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1 Riassunto: L’esperienza di tirocinio per la laurea di primo livello: un obiettivo didattico e formativo. Questo lavoro è nato con lo scopo di aggiornare e innovare il già presente sito didattico del Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica dell’Università degli Studi di Padova (Virtual Fossils: http://www.geol.unipd.it/virtual_fossils/Home.htm) curato dalla prof.ssa Forteleoni e dal prof. Gatto. A tal scopo sono stati fotografati 76 nuovi esemplari della collezione, sono state elaborate 9 animazioni, sono state compilate 42 descrizioni degli stessi e si sono preparate alcune delle possibili soluzioni per la loro pubblicazione in internet. Nonostante il lavoro fosse sin dall’inizio ben definito e programmato è stato possibile creare comunque lo spazio per ampliare le conoscenze inserendo seminari ed esperienze collaterali riguardanti tecniche fotografiche di sviluppo e stampa, pulizia dei reperti fossili e possibili applicazioni di tecniche fotografiche a reperti di vario tipo. Nota: Allegato all’elaborato stampato viene fornito un cd-rom contenente tutti i dati prodotti durante il tirocinio (immagini, pagine html e animazioni) e i relativi programmi a distribuzione libera per visualizzarli. La visualizzazione del contenuto può essere ottenuta ciccando due volte sul file elencogeneri.html e la descrizione completa dei contenuti e le istruzioni per consultare il cd-rom sono visibili nel file leggimi.txt Trattazione: Scopi del tirocinio Il sito Virtual Fossils è organizzato secondo uno schema tassonomico che ripercorre la classificazione dei principali gruppi di invertebrati fossili, per ogni genere trattato viene presentata una classificazione (dal Phylum sino all’Ordine), una foto, con una o più viste dell’esemplare, corredata da una scala di riferimento, e la distribuzione stratigrafica. I principali ranghi tassonomici presi in considerazioni sono corredati da semplici descrizioni generali nelle quali si elencano le fondamentali caratteristiche morfologiche e classificative. Il sito risulta attualmente essere abbastanza completo per quanto riguarda alcune sezioni del Phylum Mollusca, in particolare Bivalvia e Gastropoda, ma molte delle informazioni riguardanti gli altri Phyla devono ancora essere pubblicate anche se sono in parte già state elaborate. Lo scopo del mio tirocinio nasceva dall’esigenza di completare le informazioni disponibili in rete implementando le sezioni che mancavano completamente ed espandendo quelle presenti nel sito, non solo per quanto

Riassunto: L’esperienza di tirocinio per la laurea di ...web.tiscali.it/resandovasco/tesimarcomilardiSTN.pdfAmmonoidea, le principali morfologie degli Echinodermata, le caratteristiche

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    Riassunto: L’esperienza di tirocinio per la laurea di primo livello: un obiettivo didattico e formativo.

    Questo lavoro è nato con lo scopo di aggiornare e innovare il già presente sito didattico del Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica dell’Università degli Studi di Padova (Virtual Fossils: http://www.geol.unipd.it/virtual_fossils/Home.htm) curato dalla prof.ssa Forteleoni e dal prof. Gatto. A tal scopo sono stati fotografati 76 nuovi esemplari della collezione, sono state elaborate 9 animazioni, sono state compilate 42 descrizioni degli stessi e si sono preparate alcune delle possibili soluzioni per la loro pubblicazione in internet. Nonostante il lavoro fosse sin dall’inizio ben definito e programmato è stato possibile creare comunque lo spazio per ampliare le conoscenze inserendo seminari ed esperienze collaterali riguardanti tecniche fotografiche di sviluppo e stampa, pulizia dei reperti fossili e possibili applicazioni di tecniche fotografiche a reperti di vario tipo. Nota: Allegato all’elaborato stampato viene fornito un cd-rom contenente tutti i dati prodotti durante il tirocinio (immagini, pagine html e animazioni) e i relativi programmi a distribuzione libera per visualizzarli. La visualizzazione del contenuto può essere ottenuta ciccando due volte sul file elencogeneri.html e la descrizione completa dei contenuti e le istruzioni per consultare il cd-rom sono visibili nel file leggimi.txt Trattazione: Scopi del tirocinio

    Il sito Virtual Fossils è organizzato secondo uno schema tassonomico che ripercorre la classificazione dei principali gruppi di invertebrati fossili, per ogni genere trattato viene presentata una classificazione (dal Phylum sino all’Ordine), una foto, con una o più viste dell’esemplare, corredata da una scala di riferimento, e la distribuzione stratigrafica. I principali ranghi tassonomici presi in considerazioni sono corredati da semplici descrizioni generali nelle quali si elencano le fondamentali caratteristiche morfologiche e classificative. Il sito risulta attualmente essere abbastanza completo per quanto riguarda alcune sezioni del Phylum Mollusca, in particolare Bivalvia e Gastropoda, ma molte delle informazioni riguardanti gli altri Phyla devono ancora essere pubblicate anche se sono in parte già state elaborate. Lo scopo del mio tirocinio nasceva dall’esigenza di completare le informazioni disponibili in rete implementando le sezioni che mancavano completamente ed espandendo quelle presenti nel sito, non solo per quanto

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    riguarda la parte iconografica ma anche la parte descrittiva. Ho quindi ampliato l’archivio fotografico e l’ho arricchito allegando alle immagini già esistenti ingrandimenti di particolari significativi e animazioni in cui si vede l’esemplare ruotare su se stesso di 360 gradi e ho proposto alcune modifiche alle schede dedicate ai singoli generi trasformando le “Note” in “Descrizione”, aggiungendo il rango tassonomico della famiglia alla classificazione, includendo il paragrafo “Bibliografia” per segnalare testi che ho consultato nello studio, quello “Provenienza” qualora avessi notizie riguardanti la località di rinvenimento, la formazione di provenienza e l’età dell’esemplare. Non ho invece mai implementato le sezioni riguardanti la descrizione dei livelli tassonomici superiori al genere in quanto il materiale anche se non pubblicato è in parte pronto. Le finalità più evidenti di questo lavoro sono senza dubbio quelle che riguardano la didattica a livello universitario della Paleontologia degli Invertebrati. Il sito è infatti dedicato agli studenti universitari delle Facoltà di Scienze che preparano esami relativi alle discipline paleontologiche e permette anche a chi non può recarsi in un Museo paleontologico di consultare a distanza le collezioni. Il mio lavoro vorrebbe essere un esempio di quello che si potrebbe fare, dei tempi, delle tecniche per rendere il sito sempre più completo e aggiornato, fino ad includere la gran parte degli esemplari conservati nel museo cosa che renderebbe davvero unico questo sito già di per sé particolare nel panorama della rete mondiale. Non esistono infatti altri esempi di un tentativo del genere se non quello del prestigioso Department of Palaeontology del Natural History Museum di Londra che riguarda però limitate categorie tassonomiche e non spazia nell’ambito degli Invertebrati. Lo stesso dipartimento londinese ha elaborato alcune immagini animate di fossili simili a quelle prodotte da questo tirocinio ma, limitandoci ad un’analisi di quanto pubblicato in rete, a volte di qualità inferiore. Oltre a una maggiore conoscenza della sistematica degli invertebrati altre acquisizioni personali di questo lavoro sono state nel campo della fotografia scientifica e nell’uso di strumentazione fotografica, nella competenza acquisita con i software di gestione delle immagini e delle animazioni, nella conoscenza (per quanto ancora da migliorare) acquisita nel campo della paleontologia degli invertebrati, della ricerca bibliografica, della catalogazione dei reperti e della loro gestione e di alcune tecniche di pulizia di reperti fossili. È sicuramente da notare come queste abilità maturate durante il tirocinio abbiano avuto occasione di essere messe in pratica prima della fine dello stesso coadiuvando il lavoro di altre colleghe tirocinanti presso lo stesso dipartimento per quanto riguarda la preparazione e la conservazione dei reperti fossili.

