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 Fondato nel 1948  Anno 64° n. 1- gennaio 2012 Sped. in abb. postale comma 20, lett. C,  Art. 2 - Legge 662/96 Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P. UN POETA DEL PRESEPE LETTERA A UNA PRINCIPESSA L’AFRICA DAI COLORI FORTI L’EUTANASIA E LA VITA VISTA DAL COTTOLENGO CREDO CREDO nel Sole anche quando non splende CREDO nell’Amore anche quando rallenta la presa e viene a mancare CREDO nella Verità anche quando è stravolta e tradita CREDO nella Vita anche quando forte è il vento di morte CREDO nell’Uomo anche quando è chiuso nel suo egoismo CREDO nell’Amicizia anche quando viene meno ed è rifiutata CREDO nel valore della Sofferenza anche quando non c’è speranza CREDO nella Luce anche quando Cristo stesso è avvolto nelle tenebre CREDO in Dio Anche quando tace  Don Domenico UN POETA DEL PRESEPE LETTERA A UNA PRINCIPESSA L’AFRICA DAI COLORI FORTI L’EUTANASIA E LA VITA VISTA DAL COTTOLENGO

Rivista Incontri mese di Gennaio 2012

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Fondato nel 1948

 Anno 64°

n. 1- gennaio 2012

Sped. in abb. postale

comma 20, lett. C,

 Art. 2 - Legge 662/96

Taxe perçue -Tariffa

riscossa To C.M.P.

• UN POETA DEL PRESEPE

• LETTERA A UNAPRINCIPESSA

• L’AFRICADAI COLORI FORTI

• L’EUTANASIA E LA VITAVISTA DAL COTTOLENGO

CREDO

CREDO nel Soleanche quando non splende

CREDO nell’Amoreanche quando rallenta la presa e viene a mancare

CREDO nella Veritàanche quando è stravolta e tradita

CREDO nella Vitaanche quando forte è il vento di morte

CREDO nell’Uomoanche quando è chiuso nel suo egoismo

CREDO nell’Amiciziaanche quando viene meno ed è rifiutata

CREDO nel valore della Sofferenzaanche quando non c’è speranza

CREDO nella Luceanche quando Cristo stesso è avvolto nelle tenebre

CREDO in DioAnche quando tace

 Don Domenico

• UN POETA DEL PRESEPE

• LETTERA A UNAPRINCIPESSA

• L’AFRICADAI COLORI FORTI

•L’EUTANASIA E LA VITAVISTA DAL COTTOLENGO

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Periodico della FamigliaCottolenghina e degli ex Allievi e Amici della Piccola Casa

n. 1 gennaio 2012

Periodico quadrimestrale

Sped. in abb. postaleComma 20 lett. C art. 2Legge 662/96Reg.Trib.Torino n. 2202del 19/11/71

Indirizzo: Via Cottolengo 1410152 Torino - Tel. 011 52.25.111C.C. post. N. 19331107Direzione IncontriCottolengo Torino

 Direttore OnorarioDon Carlo Carlevaris

 Direttore responsabileDon Roberto Provera

 AmministrazioneAvv. Dante Notaristefano

 Segreteria di [email protected]

redazioneSalvatore AcquasMario Carissoni

collaboratori Mauro CarossoFr. Beppe Gaido

Progetto graficoValter Oglino

 StampaTipografia GravineseCorso Vigevano 46 - TorinoTel. 011 28.07.88

I l p u n t o

SOMMARIO

3 Il puntoDon Roberto Provera 

4-5 Un poeta del presepe in mezzo a noiRedazione 

6-7 Natale 1943Mario Carissoni 

8-9 Due angeli viaggiatoriRosanna Faggiani 

10-11 Lettera a una principessaPapà Antonio 

12-13 Maratona padre e figlio disabileRedazione 

14-15 Don Spirito Bonaventura CombaLe suore del Monastero Il Carmelo di Cavoretto 

16-17 La fede che spinge a rischiarePiero Coda 

18-19 Noi, immerse nell’inutilità della croceSuor Chiara Letizia - Gerusalemme 

20-21 Quando lo Spirito Santo intervienePiero Coda 

22-23 «Gli europei hanno persoil senso della vita»Beppe Del Colle 

24-25 In bilico tra Spiritualità e RealtàDaniele Delcarmine 

26-27 L’Africa dai colori fortiFr Beppe Gaido 

28-29 Ritorno in IndiaGiuseppe e Ornella 

30-31 Briciole di caritàRedazione 

32 CredoDon Domenico 

INCONTRI è consultabile su http://chaariahospital.blogspot.com/

Questa rivista è ad uso interno della Piccola Casa Cottolengo

Il Prof. Mario Monti ha varato il decreto “SalvaItalia”, che speriamo trovi larga adesione fra leforze politiche, senza cedere a utopistiche ed

egoistiche derive separatiste. “Senza questo pac-

chetto l’Italia crolla” ha denunciato il Professore,che ha continuato: “Lo sforzo che chiediamo alpaese non è solo grande, ma urgentissimo. Ma que-sto sforzo non sarà sufficiente se ciascun cittadinonon contribuirà personalmente”. Parole sagge que-ste, che certamente debbono indurre a riflettereciascuno di noi, sollecitandoci a un corretto eresponsabile comportamento civile.Ma anche tutto questo non sarà sufficienteper tra-ghettare l’Italia oltre la crisi. Occorre anche esoprattutto altro. La parola “crisi” significa etimo-logicamente distinzionee poi decisione. Ciò cheè veramente indispen-

sabile è il riconoscimen-to e quindi il persegui-mento dei veri valori,quelli che assicuranoall’individuo e allasocietà un fondamentostabile. Le difficoltàeconomiche in cui oggiversa il mondo occiden-tale non si risolverannosolo con misure eque eallo stesso tempo corag-giose, pur necessarie,ma solo se, in un climadi rinnovata solidarietà

– indispensabile in que-sto nostro mondo glo-balizzato – gli individuie le nazioni saprannotrovare regole giuste econdivise, che mirinoveramente al bene co-mune.Tutto questo può essereragionevolmente accet-

tato, ma noi, poveri cristi alle prese con le millpreoccupazioni della vita quotidiana, che possiamfare nell’immediato? Papa Benedetto XVI primdella recita dell’Angelus domenica 4 dicembr

additando la figura di Giovanni Battista, che vestva peli di cammello e mangiava cavallette addolcte (!) da miele selvatico, ha auspicato che tutti crstiani adottino uno stile di vita sobrio, specialmente in preparazione alla festa del Natale, in cui Signore “da ricco che era, si è fatto povero pevoi”, come scrive Paolo nella II lettera ai Corinz8,9. Non vi sembra un buon suggerimento?Oltre a tutto ciò, tuttavia, come figlie e figli dellPiccola Casa della Divina Provvidenza, abbiamancora un’importante missione da compiere: test

moniare la speranza. SDio è un Padre, che conosce e ama ciascundei suoi figli, potrà mabbandonarli? Potrdimenticarsi di loro? nella sua onnipotenzpotrà permettere chsopravvenga loro quache male? La vicendterrena di Gesù, iniziatcon il Natale e concluscon la risurrezionattesta indiscutibilmente che il bene è più fortdel male, destinato peciò a scomparire.Questa sicura speranz

unita a un profondsenso di responsabilitci accompagni sempreCare Amiche e caAmici, BUON NATALE e BUON ANNONUOVO a ciascuno dvoi.

don Roberto Prover

Carissime Amiche e carissimi Amici, 

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Stava allestendo il presepe dellagrandezza di circa 120 metriquadri che verrà poi collocato

nel salone della suaParrocchia, San Vin-cenzo de Paoli inTorino, per la gioiadei grandi e piccoli

innamorati di questabella e mai dimentica-ta tradizione del pre-sepe.

Abramo, professo-re in pensione, cheforse perché nato il 23dicembre ha da subitoassorbito e sentito ilfascino di questi gior-

Tutto miniaturizzato, ma perfet-tamente proporzionato, ridottoin scala con le dimensioni reali.

ni natalizi è da sempre uncostruttore di presepi con lapassione della creatività nel suodna.

Non una passione periodicalegata alle cadenze del calenda-rio, ma costantemente presente,in luoghi o situazioni che inqualche maniera possono pro-porre, offrire occasione perimmagini da memorizzare omateriale da trasformare, pa-zientemente, come fossero crea-

ture vere, infigure di rarabellezza.

A b r a m oama il signifi-cato del Pre-

sepe e ricordacon nostalgia itempi di quan-do nella suanatia Calabria,ricca di fede etradizioni, il 

 presepio era il  protagonistadel Natale, si 

movimenti e momenti che avvicendano sul ciclo della gionata rispondendo diligentemente ad un cervello elettronico.

Ma le statuine sono creatursue e lui le fa nascere e le curcon l’amore di una mamma.

Abramo è, da parecchi annormai, un volontario in piantstabile nella famiglia Sant’Antonio, famiglia maschile di invalidi, giornalmente necessitati dsuo estro per rattoppare i piccoli e grandi bisogni della giornata, momenti nei quali la sua presenza passa dalla materia a esseri vivi e lo fa con la stessa animche materializza nei suoi presep(una sua statuetta è nel presepinternazionale dell’UNESCO Betlemme), sia quello della parocchia, o quello della famigliSant’Antonio o del Tribunale

delle carceri.In ogni momento e nelle suopere traspare e si manifestuna mamma lontana, che hcresciuti i suoi figli attorno al’altare, nella fede e con le virtnobili di chi si sporca le manper vivere.

