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Unione Europea Regione Lazio Repubblica Italiana Guida ai servizi delle aree naturali protette del Lazio Riserva Naturale Selva del Lamone

Riserva Naturale Selva del Lamone - Parchilazio

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Unione Europea Regione LazioRepubblica Italiana

Guida ai servizi delle aree naturali protette del Lazio

Riserva Naturale

Selva delLamone

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Guida ai servizi delle aree naturali protette del Lazio

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Selva delLamone

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Prefazione 5

Introduzione 6

Il territorio, la flora e la fauna 11Flora e vegetazione 24La fauna 34Archeologia e storia 46Il Brigantaggio 49Smarriti nella selva oscura 51Pinocchio a Farnese 53

Il paese di Farnese 55

Guida alla Riserva Naturale Selva del Lamone 59I sentieri della Selva del Lamone 60Strutture ricettive nella Riserva e nei comuni di Farnese e Ischia di Castro 66Ristoranti e bar 67

Ricorrenze e festeggiamenti 69

Bibliografia 70

Indice

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Questa pubblicazione finanziata dall’Assessorato all’Ambiente e Cooperazione tra iPopoli della Regione Lazio con i fondi del Piano di Comunicazione del DOCUP -Obiettivo 2 e dell’accordo di programma quadro “Aree sensibili: parchi e riserve”, si

inserisce all’interno della “Collana di Guide dei Parchi del Lazio”. Una collana che ha comeobiettivo primario quello di fornire uno strumento di conoscenza delle aree naturali protette,delle loro valenze naturalistiche e culturali e del loro sistema di fruizione, evidenziando il poten-ziale ricettivo, le attività legate al tempo libero, il patrimonio culturale afferente alle tradizionilocali, agli eventi, ai prodotti tipici. Il progetto delle pubblicazioni tematiche si inserisce in unpiù vasto sforzo volto alla promozione del sistema regionale di aree naturali protette affiancan-dosi ad altre iniziative quali, ad esempio, “Natura in Viaggio” rivolta alla valorizzazione dello svi-luppo del turismo sostenibile o i progetti dell’agenzia regionale parchi “Gens e Giorni Verdi”finalizzati al coinvolgimento del mondo della scuola attraverso l’integrazione con il sistema pro-tetto laziale. La Riserva Naturale Selva del Lamone, istituita nel 1994, tutela un eccezionale tas-sello di natura, costituito da una vasta foresta di pianura sviluppatasi su un soprassuolo lavicoche ne fa un paesaggio unico nel Lazio. Si tratta di un’area estesa per oltre duemila ettari, a cuisi aggiungono altri millequattrocento di area contigua, al cui interno si conserva un patrimoniofloristico e faunistico eccezionale incluso in una delle più belle regioni italiane, la maremmatosco-laziale. Una fauna d’eccezione con caprioli, gatti selvatici, rapaci, vive all’interno di unaforesta mista e fittissima che racchiude specie rare tra cui, ad esempio, felci e numerosissimeorchidee. Geologicamente interessantissimo il contesto conserva strutture particolari note local-mente come “murce” piccoli e grandi coni vulcanici costituiti da massi lavici a volte posti lungospettacolari allineamenti e fratture, mentre depressioni allagate stagionalmente formano habitatdi eccezionale interesse e importanza per la fauna, noti come Lacioni. La storia testimoniataall’interno della riserva vede la presenza di numerosi siti che senza soluzione di continuità evi-denziano la frequentazione dell’uomo dalla preistoria al medioevo; dall’ insediamento dell’età delBronzo delle Sorgenti della Nova, eccezionale contesto archeologico composto da resti di capan-ne agli abitati etruschi fortificati come quello di Rofalco, alle tracce di ville rustiche di età roma-na e all’incastellamento altomedievale diffuso: un patrimonio esaltato dall’attività scientificaarcheologica condotta da decenni di indagini effettuate da istituti italiani e stranieri. La valenzanaturalistica dell’intera regione del Lamone e del fiume Fiora all’estremo limite della nostraregione è confermata dalla presenza di numerosi siti di interesse comunitario (SIC), tra cui lostesso Lamone, all’interno di una vasta zona di protezione speciale (ZPS); la presenza della riser-va rafforza un sistema di aree protette, costituendone il perno principale, che vede l’esistenzaanche di altre zone tutelate in ambito toscano (Riserva Naturale di Montauto) o gestite dalWWF (Oasi di Vulci). Questa guida vuole costituire uno strumento valido di ausilio alla visitae alla conoscenza del territorio della Selva del Lamone, versatile nella consultazione dei serviziofferti dalla comunità locale per quanto riguarda la ricettività e le attività del tempo libero, masoprattutto ha la pretesa di rivestire una funzione di avvicinamento del turista con una realtà fattadi natura e di calore umano degli abitanti di Farnese custodi privilegiati di questo patrimoniod’eccezione.

Angelo BonelliAssessore Regionale Ambiente e Cooperazione tra i Popoli

Prefazione

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

Le peculiari caratteristiche geomorfologiche che contraddistinguono la regione dell’Alto Lazio nefanno un luogo unico nel nostro Paese. La complessa storia evolutiva del paesaggio dell’Alto Lazio, fortemente condizionata dagliimponenti sistemi vulcanici quaternari, ha definito una configurazione orografica estremamen-te differenziata dove coesistono ambienti ed ecosistemi ricchi in termini di biodiversità concen-trati in un territorio relativamente limitato.Lo scarso impatto demografico legato alle vicende del popolamento umano che fin dalla for-mazione delle citta-stato etrusche ha visto l’accentramento delle genti nei siti urbani a fronte diuno spopolamento stanziale dei territori circostanti, unitamente alla caratteristica morfologiaparticolarmente accidentata del territorio, dove gli espandimenti vulcanici sono profondamen-te incisi dalle forre fluviali, hanno consentito la conservazione delle valenze naturalistiche dellaTuscia, oggi ancora largamente apprezzabili. In particolare la configurazione paesaggistica pro-pria di quel settore dell’Etruria indicato nella maremma tosco-laziale presenta caratteri di unanaturalità estesa, una vera e propria ecoregione ancora in larga parte non interessata dalle dina-miche di frammentazione ambientale e di forte discontinuità che caratterizzano vaste porzionidel territorio italiano dove prevale l’alternanza di aree fortemente urbanizzate e più o meno vasteporzioni residuali di ambienti naturali.A testimonianza di questo processo di conservazione è la presenza della vasta estensione foresta-le di pianura della Selva del Lamone, un ecosistema complesso di oltre duemila ettari la cui pre-servazione, dovuta in parte sia pur alla oggettiva difficoltà di mettere a coltura i soprassuoli litoi-di su cui si è sviluppata la fitocenosi, ne fa un elemento di caratterizzazione territoriale dell’in-tero settore al confine con la Toscana. È infatti del tutto eccezionale nel nostro Paese incontra-re sistemi forestali estesi conservati in ambiti di pianura; tutto o quasi è stato assoggettato all’u-so del suolo agro-silvo pastorale, successivamente stravolto dalle bonifiche e dalla meccanizza-zione agricola o, peggio, alterato drammaticamente e definitivamente dall’urbanizzazione diffu-sa. Come già detto l’intera regione, presenta elementi di interesse naturalistico e naturalmenteculturale, impostati lungo il bacino e l’asse fluviale del fiume Fiora, dei suoi tributari comel’Olpeta, fosso che scorre all’interno dell’area protetta regionale.Un fiume, il Fiora, che originandosi dall’antico edificio vulcanico del Monte Amiata raggiungeil mare dopo un tragitto di oltre ottanta chilometri presso Montalto di Castro dapprima scor-rendo ed erodendo i dolci rilievi toscani poi incidendo profondamente un vasto territorio con-notato da morfologie planiziari in una suggestione offerta proprio dal contrasto paesaggistico,una forra prodotta dall’antico corso d’acqua a spese dei depositi travertinosi, delle lave di base edelle ignimbriti; un profondo canyon nel quale e intorno al quale si sviluppa uno dei sistemifluviali più interessanti per la conservazione degli ecosistemi e per la ricchezza di biodiversitàdell’intero litorale medio-tirrenico.

Introduzione

La Riserva Naturale della Selva del Lamone;appunti per la conservazione di un paesaggio irrinunciabile

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Per una nuova stagione di conservazione.Aree protette, rete ecologica, la Riserva della Selva del Lamone nucleo embrionale della tutela del-l’intero bacino del Fiora.Nel nostro Paese il dibattito inerente la conservazione della natura è stato caratterizzato da unaevidente discontinuità; lunghi periodi di sonnolenza intellettuale hanno preceduto la ripresa diuna azione finalizzata a fornire nuove chiavi di lettura inerenti le problematiche di salvaguardia,volta in primo luogo al tentativo di procedere verso una inversione di tendenza contrapposta allamolteplicità e alla evoluzione delle forme del degrado.Intorno alla seconda metà degli anni ’60 le risposte provenienti dalla società civile videro lanascita delle prime forme associative a carattere ambientalista, un’azione questa che senza dub-bio influenzò fortemente anche le scelte politiche verso nuove forme gestionali del territorio cheoggi potrebbero definirsi attente alla sostenibilità o sostanzialmente ecocompatibili. Nel Lazio,agli inizi degli anni ’70 il Consiglio Nazionale delle Ricerche attraverso la CommissioneConservazione della Natura e delle sue risorse (1971), individuava una serie di aree di partico-lare rilevanza naturalistica muovendo un primo passo verso la costituzione di un vero e propriosistema di aree protette, sistema che successivamente venne definito, modificato e accolto in unquadro normativo specifico nella emanazione della prima legge-quadro della Regione Lazio, lalegge n. 46 del 28/11/1977, denominata appunto Costituzione di un sistema di parchi regionalie delle riserve naturali.Si procedeva così nel delineare quel percorso difficile ma estremamente suggestivo di un sistematendenzialmente organico di aree protette che concorresse alla tutela di più vaste porzioni delterritorio regionale ancora ricco di valenze naturalistico-culturali. Sulla scia di questa legge ver-ranno istituite le prime aree protette regionali, tra cui la Riserva Regionale Selva del Lamone(1994). Il lavoro successivo, largamente influenzato e permeato dal dibattito internazionale hacondotto alla presa visione di più ampie tematiche di riferimento normativo e degli accordiinternazionali sulla conservazione degli ambienti naturali e di tutte le componenti costitutive gliecosistemi e del paesaggio.A tal proposito, una tappa estremamente importante è rappresentata dalla emanazione delle

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direttive europee 79/409/CEE sulla prote-zione degli uccelli selvatici e 92/43/CEEdel 21 maggio 1992 Habitat, pertinenti lasalvaguardia degli habitat naturali, semina-turali, della flora e della fauna; direttive cheindicano le priorità di tutela e le relativeprocedure attuative di salvaguardia territo-riale. In particolare, la Direttiva Habitattende a stabilire le modalità di individua-zione di aree caratterizzate da valenze rico-nosciute, come da allegato alla direttivastessa, di importanza comunitaria relativa-mente la conservazione della biodiversità in

relazione alle singole bioregioni costituenti l’Unione Europea.L’individuazione di queste aree, denominate SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e ZPS (Zonedi Protezione Speciale) parte integrante della Rete Ecologica Europea Natura 2000, è stata con-dotta per l’Italia nell’ambito del Progetto Bioitaly dal Ministero dell’Ambiente e dalle regioninegli anni 1995-97. Una prima lista redatta per il Lazio ,comprende centonovantanove tra SICe ZPS; ben otto di questi siti ricadono nel territorio in cui ricade l’area protetta della Selva delLamone a testimonianza della estrema rilevanza naturalistica del territorio. Sette sono Siti diImportanza Comunitaria più o meno estesi : Selva del Lamone, Vallerosa, Crostoletto, Calderadi Latera, Lago di Mezzano, Monti di Castro, Sistema fluviale Fiora - Olpeta, a cui si aggiungela vasta ZPS IT 6010056 “Selva del Lamone - Monti di Castro”.Una recente delibera di giunta (2005) individua nuovi perimetri allargati di zone di protezionespeciale tra cui l’intero comprensorio dei Monti della Tolfa, elemento irrinunciabile di conser-vazione naturalistica nell’ambito della regione medio tirrenica. La normativa di riferimento delle aree protette regionali ha subito una accelerazione dovutaall’evoluzione del quadro normativo comunitario di riferimento nonché all’emanazione dellalegge quadro nazionale sulle aree protette, L. n. 394 del 6 dicembre 1991, che stabilisce moda-lità e procedure di istituzione e gestione delle aree protette e individua una serie di nuovi par-chi nazionali in seguito al dibattito del raggiungimento dell’obiettivo minimo del 10% di terri-torio nazionale protetto successivamente ad una stasi legislativa di oltre sessanta anni. In questaottica si inserisce la legge regionale n.29 del 6 ottobre 1997 “Norme in materia di aree naturaliprotette regionali”, che riorganizzando il sistema ha tra l’altro determinato l’istituzione di nuovearee protette nel Lazio, raggiungendo le attuali 60 aree tra Parchi, Riserve e MonumentiNaturali. Le più recenti argomentazioni del dibattito sulla conservazione della natura, degli ecosistemi equindi del contenuto in biodiversità, si stanno orientando verso la definizione di nuovi model-li di intervento nell’azione di tutela derivati dall’aumento delle conoscenze del mondo naturalee dalla lettura interpretativa delle implicazioni dovute all’interazione con l’antropizzazione; valu-tazioni da cui emergono nuove ed efficaci proposte operative di salvaguardia. In particolare èormai noto che per garantire la sopravvivenza dell’intero contesto naturalistico, delle complessedinamiche interagenti tra specie animali e vegetali è necessario operare, ove possibile, nella con-servazione di settori di area vasta evidenziando e favorendo la connessione tra habitat preserva-ti attraverso la individuazione e la creazione della rete ecologica, ovvero un sistema di aree cor-relate dalle valenze naturalistiche tali da garantire lo scambio tra popolazioni animali e chegarantiscano la propagazione della flora autoctona. Un processo attuabile attraverso forme inno-

La cascata di Salabrone

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vative di pianificazione territoriale volte alla conservazione del paesaggio naturale e culturale dicui le aree protette costituiscono elementi forti costitutivi di un più vasto sistema connettivofacente riferimento appunto, alla rete ecologica.Il caso del Fiora è emblematico; l’attuazione di una tutela dell’intero bacino imbrifero avrebbecome ricaduta la salvaguardia del complesso sistema di valenze naturalistiche, paesaggistiche,storico-archeologiche di eccezionale importanza e garantirebbe la qualità della risorsa idrica cheassume strategica rilevanza a livello interregionale. L’auspicio è che la Riserva Naturale RegionaleSelva del Lamone divenga il volano, costituendone il segmento più significativo, di un’azione diconservazione allargata a comprendere l’intero bacino del Fiora, confrontandosi con altri sog-getti che operano sul territorio nella salvaguardia degli ecosistemi anche attraverso l’attuazionedi diversi regimi di tutela.Sul Fiora infatti insistono altre aree protette o sottoposte a vincolo come l’importante zonaumida Oasi WWF di Vulci, la Riserva Regionale Naturale di Montauto (Regione Toscana) e ilParco Archeologico Naturalistico di Vulci a tutelare un comprensorio dalle valenze naturalisti-che e culturali di eccezionale importanza.Per la salvaguardia di questo splendido territorio lanciamo la proposta della istituzione di unparco interregionale per il Fiora e vi invitiamo, attraverso l’ausilio offerto da questo strumentodi visita, a scoprirne uno dei suoi nuclei di maggiore suggestione, la Riserva Naturale Selva delLamone

Diego ManteroDirettore Riserva Naturale Selva del Lamone

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Cappellaccia

Mellicta athalia Coccinella

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Riserva Naturale Selva del Lamone

INQUADRAMENTO GEOGRAFICO,PAESAGGIO E CLIMA

La Riserva Naturale Selva del Lamone, istitui-ta nel 1994, è parte integrante del sistemadelle aree protette della Regione Lazio esten-dendosi per 2030 ettari nel territorio delComune di Farnese, in provincia di Viterbo,al confine con la Toscana. Successivamenteall’istituzione della Riserva è stata creata un’a-rea contigua di 1400 ettari che circonda l’areaprotetta nei confini a sud e ad est. Il territorio della Riserva è caratterizzato dauna morfologia dolce, una vasta pianura diorigine vulcanica, che si inserisce nel tipicopaesaggio collinare dell’Alto Lazio e dellaToscana meridionale con quote modeste; laquota più elevata, 470 m s.l.m., si registra inlocalità Dogana. L’andamento pianeggiantedel territorio è interrotto bruscamente, ai con-

fini o all’esterno della Selva, da profonde inci-sioni prodotte dai corsi d’acqua.Il fosso dell’Olpeta, affluente del fiume Fiora,segna una parte del confine meridionale dellaRiserva ed è il principale corso d’acqua. Altrezone umide presenti sono alcuni stagni, inparte stagionali, localmente detti “lacioni” cheospitano un’importante comunità animale evegetale. La Selva del Lamone può essere definita unagrande foresta costituita prevalentemente daquerce che presenta una singolare caratteristi-ca geologica: il suolo è per gran parte ricoper-to da una distesa continua di massi lavici accu-mulati, a volte, a formare lunghi cordoni edammassi imponenti localmente chiamati“murce”.Dal punto di vista geomorfologico e pedologi-co, il Lamone è un tavolato lavico che si esten-

Il territorio, la flora e la faunaTesti di Roberto Papi e Giovanni A. Baragliu

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

de in direzione NE-SW, nel quale si alternanozone ad elevata pietrosità con assenza o quasidi suolo, a zone di accumulo caratterizzate dasuoli evoluti, profondi e fertili. La particolareconformazione litologica ha storicamentecondizionato la fruizione e l’uso delle risorsedell’area da parte delle popolazioni locali, con-tribuendo a mantenere un alto grado diboscosità e di conservazione. Dove l’uomo hapotuto, è intervenuto con opere di disbosca-mento e spietramento (i “roggi”), con terraz-zamenti e regimazione delle acque, destinandotali aree all’agricoltura, al pascolo e all’ estra-zione di legna e carbone.Per questa particolarità, e per l’intrico dellavegetazione che si fa largo a fatica tra i massi,la Selva è un luogo affascinante e difficilmen-te accessibile, salvo tramite i pochi sentieri esi-stenti, ed è stata un tempo rifugio di briganti.L’intera area, collocata tra la zona costiera equella preappenninica, ricade dal punto divista climatico nella Regione Temperata, contermotipo collinare inferiore e ombrotiposubumido superiore della Regione mesaxerica(Carta Fitoclimatica del Lazio di C. Blasi).Le precipitazioni, in media di 900 mm annui,variano sensibilmente nell’arco dell’anno condebole siccità durante il periodo estivo eabbondanza di piogge autunnali e invernali.La temperatura media annua è di circa 13 °Ccon periodo moderatamente freddo da otto-bre a maggio e media delle minime del mesepiù freddo compresa tra 1,9 °C e 2,9 °C. Nelsettore sud-occidentale della Selva il clima si favia via più mite e sfuma gradualmente verso il

tipo mediterraneo, rispecchiando un pò l’an-damento altimetrico dell’area che vede la partenord-orientale più rilevata rispetto a quella,appunto, sud-occidentale.Gli ambienti predominanti sono i quercetimisti con prevalenza di cerro (Quercus cerris) eroverella (Quercus pubescens), intervallati dapascoli, colture agrarie ed arbusteti. Il bosco di latifoglie decidue, seppur alteratodall’azione umana, rappresenta il tipo di vege-tazione più evoluto oltre che più diffuso.Ampi sono infatti i tratti coperti da un boscomisto a dominanza di cerro con aspetti piùmesofili o più termofili a seconda delle esposi-zioni e della natura del terreno. I fattori natu-rali e le vicende storiche (tagli, pascolo, incen-di, ecc) nell’insieme hanno determinato comerisultato la vegetazione forestale attuale. In zone con particolarità legate al terreno sihanno piccoli tratti di tipi vegetazionali diver-si, quali, ad esempio, nuclei di faggio nellezone particolarmente fresche o i boschi ripara-li con ontani, salici bianco e pioppi, lungo ilfosso dell’Olpeta, influenzati dalla vicinanzadella falda acquifera alla superficie.Di particolare interesse è la presenza, nei pres-si di Semonte, di un piccolo bosco di bagola-ro (Celtis australis), detto anche “spaccasassi”,albero che raramente rappresenta la speciedominante in un bosco.Caratteristici della Riserva sono i “lacioni”,piccoli stagni circondati dal bosco, ambientiricchi di biodiversità e di specie rare.