    Scelta dei fossili (criteri)

    Se una particolare attenzione è stata riposta nell’individuazione di linee guida che permettessero lo svolgimento del tirocinio verso uno scopo preciso è anche vero che ogni fase dello stesso ha richiesto un meticoloso ragionamento volto soprattutto alla comprensione delle tecniche metodologiche

    �������������riguardanti la località, la formazione e l’età

    �������������Oltre una maggiore conoscenza della sistematica degli invertebrati, altre

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    e ai criteri di scelta. Il primo passaggio del lavoro consisteva appunto nella scelta degli esemplari da fotografare e di cui sarebbero state preparate le schede: a tale scopo sono stati presi in considerazione diversi fattori in modo da restringere il campo ad un numero di esemplari che potesse essere trattato con sufficiente completezza all’interno della durata del tirocinio. Il criterio primario in base al quale è stata fatta la scelta è stata la completezza del sito. Seguendo questo criterio è stata data particolare enfasi ai Phyla che non avevano nessun rappresentante o alle Classi più importanti dal punto di vista stratigrafico e didattico. Sono così stati scelti e sviluppati i Phyla del tutto privi di materiale illustrativo (Porifera, Cnidaria, Arthropoda, Echinodermata e Hemichordata). Il Phylum Mollusca, come detto già corredato di informazioni e immagini, soprattutto per quanto riguarda le classi Bivalvia e Gastropoda, è stato completato aggiungendo le classi mancanti, con particolare attenzione alla Classe Cephalopoda, e ampliando il materiale fotografico con la scelta di alcuni importanti particolari. Stessa strategia è stata seguita per il Phylum Brachiopoda. Per i due Phyla Bryozoa e Annelida vengono proposti solo dei riferimenti, in quanto esemplari appartenenti appunto a questi Phyla si trovano cementati sopra altri fossili e compaiono solo come particolari ingranditi di altri esemplari. Infine sono stati fotografati alcuni campioni di stromatoliti per documentare alcune delle più antiche testimonianze fossili presenti nella collezione del museo. Una volta identificati i Phyla e le Classi è stato necessario scegliere quali dovessero essere i generi e gli esemplari da fotografare. Questo è stato fatto seguendo due criteri: il primo, di carattere prettamente didattico, è stato quello di scegliere esemplari che fossero importanti dal punto di vista stratigrafico e che illustrassero bene caratteristiche diagnostiche importanti (proprio con questa finalità in alcuni casi è stato necessario fotografare anche esemplari non fossili) come ad esempio il tipo di cerniera dei Bivalvia, la linea di sutura degli Ammonoidea, le principali morfologie degli Echinodermata, le caratteristiche degli occhi dei Trilobita, ecc., mentre il secondo quello di scegliere esemplari che presentassero tipi di fossilizzazioni particolari o un buono stato di conservazione. I criteri di scelta, sicuramente ancora perfettibili, sono stati raggiunti mediante approssimazioni successive e molte visite alle collezioni didattiche del Museo. Durante le visite, con lista dei fossili già pubblicata sul sito Virtual Fossils alla mano, sono stati più volte osservati e analizzati i campioni e gli esemplari di tutte le vetrine. Man mano che i criteri cominciavano a prendere forma e le scelte a concretizzarsi, i vari esemplari sono stati marcati con cartellini di carta di colore giallo che riportavano un numero progressivo per permettere un riconoscimento immediato e un riferimento relativo. Questo espediente ha permesso non solo di riconoscere immediatamente i fossili prescelti, ma anche di destreggiarsi con i prelievi dei fossili stessi che di necessità non dovevano interferire con il regolare svolgimento delle lezioni, periodo durante il quale le collezioni vengono utilizzate dai vari docenti di Paleontologia del

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    Dipartimento. Il risultato di questo lavoro di selezione è stata una lista di lavoro in formato excel suddivisa per Phyla elencati in ordine sistematico. All’interno di ciascun Phylum sono stati riportati gli estremi degli esemplari scelti in ordine alfabetico per facilitarne la ricerca. L’elenco riporta spesso la sola classificazione generica, ma a volte anche specifica o particolari riferimenti, nel caso manchi una attribuzione anche solo generica, e alcune note pro memoria. A questa lista era affiancata la lista dei generi pubblicata sul sito per permettere un confronto immediato e per poter inserire i generi trattati ex-novo. Tabella 1 – Elenco degli esemplari fotografati durante il tirocinio. stromatolite Porifera: Archaeocyatide Astraeospongium Euplectella Cnidaria: Colonia di scleractinie Thecosmilia Trochosmilia + anellidi Zaphrentis Bryozoa: particolare su Strophomena particolare su Zaphrentis Brachiopoda: Coenothyris Crania (interno ed esterno) Lingula Lychnothyris Rhynchonella Mucrospirifer + rotazione Strophomena Terebratula + rotazione Tetractinella + particolare apparato brachiale Mollusca: Amusium (interno ed esterno) Arca (cerniera) ������������

    Caprina Acanthocardia + cerniera e rotazione

    Ceratites Chiton Cenoceras Turrilites Dentalium Fusinus (rotazione) Glossus Goniatites Hippocardia Hippurites Inoceramus Lioceras Lithophaga e roccia perforata Ludwigia Lutraria Mytilus (area cardinale) Neptunea (protoconca e incrostazione) Nucula + cerniera Ostrea Patella + particolari delle incrostazioni Pecten Pecten (Flabellipecten) Proplina Spondylus + cerniera Stephanoceras + rotazione Trigonia + cerniera Annelida: Incrostazioni su Neptunea Incrostazioni su Patella Incrostazioni su Trochosmilia Rotularia

    Spirorbis su echinide regolare Arthropoda: Balanus Ambra con insetti Calymene Eryon Eurypterus Harpes (particolare occhi) Libellula Peronopsis Phacops + occhi Triarthus dorso e ventre Zanthopsis Echinodermata: Aculei di cidaroidi “Cidaris” + rotazione Clypeaster Encrinus Furcaster Macrocrinus Micraster Hemichordata: Dictyonema Didymograptus Monograptus Monograptus

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    Fotografia (materiali, metodi, criteri)

    Gli esemplari selezionati sono stati divisi successivamente in scaglioni di 10-12 a seconda della loro collocazione e della loro disponibilità nelle vetrine; ogni scaglione è stato quindi preparato al pomeriggio e fotografato tutto nell’arco della mattinata successiva in modo da limitare il più possibile l’interferenza con le lezioni in corso. Questo ha anche permesso di preparare il set fotografico una volta sola a settimana limitando lo spreco di tempo grazie al lavoro in serie. Questa fase del lavoro è stata per me occasione di grande maturazione in quanto nutrivo già da prima un interesse verso la fotografia (in particolare quella scientifica e naturalistica) ma non avevo mai avuto occasione di lavorare con attrezzature professionali o di apprendere tecniche e criteri per una corretta fotografia scientifica. Durante tutto il lavoro è stata utilizzata la macchina fotografica digitale Nikon Coolpix 995 con una capacita’ di risoluzione di 3 megapixel, una scheda di memoria compact flash da 128 Mb e la possibilità di essere utilizzata in modalità “manuale”. La macchina digitale presenta numerosi vantaggi tra cui senza dubbio quello di poter fare un gran numero di foto ad un costo praticamente nullo, la possibilità di visualizzare le foto subito dopo averle scattate e la loro immediata disponibilità in formato digitale. Lo svantaggio di presentare una risoluzione minore di quella ottenibile con una fotocamera meccanica è stato superato utilizzando la massima risoluzione possibile per le foto d’archivio e quello di avere un disturbo dell’immagine dovuto alla rielaborazione digitale è stato minimizzato mantenendo la sensibilità del CCD (Charged Couple Device) al minimo. La macchina digitale utilizza infatti un dispositivo CCD per la raccolta delle radiazioni luminose e ricrea un’immagine digitale analizzando la quantità di luce che ogni riga e colonna raccoglie; il risultato è quello di ottenere un’immagine a colori ricostruita molto fedele alla realtà. Questo dispositivo che sostituisce la tradizionale pellicola fotografica nelle macchine digitali ha una sua sensibilità, esattamente come la pellicola, che può essere variata da un minimo di 100 a un massimo di 800 ASA. La sensibilità maggiore viene ottenuta mediante un’intensificazione artificiale dei segnali luminosi e questo porta spesso a un notevole disturbo dell’immagine (effetto paragonabile alla sgranatura delle pellicole tradizionali). La luce visibile può contenere diverse dominanti di colore a seconda della lunghezza d’onda della radiazione da cui è composta, pertanto nella fotografia tradizionale è d’uso scegliere il tipo di pellicola in base alla temperatura colore (in Kelvin) della sorgente luminosa ed eventualmente correggere eventuali discrepanze mediante l’uso di filtri da applicare sull’obbiettivo. Questo processo è semplificato nelle macchine digitali dall’utilizzo di un misuratore automatico della dominante che regola i rapporti tra i colori. Questa regolazione va sotto il nome di bilanciamento del bianco perché appunto la misurazione viene effettuata regolando l’obbiettivo su di un foglio bianco,