 Mauro Carisson

aspettava insieme la mezzanottee il più piccolo della famigliadisponeva Gesù nella Man-

 giatoia. “Era un modo per unirela famiglia, ma anche per ricorda-re chi era lontano”. Il papà eraemigrato in Argentina ed è toc-cato a lui sin da piccolo aiutarela mamma a fare il presepe e dalì sposta un pastore prima, unapecorella poi, è scoppiata la pas-sione.

Quello allestito in parroc-chia, nel tempo si è adeguato aiprogressi dellameccanizza-zione e ormai,fatta salva laSacra Famiglia

è tutto unmovimento dipersonaggi, ilfabbro chebatte il ferro,la massaia chestende i panni,le pecore chebrucano l’er-ba, e tanti altri

P e r s o n a g g i4 I n c o n t r i

Mentre scorrevo distratta-mente l’ultimo numero di unmensile, improvvisamente sonostato richiamato dall’im-magine di un volto cono-sciuto; una figura che èmolto popolare qui danoi, particolarmente nel-

la famiglia Sant’Antonioe dal nome importante,Abramo.

La fotografia lo ritraeintento a sistemare unapecorella nell’aia davantila porta di una vecchiacasa di campagna (mi èstato detto poi), la casanatale di Don Bosco.

Un poeta

del presepein mezzo a noi

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Mi è stato chiesto di prepa-rare una paginetta da inse-rire in questo numero di

fine anno ed eccomi qua a rimesco-lare nelle mie arruffate memorie,cercando di cogliere quanto più

attinente allo specifico di questastraordinaria ricorrenza. Ma chissàperché, mi è calata un’insolitamalinconica tristezza e i miei pen-sieri, non trovano spazio nelleimmagini di questi nostri tempi, miportano invece al ricordo di tempilontani, nel cuore dell’ultimo con-flitto. Quell’anno 1943 mese diluglio, Milano era stata sottopostaad una serie ininterrotta di bombar-damenti e la città era tutta un rogoche illuminava le notti di quei gior-ni infelici ben oltre la città;la popolazione lasciava la

città con ogni mezzo dispo-nibile per cercare rifugio inpaesi e campagne dovesentirsi al riparo dai peri-coli, almeno da quelli chepiovevano dal cielo. Passal’estate, arriva l’autunno,l’armistizio, il disfacimentodell’esercito, la reazionedei tedeschi, l’occupazio-ne, la nascita di un esercito

fascista, che si riallinea con l’anticoalleato germanico, che imporrà unadisciplina oppressiva. Giorni dipaura, miseria e con l’arrivo dell’in-verno, di tanto freddo. Saltatoormai il baluardo delle ataviche

virtù dell’onestà e del rispetto dellecose altrui, ogni notte nei magnificiboschi che coprivano la vasta zonache da Arcore si allungava e span-deva verso le colline della Brianza,in quegli stessi boschi dove la popo-lazione si rifugiava ad ogni allarmeaereo, padri e madri di famiglia sfi-dando i pericoli della vigilanza, sidavano un gran daffare a tagliarealberi per farne legna da ardere edifendersi dal freddo. Arcore hauna bella chiesa parrocchiale col

un bel tavolo grande; lungole sponde dei molti ruscellisparsi nelle campagne, hocominciato a raccoglieremuschio e licheni. Nei bo-schi, lungo la recinzione delgrande parco di villa Bor-romeo d’Adda (all’epocaoccupata da un comando

tedesco e quindi bisognavastare bene all’erta, perchégli ufficiali giravano spessoa cavallo), superata la bellaimmagine della Madonnina incasto-nata nel muro, tenendo occhi abbas-sati per non guardarla, abbiamo co-minciato a sfrondare rami di alloro,altri sempreverdi e strappare ederae corteccia dai tronchi di alberisecolari, raccogliendo materia pri-ma necessaria. Dal fondo dei casset-toni, la mamma ha ricuperato lacarta necessaria per inventare cieli epaesaggi, ed eccoci all’opera. Di-segnavo benino, quindi questa

parte era mia; ricordo con nostalgiadi aver fatto cose belline e col pen-siero della guerra sempre presente,avevo disegnato anche un alpino,che dalla sua trincea volgeva lo

gioia. Qui sorge ora il problemdella raccolta offerte; risolto couna vecchia scatola di cartondelle scarpe ed una bella incisional centro del coperchio! Pasavano in tanti a vedere il mpresepio… ed io subito scuotevla scatola per sentire suono di sodini, ma la tanto desiderata mus

ca non c’era mai. La guerra pesava su tutte le famiglie, ma io nolo capivo bene, e allora l’apprensione per i risultati della mia rac

colta andavano crescendo; che farper scuotere un po’ di generosità invogliare la partecipazione? L’eempio, ci vuole l’esempio. Idea: ubel grosso bottone nella scatola coche non si senta troppo vuotaArriva il giorno della benediziondelle famiglie; nell’occasione verfatta la valutazione dei lavori fattpoi ritireranno la cassetta con i contributi raccolti.. per il presepe… mverrà assegnato il secondo premi

In altre case meno male che qualchsoldino è stato raccolto, così dipinto del Sacro Cuore è arrivatLo si può vedere nell’altare a sinstra appena entrati in chiesa. DoDomenico sprizza felicità, ci chiama raccolta, fa il bilancio dell’iniziava e il ragguaglio di quanto raccolte speso: “Raccolte lire ecc… ecc…e… UN BOTTONE!” Sarei sprofondato, il bottone non poteva essre che il mio! Ancora oggi quandvado in visita dai miei fratelli, nomanco mai di entrare in quella chisa, vado la davanti al mio Sacr

Cuore e dico: “Perdonami, tu lo sil bottone ce l’ho messo ioCom’erano belli quei brutti giorni

 Mario Carisson

sguardo verso la mamma lontana,davanti al camino con il rosario trale dita. Poi la grotta e la stalla,costruite con i ciottoli raccoltilungo le rive del fiume Lambro chescorre nelle tante frazioni di Arcore;ciottoli selezionati, misurati adimensione e tanti bei tronchetti dilegno. La buona zia Vincenzina,sorella della mamma, terziaria car-melitana è arrivata con le statuinenecessarie; sicuramente carpite al

buon cuore di qualche fraticello delconvento di Concesa. Con l’aiutodei fratelli eccoci pronti a inventaregrotte, stalle, pozzi, ruscelli, ponti,staccionate e recinzioni, il tutto

immerso nel soffice muschioraccolto. Con l’edera una bellafrangia lungo il perimetro deltavolo, sulla parete i miei dise-gni con angeli, stelle e casettecolorate, qualche lumino qua elà, una spruzzatina di farinabianca, una manciata di pagliasecca nella grotta, erba verdenella mangiatoia ed ecco là,Madonna e San Giuseppe sonosistemati, Gesù lo collochere-mo la notte di Natale. Ormainella vecchia cucina si circolavaa targhe alterne, ma che bello,me lo godevo e ammiravo conorgoglio il mio capolavoro,specialmente durante il Ro-sario serale con tutti attorno almio presepio; gelide quellesere, ma come si pregava con

R a c c o n t i6 I n c o n t r i

suo bel campanile, che fa bene ilsuo dovere ed ha anche un bell’ora-torio, con campo di calcio e unacopia della grotta di Lourdes; perassistente un santo e dinamicosacerdote pieno di iniziative. Con-suetudine tramandata e consolidatain tutte le case, a Natale in ogni casaun presepio. Quell’anno però donDomenico volle dare al presepio unmessaggio speciale: lancia un con-corso per il più bel presepio, ma inparallelo lo vuole veicolo di raccol-ta offerte il cui ricavo servirà perl’acquisto di un dipinto del SacroCuore, da collocarsi nell’unico alta-re delle chiesa parrocchiale rimastoancora vuoto. Chiama a raccoltatutti i ragazzi del’oratorio e li spro-

na creando entusiasmo einteresse per l’iniziativa;

suggerisce di collocare unbella cassetta per la raccol-ta nel cuore del presepio,vicino alla grotta della nati-vità. Avevo già un deboleper il Sacro Cuore, così ilmessaggio mi è calato den-tro, si è impadronito deimiei pensieri e mi sonomesso all’opera. La mam-ma ha messo a disposizione

Natale1943

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latte era la loro unica fonte di guadagno, era lì che

giaceva morta nel campo.L’angelo più giovane s’infuriò e chiese al più anzia-no come aveva potuto permettere che ciò accades-se? Accusandolo disse, il primo uomo aveva tuttoe l’hai aiutato.La seconda famiglia aveva poco ma era desiderosadi condividere tutto e gli hai lasciato morire lamucca.

“Le cose non sono mai ciò che sembra-no,” rispose l’angelo più anziano.“Quando eravamo nell’interrato dellagrande casa, ho notato che nel bucoc’era conservato dell’oro.Visto che l’uomo era così ossessionato

dall’avidità e non era tanto desiderosodi condividere la sua fortuna, ho si-gillato il muro così non lo troverà maipiù”.“Ieri sera mentre dormivamo nel lettodel contadino, l’angelo della mortevenne per prendersi sua moglie. In suavece gli ho dato la mucca”.“Le cose non sono mai così comesem.brano”

A volte è esattamente ciò che accade quando le cose non vannocosì come dovrebbero. Se hai fede, c’è bisogno di credere chequalsiasi cosa accade è a tuo vantaggio.Forse non lo capirai se non più tardi...Delle persone vengono nella nostra vita e vanno via.Altri divengono amici e rimangono per un pò... lasciando delleorme nei nostri cuori... e noi non siamo mai più gli stessi perchéabbiamo trovato un amico!!