COME SI ARRIVA ALLA RISERVA

La distanza di Farnese (il principale centroabitato della Riserva) da Roma è 120 km; ladistanza di Farnese da Viterbo è 43 km; ladistanza di Farnese da Capodimonte (Lago diBolsena) è di 15 km; la distanza di Farnese daMontalto di Castro (mare) è 35 km; la distan-za di Farnese dal Monte Amiata (piste da sci)è di 65 km; la distanza di Farnese da Saturnia(terme) è 35 km.Per chi proviene dalla S.S. Aurelia edall’A12 Roma-Civitavecchia è consigliabilegirare al bivio di Montalto di Castro in dire-

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zione Canino-Valentano; dopo 5 km svoltare asinistra in direzione di Ischia di Castro (stradaProv.le Doganella), e da qui per Farnese. Per chi proviene dall’A1, uscire al casello diOrvieto e seguire le indicazioni perCastelgiorgio, poi per S.Lorenzo Nuovo,Grotte di Castro, Latera, quindiper Farnese. Per chi proviene da Roma, percorrere la S.S.Cassia fino ad oltrepassare Vetralla; oltrepassa-to di 1 km fuori il paese, girare a sinistra perTuscania (oppure proseguire per Viterbo) e daqui seguire le indicazioni da prima perPiansano e poi per Valentano, poi in direzioneIschia di Castro, e da qui per Farnese. Per chi proviene da Viterbo, percorrere laS.S. Cassia in direzione Nord; dopo 5 km gira-re a sinistra per Marta, quindi Capodimonte,Valentano, Ischia di Castro e Farnese.Per chi viaggia in treno, le stazioni più vicinesono quelle di Montefiascone e di Montalto diCastro.

IL TERRITORIO, GEOMORFOLOGIA,IL PAESAGGIO UNICO DELLE LAVE

La media valle del fiume Fiora e la Selva delLamone sono comprese in una zona denomi-nata: “il Castrense”, a seguito dell'importanzaassunta nel Rinascimento dalla città di Castro.Il territorio che ci interessa è delimitato grossomodo ad Ovest dai Monti di Castro (o MontiRomani), ad Est dalla caldera di Latera, aNord dai fossi di Varlenza e della Nova e a Sudda quello dello Strozzavolpe, andando adoccupare le terre dei comuni di Farnese edIschia di Castro.

Il paesaggio di questa zona è molto particola-re, forse il più vero ed autentico paesaggiolaziale. Molti affermano che sia il più bellod'Itala, sicuramente è tra i meglio conservati.La sua morfologia è stata plasmata dalla lungaattività vulcanica del Vulsinio, i cui prodottioccupano una vasta area di circa 2200 Kmqnel Nord del Lazio, tra i monti di Castro ed ilTevere. Prima del periodo terziario, oltre 110milioni di anni fa, il mare copriva la maggiorparte del territorio dell'attuale Lazio. In queltempo, nel cosiddetto Mesozoico, nel nostroterritorio affioravano soltanto le formazionipiù antiche: il monte Canino, il monte Bellinoed i monti di Manciano Campigliola.Si tratta di conformazioni calcaree emerseinsieme ad altre formazioni site soprattutto inToscana (si parla appunto di una "faciesToscana"): in esse sono rappresentati vari tipidi calcare: cavernoso, massiccio, ammonitico eselcifero. Sempre nell'era Mesozoica (duranteil periodo Triassico), circa 200-180 milioni dianni fa, si formarono gli scisti lucenti (scistifilladici) ed i conglomerati quarzosi che carat-terizzano parte dei monti di Castro (o montiRomani) Al Cretaceo superiore, circa 100milioni di anni fa, sono ascrivibili le arenariedei monti di Castro e quelle che ritroviamo,con il nome di "Pietraforte", nel territorio diFarnese, nelle zone di fondo valle dell'Olpeta(per esempio: a Vallempio, Piane Strette eCosta Basili e nei pressi del cimitero di Ischiadi Castro), in particolare l'attività del fiumeOlpeta ha fatto affiorare il substrato di arena-rie su cui si formò in seguito il plateau lavico

Colata lavica di Voltamacine Murcia sotto la neve

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della Selva del Lamone.Il Pliocene (periodo compreso tra 5 e 2 milio-ni di anni fa) è caratterizzato, in seguito al riti-ro del mare paleocenico, da una serie sedi-mentaria neogenica costituita fondamental-mente da due formazioni notissime: le argilleturchine o cineree ricche di fossili marini(detta facies Piacenziana) e, sopra, le sabbiegiallo-oro, talvolta frammiste ad argilla (faciesAstiana). Esse affiorano tra i fiumi Fiora eMignone e nel fondo di molti torrenti e fossidella Tuscia. Veniva così originato un paesag-gio di morbide colline, poco elevate, a pendiidolci, salvo là dove i fianchi dei rilievi appaio-no lacerati da calanchi (come capita aBagnoregio). I maggiori affioramenti si hannolungo le valli del Tevere e del Paglia.Ma l'attuale struttura superficiale del nostroterritorio è dovuta ad eventi geologicamenterecentissimi, avvenuti nell’epoca Pleistocenicamedia del periodo Quaternario. Infatti, acominciare da circa un milione di anni fa, ini-ziò la poderosa manifestazione vulcanica del-l'apparato Vulsino. I prodotti di tale vulcanoinvasero i bacini palustri e salmastri, conun'attività che si protrasse fino ad almeno50.000 anni fa. Soltanto successivamente sidepositò il travertino a luoghi, con intercala-zione di materiali piroclastici, caratterizzante,nel territorio di Ischia di Castro, le zone deiPianetti e di Vallerosa e Pietrafitta; mentre inquello di Canino li ritroviamo nella zona dellaBonifica, bosco Baccano Riminino e Vulci.Gli apparati eruttivi sono le forme più appari-scenti del vulcanesimo della nostra zona, sipossono ancora facilmente individuare uncentinaio tra coni e crateri. I loro prodottiricoprono una vastissima superficie, con spes-sori talvolta di alcune centinaia di metri.Dapprima la fase eruttiva interessò la zona dellago di Bolsena, mentre l'assetto del territorioche ci interessa è stato originato successiva-mente dall'attività di un edificio vulcanicominore: quello di Latera, che continuò aderuttare ancora per lungo tempo.Nel territorio corrispondente grosso modoalla ASL VT1 si distinguono almeno quattro

apparati a chimismo tipicamente basico (mag-matismo alcalino-potassico), entrati in funzio-ne in tempi diversi. Essi sono: il vulcano diBolsena, l'apparato di Bagnoregio, l’apparatodi Montefiascone ed il vulcano di Latera.Visivamente l’ambiente è caratterizzato darilievi conici disposti sui bordi di due depres-sioni maggiori, quella di Latera e quella diBolsena che, vasta ben 273 Kmq, è occupataper 114 Kmq dall'omonimo lago.Complessivamente il sistema vulcanico Vul-sino è il più grande del Lazio ed origina damolteplici periodi di attività con fasi sia erut-tive, sia esplosive, iniziata nel Pleistocene, sudi una regione appena emersa e costituita dalleargille e sabbie del Pliocene e già allora pro-fondamente incisa. Il magma del vulcanismo

vulsino fu tipicamente trachitico (alcalino-potassico), di provenienza subcrostale.Circa un milione di anni fa il territorio su cuiviviamo, era molto diverso da come si presen-ta attualmente. In quel tempo ebbe originel’attività del complesso vulcanico Vulsino.Allora, dove oggi si trova la caldera di Latera,si innalzava una montagna i cui crinali corre-vano lungo l'attuale dorsale che da Ischia diCastro, attraverso Valentano, va a dividere lapiana di Latera dal lago di Bolsena.Inizialmente la fase eruttiva interessò la zonadel Lago di Bolsena, che già 500.000-400.000anni fa aveva assunto una struttura moltosimile a quella odierna, tranne per alcuniedifici vulcanici come: Montefiascone,

La testuggine di pietra presso Rofalco

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Capodimonte, M. Bisenzio e l’isola Bisentina(in quest'ultimo caso l’attività eruttiva conti-nuò fino a 127 mila anni orsono).Una prima fase di attività, durata circa mezzomilione di anni, è stata, in seguito, individua-ta ed è testimoniata da perforazioni e da pic-coli affioramenti presenti nella zona orientaledel lago di Bolsena. Perforazioni geotermichehanno permesso di scoprire nella zona dellacaldera di Latera una serie di manifestazioniesplosive, seguite da un collasso avvenuto circa900.000 anni fa.Un'attività veramente imponente - definitaciclo del “Paleobolsena”, dovuta ad un appa-rato centrale sepolto, in fasi successive, da pro-dotti più recenti - ebbe inizio circa 600.000anni fa (datazioni con il metodo

Potassio/Argon fatte su numerosi campioni dirocce permettono di indicarne l'inizio 576mila anni fa), con eruzioni di tipo pliniano,seguite dalla formazione di caldere, in cuiun'attività idromagmatica si protrasse lungo ibordi di sprofondamento.Tra 400.000 e 300.000 anni fa ebbe luogo ilcosidetto ciclo di “Bolsena” con emissione dipiroclastiti, lapilli, ceneri e colate piroclasti-che, a cui fanno seguito i depositi dell’”ignim-brite di Bolsena”. Durante e immediatamentedopo queste fasi, si ebbe un collasso a Nord diBolsena e la depressione formatasi venneoccupata da una conca lacustre. Una successi-va eruzione, avvenuta in questa area (che hadato origine alla “Ignimbrite di Orvieto”) è

stata seguita da un collasso vulcano-tettonico,che ha originato la depressione occupataattualmente dal lago Vulsinio.Nel Pleistocene Medio, a cominciare da300.000 anni fa, l'edificio vulcanico vennesmantellato, al punto che appare difficile rico-struirne il complesso originario. Esso constasoprattutto di lave leucititiche e di tefriti leu-cititi ed in gran parte di tufi di varia consi-stenza (pomicei, litoidi, granulari, ecc.), diffu-si in una vasta area. Non mancano vere e pro-prie colate laviche, che si irradiano tutto intor-no all'edificio principale, soprattutto adOvest, dove si dilatano affiorando in esteseplacche. Esse spesso mostrano una strutturacompatta, prismatica o sferoidale; talora, inve-ce, una struttura bollosa, con aspetto scoria-ceo. Come accennato prima, sono stati distin-ti quattro edifici principali, con numerosi coniavventizi e crateri secondari.L’apparato centrale è rappresentato da ungruppo di ampi recinti craterici allargati daesplosioni e fusi insieme, a causa della demo-lizione di pareti divisorie, in modo da forma-re una cavità di circa 20 Km di diametro, chealberga il lago di Bolsena. La batimetria dellago (cioè l'andamento della profondità) nonsembra, però, confermare questa origine delbacino lacustre. L’orlo che lo recinge è spessoassai ripido nell'interno. Esso raggiunge laquota 702 metri a Nord di poggio delTorrone, che sovrasta di 400 metri il pelo delleacque del lago, non distandone comunque, inlinea d'aria, più di 4 Km. Ad Est il monteRado è alto 626 m e poco più la Montagnolaad Ovest (639 m). Un cratere secondario,sotto Montefiascone, è stato colmato da allu-vioni. Il ciclo di attività di Montefiascone fucon probabilità contemporaneo di quello diBolsena, con manifestazioni complesse vulca-no-tettoniche, caratterizzate da eruzionistromboliane seguite da colate piroclastiche eduna fase idromagmatica finale.La fase finale dell'attività di Montefiasconesembra contemporanea a quella di Latera. Piùad Ovest l'orlo craterico è slabbrato ed in que-st'area fuoriesce l’emissario del lago: il fiume

Una murcia a Valderico

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

Marta. Le pendenze esterne sono generalmen-te dolci, anzi ad Est degradano verso il Teverein un piano inclinato.Ad Ovest si affianca un altro edificio vulcani-co minore, ma meglio conservato: quello diLatera, che continuò ad eruttare più a lungo,come attestato da un migliore stato di conser-vazione delle lave. Si distinguono praticamen-te tre fasi principali di attività: precalderica,sincalderica e postcalderica. La prima fase achimismo trachitico è caratterizzata dalle cola-te più antiche rappresentate dalle tefriti leuci-titi, oggi visibili sul letto dell’Olpeta nei pres-si di Santa Maria di Sala (400.000 anni fa). Sitratta di lave effuse da un centro di emissione,oggi scomparso, la cui posizione è ipotizzabilenella zona tra poggio del Crognolo e SantaMaria di Sala.Successivamente, da centri effusivi anche essiscomparsi, vennero emesse le lave tefriticofonolitiche, che si individuano sempre nelfondo del fosso dell'Olpeta a S. Maria di Sala,a Stenzano e a Sant'Amico, anche se quest’ul-tima emissione lavica sembra posteriore.Con queste prime eruzioni si iniziarono a for-mare vari vulcani che dettero origine ad ungrande edificio vulcanico centrale. Questo eralocalizzato nella zona compresa tra Dogana,Monte Becco ed il lago di Mezzano, e si pre-sentava come una montagna di 1000-1200 mdi altezza. Da questo settore ebbero origine lesuccessive ed imponenti manifestazioni (fasesincalderica) che, tra 278.000 e 166.000 annifa, generarorono le cosidette ignimbriti trachi-

tiche, una sorta di tufo con grosse pomici, cheritroviamo in varie zone a Nord, Sud ed Ovestdella caldera di Latera e, in particolare nel ter-ritorio di Farnese, lungo il fosso della Nova.Sempre in questo periodo avvenne la forma-zione dei depositi di tufo giallo litoide, checaratterizzano parte del territorio di Farneseed Ischia di Castro. Queste eruzioni compor-tarono l'emissione di un volume complessivodi lava pari a 10-20 Km cubi, ciò ha portato atutta una serie di collassi vulcanico-tettonici,conseguenti allo svuotamento del substratovulcanico, con cedimenti e fratture, chehanno dato origine alla depressione notacome caldera di Latera.Questa depressione divenne sede di un lagomolto profondo e ciò è documentato dallapresenza di sedimenti lacustri, riscontrabililungo il corsi dell'Olpeta e rappresentati inparticolare da tufiti dilavate, sabbie giallastre,depositi travertinosi, argille, ecc.Il paesaggio della zona della riserva naturaledella Selva del Lamone è caratterizzato fonda-mentalmente dalla caldera di Latera. La parte più evidente è rappresentata da unacaratteristica caldera. Il termine Caldera è diorigine portoghese, entrato nella terminologiavulcanologica mondiale. A seguito di eruzioniestremamente violente, nel corso delle qualivengono eruttate enormi quantità di materia-li piroclastici (cioè prodotti detritici), l'appa-rato vulcanico, già in parte demolito, subisceuno sprofondamento.La depressione che si forma ha andamento perlo più circolare e viene detta caldera. Quella diLatera, consta di una depressione di formaellittica, il cui asse maggiore è lungo quasi novechilometri, presenta parecchi crateri ben rico-noscibili, con quattro cinte crateriche concen-triche, attestanti quattro diverse fasi eruttive.La cinta esterna culmina a Nord nel poggioEvangelista (650 m). Un vasto atrio interno aquesta, un tempo acquitrinoso, è oggi scolatodal fiume Olpeta; in un piccolo cratere benconservato si trova il Lago di Mezzano.Questa "vallata" è coronata da una cinta cal-derica abbastanza ripida verso l'interno, che si

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Riserva Naturale Selva del Lamone

innalza mediamente fino a quasi 200 metri sullivello del suo fondo pianeggiante. AdOccidente, nel territorio di Farnese ed Ischiadi Castro, si sviluppa il lungo plateau lavicodella Selva del Lamone; mentre tutta una seriedi coni di scorie, nella parte orientale, dannoorigine a rilievi accidentati, che caratterizzanoil fondo della depressione stessa (poggioMurcie, poggio Secante, poggio Pilato, monteSpinaio, poggio Montione, ecc.).Ancora più ad Ovest e a Sud la caldera apparepianeggiante. Superato il bordo della cinta cal-derica, sempre ad Ovest e a Sud, si ha un ver-sante che degrada abbastanza dolcemente, conampie spianate, profondamente incise da fossistretti e tortuosi, su cui si elevano i resti diantichi edifici vulcanici più o meno erosi.Ad Oriente il recinto calderico precipita ripi-damente fino al lago di Bolsena e la sua som-mità funge da spartiacque delimitante i baciniimbriferi delle due depressioni.L'attività vulcanica continuò mentre, ritiran-dosi il mare, rimanevano, soprattutto ad Est,acquitrini e lagune, nelle quali si riversavanoceneri, pomici ed altro materiale. Non si puòdire precisamente quando l'attività vulcanicasi estinse, certo intorno a cinquantamila annifa. Tra le ultime manifestazioni vulcanicheabbiamo quelle che hanno dato origine allecolate laviche della Selva del Lamone, i cuicentri eruttivi vanno individuati nel colle dellaDogana, nel monte Becco e nel cono diSemonte. Le lave del Lamone, sia in colate,che in espandimenti a plateau, sono di naturaolivin-latitica, hanno colore grigio-scuro elocalmente nero, o grigio chiaro.Manifestazioni residuali dell'attività vulcanicasono le sorgenti termali, le puzzole ed i depo-siti di zolfo di Latera.Il paesaggio risultante è variegato, i tufi e leceneri vulcaniche formano una copertura ingenere poco resistente, in cui i torrenti hannoscavato incisioni profonde, in cui abbondanole forre e gli orridi, disseccando la platea vul-canica. Le deposizioni travertinose assumonola conformazione di vasti tavolati in lievissimapendenza, interessati, come anche i promon-

tori ed i pianori tufacei, dalle colture, mentrele ripide pareti dei fossi sono interessate dauna vegetazione folta ed intricata. Sul latooccidentale dell'apparato vulcanico, le crostedi dura lava formano talora tavolati a deboleinclinazione, coperti di bosco o macchia, oramolto ridotti (Selva del Lamone).I travertini, in ambiente lacustre, vengono ori-ginati per immissione di acque termali conte-nenti bicarbonati nelle acque del lago; nelliberarsi l'anidride carbonica si deposita comecarbonato di calcio (aragonite, calcite).Questi depositi lacustri raggiungono spessoridi 30-40 metri. In essi sono presenti fram-menti di gasteropodi, alghe, diatomee edostracoidi, a conferma della presenza antica diun ambiente acquatico. L'attività vulcanicanon cessò con la formazione della caldera, maben presto le eruzioni interessarono la partesettentrionale del bordo della caldera stessa,con colate che si estesero nel territorio traOnano e S. Lorenzo Nuovo e che venneroemesse da una fessura che da Latera, attraver-so la località Montagna, raggiungeva la concadel lago di Bolsena.Successivamente il bordo settentrionale dellacaldera di Latera venne interessato da grandisprofondamenti a cui fece seguito una fase diattività intermittente che dette origine aglistrati di lapilli grigio-nerastri, che occupano iversanti settentrionale ed orientale delladepressione suddetta. Subito dopo, attraversodue fratture lineari (identificabili sulla diret-trice che passa da poggio Evangelista, attra-

Sorgenti della Nova, torre medievale

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

verso monte Calveglio, fino a monte Becco etra monte Calveglio, Montione, poggioSecante, fino a monte Rosso), venne origina-ta la cosiddetta vulcanite complessa diPitigliano, che si riversò fino al territorio diSovana e ritroviamo nella zona di poggioMurcie e del fosso della Faggeta, nei pressidella Riserva Naturale della Selva del Lamone.Questa emissione si concluse circa 166.000anni fa con l'espulsione di scorie che detteorigine al Montione. La fase finale (postcalde-rica) dell’attività vulcanica fu caratterizzatainizialmente da emissioni all'interno della cal-dera medesima e sul bordo occidentale. Sivennero così a formare i centri eruttivi dimonte Spinaio, la Dogana, Semonte e monteRosso, in particolare questi tre ultimi coni discorie dettero origine a colate di lava trachi-basaltiche. La lava emessa dal centro dellaDogana (su cui in seguito si andò a sovrap-porre il cono di monte Becco) e di Semonte sisparse in direzione Est-Ovest, dando origineal plateau lavico della Selva del Lamone.Questa lava, che può essere definita come oli-vin-latite, si presenta, superficialmente, inblocchi di varie dimensioni con una colora-zione che va dal grigio scuro al nero. Tale fasesembra sia durata tra 178.000 e 55.000 annifa, le colate del Lamone si ascrivono ad unperiodo compreso tra 158.000 e 145.000anni fa.Le ultime fasi dell'attività vulcanica nel nostroterritorio contemplarono eruzioni marginali(Lagaccione, monte Marano, monte Cellere,Pianetti di Sovana e i centri di Valentano: ilcono di scorie su cui sorge Valentano stessa,monte Starnina, monte dell'Eschio, monteAltieri) ed, all'interno della caldera, i centrieffusivi di poggio Murcie, poggio S. Luce,poggio Paterno e poggio del Mulino.Infine l'attività di monte Becco, il cui cono discorie andò in parte ad occupare il rilievodella Dogana, dette origine ad una colata chesi distribuì tra la Selva del Lamone ed il fossodella Faggeta ad Est e nella zona del Voltone aNord. le lave emesse dal monte Becco vengo-no definite come tefriti fonolitiche.

Le lave della Selva del Lamone si distribuisco-no in lunghi cumuli di massi scuri, noti colnome di "Murce", su cui si è insediato unbosco aspro ed impenetrabile, di notevolesuggestione.I monti di Castro, naturale barriera alle cola-te del vulcano di Latera, nonostante la loromole modesta, dominano tutto il paesaggiodel territorio circostante, innalzandosi ripida-mente dal fondo del letto del Fiora, che segnail confine tra le vulcaniti volsine e gli affiora-menti della serie toscana.Correlabile con l'attività del vulcano di Lateraè l'apparato eccentrico di monte Calvo, postosulla destra del Fiora a ridosso dei montiRomani.