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    questo da’ la scala a tutti gli altri colori. In alternativa è anche possibile utilizzare delle misurazioni predefinite qualora si volessero ottenere effetti particolari o semplicemente si conoscesse a priori la temperatura colore della luce. Nella fotografia dei campioni sono stati usati particolari accorgimenti. Normalmente infatti esistono delle codifiche per la fotografia degli esemplari paleontologici che permettono una certa uniformità nelle illustrazioni delle pubblicazioni. La sorgente luminosa dovrebbe essere sempre posta in alto a sinistra e per l’orientazione ciascun gruppo ha regole precise. L’illuminazione sarà trattata più avanti, mentre per quanto riguarda l’orientazione un esempio per tutti è quello delle ammoniti; di esse dovrebbero essere illustrate almeno due viste: una prima laterale, per vederne la forma e il tipo di avvolgimento, nella quale il termine della conchiglia (o del modello) dovrebbe essere posto verso l’alto (anche se esistono due scuole di pensiero sull’argomento, una tradizionale che vorrebbe appunto il termine verso l’alto e l’altra che vorrebbe il termine o l’apertura in basso a imitare un’ipotetica posizione di vita) e una seconda ventrale (anteriore o posteriore) per apprezzare la forma e la sezione del giro (compresso o depresso), le caratteristiche della zona ventrale, ecc. Non in tutti i casi comunque è stato possibile applicare i criteri tradizionali. Per la fotografia dei fossili sono stati utilizzati anche supporti per la fotocamera, quali un cavalletto con testa a tre movimenti e una colonna con supporto mobile per le foto statiche; apparecchi di illuminazione, quali delle lampade alogene abbastanza potenti, dotate all’occorrenza di un ombrello bianco per rendere la luce più morbida e uniforme e infine supporti per i soggetti (plastilina) e banchi di sfondo o di schiarita.

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    Fig. 1 – Il supporto rotante e un banco di schiarita utilizzati durante le foto per le animazioni a 360 gradi.

    Per le fotografie che sarebbero poi state impiegate nelle animazioni abbiamo utilizzato invece un supporto rotante costruito allo scopo ad imitazione di apparecchi più sofisticati visti sui siti internet specializzati in questo tipo di animazioni. Si tratta semplicemente di una tavoletta di legno, che veniva fissata al tavolo mediante dello scotch trasparente, sulla quale è imperniato un disco libero di ruotare suddiviso in 36 posizioni numerate. La superficie del disco è colorata di nero e al centro fuoriesce un perno, anch’esso colorato in nero, che ha la funzione di portare il fossile in una posizione più elevata rispetto al piano del tavolo. Questi accorgimenti servivano a poter scontornare più facilmente la figura del campione rispetto allo sfondo e a seguire passo passo il processo delle foto in sequenza. Il requisito principale delle fotografie deve essere la loro verosimiglianza, non devono cioè presentare differenze di colore rispetto all’originale, devono rispettare le proporzioni tra le parti e riportare una corretta impressione delle profondità. A tal scopo spesso si è dovuti intervenire sull’esposizione consigliata dall’esposimetro della macchina in quanto la lettura dello strumento è falsata da effetti ottici. La sorgente luminosa è stata generalmente posta in alto a sinistra per permettere una corretta visione delle profondità ed evitare effetti ottici che fuorviassero nella corretta interpretazione dell’immagine. Sono poi state

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    utilizzate delle schiarite, cioè fogli di carta bianca riflettenti con lo scopo di illuminare i dettagli che eventualmente fossero rimasti troppo in ombra: in questo modo si è cercato di mediare l’effetto realistico (creato appunto dalle ombre) con la necessità di illuminare correttamente tutte le zone del campione. Per alcuni fossili sarebbe stato necessario porre le sorgenti luminose in maniera tale che la luce incidesse in maniera quasi radente allo scopo di evidenziare particolari superfici, come ad esempio elementi poco pronunciati e difficilmente distinguibili, ma questo è stato in prevalenza evitato. In altri casi, con soggetti molto scuri (come i fossili inclusi in rocce scure) è stato necessario modificare manualmente le impostazioni della macchina perché la lettura dell’esposimetro risulta falsata dall’effetto cromatico e avrebbe prodotto delle fotografie molto diverse dall’originale.

    Figg. 2/3 – Esempi rispettivamente di foto sottoesposta e sovraesposta. Qui sopra sono riportate come esempio due foto di un esemplare di Furcaster (un’ofiuroide) fatte con la medesima inquadratura: nel primo caso la foto risulta sottoesposta (cioè più scura) rispetto alla realtà perché il sensore della macchina registra meno luce in quanto essa viene assorbita dalla roccia scura, nel secondo caso la foto risulta invece artificialmente sovraesposta (più chiara) rispetto al soggetto reale. Nessuna di queste due foto comunque può essere considerata ottimale pertanto, se il campione non è più disponibile per ripetere la fotografia, si dovrà intervenire in seguito con l’elaborazione al computer. Nella seconda parte del lavoro, quella relativa all’elaborazione delle immagini ottenuta grazie ai software per computer, è stato possibile correggere errori residui di minima entità. Tutte le foto dei campioni sono state effettuate utilizzando uno sfondo bianco o scuro a seconda delle caratteristiche del campione: anche se l’utilizzo di uno sfondo di questo tipo modifica l’esposizione (in quanto riflette o assorbe molto la luce) il loro uso è stato necessario per poter scontornare agevolmente al computer l’immagine del campione e poterla trasferire sullo sfondo più adatto. Nella gran parte delle immagini è stato usato uno sfondo bianco, ma nel caso di Euplectella (lo scheletro spicolare di una spugna silicea, chiaro e quasi trasparente) lo sfondo nero è stato necessario per poter vedere correttamente il

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    soggetto. La maggior parte delle foto è stata fatta tenendo il campione appoggiato a un tavolo e orientandolo nelle diverse posizioni aiutandosi ove fosse necessario con dei pezzi di plastilina per sostenerlo. La macchina era dunque fissata alla colonna mobile e poteva essere spostata in altezza per allargare o stringere il suo campo e per ingrandire i particolari. Nel caso di campioni molto piccoli era limitante il blocco alla base della colonna che non permetteva di variare l’altezza oltre un certo punto, il campione doveva quindi essere sollevato con uno spessore per portarlo più vicino alla macchina. Alcuni soggetti o particolari però non potevano essere fotografati chiaramente neanche con questo espediente perché le loro dimensioni erano troppo minute per la capacità focale dell’obbiettivo della macchina; in questi casi è stato necessario montare un obbiettivo addizionale (un comune 50 mm per macchina reflex adattato a rovescio mediante un’apposita ghiera) che permettesse la fotografia del dettaglio. È stato ad esempio il caso degli occhi di un Harpes (un trilobite) che presentava quasi soltanto questa parte conservata. Il campione è stato fotografato solo nel dettaglio, grazie alla tecnica sopra menzionata, all’interno di una serie di foto che mostravano i tipi di occhi dei trilobiti (composti, come in questo caso e aggregati).

