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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Antonio Stefano Agrò
Carlo Citterio
Giorgio Fidelbo
Emanuele Di Salvo
Gaetano De Amicis
- . Presidente -
- Relatore
Sent. n. sez. 174
PU- 25/1/2013
R.G.N. 2504/12
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) Diego Cordaro, nato a Roma il 9.9.1947;
2) Italo Cefaro, nato ad Albano Laziale (RM) il 28.9.1935;
3) Carlo Contino, nato Napoli il 4.10.1957;
4) Vittorio Ferretti, nato a Roma il 28.8.1952;
avverso la sentenza del 27 maggio 2011 emessa dalla Corte d'appello di
Roma;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il Sostituto Procuratore generale, Giuseppe Volpe, che ha chiesto
l'annullamento senza rinvio della sentenza in relazione al reato di cui al capo
I, qualificato ai sensi dell'art. 319-quater c.p., per prescrizione e in relazione
alla confisca disposta nei confronti di Contino, nonché l'inammissibilità del
ricorso di Cordaro e li rigetto nel resto;
Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | [email protected] Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò | 2010-2014 Diritto Penale Contemporaneo
uditi i difensori delle parti civili, avvocati Claudio Staderini e Giovanni Malara,
che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi degli imputati e la conferma delle
rispettive statuizioni civili;
uditi i difensori degli imputati, avvocati Roberto Rampioni, Rosario Tarantola,
Patrizio Alecce e Angelo Francesco Macrì, che hanno insistito per
l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
O O 0 0 O
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21 ottobre 2008 il Tribunale di Roma dichiarava
Diego Cordaro e Italo Cefaro, entrambi ispettori della sede INPS di Pomezia,
responsabili del reato di associazione per delinquere finalizzata alla
commissione di delitti contro la pubblica amministrazione (capo A),
condannandoli alla pena di quattro anni di reclusione, con applicazione della
pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque; inoltre,
dichiarava Vittorio Ferretti, ispettore del lavoro presso la Direzione provinciale
del lavoro di Roma, responsabile dei reati di concussione e abuso d'ufficio
(capi I, L) e lo condannava a tre anni e sei mesi di reclusione, con
l'interdizione perpetua dai pubblici uffici; riconosceva Carlo Contino,
cancelliere in servizio presso la Procura di Roma, responsabile dei reati di
rivelazione dei segreti d'ufficio e di favoreggiamento personale (capo N),
nonché di corruzione propria (capo O), condannandolo a tre anni e sei mesi
di reclusione, con l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni; dichiarava
l'estinzione per intervenuta prescrizione dei reati di corruzione e abuso
d'ufficio contestati a Cordaro e Cefaro (capi B e F), nonché del reato di tentata
concussione contestata a Cefaro (capo G) e dei reati di falsità materiale
contestati a Contini (capi P e Q); condannava Cordaro e Cefaro al risarcimento
dei danni in favore dell' INPS e Ferretti al risarcimento dei danni in favore
della SOFTLAB, stabilendo a favore di quest'ultima parte civile la provvisionale
di euro 10.000,00; ordinava la confisca delle somme di denaro sequestrate a
Cordaro, Cefaro e Contino e, con riferimento a quest'ultimo, anche dei buoni
di benzina; assolveva con formula piena Cefaro dai reati di concussione e
corruzione di cui ai capi D), E) e M), Contino dai reati di associazione per
2
delinquere e favoreggiamento reale di cui ai capi A) e N), Ferretti dal reato di
concussione di cui ai capo D).
2. Sulle impugnazioni degli imputati la Corte d'appello di Roma, con la
decisione in epigrafe indicata, ha parzialmente riformato la sentenza di primo
grado:
- ha dichiarate la estinzione per intervenuta prescrizione del reato
associativo contestato a Cordaro e Cefaro al capo A), nonché dei reati di
rivelazione dei segreti d'ufficio, di favoreggiamento e di corruzione contestati
a Contino ai capi N) e O) e del reato di abuso d'ufficio contestato a Ferretti al
capo L);
- ha qualificato come abuso d'ufficio il reato contestato al capo B), così
qualificata la condotta originariamente contestata a Cefaro e Cordaro come
corruzione e già dichiarata prescritta dal primo giudice;
- ha assolto nel merito Cefaro dal reato di tentata concussione di cui al
capo G);
- ha revocato le pene accessorie applicate nei confronti di Cordaro, Cefaro
e Contino;
- ha confermato la responsabilità di Ferretti per il reato di concussione di
cui al capo I), rideterminando la pena in tre anni di reclusione;
- ha confermato la confisca delle somme di denaro e dei buoni di benzina,
nonché le statuizioni civili a favore dell'INPS e della SOFTLAB, condannando
Cordaro, Cefaro e Ferretti alla rifusione delle spese processuali sostenute
dalle parti civili;
- ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti da Cefaro e Ferretti sulle
pronunce assolutorie dei capi D) e E).
Nel resto è stata confermata la prima sentenza.
3. In conclusione, l'unica condanna residua è quella per la concussione
attribuita a Ferretti ritenuto responsabile di avere abusato della sua qualità di
pubblico ufficiale perché, nel corso di una ispezione condotta nei confronti
della SOFTLAB s.p.a., induceva i responsabili della società a promettere e,
successivamente, a consegnargli, per il tramite dell'avvocato Marco Vilone, la
somma in contanti di 15 milioni di lire, prospettando un approfondimento
dell'ispezione con conseguente possibile maggiorazione delle sanzioni per un
3
importo quantificato in circa 400-500 milioni di lire rispetto alle violazioni fino
a quel momento riscontrate e relative alla violazione della legge n.
1369/1960 sull'interposizione fittizia di manodopera e ad alcune irregolarità
fiscali. I giudici di secondo grado hanno considerato provata la condotta
concussiva dell'imputato sulla base delle dichiarazioni rese da Vilone, legale
della società, nonché dai riscontri bancari e dai servizi di osservazione
compiuti dalla polizia giudiziaria che ha seguito l'incontro tra Ferretti e Viloni,
in cui vi sarebbe stata la consegna del denaro.
4. Tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
4.1. L'avvocato Rosario Tarantola, nell'interesse di Cordaro, in relazione
ai reati di cui ai capi A) e B) deduce la nullità della sentenza per genericità
della motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione nel merito da tutti i
reati e alla richiesta di revoca del provvedimento di confisca della somma di
50 milioni di lire oggetto di sequestro.
4.2. Per la posizione di Cefaro ha proposto ricorso per cassazione
l'avvocato Patrizio Alecce, che con il primo motivo, con riferimento al reato di
cui al capo B), ribadisce l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per
violazione dell'art. 270 c.p.p., in quanto le captazioni sono state disposte in
diverso procedimento, avente ad oggetto fatti di corruzione di funzionari
dell'Agenzia delle entrate per i rimborsi IVA, tra soggetti diversi e con
riferimento al reato di cui all'art. 319 c.p che non consente l'arresto
obbligatorio in flagrpriza. Si assume che il collegamento probatorio non può
scaturire dal fatto che dalle intercettazioni in corso emergano elementi di
prova anche per un diverso reato, in quanto deve trattarsi di un collegamento
che deve sussistere a monte e fondarsi su di una fonte diversa e autonoma
dalle intercettazioni che si vogliono utilizzare oltre i limiti dell'art. 270 c.p.p.
In conclusione, il ricorrente chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza
o, in subordine, la rimessione della questione alle Sezioni unite, in presenza di
orientamenti discordanti sulla questione.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 129 e 578
c.p.p. e il vizio di motivazione per avere la Corte d'appello omesso di
pronunciare sentenza di assoluzione nel merito nonostante l'innocenza
dell'imputato emergesse ictu °cuti dall'esame del compendio probatorio
acquisito ed evidenziato nello stesso atto di impugnazione, i cui motivi non
sono stati affatto presi in considerazione dal momento che i giudici hanno
dichiarato l'estinzione per prescrizione senza verificare la possibilità di una
assoluzione con formula piena.
Si rileva che sono state confermate le statuizioni civili ai sensi dell'art.
578 c.p.p. senza fornire al riguardo alcuna motivazione e inoltre si contesta la
legittimazione dell'INPS a costituirsi parte civile, non essendo emerso alcun
danno immediato e diretto derivante dal reato di cui all'art. 416 c.p.
Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 192, 194 e 546
c.p.p. nonché il vizio di motivazione in relazione al capo B) dell'imputazione,
rilevando che la Corte di secondo grado ha omesso ogni esame e valutazione
delle tesi difensive proposte con l'atto di impugnazione.
Con il quarto motivo viene denunciata la violazione degli artt. 323 c.p.,
192 e 546 c.p.p., nonché il vizio di motivazione in ordine al reato di cui al
capo F).
Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 416 c.p., 192 e 546
c.p.p., nonché il vizio di motivazione con riferimento al reato associativo di cui
al capo A).
Con il sesto motivo il ricorrente censura la sentenza per avere disposto la
confisca della somma di 300 milioni di lire nonostante la dichiarazione di
estinzione dei reati e l'assoluzione da alcuni reati.
4.3. Nell'interesse di Contino l'avvocato Roberto Rampioni denuncia la
nullità della sentenza per mancanza e illogicità della motivazione con
riferimento ai reati di cui ai capi N) e O) per i quali è intervenuta dichiarazione
di estinzione per prescrizione.
Con un successivo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 240 c.p.
in quanto la Corte territoriale ha confermato il provvedimento di confisca delle
somme di denaro e dei buoni di benzina in sequestro nonostante l'avvenuta
estinzione dei reati.
4.4. Nell'interesse di Vittorio Ferretti il difensore di fiducia, con il primo
motivo, ha dedotto il difetto assoluto di motivazione, in quanto la sentenza
d'appello è costituita dall'intera decisione di primo grado, riportata in
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fotocopia, nonché da una sintetica riproduzione dei motivi di gravame e,
infine, dalla motivazione vera e propria che altro non fa se non richiamare le
argomentazioni del Tribunale, senza alcun esame e valutazione delle articolate
considerazioni contenute nell'atto di appello. In sostanza, si sostiene che il
giudice di secondo grado ha operato un rinvio per relationem alla motivazione
della prima decisione, senza tenere in alcun conto le specifiche censure
contenute nell'impugnazione, tra cui: a) la contestazione dell'attendibilità del
teste Viloni, per la carenza di riscontri delle sue dichiarazioni, smentite da
quelle di Palmisani, Appignanesi e Meloni, che avrebbero negato di avere
avanzato l'idea di offrire al Ferretti la somma di 15 milioni di lire; secondo la
tesi difensiva, la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui
ha ritenuto attendibile Viloni nonostante la mancanza dei riscontri, tenuto
conto che in presenza di un'unica fonte testimoniale le sue dichiarazioni vanno
riscontrate ab externo; b) le argomentazioni in ordine alla mancanza di
riscontri nelle intercettazioni e da parte della polizia giudiziaria (Placida e
Parisi), che non avrebbe mai visto alcuno scambio di denaro tra Vilone e
Ferretti; c) le critiche sui rilievi dell'accertamento bancario svolto da Valentini;
d) le dichiarazioni del teste della difesa Massa, capo settore dell'Ispettorato
del lavoro, e i risultati dell'accertamento della condotta dell'imputato da cui è
emersa la regolarità della sua ispezione conclusasi con una serie di sanzioni
per somme di oltre due miliardi di lire, cifra di molto superiore a quella che,
secondo Vilone, avrebbe indicato Feretti.
Nello stesso motivo si censura anche il difetto di motivazione in ordine al
reato di cui al capo L), per il quale la Corte territoriale ha dichiarato
l'estinzione per intervenuta prescrizione.
Con il secondo motivo viene denunciato un ulteriore difetto di
motivazione, costituito dalla omessa considerazione della dichiarazione resa
dal teste Zaccardi il quale ha riferito che la mattina del 9.8.2001, giorno in cui
secondo Viloni vi sarebbe stata la consegna del denaro, sarebbe stato per
l'intera giornata in compagnia del Ferretti, recandosi prima ad un ufficio di
collocamento e poi a Fiumicino, negando di avere incontrato altre persone.