LINEAMENTI GEOMORFOLOGICI

ED IDROGEOLOGICI DELLA

SELVA DEL LAMONE

Il Lamone è un bosco aspro e selvaggio, cherappresenta uno dei luoghi più caratteristicied interessanti della Provincia di Viterbo. Siestende per quasi 2300 ettari nei Comuni diFarnese ed Ischia di Castro, lungo il confinecon la Toscana.Ricco di ammassi lavici, di anfratti bui e disiepi impenetrabili ben merita il nome di

Escursione nel bosco

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Selva e le tante leggende che ha suscitato.La sua attuale esistenza è dovuta, non tantoalla volontà dell'uomo di conservare una fore-sta unica nel suo genere, quanto piuttosto alfatto che cresce su un vasto plateau lavico roc-cioso ed estremamente impervio.I suoi confini geografici delimitano un qua-drilatero irregolare, lungo circa 9 Km in dire-zione NN-SW e largo mediamente 3 km indirezione N-S. Nella parte settentrionale, par-tendo dall'angolo addossato alle pendici delcolle della Dogana, il confine corre lungo ifossi del Crognoleto e dell'Arsa fino al pontesulla strada provinciale per Pitigliano, checosteggia la selva a N e ad W fino al bivio deiPianetti. Da qui la strada provinciale delLamone costituisce il limite a meridionalefino al ponte del Pelicotonno sull'Olpeta, inlocalità Valgiardino. Il fiume Olpeta poi risa-lendo verso NE segna il confine fino alla zonadi Santa Maria di Sala da dove, la strada ster-rata che risale fino alla Dogana delimita ilmargine orientale.Il plateau lavico ci appare come un tavolatoirregolare allungato e debolmente inclinato indirezione SW. Il punto più alto è localizzatoin località la Dogana (circa 450 m sul l.m.),mentre quello più basso si può identificare

nella zona del Crostoletto al margine Ovest(220 m circa). Il margine settentrionale delplateau degrada con una pendenza del 45%verso il fosso del Crognoleto, la cui profon-dità media è di circa 50 m rispetto al marginesuddetto. Il bordo meridionale sprofonda conuna pendenza media del 50% nella valle delfiume Olpeta, profonda, mediamente, tra gli80 ed i 90 metri.Il tavolato è piuttosto irregolare ed accidenta-to, marcato com'è da alcuni rilievi, come ilcono di scorie e lapilli rossastri del Semonte,che caratterizza il settore centro-occidentaleinnalzandosi di quasi trenta metri sul territo-rio circostante e dando origine ad una vastaradura sgombra da lave di circa 40 ettari, ocome le innumerevoli murce, le cui più notesono la Poggetta dei Tigli e la MurciaStrompia. Piuttosto regolari e pianeggiantisono invece le zone interessate da colture diPian di Lance e Pian di Lancino nella parteNW del Lamone e del Campo della Villa, chene interessa la parte centro-meridionale. Come visto il territorio dell’Alto Lazio venneinteressato nel Pleistocene dall'attività vulca-nica dei Vulsini. L'area del Lamone è formataprincipalmente dal materiale effuso da unadelle più recenti e profonde fratture, dallaquale sono arrivate in superficie le lave che laricoprono. Queste lave vengono definite(secondo Schneider, 1965) trachibasalti,oppure olivinlatiti (secondo Rittman, 1967),esse si presentano con struttura bollosa, dicolore grigio-nero, come blocchi informi didimensioni da decimetriche ad 1,5-2 metri,accatastati gli uni sugli altri.Queste eruzioni sono avvenute nell'ultimoperiodo di attività del cosiddetto vulcano diLatera (tra 158.000 e 145.000 anni fa) edhanno sovrapposto i loro materiali su prece-denti colate laviche, che affiorano sul fondodell'Olpeta e dei suoi confluenti torrentizi, daSanta Maria di Sala al ponte di Stenzano.Sono stati individuati diversi centri di emis-sione, quelli che interessano la formazione delplateau del Lamone sono riconoscibili nellafrattura marcata dai coni di scorie di

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

Semonte, della Dogana, del Monte Becco edi Monte Calveglio.La maggiore estensione è dovuta alla lava effu-sa dal centro eruttivo della Dogana, essa dove-va essere molto fluida per avanzare di ben 9km rispetto al centri di emissione. La partebasale è molto compatta, mentre nella partealta si ha una struttura a blocchi di variedimensioni, con una colorazione che va dalgrigio scuro al nero. Il cono del Semonte, fuattivo fino al termine delle effusioni dellaDogana. A questa colata si sovrappone, nellazona orientale della Selva, l’espandimentolavico di Monte Becco, con uno spessore mas-simo di 40 metri circa, formato da tefriti-fonolitiche compatte e di colore grigio chiaro.Si hanno tuttavia altri tipi di affioramenti,come le arenarie (o Pietraforte risalenti al alCreataceo-Eocene) presenti presso il ponte diVall’Empio e messe in luce dall’attività erosi-va dell'Olpeta ed i piroclasti incoerenti (terre-ni originatisi in modi e tempi diversi, acco-munati da una scarsa coesione), che affioranonella parte settentrionale del Lamone (Piandi Lance) ed in quella meridionale (Campodella Villa). Travertini dovuti a precipitazionechimica di acque idrotermali sono presenti inpiccoli affioramenti nei pressi del Campo delCarcano e di Santa Maria di Sala. Alluvioni antiche e recenti sono localizzatelungo l’Olpeta, nelle località Stenzano,Valgiovana e le Prata. Queste si ritrovanoanche in isolati riempimenti nelle depressionidel Lamone. L’elemento più evidente e carat-teristico è comunque il plateau lavico il quale,estendendosi in direzione NE-SW costituisceun uniforme altipiano, ben distinto dal piùmovimentato paesaggio che lo circonda. Pertutta l’estensione del bosco è distribuita unamassa enorme di pietre laviche grigie che,ammucchiandosi in maniera variegata, hadato origine a piccole alture caratteristiche,note localmente con il nome di murce, lequali si innalzano su avvallamenti bui, ricchidi anfratti, inghiottitoi e crateri d’esplosione,che in alcuni casi (Rosa Crepante, Pila delSambuco, ecc.) assumono la conformazione

di veri e propri anfiteatri di lava.Dal punto di vista idrogeografico, il Lamonefa da spartiacque di due bacini imbriferi:quello dell’Olpeta a Sud e quello della Novaa Nord. Le sorgenti di quest’ultimo, chehanno una portata di circa 120 litri al secon-do, sono in relazione con l'acquifero di basedel Lamone stesso.I due fossi hanno andamento parallelo e retti-lineo con direzione NE-SW; nelle loro acqueconfluiscono le precipitazioni della Selva che,pur raggiungendo nell’anno un valore apprez-zabile (900 mm), sono mal distribuite, conuna accentuata carenza nel periodo estivo.All’interno del bosco non esistono sorgenti,ma negli avvallamenti, dove si sono raccoltivari strati di terreno argilloso, nel periodoinvernale ed in primavera, si formano piccolistagni, noti col nome di “Lacioni”, che pre-sentano una tipica vegetazione acquatica edaccolgono temporaneamente uccelli di palu-de. L’orografia del territorio è caratterizzatadalle già citate murce, che lo rendono parti-colarmente impervio, per cui è sconsigliata lapenetrazione all’infuori della viabilità esisten-te. Tale viabilità è limitata ad una carrarecciache taglia per intero il Lamone e ad alcune suediramazioni, che portano alle grandi radure diRosceto e Semonte. Da essa si dipartonomolti viottoli secondari, percorribili solamen-te a piedi, utilizzati in passato per ricacciare illegnatico.

I PRINCIPALI MONUMENTI GEOLOGICI

DELLA RISERVA NATURALE

SELVA DEL LAMONE

GEOSITO N. 340 “SEQUENZA ERUTTIVA

DI SORGENTI DELLA NOVA”La zona è stata profondamente modificatadall’attività di estrazione di alcune cave dipomice, negli anni settanta del secolo scorso.I lavori di coltivazione della cava hanno messoin evidenza una interessante sequenza strati-grafica vulcanica, che ha stimolato la propostadi istituzione di un geosito.L’area è composta da due entità geografiche:

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Le sorgenti della Nova ed il rilievo dellaRoccaccia, lungo le cui pendici appare benesposta una sequenza stratigrafica vulcanica.Essa riguarda i prodotti della cosiddettaEruzione di Sovana avvenuta durante l’attivi-tà esplosiva del Vulcano di Latera (270.000-160.000) e comprende dal basso verso l’alto leseguenti unità:a) Unità di flusso pomicea, con arricchimen-to in frammenti litici nella porzione superioree passaggio graduale all’unità soprastante(spessore maggiore di 8 metri);b) Breccia piroclastica con frazione juvenilepomicea bimodale (piccole pomici grigiochiaro e pomici grigie più grandi con fenocri-stalli di leucite)( spessore pari a circa 6 metri);c) Unità di flusso litificata con scorie nereporfiriche a leucite, ossidianacee ai bordi evescicolare nelle parti più interne (tufo rosso ascorie nere (spessore paria circa 5 metri);d) Unità di flusso a matrice portante con sco-rie nere; abbondante contenuto in cristalli dileucite sia nelle scorie sia nella matrice.Al tetto della sequenza eruttiva di Sovanasono presenti depositi rimaneggiati seguiti dadepositi del flusso della successiva Eruzione diSorano. A questi si sovrappongono due livellidi surge sopra i quali affiora il tufo giallo,spesso diversi metri, che costituisce la partesommatale del rilievo della Roccaccia.

GLI AFFIORAMENTI LAVICI

DI VOLTAMACINE E DI ROFANCO

Sebbene buna parte del territorio dellaRiserva naturale sia coperto da affioramenti dilava, anche di notevole estensione e selvaggiabellezza, vogliamo ricordarne in particolaredue: quello di Voltamacine e quello diRofalco. Il primo situato sul margine Norddella Riserva, tra la radura di Rosceto ed ilfosso del Crognoleto, si presenta come unripido dirupo digradante per circa una qua-rantina di metri di dislivello, coperto di gros-si massi lavici, di un candore abbagliante, perla presenza di licheni bianchi.Le rocce appaiono libere da vegetazione percirca 2.000 mq e rappresentano un incontro

inatteso ed emozionante, lungo il Sentiero dicollegamento delle aree faunistiche. Tra le pie-tre, oltre ai detti licheni, affiorano ciuffi dimuschi e felci, tra cui L’Asplenium septentrio-nale L., per il quale si tratta del primo sito dipresenza accertata nel Lazio.Il nome di Voltamacine è stato dato alla loca-lità in quanto, dopo le grandi piogge e nelperiodo invernale, il gorgoglio delle acque diun torrente che scorre sotto la coltre di pietre,ricorda il rumore degli antichi mulini adacqua. L’affioramento lavico di Rofalco esituato nella parte opposta della Riserva natu-rale, lungo il confine meridionale a ridossodel torrente Olpeta, ed è rappresentato daun’imponente colata di massi grigio-scuri, divarie dimensioni, che assumono diverse con-formazioni, dalle murce a piccole depressioniimbutiformi a vere e proprie muraglie di lava,su cui in periodo etrusco è stato costruito l’o-monimo abitato ed impostate le imponentiopere di difesa.

LA MURCIA STROMPIA E LE ALTRE MURCE

“Murcia” (dal Latino murex-ricis “murice”,poi “sasso acuto”) è un termine locale cheindica una roccia lavica od un cumulo di pie-tre effuse. La geografia del Lamone è costel-lata da innumerevoli formazioni rocciose,variegate nella forma, originate per la mag-gior parte dallo scorrere delle lave, raffredda-te in superficie, durante il periodo effusivodell’attività del vulcano di Latera e, in uncaso (Murcia del Prigioniero), dall’uomo,probabilmente in periodo etrusco, come for-tificazione a guardia della valle dell’Olpeta.Alcune (le Murciarelle) si presentano comepiccoli tumuli affiancati, alti alcuni metri,che danno origine ad un labirinto intricato edi difficile percorribilità; altre (il Murcione)possono essere raffigurate come lunghe colli-ne ad andamento lineare in cui tra i cumulidi lave grigie si sviluppato avvallamenti rami-ficati e crateri di collasso, dando origine adun paesaggio lunare di suggestiva bellezza;altre ancora (i Muraglioni) sono particolariformazioni, larghe qualche metro ed alte

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5-10 metri, ad andamento serpeggiante, chericordano vagamente ciclopiche muraglie;infine la classica murcia formata da un ferri-gno ammasso isolato di macigni, elevato sulterritorio (i Tigli, la Strompia, MurciaBianca, Murcia Alta, Murcia del Diavolo,ecc.), su alcune di queste denominate“Poggette”, nel tempo, si è accumulato terre-no fertile che, in parte nasconde le pietre.Tante sono le murce e diverse per forme edimensioni, presentando spesso paesaggiaspri e selvaggi, con gole, inghiottitoi e diru-pi, che concorrono al fascino del Lamone.Per tutte, accenneremo alla MurciaStrompia. Il toponimo, di origine dialettale,fa pensare a qualcosa di spaccato, di diviso; sitratta infatti di due ammassi di enormi maci-gni di lava paralleli (anticamente, infatti,venivano dette le Strompie), separati da undirupo profondo. La formazione (a quota320 s. l.m.) si innalza sul territorio circostan-te di una decina di metri e presenta un acces-so poco agevole.Dai punti estremi della sommità è possibileammirare due viste panoramiche sulla Selva aSud-Est e a Sud-Ovest. Tra le pietre si è svi-luppata una vegetazione variegata che va dailecci, ai cerri, agli ornelli ed ai carpini; sullaparte sommitale, mancando in molti tratti ladeposizione di suolo fertile, emergono le pie-traie rivestite da licheni rossastri. Sulla cimadegli ammassi e sul dirupo, in un periodoimprecisato, per il mancato rinvenimento dimateriale archeologico, è stata realizzata unacinta muraria difensiva, pertinente ad unabitato fortificato di cui sono visibili alcunifondi di capanna.

ROSA CREPANTE E LE ALTRE PILE

Caratteristici del Lamone sono alcuni crateridi collasso, ad aspetto imbutiforme.Probabilmente sono stati originati per crollo,a causa del peso, lungo le cavità di condottilavici, di accumuli di grossi macigni.Localmente tali strutture sono conosciutecon il nome di “Pile”, sono note infatti la“Pila all’Oro”, la “Pila al Prosciutto”, la “Pila

al Sambuco”, ecc. Generalmente sono cir-condati da vegetazione arborea lungo ilbordo superiore e presentano sviluppo dialberi e muschi sul fondo. Una caratteristicafacilmente verificabile è la differenza di tem-peratura che si riscontra tra la parte superio-re ed il fondo di detti crateri, con una diffe-renza di almeno cinque gradi centigradi inmeno in estate ed in più in inverno.La struttura più nota è la cosiddetta “RosaCrepante”, situata a poche centinaia di metriad Ovest del Semonte. Ha un andamentoleggermente ellittico, con diametro massimodi 60 m circa ed è profondo circa 15 m.Rassomiglia ad un vero e proprio anfiteatrodi lava. Libera da vegetazione presenta note-voli massi grigio-scuri, che aumentano didimensione con la profondità e si tingono, achiazze, di bianco per la presenza di licheni.Tra le pietre si sviluppano cunicoli e spazi, inqualche caso percorribili.In un piccolo anfratto, somigliante ad unagrotticella, su una pietra i pastori hanno rica-vato una piccola pila (un foro ogivale), su cuiper percolazione dal suolo soprastante si rac-colgono alcuni litri di acqua.Nel fondo del cratere, dove si è accumulatoterreno fertile si sviluppano notevolmentefelci e muschi, dominati da un monumenta-le carpine nero. La maggiore concentrazionedi Pile si ha nella zona del Murcione a Nord-Est del Semonte, ne sono state individuate14 di grosse dimensioni, che sembrano, inalcuni casi, essere allineate. Nella zona dellaPila Al Sambuco, a ridosso l’uno dell’altro nesono presenti 3, di aspetto simile ed omoge-neo. La vera e propria Pila al Sambuco è cosìdetta per la presenza di un secolare albero diSambucus nigra che ne copre il fondo. Anchein questo caso si ha un notevole sviluppo dimuschi e felci, tra cui la lingua cervina, ed èpresente una grotticella con un piccolo baci-no per la raccolta delle acque.

I CONDOTTI LAVICI: LA CAVA L’INFERNO

E LA BUCA DI GIOVANNI ROTA

La Cava l’Inferno è un ambiente particolar-

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Riserva Naturale Selva del Lamone

mente impervio, rappresentato da una angu-sta gola di alcuni metri di profondità, che sisviluppa, con varie ramificazioni, per quasidue chilometri nel Lamone di Sotto.Probabilmente essa rappresenta le vestigia diun condotto lavico di cui è crollata la partesuperiore. Ricco di anfratti, piccole grotte, egrossi massi, presenta pareti, spesso lisce, dilava compatta. All’interno vegetano alberisecolari e, vista la presenza di ombra e di unamaggiore umidità, rispetto alla zona circo-stante, appare lussureggiante lo sviluppo dimuschi e felci. La Buca di Giovanni Rota,nascosta tra la vegetazione, ai fianchi di unamurcia lungo la strada che conduce aSemonte, è un pozzo verticale naturale, pro-fondo una decina di metri e del diametro ditre. Non sono state fatte esplorazioni perverificare se rappresenti lo sbocco di un con-dotto lavico.

I MURAGLIONI DI ROPPOZZO

In località Roppozzo, nei pressi della radurain cui si svolge la festa alla primavera, si svi-luppa il sistema roccioso dei Muraglioni. Lostesso nome ricorda l’andamento delle lave,che qui assumono la struttura serpeggiante diuna muraglia ciclopica, che si sviluppa perqualche centinaio di metri. Questo muronaturale s’innalza sull’ambiente circostantedi 6-7 metri e presenta una larghezza mediadi cinque. La sommità, composta da grossimassi grigio-scuri, è spoglia di vegetazione epresenta curiose fenditure geometriche sullepietre.

IL CONO DI SCORIE DEL SEMONTE

Semonte si presenta come un cono di scoriee lapilli rossastri, nella parte centrale delcosiddetto Lamone di Sopra, che si innalza,mediamente, di quasi trenta metri sul terri-torio circostante, all’interno di una vastaradura sgombra da lave di oltre 40 ettari. Laparte settentrionale è più ripida passando inbreve dai 386 ai 427 m. s.l.m., mentre quel-la meridionale digrada più dolcemente finoai 400 m. s.l.m. Come visto, anche da questocentro di emissione sono state effuse le lavetrachibasaltiche della selva. Con i suoi 427metri s. l. m. rappresenta uno dei maggioririlevi del territorio ed un notevole puntopanoramico per la parte settentrionale edoccidentale della riserva.

I LACIONI

Nella Riserva naturale sono presenti alcunisistemi di stagni temporanei o stagionali, cheprendono il nome di “Lacioni”. Si tratta dicorpi idrici di tipo lentico con ricorrenti fasidi secca. Sebbene in apparenza effimeri, que-sti sistemi riescono a mantenersi nel tempo,a causa dell’alternanza di una fase umida, oidroperiodo, ed una arida.Nel periodo di aridità, la sostanza organicadepositata sul fondo nell’idroperiodo vienecompletamente demolita e ciò impediscel’aumento di spessore dei sedimenti, chepotrebbe portare all’interramento. Il piùvasto e duraturo è il Lacione dellaMignattara.

I muraglioni di Rappozzo

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

La vegetazione del Lamone è il risulta-to dell’azione di molti fattori i quali,taluni agendo nel lungo periodo ed

altri nel breve periodo, hanno contribuito aplasmare questo angolo di territorio. Per com-prendere meglio questo concetto bisogna ana-lizzare, dunque, i caratteri climatici, geomor-fologici e pedologici e l’uso, passato e presen-te, dell’area.L’azione congiunta di tutti questi elementi ciha consegnato un ambiente, sotto molti aspet-ti, anomalo e ricco di peculiarità, in cui vivo-no 873 entità floristiche censite.Degli oltre 2000 ettari di estensione dellaRiserva Naturale, circa 1500 sono occupati daformazioni boschive, pari a circa il 72% deltotale, la restante parte è essenzialmente ascri-vibile a superfici adibite al pascolo e alle prati-che agronomiche. Si intuisce, dunque, come gli ambienti fore-stali siano predominanti e quale valore assu-mano, dal punto di vista della biodiversità, learee agricole a ridosso di questi: basti pensareai corridoi ecologici formati da siepi e canalidi confine, alle piante camporili, agli ambien-ti ecotonali, alle specie vegetali di mantello.Dal punto di vista fisionomico, la vegetazionedel Lamone può essere riassunta nelle seguen-ti tipologie:

- boschi;- formazioni riparie arboree;- arbusteti;- vegetazione igrofila palustre;- vegetazione rupestre.

