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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013Riviststa a di MMede iccinina Veterinanaria, vvolo . 4949, n. 2, 200131
RIVISTA di
MEDICINA
VETERINARIAVOL. 49 - n. 2 - Agosto-Dicembre 2013
DAL PROSSIMO NUMERO
DISPONIBILE SOLO ONLINE
maggiori informazioni all’interno
RIVISTA di
MEDICINA
VETERINARIA“Recensita da CAB Abstracts”
Pubblicazione semestrale di informazione e aggiornamento su temi inerenti
la ricerca scientifica e la tecnologia veterinaria e zootecnica
Direttore scientifico
Silvano Carli
Direttore responsabile
Giorgio Valla
Comitato di redazione
D. Bizzarri; C. Camoni; P. Casappa; F. Cozzi;
A. Fiorentini; A. Galuppini; A. Meini; L. Montanari
Segretaria di redazione
Irma Lucarelli
Redazione e Amministrazione
Viale Colleoni 15 - 20864 Agrate Brianza (MB) - Tel. 039.6559.442
I Medici Veterinari interessati a ricevere in abbonamento gratuito la Rivista di Medicina Veterina-
ria o a variare il recapito di consegna della stessa (allegare il talloncino con il precedente indirizzo)
sono pregati di scrivere a CEVA SALUTE ANIMALE S.p.A. - Rivista di Medicina Veterinaria -
Viale Colleoni 15 - 20864 Agrate Brianza (MB) - Fax 039.6559.244 - E-mail: [email protected].
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati.
CEVA SALUTE ANIMALE S.p.A. - Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1719 del 14/2/2004
Stampa: GRAFICADUE PRINT srl - Cinisello Balsamo (MI)ASSOCIATO ALL’USPI - UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Sommario
Sezione RUMINANTI
La flogosi nelle patologie uterine del bovino e il ruolo di BoHV-4Sarah Jacca, Valentina Franceschi pag. 29
Ipocalcemia sub-clinicaDanilo Buoli pag. 33
Utilizzo del dispositivo intravaginale a lento rilascio diprogesterone, nella terapia dell’anaestro di tipo i, ii, iii: prova in campoGiovanni Gnemmi pag. 43
L’associazione benazepril-spironolattone (Cardalis®) come primo trattamento in cani affetti da insufficienza cardiaca congestizia causata da degenerazione cronica della valvola mitralica -Studio FILIT (FIrst LIne Treatment)
P. Ovaert, E. Guillot, V. Grassi, E. Ollivier pag. 7L’importanza della visita clinica cardiologica Oriol Domenech, Federica Marchesotti pag. 15
L’uso della Cabergolina nella gestione dei tumori mammari della cagnaMaria Carmela Pisu pag. 25
Sezione ANIMALI DA COMPAGNIA
Comparazione dell’efficienza in scrofette puberi di un trattamento progestinico e di un trattamento progestinico associato a gonadotropine
A. Scollo, E. Catelli, P. Casappa, C. Mazzoni pag. 49
Sezione SUINI
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Sezione EVENTI CEVA
ReprodAction Meeting - Gestione riproduttiva delle manze in allevamenti da latte
Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012 pag. 55
Abstracts and research digest - Estratti di articoli selezionati comparsi su altre riviste veterinarie
Effetto della somministrazione di meloxicam su sensibilità al dolore, ruminazione e sintomi clinici in bovine da latte affette da mastiti cliniche indotte da endotossine
G. Valla pag. 69
Tassi di luteolisi e di gravidanza in bovine da latte dopo trattamento con cloprostenolo o dinaprost
G. Valla pag. 71
Nella bovina da latte il trattamento con progesterone prima dell’inseminazione artificiale favorisce la sincronizzazione dell’ovulazione, aumenta i tassi di gravidanza per inseminazione eriduce le perdite di gravidanza dopo l’inseminazion
G. Valla pag. 73
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B. Riccio
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
IL RINNOVAMENTO CONTINUA
Gentile lettrice, gentile lettore
Con la pubblicazione del n°1-2012 è iniziato, per la Rivista di Medicina Veterinaria, un nuovo percorso che ha previsto modifiche nella grafica e l’introduzione di nuove sezioni con l’obiettivo di fornire ai Medici Veterinari uno strumento che possa essere utile nell’acquisizione di ulteriori conoscenze ed approfondi-menti nel campo della Medicina Veterinaria.