Ieri è storia. Domani un mistero. Oggi è un dono.Ecco perché si chiama presente!

L’oggi penso sia speciale... vivi e assaporane ogni momento...

Non è un vestito da provare!

PRENDI QUEST’ANGELOE MANTIENILO VICINO

È UN ANGELO GUARDIANOMANDATO PER PRESERVARTI

 Rosanna Faggiani 

 Leggilo, ti giunge da un angelo molto speciale....Proprio adesso

Y Qualcuno ti sta pensando.

Y Qualcuno si sta preoccupando per te.

Y Qualcuno sente la tua mancanza.

Y Qualcuno vuole parlarti.

Y Qualcuno vuole stare insieme a te.

Y Qualcuno spera che tu non sia nei guai.

Y Qualcuno ti è grato per l’appoggio che hai fornito.

Y Qualcuno vuole tenerti la mano.

Y Qualcuno spera che tutto ti vada per il meglio.

Y Qualcuno vuole che tu sia felice.

Y Qualcuno vuole che tu trovi il tuo lui/lei.

Y Qualcuno celebra il tuo successo.

Y Qualcuno vuole farti un regalo.

Y Qualcuno pensa che tu SIA un regalo.

Y Qualcuno ti vuol bene.

Y Qualcuno ammira la tua forza.

Y Qualcuno ti pensa e sorride.

Y Qualcuno desidera essere la spalla

 su cui tu puoi piangere.

Due angeli mentre viaggiavano si fermarono

per trascorrere la notte a casa di personebenestanti.La famiglia era sgarbata e si rifiutò d’al loggiare gliangeli nella stanza degli ospiti. Diedero invece agliangeli una piccola stanza fredda nell’interrato.Mentre si prepararono il letto sul pavimentoduro, l’angelo più anziano vide un buco nel muroe lo riparò. Quando l’angelo più giovane chiese ilperché, l’angelo più anzianorispose: “Le cose non sono maiquelle che sembrano”.La notte seguente la coppia sifermò presso la casa d’un conta-dino e sua moglie molto pove-

ri,ma molto ospitali.Dopo aver condiviso il po’ dicibo disponibile, fecero si chegli angeli dormissero nel loroletto così permettendogli d’a-vere una buona notte di riposo.Quando il sole si levò il mattinoseguente gli angeli trovarono ilcontadino e sua moglie in lacri-me. La loro unica mucca, il cui

“Due Angeli viaggiatori”

R a c c o n t i8 I n c o n t r i

“Due Angeli viaggiatori”

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C iao mia piccola Principessa.N el giorno dei tuoi funerali, vincendo la commozione,

ti dico in questa letterina che mi manchi tantissimo.

 Mi mancanoil tuo profumo,i tuoi bacetti,ma soprattuttole notti passateac canto al tuolettino, mano

nella mano. Ricordi?Quando pren-devo la tua ma-no tra le mie eri 

sicura che nessuno avrebbe potuto farti alcun male, sicura che il tuo papà ti avrebbe difesa da ogni dolore.

Purtroppo né io né la tua mammaabbiamo potuto far nulla, e neppure i medici – anche di altri Paesi – ai quali ci siamo rivolti per debellare la rarissimamalattia che ti aveva colpita. Tu lo sai che abbiamo tentato l’impossibile, con i 

  pochi mezzi a disposizione, malgradol’aiuto di tanti.

Oggi ti scrivo e piango, soprattutto  per ringraziarti dei tre anni bellissimi in cui mi hai fatto diventare un uomomi  gliore e a tutti quelli che ti hanno co-nosciuta hai dato il tempo di innamo-rarsi di te.

 Mi hai fatto provare tante gioie: ogni 

tuo respiro era il mio, il mio cuore batte-va insieme al tuo. E tante sofferenze hai   provato senza mai lamentarti: cercavi anzi di apparire felice, preoccupandoti   per un mio graffio; anche se non avevi voglia di mangiare, ti sforzavi solo per   procurarmi piacere. Ma l’esperienza più grande che devo a te è stata quella di riu-

scire ad “arrendermi” alla volontà di DioNon è stato facile, ci ho messo de

tempo. Ma invece di chiudermi nel midolore, grazie a te ho scoperto un’altrdimensione della vita, più vera.

Finché ieri notte, mentre pregavo lungo davanti all’immagine della Ma

donna, tu mi hai dato la forza di dire a Dio: «Sia fatta la tua volontà». Avrei voluto donarti chissà cosa nel

l’esistenza che ti si apriva davanti, maora so che la vita mi   gliore per te erquesta che ora vivi insieme agli an geli

Grazie, Princi  pessa, sei la figlia che hosempre desiderato, di cui mi sento orgo glioso; e spero di essere stato anch’io pete il papà che desideravi.

Il tuo papà Antoni

T e s t i m o n i a n z e10 I n c o n t r i

L ettera a una 

P rincipessa 

L ettera a una 

P rincipessa 

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P e r s o n a g g i12 I n c o n t r i

vello. Collegato a un computerche gli permetteva di controllareun cursore toccando un interrut-

tore con un lato della testa, Rickfu finalmente in grado di comuni-care. Le prime parole? “GoBruins!” [squadra di hockey diBoston, ] E quando un suo com-pagno di classe rimase paralizzatoper un incidente e la scuola orga-nizzò una corsa per raccoglierefondi, Rick si lanciò: “Papà, lavoglio fare.”

notato che gli occhi di Rick liseguivano per la stanza. QuandoRick ebbe 11 anni lo portarono

alla facoltà di Ingegneria alla TuftsUniversity e chiesero se ci fossequalcosa che avrebbe potuto per-mettere al ragazzo di comunicare.“Non esiste”, dice Dick. “Non c’èniente che vada nel suo cervello.”“Gli racconti una barzelletta”,ribatté Dick. Lo fece e Rick rise.Evidentemente c’erano un saccodi cose che ‘andavano’ nel suo cer-

Sì, certo. Come avrebbe fattoDick, che chiamava se stesso un“ciccione” e che non aveva maicorso per più di un chilometro, aspingere il figlio peroltre otto chilometri?Comunque provò.Quel giorno la vita diRick cambiò. “Papà”scrisse, “quando cor-revamo, non mi senti-

vo più disabile!” Equella frase cambiò lavita di Dick. Divenneossessionato dall’ideadi far provare a Rick quella sensa-zione più spesso che poteva. Simise così in forma che lui e Rickerano pronti per la maratona diBoston del 1979. Gli Hoyt nonerano un corridore singolo, e nonerano un contendente in sedia arotelle. Per diversi anni Dick eRick si unirono semplicementealle enormi competizioni, finché

non trovarono un modo per entra-re in gara ufficialmente: nel 1983corsero una maratona così forteche si qualificarono per quella diBoston dell’anno successivo. Poiqualcuno disse: “Ehi, Dick, per-ché non il triathlon?” Un tipo chenon ha mai imparato a nuotare eche non è salito su una bici daquando aveva sei anni, come può

sue arterie era chiusa per il 95%“Se tu non fossi stato in una formcosì strepitosa,” gli disse un medco, “probabilmente saresti mort15 anni fa.”Così, in un certo senso, Dick Rick si sono salvati la vita a vicenda. Rick (che ha la sua casa dov

riceve assistenza a domicilio lavora a Boston), e Dick (in pensione dalla sua occupazione commilitare e che vive a Holland nMassachussetts), trovano sempril modo per stare insieme. Fannconferenze in giro per il Paese gareggiano in competizioni du

rissime ogni fine settimancompreso quella della fesdel papà.Quella sera Rick offrirà la cena suo papà, ma la cosa chvuole veramente è fargli uregalo che non potrebbe m

comprare.“La cosa che mi piacerebbe dpiù,” scrive Rick, “è che mipapà si sedesse sulla sedia

fossi io a spingerlo, per unvolta.”

portarsi dietro suofiglio di 50 kg in unagara di triathlon?Ora hanno all’attivo212 gare di triathlon,inclusi 4 massacrantiIronman da 15 orealle Hawaii. Ehi, Dick,

perché non vediamocosa faresti da solo?”“Neanche per idea”dice. Dick lo fa pura-

mente per “la sensazione straordi-naria” che prova nel vedere Rickcon un sorrisone mentre corrono,nuotano e pedalano insieme.

Quest’anno, alle rispettive età di65 e 43 anni, Dick e Rick hannofinito la loro ventiquattresima ma-ratona, al 5.083esimo posto suoltre 20.000 concorrenti. Il loromiglior tempo? Due ore e 40minuti nel 1992, solo 35 minuti inpiù rispetto al record del mondo(nel caso in cui non ti occupi diquesto genere di cose, voglio

ricordare che è stato ottenuto daun tipo che non spingeva un’altrapersona su una sedia a rotelle).“Non c’è dubbio” scrive Rick,“mio papà è il padre del secolo.”E anche Dick ne ha ricavato del-l’altro.Due anni fa ebbe un leggero attac-co di cuore durante una gara. Idottori scoprirono che una delle

Questa storia inizia a Win-chester, nel Massachus-setts, 43 anni fa, quando

Rick rimase soffocato dal cordoneombelicale durante il parto, rica-vandone un danno cerebrale chelo rese inabile a controllare gli arti.“Sarà un vegetale per il resto dellavita”, racconta Dick, lo dissero idottori a lui e a sua moglie Judyquando Rick aveva nove mesi.“Mettetelo in un istituto.” Ma gliHoyt non ci stettero. Avevano

Maratonapadre efigliodisabile

“La cosa che mi piacerebbedi più… è che mio papà sisedesse sulla sedia e fossi io

a spingerlo, per una volta.”

