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Tommaso Ciccarone/FILOSOFIA/Mod1/OCKHAM 1 MAPPA CONCETTUALE/MOD.1/FIL-IV G. OCKHAM: Filosofia come esigenza di CHIAREZZA Con la figura di OCKHAM (1295 – 1349)la Filosofia acquisisce un’identità matura e autonoma riguardo al proprio statuto scientifico; riguardo al rapporto con la Teologia. La Filosofia si impone innanzitutto come METODO di chiarezza e rigore, nell’orizzonte di ciò che definisce la sua identità, il suo statuto: l’EPISTEMOLOGIA (= Teoria della conoscenza scientifica). OCKHAM opera in Inghilterra e, in particolare, ad OXFORD, patria dell’orientamento scientifico delle arti Liberali (non solo il Quadrivio, ma anche il Trivio, che curava – come ben sapete – la conoscenza di Grammatica, Retorica e Dialettica). Ockham, quindi, indirizza la Filosofia non solo ad un nuovo oggetto di ricerca (la Natura, come già avevano insegnato a pensare gli arabi nel loro scientifico recupero dell’Aristotelismo e, in particolare, come aveva cominciato ad esprimere AVERROE’ con la sua “Dottrina della Doppia Verità”), ma soprattutto (ecco la novità pre-rinascimentale)in direzione di un metodo, fondato sull’organizzazione dei criteri e dei limiti del linguaggio della conoscenza filosofica. Ockham va ben oltre AVERROE’, segnando una frattura irreversibile tra FEDE (di cui lui stesso è un simbolo, essendo un membro dell’Ordine Francescano) e RAGIONE. Il metodo si propone, innanzitutto, di DELIMITARE gli ambiti di competenza della filosofia come conoscenza umana di fatti individuali (e non di “Enti” universali e metafisici che, in quanto tali, non solo non si osservano, ma nella loro genericità sono anche “nebulosi” e non-rigorosi, cioè comunque incomprensibili, se non nell’orizzonte della Fede e dell’accettazione dogmatica). I fatti individuali costituiscono il campo del CONCRETO, ovvero dell’IMMANENZA. Alla luce di ciò il linguaggio della conoscenza deve fondamentalmente garantire o fare due cose: 1) deve riferirsi a oggetti individuali e concreti ( i fatti, gli eventi, il campo dell’esperienza e dei fenomeni); 2) e lo deve fare nel modo più rigoroso, condivisibile, necessario, oggettivo: in una parola, UNIVERSALE. Per raggiungere questo scopo il linguaggio della scienza deve fondarsi sulla LOGICA (ecco perché le Arti del Trivio, e in particolare la “Dialettica”) che garantisce la chiarezza nella descrizione oggettiva di fatti, da una parte; dall’altra, sulla matematica che garantisce il rigore nella misurazione quantitativa dei fatti stessi, riconducibili, quindi, a numeri e simboli matematici che determinano la “veste” convenzionale del Linguaggio.

riassunto filosofia: Ockham

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riassunto sul filosofo Ockham (vd. "rasoio di O.")

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MAPPA CONCETTUALE/MOD.1/FIL-IV G. OCKHAM: Filosofia come esigenza di CHIAREZZA

Con la figura di OCKHAM (1295 – 1349)la Filosofia acquisisce un’identità matura e autonoma riguardo al proprio statuto scientifico; riguardo al rapporto con la Teologia. La Filosofia si impone innanzitutto come METODO di chiarezza e rigore, nell’orizzonte di ciò che definisce la sua identità, il suo statuto: l’EPISTEMOLOGIA (= Teoria della conoscenza scientifica). OCKHAM opera in Inghilterra e, in particolare, ad OXFORD, patria dell’orientamento scientifico delle arti Liberali (non solo il Quadrivio, ma anche il Trivio, che curava – come ben sapete – la conoscenza di Grammatica, Retorica e Dialettica). Ockham, quindi, indirizza la Filosofia non solo ad un nuovo oggetto di ricerca (la Natura, come già avevano insegnato a pensare gli arabi nel loro scientifico recupero dell’Aristotelismo e, in particolare, come aveva cominciato ad esprimere AVERROE’ con la sua “Dottrina della Doppia Verità”), ma soprattutto (ecco la novità pre-rinascimentale)in direzione di un metodo, fondato sull’organizzazione dei criteri e dei limiti del linguaggio della conoscenza filosofica. Ockham va ben oltre AVERROE’, segnando una frattura irreversibile tra FEDE (di cui lui stesso è un simbolo, essendo un membro dell’Ordine Francescano) e RAGIONE. Il metodo si propone, innanzitutto, di DELIMITARE gli ambiti di competenza della filosofia come conoscenza umana di fatti individuali (e non di “Enti” universali e metafisici che, in quanto tali, non solo non si osservano, ma nella loro genericità sono anche “nebulosi” e non-rigorosi, cioè comunque incomprensibili, se non nell’orizzonte della Fede e dell’accettazione dogmatica). I fatti individuali costituiscono il campo del CONCRETO, ovvero dell’IMMANENZA. Alla luce di ciò il linguaggio della conoscenza deve fondamentalmente garantire o fare due cose:

1) deve riferirsi a oggetti individuali e concreti ( i fatti, gli eventi, il campo dell’esperienza e dei fenomeni);

2) e lo deve fare nel modo più rigoroso, condivisibile, necessario, oggettivo: in una parola, UNIVERSALE.