Ma i tempi cambiano e con questi cambia anche il modo di comunicare ed il modo di fruire degli stru-menti di aggiornamento. Nel solco di questo cambiamento il Comitato di Redazione ha deciso che dal prossimo numero (n°1 del 2014) la Rivista di Medicina Veterinaria, che molti di voi già ricevono la Rivista unicamente o anche in formato elettronico.sarà inviata solo in formato elettronico e non più in forma cartacea. Di seguito, i lettori che attualmente ricevono la Rivista unicamente in formato cartaceo, troveranno i rife-rimenti utili per la comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica al quale, ne caso in cui non sia stato comunicato in precedenza, potrà essere inviata la Rivista di Medicina Veterinaria.
In ultimo, ma non per ultimo, questo cambiamento contribuirà a ridurre la quantità di carta utilizzata con riflessi positivi, sia pur limitati, sulla protezione dell’ambiente.
Confidiamo che questa scelta sia apprezzata e possa consentire un migliore utilizzo dei contenuti della Rivista
Un cordiale saluto
Il Comitato di Redazione
Editoriale
Per ricevere la Rivista in formato digitale scrivi una mail all’indirizzo [email protected] oppure collegati al sito www.ceva-italia.it/Rivista
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B. Riccio
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Parole Chiave: spironolattone, benazepril, cane, insufficienza car-
diaca, compliance, qualità di vita
Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi clinici
(Bench Study Group, 1999; Bernay et al., 2010; Besche et al., 2007;
Haggstrom et al., 2008) per valutare l’efficacia dei diversi farma-
ci utilizzati nella gestione dell’ insufficienza cardiaca congestizia
(CHF) causata da degenerazione cronica della valvola mitralica del
cane (CDVD).
Si è trattato di studi prospettici, a singolo o doppio cieco, com-
parativi o con controllo placebo, basati principalmente sulla valu-
tazione dell’efficacia dei preparati farmaceutici. Tra i parametri in
genere considerati sono stati spesso trascurati aspetti importanti
come la praticità di utilizzo dei preparati da parte di proprietari e
veterinari, la compliance e l’appetibilità dei prodotti.
Lo “Studio FILIT” descrive l’impiego clinico di un’associazio-
ne tra benazepril e spironolattone, recentemente approva-
ta in Europa (Cardalis ), come primo trattamento in cani con
CHF causata da CDVD. Nel corso dello studio, insieme a ef-
ficacia e sicurezza, sono stati valutati anche la compliance
alla terapia, l’appetibilità del preparato farmaceutico e la fa-
cilità di somministrazione da parte di proprietari e veterinari.
METODI
Criteri di inclusione ed esclusione
I cani ammessi allo studio erano portatori di CHF causata da
CDVD, confermata dalla presenza di soffi cardiaci, intolleranza allo
sforzo, dispnea, edema polmonare, cardiomegalia da radiografia
(Buchanan Vertebral Heart Size [BVHS] > 10.5) e ingrossamento
atriale sinistro da ecocardiografia (Rapporto Atrio Aorta Sinistri
[LA/Ao] ≥ 1.5).
I cani non sono stati inclusi nello studio se in precedenza erano
stati sottoposti ad altro trattamento farmacologico o erano porta-
tori di una malattia cardiaca diversa da CDVD.