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Chi di noi non lo conosce-va? “Un altro santo cottolenghi-no” lo dissero in molti, riceven-do la notizia della sua dipartitada questo mondo.

I funerali rivelarono i suoiamici più cari: le persone pove-re, semplici, i “piccoli”. Eranosuoi figli, sue figlie, fratelli esorelle beneficati spiritualmen-

te ed economicamente da donComba che, orientati da lui,condotti con soavità e fortezza,s’erano avviati lungo la viaevangelica dell’abbandonofiducioso nel Padre provviden-te, del ricorso filiale a MariaS.S.; che avevano imparato avivere nell’amabile compagniadei Santi, ritenendo capofila S.

per i più soli ed emarginati.Don Comba ricoprì l’ufficio

di Cappellano nel nostro Mona-stero per circa 30 anni. Semprevigile, buono, presente.

Una presenza la sua da cui cisentivamo protette. Una presen-za serena, umile intelligente, di-screta, molto discreta.

A lui si poteva ricorrere per

consiglio, per aiuto; lo si trovavasempre disposto ad ascoltare, acompatire e, in ogni evento, dalui si ripartiva con il cuore inpace, aperto alla fiducia.

Riportiamo alcune brevi frasiricorrenti sulle labbra del nostroCappellano:

“Avanti, con la Madonna.

Teresa di Gesù Bambino.Don Comba amava tutto ciò

che è bello e puro, era uomocapace di trattare con piccoli egrandi, incline a gioire di tutto ea sperare sempre.

Il suo era un ottimismo dallesalde radici affondate in un ter-reno ricco di fede genuina, lim-pida che egli trasmetteva, che

lasciava trasparire silenziosa-mente nella gioia. Un uomo abi-tuato a scrutare le stelle e icuori, “un bambino” ebbero adire molte persone che l’aveva-no frequentato.

Un uomo libero della libertàdei figli di Dio, vero israelitasenza frode; solidale con ogniuomo, con spiccata predilezione

Gesù a destra, la Madonna asinistra, lei, in mezzo”.

“Vivere per Gesù è l’unicareal tà appassionante su questaterra”.

“Quando si chiede una graziaal Signore, è bene ringraziare inanticipo: è questo un modo inde-

  fettibile per far capitolare il cuore di Gesù”.

“Il segreto dei segreti è attac-carsi alla Madonna”.

“Tutto si decide nella fede”.

“La pazienza vince sempre”.

Raccogliamo ancora, sce-gliendo fior da fiore, dalle sueomelie:

“Il Signore, Egli solo è l’onni-  potente, e la sua onnipotenza ètutta per coloro che di Lui si fi -dano” (1983).

“L’abbandono e la mansuetu-dine, sono il vertice della Carità.

  L’abbandono è il vertice del -l’Amore per Dio; la mansuetudi-ne o misericordia è il verticedell’Amore per il prossimo.Pensare bene, agire bene”(1983).

“È la gioia il segreto dellanostra perseveranza gioia

 per il bene che il Signore ci dona (la sua presenzaaccanto a noi) e quello

che ci prepara (il Paradiso)  gioia da coltivar e c on lacontemplazione” (2007).

“Facciamo una squadret-ta di Santi prediletti e dicia-mo loro: Dateci una mano”(2007).

“Il miracolo più grande:Gesù va in Paradiso con un

Così accadde metaforicamente: Don Comba durante lsua vita arse del fuoco del divno Amore.

Negli ultimi 18 mesi il fuocdella malattia lo andò lentamente purificando. Infine la Caritche egli aveva vissuta nell’erosmo quotidiano fu il carro dfuoco che lo trasportò nella Vitsenza fine.

Caro Don Comba, ci richiami anche lei come il nostro SFondatore, alla... bella festquando noi, poveretti dellPiccola Casa saremo insiemper sempre a lodare Dio! (cDP 175)

E, con Lui, si attacchi amanto della Madonna e contnui ad aiutarci. (cf DP 337)

Deo gratias!

 Le suore de Monastero cottolenghin“Il Carmelo” di Cavorett

delinquente a braccetto: il buonladrone. Un delinquente che gli ha dato fiducia, ha creduto.

Gli sono bastate poche parole:Gesù ricordati di me.

E noi diciamo: Gesù, abbi  pietà di noi” (2007).

“Impariamo a credere nella

  fecondità della sofferenza. Sfo-  ghiamoci con Gesù, con la Ma-donna” (2008 ).

“La gioia è il termometrodella nostra fede nell’Amore checi viene dal Padre, da Gesù”.

“Partenza contemplativa: lamia vita è nelle tue mani, Gesù;

  So che mi porterai alla santità”(2006).

Don Comba amava scherzaredicendo di voler festeggiarequaggiù i suoi 100 anni, rag-

giunti i quali, il profeta Elial’avrebbe fatto salire sul suocarro per rapirlo da questaterra.

Don SpiritoBonaventura

Comba(barbo Ninou per familiari e amici).

T e s t i m o n i a n z e14 I n c o n t r i

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Sei novembre 1972:10.000giovani gremiscono il Pa-lasport di Torino.

La manifestazione prevede,dopo la rinuncia alla cena perdevolverne l’equivalente indenaro ai poveri,un discorso di DomHelder Camara, ar-civescovo di Olin-

da-Recife, in Bra-sile, ovunque notoper la sua lottaappassionata a fa-vore della giustizia.A Pentecoste del-l’anno successivo,l’esperienza si ripe-te con il cardinalSuenens, arcivesco-

ne cattolica italiana e ora pic-colo fratello di Gesù nellafamiglia religiosa di Charlesde Foucauld.Qualche anno prima, era statoaccolto a Torino Raoul Fol-

lereau, l’apostolo deilebbrosi.E qualche anno do-po vi sarà accolta

Madre Teresa di Cal-cutta: nella chiesadell’Arcivescovado,messa a disposizionedel Sermig di Er-nesto Olivero.Michele Pellegrino –il cardinale che sifaceva chiamare “pa-dre” e portava sul

vo di Malines-Bruxelles, inBelgio, uno dei moderatori, enon solo a parole, del Con-cilio Vaticano II.Lo affianca fratel Carlo Car-retto, già dirigente dell’Azio-

petto una crocedi legno – èattento ai fer-menti giovanilie invita a Torinograndi e umiliprofeti della spe- ranza per darrespiro e con-cretezza all’uto-pia del “mondonuovo” che ac-cende i giovaninella stagioneburrascosa deldopo ’68. Dice:«La speranza,per sostenersi,per fortificarsi,ha bisogno dicomunicazione.Quando si dà agli altri, esoprattutto quando ci si dà,siamo prima di tutto noi asentire che rifiorisce la spe-ranza e la gioia in noi».Difficile dire quanto questa

la Piccola Casdella Divina Provvidenza, il Cottolengo. Fu la suultima cattedra.«Gesù ci ha volutdire – aveva rimarcato nella sua ultma omelia – “lo hvinto il mondo”: cioè con la crocsembra che io sisconfitto, in realtla mia croce quella che porta amondo la salvezzaI cristiani che vogliono veramentseguire Gesù, mo te volte non è ch

facciano fortuna.Quel che conta è la fede, lfede che si traduce nell’amore, nella coerenza della nostrvita a ciò che crediamo».Fu questo lo stile evangelicdi padre Pellegrino.E ancora gliene siamo immensamente grati.

Piero Cod

scuola sia stata decisiva, pertanti, nel momento crucialedelle decisioni che orientanol’esistenza. Non vi dev’esserenella Chiesa – esortava Pel-legrino – «la paura dipenden-te da poca fede. Oggi, spesso,

non si ha abbastan-za fede nello Spi-rito che guida laChiesa, che spingeanche a scelte au-daci, a rischi calco-lati».Son passati venti-cinque anni dalla

sua morte. Si eraritirato a Vallo: loaveva convinto labellezza semplice diuna comunità lievi-tata dallo spirito delConcilio e dal cari-sma dell’unità. Unictus lo inchiodò auna carrozzella nel-

S p i r i t u a l i t à16 I n c o n t r i

Ricordo di Padre Pellegrino

La Fedeche

spinge arischiare

 Il card. Michele Pellegrino, allora arcivescovo di Torino, portava al collo una croce di legno e si faceva chiamare “padre”.