BOSCHI

Nella Riserva dominano abbondantemente leessenze quercine, in particolare il cerro(Quercus cerris L.) diffuso quasi omogenea-mente su tutto il territorio, il quale forma deisoprassuoli al loro interno molto diversificati(boschi misti di latifoglie).Nel settore nord-orientale e a tratti in quellooccidentale, dove la rocciosità è contenuta e isuoli risultano freschi e profondi o dove laparticolare morfologia permette la raccoltadell’acqua piovana e l’accumulo di sostanzaorganica, si sviluppano boschi mesofili dicerro al quale, nel piano dominante, si accom-pagnano il carpino bianco (Carpinus betulusL.), l’acero campestre (Acer campestre L.), tal-volta il carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.)e l’acero d’Ungheria (Acer obtusatum Waldst.et Kit.), raramente il faggio (Fagus sylvaticaL.), i cui esemplari sono lembi residui di fag-geta depressa a testimonianza di situazioni cli-matiche, in passato, più oceaniche con tempe-rature minori e maggiore umidità, e il tiglio

Flora e vegetazioneA cura di Andrea Schiavano

Silene italicaAnemone dell’Appennino

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Riserva Naturale Selva del Lamone

selvatico (Tilia cordata Miller).La residua presenza di tiglio selvatico è daattribuire soprattutto all’ecologia della specie,ma anche al fatto che nelle pratiche agro-silvo-pastorali tradizionali questa pianta venivausata dalla popolazione locale per via delleottime proprietà di foraggiamento della frascae per i vari impieghi della corteccia (fabbrica-zione di corde), al contrario del cerro che,nonostante la ghianda risultasse poco appeti-bile al bestiame (amara), è molto diffuso,favorito perché il suo veloce accrescimentoconsentiva un cospicuo approvvigionamentodi legname. Significativi per le dimensionisono un esemplare di faggio in località“Puiolo” in prossimità del muretto a secco(quasi 4 metri di circonferenza) e un indivi-duo di tiglio selvatico in località “I Tigli” vici-no al confine ovest della Riserva, di cui rima-ne la ceppaia (circa 3 metri di circonferenza).Poco distante da qui, in località “La Strompia”c’è una delle due stazioni del Lazio dove è pre-sente l’ofioglosso comune (Ophioglossum vul-gatum L.), specie, quindi, di notevole interes-se naturalistico.Il piano intermedio è occupato dal carpinobianco, dall’orniello (Fraxinus ornus L.), dalciavardello (Sorbus torminalis (L.) Crantz), ai

quali si associano, nel piano inferiore, l’agrifo-glio (Ilex aquifolium L.) che spesso si presentaallo stato arbustivo anche se non è difficileosservarlo in forma arborea e addensato inpiccoli gruppi, il biancospino comune(Crataegus monogyna Jacq.), il biancospino(Crataegus oxyacantha L.), il nocciòlo (Corylusavellana L.), il corniolo (Cornus mas L.), ilsanguinello (Cornus sanguinea L.), il nespolo(Mespilus germanica L.) e infine la fusagine oberretta da prete (Euonymus europaeus L.) e illigustro (Ligustrum vulgare L.) negli ambientiecotonali. È tipico, tra i fusti delle piante ilprotendersi di specie epifite: la vitalba(Clematis vitalba L.) e l’edera (Hedera helixL.), mentre sui rami delle querce più vetusteprosperano il vischio quercino (Loranthuseuropaeus Jacq.) e il vischio comune (Viscumalbum L. subsp. album). Il piano inferiore ètappezzato da un numeroso insieme di erbaceeche, nel periodo della fioritura (soprattuttoaprile e maggio), trasformano il sottobosco inun esteso manto multicolore interrotto qua elà dalle pietre affioranti sulle quali crescono,ammorbidendo un pò il paesaggio, l’ombelicodi Venere (Umbiculus rupestris (Salisb.)Dandy), l’asplenio maggiore (Asplenium onop-teris L.) e vari tipi di muschi e licheni.

Orchide italiana Uccellino allo specchio (Ophrys bertolonii)

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Bucaneve (Galanthus nivalis L.), scilla silvestre(Scilla bifolia L.), primula (Primula vulgarisHudson), ciclamini (Cyclamen repandumSibth. et Sm. e C. hederifolium Aiton), gigliorosso o giglio di S. Giovanni (Lilium bulbife-rum L. subsp. croceum (Chaix) Baker), pervin-ca minore (Vinca minor L.), latte di gallina afiori giallastri (Ornithogalum pyrenaicum L.),colchico napoletano (Colchicum neapolitanumTen.), zafferano selvatico (Crocus biflorusMiller), erba-perla azzurra (Buglossoides pur-purocaerulea (L.) I.M. John.), fragola (Fragariavesca L.), anemoni (Anemone apennina L. e A.nemorosa L.), viole (Viola odorata L., V. rei-chenbachiana Jordan e V. alba Besser subsp.dehnhardtii (Ten.) W. Becker), ellebori(Helleborus foetidus L. e H. bocconei Ten.),pungitopo (Ruscus aculeatus L.) e molte orchi-dee (che verranno esaminate a parte) sonosolo le più rappresentative tra le specie chepopolano tale piano.In questo settore della Riserva il soprassuoloforestale è costituito da cedui invecchiati che,in alcune situazioni, hanno già assunto lesembianze di fustaie irregolari. Si tratta di unbosco abbastanza rado e tale aspetto è testi-moniato dal frequente insediamento nel sot-

tobosco di specie eliofile e nitrofile come l’al-liaria comune (Alliaria petiolata (Bieb.)Cavara et Grande) e il geranio purpureo(Geranium purpureum Vill.). Inoltre, sonoosservabili in più punti alberi di diverse speciecon dimensioni ragguardevoli che presentanospesso una ramificazione inserita in basso sulfusto e un portamento tozzo e poco slanciato.Ciò si spiega col fatto che era uso comune daqueste parti capitozzare gli alberi a circa 2metri di altezza per ricavarne legna da ardere eforaggiamento per il bestiame.Dove il profilo morfologico si fa più acciden-tato (elevato indice di rocciosità) e le condi-zioni microclimatiche diventano più calde, citroviamo in presenza di boschi termofili mistidi cerro, aceri e carpino nero e di alcune par-ticelle rimboschite durante gli anni ’60 a pinod’aleppo (Pinus halepensis Miller), pino nero(Pinus nigra Arnold subsp. laricio) e pinomarittimo (Pinus pinaster Aiton). Gli impian-ti artificiali sono localizzati nella porzionecentrale, nord-occidentale e occidentale dellaRiserva, nelle zone a debole rocciosità ed ex-coltivi.Nel piano dominante primeggiano il cerro, laroverella (Quercus pubescens Willd.), l’acero

Ophrys sphegodes Digitalis ferruginea

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Riserva Naturale Selva del Lamone

campestre e il carpino nero. Il piano interme-dio, di spessore consistente, è formato daacero minore (Acer monspessulanum L.), leccio(Quercus ilex L.), orniello, sorbo (Sorbusdomestica L.), pero selvatico (Pyrus pyrasterBurgsd.), melo selvatico (Malus sylvestrisMiller), ciavardello, fillirea (Phillyrea latifoliaL.) e specie arbustive presenti anche in situa-zioni più mesofile, con un incremento signifi-cativo, tuttavia, di quelle spinose come il pru-gnolo (Prunus spinosa L.).A rendere ancora più fitta e intricata la vege-tazione contribuiscono la lianosa stracciabra-che (Smilax aspera L.), l’asparago pungente(Asparagus acutifolius L.) e i rovi (Rubus spp.).Questo settore, più di altri, ha contribuito acreare sulla Selva del Lamone quella legendadi bosco aspro e impenetrabile, non a casorifugio di briganti e fuorilegge, che tantapaura suscitava in chi si trovava ad attraversar-lo. È molto interessante dal punto floristico lapresenza dell’Acer x peronai Schwerin, ibridotra l’acero opalo e l’acero minore, in localitàSemonte. Si tratta di una segnalazione nuovaper il Lazio; precedentemente questo ibridoera stato individuato solo a Vallombrosa inToscana. Il piano inferiore è costituito princi-palmente da specie termofile e xerofile ocomunque ubiquitarie quali il pungitopo, larobbia selvatica (Rubia peregrina L.), la crocet-tona glabra (Cruciata glabra (L.) Ehrend.), laiva (Ajuga reptans L.) e il raro vincetossicocomune (Vincetoxicum hirundinaria Medicus),anche se non è inconsueto osservare specie piùmesofile. Anche in questa parte di Riserva il

bosco assume le sembianze di un ceduo invec-chiato, ma, considerata l’accidentalità, gliaccrescimenti sono ridotti e l’altezza mediadelle piante è inferiore rispetto al settore nord-orientale. Tuttavia la densità è maggiore, comepure la copertura e l’avviamento ad alto fustorisulta più lento. Va segnalata, inoltre, la presenza sporadica dialcuni individui di cerro-sughera (Quercus cre-nata Lam.) il cui riconoscimento è spesso dif-ficoltoso. È più semplice individuarla, invece,durante il periodo invernale per il fatto chemantiene il manto foliare verde fino alla ripre-sa vegetativa. Il bosco del Lamone è stato col-pito per due anni consecutivi (2001-2002) daun forte attacco di un lepidottero di origineamericana ormai naturalizzato in Italia, laLymantria dispar L., le cui larve hanno total-mente defogliato l’intera superficie boscata,non risparmiando nemmeno gli arbusti.L’anno successivo, invece, è stata la volta diuna prolungata stagione siccitosa protrattasida maggio ad agosto, che ha comportato unforte stress idrico per gran parte del bosco.L’azione sinergica di tali eventi ha debilitato lepiante, le quali sono divenute suscettibili adattacchi di parassiti di debolezza come i fun-ghi Armillaria mellea (Vahl.) Quèl. (famigliolabuona) e soprattutto l’Hypoxylon mediterra-neum (De Not.) Mill. (cancro carbonioso dellequerce) che stanno provocando la morte dimolte specie arboree, in particolare di cerroche risulta essere il più colpito. Trattandosi,ovviamente, di fenomeni naturali e di un con-testo di naturalità (Area Protetta), non è stato

Alberi tra le rocce Lupinus graecus

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

adottato alcun intervento di lotta.

FORMAZIONI RIPARIE ARBOREE

Questo tipo di vegetazione è presente lungo ilTorrente Olpeta e i vari fossi (Fosso dellaFaggeta, F. sso della Botte, F.sso del Verghene)suoi immissari. Si tratta di una vegetazioneazonale con una massiccia dominanza di onta-no nero (Alnus glutinosa (L.) Gaertner), salicebianco (Salix alba L.) e pioppo nero (Populusnigra L.) ai quali spesso si associano il nocciò-lo, l’olmo (Ulmus minor Miller) e il sambuconero (Sambucus nigra L.) tra le specie piùcomuni, mentre tra quelle più sporadiche siannoverano il salicone (Salix caprea L.) e ilviburno (Viburnum tinus L.). Localizzata, manon rara, è la presenza di faggio sottoquota elungo il Fosso del Verghene è stato rinvenutoun esemplare di olmo montano (Ulmus glabraHudson). Inoltre, sono di grande importanzafloristica alcuni esemplari di farnia (Quercusrobur L.) in località Acquaforte, appena fuoridella Riserva, in prossimità del corsodell’Olpeta. Nel piano inferiore ritroviamospecie legate ad ambienti umidi e ombreggia-ti, quali l’equiseto massimo (Equisetum telma-teja Ehrh.), il farfaraccio maggiore (Petasiteshybridus (L.) Gaertn.), la rara polmonaria(Pulmonaria vallarsae Kerner) e vari tipi difelci come Polystichum setiferum (Forssk.)Woynar, Phyllitis scolopendrium (L.) Newman,Adiantum capillus-veneris L. e Asplenium tri-chomanes L.. Considerata la ricchezza floristi-ca (fino a 44 specie rinvenute) e l’assenza dispecie invasive (ad esempio la Robinia pseu-

doacacia L.), si riconosce a queste formazioniun alto grado di conservazione e di maturità.

ARBUSTETI

Le aree occupate da queste formazioni sono ilrisultato di due eventi distinti ma tra loro col-legati: degrado di preesistenti boschi di latifo-glie o ricolonizzazione da parte della vegeta-zione di terreni ex-coltivi. In effetti si puòriscontrare un insieme eterogeneo di specieerbacee (residue dei precedenti prati o suben-trate in seguito al degrado), arbustive (colo-nizzatrici dei primi stadi di successione) earboree.Su suoli tendenzialmente acidi, profondi e fre-schi le specie dominanti sono la ginestra deicarbonai (Cytisus scoparius (L.) Link), cosìchiamata perché con le sue fronde i carbonairicoprivano i tetti delle loro capanne, e la felceaquilina (Pteridium aquilinum (L.) Kuhn), untempo probabilmente più diffusa nel Lamonea giudicare dai toponimi a cui ha dato origine(Felceto Alto, Valle Felciosa). In condizionipiù mesofile, pur rimanendo nel complesso susuoli profondi e fertili, subentrano il prugno-lo, il biancospino comune e la rosa selvatica(Rosa canina L.) e tendono ad aumentare leessenze arboree, soprattutto gli aceri. Questeformazioni insistono nelle zone nord e nord-orientale del Lamone.Nelle esposizioni a meridione, in presenza diforte acclività e suoli fortemente drenanti(costone che sovrasta il corso dell’Olpeta dallaValgiovana a Roccoia), ritroviamo il citiso tri-floro (Cytisus villosus Pourret) e localmente la

Fustaia a Felceto Alto Plantago major

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Riserva Naturale Selva del Lamone

ginestra odorosa (Spartium junceum L.) allequali si associano saltuariamente il cerro, laroverella e l’olmo campestre; mentre sui pen-dii aridi cresce la vescicaria (Colutea arbore-scens L.). Dove infine la disponibilità idrica è buona,anche durante il periodo estivo (nei fondoval-le in prossimità di corsi d’acqua e ai bordi deiterreni coltivati), si sviluppano arbusteti anocciòlo, olmo campestre, sambuco nero,fusaggine e prugnolo, accompagnati dai rovi edalla vitalba.Lo strato erbaceo che accompagna le tipologievegetazionali ad arbusteto, il cosiddetto pratopolifita, è costituito principalmente da grami-nacee, leguminose e composite che offrono unnutriente pasto agli ungulati selvatici e dome-stici e ai numerosi insetti che popolano questiambienti.

VEGETAZIONE IGROFILA PALUSTRE

L’assenza di acque superficiali permanentiall’interno della Selva del Lamone potrebbefar supporre l’impossibilità per le specie igro-file di trovare le condizioni ottimali di vita.Tuttavia, durante la stagione piovosa, le acquemeteoriche si accumulano in alcuni punti lie-vemente depressi dando vita a pozze tempora-nee, localmente dette “lacioni”, che ospitanouna flora e una fauna di notevole interesse.Questi stagni possono raggiungere dimensionia volte importanti (anche 20 m di diametro) ele acque, a seconda delle precipitazioni, per-mangono per lunghi periodi o, come nel casodel lacione della Mignattara, anche per tutta lastagione vegetativa.La vegetazione è caratterizzata da specie digrande rilevanza ecologica, divenute rare per ildegrado e la graduale scomparsa dei loro habi-tat. Tra queste si annoverano il sedano som-merso (Apium inundatum (L.) Reichenb.), lagamberaja calabrese (Callitriche brutiaPetagna), la mestolaccia stellata (Damasoniumalisma Miller subsp. alisma), la coda di topoarrossata (Alopecurus aequalis Sobol.), il grami-gnone minore (Glyceria plicata (Fries) Fries), ilranuncolo con foglie d’Ofioglosso

(Ranunculus ophoglossifolius Vill.), il giuncocomune (Juncus effusus L.) e la billeri a fioripiccoli (Cardamine parviflora L.).

VEGETAZIONE RUPESTRE

Questi tipi di cenosi sono caratteristici degliaccumuli di roccie a forma piramidale(murce), ma anche delle situazioni opposte incui le pietre si dispongono a formare dei veri epropri crateri lavici, simili ad anfiteatri, chia-mati “pile”. Nel primo caso, la mancanza disuolo pregiudica molto la presenza di piantevascolari, tuttavia non di rado si osservanoesemplari di leccio, alloro (Laurus nobilis L.),fillirea, acero minore (localmente chiamato“stucchio”), orniello e bagolaro o spaccasassi(Celtis australis L.) (detto “ponzicariato”) cre-scere sulla sommità e lungo i fianchi di questesingolari formazioni laviche. I crateri, invece,ospitano al loro interno una vegetazione unpo’ più mesofila formata da carpino nero, cia-vardello, ma altresì orniello e acero campestre,le quali specie usufruiscono dell’umidità e del-l’accumulo di suolo della parte terminale deiconi rocciosi. In un’unica stazione in localitàCavon di Sorbo, all’interno di una di questedepressioni, è stato rinvenuto un soggetto difrassino meridionale (Fraxinus oxycarpa Bieb.),ma non si esclude che ve ne siano altri.

IL PAESAGGIO AGRARIO

In un contesto vegetazionale fondamental-mente forestale i terreni migliori sono statitrasformati dall’azione secolare dell’uomo incampi coltivati che attualmente ricoprono

Vischio quercino (Loranthus europaeus)

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

circa un quinto della superficie della Riserva.Negli ultimi anni, comunque, si è avviato unprocesso inverso di abbandono dei campi e dicolonizzazione della vegetazione naturale conl’insediamento di arbusteti e successivamentela costituzione di boschi di neoformazione intempi abbastanza rapidi (10-15 anni).Questo avviene, in particolare, nelle situazio-ni più sfavorevoli per l’agricoltura - rocceaffioranti, piccoli appezzamenti circondatidal bosco - e per il continuo calo di redditivi-tà dell’attività agricola che ha determinato,

tranne pochi casi, la scomparsa di coltivatoria tempo pieno insediati nel territorio dellaRiserva.Ci sono diverse zone utilizzate come pascoloche in parte possono essere caratterizzate dallapresenza di arbusti o di alberi sparsi; si trattadi pascoli, ripuliti in passato dalle pietre, dallanaturalità piuttosto scarsa, abbastanza simili averi e propri coltivi. I seminativi sono diffusiin tutta l’area, mentre incolti e campi a ripo-so sono poco frequenti; tra le colture arboreesono presenti oliveti, noccioleti e noceti.