    Fig. 4 – La foto degli occhi di un Harpes ottenuta con l’obbiettivo addizionale

    Spesso nella fotografia di esemplari particolari è utile poter “imbiancare” il fossile (cioè ricoprirlo di una spolverata di ossido di magnesio) per evidenziarne le caratteristiche, oppure è necessario utilizzare luce radente per marcare alcuni particolari. Queste due pratiche sono state evitate nel corso del mio lavoro in quanto la prima non permette di apprezzare le caratteristiche

    ��������������i tipi di occhi dei trilobiti(composti , come in questo caso e aggregati).

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    cromatiche del fossile e la seconda altera la percezione delle profondità. Per mia fortuna la gran parte degli esemplari selezionati presentava caratteristiche di buona o ottima conservazione per cui questa mancanza non è evidente. Come già detto non sempre è stata utilizzata l’illuminazione più corretta o gli orientamenti tradizionali, in particolare per quanto riguarda il mio lavoro ciò è certamente è dovuto a varie cause che vanno dall’inesperienza alla disattenzione, ma che dipendono anche da necessità e intenzioni particolari (ad esempio non sempre a una corretta orientazione corrisponde una corretta illuminazione), quindi chiaramente non sempre le foto scattate rispondono a tutte le caratteristiche necessarie. Le foto destinate alle animazioni sono state scattate a una risoluzione più bassa rispetto a quelle d’archivio in quanto si doveva tener conto della loro gestione sul computer (una dimensione troppo grande avrebbe allungato troppo i tempi di elaborazione dell’animazione) e del loro utilizzo (per ridurre il peso dell’animazione e renderla fruibile da un maggior numero di persone in rete si devono usare immagini di partenza di piccole dimensioni) ma senza compromettere la risoluzione dei dettagli importanti (per questo si sono fatte copie d’archivio delle animazioni con dimensioni non gestibili direttamente in rete ma con alta risoluzione). In particolare sono state fatte diverse prove che nella sezione conclusioni saranno trattate e discusse più in dettaglio. Un altro dei requisiti importanti delle foto destinate alle animazioni doveva essere la loro uniformità: a tal scopo si è mantenuta un’esposizione media (e quando è stato il caso si è intervenuti al computer) che permettesse di apprezzare correttamente le caratteristiche cromatiche del fossile e il più possibile si è affinata la tecnica dei supporti per non causare spostamenti nel quadro dell’immagine. A tal scopo si sono controllate più volte l’ortogonalità’ del perno dove veniva fissato il fossile o dell’asse di rotazione rispetto al piano e la posizione del cavalletto o della slitta che sostenevano la macchina. Anche con tutti questi accorgimenti però sono stati necessari aggiustamenti a posteriori possibili grazie al computer e i risultati ne hanno risentito. Nel caso di Fusinus (un gasteropode) ad esempio l’asse di avvolgimento è stato raddrizzato al computer perché, nonostante i controlli visivi, durante l’animazione l’asse subiva un moto di precessione sensibile; l’animazione finale riporta ancora in parte questo problema. Nel caso di Phacops (un trilobite) a causa delle dimensioni veramente piccole è stata utilizzata una slitta applicata al cavalletto tradizionale per avvicinare la macchina al soggetto; il supporto per la macchina fotografica però non era sufficientemente stabile e la macchina risentiva della pressione del dito sul pulsante e ciò provocava una sensibile variazione della centratura del soggetto. Un tentativo di correggere al computer questo difetto tecnico non ha prodotto risultati accettabili e le foto sono quindi state completamente rifatte con un supporto diverso (che ha però costretto ad un diverso angolo di ripresa).

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    Elaborazione delle foto (animazioni e correzioni)

    Le possibilità offerte dai mezzi informatici moderni sono tali da stupire anche chi come me segue in una certa misura il progresso tecnologico. Le tecnologie impiegate in questo lavoro tuttavia sono tutt’altro che avanzatissime, anzi ho cercato di operare con i mezzi esistenti e a disposizione del Dipartimento anche se questo in certi casi ha voluto dire sostituire con l’inventiva le mancanze degli apparecchi. A volte però è stato necessario utilizzare qualcosa che le macchine non potrebbero mai fornire: tutta la pazienza a mia disposizione. Infatti per quanto riguarda l’elaborazione di grafica al computer è spesso necessaria una grande quantità di memoria disponibile nel calcolatore, a tal punto che vi sono macchine assemblate appositamente e che vengono dedicate solo a questo scopo. I computer a mia disposizione nel laboratorio di fotografia del Dipartimento erano dotati di caratteristiche abbastanza avanzate (un computer è dotato di un processore Intel Pentium 4 da 2.7 GHz, scheda grafica Ati da 32 Mb e 512 Mb di memoria RAM, l’altro invece di un processore Intel Pentium 3, una scheda grafica Matrox da 32 Mb e di una memoria RAM da 128 Mb) ma tuttavia certe volte non fornivano abbastanza prestazioni per concludere le operazioni in tempi accettabili; queste macchine erano tuttavia di gran lunga più potenti del mio computer che è stato solamente utilizzato per alcune prove di compatibilità sulle macchine più arretrate e per stendere parte di questa tesi. È stato anche necessario l’utilizzo di altre parti hardware per portare a termine il lavoro, ad esempio si è dimostrato utile lo scanner Epson perfection 1650 per la scansione della superficie di alcune rocce, il mouse a infrarossi (senza trackball) che permette una precisione maggiore nell’utilizzo dei selezionatori in quanto non ha imprecisioni nello scorrimento oltre naturalmente al drive esterno di lettura delle schede di memoria che ha permesso un immediato trasferimento delle immagini sul computer. Oltre alla capacità di calcolo nell’elaborazione grafica sono importanti anche i software utilizzati nel lavoro, questi ultimi erano piuttosto avanzati per quel che riguarda l’elaborazione di immagini statiche: il programma Adobe Photoshop nella sua versione 6.0 prevede infatti una miriade di possibilità di interazione con l’immagine. Questo programma è talmente complesso e ricco di funzioni da richiedere quasi una preparazione specifica per il suo utilizzo però consente a chi ne padroneggia le funzioni di compiere veri e propri “miracoli” digitali. All’inizio del tirocinio ero un utente normale del programma, riuscivo cioè a utilizzare solo le sue funzioni più comuni, per la maggior parte condivise anche da altri programmi meno specifici. Naturalmente grazie all’assistenza del tecnico di laboratorio Stefano Castelli e alla sua pazienza nell’insegnarmi i segreti del programma sono riuscito a ottenere risultati che hanno superato le mie più rosee previsioni; ben lungi dall’essere un utente veramente esperto, ora ho acquisito una certa abilità nell’uso di questo software anche oltre alle finalità strettamente attinenti con l’oggetto del mio tirocinio. È infatti stato molto utile seguire, e negli ultimi