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altri, quelli che ci vedono. Ma èuna domanda che ci facciamoanche noi, che in clausura, a

Gerusalemme, ci viviamo.Per trovare il senso e ilmodo di uno stare qui, perviverlo con passione, confedeltà. La risposta alla

quale si arriva non è unarisposta facile, perché lasfida è alta, ed è quella disempre, ovvero di scoprirecome il Vangelo riesce arendere piena un’espe-rienza umana, dentro queiparadossi – evangelici ap-punto – che riescono aportarti alla vita facendoti

le diversità, o a conoscere meglioi luoghi della salvezza?È una domanda che si fanno gli

passare attraverso la morte. E larisposta che mi sto dando è chela clausura è il modo più poveroper perdere la vita: perderla pro-prio tutta, senza salvarne nem-meno un pezzettino, senza potertenere per te almeno una vagaipotesi che serva a qualcosa, chefai del bene a qualcuno...In monastero, di solito, non suc-cede niente di straordinario: legrandi vie del dialogo interreli-gioso non passano di qui, e perquanto ci si sforzi di costruirerelazioni, ti rendi conto che nonè qualcosa che dipende da te, oche avviene come e quando vuoitu. Accadrà, se Dio vuole.Spendi ore e ore a studiare le lin-gue, ma non sai in anticipo se ci

Ogni tanto me lo chiedo:ma che senso ha viverein clausura a Gerusalem-

me? Qui, dove giànon è facile incon-trare la gente, dovele necessità sonotante, dove di moti-

vi per uscire se nepotrebbero trovarea migliaia... Perchéstarsene chiuse fraquattro mura? Nonsarebbe meglio an-dare a cercare l’al-tro, a costruire dia-loghi e ponti? O atoccare con mano

Noi, immerse

nell’inutilitàdella Croce

T e s t i m o n i a n z e18 I n c o n t r i

sarà qualcuno con cui parlare.Le grandi sfide della politicaspesso ci trovano incapaci perfi-no di fare una lettura o una sin-tesi, tanto la situazione è com-plessa.In Italia – e nel resto del mondo!– i monasteri sono spesso luoghidi incontro, di amicizia, di con-divisione della preghiera, diaiuto spirituale. Qui tutto questoè raro, e comunque, anche quan-do accade, capisci che il cuoredel nostro essere qui non è anco-ra questo.In clausura a Gerusalemme ci sista solo per consegnarsi alla«inutilità» della croce, ovvero aquel mistero per cui Dio salvachi non è nulla, che il suo Regnoè donato ai poveri. Per viverequella parola del Vangelo per cuichi perde la vita la salva, e chi

vuole salvarla la perde. Per ab-bandonarsi all’esperienza cheprima di ogni altra cosa la vita èsolo grazia.La tentazione di sottrarsi a que-sta inutilità a volte è grande, enon sarebbe difficile trovaredelle sante motivazioni per farlo.In più, da questo luogo di osser-

vazione, è bello vedere la Chiesche si china sul dolore dell’umo: qui il dolore è grande, e Chiesa che vi si china è particlarmente bella, e a volte vorresesserci anche tu in questo suchinarsi.È tutto bello, è tutto veramenimportante: aiutare i palestines

fornire casa e lavoro ai cristianperché possano rimanere, incontrare i beduini, creare amicizcon gli ebrei e con i musulmaniQuante cose sarebbe bello fareMa per quanto sia bello, non nostro. Nostro, invece, è il deseto che tutto attende da Dio, chha nel Padre quella fiducia ciecper cui sai che la Vita viene solda Lui.È il fare così fortemente l’esprienza del limite da scegliercome dimora, come quella feri

che chiede tutto a Lui.E perché questa fiducia nosiano solo parole, ma sia la roccche tutto regge, deve passare pdelle vite così, totalmente inuticompletamente perse.E anche assolutamente certe chLui dona, esattamente a misurdella nostra povertà: cioè più nsiamo poveri, persi, niente, piLui dona tutto. Al centuplo.

 Suor Chiara LetizMonastero Santa Chia

Gerusalemm

Noi, immerse

nell’inutilitàdella Croce

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Qualche tempo fa mi èstata raccontata – nonso più da chi – un’ar-

guta storiella sulle effettivepossibilità d’intervento delloSpirito Santo nella nostra vita enelle nostre faccende, ecclesialima non solo.Un giornalista, dopo moltopenare, ottiene infine un’inter-vista niente meno che dalloSpirito Santo.La domanda che più gli sta acuore la formula a bruciape-lo, dopo i convenevoli, pres-sappoco con queste parole:

«Ma senta, lei che in fin deiconti ha la parola decisivanell’aiutarci a discernere lesituazioni anche più intrica-te e a prendere di volta involta le decisioni più oppor-tune, perché – a quantotroppo spesso si constata –interviene così di rado?».

Irriverente? Non direi. Mi sem-bra piuttosto che l’apologo vei-coli un prezioso insegnamento

è, insieme, teologico ed esisten-ziale: non si può chiedere chelo Spirito intervenga a darciluce e forza, se di fatto noi nongliene diamo lo spazio.E ciò vale per ciascuno di noi.Occorre con coraggio azzerare

precomprensioni, pregiudizie decisioni preconfezionate,per metterle al fuoco dellasua ispirazione, che il piùdelle volte spariglia le cartee ci sorprende.

Di fronte a Dio – come houdito dire un giorno daChiara Lubich – occorre sta-re “nudi” e “vuoti” di tutto.Ma ciò vale anche quando cisi mette insieme per capire ilda farsi, nelle piccole comenelle grandi cose.Lo Spirito Santo, di fatto,

altro non vuole se non inter-venire, e cioè venire in mezzo anoi per accendere i cuori e illu-

minare le menti.Ma affinché ciò accada occorrenon voler dettare noi a tutti i

S p i r i t u a l i t à20 I n c o n t r i

In fondo, non significa propriquesto impegnarci a fare dtutti i luoghi di vita, discernmento e indirizzo nella Chies

altrettante “case e scuole dcomunione”, come auspicatda Giovanni Paolo II nellNova millennio ineunte, la letera apostolica che ha volutdare il “la” al terzo millennidell’era cristiana?

Piero Cod

Q  UANDO LO SPIRITO

S ANTO INTERVIENELa risposta è venuta subito e digetto.«Beh, veda – ha detto più o

meno l’intervistato –, quandomi s’invoca all’inizio di riunio-ni, consigli e assemblee, subitomi precipito per offrire l’aiutoche mi è chiesto, ma quandoarrivo... i giochi son fatti e tuttoè già deciso!».

costi la tabella di marcia, i giudizi da formulare, le decisionda prendere.Bisogna essere distaccati, ape ti gli uni verso gli altri e tuttinsieme verso di lui, mettenda profitto ciò che possiamo sappiamo come un dono.

Non per affermare noi stessma per accogliere i suggermenti dello Spirito, il più dellvolte sussurrati a bassa voce, che perciò, per essere captati decifrati, esigono pazienza ascolto di tutti, in disarmatreciprocità.

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lutare anche in comu-nità nazionali lontaneda ogni tipo di ideolo-gia totalitaria e razzi-sta. Infatti anche unacultura civile che sipresenti come “ragio-nevole” e come “u-mana”, ma parta dal-l’identificazione di

una persona genetica-mente debole (o dive-nuta tale con il tempoin una società che assi-ste al continuo prolungamentodella vecchiaia), con un soggetto“scomodo” prima di tutto a sestesso, ma poi anche alla famiglia ealla intera collettività in generale,corre il serio rischio di indursi arisolvere il problema alla radice,eliminando quella persona (con ilsuo consenso, o anche senza,come nel caso olandese). E que-

sto, in nome della “ragionevolez-za” e della “pietà umana”; maanche dei “costi economico-socia-li”, sempre meno sopportabili.Mentre ascoltavamo quell’amarodibattito televisivo ci venne dadomandarci se una cultura delgenere non avesse una rispostanon meno “ragionevole” ed“umana”, ma che non fosse dinatura solo ideologica o astratta.E ci venne in mente il Cot-tolengo.Proprio lui, il canonico ottocen-tesco Giuseppe Benedetto Cot-tolengo, di famiglia ricca e coltodi suo, amico della Corte sabau-da e di tanti nobili del suotempo, che si accorse di colpo,per un caso del tutto eccezionalenella sua vita normale, che intor-no a lui e ai suoi amici vivevauna società poverissima, degra-data, umiliata, arresa al dolore

T e s t i m o n i a n z e22 I n c o n t r i

ragazze e ai ragazzi mentamente handicappati, senzpensare che fosse meglieliminarli, la dottoressChiara Castellani ci scrivdal Congo: “Nell’eutanasiil medico diventa strumentdi morte. Io qui a Kimbaunel mio piccolo, mi sentstrumento di Dio. E l

coscienza di essere una piccola cosa nelle sue GrandMani mi esalta e mi dà coraggio di continuare. I

Europa, ho l’impressione che lmia professione stia cercando dsfidare Dio. E proprio per questo fallisce, perché anzichaccettare la malattia cronical’invalidità, la morte come evento doloroso ma da interpretarin modo positivo nella globalitdel disegno di Dio di cui facciamo parte, rifiuta tutto ciò che sofferenza e sceglie il suicidiol’eutanasia. Perché in 15 anni dCongo non ho mai assistito a ucaso di suicidio? Gli africansono innamorati della vita, geuropei hanno perduto il sensdella vita. E i medici hanno perduto il senso della loro professione. Io non voglio perderlo”.Il Mistero continua.