L’associazione benazepril-spironolattone (Cardalis®) come primo trattamento in cani affetti da insufficienza cardiaca congestizia causata da degenerazione cronica della valvola mitralica - Studio FILIT (FIrst LIne Treatment)
P. Ovaert*, E. Guillot*, V. Grassi+, E. Ollivier+
* Ceva Santé Animale, Medical Services, Companion Animals, Libourne, France+ Ceva Santé Animale, Research and Development, Libourne, FranceAutore cui inviare la corrispondenza: [email protected]
Trattamenti
Il protocollo terapeutico ha previsto 2 diversi periodi di trattamen-
to. La terapia è iniziata con la somministrazione di Cardalis® (0.25
mg di benazepril e 2 mg di spironolattone per kg di peso cor-
poreo) una volta al giorno per 3 mesi (periodo di trattamento 1)
ed è continuata per altre 2 settimane con una somministrazione
giornaliera di benazepril (Fortekor ) + spironolattone (Prilactone )
(periodo di trattamento 2).
Nei soggetti sottoposti alla prova era ammessa la somministrazio-
ne di altri farmaci come furosemide e pimobendan. In caso di
necessità era autorizzato anche il ricorso alla somministrazione di
una dose doppia di benazepril.
Il ricorso ad altre terapie convenzionali era consentito se queste
non interferivano con l’attività dei farmaci oggetto della valutazio-
ne sperimentale.
Follow-up
Lo studio prevedeva l’effettuazione di 5 visite veterinarie obbliga-
torie che comprendevano: un esame clinico generale, la misura-
zione della pressione sanguigna e la valutazione del profilo emato-
logico e ematochimico.
Al giorno 0 (D0) sono stati effettuati un ECG, un’ecocardiografia e
una radiografia toracica. La radiografia toracica è stata ripetuta al
giorno 84 (D84) (tabella 1).
Ad ogni visita il proprietario doveva compilare un modulo (il que-
stionario Functional EvaluaTion of Cardiac Health (FETCH) (Freeman
et al., 2012) per documentare la qualità di vita del cane (QOL).
Durante la prima settimana di ciascuno dei due periodi di trat-
tamento, il proprietario doveva annotare se il cane assumeva le
compresse con facilità o no. Inoltre, i proprietari e i ricercatori do-
vevano valutare la comodità d’impiego di Cardalis® e la preferenza
nei confronti di Benazepril + Prilactone .
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P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier
Valutazione dei risultati
Sono stati analizzati tutti i dati derivanti la popolazione canina glo-
bale arruolata per la prova. E’ stata confermata l’efficacia nel perio-
do di trattamento 1, mentre altri parametri sono stati valutati per
tutto il periodo dello studio.
Si è confermata l’efficacia del trattamento in (a) cani che sono stati
trattati con Cardalis durante lo studio e in (b) cani che sono stati
trattati con Cardalis e con un altro trattamento cardiaco conco-
mitante (Cardalis + CCT) almeno una volta durante lo studio
RISULTATI
Caratteristiche della popolazione al momento dell’inclusione
101 cani di proprietà sono stati reclutati da 28 centri di ricerca in
Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Slovacchia. Circa la metà
dei soggetti era composta da maschi e l’altra metà da femmine.
Con una età media di 11 anni, una maggioranza di cani di piccola
taglia e con un peso medio di 11,8 kg, la popolazione reclutata
era rappresentativa della comune popolazione di cani cardiopatici
con CDVD.
In accordo con i criteri di inclusione, tutti i cani presentavano di-
spnea, intolleranza allo sforzo, soffio cardiaco, cardiomegalia, ede-
ma polmonare e ingrossamento atriale sinistro.
La maggior parte dei cani presentava tosse (87.1%) e/o ridotta vi-
talità (60.4%). Quasi il 90% dei cani era portatore di insufficienza
cardiaca di classe II. Ulteriori dettagli sono inseriti nella tabella 2.
TABELLA 1
programma visite.