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    tempi eseguire, molte delle operazioni al computer che vengono svolte all’interno del laboratorio del dipartimento, come l’impaginazione di immagini per tavole e tesi, la preparazione di immagini ad alta risoluzione per la stampa, la modifica delle foto scattate nel laboratorio o sul campo. Non è stato possibile l’acquisto di un software dedicato alle rotazioni tridimensionali e alle panoramiche (la scelta, dopo un’attenta ricerca e alcuni tentativi, era caduta sul programma VR Object Worx) anche se avrebbe potuto accorciare di molto i tempi di gestione, permettere una rotazione e una navigazione quasi libera attorno al fossile, e permettere di pensare a una visita virtuale ai locali del Museo attualmente inaccessibili al pubblico. Sono dunque state elaborate una serie di alternative più comuni, come compromesso, con i mezzi a disposizione del dipartimento. Si è infine scelto di elaborare le animazioni usando il programma Adobe Image Ready (già contenuto nel pacchetto di Photoshop) che ha permesso di trattare le immagini con molti degli strumenti a disposizione di Photoshop e di esportare i filmati in formato Quicktime, un formato molto comune sulla rete che richiede l’utilizzo di un software di lettura molto diffuso e disponibile anche per il sistema Mac cosa che rende ancora più grande la fruibilità delle animazioni. Solo nell’ultima settimana di tirocinio si è venuti a conoscenza di un possibile utilizzo analogo di un programma presente nel pacchetto di elaborazione grafica Corel: Corel Photo Paint 9.0. I risultati ottenuti con questo programma presentano degli innegabili vantaggi rispetto alle elaborazioni precedenti (come la possibilità di zoomare nell’immagine e di ruotare la vista con l’uso del mouse) pertanto, per quanto possibile, si è cercato di convertire parte delle animazioni già elaborate. Tutte le immagini scattate con la macchina fotografica hanno subito processi di elaborazione al computer. Anche le foto perfettamente riuscite infatti sono state scontornate per permettere l’applicazione dell’immagine del fossile su uno sfondo uniforme. Questa operazione è stata effettuata con l’ausilio dello strumento, “bacchetta magica”, che permette di selezionare intere aree con proprietà di colore simili, cosa che riduce di molto il tempo necessario per scontornare, ma purtroppo non ha evitato l’uso del più preciso strumento “lazo” (in tutte le sue forme ma soprattutto “magnetico” e “normale”) che in molti casi è stato a dir poco necessario per rifinire con precisione i bordi dell’immagine o le zone con ombre di colori molto simili al colore del fossile. Qualora la foto non fosse perfettamente riuscita o presentasse difetti nell’ombreggiatura, nella disposizione, nella colorazione è stato possibile intervenire per correggere differenze che non fossero troppo marcate rispetto all’optimum: è infatti molto facile e di sicuro effetto l’uso del computer in fotografia ma in alcuni casi è davvero impossibile recuperare informazioni sui colori mancanti oppure l’intensificazione digitale produce effetti di disturbo troppo marcati. In particolare le operazioni più comunemente effettuate sulle fotografie non perfettamente riuscite sono state la “regolazione dei livelli” che permette di aumentare o diminuire i toni dell’immagine nei componenti delle luci, delle ombre e dei mezzitoni e la regolazione mirata dell’esposizione di

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    alcune zone grazie a strumenti come “brucia” e “scherma” che permettono rispettivamente di diminuire e di aumentare l’esposizione con un semplice click, operazioni analoghe a quelle che si possono fare in camera oscura durante la stampa; inoltre sono stati usati gli strumenti “gomma”, “timbro clone” che rispettivamente cancellano e copiano in altri punti zone selezionate dell’immagine. All’occasione sono anche stati usati diversi filtri dell’ampia gamma disponibile nel programma, in particolare la “maschera di contrasto” che aumenta selettivamente il contrasto dell’immagine. Infine altre operazioni ancora hanno riguardato la correzione della luminosità, del bilanciamento del colore, della tonalità e della saturazione. Tutte le operazioni sono state eseguite approfittando degli ausili offerti dalla divisione in livelli dell’immagine (paragonabili a una serie di fogli di acetato sovrapposti uno sopra l’altro su cui sono riportate le diverse parti che compongono l’immagine). Questa divisione permette di lavorare su ogni singolo livello senza interferire con gli altri. Ho usato all’occasione anche la possibilità di posizionare guide rettilinee visibili solo durante la fase di lavoro come riferimenti all’interno dell’immagine e i righelli che forniscono un’indicazione precisa sulle dimensioni dell’immagine. Il numero delle operazioni disponibili all’interno del programma e la varietà dei casi a cui mi sono trovato di fronte è tale per cui sarebbe quasi impossibile riportare con precisione tutte le opzioni utilizzate, riporterò dunque solo esempi pratici che facciano però capire le potenzialità di base del programma utilizzato.

    Figg. 5/6 – Correzioni dell’esposizione nelle foto 2/3. Nel caso di Furcaster (l’ofiuroide visto prima e illustrato nelle figure 2/3), nel quale l’optimum di esposizione del soggetto con matrice scura si trova a circa metà strada delle due foto riportate, si può raggiungere il risultato schiarendo l’immagine sottoesposta o scurendo l’immagine sovraesposta anche se le immagini ottenute nei due modi non risulteranno perfettamente identiche: è probabile infatti che la foto sottoesposta contenga meno informazioni di tonalità e che l’elaborazione digitale ottenuta al computer sia di un colore

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    alterato o comunque disturbato, questo effetto è tanto più evidente quanto l’esposizione è lontana dall’optimum. È però anche possibile raggiungere un risultato mirato sovrapponendo le due immagini avendo cura di lasciarle su due livelli distinti, grazie agli strumenti “gomma”, “maschera di livello” e con la regolazione dell’opacità delle due immagini; in questo modo si possono lasciare inalterate zone di un’immagine la cui esposizione ci sembra migliore e combinarle con zone ugualmente ben esposte dell’altra immagine per ottenere un effetto globale ottimizzato. Naturalmente questo tipo d’operazione può essere unita con quella vista sopra per raggiungere un risultato ancora migliore.

    Fig. 7 – Immagine ottenuta dalla combinazione delle foto 5/6. Con le opzioni “scherma” e “brucia” è possibile sovraesporre o sottoesporre varie zone dell’immagine grazie alla possibilità di regolare l’esposizione nelle componenti di ombre, luci o mezzitoni. A seconda della componente sulla quale si interviene i risultati ottenuti possono essere veramente stupefacenti. Anche in questo caso bisogna tenere presente l’effetto di disturbo dell’intensificazione digitale che si fa sentire per alti valori d’intensità. A titolo di esempio qui di seguito sono illustrati i risultati di questo intervento in un caso dove non era necessario. La sovraesposizione della cavità interna della conchiglia di Dentalium è volutamente forzata ed irreale per evidenziarne l’effetto.

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    Figg. 8/9 – La foto di Dentalium (uno scafopode) prima e dopo l’applicazione dell’effetto “scherma”

    Nel caso di Monograptus (un graptolite) la sottoesposizione di zone particolari, effettuata solamente per le ombre e con un’intensità’ piuttosto alta, permette di evidenziare il fossile esaltando il contrasto d’ombra/luce senza dover ricorrere ad un’illuminazione troppo radente. Anche in questo caso l’effetto è forzato e irreale per sottolineare le capacità del programma.

    Figg. 10/11 – La foto di Monograptus turriculatus prima e dopo l’applicazione dell’effetto “brucia”

    Altra operazione che è stata eseguita per l’ottimizzazione delle immagini è il “timbro clone”. Può capitare che nelle foto siano presenti elementi di disturbo dovuti ad esempio alla scarsa pulizia del fossile al momento della foto. Se non fosse possibile ripetere la foto (cosa vivamente consigliata) si può in questi casi intervenire con lo strumento timbro clone e coprire le macchie copiando zone

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    adiacenti. Il limite dell’uso di questo strumento è quello di non poter intervenire su zone uniche o particolarmente importanti dell’immagine, quelle zone cioè in cui la perdita d’informazioni non sarebbe accettabile. Nelle foto di Furcaster sono stati appositamente lasciati pelucchi e pezzi di plastilina; qui di seguito riporto l’esempio di come la foto può essere “pulita”.

    Fig. 12 - La foto di Furcaster dopo l’applicazione del timbro clone per eliminare elementi di disturbo nell’immagine

    L’utilizzo della “maschera di contrasto” si rende necessario invece qualora la foto non risultasse perfettamente a fuoco e non fosse possibile ripeterla; il filtro permette di selezionare il fattore di contrasto che andrà ad interessare l’immagine e il raggio in pixel entro il quale il computer recupererà informazioni sui bordi. Anche in questo caso non è possibile recuperare foto troppo sfuocate perché si otterrebbe un effetto troppo irreale, quasi “disegnato” dell’immagine.

    Figg. 13/14 – La foto sfuocata di Coenothyris e la sua correzione, in questo caso il computer non riesce a fare miracoli.