Con il terzo motivo si deduce ancora il difetto di motivazione, per avere
ritenuto attendibile la testimonianza di Vilone, nonostante la sua posizione di
parte interessata a screditare, in accordo con i vertici della SOFTLAB, Ferretti
e farlo mettere sotto accusa per acquisire benefici.
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Con il quarto motivo viene rappresentato il difetto assoluto di motivazione
in ordine alla eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per
violazione degli artt. 268, 270 e 271 c.p.p.
Con il quinto motivo il difetto di motivazione dedotto attiene alla mancata
verifica della legittimità del diniego della richiesta di abbreviato, prima
condizionato e poi senza alcuna condizione, da parte dei giudici di primo e
secondo grado.
Con il sesto motivo, relativo al reato di cui al capo L), viene fatto valere il
vizio di motivazione in ordine ad una ipotesi di nullità della sentenza di primo
grado che ha condannato l'imputato alla pena detentiva sebbene sul punto il
pubblico ministero non aveva concluso.
Nello stesso motivo si contesta la mancata assoluzione nel merito
dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
Con il settimo motivo si deduce il travisamento della prova con
riferimento alle testimonianze di Palmisano, Appignanesi e Massa nonché ad
alcuni documenti da cui sarebbe emerso che non vi era alcuna soggezione da
parte dei vertici della società rispetto al Ferretti, situazione questa che
avrebbe giustificato quanto meno la qualificazione giuridica dei fatti
nell'ambito del reato di cui all'art. 319 c.p., con conseguente dichiarazione di
prescrizione dello stesso.
In data 10 gennaio 2013 il difensore del Ferretti ha depositato motivi
nuovi, in cui ha sostenuto che a seguito della riforma dei delitti contro la
pubblica amministrazione, di cui all'art. 1 comma 75 legge n. 190 del 2012,
entrata in vigore il 28.11.2012, la condotta dell'imputato contestata al capo I)
dovrebbe oggi essere qualificata ai sensi del nuovo art. 319-quater c.p. che
punisce "il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando
della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere
indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità". Infatti, il Ferretti è
accusato di avere indotto i vertici della società SOFTLAB a corrispondere del
denaro per evitare l'ampliamento dell'ispezione, sicché la condotta non può
essere ricompresa nell'art. 317 c.p. come oggi riformulato, in quanto la norma
si riferisce ad una condotta di costrizione, ma nella nuova ipotesi di cui al
citato art. 319-quater c.p. Ciò comporta, secondo la difesa, la estinzione per
prescrizione anche di questo reato, punito con una pena inferiore.
5. L'avvocato Claudio Staderini ha depositato una memoria nell'interesse
della SOFTLAB s.p.a., costituita parte civile nei confronti di Ferretti per il reato
di concussione (capo I), chiedendo la conferma della sentenza impugnata
anche in relazione alle statuizioni civili e alla provvisionale
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. I ricorsi presentati da Cordaro, Cefaro e Contino sono infondati.
6.1. Cordaro si limita a denunciare la genericità della motivazione per la
mancata assoluzione nel merito, ma non indica alcun elemento di valutazione
da cui poter desumere l'evidenza della prova della sua "innocenza", che
consentirebbe di superare la dichiarazione di estinzione dei reati a seguito di
prescrizione. Al contrario, la sentenza impugnata, con riferimento ai reati di
cui ai capi A) e B), ha indicato una serie di elementi che consentono di
escludere la prova evidente dell'insussistenza del fatto, sia sotto il profilo
oggettivo che soggettivo: in particolare, i giudici di appello hanno ampiamente
motivato in ordine alla valenza probatoria sia delle intercettazioni telefoniche,
da cui risulta lo stesso "modus operandi" dell'associazione criminosa composta
da Cordaro, Cefaro e Blasi, sia degli accertamenti bancari che hanno
consentito di verificare le grandi disponibilità economiche degli imputati
incompatibili con i redditi dell'attività lavorativa svolta, circostanza che opera
da riscontro oggettivo alle conversazioni intercettate.
6.2. Discorso analogo può essere fatto in relazione al ricorso di Contino,
in quanto anche in questo caso si deduce il vizio di motivazione in ordine ai
reati di cui ai capi N) e O) dichiarati estinti per prescrizione.
Come è noto, in presenza di una causa di estinzione del reato non sono
rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata dal
momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice
l'obbligo di dichiarare immediatamente l'estinzione, in questo caso per
prescrizione, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata
declaratoria di proscioglimento (Sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490,
Tettamanti).
D'altra parte, dagli atti così come rappresentati in sentenza non
emergono elementi da cui desumere l'evidenza dell'estraneità dell'imputato
rispetto ai reati contestatigli.
6.3. Passando ad esaminare il ricorso del Cefaro, si rileva innanzitutto
l'infondatezza dell'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni.
L'art. 270 comma 1 c.p.p. dispone che "i risultati delle intercettazioni non
possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati
disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i
quali è obbligatorio l'arresto in flagranza".
Tuttavia, questo Corte ha avuto modo di rilevare che il concetto di
diverso procedimento, di cui all'art. 270 cit., non si estende fino ad escludere
la possibilità di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti concernenti
indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo,
probatorio e finalistico al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della
prova è stato disposto (Sez. II, 19 gennaio 2004, n. 9579, Rv. 228384; Sez.
III, 13 novembre 2007, n. 348, Rv. 238779). Infatti, il concetto di "diverso
procedimento" non equivale a diverso reato e va collegato al dato della
alterità o non uguagiianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione
ad una notitia criminis che derivi da un fatto storicamente diverso da quello
oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso
procedimento (Sez. IV, 11 dicembre 2008, n. 4169, Rv. 242836).