Periodo di trattamento Periodo 1 (Cardalis®) Periodo 2 (Benazepril+ Prilactone®)
Nr. visita V1 V2 V3 V4 V5
No. giorno (D). (Nr. Mese (M)
D0 D7±1 D28±2 (M 1)
D84±3 (M 3)
D98±3 (M 3.5)
Veterinario
Esame clinico * X X X X X
Pressione sanguigna arteriosa X X X X X
Esame del sangue (ematologia
e ematochimica)
X X X X X
ECG X
RX toracica X X
Ecocardiografia X
Proprietario
QOL (punteggio Fetch) X X X X X
Registrazione assunzione
(per appetibilità)
Prima settimana periodo di studio
Prima settimana periodo di studio
TABELLA 2
Caratteristiche dei cani all’inclusione (n=101, numero di casi e %).
Età 11.0±2.7 anni (da 3.1 a 18.0)
Peso corporeo 11.8±7.5 kg (da 2.8 a 42.6)
Sesso
Maschio
Femmina
55 (54.5%)
46 (45.5%)
Razze
Cavalier King Charles Spaniel
Barboncino
Russel Terrier
Yorkshire Terrier
Brittany Spaniel
Meticcio
Altre razze
16 (15.8%)
10 (9.9%)
9 (8.9%)
6 (5.9%)
5 (5.0%)
16 (15.8%)
39 (38.6%)
BVHS 12.0 ± 2.2 (10.6 to 26.5)
LA/Ao 2.0 ± 0.4 (1.5 to 3.7)
Classe di insufficienza cardiaca
IA e IB
II
IIIA
IIIB
0 (0.0%)
90 (89.1%)
11 (10.9%)
0 (0.0%)
Punteggio FETCH 25.8 ± 12.8 (da 6.0 a 61.0)
* Esame clinico: segni clinici (dispnea, tolleranza allo sforzo, tosse, scarsa vitalità), soffio cardiaco (punteggio da 0 a 6), classe ISACHC di insufficienza cardiaca
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Trattamenti cardiaci concomitanti
In linea con i criteri di inclusione, al momento dell’inclusione
nessuno dei cani era già stato sottoposto a terapie cardiache.
In aggiunta a Cardalis®, su una popolazione totale di 36 cani, al
momento dell’inclusione nello studio, è iniziato un trattamento
cardiaco (35.6%, vedasi tabella 3) che in seguito è stato effettuato
anche su altri 9 cani (8.9%). Considerato che durante lo studio 56
cani (54.4%) sono stati trattati solo con Cardalis®, un totale 45 cani
(44.6%) ha ricevuto, almeno una volta, un trattamento cardiaco
concomitante (CCT) durante lo studio stesso.
Nello specifico, furosemide è stato prescritto a 37 cani (36.6%), a
dosi medie di 3.6 ± 1.9 mg/kg/giorno, e pimobendan è stato pre-
scritto a 28 cani (27.7%), a dosi medie di 0.5 ± 0.4 mg/kg/giorno. In
nessuno dei cani è stato necessario raddoppiare la dose di bena-
zepril alle condizioni di protocollo.
EFFICACIA DI CARDALIS®
Segni clinici e classe di insufficienza cardiaca
Nella popolazione globale, tutti i sintomi clinici (dispnea, intolle-
ranza allo sforzo, tosse, diminuita vitalità) e la classificazione dell’in-
sufficienza cardiaca sono migliorati rapidamente e significativa-
mente sino a D7 e poi ulteriormente sino al D28. E’ stata osservata
una stabilizzazione dei sintomi clinici fino al D84 (figure 1 e 2 per
dispnea e intolleranza allo sforzo). Il miglioramento dei sintomi cli-
nici era coerente con l’evoluzione della classificazione dell’insuffi-
TABELLA 3
Trattamenti cardiaci concomitanti iniziati all’inclusione (numero
di cani e %, n=101).
Trattamento Cardiaco
ConcomitanteN (%)
Totale furosemide
Totale pimobendan
Furosemide 14 (13.9%)
29 (28.7%)Furosemide + Pimobendan
15 (14.9%)
21 (20.8%)
Pimobendan 6 (5.9%)
Altri 1 (0.99%)
Nessun trattamento
66 (65.3%)
cienza cardiaca (figura 3).