    Nell’esempio di Coenothyris (un brachiopode), qui sopra è riportato, la foto e’ completamente sfuocata e irrecuperabile. Nonostante un pesante intervento, che ne altera il realismo rendendo i contorni più marcati ma con colori non

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    naturali, rimangono comunque sempre zone sfuocate. Per Phacops (un trilobite) invece, anche se l’effetto della “maschera di contrasto” è comunque volutamente esagerato, la qualità dell’immagine risente positivamente dell’intervento con il filtro.

    Figg. 15/16 – L’intervento con il filtro di contrasto sulla foto di Phacops fornisce invece risultati accettabili.

    Nel caso in cui si abbia un’immagine di partenza che devia dalla realtà per una dominante di colore troppo marcata si può intervenire con la regolazione della tonalità/saturazione, agendo contemporaneamente sulla luminosità e su altre opzioni se necessario. I risultati possono essere quasi sorprendenti come nel caso del dente qui illustrato.

    Figg. 17/18 – La correzione del colore applicata alla foto di un dente studiato dalla mia collega Elisabetta Sforza.

    Per le animazioni le foto sono state scattate a una risoluzione più bassa rispetto a quella delle foto d’archivio, tale scelta è dovuta all’intenzione di contenere il più possibile le dimensioni del filmato finale senza però sacrificare troppo il dettaglio dell’immagine. Per ogni animazione sono state scattate 36 foto corrispondenti a una rotazione completa attorno all’asse; la sorgente di luce è

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    stata mantenuta costante e sono stati usati fondi e plastilina neri per ridurre al minimo gli interventi di elaborazione al computer. Se è vero infatti che gli interventi di correzione, anche i più complessi, possono essere registrati e codificati per una loro rapida applicazione è anche vero che le operazioni di scontorno su soggetti diversi devono essere eseguite a mano per ogni singola foto e che il numero delle foto da elaborare è abbastanza elevato da creare non pochi problemi di tempo. Le modifiche più comuni apportate alle foto realizzate per le animazioni riguardano la centratura nell’immagine e l’ortogonalità degli assi di rotazione: infatti piccole differenze tra le foto, non rilevabili ad occhio nudo e per rivoluzioni lente, sono invece molto evidenti una volta completata l’animazione. Tracce di questi problemi sono rimaste in alcuni dei lavori e possono difficilmente essere corrette ulteriormente al computer se non con un dispendio in termini di tempo che sarebbe maggiore di quello necessario a ripetere da capo tutta l’operazione. Quindi è certamente preferibile porre maggiore attenzione nella fase di preparazione delle foto, facendo ruotare il campione più volte e controllando, con l’aiuto di righelli o livelle, l’ortogonalità dell’asse di rotazione, la solidità dei supporti della macchina fotografica e la centratura del soggetto. I vari esperimenti che sono stati eseguiti all’inizio del lavoro per individuare quali fossero i programmi più adatti allo sviluppo dell’animazione hanno prodotto risultati poco incoraggianti: ad esempio l’idea iniziale di utilizzare il programma MacroMedia Flash per elaborare un’interfaccia interattiva di supporto alle immagini ha prodotto dei file troppo grandi per poter essere gestiti e una scarsa interattività con l’animazione. Molti dei programmi che sono stati provati nella fase iniziale erano versioni dimostrative che spesso non permettevano di salvare le animazioni prodotte. Grazie ad un’idea del tecnico Stefano Castelli siamo infine giunti a un’alternativa all’acquisto, non possibile, di un programma dedicato: Adobe Image Ready, uno dei programmi del pacchetto di Adobe per la grafica, già disponibile nel Dipartimento. Questo programma presenta il duplice vantaggio di avere un’interfaccia simile a quella di Adobe Photoshop e di poter costruire animazioni semplici in formato .avi: il formato è ampiamente diffuso e leggibile tramite il programma Apple Quicktime che lo traduce in un filmato continuo. Utilizzando il mouse è anche possibile bloccare la riproduzione del filmato e scorrerne i singoli fotogrammi con un’operazione detta “mouse scrolling” ma manca assolutamente la possibilità di zoomare avanti e indietro nell’immagine.

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    Fig. 19 – Come appare l’animazione durante la riproduzione.

    Le animazioni costruite con questo programma sono di dimensioni modeste e quindi altamente fruibili in rete; per ogni animazione sono state previste dimensioni generalmente sotto il megabyte (ma sono state conservate copie d’archivio, eventualmente pubblicabili in rete per il download, di dimensioni e risoluzione maggiori). Solo negli ultimi giorni purtroppo siamo venuti a conoscenza di una funzione analoga presente in Corel Photo Paint, che offre il vantaggio di avere un “mouse scrolling” più intuitivo e la possibilità di zoomare liberamente. Con questo programma le dimensioni delle animazioni sono più grandi a parità di risoluzione e dimensione delle immagini di partenza, pertanto costituisce un’ottima alternativa solo se lo zoom non è troppo spinto: le dimensioni di un’animazione con la possibilità di zoom spinto sono infatti tali da non permettere la sua pubblicazione sulla rete. Con questo programma sono state elaborate soltanto alcune animazioni ma ciononostante ritengo che sarebbe il più indicato per uno sviluppo futuro del lavoro da me iniziato. Descrizioni (criteri di scelta e trattazione) Il completamento della esperienza di tirocinio prevedeva la compilazione di un certo numero di schede descrittive. Tra gli esemplari fotografati e quelli presenti nel sito Virtual fossils sono stati scelti i 42 esemplari ai quali dedicare uno studio più approfondito e quindi compilare una descrizione. L’elenco degli esemplari descritti, appartenenti ai taxa più importanti dei vari phyla ed in particolare: 1 archeociatide, 2 poriferi, 3 cnidari, 8 brachiopodi, 21 molluschi, 3 echinodermi 1 graptolite e 3 artropodi, è

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    riportato, in ordine alfabetico, nella tabella 2. Tabella 2 – Gli esemplari di cui e’ stata compilata una descrizione. Acanthocardia Gray, 1851 Arca Linneo, 1758 Archaeocyatha Astraeospongium Roemer, 1854 Belemnitella d’Orbigny, 1840 Calymene Brongniart, 1882 Caprina d’Orbigny, 1882 Cenoceras Hyatt, 1884 Ceratites DeHaan, 1825 Chiton Linneo, 1758 “Cidaris” Leske, 1778 Coenothyris Douvillé, 1879 Crania Retzius, 1781 Encrinus Lamarck, 1801

    Euplectella Owen, 1841 Eurypterus DeKay, 1825 Furcaster Stuertz, 1886 Fusinus Rafinesque, 1815 Goniatites DeHaan, 1825 Lingula Bruguière, 1797 Ludwigia Bayle, 1878 Lutraria Lamarck, 1799 Lychnothyris Schauroth, 1865 Monograptus Geinitz, 1852 Mytilus Linneo, 1758 Mucrospirifer Grabau, 1931 Neptunea Rödig, 1798 Patella Linneo, 1758

    Pecten Müller, 1776 Pecten (Flabellipecten) Sacco, 1897 Proplina Kobayashi, 1933 Rhynchonella Fischer, 1809 Spondylus Linneo, 1758 Stephanoceras Waagen, 1869 Strophomena Rafinesque in De Blainville, 1825 Terebratula Müller, 1776 Tetractinella Bittner, 1890 Thecosmilia Milne-Edwards & Haime, 1848 Trigonia Bruguiere, 1789 Trochosmilia Milne-Edwards & Haime, 1848 Zanthopsis M’Coy, 1849 Zaphrentis Rafinesque & Clifford, 1820

    Dapprima, non sapendo bene come regolare i rapporti tra le varie parti della descrizione, ho fatto alcune prove seguendo stili diversi, cercando di modificare le diverse versioni seguendo i consigli della prof.sa Forteleoni fino ad affinare alcuni criteri base per la struttura. Abbiamo stabilito che nella descrizione si dovesse tenere una certa schematicità, elencando le caratteristiche principali del genere cui appartiene ciascun esemplare e mettendone in risalto, ove fosse il caso, le peculiarità individuali. Ottimo modello di partenza per le descrizioni generiche è stato L’Atlas of invertebrate paleonthology di J. Murray (1985). Per quanto riguarda la classificazione sopragenerica invece ci si è generalmente attenuti al Treatise on Invertebrate Palaeonthology di R.C. Moore (1955 – 1978) che rappresenta il testo di riferimento per la paleontologia degli invertebrati. Il trattato non è completo, mancano alcune parti, e in alcuni casi la classificazione riportata, seppur rigorosa, è stata ormai in parte cambiata nel corso degli anni; si è così deciso di adottare classificazioni diverse per la sottoclasse degli Ammonitida