Nel caso in esame, i giudici di merito hanno ritenuto che le indagini
relative ai due procedimenti fossero strettamente connesse e collegate sotto il
profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato in ordine al quale il mezzo di
ricerca della prova è stato disposto, per cui, tenuto conto dei limiti del
sindacato di legittimità, deve ritenersi corretta, sulla base degli atti a
disposizione, la valutazione della Corte d'appello che ha ribadito l'utilizzabilità
delle intercettazioni, Del resto, la stessa difesa del ricorrente riconosce
l'esistenza di un "coNegamento" tra i due procedimenti in questione, solo che
esclude che tale "collegamento" possa operare ai sensi dell'art. 270 cit. in
quanto non rientrante tra i casi previsti dagli artt. 12 e 371 c.p.p., laddove
secondo la sentenza impugnata si tratterebbe, in sostanza, di un'ipotesi di
collegamento probatorio e teleologico.
6.3.1. Del tutto infondato è pure il secondo motivo.
9
La Corte d'appello, prima di dichiarare l'estinzione dei reati per
prescrizione, ha esaminato gli elementi di prova a carico ritenendo accertata
la responsabilità dell'imputato, così da escludere la possibilità di un
proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p.; allo stesso modo, sulla base di
tale accertamento ha escluso ogni possibile decisione diversa dalla conferma
delle statuizioni civili ai sensi dell'art. 578 c.p.p.
Inoltre, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, deve ritenersi la
legittimazione dell'INPS, ente pubblico di cui Cefaro era dipendente, tenuto
conto che l'associazione a delinquere contestata all'imputato era funzionale a
commettere reati contro la pubblica amministrazione.
6.3.2. In relazione ai motivi 3, 4 e 5, con cui si deducono sostanzialmente
vizi di motivazione, deve ribadirsi, anche in questo caso, l'orientamento
secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato non sono
rilevabili in sede di legittimità vizi attinenti alla motivazione della sentenza
impugnata (Sez. un, maggio 2009, n. 35490, Tettamanti).
7. Infine, i ricorSi di Cordaro, Cefaro e Contino censurano, seppure sotto
aspetti differenti, l'avvenuta conferma dei provvedimenti di confisca disposti
nei loro confronti.
7.1. In particolare, il difensore di Cordaro lamenta la mancanza di
motivazione in ordine alla confisca della somma di 50 milioni di lire,
ribadendo l'origine lecita della somma in sequestro.
Al riguardo deve escludersi la sussistenza del vizio dedotto, in quanto la
giustificazione della disposta confisca è contenuta, attraverso una motivazione
per relationem, nella sentenza del Tribunale, riportata integralmente nella
decisione oggetto di impugnazione, in cui si afferma che la somma di denaro
costituisce il provento dei reati posti in essere dall'imputato. Nella stessa
sentenza, nel punto in cui vengono prese in esame le situazioni di Cordaro e
Cefaro, cioè dei due ispettori dell'INPS accusati di associazione per delinquere
e di reati contro la pubblica amministrazione, si evidenzia come dagli
accertamenti bancari siano emerse grandi disponibilità economiche ritenute
incompatibili con i redditi derivanti dalla loro attività lavorativa e con il
patrimonio dei loro familiari; inoltre, viene sottolineata una circostanza che
assume un grande rilievo nella motivazione della decisione, costituita dal fatto
che i due imputati, non legati da alcun vincolo di parentela, avevano due
IO
conti correnti bancari cointestati, sui quali sono stati prima versati
complessivamente 80 milioni di lire in contanti e, successivamente, sottoscritti
titoli obbligazionari. Si tratta di elementi dai quali i giudici di merito hanno
desunto, ragionevolmente, che si trattasse di somme costituenti il "provento"
(rectius "prezzo") derivante dalla commissione dei reati loro contestati, non
avendo ritenuto credibili le giustificazioni offerte dagli imputati.
7.2. Diversamente, nei ricorsi di Cefaro e Contino si censura la sentenza
per avere confermato la confisca disposta nei loro confronti nonostante la
dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, richiamando la decisione
delle Sezioni unite n, 38834 del 10 luglio 2008, De Maio.
Sul punto il Collegio ritiene di aderire a quell'orientamento interpretativo
secondo cui l'estinzione del reato non preclude la confisca delle cose che ne
costituiscono il prezzo, nei casi in cui vi sia comunque stato un accertamento
incidentale, equivalente rispetto all'accertamento definitivo del reato, della
responsabilità e del nesso pertinenziale tra oggetto della confisca e reato.
Invero, le Sezioni unite richiamate dai ricorrenti hanno affermato il
principio secondo il quale l'estinzione del reato preclude la confisca delle cose
che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240 c.p.,
comma 2, n. 1, sostenendo, tra l'altro, che la disposizione dell'art. 236 c.p.
che rende inapplicabili alla confisca le disposizioni di cui all'art. 210 c.p.,
secondo il quale "l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di
sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione", si limita ad enunciare un principio di
carattere generale che lascia il legislatore libero di stabilire in quali casi tale
effetto preclusivo si realizzi anche con riferimento alla confisca.
Si è tuttavia messo in evidenza, attraverso un attento esame della stessa
ratio decidendi di tale pronuncia, avuto riguardo anche agli apporti successivi
della giurisprudenza di legittimità sul tema controverso, come la "condanna"
cui si riferisce l'art. 240 c.p. "funge da presupposto quale termine evocativo
proprio di quell'accertamento che ontologicamente giustifica, sul piano
normativo, la sottrazione definitiva del bene, in quanto proveniente dal reato"
(Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, Ciancimino; nello stesso senso, Sez. V, 23
ottobre 2012, n. 48680, Abdelkhalki; Sez. I, 4 dicembre 2008, n. 2453,
Squillante). Da ciò si è desunto che "ciò che viene posto a fulcro della
disciplina codicistica, non è il rinvio ad un concetto di condanna evocativo
della categoria del giudicato formale, ma - più concretamente - il richiamo ad
11
un termine che intende esprimere un valore di equivalenza rispetto
all'accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di
pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al
reato stesso: a prescindere, evidentemente, dalla formula con la quale il
giudizio viene ad essere formalmente definito".