Nella popolazione trattata solo con Cardalis®, dispnea e intolle-
ranza allo sforzo sono migliorati in una percentuale maggiore di
animali rispetto al gruppo trattato con Cardalis® + CCT (diagrammi
1 e 2). Risultati analoghi sono stati osservati per il sintomo tosse e
per la ridotta vitalità. Anche l’evoluzione dell’insufficienza cardiaca
è migliorata nel gruppo che è stato trattato solo con Cardalis®.
DIAGRAMMA 1
Evoluzione Dispnea.
Popolazione globale (101 cani): rispetto all’inclusione, la dispnea è
migliorata rispettivamente del 52.5, 65.3 e 56% nei cani a D7, D28 e D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto alla inclusione, la
dispnea è migliorata rispettivamente del 49.1, 71.7 e 60.4% nei cani a D7,
D28 and D84.
Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante trattamento
cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione, la dispnea è migliorata rispettiva-
mente del 56.8, 57.1 e 50.0% nei cani a D7, D28 e D84.
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P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier
DIAGRAMMA 2
Evoluzione dell’intolleranza allo sforzo.
Popolazione globale (101 cani): Rispetto all’inclusione, l’intolleranza
allo sforzo è migliorata rispettivamente del 41.4, 61.1 e 57.1% nei cani a
D7, D28 e D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto all’inclusione, l’intol-
leranza allo sforzo è migliorata rispettivamente del 30.9, 60.4 e 64.2% nei
cani a D7, D28 e D84.
Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante tratta-
mento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione l’intolleranza allo sforzo
è migliorata rispettivamente del 54.5, 61.9 e 47.4% nei cani a D7, D28 e
D84.
DIAGRAMMA 3
Evoluzione della classe di Insufficienza cardiaca.
Popolazione globale (101 cani)
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani) Cani trattati con Cardalis® e con almeno un trattamento
cardiaco concomitante (56 cani)
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Popolazione globale (101 cani): rispetto
all’inclusione, il punteggio Fetch è migliorato
rispettivamente del 39.5, 55 e 50.8% a D7, D28 e
D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani):
rispetto alla inclusione, il punteggio Fetch è
migliorato rispettivamente del 39.5, 56.1 e 61.4%
a D7, D28 e D84.
Cani trattati con Cardalis® e con almeno
un concomitante trattamento cardiaco (56
cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è
migliorato rispettivamente del 39.3, 54.2 e 38% a
D7, D28 e D84.
Parametri radiografici
Nella popolazione globale, i risultati degli esami radiografici BVHS
effettuati al D84 (11.9 ± 2.4) sono risultati comparabili con quelli
registrati al D0 (12.0 2.2). L’edema polmonare è migliorato o è
rimasto di modesta gravità nell’ 86.5% dei cani, rilievo anch’esso
coerente con il miglioramento dei sintomi clinici e della classifica-
DIAGRAMMA 4
Evoluzione del punteggio Fetch.
Popolazione globale (101 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio
Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 55 e 50.8% a D7, D28 e D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto alla inclusione,
il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 56.1 e 61.4%
a D7, D28 e D84.
Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante tratta-
mento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è
migliorato rispettivamente del 39.3, 54.2 e 38% a D7, D28 e D84.
zione dell’insufficienza cardiaca (diagramma 4).
Nella popolazione trattata solo con Cardalis®, l’edema polmonare
è migliorato o è rimasto di modesta gravità nel 96,2% dei cani al
D84, mentre la percentuale si è attestata al 72,2% nei cani trattati
con Cardalis® + CCT (diagramma 5).
DIAGRAMMA 4
Evoluzione del punteggio Fetch.
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P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier
TABELLA 4
Trattamenti cardiaci concomitanti iniziati all’inclusione (numero
di cani e %, n=101).