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    (oggi Ammonoidea), per il Phylum Coelenterata (oggi Cnidaria) e per la classe Monoplacophora (oggi Tergomya). In particolare Ammonoidea all’epoca della stesura del testo aveva rango tassonomico di Ordine, in testi successivi è invece stato elevato a Sottoclasse mentre Ammonitida è diventato un Ordine; questi cambiamenti tassonomici che riguardano Taxa con rango superiore a quello della Famiglia non sono regolate dalla I.C.Z.N. (International Commission of Zoological Nomenclature) e pertanto tendono a cambiare a seconda dell’autore o dei tempi. Come già detto nella parte iniziale della trattazione ho proposto alcune modifiche alle schede originali dedicate ai singoli generi nel sito Virtual Fossils, aggiungendo il rango tassonomico della Famiglia alla classificazione, trasformando le “Note” in “Descrizione”, includendo il paragrafo “Provenienza” qualora avessi notizie riguardanti la località di rinvenimento la formazione di provenienza e l’età dell’esemplare e quello “Bibliografia” per segnalare testi che ho consultato nello studio. Le schede inoltre sono state completate con l’aggiunta dei nomi degli autori delle varie categorie tassonomiche citate. Generalmente le descrizioni riportano come prima caratteristica il “tipo” di reperto descritto con parole comuni per permettere un immediato inquadramento (per esempio granchio o bivalve). Subito dopo viene descritta la forma generale del campione (come ad esempio ovale o fusiforme) e le principali caratteristiche morfologiche esterne. Si passa quindi alle caratteristiche interne (se visibili) e ai particolari degni di nota, per finire poi con considerazioni paleoecologiche, stratigrafiche oppure con particolarità presenti nel campione fotografato. In generale la descrizione cerca di attenersi il più possibile alle caratteristiche dell’esemplare più che riferirsi al genere in oggetto in maniera astratta. Naturalmente non tutte le descrizioni seguono perfettamente questo schema, in alcuni casi ad esempio viene precisato anche il sottogenere oppure la specie di appartenenza. In alcuni casi il lavoro di descrizione ha portato a una rideterminazione o a una correzione della determinazione precedentemente effettuata: può succedere infatti che nel processo di determinazione vi siano errori riguardanti caratteristiche poco evidenti dell’esemplare o errate registrazioni della stratigrafia del fossile oppure ancora decisioni successive della commissione internazionale di nomenclatura zoologica che possono cambiare il nome del genere o della specie. Nel corso del tirocinio si sono evidenziati errori di vario tipo come nel caso della errata trascrizione del nome sul cartellino (Propilina anziché Proplina), di Xanthopsis (il cui nome è stato cambiato per nuova assegnazione in Zanthopsis) oppure di Spirifer (rideterminato come Mucrospirifer, un genere affine ma con caratteristiche leggermente diverse e di diversa distribuzione stratigrafica). Naturalmente in questo come in altri casi dubbi è stato determinante l’aiuto della prof.sa Forteleoni senza il quale probabilmente non avrei avuto nemmeno sentore delle correzioni da fare.

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    Catalogazione informatica (contesto, risultati) Una volta confermata la classificazione, il passo successivo è stato quello di recuperare i dati riportati sui cartellini allegati ai vari campioni per inserirli nel catalogo informatizzato del museo. Il lavoro svolto in questa sezione non è stato esaustivo ma piuttosto indicativo sulle problematiche generali da affrontare nella catalogazione, cartacea o informatica, dei reperti e inoltre mi ha permesso di conoscere la storia del Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Padova e delle sue collezioni. Il Museo di Geologia, Paleontologia dell’Università di Padova, ebbe origine nel 1869 in seguito alla divisione delle collezioni naturalistiche il cui nucleo originario, datato 1734, e’ costituito dalla cospicua raccolta di Antonio Vallisneri senior. Durante questi secoli, grazie agli acquisti e alle donazioni di Tommaso Antonio Catullo, Achille De Zigno, Roberto De Visiani, Giovanni Omboni, Giorgio Dal Piaz, Ramiro Fabiani, Giambattista Dal Piaz, le raccolte paleontologiche sono state arricchite in modo continuo. Il Museo si articola in quattro sezioni:

    1) vegetali fossili, comprendente più di 5.000 esemplari; 2) invertebrati fossili, con una collezione particolare per le Tre Venezie (circa 26.000 reperti) ed una per gli invertebrati extra veneti (20.000 esemplari) 3) vertebrati fossili, circa 6.000 esemplari 4) rocce delle Alpi italiane.

    Tra i 46.000 reperti della sezione degli invertebrati alcuni costituiscono una ricca collezione didattica. Un primo lavoro di catalogazione della collezione naturalistica fu iniziato da Tommaso Antonio Catullo tra il 1829 e il 1851, ma fu il Prof. Giovanni Omboni che, tra il 1869 e il 1872, dopo la divisione delle collezioni, risistemò la collezione “vecchia”, ora chiamata “Catullo”, e si preoccupò di redigere ex-novo i cataloghi (cinque grossi volumi comprendenti 10.000 esemplari), che ancor oggi costituiscono la base delle conoscenze della collezione stessa. Inoltre egli redasse un catalogo in tre volumi della collezione De Zigno (10.818 esemplari) e un altro catalogo, in nove volumi, in cui sono censiti i reperti acquisiti dal 1870 a tutt'oggi. Il lavoro di Omboni, continuato dai conservatori del museo, ha prodotto un decimo volume, arrivando al numero di 28.971 esemplari censiti. É proprio su tutti questi cataloghi che ho ricercato informazioni per la catalogazione informatizzata. Il primo passo è stato quello di rilevare i numeri di catalogo ancora presenti sui fossili da me studiati e sui cartellini ad essi allegati. Dal cartellino è possibile risalire non solo al numero di catalogo ma anche alla collezione alla quale appartiene il campione in quanto ogni collezione ha un cartellino che la caratterizza. Gli esemplari della collezione Catullo hanno un cartellino bianco stampato con inchiostro nero, quelli della collezione Omboni sono manoscritti

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    e hanno un orlo di colore azzurro, e quelli della collezione De Zigno sono manoscritti e hanno un orlo di colore rosso. Oltre al cartellino con il numero di catalogo, allegati all’esemplare c'erano uno o più cartellini, il più delle volte manoscritti, che riportavano il nome scientifico dell'esemplare, la provenienza, l'età. Tutte le informazioni recuperate per mezzo di questa ricerca sono state quindi confrontate con quanto riportato nei cataloghi cartacei al fine di verificarne l’esattezza e la completezza. Una volta ultimata la ricerca dei dati riguardanti il fossile, quali la classificazione, la provenienza e il numero di catalogo, è stato possibile inserire i dati raccolti nel catalogo informatico. Il programma che gestisce il catalogo informatizzato è simile al programma in uso presso il museo di Geologia e Paleontologia dell'Università di Firenze. Tale programma è stato sviluppato dalla Ditta REM Software Engineering di Firenze. La versione 1.0 del programma, chiamato GIN (Gestione INvertebrati), opera in ambiente Ms-Dos e possiede un controllo mediante password dell’utenza, la sua interfaccia è molto semplice e proprio per questo permette di apprenderne facilmente il funzionamento. Una volta appreso l’uso del programma, grazie anche all’aiuto della mia collega Elisabetta Sforza, è stato semplice e veloce l’inserimento dei dati raccolti. In questa fase sono stati considerati solo gli esemplari per cui fosse stato possibile recuperare con sicurezza il numero di catalogo: è infatti ben più lunga la procedura che permette di assegnare un nuovo numero di catalogo a quei campioni che l’avessero perso nel tempo o che ne fossero privi. La scheda da compilare per la catalogazione informatica degli esemplari prevede un unico campo obbligatorio, cioè quello del numero di catalogo, senza il quale non è possibile inserire una nuova scheda; gli altri campi presenti nella scheda riguardano la collocazione e la natura del fossile, la sua classificazione, la sua provenienza (geografica e stratigrafica) e quanto riguarda il suo arrivo in museo, i prestiti, il numero d’inventario e la bibliografia. A questa scheda è possibile aggiungere delle note a battitura libera dove riportare quanto non espressamente richiesto nei campi ma che potrebbe essere importante. Tutte queste operazioni di ricerca sono svolte nell’ottica di raccogliere e conservare tutti i dati disponibili riguardanti ciascun reperto ed evitare il più possibile perdite o alterazioni di dati.