Mestolaccia d’acqua

(Damansonium alisma)

Lacione della Mignattara

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Riserva Naturale Selva del Lamone

LE

OR

CH

IDE

EI

l nome orchidea suscita imme-diatamente l’immagine di grandie vistosi fiori, di viaggi avventu-

rosi del XVII secolo dai quali gli esplo-ratori del nuovo mondo e dell’Asia sudorientale riportavano in Europa questigioielli della natura.Raccolte a mezz’aria, attaccate sui tron-chi degli alberi della foresta pluviale, leorchidee mettono in mostra la bellezzadei loro fiori mentre tutt’intorno svo-lazzano variopinte farfalle tropicali eminuscoli colibrì.Non meno belle ed interessanti sono leorchidee nostrane. Queste, a differenzadi quelle tropicali che, come abbiamogià detto, crescono avvinghiate al tron-co delle grandi piante arboree, compio-no il loro ciclo vegetativo a terra, sonoquindi piante geofite cioè terricole.Anche per questo bisogna darsi da fareper cercarle, nascoste come sono tracespugli, nell’erba, nella selva spinosa.Queste piante hanno un’altezza che ingenere non supera i 20-30 cm e biso-gna osservarle da vicino per riconosce-re la loro bellezza, la vivacità dei colorie soprattutto la complessità e specializ-zazione dei loro fiori che in alcuni casisupera quella delle loro sorelle tropica-li. Le orchidee che si trovano all’inter-no della Riserva del Lamone sono tuttespecie perenni pluriennali, ibernanod’estate e in parte dell’inverno, attin-gendo energie per il risveglio da tuberiipogei. La forma testicolare che assu-mono tali organi in alcune specie, è ilmotivo del loro nome in quanto ingreco orchis significa testicolo.In campagna sono ben riconoscibilidalla spiga fiorifera poiché i fiori pre-sentano sei tepali di cui uno chiamatolabello, sempre rivolto verso il basso,che dà asimmetria al fiore.Un aspetto particolare delle orchidee èche ogni specie ha un solo insettoimpollinatore chiamato pronubio, la

parte del fiore chiamata labello ha lafunzione di appoggio per l’insetto.Le orchidee usano due metodi perattrarre gli insetti impollinatori, nelgenere ophrys il fiore assomiglia comeforma, colori, e odori alla femmina del-l’insetto. In altri casi l’attrazione è lega-ta alla funzione dello sperone, che è unprolungamento del labello dove il pro-nubio può infilare la proboscide incerca di nettare. Se lo sperone è breve l’impollinazioneavviene da parte di bombi ed api, selungo viene compiuta da farfalle .Se un insetto si posa sul fiore i pollino-di gli rimangono attaccati sul capo, tra-mite il viscidio. Quando lo stesso inset-to si sposta su un altro fiore vi deposi-ta il prezioso pacchetto.Avvenuta la fecondazione i fiori appas-siscono mentre l’ovario, maturando, sitrasforma in capsula al cui interno sisviluppano da migliaia a milioni disemi. All’apertura delle capsule i semivolano via trasportati dal vento.I semi non contengono nutrimento,per questa ragione non sono in gradodi germinare da soli ed hanno bisognodi altri organismi simbionti, funghicapaci di penetrare all’interno del semee di cedergli sostanze nutritive.A germinazione avvenuta, in primave-ra si viene a formare la piantina con ilbulbo che, dopo un periodo piuttostolungo, in qualche caso di alcuni anni,fino a 12, raggiunge la maturità ed ini-zia a produrre le spighe floreali. Da quanto finora detto si capisce comequeste piante siano legate in modostretto all’integrità dell’ambiente che leospita, e qui entra l’importanza dellaRiserva Naturale poiché il compitoprincipale è la conservazione degliambienti dove vivono le orchidee.Si allega una tabella con i principali sitispecificando fin d’ora che per Lamonesi intendono le strade carrabili ed i sen-

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

LE

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CH

IDE

E tieri interni alla riserva. La localitàdenominata la Botte è facilmente rag-giungile poiche’ ci passa il sentierodelle aree faunistiche.Miniera acquaforte è un ex miniera difluorite e la si può trovare partendo da

Farnese e percorrendo la strada provin-ciale Valle dell’Olpeta. Dopo 2,4 kmdall’inizio della strada sulla destra sitrovano delle tramogge abbandonate edopo 100 m a destra c’è una piccolastrada sterrata. Crostoletto è la parte

Orchidee spontanee della Selva del Lamone

Località

Valle Rosa Lamone La Botte Crostoletto Miniera Acquaforte

Prato arido

Calcareo

• •

• •

• • •

• •

VulcanicoCalcareo

travertinosoVulcanico

Altezza cm

5-25 Marzo-maggio

Marzo-giugno

Marzo-giugno

Marzo-giugno

Marzo-maggio

Marzo-maggio

Marzo-aprile

Marzo-maggio

Marzo-maggio

Aprile-giugno

Aprile-giugno

Marzo-giugno

Aprile-giugno

Aprile-giugno

Aprile

15-40

10-30

15-40

15-40

15-40

15-40

Fino a 35

10-50

20-50

15-50

20-50

15-35

10-30

15-60

Periodofioritura

Farine fossilida sedimenti

lacustri

Prato aridoRadura dibosco

Radura di bosco-cespuglieto

Tipo di vegetazione

Substrato

Specie

Ophrys tenthredinifera

Ophrys bertolonii

Ophrys saratoi

Ophrys sphegodessphegodes

Ophrys sphegodesgarganica

Ophrys sphegodesatrata

Ophrys majellensis

Ophrys x dekegheliana

Ophrys x grampinii

Ophrys incubacea

Ophrys thirena

Ophrys holoserica

Ophrys crabronifera

Ophrys apifera

Acerasanthropophorum

Serapias lingua

Serapias parviflora

Serapias vomeracea

Varie

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Riserva Naturale Selva del Lamone

LE

OR

CH

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Epiù a sud della Selva del Lamone e rag-giungibile da Farnese percorrendo lastrada provinciale del Lamone.Per raggiungere Vallerosa, partendo daFarnese, si va verso il campo sportivo,si procede per 1,2 km e s’incontra la

cava di tufo; percorsi altri 2 km c’è unincrocio dove si gira a destra e pocodopo si incontra il torrente S. Paolo. A600 m dal suddetto incrocio si gira adestra e percorsi altri 600 m si arriva aVallerosa.

Località

Valle Rosa Lamone La Botte Crostoletto Miniera Acquaforte

• •

• •

• •

• •

• •

Maggio-giugno

Aprile-giugno

Marzo-giugno

Marzo-giugno

Marzo-giugno

Aprile-giugno

Aprile-giugno

Aprile-giugno

Marzo-maggio

Aprile-giugno

Maggio-luglio

Maggio-giugno

Aprile-luglio

Giugno-agosto

Aprile-luglio

Aprile-giugno

Sett.-nov.

30-105

20-60

15-50

10-40

10-40

15-40

15-40

30-70

20-50

20-40

25-90

30-60

15-50

20-100

15-60

Fino a80

10-30

Prato arido

Calcareo VulcanicoCalcareo

travertinosoVulcanico

Altezza cm Periodofioritura

Farine fossilida sedimenti

lacustri

Prato aridoRadura dibosco

Radura di bosco-cespuglieto

Tipo di vegetazione

Substrato

Specie

Himantoglossumhircinum adriaticum

Anacamptispyramidalis

Orchis papilionacea

Orchis morio

Orchis x gennarii

Orchis coriophorafragrans

Orchis tridentata

Orchis purpurea

Orchis italica

Orchis provincialis

Dactylorhizamaculata

Platantherachlorantha

Neotia nidus-avis

Epipactis helleborine

Cephalantheralongifoglia

Limodorumabortivum

Spiranthes spiralis

Varie

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

La Riserva Naturale Selva del Lamone,grazie alla posizione geografica e allavarietà di ambienti presenti, ospita

una comunità animale ricca e varia con pre-senza di specie sia mediterranee che tipica-mente centroeuropee.Complessivamente i vertebrati terrestri, esclu-si i chirotteri, sono rappresentati da 116 spe-cie tra anfibi, rettili, uccelli nidificanti e mam-miferi. La biodiversità ha quindi valori alti inquanto la Riserva protegge il 28% delle specieitaliane e il 51% di quelle presenti nel Lazio.Questo dato è ancora più degno di nota se siconsidera che la Selva del Lamone è un terri-torio collinare di bassa quota, ricoperto daboschi, con alcune zone agricole, dove le areeumide hanno una limitata estensione e sonoassenti insediamenti umani permanenti.Da segnalare che ben 15 specie di vertebrati(compresi i pesci) sono inserite nella lista rossadegli animali d’Italia - vertebrati (Bulgarini etal 1998), mentre 17 specie sono di interessecomunitario e hanno contribuito all’istituzio-ne di cinque Siti di Interesse Comunitario e diuna Zona di Protezione Speciale nella Riservae nelle aree limitrofe.Alcune specie, o comunità animali, presentinella Selva del Lamone sono, da diversi anni,oggetto di studio da parte sia di ricercatori chedal personale della Riserva. I dati permettonodi delineare un quadro approfondito di cono-scenze sulla fauna vertebrata sia a livello di sta-tus che di distribuzione.

MAMMIFERI

Una specie che sembra oramai sull’orlo dell’e-stinzione è la lontra (Lutra lutra) presente finoagli anni ‘90 nel bacino del fiume Fiora e nel-l’affluente Olpeta (Reggiani et al 1986). Inparticolare la specie, proveniente dal Fiora,risaliva l’Olpeta ma non sembrava avere unapresenza stabile su questo corso d’acqua.

L’ultimo dato certo di presenza sul torrenteOlpeta risale al 2000, mentre nel 2004 inda-gini dirette condotte sul tratto laziale del baci-no del Fiora hanno dato esito negativo(AA.VV., 2004) anche se vi sono ancorasegnalazioni della specie nei pressi di Vulci.Inoltre nella parte toscana del Fiora è stataindicata l’estinzione locale della popolazionedi lontra (AA.VV., 2001).È invece presente in modo temporaneo e sal-tuario il lupo (Canis lupus); a partire dainumerosi casi di abbattimenti illegali avvenu-ti negli anni ’80; come ultimo dato si registrail ritrovamento di una femmina abbattuta nelgennaio 2005 nei pressi di Ponte S. Pietro apochi km dalla Riserva.Il lupo può frequentare la Selva del Lamonenell’ambito di movimenti tra aree di presenzarelativamente stabile della specie situate inToscana meridionale e nei settori centrali enord orientali del viterbese.Un canide ampiamente diffuso è la volpe(Vulpes vulpes), così come lo è l’istrice (Hystrixcristata), un roditore relativamente abbondan-te che predilige boschi di cerro e subisce nel-l’area contigua, e nel resto del territorio, fre-quenti uccisioni sia per bracconaggio che perinvestimenti stradali.Tra i mustelidi la specie più diffusa è il tasso

La faunaA cura di Roberto Papi, box a cura di Fiammetta Biselli

La volpe

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Riserva Naturale Selva del Lamone

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a martora è un mammiferomolto simile alla faina, ma sene differenzia per la caratteri-

stica macchia sul petto e sulla gola piùpiccola e gialla anziché bianca. La lun-ghezza del corpo è di circa 45 cm. acui vanno aggiunti i circa 25 cm. dellacoda. La pelliccia, folta e lucida, èbruna mentre il muso ed il mentosono scuri e la testa e le parti del dorsosono chiare; le orecchie sono corte erotondeggianti ed hanno il bordobianco; la coda è lunga e pelosa ed èmolto utile all’animale sia per correresia per saltare, perché funziona comestabilizzatore, mentre le zampe, grazieil quinto dito opponibile, le permetto-no una presa perfetta sugli alberi. Lamartora è, infatti, un abile arrampica-tore sugli alberi, mentre insegue a granvelocità ghiri e scoiattoli fino alle cime

più alte. Per rifugiarsi si serve di tanericavate recuperando i nidi degliuccelli, o degli scoiattoli, o realizzateall’interno degli alberi cavi, o di altrecavità naturali. La martora si accoppiadurante il periodo estivo, da giugno adagosto, ma il parto avviene solo nellaprimavera successiva. Solitamentevengono dati alla luce dai 3 ai 5 cuc-cioli rivestiti di un corto mantello gri-gio, con la macchia sulla gola pocoevidente e la coda più corta che assu-mono la colorazione della pellicciatipica degli adulti solo alla fine delprimo mese di vita. Si nutre di fruttae bacche e di roditori, lepri, conigli educcelli, cacciando non solo di notte eal crepuscolo, ma anche durante ilgiorno e saccheggiando i nidi serven-dosi degli incisivi per aprire il gusciodelle uova.

Il ghiro è un roditore lungo circa30 cm., di cui ben 13 riguarda-no la coda caratterizzato da una

pelliccia di colore grigio o castano suldorso e bianco-gialla sul ventre. Inannate particolarmente fredde rimanea lungo in letargo nella sua tana finoa un massimo di 7 mesi.Questo simpatico animale svolge lesue attività al crepuscolo e di notte;infatti durante il giorno rimane a dor-mire, nascondendosi, nelle fessuredegli alberi, nei nidi artificiali degliuccelli, nelle cavità dei muri e dellerocce, mentre la sera si reca alla ricer-

ca di cibo, costituito da foglie, cortec-ce, frutti con o senza guscio, uova epiccoli uccelli. In autunno il ghiroaccumula nella tana le provviste vege-tali che consumerà durante i brevirisvegli che interrompono il letargoinvernale. L’accoppiamento avvieneuna o due volte, tra maggio e ottobre;in genere a partire da luglio e per tuttal’estate vengono dati alla luce da 2 a 7piccoli, nudi e ciechi, che a tre setti-mane aprono gli occhi e cominciano afare a meno del latte materno e ad ali-mentarsi direttamente

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

(Meles meles), altra specie generalista come lavolpe, che mostra una certa preferenza per leformazioni di latifoglie. Donnola (Mustelanivalis) e faina (Martes foina) sono presentisoprattutto in zone agricole e nei pressi d’in-sediamenti umani. La puzzola (Mustela puto-rius) invece preferisce boschi nelle vicinanze ditorrenti e zone umide, mentre è stata accerta-ta la presenza, con diversi avvistamenti diretti,della più rara martora (Martes martes) speciestrettamente forestale (AA.VV., 2004).Un carnivoro di notevole valore naturalistico èil gatto selvatico (Felis silvestris) per il quale vi è un solo dato certo, relativo ad un esemplarerinvenuto morto nel 2002, e alcuni avvista-menti successivi (AA.VV., 2004).Due specie con distribuzione ampia sono lalepre comune (Lepus europaeus) aiutata dai fre-quenti ripopolamenti, negli ambienti aperticoltivi e pascoli, e lo scoiattolo (Sciurus vulga-ris) nei querceti. La presenza della lepre italica(Lepus corsicanus) è stata accertata per i Montidi Castro situati a pochi km dalla Selva(AA.VV., 2004). Questa specie endemicadell’Italia centrosettentrionale, più piccola erossiccia della lepre comune ma molto similead essa, ha il suo limite settentrionale di diffu-sione nella provincia di Grosseto.Tra gli ungulati il capriolo (Capreolus capreo-lus) è in espansione a partire dagli anni ’80grazie alle popolazioni toscane. Predilige iboschi di cerro. Infine il cinghiale (Sus scrofa)ha una popolazione stimata in circa 300 esem-plari che compiono, comunque, ampi sposta-menti tra la Riserva e l’area contigua. Prediligeboschi di cerro ma in alcuni periodi dell’annofrequenta molto ambienti ecotonali e zoneagricole. Sono poi presenti diverse specie dimicromammiferi tra cui ghiro (Myoxus glis) emoscardino (Muscardinus avellanarius), tra iroditori e il riccio (Erinaceus europaeus), tra gliinsettivori.Nelle aree SIC esterne alla Selva del Lamone èstata accertata la presenza di cinque specie dichirotteri (AA.VV., 2004) e precisamenterinolofo euriale (Rhinolophus euryale), ferro dicavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequi-

num), ferro di cavallo minore (Rhinolophushipposideros), miniottero (Miniopterus schreibersii) e vespertilio maggiore (Myotis myotis).Per quest’ultima specie si tratta dell’unicasegnalazione nota per la provincia di Viterbo.Saranno necessarie ulteriori indagini permigliorare le conoscenze su questo gruppoanimale poco amato e studiato, ma fonda-mentale per gli equilibri ecologici e per il con-trollo delle popolazioni di insetti notturni.

AVIFAUNA

Questo gruppo animale è sicuramente il piùstudiato e conosciuto. Attualmente sono note64 specie nidificanti nella Riserva.La massima biodiversità e presenza di specierare si registra nel settore forestale diCervarano e nelle principali zone agricole,(Campo della Villa, Pian di Lance e Semonte),grazie al mosaico creato da una notevole varie-tà di ambienti, tra cui è molto importante lapresenza di siepi, e grazie al notevole sviluppodi ambienti ecotonali lungo i confini con iboschi circostanti.

AVIFAUNA FORESTALE

La comunità ornitica forestale è la più ricca e varia. Il monitoraggio avviato nel 2001 con-sente di valutare la dinamica della comunitàsia a livello di composizione che di frequenzadelle specie. Il colombaccio (Columba palumbus), è unadelle specie più abbondanti, mentre meno dif-fusa è la Tortora (Streptotelia turtur), che rag-

Il moscardino

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Riserva Naturale Selva del Lamone

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l picchio rosso maggiore, simbo-lo della Riserva naturale Selvadel Lamone, raggiunge una lun-

ghezza corporea di circa 23 cm. e haun piumaggio nero su cui spicca ilbianco di parti inferiori, spalle edalcune zone del capo. Gli adulti hannoil vertice nero mentre i giovani lohanno rosso, le copritrici inferioridella coda sono rosse sia nei maschiche nelle femmine, mentre solo imaschi hanno anche la nuca rossa.Vola a sbalzi e con una velocità note-vole anche se ha poca resistenza; rara-mente scende sul terreno, ma quandolo fa vi saltella con una certa disinvol-tura. È un uccello sedentario, ma ognitanto si possono osservare massiccemigrazioni a sud da parte d’individuiche vivono nell’Europa del nord, lazona più settentrionale dell’areale didistribuzione della specie.

L’accoppiamento avviene all’iniziodella primavera; utilizza come nidouna cavità, con foro d’ingresso di 5-6cm., scavata nel tronco degli alberi(con preferenza per quelli morti omarcescenti), dove la femmina deponeda 4 a 6 uova, piccole, allungate emolto fragili, che cova per circa 16giorni alternandosi con il maschio. La prole è accudita con grande curafino a quando non è in grado di pro-curarsi il cibo da sola. Il picchio rossomaggiore si ciba di insetti e delle lorolarve, di nocciole e di bacche, arrivan-do anche a depredare uova e piccoli dialtre specie. Nella Selva del Lamonegià da febbraio è possibile ascoltare iltipico tambureggiamento, prodottopercuotendo rapidamente il becco sutronchi o rami morti, emesso dal pic-chio per marcare il territorio.

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

giunge maggiori densità negli ambienti mistial confine con boschi.Il picchio verde (Picus viridis) ha densità piùelevate del picchio rosso maggiore (Picoidesmajor); entrambi i picidi sono diffusi in tuttala Riserva. Le alte frequenze registrate in spe-cie come picidi e picchio muratore (Sitta euro-paea) sono tipiche di ambienti forestali evolu-ti, ma nel caso della Selva sono dovute in granparte alla presenza di numerosi alberi monu-mentali sparsi nel bosco con diametri che nondi rado sfiorano il metro, che spiccano nelresto del bosco non particolarmente evoluto ematuro. Le famiglie dei turdidi e dei silvidiannoverano diverse specie tipicamente foresta-li tra cui i comuni pettirosso (Erithacus rube-cula), merlo (Turdus merula), capinera (Sylviaatricapilla) e luì piccolo (Phylloscopus collybi-ta), mentre la tordela (Turdus viscivorus) e ilfiorrancino (Regulus ignicapillus) sono piùlocalizzati nei boschi freschi di Cervarano -Roggi.Più ecotonale la sterpazzolina (Sylvia cantil-lans) che predilige arbusteti, pinete con foltosottobosco e margini forestali.Codibugnolo (Aegithalos caudatus) e cincesono ampiamente diffusi. Tra le cince, accan-to alle più comuni cinciallegra (Parus major) ecinciarella (Parus coeruleus), c’è la più localiz-zata cincia bigia (Parus palustris), che frequen-ta più spesso la tipologia dei boschi ripariali ofreschi di tipo mesofilo - come le zone diCervarano e i Roggi.Il picchio muratore è diffuso e relativamenteabbondante in tutti gli ambienti forestali,mentre il rampichino (Certhia brachydactyla)ha una minor diffusione. Entrambe le specie,insieme ai picidi, sono favorite dall’aumentodi età, dal grado di naturalità e di complessitàstrutturale dei boschi che si riscontra ad es. neiboschi mesofili e nelle fustaie irregolari.Da ricordare il rigogolo (Oriolus oriolus) chefrequenta anche i margini forestali, oltre a duespecie tipiche del querceto e ampiamente dif-fuse come fringuello (Fringilla coelebs) eghiandaia (Garrulus glandarius).

AVIFAUNA DEGLI AMBIENTI APERTI

Negli ambienti aperti, coltivi e pascoli, trovia-mo un’avifauna tipica con specie rare, insiemea generalisti quali la cornacchia (Corvus coro-ne cornix) o i passeri (Passer sp.), che hanno,invece, popolazioni generalmente abbondanti.Alcune specie frequentano, oltre che le areeaperte, i confini con il bosco e gli ambientiforestali più radi come ad es. il fagiano(Phasianus colchicus), l’upupa (Upupa epops),che predilige i margini forestali e le stradeinterne, e il succiacapre (Caprimulgus euro-paeus). Quest’ultima specie è un uccello notturnoinserito nella lista rossa della fauna d’Italia,più grande di un merlo, che si nutre di insettied emette uno strano canto metallico; è pre-sente nella zona Voltone-Dogana e nei pasco-li accanto al fosso dell’Olpeta.Un altro galliforme presente, come il fagiano,ma di maggior valore naturalistico è la quaglia(Coturnix coturnix) dal ritmico e inconfondi-bile canto, un “liquido” quit-quit-quit. La tottavilla (Lullula arborea) è invece associa-ta strettamente alle radure e agli ambientiagrari aperti; al di sopra dei campi compie ilclassico volo territoriale emettendo il cantoper delimitare il proprio territorio. Negliambienti agrari hanno una buona diffusioneanche la cappellaccia (Galerida cristata) e allo-dola (Alauda arvensis), parenti stretti della tot-tavilla, che testimoniano con la loro presenza,così come la quaglia, una buona qualitàambientale degli ambienti agrari.Lo strillozzo (Miliaria calandra) è una dellespecie più abbondanti in particolare nei semi-nativi e pascoli dove è la specie dominante,mentre saltimpalo (Saxicola rubetra), canapi-no (Hippolais polyglotta), averla piccola(Lanius collurio) e sterpazzola (Sylvia commu-nis) sono più localizzati con presenza di pochecoppie. L’averla piccola, in particolare, è presente soloin loc. Pian di Lance ed è una specie in fortecalo in tutto il suo areale in Europa.Specie xerofila tipicamente mediterranea èl’occhiocotto (Sylvia melanocephala) che nella

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Riserva Naturale Selva del Lamone

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a ghiandaia, che raggiungeuna lunghezza di circa 34 cm.e un peso di circa 190 gram-

mi, ha un caratteristico piumaggiobruno-rosato con coda nera, ali nerecon una macchia bianca e una azzurrae lunghe piume erettili striate di bian-co e di nero sul capo ed è dotata di unbecco piuttosto grosso e leggermenteuncinato all’apice. Quest’ uccello,abbastanza irrequieto, si muove connotevole agilità fra i rami degli alberi,avendo tuttavia un forte timore degliuccelli rapaci, i quali non hanno diffi-coltà a catturarlo allorché si trova avolare in luoghi aperti. Dotato diun’eccellente capacità imitativa, spes-so, oltre al suo normale grido che è unacuto e poco gradevole”ree ree”, mia-gola come un gatto e riproduce verosi-milmente il verso della pioana e dimolti altri uccelli.