 Beppe Del Col

quotidiano. Gli bastò vederla, ecambiò la propria esistenza e lapropria missione sacerdotale.Che cultura aveva il Cottolengo?A nessuno del suo ambiente,dove pure c’erano medici, am-ministratori pubblici, scienziati,filantropi, veniva mai in menteche i deboli, gli handicappati, ivecchi, i bambini disgraziati do-

vessero essere eliminati, sia purecon buona grazia. Ma non sipoteva ignorare che esisteval’aborto (illecito e moralmentecondannato, ma praticato cor-rentemente dalle mammane nellaclandestinità) ed esistevanol’”esposizione” dei neonati inde-siderati nelle “ruote” dei conven-ti, e soprattutto l’infanticidio.Non la morte, ma la cura dellavita, a qualunque costo e in qua-lunque condizione, senza chie-dersi perché, in nome del Diodel Vangelo. Quella fu la rispostadel Cottolengo: e chi cercassenel suo Carteggio una “ ragione”semplicemente “umana” non latroverebbe, se non l’obbedienzaa un comando divino all’amoredel prossimo.Oggi, a 180 anni dal giorno incui il santo torinese decise diaprire la sua Piccola Casa alle

In Olanda è stata approvatarecentemente una legge checonsente l’eutanasia infanti-

le, che autorizza cioè ad estin-guere – con il consenso dei geni-tori e sotto il controllo di diversimedici e di un magistrato – lavita dei bambini venuti al mondocon malattie inguaribili e han-dicap insormontabili, e per di piùcostretti a sopportare dolori fortissimi.

Il provvedimento ha suscitatoproteste e polemiche non solo inOlanda, anche in ambitomedico-scientifico, ma pu-re in Italia dove un mini-stro, l’onorevole Giova-nardi, lo ha qualificatocome “nazista”.Se ne è discusso lo scorsogennaio alla trasmissionetelevisiva “Otto e mezzo” su“La7”, con la partecipazio-ne del medesimo Gio-vanardi e del radicale Ca-

pezzone, più una europar-lamentare olandese.Le continue intemperanzedi Capezzone hanno pro-vocato un immiserimentodel dibattito, che ha finitocol ridursi al solito vecchioconflitto fra diritti dell’in-dividuo e comprensionedei “casi pietosi” da una

Il nazismo è stato fondato e poicostruito su una interpretazioneestrema e indicibilmente crudeledi un sistema di pensiero bendefinito e ben noto, l’eugenetica,che alla fine dell’Ottocento siproponeva di indicare all’umani-tà una strada per migliorare sestessa attraverso il progressoscientifico e “il miglioramentogenetico della specie, ancheattraverso l’educazione, in mate-

ria di malattie ereditarie”.Nella realtà tedesca della prima

metà del Novecento l’euge-netica è purtroppo servita agiustificare un programmadi purificazione della societàdagli elementi “non produt-tivi”, a cominciare daglianziani non più autosuffi-cienti, la cui avviata elimina-zione provocò la coraggiosaprotesta dell’arcivescovoVon Galen (che gli costòl’internamento in un lager ) e

proseguendo man mano congli handicappati di variogenere e poi, per estensione,con gli zingari e per finirecon gli ebrei, “in difesa dellarazza pura ariana”.Un processo, dunque, nonper colpa dell’eugenetica macol pretesto dell’eugenetica,che si sbaglierebbe a sottova-

«GLI EUROPEIHANNO PERSOIL SENSO DELLA VITA»

L’eutanasia e la vita viste dal Cottolengo

parte, e quello che resta dellamorale ispirata dai valori religio-si dall’altra.Il tema, invece, meritava e meri-ta ben altro rispetto e approfon-dimento.Il ministro, che appartiene al-l’UDC, ha certamente commessoun errore diplomatico nel defini-re “nazista” la legge olandese, diun Paese cioè che del nazismostorico ha un tragico e tristissi-

mo ricordo; ma nella sostanza ilsuo discorso è serio.

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zioni della società saltano: doveci si mette a servizio di chi datutti viene dimenticato.La Piccola casa può essere sen-z’altro considerata un’impor-tante esperienza per il cammi-no di fede, una preziosa fonteper la crescita dell’anima.Ma è ancora di più: un luogo di

crescita umana, di autoco-scienza.Offre la possibilità di mettersialla prova, di poter essere con-

Tutti feriti, chi da un trauminfantile, chi da un abbandongli ospiti della Piccola casvivono avvolti in un guscio chinsieme li separa e li proteggdal mondo.Le loro esistenze sembrerebbero destinate a scorrere senzsenso e senza direzione quan

do, improvvisa, c’è la possibiltà di un cambiamento, la speranza di un rivolgimento.Da questa esperienza si traggono ombre plastiche, insinuant

che echeggiano il vuoto dellnotte e la paura della solitudineÈ un’esperienza vicina al germogliare più segreto delle emozioni, che accompagna iun’avventura dell’anima di straordinaria incisività.

 Daniele Delcarmin

Questo articolo è stato scrit-to nel 1999 dopo un’espe-rienza di volontariato fattadall’autore. Oggi Daniele èinsegnante presso la scuolaPrimaria Cottolengo e col-labora alla realizzazione de‘La gazzetta’.

sapevoli dei pro-pri limiti. Questoframmento dimondo regala laforza e la serenitàdi sapere che esi-ste un posto incui gli indifesi e ipiù deboli vengo-

no rispettati, vi-vono in condizio-ni dignitose ericevono affetto ecure da chi è

pronto a prodigarsiper loro, da chi nonvive mai dentro di sé ilsenso del dovere mavive questa esperienzaavvolto in un involu-cro fatto di gioia, se-renità e anche di or-goglio.

Il Cottolengo è so-prattutto un’esperien-za umana. Lo è perchéper giorni si condivi-

dono situazionida ragazzi e ragazze trasci-nati a Torino da venti didiversa intensità.Con loro si può stabilireun rapporto straordinario,un prezioso e sorprenden-te scambio umano.È un’esperienza di vitaperché per la prima voltasi può fare qualcosa pergli altri. Gli “altri” nonsono esseri inanimati chenon hanno nulla da dire eda dare. Sono bozzoli dipreziosa seta esistenziale,fili tesi dal destino e tes-suti in una Torino sfavil-lante di luci notturne epulsante di vita.

T e s t i m o n i a n z e24 I n c o n t r i

L’approdo di chi non hanessuno. Luogo di vitadei perdenti, dei disere-

dati, degli esclusida questa societàcinica e meschina,un vero e proprioanacronismo.Alle soglie del due-mila c’è ancora un

posto in cui ci sioccupa degli altri,disinteressatamen-te. Il Cottolengo èun’istituzione a séfuori dal tempo edal mondo.È un luogo in cuitempo e spazio tro-vano, da parte di

chi ci arriva, una percezionecompletamente diversa. IlCottolengo crea un senso di

disorientamento, la stessa man-canza di sincronia tra il suonodel tuono e la luce del lampo.

In un’epoca caratteriz-zata dalla ricerca osses-siva ed esasperata ditecnologie in grado diabbattere le barrierespaziali, di velocizzare itempi e creare simulta-

neità, nel centro diun’ industr ia l izzatametropoli esiste unposto in cui un senso diimmobilità e stabilitàpervade l’anima.Ecco cos’è il Cotto-lengo!È un mondo a sé, in cuile regole e le conven-

In bilicotra Spiritualità

e Realtà

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Arrivo finalmente sullastrada principale diChaaria. Il rosso dellaterra si staglia sullosfondo azzurrissimo diun cielo equatorialeterso. In Africa la terraè rossa ovunque: lagente pensa che sia così

perché mischiata al san-gue di tutti quelli chenei secoli sono morti acausa della tratta deglischiavi, delle violenzecoloniali, e delle moltis-sime guerre fratricide.Guardo la terra, e perun attimo ritorno con lamente al Rwanda, alNord Uganda, alCongo, al Sudan e allaSomalia: quanto sangueanche oggi si mescola a

questi granelli finissimi, rendendoli

ancora più rubicondi.Il cielo invece, soprattutto se spingolo sguardo fino all’orizzonte, è di unblu impossibile da vedere alle nostrelatitudini. Le nuvole bianche che sirincorrono veloci sospinte dalle cor-renti di alta quota, non fanno che au-mentare il contrasto: ricordo di avervisto qualcosa di simile solo quandostavo scalando il Monviso, insieme adalcuni Fratelli molti anni fa.