Per raggiungere questo scopo il linguaggio della scienza deve fondarsi sulla LOGICA (ecco perché le Arti del Trivio, e in particolare la “Dialettica”) che garantisce la chiarezza nella descrizione oggettiva di fatti, da una parte; dall’altra, sulla matematica che garantisce il rigore nella misurazione quantitativa dei fatti stessi, riconducibili, quindi, a numeri e simboli matematici che determinano la “veste” convenzionale del Linguaggio.

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E’ fondamentale tener presente quanto appena letto: i concetti, i numeri, i simboli, il linguaggio generale della nuova filosofia, ovvero della EPISTEMOLOGIA, è CONVENZIONALE, cioè è un prodotto dell’intelligenza umana. Dunque fissate il grande spartiacque tra la concezione scolastica della verità (A-letheia) e quella nuova: la concezione scolastica intendeva la verità come passiva ADAEGUATIO REI ET INTELLECTUS, per cui l’intelletto umano non è creatore di verità ma, per grazia divina tramite l’illuminazione della fede, “subisce” la Verità che gli si rivela o s-vela. Ora, al contrario, con l’emancipazione metodologica della Filosofia, la Verità è PROCEDURALE; è un prodotto umano che, per di più, è OGGETTIVO e UNIVERSALE, perché si riferisce a fatti osservabili, misurabili, verificabili e, soprattutto condivisibili a prescindere dai punti di vista individuali. E’ il linguaggio della Logica (con il principio di NON CONTRADDIZIONE) e della matematica (che simbolicamente descrive la complessità dei fenomeni fornendo una descrizione SEMPLIFICATA entro i simboli numerici o logici, appunto. Attenzione anche a questo punto che ho appena scritto e che avete appena letto: [ficcatevelo nella testa] la Matematica è linguaggio convenzionale e serve a SEMPLIFICARE cioè ridurre a SIMBOLI i fatti che si vogliono spiegare. Per la cronaca: “simbolo” è un termine che deriva dal greco SYN-BALLEYN = “mettere in sieme; unificare; sintetizzare” attraverso segni convenzionali come possono essere i concetti della logica (tra l’altro “concetto” deriva dal latino “con-capio”= mettere insieme, unificare), i simboli numerici della algebra, le equazioni della matematica, le equivalenze della geometria, in fine LE LEGGI teoriche della Fisica.Volendo ricorrere ad un esempio è un po’ come il linguaggio scritto: i concetti, le virgole, i verbi, gli aggettivi sono tutti segni convenzionali che servono ad esprimere e riferirsi agli oggetti descritti; “stanno per” gli oggetti descritti ma non significa che sono gli oggetti descritti (le virgole, i verbi, le metafore, i simboli non li trovo in natura come i funghi, i fagioli, gli alberi; dal porchettaro non posso farmi servire due etti di coseni, mezzo etto di logaritmi e ‘na fettina di parabola tagliata fina fina con una tangente croccante; sono, appunto, convenzioni che servono a creare una descrizione comprensibile e condivisibile da tutti i soggetti.). Lo “stare per” (caratteristica dei simboli del linguaggio) significa che un segno indica, si riferisce, “suppone” qualcosa a cui vuole riferirsi o che vuole indicare, descrivere. E’ ciò che trovate sul libro e che Ockham cercava di spiegare con il termine latino di “SUPPOSITIO” La matematica e la logica, dunque, operano con il cosiddetto “Principio di Economia”. (fare economia, per spiegarlo brutalmente, significa risparmiare o ridurre qualsiasi dispendio all’osso, al minimo indispensabile; così la Logica e la Matematica fanno economia di concetti per descrivere e spiegare gli eventi). Questo è il senso del precetto metodologico di OCKHAM sul ruolo del Linguaggio epistemologico: “NON MOLTIPLICARE GLI ENTI Più DEL NECESSARIO”.

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Ovviamente il suo è un riferimento polemico al vecchio linguaggio della Metafisica che fondava le sue pseudo-verità non sui fatti singoli, individuali e concreti, bensì facendo riferimento ad Enti metafisici come, per es. DIO, il BENE, il MALE, gli Attributi universali di Dio, il Verbum, ecc… In genere questi costituiscono concetti (chiamati dai mediaevali col termine latino di “UNIVERSALIA”) la cui realtà e necessità era considerata indubitabile ed indiscutibile, cioè oggettiva! Esatamente come Platone diceva delle sue Idee che esistevano realmente e necessariamente nell’Iperuranio. OCKHAM spazza via dal linguaggio umano – razionale termini o enti non necessari alla conoscenza umana, definendo nitidamente la DEMARCAZIONE o il confine tra l’ambito scientifico e l’ambito teologico-metafisico: quast’approccio è meglio noto con la metafora del “RASOIO” OCCAMISTA.