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    Fig. 20 – Immagine che illustra come appaiono le schermate del programma di gestione del catalogo museale (GIN)

    Preparazione pagine HTML La preparazione delle pagine da pubblicare in internet è stata una delle ultime fasi del lavoro da me svolto: si trattava infatti di tirare le somme di quanto studiato e preparato nelle altre fasi. Per armonizzare il mio lavoro con quanto era già pubblicato in rete sono partito mantenendo l’impostazione precedentemente adottata, sia come impaginazione che come caratteri che come colori. Ho quindi aggiunto al modello di scheda già esistente

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    alcune voci come una classificazione più completa, la provenienza del campione e una bibliografia delle fonti e sostituito la voce “Note” con la più completa “Descrizione”. Le pagine sono state elaborate per mezzo del programma Macromedia Dreamweaver (versioni 3.0 e 4.0) che offre notevoli prestazioni permettendo di lavorare sul prodotto finale (il cosiddetto “layout”) senza dover essere per forza esperti di linguaggio di programmazione HTML. Questo ha inoltre permesso di ammortizzare i tempi di impaginazione e di perfezionamento delle schede. Per l’inserimento in ogni scheda delle immagini sono stati utilizzati i criteri e le specifiche elaborate dal prof. Gatto per la parte esistente del sito: le immagini ad alta risoluzione elaborate per l’archivio sono state ridotte in dimensioni e salvate in formato .gif, che permette una buona compressione, allo scopo di permetterne una visione senza attese una volta pubblicate in rete. È infatti noto che in internet è importante permettere ad un numero più grande possibile di utenti di usufruire del materiale che si pubblica e considerato il gran numero di utenti che utilizzano una connessione a 56K le dimensioni dei file devono essere il più ridotte possibile. In aggiunta alla scheda contenente le informazioni di cui ho parlato sopra nella scheda sono state inserite due nuove icone che sono collegate agli ingrandimenti e all’animazione riguardanti l’esemplare.

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    Fig. 21 – L’aspetto definitivo di una scheda pronta per essere pubblicata nella rete.

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    Acquisizioni non attinenti allo scopo principale del tirocinio Durante lo svolgimento del tirocinio i tempi erano il più possibile programmati ma spesso dovevano coincidere orari e personale diversi per cui non sempre si riusciva a procedere con il lavoro della tesi. In questi “tempi morti” ho cercato di far rientrare esperienze collaterali attinenti al campo della Paleontologia qualora si presentasse l’occasione per farle. In altri casi invece è stato possibile approfondire l’argomento delle tecniche fotografiche e di sviluppo e stampa. In particolare ho seguito con attenzione le operazioni di preparazione e restauro effettuate dalla dott.sa Del Favero e dalle mie colleghe Elisabetta Sforza e Silvia Bortoluzzi, cercando ove possibile di imparare materiali e tecniche utilizzate. Con il tecnico Stefano Castelli ho invece approfondito lo sviluppo di pellicole in bianco e nero in camera oscura e la stampa di sezioni sottili di rocce su carta fotografica; è inoltre stato possibile imparare tecniche di montaggio di sequenze e panorami di immagini al computer, l’utilizzo di scanner professionali e di programmi per la grafica e l’editing delle fotografie nonché lo studio di particolari tecniche di fotografia (una tra tutte il “light scan”, utilizzata nelle microfotografie per ottenere un’immagine completamente a fuoco) sia in studio che all’aperto. Conclusione: Esperienza Durante l’esperienza di tirocinio sono molte le conoscenze e le abilità che ho acquisito e che reputo molto utili sia dal punto di vista personale che di un’eventuale futura professione. In particolare oltre ad aver imparato a lavorare in collaborazione con altre persone (cosa fondamentale nelle moderne professioni e nella ricerca scientifica) questo lavoro mi ha permesso di cominciare a capire le problematiche da affrontare nel campo della Paleontologia degli invertebrati e di imparare a risolverne alcune. Inoltre il tirocinio è stata un’occasione di applicare al mio campo di studi alcune conoscenze personali sulle tecnologie informatiche e multimediali e di acquisire nuove conoscenze sull’utilizzo di programmi e sulla didattica. In un’ottica di considerazioni globali il tirocinio è stato impegnativo e lungo ma ha sicuramente dato molti frutti. Ringraziamenti Desidero ringraziare per il loro aiuto e supporto le seguenti persone: La prof.ssa Giovanna Forteleoni, per i consigli, le correzioni e la fiducia accordatami nel corso di tutta l’esperienza di tirocinio. Il prof. Roberto Gatto per la parte riguardante il sito Virtual Fossils, per le specifiche e per la grande disponibilita’. Il prof. Alessandro Minelli, per la gentilezza e la rapidità con cui ha saputo

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    consigliarmi. La dottoressa Mariagabriella Fornasiero curatrice del Museo del Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica, per la parte riguardante la catalogazione dei reperti, per la comprensione e per il materiale gentilmente messomi a disposizione. La dottoressa Letizia Del Favero aiuto conservatrice del Museo di Geologia e Paleontologia, per la pazienza e per gli elementi base della preparazione e conservazione dei reperti. Il tecnico del laboratorio di fotografia Stefano Castelli che forse più di tutti ha dovuto sopportarmi ma che si è sempre dimostrato un amico oltre che un collaboratore. Il tecnico del laboratorio di preparazioni paleontologiche Lorenzo Franceschin per avermi fatto sentire come a casa. Il personale della biblioteca del Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica dell’università di Padova La mia collega Elisabetta Sforza per la collaborazione e la mia collega Silvia Bortoluzzi per la compagnia. Amici, genitori e colleghi che con supporto morale e finanziario mi hanno permesso di laurearmi. Bibliografia consultata: Si trova riportata in parte anche nelle schede dei singoli esemplari. Allasinaz A. 1999 Invertebrati fossili, 809 pagine, UTET Torino. d’Orbigny A. 1840 Paleontologie Francaise - Terrains Cretacès, 662 pagine. Malatesta A. 1954 Fossili delle spiagge tirreniane, Boll. Serv. Geol. It., volume LXXVI, pagine 7-30, 1 fig., 6 tav. Malatesta A. & Zarlenga F. 1988 Northern guests in the Pleistocene Mediterranea Sea. Geologica rom., vol. XXV, pagine 91-174, 70 fig., 4 tab. Moore R.C. (ed) 1954-1983 Treatise on invertebrate paleontology, vol E-V, Geological society of America and Kansas University Press. Murray J. 1985 Atlas of invertebrate macrofossils, 241 pagine, Longman and The Paleontological Association. Raffi S. e Serpagli E. 1992 Introduzione alla paleontologia, 602 pagine, UTET Torino. Senior J.R. e House M.R. 1989 The Ammonoidea, 593 pagine, Academic Press for Systematics Association.

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    Stuerz B. 1885-1886 Beitrag zur Kenntniss Paleozoischer Seesterne, Paleontographica, vol. 32, pagine 79-81, 1 tavola, Stuttgart. Voros A. 1983 Some new Brachiopoda Genera from the Mediterranean Jurassic, Annales Historico Naturales Mus. Nat. Hung., vol 75, pagine 5-25, Budapest.