Mi si avvicina velocemente unmatatu: è un vecchissimo Peu-geot, simile al Fiorino dellaFiat. È stipato di gente, non

solo all’interno ma anche sullabagagliera. Procede velocissi-mo verso di me. Gli uomini sultettuccio mi urlano dietro, eripetono continuamente:“Mzungu, mzungu... dove hailasciato l’automobile?”.Ci rimango un po’ male pen-sando che, dopo molti anni diservizio e di sacrificio per que-

Mi muovo attraverso il bana-

neto per raggiungere ilposto di polizia e da lì inol-

trarmi verso Chaaria dove voglio par-tecipare all’azione liturgica dellaChiesa Metodista, dalla quale sonostato invitato a predicare con finalitàecumeniche. Ciò che mi colpisce,mentre cammino con passo veloce,sono gli odori che si susseguono nel-l’aria che respiro: dapprima sono pas-sato vicino a un glicine che mi hariempito le narici di profumosoave, e mi ha fatto tornarein mente il carino episodiobiblico in cui Giona se la

prende con Dio che ha man-dato il verme a corroderequella deliziosa pianticellasotto la cui ombra lui trovavaristoro. Un po’ più avantivedo, sul ciglio del sentieri-no, una fila di jacarande infiore: anche loro profumano,ma la cosa più bella sono leloro chiome di color violetto,

che spiccano prepotentemente tra il

verdolino dei bananeti. Saluto ungruppo di donne che stanno facendouna riunione all’ombra rinfrescantedi un grande albero di mango, checon le sue foglie di color verdone,non solo offre refrigerio ai passanti,ma anche una casa a migliaia di uccel-li tessitori, sgargianti nelle loro piumegialle e nere, e tutti intenti nel chias-soso compito di preparare i loro nidiprima della stagione delle piogge.

sta gente di giorno e di notte, settegiorni alla settimana, ancora sonoconsiderato semplicemente un bian-co, che per definizione non sa cam-minare, e quindi si muove sempre esolo in auto, dal momento che tutti ibianchi sono molto ricchi.Non voglio però rattristarmi con que-sti pensieri. Il matatu sfreccia rapido adue centimetri dal mio bracciodestro. Ora vengo investito da un

nuvolone di polvere che mi impediscesia di vedere che di respirare. Mifermo un attimo per permettere alpulviscolo di depositarsi: è una neb-bia rossa, così fitta che potrei finiresotto un’altra macchina senza neppu-re vederla. Dopo alcuni minuti, quan-do l’orizzonte ritorna limpido, scorgodavanti a me una fila di persone inabiti da festa, che camminano rapidiin direzione opposta alla mia: oggi èdomenica e si dirigono verso laChiesa cattolica per la Messa.Soprattutto le donne vestono colorivivacissimi. Hanno abiti dagli acco-

stamenti arditi. Rosso porpora asso-ciato al giallo canarino… Verdescuro, blu e arancione si rincorronosulle gonne, sulle camicette e sui fou-lard. Molti sono gli uomini in kiten-ge, ed anch’essi amano tinte assai evi-denti. Pen-so che anche questo espri-ma un carattere propriamente africa-no. Infatti sembra che all’equatore icontrasti siano molto più forti, in

dicono che hanno bisogno di me isala parto perché ci sono due donnche non riescono a spingere e necesstano di “fundal pressure”, quella chsolo io so applicare con forza e discrzione. Seguo Judith con la testa ancra tra le nuvole: in meno di mezz’orDio ci regala due creature bellissimpiangono forte e non hanno probl

mi.Poco dopo, la nostra “malarica cerbrale” partorisce nel letto, assistita dWambeti. Il bambino è un maschiogià presenta i primi segni di macerzione post mortem. Lo guardo lungo e lo deposito sul fasciatoiodove pochi minuti prima erano staassistiti i due pupi nati senza problmi. Anche qui il contrasto lo sento imodo tagliente!Quasi una lotta continua tra gestremi della vita e della mortL’Africa è così. Non permette mezze misure. Anche chi ci vien

magari come volontario o come tursta, o si innamora e si becca il famoso “mal d’Africa”, oppure la odcon tutte le forze e la rifiuta.Io, dopo 10 anni, ancora sento forza di questi opposti che si confrontano ogni giorno, ne vengo scafito quotidianamente, e mi porto cicatrici nel cuore, sia nel bene chnel male, sia nel brutto che nel bell

Fr. Beppe Gaid

ogni aspetto del-la vita. Quandodi notte non c’èla luna, si speri-menta davvero ilbuio assoluto, ese ci si trova perstrada non si rie-sce proprio a

camminare.Però poi all’albasi passa dalle te-nebre alla forte

luminosità solare in pochissimiminuti. Lo stesso avviene al tramon-to, quando il sole si tuffa all’orizzon-te, e la notte ti avvolge completa-mente in meno di un quarto d’ora.Anche l’ospedale vive ogni giorno diquesti contrasti fortissimi, per esem-pio tra la vita e la morte: oggi ho rice-vuto una mamma con una malaria ingravidanza. Era confusa ed agitata.Stava complicando con una forma

cerebrale. Mi è parso che la cosamigliore fosse quella di curare primala malaria e poi di pensare al parto,magari domani, se le condizioni delfeto fossero deteriorate. Ho iniziato ilchinino in vena questa mattina, mapurtroppo sono stato chiamato inserata dall’infermiera che mi hacomunicato: “il battito cardiaco èscomparso e la donna contrae forte-mente”.Che crisi! Se magari decide-vo per un cesareo in mattinata, po-tevo salvare quella creatu-ra. Invece ho optato per laterapia medica. Un altro

di quegli errori che costa-no la vita a qualcuno.Come è difficile esserel’unico a decidere pertutte le emergenze!!!Che margine enorme dierrore!Però non mi posso per-mettere di continuare inquesto stato d’animo. Mi

T e s t i m o n i a n z e26 I n c o n t r i

L’AFRICADAI COLORI FORTI

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don Jobin e di tutti i sim-paticissimi giovani semi-naristi.Il complesso del Se-minario fronteggia unastrada di grande traffico.Appena entrati sulladestra abbiamo uncampo in cemento perpallacanestro e pallavolo,a sinistra la prima costru-zione, un bell’edificiostile Keralase, di fronte aquesto il Seminario. Iltutto è contornato da beigiardini con palme dacocco, alberi da frutta,banane e manghi, poiuna voliera con uccellini,una conigliera, un recin-to con i polli, una mucca

con il vitello e un toro. Sembravadi essere in una fattoria. Dall’altraparte della strada vi sono gli edificidelle comunità delle Suore e dei

Fratelli, la Chiesa del Santo Cot-tolengo con il Parroco, don JosephCocheril. Quando l’abbiamoincontrato ci ha molto ringraziatiper l’aiuto inviato dagli “Amici delCottolengo” per la costruzionedella Chiesa. Abbiamo fatte varieconoscenze e partecipato alleFunzioni della Settimana Santa chequi durano ore, ma avvolti dall’ar-monia dei canti, rapiti dall’intensi-

tà nella partecipazione, iltempo scorreva via veloce-mente. Per alcuni giorni sia-mo anche stati ospiti deiFratelli e delle Suore diPalluriti, accolti con gioia efraternità.Abbiamo visitato due ospe-dali privati e uno pubblico,molto fatiscente, un lebbro-sario, un villaggio per ragaz-ze madri e bambini abban-donati e un Centro per di-sabili psichici. Per alcunigiorni siamo stati presso il

Siamo stati in India nel 2004 enel 2005. Ci siamo ritornatinel 2007 per un soggiorno

concordato con la Piccola Casa, nelsud ovest, nel popoloso Stato delKerala: destinazione iniziale tresettimane con la comunità delleSuore Cottolenghine di Cochin,poi una settimana a Karumkulam.La Casa di Cochin è ben att rezzata,con un Centro di riabilitazione; quiOrnella è sta impegnata a tempopieno come masso- fisioterapista.Per Giuseppe, che è medico, inve-ce le occasioni di lavorosono state più limitate. AKaramkulam l’impegno èstato quello di gestire almattino un piccolo ambula-torio medico. Di questoperiodo non possiamo chericordare quanto le buoneSuore si siano adoperate perallietare il nostro soggiorno,anche con gite e tratteni-menti.Settembre 2010: Giuseppeva in pensione e qui donRoberto ripresenta la mai

sopita proposta di un altro soggior-no in India. Così l’8 aprile si ripar-te, destinazione Parur, per rima-

nerci sino il 28 maggio.All’arrivo all’aeroporto di Cochinuna bella sorpresa; ci accolgonofestosamente don Paolo Boggio,già da alcuni giorni in visita alSeminario e don Taj, Superioredella comunità locale.Trasferimento al Seminario diParur e il festoso incontro e acco-glienza nella tradizione indiana delRettore don Shony, del suo vice

Centro “Little Servants of DivineProvidence” fondato nel 1978 daSuor Mary Litty.Durante i suoi studi in medicina aRoma era andata in visita a Torinonella Piccola Casa della DivinaProvvidenza e qui fu ispirata a fon-dare una Casa simile in India, doveassistere disabili fisici e psichici.Dopo Pasqua siamo stati inseriti

nel programma socio-sanitariodenominato “Speranza”, organiz-zato da don Taj in collaborazionecon alcuni medici dell’Ospedalegovernativo, infermieri e assistentisociali. Avevamo un elenco dinominativi di persone, redatto daimedici dell’ospedale pubblico, davisitare a domicilio. Erano soggettidi diverso credo religioso, in condi-zioni di salute gravi o con invalidi-

con molto latte fornito dalla…mucca del Seminario!Anche il cibo indiano è stato moltgradito, soprattutto se piccante. basato su molto riso bollito da condire con diversi sughi e intingolspezzatino, pesce in umido o frittopollo, cavoli, fagiolini, gamberettifrutta, raccolta direttamente dgiardino.

La domenica, per consuetudine, pranzo per l’Ospedale pubbliccirca cento pasti, viene preparatdalla cucina del Seminario e vienservito da don Taj, fratel John e tr

o quattro volontari. Abbiamo vistato alcuni asili e doposcuolincontrato bimbi, che con giochsemplici e danze pittoresche, sprgionavano un’allegria contagiosche ci coinvolgeva a cantare e giocare con loro. Come vorremmo chil loro sorriso e la loro allegril’avessero anche i nostri bambinQueste esperienze, l’aver visto prezioso lavoro dei giovani Sacerdoti, delle Suore e dei Fratelli cha lasciato nel cuore tanta gioia speranza. Ringraziamo qui dell’acoglienza durante il nostro soggiono e soprattutto dell’amicizia risevataci da parte di tutti.