Cardalis® Benazepril
Ingestione spontanea senza cibo 34.9% 19.6%
Ingestione spontanea con cibo 57.2% 71.4%
Somministrazione forzata 7.9% 8.9%
Progressione della qualità di vita (valutata dai proprietari)
Se paragonato a quello registrato al momento dell’inclusione,
il punteggio del questionario FETCH nella popolazione canina
globale ha mostrato una diminuzione del 40% al D7 e del 55% al
D28, indicando quindi un rapido miglioramento della qualità di
vita percepito dai proprietari. Oltre tali percentuali, il punteggio è
rimasto stabile fino alla fine dello studio (diagramma 5).
In entrambi i sotto-gruppi, la diminuzione del punteggio FETCH è
risultato simile al D7 e al D28. Per contro, al D84, mentre il punteg-
gio FETCH continuava a migliorare nei cani trattati solo con Car-
dalis®, si è registrato un peggioramento nel gruppo di cani trattati
con Cardalis® + CCT.
Sicurezza di Cardalis®
Gli effetti indesiderati registrati sono risultati corrispondenti ai sin-
tomi frequentemente osservati nei cani cardiopatici anziani.
Il loro tipo e la loro frequenza sono apparsi paragonabili alle osser-
vazioni riportate in letteratura (ad esempio, BENCH (Bench Study
Group, 1999), EFFIC (Besche et al., 2007), COVE (Cove Study Group,
1995) studi effettuati con ACEi). I valori di pressione sanguigna e
i parametri sanguigni sono rimasti stabili durante l’intero periodo
dello studio.
CARDALIS® CONFRONTATO CON BENAZEPRIL + PRILACTONE®: COMPLIANCE, APPETIBILITÀ, FACI-LITÀ DI USO
Compliance al trattamento
La compliance al trattamento è risultata migliore per il periodo di
trattamento di 3 mesi con Cardalis (l’86.5 % dei cani presentava
una buona compliance) rispetto al trattamento di 2 settimane con
Benazepril + Prilactone (74.4%). Durante il secondo periodo di
trattamento, la difficoltà era dovuta soprattutto alla necessità di
dover somministrare quotidianamente due diversi prodotti inve-
ce di doverne somministrare solo uno.
Appetibilità
Nel 92.1% dei cani Cardalis è stato ingerito spontaneamente. Se
assunto senza cibo, Cardalis sembra essere più appetibile di Be-
nazepril (tabella 4).
Opinione del proprietario
La percezione del proprietario è stata che il trattamento con Car-
dalis® risulta molto positivo: il 91.7% dei proprietari si è dichiarato
soddisfatto o molto soddisfatto, il 94.4% ha trovato il prodotto fa-
cile o molto facile da somministrare e il 97.2% lo ha trovato pratico
o molto pratico da gestire su base quotidiana.
Più del 97% dei proprietari ha preferito Cardalis rispetto a Benaze-
pril + Prilactone con riferimento alla facilità di somministrazione
e alla comodità d’uso.
Opinione del ricercatore
L’opinione dei veterinari è stata molto positiva: l’88.9% ha trovato
Cardalis più facile da prescrivere rispetto a Benazepril + Prilac-
tone ed il 96.3% ha trovato agevole o molto agevole adattare il
regime di dosaggio.
DISCUSSIONE
Lo “Studio FILIT” ha descritto l’impiego clinico di Cardalis come
primo trattamento in cani con CHF causata da CDVD. La prova
non è stata la classica prova comparativa in cieco o con controllo
placebo, ma le informazioni raccolte nel corso della prova sono
risultate interessanti in quanto descrivono il modo in cui Cardalis®
viene utilizzato nella pratica e come viene percepito da veterinari
e proprietari.
I veterinari, che erano liberi di aggiungere trattamenti convenzio-
nali, hanno associato diuretici a Cardalis nel 36.6% dei cani e pi-
mobendan a Cardalis nel 27.7% dei cani.