In altri termini, può esservi un ambito in cui residui la possibilità di
disporre la confisca in relazione ad un reato prescritto, purché vi sia
l'effettività di un accertamento dei profili di responsabilità; mentre deve
ritenersi preclusa la misura di sicurezza nei casi in cui la estinzione del reato
per prescrizione maturi prima del promovimento dell'azione penale, ovvero
quando l'estinzione sia dichiarata nell'udienza preliminare o con sentenza
emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ipotesi in cui difetta ogni tipo di
accertamento in ordine alla responsabilità dell'imputato.
Nel caso in esame, la causa estintiva è intervenuta, almeno per alcuni
reati, dopo la pronuncia di condanna di primo grado, in un contesto in cui le
statuizioni adottate dai giudici del merito hanno potuto accertare sia i fatti-
reato, che le responsabilità degli imputati e la stessa illecita provenienza dei
beni sottoposti a confisca: in questo modo deve ritenersi soddisfatto il fine di
garanzia di accertamento pieno, che il termine "condanna", richiamato dal
citato art. 240 c.p., è volto ad assicurare nel quadro della confisca, quale
necessario presupposto del provvedimento ablatorio.
8. Nel ricorso proposto nell'interesse di Ferretti con il primo motivo si
deduce il difetto assoluto di motivazione, in quanto la sentenza d'appello
riporta integralmente - in copia - la motivazione della decisione di primo
grado, seguita da una sintetica riproduzione dei motivi di gravame e, infine,
dalla motivazione vera e propria che altro non fa se non richiamare le
argomentazioni del Tribunale, senza alcun esame e valutazione delle articolate
considerazioni contenute nell'atto di appello.
Si osserva che, sebbene la sentenza d'appello abbia utilizzato una
tecnica di motivazione alquanto insolita, avendo riportato integralmente il
contenuto della decisione di primo grado, senza sintetizzarne il contenuto, non
per questo deve ritenersi che sia carente di motivazione. Infatti, la Corte
d'appello di Roma non si è limitata ad un recepimento acritico delle
conclusioni della prima sentenza ma, dopo averla integralmente riprodotta ha
12
preso in esame i motivi di appello, li ha confrontati con le conclusioni del
Tribunale e, infine, li ha valutati criticamente, pervenendo alla decisione.
Peraltro, con riferimento al reato di abuso d'ufficio di cui al capo L),
dichiarato estinto per prescrizione, non può che confermarsi la giurisprudenza
di questa Corte, già richiamata esaminando le posizioni degli altri ricorrenti,
secondo cui dinanzi ad una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in
sede di legittimità i vizi di motivazione della sentenza impugnata, "in quanto il
giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente
alla declaratoria della causa estintiva" (Sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490,
Tettamanti).
Sempre con riferimento al capo L) il ricorrente ha denunciato il vizio di
motivazione in ordine ad una ipotesi di nullità della sentenza di primo grado,
che avrebbe condannato l'imputato alla pena detentiva sebbene sul punto il
pubblico ministero non avesse concluso: anche in questo caso deve ribadirsi
che in presenza di una causa estintiva non rilevano le nullità (Sez. un., 28
novembre 2001, n. 1021, Cremonese).
9. Passando all'esame dei motivi attinenti, specificamente, al reato di
concussione (capo I), si osserva, preliminarmente, che l'eccezione di
inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per violazione dell'art. 270
c.p.p. (motivo n. 4) è del tutto infondata perché generica, in quanto la
sentenza non basa il giudizio di colpevolezza sulle intercettazioni, tanto è vero
che il ricorrente non ha neppure specificato la rilevanza che le captazioni
avrebbero avuto sull'affermazione della sua responsabilità, omissione
giustificata dal fatto che la colpevolezza del Ferretti è basata in sentenza sulle
dichiarazioni di Vilone, nonché sugli accertamenti bancari che quelle
dichiarazioni hanno riscontrato, non certo sulle intercettazioni.
9.1. Pregiudiziale rispetto agli altri è il nuovo motivo proposto il 10
gennaio 2013, con il quale il ricorrente ritiene che il reato di cui al capo I)
debba essere qualificato come induzione indebita, delitto previsto dall'art.
319-quater c.p., introdotto dall'art. 1. comma 75 lett. i) della legge 6
novembre 2012, n. 190 e punito meno gravemente rispetto all'originaria
concussione di cui all'art. 317 c.p.; peraltro, tale riqualificazione
comporterebbe la dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione.
13
9.2. Come è noto la citata legge n. 190/2012 ha operato uno sdoppiamento
dell'originario art. 317 c.p. prevedendo due distinti reati: la concussione c.d.
per costrizione (art. 317 c.p.) e l'induzione indebita (art. 319-quater c.p.).
Nella concussione precedente la riforma, le condotte prese in considerazione
dalla norma incriminatrice, attraverso cui il pubblico ufficiale (o l'incaricato di
pubblico servizio), abusando della sua qualità o dei suoi poteri, riusciva a farsi
dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità potevano essere,
indifferentemente, condotte di "costrizione" o di "induzione"; con la novella
del 2012 la costrizione è divenuta la condotta che caratterizza il reato di
concussione, punito più gravemente (da sei a dodici anni di reclusione),
mentre l'induzione costituisce il comportamento oggetto del distinto reato
previsto dal nuovo art. 319-quater c.p., punito con la pena della reclusione da
tre a otto anni. Ne deriva che oggi, ai fini della qualificazione giuridica,
diventa rilevante accertare se la condotta posta in essere dal pubblico
ufficiale, abusando della sua qualità (o dei suoi poteri), sia consistita in una
costrizione ovvero in una induzione.
Un tale problema di qualificazione giuridica interessa anche la fattispecie in
esame, dal momento che il riconoscimento di una condotta induttiva posta in
essere dal Ferretti avrebbe come conseguenza l'applicazione, ai sensi dell'art.
2 comma 4 c.p., dell'ipotesi disciplinata dal nuovo art. 319-quater c.p., norma
più favorevole rispetto all'originario reato di concussione di cui all'art. 317 c.p.
che prevedeva una pena da quattro a dodici anni di reclusione.