Giuseppe e Ornelvolontari e “Amici del Cottolengo

tà tali da rendere pro-blematico, anche permotivi organizzativi,il trasporto in ospeda-le. L’attività si svolge-va al mattino. Il grup-po era composto daGiuseppe, Ornella,don Taj in abito tala-re, una o due assisten-

ti sociali e a volte unapersona del posto perlocalizzare le abitazio-ni che in genere eranosperdute nelle im-

mense piantagioni dicocco, motivo per cui sidoveva camminare mol-to nel caldo e con umi-dità notevoli.Riuscivamo a fare unamedia di cinque sei visi-te al giorno; non tutti igiorni, perché c’eranoaltri impegni. Le pato-

logie più comuni ri-scontrate sono state:diabete e sue complica-zioni, ipertensione, po-stumi di ictus cerebrale,malnutrizioni con gravideperimenti organici, neoplasie,cardiopatie, depressione. Abbiamodovuto, previo consenso della fa-miglia, ricoverare in urgenza unsignore che viveva solo; era malnu-

trito, con respiro affan-nato e ritmo cardiacoaltissimo, segno digrave compromissionedella salute. Dopo al-cuni giorni lo abbiamoincontrato in ospedale,molto migliorato; ci hacommosso la sua ri-conoscenza. Il pome-riggio compilavamo lerelazioni mediche, sor-seggiando il buon Theche ci veniva offertomattino e pomeriggio,

N o t i z i e28 I n c o n t r i

Ritorno in India

 Arrivo al Seminario di Parur 

Ospiti della comunità Mary Litty 

Raccolta noci di cocco

 Abitazioni lungo il canale

Raccolta Jack fruit 

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Invece di cercare devo lasciarmitrovare! È come se Dio mi dices-se: «Dove vai? Non vedi che seigià a casa?». Non posso non pen-sare a queste “perle” se non attra-verso immagini colorate: sonosalici, querce, sequoie, vecchisognanti; sono come pettirossiquando trovano una briciola dipane, o meglio ancora un cono digelato vuoto. Amano vedere ilvolo di una rondine (anche nelgrigiore di Torino), i capelli bian-chi di una montagna o la danza diun petalo di rosa che cade volteg-giando nel cortile.Raccontano dicieli con tante lune, le stelle sonoper terra, colombe e cuori ricama-no le loro giornate; le montagnesu cui volgono lo sguardo sonodolci come panettoni e attraversola volontà, la speranza e l’amore

tentano di superarle. Mi racconta-no della tenerezza, del rispetto,della comprensione, della speran-za, di Dio. Questi “prodigi delSignore” mi hanno dato alcune“istruzioni per l’uso” con l’esem-pio e la testimonianza. Vorrei con-dividerle con voi…

fluenza altrui, e non è neanchreagire: è essere padroni di sUn’altra cosa importante: benemale esistono e tu hai la coscienper distinguere l’uno dall’altro.

Non avere paura. Vivere è sempcorrere qualche rischio. Noavere paura di sbagliare.Non spventarti per gli errori, contengonsempre una lezione per il fu

turo. Si progredisce soltanto attrverso gli errori e ciò che ci insgnano. Non rifugiarti nelle abitdini, non affidarti alle mode, limtano il nostro modo di vivere.

Vivere può essere difficile. Mmenti di smarrimento, voglia lasciar perdere, non mancannella vita. Non lasciarti schiaccire: c’è sempre un’altra occasionNon sei obbligato a strafare mascoprire la dolcezza, la luminositla bontà, la meraviglia di ogistante. E ricordati di ridere. Lgioia è come il sole.

Sii onesto, gentile, rispettoso, to

lerante… Se provi un senso rivolta contro l’ingiustizia e la cativeria umana, ribellati. La vigliacheria e l’egoismo sono sempre pcomodi. Se i grandi non sembrantroppo difficili, inizia da quelli picoli. E impara ad amare…

Concludo con questa frase Emerson: «La felicità è un profumo che non puoi donare agli altsenza che qualche goccia non cadsu di te».

Con affettCr

Prendi in mano il timone dellatua vita e scegli la rotta. Hai sol-tanto questa possibilità: noncopiarla da altri, non rimpiangerequello che non hai. Pensaci bene,ma poi parti per la meta che ti seiproposta. Scegliere significa ri-nunciare. Conta su dite, non sul-l’approvazione degli altri; nondipendere da critiche e giudizi:hai una coscienza e solo a lei devirispondere. Avrai solo ciò chedecidi veramente di avere e nellamisura in cui ti dai da fare perottenerlo. Non avere paura: avivere si impara vivendo.

Lo scopo della vita è di esserefelici, non di arrivare primi: Nonconfrontarti con gli altri: ognunoè diverso e ognuno vale. Invece difare paragoni guarda con orgoglioa quello che hai realizzato. C’è chiè disposto a tutto pur di riuscire:barare, sgomitarsi. Per salire inalto occorre faticare scalino doposcalino.

Qualunque sia il problema ricor-dati che puoi farcela. Guarda ilbello e il buono che c’è intorno ate e non smettere di meravigliarti.Forse non sei il sole ma non è unbuon motivo per essere un nuvo-lone nero. I pregiudizi e le opinio-ni altrui ti bloccheranno. Lacuriosità, l’apertura e l’azione tisalveranno. Il bello, il buono el’utile sono cose grandi e semplici.

Sei uno strumentista in una gran-de orchestra. Impara a suonarebene la tua vita. Ti servono onestàe lucidità per riconoscere i talenti,le capacità e i limiti che hai. Nonpuntare sulla fortuna, ma su quello

che ti senti in grado di realizzare.Ogni giorno “devi partecipare”.

Puoi controllarti e quindi seiresponsabile.Le tue decisioni, letue emozioni, la tua realtà dipen-dono in gran parte da te. Nondare mai con leggerezza la colpaagli altri. Dovrai lavorare, avraidegli impegni, delle scadenze darispettare. Agire non è subire l’in-

T e s t i m o n i a n z e30 I n c o n t r i

PREGHIERA DI UN GIOVANE ALTERMINE DELLA TRE-GIORNIDI SPIRITUALITÀ A DRUENTO:

 Signore,eccomi inginocchiatodavanti a Te!

Concentro il mio sguardosu Te, ma…Vedo realmente Teo mi fermo a quella porticina con la

 fiammella

sempre pronta a salutarci?! Sono inginocchiato… perché?!È l’umiltà a piegareil mio ginocchio oè il peso del mio io?!Fisso il mio sguardosulla fessura della serraturacome si infila una monetain una macchina per bevandein attesa del prodottoselezionato o sonorealmente assetatodella Tua Acqua?!

 Sgonfia il mio orgoglioso egoismoe fammi conchiglia pronta

ad accogliere l’immensitàdel Tuo Amore,orecchio capace di ascoltareil Tuo silenzio,bambino che rimanea bocca apertanello stupore del donodi ogni singolo attimoeternamente vivo.

Paolo

DEO GRATIAS!

Penso che non si possa ini-ziare che così… Il 2011appena finito mi ha lasciato

un regalo grande: è la PiccolaCasa, dove ho trovato amici, fra-telli e sorelle con cui condividereun cammino e un nuovo postodove sentirmi davvero a CASA.Se dovessi riassumere in un’imma-gine quello che ho ricevuto dal

campo invernale a Druento sce-glierei lo sguardo sorridente di SrRaffaella che spacchetta i regaliper il suo compleanno: penne,matite, oggetti quotidiani. È lagioia dei semplici che ti fa rimette-re tante cose nella giusta prospet-tiva. E questo lo fanno allo stessomodo gli ospiti che incontri, chepiano piano inizi a conoscere. Enei miei primi giorni al Cot-tolengo, nel reparto degli AngeliCustodi, ho conosciuto personedavvero speciali: due donne, dueamiche, entrambe sordomute esulla sedia a rotelle, una di loro tri-

ste e sofferente; eppure le tornavail sorriso, quando l’altra girava leruote della sua carrozzina per arri-vare da lei a stringerle la mano…E poi… ci sarebbero tante cose daraccontare; volti, parole, sguardi,sorrisi, Cristo che puoi vederechiaramente in ogni persona cheti è accanto, che sia un pazienteche stai imboccando, la caposalache ti spiega come si fanno i letti,

o una suora che sta ad ascoltareper ore i tuoi silenzi, quando nonriesci a parlare…La cosa più importante è che dav-vero “se entri a cuore aperto, tuttoquesto ti entrerà nel cuore”, e nonandrà via, perché non riuscirai piùa farne a meno e il desiderio piùgrande sarà quello di tornare…

 Bianca

RIFRESSIONI PERSONALI...

«Per sapere quanta felicitàuna persona può riceverenella vita, basta sapere

quanta è capace di darne»(ARTHUR  SCHOPENHAUER ).

Voglio raccontarvi la mia gioia nelripensare alle “piccole pietre pre-ziose” che vivono alla PiccolaCasa e l’unico modo per farlo eradi iniziare con questa frase cheriassume ciò che vivo quandoentro nel cortile di Via Cottolengo14. Quello che mi spiazza in que-ste esperienze ogni volta è il pen-sare di dover fare sempre qualco-sa, di arrivare da qualche parte.

BRICIOLE DI CARITÀBRICIOLE DI CARITÀ