La ghiandaia trascorre tutta la vita trale fronde degli alberi soprattuttoall’interno di querceti; tuttavia, seppurraramente, si avventura sui terreniaperti se confinano con boschi. Lecoppie si formano in primavera ecostruiscono il loro nido mai troppoin alto sugli alberi e lo rivestono inter-namente di piccole e morbide radici;in esso saranno deposte tra aprile emaggio da 5 a 6 uova bianco–giallo-gnole o verde-biancastre, macchiate dibruno. I piccoli nasceranno dopo sedi-ci giorni e ce ne vorranno altri ventiaffinchè si involino dal nido. La suaalimentazione essendo onnivora pre-vede oltre a ghiande, faggiole, casta-gne, nocciole e bacche, anche uova enidiacei; cattura inoltre occasional-mente anche animali di piccola taglia,come roditori, insetti e lucertole.

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

Riserva si può trovare solo negli arbusteti chespesso corrispondono a pascoli o coltiviabbandonati da pochi anni. Lo zigolo nero(Emberiza cirlus) frequenta soprattutto gliambienti agricoli, oltre ad arbusteti e marginidi boschi, mentre negli ambienti più antropiz-zati (casali, alcuni margini della Riserva) tro-viamo specie generaliste di scarso valore natu-ralistico: corvidi (gazza e cornacchia grigia),storno (Sturnus vulgaris) e passeri.

RAPACI

Tra i rapaci notturni l’allocco (Strix aluco) è ilpiù diffuso negli ambienti forestali, ma fre-quenta anche margini forestali e zone limitro-fe. La civetta (Athene noctua) è tipica, invece,degli ambienti agricoli.La specie di maggior interesse è certamentel’assiolo (Otus scops), rapace notturno migra-tore che si ciba di insetti; nelle caldi notti d’e-state riecheggia nelle campagne il suo caratte-ristico canto, un monotono “chiù”.Nella Riserva e nell’area contigua nidificanosette specie di rapaci diurni che si possonoosservare principalmente nelle zone apertementre sono a caccia. Il biancone (Circaetus gallicus) è la specie dimaggior pregio naturalistico insieme all’alba-nella minore (Circus pygargus). Il biancone,detto anche aquila dei serpenti, è presentenella Selva del Lamone dalla metà di marzo afine settembre. Caccia negli ambienti apertiinterni e circostanti la Riserva come la zonadel Voltone, ma anche nelle radure interne di

piccole dimensioni.L’albanella minore è un rapace migratore chein Italia nidifica nei campi di grano e si nutredi animali del terreno (soprattutto roditori,ma anche rettili e insetti). Per questa sua abi-tudine è molto minacciato in quanto le nidia-te vengono spesso distrutte durante le opera-zioni di raccolta del grano. La specie presentauna spiccata differenza fra i sessi, infatti il piu-maggio del maschio è color grigio-cenere nellaparte superiore, mentre quello della femminaè color bruno-castano.Altre due entità importanti presenti nellaSelva con una coppia sono il falco pecchiaiolo(Pernis apivorus), specie tipicamente forestale con alimentazione specializzata in vespe, cala-broni o altri imenotteri, e il lodolaio (Falcosubbuteo), falchetto che può assomigliare involo ad un grande rondone, una delle sueprede abituali.Il rapace più strettamente forestale è lo spar-viere (Accipiter nisus), presente con almenouna coppia, specializzato nella cattura diuccelli forestali, che raggiunge dopo rapidiinseguimenti tra gli alberi.Più comuni e facilmente visibili sono la poia-na (Buteo buteo), che nidifica nei boschi macaccia negli ambienti aperti, e il gheppio(Falco tinnunculus) che nidifica nei vecchicasali o sui tralicci della luce ed è spesso osser-vabile mentre caccia, sostando fermo in volonella posizione detta dello “spirito santo”, incerca di roditori o piccoli rettili.

RETTILI

Uno degli animali più interessanti e minaccia-ti è la testuggine comune (Testudo hermanni),specie tipica di ambienti mediterranei che inToscana raggiunge i limiti settentrionali didistribuzione in Italia. Il fenomeno diffuso delrilascio di animali provenienti da allevamentio da privati è una grave minaccia per la con-servazione della testuggine in quanto spessogli animali rilasciati appartengono a sottospe-cie o specie diverse e causano fenomeni diinquinamento genetico alla popolazione selva-tica; altre minacce possono derivare dagli

L’occhiocotto

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Riserva Naturale Selva del Lamone

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uesto rapace ha un corpopiuttosto massiccio lungo50-55 cm. con una coda

ampia e arrotondata e le ali larghe macorte. La femmina è più grande delmaschio e può avere un’apertura alareanche di un metro e mezzo.Il piumaggio negli adulti è marronecon macchie bianche sul petto e stret-te barre scure sulla coda; le zampehanno unghie ricurve e appuntite.Tipico di questo falconiforme è il vololento con ampi e lunghi volteggi pla-nari che permette all’animale di sfrut-

tare il più possibile le correnti ascen-sionali per poi lanciarsi in picchiatasulle prede costituite soprattutto daarvicole, topi e piccoli mammiferi.L’accoppiamento e la costruzione delnido, localizzato prevalentementesugli alberi, avvengono a partire dalmese di marzo dopo aver effettuatoparate nuziali tra gennaio e aprile. Lafemmina depone 2-4 uova che vengo-no covate 33-35 giorni; i piccolirimangono nel nido per 6-7 settimanealimentati da entrambi i genitori.

Recupero di una poiana

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incendi degli ambienti aperti o di macchia chela specie frequenta.Per questo motivo la testuggine comune èprotetta in base alla ConvenzioneInternazionale di Washington, anche notacome CITES, che garantisce la regolamenta-zione dello sfruttamento commerciale didiverse specie animali e vegetali minacciate diestinzione. La natrice dal collare (Natrixnatrix) è un rettile, legato in parte alle zoneumide, abbondante nella Selva del Lamone.Negli ambienti forestali e soprattutto lungomargini e radure troviamo le altre specie direttili. Le lucertole (Podarcis muralis e Podarcissicula) sono molto diffuse così come il ramar-ro (Lacerta bilineata), più legato agli ecotoniforestali.Per l’orbettino (Anguis fragilis) ci sono pocheosservazioni nella Riserva, anche se ci sonoambienti idonei per la sua diffusione.Tra i serpenti più comuni c’è sicuramente ilbiacco (Coluber viridiflavus), insieme allavipera (Vipera aspis) che si può trovare in alcu-ni periodi anche nei pressi di zone umide.Meno diffusi il grande cervone (Elaphe qua-terlineata) e il colubro di Esculapio (Elaphelongissima) entrambe specie arboricole.

ANFIBI

All’interno della Riserva non è stata accertatala presenza della salamandrina dagli occhiali(Salamandrina terdigitata), rilevata inveceall’interno della Zona di Protezione Speciale(AA.VV., 2004). Questo anfibio è l’unico

genere di vertebrato terrestre endemicodell’Italia ed è l’unica specie vivente del suogenere. Il tritone crestato (Triturus carnifex) eil tritone punteggiato (Triturus vulgaris meri-dionalis) sono invece due anfibi urodeli, somi-glianti in parte alla salamandrina, presenti inRiserva. Gli ambienti in cui si rinvengonosono i lacioni ed anche le piccole pozze lungoil corso di alcuni fossi.Tra gli anuri la specie più diffusa è sicuramen-te la rana verde (Rana esculenta complex) chefrequenta tutte le zone umide della Riserva, danon confondersi con la più esigente e localiz-zata raganella (Hyla italica), un anfibio conspiccata capacità di arrampicarsi localizzabiletramite l’inconfondibile canto notturno.Le rane rosse (Rana dalmatina e Rana italica),più esigenti della rana verde, sono invece loca-lizzate lungo i torrenti e, secondariamente, inalcuni stagni.La presenza dell’ululone dal ventre giallo(Bombina pachypus) non è accertata all’internodella Riserva, ma ci sono osservazioni diretterisalenti agli anni Ottanta esternamente all’a-rea protetta nel SIC “Selva del Lamone”. Laspecie è in forte e inspiegabile calo in tutto ilsuo areale. Infine tra i bufonidi abbiamo ilrospo comune (Bufo bufo) ed il più raro rosposmeraldino (Bufo viridis) osservato pochevolte nella Riserva.

PESCI

Riguardo questo gruppo animale le informa-zioni derivano dal piano di gestione dei SIC e

L’albanella

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Riserva Naturale Selva del Lamone

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n Italia la si può osservare damarzo ad ottobre e in modo piùassiduo durante i mesi di aprile e

maggio. Nel Lazio le osservazioni piùrilevanti e numerose si effettuano daaprile ad ottobre con una maggiorefrequenza a maggio, giugno e settem-bre. L’alimentazione comprende siavegetali come foglie verdi, germogliteneri, frutti ed erbe varie sia inverte-brati soprattutto nell’età giovanile.La maturità sessuale viene raggiunta acirca 9 anni per i maschi e 11 per lefemmine. La femmina depone nel ter-reno, sotterrandole, le uova nel perio-do che va da aprile a giugno; questesono bianche, rotonde, con un rivesti-mento duro, e raggiungono un peso di

circa 10 grammi per un diametro dicirca 40 mm. Il loro numero varia da1 a 6 per covata e generalmente sihanno 2 covate l’anno, a partire dagiugno; i piccoli, che nasceranno dopodue mesi o più a seconda della tempe-ratura, misurano sui 4 cm. circa eassomigliano fin dall’inizio agli adulti.La determinazione del sesso è termica(50% di maschi e femmine tra i 30 e i31°C, tra i 26 e i 29°C tutti maschi,tra i 32 e i 34°C tutte femmine).Viene predata principalmente dal cin-ghiale, dalla volpe, dal cane inselvati-chito e talvolta dall’istrice mentre iltasso e la faina si cibano delle sueuova.

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

del ZPS (AA.VV., 2004). In seguito a cam-pionamenti sono state rinvenute due specienel fosso dell’Olpeta, entrambe di interessecomunitario (inserite nelle liste della Direttiva“Habitat”): il vairone (Leuciscus souffia muti-cellus) e la rovella (Rutilus rubilio).Il vairone, endemismo italiano più esigentedella rovella, può essere considerato un buonindicatore ambientale per corsi d’acqua noninquinati e che conservano idonee caratteristi-che ambientali.

INVERTEBRATI

In questo gruppo sono da citare il granchiod’acqua dolce (Potamon fluviatile) e il più esi-gente e raro gambero d’acqua dolce(Austropotamobius italicus), entrambi presentilungo il fosso dell’Olpeta. Tra le numerosespecie di insetti presenti si segnalano il cervovolante (Lucanus cervus), il cerambix cerdo e lafarfalla del corbezzolo (Charaxes jaseus).

GLOSSARIO

Capitozzare: pratica selvicolturale con la qualesi recidono i fusti ad una certa altezza da terra.Ceduo: tipo di governo selvicolturale nellaquale la rinnovazione del soprassuolo avvieneper via agamica, cioè con polloni emessi, aseguito di un taglio, dalla ceppaia o dalle radi-ci. Può essere semplice, matricinato, compo-sto o invecchiato. Il ceduo invecchiato vieneassimilato al governo a fustaia.Ecotono: zona di transizione fra due diverseambienti, dove avviene un graduale passaggio

fra le specie caratteristiche di una biocenosi ele specie caratteristiche dell’altra.L’importanza dell’ecotono è dovuta al fattoche in esso, generalmente, si ha una maggiorebiodiversità che nelle biocenosi che separa.Eliofilo: organismo che ama il sole, che ha esi-genze di luce.Epifita: pianta autotrofa vivente su un’altrapianta che le serve esclusivamente da sostegno.Fustaia: forma di governo selvicolturale nellaquale la rinnovazione del soprassuolo avvieneattraverso piante nate da seme, provenienti dadisseminazione naturale, piantagione o semina.Geomorfologia: è la scienza che studia le formedel territorio e gli eventi che lo hanno genera-to e modificato.Igrofilo: organismo che ama vivere in ambien-te ad elevata umidità atmosferica. Lepidotteri: ordine di insetti meglio conosciu-ti come farfalle, caratterizzati, allo stadio adul-to, da ampie ali membranose ricoperte disquame e da un apparato boccale succhiatore.Mesofilo: organismo che necessita di condizio-ni di umidità atmosferica intermedie.Nitrofilo: organismo che ama terreni ricchi diazoto.Ombrotipo: è dato dall’indice ombrotermico(rapporto tra la somma delle precipitazioni deimesi con temperatura media superiore a 0°C ela somma delle temperature degli stessi mesi)che mette in relazione i valori pluviometricicon quelli termici. Il risultato ottenuto sicompara con dei valori standard che determi-nano il tipo situazione climaticaPedologia: scienza che studia il suolo comeparte superficiale della crosta terrestre.Piante vascolari: sono piante dotate di vasi peril trasporto delle sostanze nutritive. Si distin-guono in piante vascolari prive di seme(Pteridofite, le felci), piante vascolari a semenudo (Gimnosperme, le conifere) e piantevascolari a seme protetto (Angiosperme, lelatifoglie).Prato polifita: prato costituito da più specie dipiante.Regione Mesaxerica: regione bioclimaticasecondo la classificazione di Bagnouls e

Il tritone

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Gaussen (1957), caratterizzata da temperaturee precipitazioni che rientrano in un range dioscillazione standard.Riparia: vegetazione situata in prossimità dellesponde dei corsi d’acqua e dei laghi.Specie di mantello: sono quelle piante arbustiveche allignano ai bordi dei boschi e che creanouna sorta di fascia di protezione alle speciearboree. Hanno grande importanza per gliuccelli che si nutrono dei loro vistosi frutti. Termofilo: organismo che predilige le alte tem-perature.Termotipo: è dato dall’indice bioclimatico ditermicità (somma di: temperatura mediaannua, media delle temperature massime delmese più freddo e media delle temperatureminime del mese più freddo, moltiplicata per10) che permette di ponderare sia l’intensitàdel freddo invernale, fattore limitante per la

vegetazione, che l’ampiezza termica annua. Ilrisultato ottenuto si compara con dei valoristandard che determinano il tipo situazioneclimatica.Toponimo: nome proprio di luogo.Ubiquitario: dicesi di specie diffusa un po’ovunque che si adatta a diverse condizioni dicrescita.Ungulato: Mammifero erbivoro munito dizoccoli. Si distinguono in Proboscidati (ele-fante), Perissodattili (cavallo) e Artiodattili(buoi).Vegetazione azonale: è quella vegetazione che siritrova ovunque le condizioni siano idonee allacrescita (sempre nei confini del suo areale didistribuzione), senza troppi limiti altitudinali.Xerofilo: organismo che predilige i luoghiaridi.

Il ramarro

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Le più antiche testimonianze della pre-senza umana nella Selva del Lamonesono testimoniate da rinvenimenti

diffusi di strumenti litici risalente alPaleolitico medio; si tratta di manufatti inselce scheggiata e schegge di lavorazione chesono stati ritrovati nelle località limitrofe diRoppozzo e Cavicchione. Sono ascrivibili cro-nologicamente ad un lasso di tempo compre-so tra 50.000 e 35.000 anni fa e rientranotipologicamente nella facies culturale delMusteriano, attribuita all’Uomo diNeanderthal, un nostro antico cugino caccia-tore-raccoglitore estintosi circa 30.000 annida oggi. Negli stessi siti è documentata unacontinuità dell’attività dell’uomo anche nelPaleolitico superiore dove il rinvenimento diuno strumentario litico di fattura più raffina-ta di quelli precedenti, assieme ad abbondantiframmenti e scarti di lavorazione, hanno fattoipotizzare agli archeologi la presenza di un’of-ficina per la produzione di strumenti di pietrain questo luogo. Con il procedere del periodopost-glaciale, intorno a diecimila anni da oggile temperature, lentamente, si innalzanocreando le condizioni fisiche per il passaggiocruciale verso un nuovo stadio culturale dellepopolazioni umane.Nel Neolitico antico, intorno al VI millennio,ha luogo nella Penisola la grande rivoluzioneche porta l’uomo a impadronirsi delle tecni-che di coltivazione delle piante e dell’alleva-mento di diverse specie animali. Gli effettidella rivoluzione neolitica sono costituiti dallanotevole espansione demografica e l’iniziodell’irreversibile passaggio verso le forme divita sociale strutturata, mediante la costituzio-ne dei primi aggregati di villaggi, costituitiprobabilmente da capanne.Il passaggio dallo stato nomade alla stabilitàabitativa favorisce la nascita di attività specia-lizzate come la tessitura e la lavorazione della

ceramica; l’esercizio dei commercio permettele circolazione di materie prime e di manufat-ti anche su lunghe distanze.Nella Selva del Lamone, in località diRoppozzo, sono state ritrovate schegge di ossi-diana, la cui presenza in siti archeologici costi-tuisce un riferimento sicuro per il periodoNeolitico. Si tratta tuttavia di rinvenimentisporadici sulla base dei quali non è possibiledimostrare l’esistenza di un insediamento;d’altronde pochi sono in tutta la Tuscia i sitiNeolitici di un certo rilievo, come quello diLuni sul Mignone e quello di Monte Veneresui monti Cimini.L’ossidiana è un vetro di silice del tutto simileal vetro di produzione umana ma che si origi-na naturalmente dai silicati presenti allo statoliquido nella lava incandescente quando que-sta, venendo a contatto con l’aria, subisce unraffreddamento rapido. Roccia vulcanicaabbastanza rara, nel Mediterraneo occidentalesi trova soltanto in quattro luoghi: a Lipari, aPalmarola, a Pantelleria e in Sardegna, nel gia-cimento del vulcano spento del monte Arci.In questo periodo il cui l’uomo non conosceancora l’uso dei metalli, l’ossidiana costituisceun bene raro e ricercato, poiché permette, larealizzazione di utensili da taglio (coltelli,raschiatoi, punte per frecce) di prestazionisuperiori a quelle ottenute da analoghi utensi-li in pietra. L’ossidiana è uno dei materialioggetto di intenso commercio via mare nelperiodo Neolitico, come dimostra il suo ritro-vamento in località anche molto lontane daigiacimenti.Nell’Età del Rame, datata tramite ilCarbonio14 tra la fine del IV e l’inizio del IImillennio prima di Cristo, per il Lamone, iriferimenti sono costituiti dalle tre necropolidella cultura di Rinaldone, le cui cospicuetracce sono state scoperte nelle località delPalombaro, del Gottimo e del Naviglione

Archeologia e storiaA cura di Daniele Ciavatta

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Riserva Naturale Selva del Lamone