Ciò presuppone, ovviamente, che tra la vecchia disposizione e le nuove vi
sia continuità normativa. Sulla questione sono intervenute numerose decisioni
di questa stessa Sezione, che hanno escluso che le nuove norme introdotte
dalla novella del 2012 abbiano abrogato la precedente fattispecie di
concussione, affermando l'esistenza di un rapporto di continuità fra la
disposizione da ultimo menzionata e l'attuale reato disciplinato nell'art. 319-
quater c.p. (Sez. VI, 3 dicembre 2012, n. 3251, Roscia; Sez. VI, 4 dicembre
2012, n. 8695, Nardi; Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 12388, Sarno; Sez. VI, 11
febbraio 2013, n. 11792, Castelluzzo; Sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 17285,
Vaccaro; Sez. VI, 8 gebbraio 2013, n. 23954, Breccia; Sez. VI, 25 gennaio
2013, n. 6578, Piacentini; Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 11794, Melfi).
Secondo questo orientamento, che il Collegio condivide, anche la punibilità del
14
v
soggetto indotto prevista 319-quater c.p. e che rappresenta una
indubbia novità rispetto alla "vecchia" ipotesi di concussione, non è elemento
che possa portare a negare la continuità normativa tra le disposizioni, in
quanto la condotta del soggetto attivo, che viene punita come attività di
"induzione" era già punita dall'originario art. 317 c.p.
In altri termini, deve ritenersi che l'operazione di svincolo della condotta
induttiva dalla "vecchia" concussione alla nuova fattispecie incriminatrice dì
cui all'art. 319-quater c.p. non ha realizzato una aboliti° criminis, ma una
successione modificativa di leggi.
9.3. Nel caso di specie, al Ferretti è stata contestata la concussione - con
riferimento all'originario art. 317 c.p. - realizzata attraverso una condotta che
è stata qualificata espressamente come di "induzione": infatti, secondo
l'imputazione il Ferretti "in qualità di ispettore del lavoro (...), nel corso di
un'ispezione condotta nei confronti della SOFTLAB s.p.a., dietro sua esplicita
richiesta e prospettando altrimenti la possibilità di un ampliamento della
predetta ispezione e quantificando in 400-500 milioni l'importo complessivo di
eventuali maggiori sanzioni conseguenti a tale ampliamento, induceva i
responsabili della suddetta società a promettere indebitamente e
successivamente a consegnargli tramite l'avvocato Marco Vilone la somma in
contanti di 15 milioni di lire".
D'altra parte, le sentenze di merito hanno ricostruito le modalità della
vicenda concussiva facendo riferimento alla condotta induttiva posta in essere
dall'imputato, il quale dopo avere riscontrato alcune irregolarità nella gestione
della società oggetto dell'ispezione (violazione della normativa
sull'interposizione fittizia e irregolare tenuta della contabilità) prospettava un
ampliamento della verifica ispettiva con il rischio di dover pagare una grossa
sanzione pecuniaria, così "inducendo" i vertici della società a corrispondergli
una somma di denaro.
In un caso analogo, questa stessa Sezione ha ritenuto che l'espresso
inquadramento, ad opera del giudice di merito, della condotta costitutiva del
reato di concussione, previsto dall'art. 317 c.p. prima delle modifiche
apportate dalla legge n. 190 del 2012, sotto il profilo della induzione, a fronte
di una non illogica motivazione, non è questione attinente alla qualificazione
giuridica del fatto, ma è questione di merito sottratta alla cognizione della
Corte di cessazione, fuori dal caso di carenza o di manifesta illogicità della
motivazione costituente oggetto di specifica deduzione (in questi termini, Sez.
VI, 8 febbraio 2013, n. 23954, Breccia).
In ogni caso, la qualificazione della condotta come induzione appare
giustificata, anche tenendo conto della giurisprudenza formatasi sull'originario
art. 317 c.p., che ha in più occasioni sottolineato come la condotta induttiva
possa consistere in comportamenti molteplici, quali l'esortazione, la
sollecitazione, la persuasione, gli impliciti messaggi comportamentali, i silenzi,
comunque in grado di esercitare una pressione psicologica sulla vittima,
convincendola della necessità di dare o promettere denaro o altra utilità, per
evitare conseguenze dannose (tra le tante, Sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 49538,
P.G. in proc. Bertolotti).
Nel caso in esame si è trattato di una condotta consistita nel prospettare
un'applicazione della legge "dannosa" onde si aderisse alle condizioni poste
dal Ferretti e si evitasse la prospettata sanzione pecuniaria; in altri termini, un
comportamento che si è caratterizzato per un uso strumentale e abusivo dei
poteri attraverso cui è stata esercitata una pressione psicologica sui soggetti
passivi che si sono convinti della opportunità di dare il denaro per evitare le
paventate conseguenze dannose, seppur non illegittime.
Ne deriva che al riconoscimento del carattere induttivo della condotta
consegue l'applicazione della nuova ipotesi di reato prevista dall'art. 319-
quater c.p., più favorevole rispetto all'originaria fattispecie contestata.
Il reato, così diversamente qualificato, risulta commesso nell'agosto del
2001 per cui, considerando il termine massimo di prescrizione, pari a dieci
anni ex art. 157 e seg. c.p., comprensivo dell'aumento di un quarto
determinato dalla intervenute interruzioni, esso risulta estinto per
prescrizione, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello.
9.4. La dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione comporta, in
presenza della condanna generica al risarcimento dei danni in favore della
costituita parte civile (SOFTLAB s.p.a.) la necessità che questa Corte decida il
ricorso proposto dall'imputato ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza che concernono gli interessi civili, ai sensi dell'art. 578 c.p.p.
Tuttavia, si pone preliminarmente un ulteriore problema di diritto
intertemporale, in quanto si tratta di stabilire se, a seguito della
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riqualificazione del delitto di concussione nel nuovo reato di induzione
indebita, previsto dall'art. 319-quater c.p., la società SOFTLAB, regolarmente
costituitasi come parte civile nel processo per l'originario reato, conservi il suo
"status" e mantenga il diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno.
