REF Ricerche · la natura anticiclica dei settori di pubblica utilità. Il valore della produzione è cresciuto mediamente di quasi il 20%, il totale attivo
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