(quest’ultima all’esterno della RiservaNaturale ma poco lontana da essa). Le tombe,scavate nella roccia tufacea, assumono la carat-teristica forma a forno in cui il defunto èdeposto in posizione rannicchiata assieme alcorredo funebre costituito da armi in ramecome le asce e il particolare pugnale a lamatriangolare con costolatura mediana, nonchévasi ceramici dalla tipica forma a fiasca.Quella di Rinaldone (dal nome della localitàvicino Viterbo ove furono fatti i primi ritrova-menti), è una cultura preistorica autoctonadell’Etruria, le cui sepolture sono state ritrova-te in gran numero nella Maremma tosco-lazia-le (valle del Fiora, Norchia, Luni sulMignone). In particolare va citato il sito diPonte S. Pietro, in Comune di Ischia diCastro, non lontano dal Lamone, con unaconcentrazione di dodici necropoli rinaldo-niane.Per l’Età del Bronzo, oltre alle segnalazionisparse di tracce di insediamenti relativi allafase del Bronzo Antico (dal XVIII al XVI sec.a.C.) va segnalata la tomba di Prato diFrabulino. Inquadrata cronologicamente nelBronzo Medio, (dal XVI al XIII sec. a.C.),questa sepoltura, a suo tempo già violata dai“tombaroli” è costituita da un ampio corri-doio che conduce ad una camera quadrango-lare chiusa da una lastra di tufo. Durante loscavo condotto nel 1992 dall’Università diMilano, dalla Soprintendenza archeologicaper l’Etruria meridionale e dal Museo civico diFarnese, vi sono stati ritrovati i resti di quattroindividui, di cui due di sesso femminile eduno di un bambino nonché i resti del corredofunebre costituito da quattro vasi ceramici,una collana in faïence e tre fermacapelli inargento. La tomba non è attualmente visitabi-le, poiché è stata nuovamente interrata dopolo scavo.Per il Bronzo Recente (dal XIII al XII sec a.C.)abbiamo indizi di insediamenti per il sito diLa Botte e Crostoletto di Lamone, fuoriRiserva Naturale. La fase finale del Bronzo,alle soglie del X secolo a.C. è abbondante-mente rappresentata con numerose tracce di

villaggi all’interno del bosco o nelle sueimmediate vicinanze; tra gli altri citiamo i sitidi La Botte, Le Castellare, Mandria Buona,Valderico.Un’importanza particolare assume l’abitato delBronzo Finale di Sorgenti della Nova, localiz-zato a nord della Selva del Lamone, all’estremoconfine regionale con la Toscana e attualmen-te in via di inclusione nel territorio dell’AreaProtetta. L’abitato sorge su un promontorio ditufi e pomici e dal 1974 è oggetto di regolaricampagne di scavo, iniziate da FerranteRittatore Vonwiller e condotte fino ad oggidall’Università di Milano sotto la direzione diNuccia Negroni Catacchio.Nonostante le parziali distruzioni causate sulversante nord dai lavori di una cava rimastaattiva fino al 1976, le ricerche hanno portatoalla luce la rete delle strutture abitative, grottee capanne, nonché delle strutture accessorie,come i forni, i bacini di approvvigionamentoidrico e canali di drenaggio che hanno per-messo una ricostruzione piuttosto completa diun abitato che alle soglie del Villanoviano, siconfigura oramai come “protourbano”.Oltre a questi dati da Sorgenti della Nova pro-viene una ingente quantità di reperti archeolo-gici, fondamentali, tra l’altro, per lo studiodella cultura materiale e del repertorio tipolo-gico e decorativo del Bronzo Finale.Alcuni dei materiali più interessanti prove-nienti dallo scavo sono attualmente espostipresso il Museo civico di Farnese.Il periodo Villanoviano, (dal 900 al 700 a.C.),in cui viene scoperta la lavorazione del ferro, è,almeno allo stato attuale delle ricerche, assen-te dalla Selva del Lamone. Il motivo di questovuoto va forse ricercato nella tendenza, in que-sta fase, all’abbandono dei centri minori infavore di veri agglomerati urbani, precursoridelle città etrusche. Nuove testimonianze dellapresenza umana nel Lamone tornano ad essereevidenti nel periodo etrusco verso il VI secolo.La presenza etrusca qui non assume le caratte-ristiche dei grandi centri urbani, ma piuttostoè in funzione di controllo del territorio.Piccoli insediamenti sorgono lungo le direttri-

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ci di comunicazione stradale e in prossimitàdei centri di approvvigionamento di materieprime. In questo senso vanno visti insedia-menti come Rofalco nella Selva del Lamone,Castro, Poggio Buco vicino al Fiora.Si ipotizza che, a sua volta, il centro etruscoche oggi chiamiamo Rofalco, svolgesse il ruolodi controllo della zona e ad esso facessero rife-rimento i villaggi de I Crini e Le Castellare,allineati sulla valle dell’Olpeta, al limite sud-est del bosco del Lamone. In relazione conquesta situazione insediativa viene messa lamonumentale tomba del Gottimo, localizzatapoco lontano sullo stesso versante al confinedel bosco. Si tratta di una sepoltura gentiliziascavata nel tufo e costituita da due celle specu-lari con vestibolo. Il soffitto, ottimamenteconservato, riproduce, scolpita nel tufo, lastruttura a travatura in legno usata nelle casedi abitazione etrusche.La città che controlla questi centri minori èVulci. Localizzata su un pianoro sul fiumeFiora, a poca distanza dal Tirreno, la città diVulci fu una delle più importanti metropolidell’Etruria, raggiungendo il periodo di massi-ma prospertità nel VI secolo a.C.Nella seconda metà del V secolo a.C. la cittàsubisce un periodo di declino, seguito da unaripresa a partire dalla seconda metà del IVsecolo a.C. e durante il periodo ellenistico,sino alla definitiva sconfitta della città, nel280 a.C., da parte di Roma. Vulci entra così,nella sfera d’influenza romana perdendo partedel suo territorio e il controllo sulla costa, spe-cialmente dopo la deduzione della coloniaromana di Cosa-Ansedonia nel 273 a.C. Ilsigillo del definitivo dominio romano sullacosta tirrenica venne apposto con la realizza-zione della Via Aurelia.Dal II secolo a.C. la Selva del Lamone e lezone vicine sono interessate da un incremen-to delle attività agricole che porta alla nascitadi numerose fattorie. Resti di queste strutturesuno stati ritrovati in quantità notevole, mamanca ancora uno studio che possa condurread una interpretazione organica del fenomeno.I siti sono quelli di Campo della Villa, la

Mandriola, Semonte, Roppozzo, ilPalombaro. Nel periodo medievale assume uncerto rilievo il complesso di Santa Maria diSala dove, oltre alla chiesa omonima, oggidiruta ma ancora officiata negli anni sessanta,sono stati rilevati un abitato rupestre, uncastello, una necropoli e un ponte.Il toponimo Sala indica l’origine longobardadell'insediamento e l’epoca della sua fondazio-ne. Le prime notizie storiche risalgono al1210, nell’atto di infeudazione dell’imperato-re Ottone IV alla famiglia degli Ildebrandini.A nord, nella valle del fosso Crognoleto, tro-viamo un altro complesso medievale, quello diValderico. Anche qui il toponimo, trasparen-te, tradisce l’origine barbarica dell’insedia-mento. “Signore del bosco” è il significato del-l’unione dei due termini Wald e Rick.L’indagine archeologica ha evidenziato lestrutture di un villaggio, posto in posizionenaturalmente fortificata, di una chiesa e diuna necropoli. Una sorgente provvedeva allenecessità di acqua della comunità. La stessasorgente alimentava fino a qualche anno faquello che tutti i frequentatori del posto cono-scono come “il fontanile di Valderico”, unadelle poche, preziose sorgenti d’acqua all’in-terno del bosco.Nel sito di Sorgenti della Nova si trova, par-zialmente sovrapposto alle strutture protosto-riche, un centro medievale costituito da abita-zioni rupestri alternate a case in muratura,una chiesa a pianta rettangolare e unica nava-ta absidata e un castrum turrito.

Scavo del sito di Prato Pianacquale

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Riserva Naturale Selva del Lamone

Nell’800 nelle regioni centro-meri-dionali d’Italia il brigantaggio fuuna pesante e problematica realtà

con radici e connotazioni diverse a secondadelle condizioni sociali e politiche in cui nac-que e allignò. Nella memoria e nella tradizio-ne orale della Tuscia alcune figure di brigantisono entrate a far parte nell’immaginario col-lettivo e ancora appassiona un giudizio su diloro. Brutali assassini, autori di estorsioni eviolenze o una sorta di eroi dei poveri e di-seredati contro i ricchi e i potenti? Sta percerto che il brigantaggio nel Lazio prosperavain una società misera e negletta, vessata datasse e balzelli, oppressa da un governo ottusoe da una giustizia inumana e distorta, domi-nata da pochi nobili e latifondisti. Miseria,analfabetismo e superstizione erano malicomuni insieme alla malaria. Il brigantaggiopoteva prosperare in una società dove i piùelementari diritti erano negati. Quasi sempreil primo passo verso la latitanza e la fuga negliimpenetrabili boschi era una dura condannaper un furto di bestiame, un delitto d’onore oper reazione alle continue angherie subite daparte dei fattori e dei guardiani dei grandi lati-fondi.La popolazione per paura, per legami diparentela o per convenienza, copriva con ilsilenzio le imprese dei fuggiaschi, ricercati dauna gendarmeria che con grande difficoltàriusciva a catturarli. Ricorrono nei raccontidella Tuscia i nomi di Ansuini e Menichetti, diErpita, Pietro Rossi e Brando Camilli cheebbero Latera come teatro delle loro gesta, diFumetta, Bustrenga e Marintacca che semina-rono terrore e sangue nel territorio di Castro.Nella zona della Teverina si imposero Biscarinie Pastorini che in seguito, attestatisi nella zonadi Castro e del Lamone, accolsero poi nellaloro banda Tiburzi e Biagini (quest’ultimonativo di Farnese e noto con l’appellativo di

“Corata” soprannometipico della famigliaBiagini, divenuto poi “IlCurato” per via delle suemanie religiose) i qualispesso albergavanoall’interno della Selva delLamone, soprattuttodurante il periodoautunnale e invernale,per via della presenza deicarbonai e dei taglia-legna, ed erano di granlunga i più temuti. Alcuni di questi brigantivennero sepolti nel vecchio cimitero diFarnese.I latifondisti venivano ricattati e costretti aconsegnare forti somme di denaro (tassa sulbrigantaggio). Altre volte erano presi di mira iricchi nobili o rapite belle giovani di cui si per-deva notizia. L’audacia dei briganti aumentavatanto più, quanto si sentivano sicuri e impu-niti. Capitò ad esempio al Conte Leali divedersi arrivare in villa Biscarini e Pastoriniche, tra lo spavento dei commensali, volleropartecipare al banchetto e se ne andaronotranquilli e indisturbati. Né le carrozze chetransitavano sulle vecchie strade avevanomiglior sorte ed erano di frequente assalite edepredate. Estirpare la piaga del brigantaggioe per l’omertà e per l’andamento del territorio,non fu né facile, né di breve durata. Non vierano riuscite le truppe pontificie e quellefrancesi durante l’occupazione, né migliorsorte ebbero le leggi speciali del Regnod’Italia. Certo fu una lotta crudele e cruenta,ancora oggi oggetto di studi e di analisi.Meritano un discorso a parte alcune figure chesono entrate nella leggenda e la cui personali-tà, piena di contrasti, va analizzata sotto unaluce particolare. Sono questi DomenicoBiagini, detto Il Curato e Domenico Tiburzi

Il Brigantaggio A cura di Fabrizio Marchionni

Il brigante Tiburzi

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Guida ai servizi delle aree naturali e protette del Lazio

detto Domenichino (o “Livellatore” o “Re delLamone”), le cui attività e connivenze furonosviscerate nel processo di Viterbo del 1893 checoinvolse in modo pesante tutti coloro che, inqualche modo, potevano avere avuto contattocon i famigerati briganti. Ben 271 abitantidella zona della Maremma Tosco-Laziale, ven-nero imputati di favoreggiamento, tra questianche l’allora Sindaco di Farnese, PietroCastiglioni, ed il Segretario ComunaleEucherio De Angelis.Tiburzi, di famiglia poverissima, fin da ragaz-zo aveva subito lievi condanne per risse e furtidi erba da pascolo, allora preziosa. A pascola-re abusivamente il proprio bestiame, lo sor-prese il fattore del Marchese Guglielmi, per ilquale tra l’altro “Domenichino”, lavoravacome mandriano. Invano Tiburzi supplicò ilsovrastante di tacere, inginocchiandosi pian-gente davanti a lui, poi nel timore di perdereil lavoro, a causa della denuncia, lo freddò conuna fucilata. Solo un anno dopo, scoperto ildelitto, Tiburzi fu catturato e condannato,grazie ad alcune attenuanti, a 18 anni di car-cere duro da scontarsi nelle Saline diTarquinia. Era il 1867.Sottoposto a indicibili sofferenze, lontanodalla famiglia, in cuor suo maturò forse il pro-posito di non provare mai più il carcere e pre-dispose la fuga. Aveva conosciuto proprio incarcere il Biagini ed insieme tentarono di eva-dere riuscendoci prima il Tiburzi e dopo unanno Biagini. Si ritrovarono nella macchiadove ebbero come maestro di ribalderie DavidBiscarini, astuto nel dare scacco ai gendarmi.La presenza dei tre briganti, cui si era unitoPastorini, rintanati in una grotta presso il tor-rente Paternale, fu rivelata ai carabinieri il 10dicembre del 1877 per un caso fortuito chemerita ricordare. Due pattuglie dei carabinie-ri, provenienti rispettivamente da Farnese eCanino, perlustravano le campagne quandoincontrarono due bracconieri che venneroinvitati a seguirli in caserma. Quando il briga-diere fece per mettere le manette, alle loroproteste rispose essere questa una normalemisura in un paese di briganti. Al che uno dei

due chiese che cosa avrebbero avuto in cambiorivelando il rifugio dei banditi. Ci fu unabreve trattativa, al termine della quale il cac-ciatore indicò un filo di fumo che usciva nellavalle proprio dalla grotta dove i compari sierano rifugiati. I carabinieri accerchiarono lacosta, ne seguì uno scontro a fuoco. Tre deibriganti riuscirono a fuggire. Tiburzi, colto disorpresa mentre asciugava i suoi panni alfuoco, scappò in mutande. Solo Biscarini, ilcapo, rimase nella grotta deciso a tutto. Lascaramuccia sarebbe continuata a lungo eforse gli assalitori avrebbero avuto la peggio seil carabiniere Brunetti portandosi sopra lacaverna non avesse fatto fuoco sul Biscarini,che rimase ucciso. “Il fianco avea guarnito dauna ricca fascia di seta dalla quale spiccavanoun revolver e un pugnale forbito e lucente: indos-sava una camicia a quadri, pantaloni e gilet dipanno nero e grossi stivali” così un anonimoscrittore di Valentano descrive il cadavere delbrigante. Tiburzi diventò il capo riconosciutodai suoi e dalla popolazione. L’episodio che lovide fuggire in mutande, spesso ricordato albrigante dal Pastorini per metterlo in ridicolo,indurrà forse Domenichino a sfidare il com-pagno e, dopo aver buscato una lieve ferita, aducciderlo con un colpo di pistola.In breve tempo Biagini e Tiburzi si fecero unaconsolidata fama di abili estorsori, ricattatori esequestratori. Le loro azioni apparivano detta-te da pura ferocia, con il disegno di accapar-rarsi rispetto e timore della gente. Una sorteparticolare, una specie di pubblica esecuzione,era riservata a chi tradiva come accadde adAntonio Vestri. Questi, nella settimana santadell’89 rientrava a Farnese con altri cinquelegnaioli e due giumenti carichi di legname.Due individui sbucati dalla macchia ordinaro-no l’alt e lo uccisero con una scarica di fucile,poi lo sgozzarono e gli tagliarono la lingua difronte agli atterriti testimoni, né risparmiaro-no i due somari “ceduti dai briganti al Vestri inpegno del suo manutengolismo per dieci anni”.Per chi fosse sorpreso a parlare un pò troppocon le forze dell’ordine, giù botte da orbi ebotte anche all’amante di Tiburzi sospettata di

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Riserva Naturale Selva del Lamone

civettare con altri. Ormai Tiburzi era il re delLamone, con dimora alla Roccaccia d’estate ein quel che restava dell’antica Castro d’inver-no. Di qui partivano concisi bigliettini mina-tori per i fattori che non si facevano scrupolodi infierire sulla povera gente.Nell’agosto del 1889 Biagini era insieme alnipote Luciano Fioravanti nella macchia diGricciano, i due briganti riposavano tranquil-li perché il fattore del Marchese Guglielmi,Raffaello Gabrielli, avrebbe dovuto avvertirlidella presenza dei carabinieri che invece li col-sero di sorpresa.Fioravanti riuscì a fuggire, Biagini ormai vec-chio e malato fu stroncato da un colpo apo-plettico. Tiburzi non perdonò il Gabrielli, chedopo pochi mesi fu ucciso davanti a circa 120mietitori. Intanto nel 1893 si celebrava a

Viterbo il già ricordato processo, ma i duebanditi continuavano a imperversare comeprima. Tre anni dopo, nella notte del 24 otto-bre ‘96, Domenichino, che da un lustro spa-droneggiava tra la Toscana e la Tuscia, fu ucci-so sulla soglia del casale Le Forane nei pressi diCapalbio (Gr), mentre Fioravanti, il giovanegregario nipote dell’anziano Biagini, verràucciso nel 1900 dall’amico Gaspare Mancini.Qualcuno sul cadavere di Tiburzi, si dice,versò una lacrima. Finiva un’epoca piena dicontrasti e di violenze.Rimane comunque un interrogativo: quantidi questi biechi figuri, senza l’iniquità degliordinamenti dell’epoca avrebbero egualmenteimboccato la strada della perdizione? È uninterrogativo sul quale riflettere.

Una leggenda metropolitana che circo-la, tra le tante, sulle bocche di moltie negli articoli di qualche rivista è

quella del gruppo di turisti smarritisi nellaSelva del Lamone, assieme alla guida.È questa l’ultima versione di un mito ricor-rente che affonda comunque le sue origininella realtà. Il Lamone è una selva nel verosenso della parola. Aspro e selvaggio, domina-to da rocce cupe che formano strani labirinticircondati da arbusteti impenetrabili, in cui èfacile perdere la nozione del tempo e dellospazio, questo bosco sembra improvvisamentedivorare, fino a farli scomparire, sentieri,segnali e certezze.Molti, anche le persone più esperte, d’improv-viso possono trovarsi angustiati dall’inenarra-bile sensazione di essersi smarriti nella selvaoscura. Capita a turisti sprovveduti; a racco-glitori ammaliati da una sequenza di funghi,che invita irridente ad addentrarsi negli angu-

sti penetrali di qualche anfratto, dietro la pro-messa, leggi permettendo, di una raccoltapantagruelica, da esaltarsene per anni conamici e non; capita al capraio, vecchio faunodella selva, che racconta di conoscere cose chealtri nemmeno immaginano; capita...E così, anno dopo anno, si allunga la listadegli smarriti, causando talvolta allarmi anchegiustificati, chiacchiere, racconti e alimentan-do un mito, duro a morire. Succede quindiche non sempre perdersi è un fatto casuale;ma, in qualche caso, pianificato. Per racconta-re di averlo fatto, come se fosse un rito di ini-ziazione, la sera al bar o attraverso i massmedia.La Selva del Lamone è ancora un luogo del-l'immaginario, in cui si può bene andare cer-cando strane presenze o tracce di un mondoutopico e leggendario. Si favoleggia di sibille,di UFO, di briganti, di galline con pulcinid'oro nascoste nelle possenti muraglie dell'a-

Smarriti nella selva oscuraA cura di Giovanni Antonio Baragliu

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bitato etrusco di Rofalco. Si favoleggia edintanto si continua a cercare, nella speranzamai sopita di un incontro unico ed esaltante.Si favoleggia ed intanto si continua a smarrir-si. Lo confesso, l’ho fatto anch’io! Come tanti,anche più importanti e famosi di me.Il primo a farlo, sembra, sia stato un re favo-loso. Il re Ammone che, addentratosi nelbosco per cercarvi bestiami dispersi, si perseanche lui e finora, per quanto ne sappiamo,non ne è ancora uscito. Quando un re simuove, lo sanno tutti, lo cantano i poeti; sepoi si perde o scompare misteriosamente, lafama raggiunge gli estremi confini del mondo.La vicenda si riveste degli aloni del mito edella poesia. E mito e poesia hanno accompa-gnato a lungo l’uomo del Lamone. Per questo,per secoli, forse millenni, si è parlato dellaSelva di Ammone, divenuta poi Amone equindi la selva del Lamone.Tempi favolosi quelli, in cui si poteva benissi-mo credere, che la smisurata caterva di massiplumbei, accumulati in strane conformazioni,siano stati qui portati dalle acque urlanti delDiluvio e quanta umanità avrebbero potutogenerare qui Deucalione e Pirra! oppure, que-sti cumuli di pietre possono benissimo essereil risultato di uno scontro titanico, forse quel-lo dei giganti con il tonante Giove. Potereincommensurabile di questo dio che può, sevuole, far piovere sassi.Queste storie non ce le siamo inventate noi,tanto per arare con neri caratteri i prati bian-chi dei fogli; ma le troviamo nascoste in millecronache e relazioni che per quasi un secolo, acavallo tra Cinquecento e Seicento, scrivonoalcuni maggiorenti della città di Castro e,superato il secolo dei lumi, in una prolissaarringa dell’avvocato Luca Ceccarini, chedifende due campagnoli accusati del furto diuna innocente agnella. “Saxa pluunt hic auxi-lio Ioue missa per auras/Predones, quibus oppres-sit Lamonis arvis”, scriveva il dott. marianoGhezzi nel 1610.