Come si è già detto una delle maggiori novità del reato previsto dall'art.
319-quater c.p. è costituita dal fatto che ad essere punito non è solo il
pubblico agente autore dell'induzione, ma anche il privato che subisce
l'attività induttiva, seppure con una sanzione più mite. Si è trattato di una
scelta che è stata giustificata con la necessità di recepire una serie di inviti e
di raccomandazioni rivolti al nostro Paese da organismi internazionali, per i
quali l'originaria fattispecie di concussione costituiva una "via di fuga" per il
privato che si rendeva responsabile di fatti corruttivi.
In ogni caso, quale che sia la ratio della nuova norma introdotta, nella
presente fattispecie bisogna stabilire se la previsione della "punibilità
bilaterale" possa avere conseguenze in ordine alla condanna al risarcimento
dei danni in favore della costituita parte civile pronunciata dalla sentenza di
merito con riferimento all'originaria ipotesi di concussione per induzione, in cui
il soggetto "concusso" non era punibile. In altri termini, occorre verificare se
la qualificazione del fatto contestato all'imputato nella nuova ipotesi di cui
all'art. 319-quater c.p. produce ripercussioni anche sul fronte del risarcimento
dei danni civili a favore del soggetto indotto, che nella nuova fattispecie
"concorre" nel reato, dal momento che l'affermazione della responsabilità
risarcitoria dell'imputato risulta pronunciata nei confronti del privato con
riferimento ad un illecito che questi avrebbe contribuito a realizzare.
Una serie di ragioni conducono a ritenere che la parte civile conservi il
diritto al risarcimento dei danni subiti e che, quindi, possa essere mantenuta
la statuizione sugli interessi civili in suo favore, anche solo considerando che
la condotta del soggetto attivo dell'induzione, da cui può derivare un danno al
soggetto indotto, era penalmente rilevante prima della riforma del 2012 e
continua ad essere punita anche oggi, seppure con una pena meno severa.
Nella specie deve essere riaffermato il principio secondo cui quando un
fatto costituisce illedto civile nei momento in cui è stato commesso, su di esso
non influiscono le successive vicende riguardanti la punibilità del reato ovvero
la rilevanza penale di quel fatto.
17
Questo principio è stato affermato con riferimento a casi in cui era
intervenuta una aboliti° criminis, sostenendo che l'abrogazione della norma
penale in presenza di una condanna irrevocabile comporta la revoca della
sentenza da parte del giudice dell'esecuzione, ma limitatamente ai capi penali
non anche a quelli civili, la cui esecuzione ha comunque luogo secondo le
norme del codice di procedura civile: sicché se vi è stata costituzione di parte
civile, con conseguente condanna al risarcimento dei danni a carico
dell'imputato, questa statuizione resta ferma (cfr., Corte cost., ord. n. 57 del
2001 e n. 273 del 2002, in cui si sottolinea come la formula assolutoria
adottata a seguito della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice
"non è fra quelle alle quali l'art. 652 c.p.p. attribuisce efficacia nel giudizio
civile). Infatti, se l'art. 2 c.p. disciplina espressamente la sola cessazione
dell'esecuzione e degli effetti penali della condanna, ne deriva, attraverso
un'argomentazione a contrario, che le obbligazioni civili derivanti dal reato
abrogato non cessano, in quanto per il diritto del danneggiato al risarcimento
dei danni trovano applicazione i principi generali sulla successione delle leggi
stabiliti dall'art. 11 preleggi, non quelli contenuti nel citato art. 2 c.p. (v., Sez.
VI, 21 gennaio 1992, n. 2520, Dalla Bona; Sez. V, 20 dicembre 2005, n.
4266, Colacito; Sez. V, 24 maggio 2005, n. 28701, Romiti, che ha affermato
la permanenza del diritto al risarcimento dei danni nel caso della avvenuta
depenalizzazione del reato di falso in bilancio ex art. 2621 c.c.).
Il principio della "indifferenza" dei capi civili della sentenza rispetto alla
sorte della regiudicanda penale può trovare applicazione anche nel caso in
esame, con le necessarie distinzioni.
In particolare, la qualificazione del fatto originariamente contestato nel
nuovo reato di cui all'art. 319-quater c.p. avviene sulla base del principio
fissato dall'art. 2 comma 4 c.p., in quanto si tratta di norma penale più
favorevole all'imputato; ma lo stesso principio non può trovare applicazione
anche per la parte civile e ritenere che la riqualificazione del fatto nel nuovo
reato di induzione, che assoggetta a sanzione penale anche colui che è stato
indotto, condizioni il diritto di quest'ultimo al risarcimento per i danni derivati
dall'originario reato di concussione.
Infatti, occorre considerare che la nuova fattispecie di induzione può
trovare applicazione, per i fatti pregressi, solo per l'imputato, perché norma
più favorevole, non per il "concusso" per il quale la disposizione prevista
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319 -quater comma 2 c.p. non è certo applicabile retroattivamente ex
art. 2 comma 1 c.p.
D'altra parte, richiamando la citata giurisprudenza formatasi in materia di
aboliti° criminis, deve riconoscersi che la legge sopraggiunta non determina
alcun effetto sul capo della sentenza che ha accertato il diritto al risarcimento
del danno, trovando applicazione i principi generali di cui all'art. 11 preleggi,
che pongono il divieto di effetti retroattivi, prevedendo che la legge, anche
quella penale, per quanto riguarda gli effetti civili dispone solo per l'avvenire.
Una volta riconosciuta la natura prettamente civilistica del diritto al
risarcimento del danno, deve conseguentemente escludersi l'applicabilità ad
esso del principio penalistico della successione delle leggi di cui all'art. 2 c.p.,
trovando applicazione, come si è detto, l'art. 11 preleggi.
In altri termini, in presenza di un fatto ingiusto che ha cagionato un danno,
il diritto del danneggiato al risarcimento permane, a nulla rilevando le
successive modifiche legislative. D'altra parte, se questi principi trovano
applicazione nei caso in cui la modifica legislativa "trasforma" in condotte
lecite fatti che erano penalmente rilevanti, a maggior ragione possono trovare
una giustificazione nella fattispecie in esame, in cui il reato permane, ma
coinvolge anche uno dei soggetti che prima della modifica non era punibile e
che rivestiva la posizione di persona offesa.
95. Sotto un altro profilo sarebbe ingiustificato operare una valutazione
complessiva dell'art. 319 -quater c.p., come legge più favorevole per
l'imputato, in ragione del fatto che in essa il concusso non riveste più il ruolo
di persona offesa e, per l'effetto, escludere il diritto al risarcimento del danno
provocato all'epoca dal reato.
Infatti, il richiamo alle norme più favorevoli - rispetto all'imputato -,
contenuto nell'art. 2 comma 4 c.p., si intende riferito alle disposizioni penali,
con esclusione dei possibili effetti civili da queste indirettamente derivanti.
Come è noto la giurisprudenza nell'individuare la legge più favorevole ritiene
che si debba procedere ad una valutazione in concreto, anche con riferimento
alle conseguenze giuridiche meno gravose, ma in ogni caso tale valutazione
ha ad oggetto gli elementi costitutivi del reato, le circostanze, il tipo e la
durata della pena, l'applicabilità delle pene accessorie o delle misure di
sicurezza, le cause di non punibilità ovvero di estinzione e, anche se
+
all'espressione "legge penale", contenuta nell'art. 2 comma 4 c.p., si associa
una nozione allargata - che cioè ricomprenda non solo le leggi extrapenali
espressamente richiamate dalla norma penale e integranti il precetto, ma
anche quelle leggi che ne costituiscono l'indispensabile presupposto o che
concorrono a determinarne, anche parzialmente e implicitamente, il
sostanziale contenuto - non si è mai sostenuto che vi possano rientrare anche
le conseguenza civili derivanti dal reato.
In altri termini, nella nozione di legge più favorevole si è sempre fatto
riferimento esclusivamente agli elementi ed effetti penali, seppure valutati
non in astratto ma in concreto.
9.6. In conclusione, rispetto al caso in esame deve affermarsi il principio
secondo cui "se Medi-o penale ha prodotto conseguenze di rilevanza
civilistica, da cui sono derivati obblighi di restituzione o di risarcimento del
danno, in base alla normativa vigente all'epoca del commesso reato, non
viene meno la natura di illecito civile".
9.7. Passando all'esame dei motivi di ricorso ai soli effetti civili, si rileva
che sono tutti infondati, sicché devono confermarsi integralmente le
statuizioni civili sul risarcimento.
Fermo restando quanto detto in precedenza con riferimento ai motivi già
esaminati, si deve sottolineare che le ulteriori doglianze riguardano tutte,
prevalentemente, vizi di motivazione con cui il ricorrente formula una lettura
alternativa delle risultanze processuali così come interpretate dai giudici di
merito, sulla base di una motivazione che appare del tutto immune da vizi
logici. In alcuni casi, come nel motivo in cui si sostiene che sia stata omessa
la valutazione della dichiarazione resa dal teste Zaccardi, si cerca di inserire
considerazioni di fatto che non possono avere ingresso nel giudizio di
legittimità; con un altro motivo si censura la sentenza per avere ritenuto
attendibile la testimonianza di Vilone, nonostante la sua posizione di parte
interessata, ma sul punto la sentenza impugnata ha ribadito la piena
credibilità del teste d'accusa; con un altro ancora si denuncia un travisamento
della prova con riferimento alle testimonianze di Palmisano, Appignanesi e
Massa nonché di alcuni documenti da cui sarebbe emerso che non vi era
alcuna soggezione da parte dei vertici della società rispetto al Ferretti,
20
4
travisamento che non si ravvisa in quanto sul punto vi è ampia motivazione
nella sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello.
Inammissibile è infine il motivo con cui si lamenta la mancanza di
motivazione sul rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, avanzata nel
corso dell'udienza preliminare, da parte dei giudici di primo e secondo grado,
in quanto il ricorrente non ha adempiuto all'onere di allegazione dimostrando
di avere riproposto prima dell'apertura del dibattimento la richiesta di giudizio
abbreviato, presupposto dell'attivazione, all'esito del dibattimento di primo
grado e a fortiori di quello d'appello, del meccanismo del sindacato e del
riconoscimento del diritto alla riduzione della pena: in difetto della sussistenza
di tale presupposto appare del tutto irrilevante il tema della motivazione in
ordine al diniego sulla domanda del giudizio speciale.
10. In conclusione, devono essere rigettati i ricorsi di Cordaro, Cefaro e
Contino che vanno condannati al pagamento delle spese processuali; Cordaro
e Cefaro devono essere condannati anche a rifondere le spese sostenute dalla
parte civile I.N.P.S., liquidate in complessivi euro tremila, oltre I.V.A. e C.P.A.
Nei confronti di Ferretti, a seguito della qualificazione del reato di cui al
capo I) nella nuova fattispecie di induzione ai sensi dell'art. 319 -quater c.p.,
deve disporsi l'annullamento della sentenza senza rinvio per estinzione del
reato per intervenuta prescrizione, con la conferma delle statuizioni civili e il
rigetto del ricorso nel resto; Io stesso ricorrente non va condannato né alle
spese processuali, roé alla rifusione delle spese in favore della parte civile
perché non è soccombente.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Vittorio
Ferretti perché, qualificato il reato di cui al capo I) ex art. 319 -quater c.p., lo
stesso è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.
Rigetta nel resto il ricorso del Ferretti.
Rigetta gli altri ricorsi e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle
spese processuali, nonché Diego Cordaro e Italo Cefara a rifondere le spese
sostenute dalla parte civile I.N.P.S. che liquida in complessivi euro tremila,
oltre I.V.A. e C.P.A.
21
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL 23 LUG 2013
À. 4 •
Così deciso il 25 gennaio 2013
Il Consi re estensore Giorgp Øe1bo