IL DESERTO NOMINATO AMMONE

“Questo deserto dista circa 15 miglia, e tutto il

sito è coperto di pezzi di pietre lisce di varie gros-sezze fra le quali sono cresciuti arboreti di elci esorbi; niuno ci pratica perché alcuni che vi sonoentrati cercando bestiami spersi, non sono piùtornati, credo che questa selva fosse anticamenteconsacrata al Dio Ammone, non già che un reAmmone vi si perdesse dentro e ci morisse”. Silegge in una anonima cronaca senza data.Nella sua “Informazione e cronica della Cittàdi Castro” Benedetto Zucchi così scriveva il10 Novembre 1630:“...una macchia chiamata il Lamone quasi tuttadi elci e cerque, tutta sassosa con pietre spezzateuna sopra l’altra, che si puol dire per esempio siacome un mucchio di sassi, la quale macchia èimpenetrabile, e se uno vi entra, ancorché sia delPaese, con difficoltà vi può trovare la strada d'a-ver da uscire; luogo più da capre che da altrianimali, per il che una delle due si va congettu-rando, non essendovi altra memoria in contra-rio, o che sia stato quel luogo un monte fracassa-to dal terremoto, o che al tempo del Diluvio idetti sassi si sieno radunati insieme in tantaquantità in questo luogo”. Ancora nel 1821, Luca Ceccarini, avvocato diFarnese, in una sua orazione in difesa di alcu-ni pastori accusati di furto, cedeva al mito del-l’inaccessibilità: “La macchia denominata il Lamone forma unagran parte del territorio del Principato diFarnese. È tale l’immenso irregolare ammasso dismisurate pietre, che copre l’intiera superficie diquesta macchia, che il volgo non sapendo a cheattribuirne la causa, crede che ivi sieno piovutedal cielo. Ma in sostanza altro non sono, chemacigni di lava prodotta da un antico vulcanoestinto, per cui un tal sito chiamavasi antica-mente il Lavone, ed ora dicesi più corrottamen-te il Lamone.Questa macchia si rende per la maggior parteinaccessibile non solo agli uomini, ma ben ancheal bestiame domestico; le sole capre, come piùatte ad inerpicarsi ne luoghi alpestri, e scoscesiper pascersi delle frondi selvatiche loro cibo ordi-nario, possono alquanto spaziare in questo luogod’orrore; mà se l’incauto pastore lascia ivi inol-trarle più dell’usato, facilmente le smarrisce, e le

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perde, quelle pietre accavallate in modo prodi-gioso le une sopra le altre, si rovesciano bene spes-so ad ogni piccol urto, ed è facil cosa, che le bestie,ch’ivi sopra camminano, ò rimanghino fra l’una,e l’altra pietra a guisa di tagliuola afferrate nepiedi, ò restino precipitate nei profondi vani, chea guisa di pozzi frequentemente s'incontrano, inquell'orribil caos. Né di rado addiviene, checadino eziandio vittime degli affamati lupi, iquali albergano con sicurezza in un luogo disimil natura”. (Luca Ceccarini, 1821).Il deserto, il luogo d’orrore, l’incredibile caos èsempre pronto ad accogliere lo spaurito viag-giatore che, suo malgrado vi si addentra, por-tandolo ad esperienze traumatiche che riempi-ranno, nei racconti, le lunghe serate attorno alcamino. Viaggiatori spesso di rango, di cuidopo secoli si parla ancora come AnnibalCaro, il famoso traduttore, per quanto infede-le, dell’Eneide di Virgilio. È lui che vive l’e-sperienza, in prima persona, di una drammati-ca traversata, oppresso da una terribile sensa-zione di smarrimento in un labirinto oscuro,che come quello dedalico di Creta, non lasciasperanza di uscita. Alla fine, “come per ciar-bottana” appare uno spiraglio di salvezza. Perfortuna! altrimenti, col Caro, avremmo persola sua bella relazione scritta il 13 ottobre 1537da Castro ai familiari di Mons. Gaddi:“Entrammo poi in una foresta tale, che ci smar-

rimmo; tempo fu ch’io credetti di non avere maipiù a capire in paese abitato, trovandone rin-chiusi e aggirati per lochi dove l’astrolabio e ‘lquadrante vostro non arebbono calcolato il sitode’ burroni e gli abissi de’ catrafossi in che ci era-vamo ridotti. E se aveste veduta la nostra guida,vi sarebbe parsa la smarrigione e ‘l baloccamen-to di naturale. Pensate che Vittorio la botò aSanta Drianna, la quale, dice egli, ch’era unafata che con un gomitolo di spago trasse dal lar-brinto un certo Tisero figliuolo di Manosso. Oquivi arei voluto io voi, messer Giorgio, con lavostra còlera acuta e co ‘l vostro stomaco impa-ziente, a vedervi strassicar dietro da un balordoper quelle catapecchie, senza sapere dove vi foste,né dove, né quando, né che v’avreste a magnare.O come vi sarebbe venuta la senapa al naso! e chestrani visi areste veduti fare a noi altri! Io per memi condussi a tanto di fame, che le peruzze e lenespole m’ebbero a strangolare. Ma tanto ciavvoltacchiammo a la fine, che vedemmo, comeper ciarbottana, un poco di piano. E tirando aquella volta, meravigliosamente si presentaronoavanti alcuni morbisciatti, che ne diedero linguae indirizzo per venire dove siamo”. (A. Greco,1957-61). Così la Selva entra nella letteratura,o forse rientra, perché nulla è più simile alLamone della selva oscura, selvaggia ed aspra èforte, dove si perde Dante, il padre di tutti glismarriti.

Pinocchio a FarneseLe Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Farnese, 1971.

Siamo in piena primavera, corre l’anno1971, e Farnese, piccolo centro agri-colo dell’Alta Tuscia Laziale, viene tra-

sformato, dal grande Maestro del cinemaLuigi Comencini, in un grande set cinemato-grafico. Iniziano proprio qui i primi ciak delromanzo, che diventerà l’appuntamento fisso

per milioni di italiani, giovani e meno giova-ni, bambini e adolescenti. Alcuni dei perso-naggi non protagonisti della storia, sono atto-ri locali reclutati all’interno del paese. E aonor di cronaca anche lo scrivente ha presoparte, come comparsa, alle riprese del celebresceneggiato tv. Anzi, a dire il vero, quasi tuttoil paese vi partecipò come comparsa! Durante

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le riprese era un brulicare di attori e compar-se, tra i quali spiccava il grande, ed ora com-pianto Nino Manfredi, che con la sua simpa-tia rallegrava i momenti di pausa dell’interocast. Si consumavano i pasti, forniti dalla pro-duzione, tutti insieme, poi si tornava a girare.Sembrava di essere a Cinecittà, nel paese nonsi parlava d’altro, e chi non partecipava attiva-mente, davanti alle telecamere, lo faceva daspettatore. Furono giorni indimenticabili per

tutti gli abitanti del piccolo borgo che, ancoraoggi, ricordano con immensa gioia, ed un piz-zico di orgoglio, quei giorni. Attualmente, iluoghi nei quali vennero girate molte dellescene del romanzo, sono cadute nell’oblio, esarebbe bello se un giorno si potessero rico-struire fedelmente quegli scorci di paese tantocari a molti Farnesiani… è così che si dice…non Farnesani!

Un muro del castello di Valderico

Le mura etrusche di Rofalco

Il carro di Sant’Isidorio

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Farnese è un tipico abitato di alturadella Tuscia, il cui centro storico èposto su di un vasto pianoro, circon-

dato da due fossi confluenti, le cui ripide pare-ti tufacee rispondevano naturalmente alle esi-genze di difesa dei tempi passati. La primafrequentazione dell’uomo, documentata dalritrovamento di resti di fori di palificazione eframmenti di vasi ceramici, è riferibile all’Etàdel Bronzo Finale (XII-X sec. a. C.) e sonoascrivibili ad un agglomerato protourbano diuna certa importanza.Da quel periodo, fino al Basso Medioevo, nonsi hanno notizie o documentazioni archeolo-giche che possano indicare l’esistenza delpaese; anche se, fino a non pochi anni fa, si èfavoleggiato che qui fosse situata laMaternum, posta lungo la via Clodia, neipressi del fiume Armine (Fiora), citata dallaCarta Peutingeriana, che oggi viene localizza-ta, secondo i diversi autori presso la villaromana della Selvicciola, nel territorio diIschia di Castro, o in località Maderno, nelcontado di Canino. Probabilmente, in perio-do romano, la popolazione del distretto eradistribuita in numerose ville rustiche ed,attorno al mille, nei pressi di pievi rurali. Il territorio di Farnese, sotto Ludovico il Pio,nell’817, andò a far parte della “TusciaLongobardorum” sotto la diretta influenzadegli imperatori franchi. Verso la fine dell’XIsecolo probabilmente si ebbe il fenomeno diincastellamento con la nascita del “Castrum”di Farnese. In realtà, tale nome non comparenei documenti fino al XII secolo, né comecastello, né come pieve rurale.La prima citazione si ritrova in un diploma diinfeudazione del 1210, rilasciato adIldebrandino Ildebrandeschi, dall’imperatoreOttone IV, assieme alle terre di Pitigliano,Sorano, Vitozza, Sala, Ischia, Castiglione,Petrella, Morrano e Castellarso, che erano

appartenute al Conte Raniero di Bartolomeo,nella seconda metà dell’XII secolo. In queltempo, Farnese, con le dette terre ed assieme aLatera, Iuliano e Mezzano, faceva parte dellacosiddetta “Terra Guiniccesca”, un grossofeudo attestato attorno alla Selva del Lamone,che venne assoggettato dal detto Ranieri diBartolomeo al Comune di Orvieto nel 1168.In seguito, non sappiamo come, questo feudopassò agli Aldobrandeschi.Si presume che il nome di Farnese, o Farneto,come anticamente si diceva, derivi dalla pre-senza nel territorio di boschi di farnie(Quercus robur), specie di quercia oggi presso-ché scomparsa.Farnese è anche il nome della potente famigliache ha dato il pontefice Paolo III, i duchi diLatera, di Castro e di Parma e Piacenza. Conprobabilità il primo personaggio ascrivibile aquesta stirpe si può individuare in Giovanni,gastaldo degli Aldobrandeschi, che nel 1222rinnovò l’omaggio feudale ad Orvieto per icastelli di Ischia e Farnese.Nel Luglio del 1294 risultano signori delCastrum Pepo di Ranuccio di Pepo ed i suoifratelli, segno che il feudo si era distaccatodalla Contea aldobrandesca ed i Farnese ave-vano il pieno possesso. Pepo e Ranuccio sononomi che si ritroveranno spesso nella famiglia.Sempre legati ad Orvieto e di fazione guelfa isignori de Farneto, parteciparono alle lotteintestine del libero comune ed alle sue azionidi guerra esterne, mentre in seguito, dal 1353,prestarono il loro aiuto al cardinale EgidioAlbornoz nell’impresa militare finalizzata allarestaurazione della sovranità pontificia nelPatrimonio di San Pietro. Questi servigi por-tarono ad estendere le loro terre, gettando lebasi dei domini che saranno i futuri ducati diCastro e di Latera. Dediti al mestiere dellearmi, i Farnese brillarono al comando di varieserciti e truppe di mercenari e, ben presto,

Il paese di FarneseA cura di Giovanni Antonio Baragliu

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andarono a scontrarsi tra loro, con lotte ferociche culminarono nell’assedio di Farnese, nel1389, e nella strage di Ischia, in cui venneromassacrati tre esponenti della famiglia.Anche a seguito di ciò, nel 1450, Ranuccio ilVecchio lasciava nel proprio testamento al fra-tello Bartolomeo le terre di Farnese, Latera,Castiglione e Sala ed ai propri figli i restantifeudi. I discendenti di Bartolomeo, per oltredue secoli, continuarono ad esercitare il lororuolo di capitani di ventura al soldo dellaChiesa, di Francia, Spagna e Venezia. CosìPier Bertoldo combatté per i senesi dal 1476al 1489. Suo figlio Galeazzo partecipò alladifesa di Roma contro i lanzichenecchi e amirabolanti imprese in mezza Italia.Un altro Pier Bertoldo partecipò al trattato diChateau Cambresis, assieme ad altri capitani,per conto della Spagna. I suoi figli Galeazzo,Fabio e, soprattutto Mario, furono importantinel loro tempo, ricevendo incarichi militari edamministrativi. Dedicandosi, tra una guerra el’altra, con un certo paternalismo, alla gestio-ne del feudo, seppero legiferare creando statu-ti e regolamenti molto liberali per i tempi, die-dero impulso all’agricoltura, all’allevamentoed all’artigianato. Realizzarono chiese, con-venti, palazzi, acquedotti, giardini, (e non solonei loro possedimenti, ma anche a Roma) ilborgo; fondarono un’accademia letteraria e sicircondarono d’artisti come poeti e pittori,facendo vivere a Farnese un periodo di fioritu-ra durato un cinquantennio, tra il 1570 ed il1620. Molti dei monumenti e delle opere d’ar-te che arricchiscono questo paese sono statirealizzati allora. Tanto spendere e spandere,alla fine, portò la famiglia ad un crac finanzia-rio tale che Pietro Farnese, duca di Latera,dovette vendere, nel 1658, il feudo d’originedella stirpe ad Agostino Chigi, che, con esso,acquistò il titolo di principe.Il principato chigiano, pur mantenendo le isti-tuzioni della precedente casata, segnò unperiodo di forte regresso economico e sociale,che impoverì notevolmente il paese e sviluppò,a fine settecento, il fenomeno del banditismonel territorio. Dopo l’occupazione napoleoni-

ca e la fine del piccolo stato che, nel 1825,rientrava alla Camera Apostolica, iniziò uncerto risveglio, che ebbe il suo culmine neglianno a cavallo tra fine Ottocento ed inizioNovecento con il completamento dell’acque-dotto, la realizzazione della centrale elettrica,del lavatoio, delle scuole. In quegli anni peròimperversò, come non mai il brigantaggio. Perla sua natura di luogo impraticabile ed impe-netrabile, la Selva del Lamone ben si prestavaad essere un rifugio prediletto dai banditi.Nel territorio che comprendeva la Maremma,da Cecina a Corneto e si spingeva nell'internofino al Monte Amiata, fino alla finedell'Ottocento il brigantaggio è stato unavera e propria malattia endemica. Da soli, inpiccoli gruppi, od in grosse bande organizzatei malviventi svolgevano la loro losca attività inquesta zona, lungo la Valle del Fiora, confinenaturale e - fino all’Unità d’Italia - politico edamministrativo. Luogo ideale, per tutto ilcorso del secolo, per contrabbandare materia-li ed idee e potersi eclissare rapidamente dopoi misfatti, attraverso le macchie selvagge deiMonti di Castro e della Selva del Lamone, o leprofonde e buie forre boscose di torrenti efossi, spesso inaccessibili per chi non conosce-va i luoghi.Nelle macchie vi erano più banditi che selvag-gina. Vi latitavano individui di bassa taglia,anche se feroci ed imprevedibili e, per questomolto temuti ed incapaci di crearsi una rete diconnivenze tra la popolazione, che assicurasseloro di rimanere a lungo uccel di bosco.In tal modo, gente come Erpita, Marcotullio,Fumetta, Bustrenga e Marintacca, finironoben presto i loro giorni uccisi o in carcere. Nell’ultimo quarto di secolo però, comparve-ro tra i briganti, personaggi di notevole spic-co, che fecero scorrere fiumi d’inchiostro edalimentarono l’immaginario collettivo finen-do per essere mitizzati, come se fossero deiRobin Hood e non dei protomafiosi locali. Ilpiù celebre di tutti fu Domenico Tiburzi diCellere, autodefinitosi “livellatore dellaMaremma” ed incoronato col titolo di “Re delLamone”. Il resto è storia recente.

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DA VEDERE

Farnese merita di essere visitato per molti edinteressanti motivi. Anzitutto la stessa suaurbanistica di centro storico, abbarbicato suuna rupe tufacea con le sue viuzze concentri-che e le case antiche, spesso di bella architet-tura, da il senso di un paese aggraziato e vivi-bile. Notevoli sono i suoi monumenti e leopere d’arte. La Rocca dei Farnese, realizza-ta nel corso di cinque secoli, si presenta oggicome palazzo fortificato, abitato da molti cit-tadini, con la sua bella facciata secentesca, icunicoli interni, le poveraglie (abitazionidella servitù), i piani nobili, gli stemmi dellefamiglie che vi hanno dominato. L’accessoalla Rocca, ed al centro storico, avviene attra-verso la cosiddetta Porta Nuova, realizzata sudisegno dell’architetto Smeraldo Smeraldi nel1613, affiancata dalle agili arcate del “corri-dore”, che collegava l’abitazione dei signoricon il parco della “Selva”. Di buon’architettura è, nella piazza principa-le, il Palazzo Chigi-Ceccarini, costruitonella seconda metà del Settecento, sede delComune, dove si trovano affreschi staccatidalla Chiesa campestre di Santa Maria di Sala

e notevoli soffitti lignei, dipinti, attualmentein fase di restauro. Sempre nella piazza, fabella mostra di se la fontana monumentale,realizzata nel 1886, su disegno dell’ingegnerTuccimei. La Chiesa parrocchiale, dedicata alSantissimo Salvatore, anche se attualmentepresenta una infelice facciata degli anni cin-quanta del secolo scorso, racchiude al suointerno notevoli opere d’arte come gli oli e gliaffreschi dovuti al pittore bolognese di finecinquecento Antonio Maria Panico (SanGiacomo Maggiore, San Giovanni Battista,San Sebastiano, la Messa di Paolo terzo oMiracolo di Bolsena e l’altare del Rosario), ilbellissimo capolavoro giovanile di OrazioGentileschi, raffigurante San MicheleArcangelo, ed un notevole tabernacolo del1603, dono di Ferrante Farnese, vescovo diParma. La chiesa del monastero delle cla-risse presenta una luminosa pala d’altare rea-lizzata nel 1750 dal pittore romano AgostinoMasucci e gli affreschi cinquecenteschi,recentemente riscoperti e restaurati, in cui ilmatrimonio della vergine celebra le gloriedella famiglia Farnese, rappresentando glisponsali di Galeazzo con Isabelladell’Anguillara, con il celebrante che presen-ta il volto di papa Paolo terzo.Nella chiesa del Convento di Sant’Umanosi trovano la tela di Sant’Antonio da Padovadi Giovanni Lanfranco ed il crocifisso ligneo,scolpito da fra Vincenzo da Bassiano, artistasecentesco che lavorava solo di martedì evenerdì dopo aver digiunato ed essersi flagellato. La chiesa del Convento diCappuccini, nasconde tra i banchi un pavi-mento istoriato con marmi preziosi con latomba della famiglia Farnese.Di notevole interesse è la chiesa campestredi Sant’Anna o Madonna della Cavarella,nata come ex voto della Comunità per un’in-vasione di cavallette nel 1577 e abbellita, aseguito di un altro voto dei signori del luogo,per un parto difficile, con bellissimi stucchied affreschi di Antonio Maria Panico, in cuitra ariosi paesaggi, storie della vergine e grot-

Orazio Gentileschi, San Michele Arcangelo

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tesche, si sviluppa un vero e proprio MutusLiber alchemico. Infine una visita la merita ilMuseo Civico Ferrante Rittatore Vonviller,che è anche sede del Centro Visite dellaRiserva naturale Selva del Lamone. In esso visono raccolti, con un’esposizione didattica,reperti provenienti dal paese, dal tutto il ter-ritorio della riserva e circostante dalPaleolitico Medio al Tardo Rinascimento.

Punti forti sono i settori dedicati agli scavidell’abitato Protovillanoviano di Sorgentidella Nova e della fortezza Etrusca diRofalco, nonché la notevole collezione diceramica medievale e rinascimentale prove-niente dai butti del centro storico di Farnese.Completa l’allestimento una piccola sezionenaturalistica.

Chiesa del monastero delle Clarisse, il matrimonio della Vergine

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Testi a cura di:Giovanni Antonio Baragliu, Fiammetta Biselli, Alessandro Ceccarini, Daniele Ciavatta, Gianluca Fapperdue,Diego Mantero, Fabrizio Marchionni, Roberto Papi, Andrea Schiavano, Aldo Terrazzi.

Progetto grafico ed impaginazione:Fabrizio Olati per Edindustria S.p.A. - Roma

Fotografie:Giovanni Antonio Baragliu, Daniele Ciavatta, Gianluca Fapperdue, Luciano Frazzoni, Diego Mantero, FabrizioMarchionni, Roberto Papi, Andrea Schiavano, Aldo Terrazzi, Archivio Riserva Naturale Selva del Lamone.

Cartografia:Graphispaera in collaborazione con Giovanni Antonio Baragliu, Riserva Naturale Selva del Lamone.

Stampa:Beta Tipografica - Roma

La presente pubblicazione è il prodotto della collaborazione di tante persone che vi hanno contribuito in diversa misura.Un apporto essenziale è venuto da tutto il personale della Riserva Naturale Selva del Lamone, grazie al coordinamento diDiego Mantero ed in particolare alla collaborazione di:

Un ringraziamento speciale va in particolare al dott. Raniero De Filippis, responsabile della Direzione Regionale Ambientee Cooperazione tra i Popoli della Regione Lazio, alla dott.ssa Valeria Romano di Sviluppo Lazio S.p.A., all’arch. GiovannaBargagna dell’Area Conservazione della Natura, all’arch. Luca Colosimo, al dott. Guglielmo Arcà, al dott. Giulio Fancello,alla dott.ssa Daniela Nolasco e all’arch. Guglielmo Villa degli Uffici Centrali del Ruolo Unico del Personale dei Parchi dellaRegione Lazio che hanno collaborato alla realizzazione del progetto e della guida.

Pubblicazione realizzata con il contributo dell’Unione Europea, nell’ambito del Piano di Comunicazione per ilLazio 2000-2006.Responsabile del Piano di Comunicazione Docup Ob.2 Lazio 2000-2006: Pierguido Cavallina.

Unione Europea Repubblica Italiana Regione Lazio

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La presente pubblicazione è stata realizzata con i fondi

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