I risultati di questo studio hanno dimostrato che Cardalis , sommi-
nistrato come trattamento di prima scelta in cani con CHF causata
da CDVD, è ben tollerato e migliora i sintomi clinici e la classifi-
cazione dell’insufficienza cardiaca entro 1 settimana. Un ulteriore
miglioramento si è registrato entro la fine del primo mese di trat-
tamento, e si è osservata una stabilizzazione per i due mesi succes-
sive dello studio. Questi miglioramenti si sono potuti registrare sia
quando Cardalis® è stato somministrato da solo che in combina-
zione con altri principi attivi (pimobendan, furosemide), ma sono
risultati maggiori quando Cardalis è stato somministrato da solo.
Le valutazioni di proprietari e veterinari sono state identiche; la
qualità di vita dei cani, così come affermato dai proprietari, è mi-
gliorata rapidamente.
Nella prima settimana di trattamento si è ottenuta una importante
diminuzione del punteggio FETCH ed un ulteriore miglioramento
si è registrato fino alla fine del primo mese in tutti i cani.
La qualità della vita dei cani trattati con il solo Cardalis , è
migliorata ulteriormente fino alla fine dello studio.
Ciò non è stato osservato, invece, in cani trattati con Cardalis e
almeno un altro concomitante trattamento cardiaco.
La ragione di ciò non è stata determinata, ma nel gruppo specifico
13
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
erano inclusi più cani che al momento dell’inclusione presenta-
vano insufficienza cardiaca di classe III e ciò può aver giocato un
ruolo importante.
L’appetibilità di Cardalis si è rivelata buona, con il 92.1% di inge-
stione spontanea; i proprietari e i veterinari hanno ritenuto il pro-
dotto più pratico rispetto al protocollo che prevedeva la sommini-
strazione di due diversi preparati .
Infine, in nessuno degli animali è stato necessario raddoppiare la
dose di benazepril ed anche questo è stato apprezzato dai vete-
rinari.
CONCLUSIONE
Quando somministrato come primo trattamento in cani con
CHF causata da CDVD, Cardalis (preparazione farmaceutica che
combina benazepril e spironolattone) risulta ben tollerato e mi-
gliora le condizioni cardiache (segni clinici valutati dai veterinari e
qualità di vita testimoniata dai proprietari).
Questo miglioramento è stato dimostrato in cani trattati con il solo
Cardalis e in cani portatori di una più severa insufficienza car-
diaca che sono stati invece trattati anche con pimobendan e/o
furosemide.
Cardalis è risultato anche appetibile e la combinazione dei due
farmaci, che fanno entrambe parte della terapia standard per cani
con insufficienza cardiaca (Atkins and Haggstrom, 2012), sembra
poter migliorare la compliance,fattore di grande importanza nei
casi di terapie polifarmacologiche di lunga durata .
BIBLIOGRAFIA
1. Bench Study Group, 1999, The effect of benazepril on survival
times and clinical signs of dogs with congestive heart failure:
Results of a multicenter, prospective, randomized, dou-
ble-blinded, placebo-controlled, long-term clinical trial.
The BENCH (BENazepril in Canine Heart disease) Study Group,
Journal of veterinary cardiology, v. 1, no. 1, p. 7-18.
2. Bernay, F., J. M. Bland, J. Haggstrom, L. Baduel, B. Combes, A.
Lopez, and V. Kaltsatos, 2010, Efficacy of Spironolactone on
Survival in Dogs with Naturally Occurring Mitral Regurgitation
Caused by Myxomatous Mitral Valve Disease, Journal of veteri-
nary internal medicine, v. 24, no. 2, p. 331-341.
3. Besche, B., V. Chetboul, M. P. Lachaud Lefay, and E. Grande-
mange, 2007, Clinical evaluation of imidapril in congestive
heart failure in dogs results of the EFFIC study, The Journal of
small animal practice, v. 48, no. 5, p. 265-270.
4. Haggstrom, J. et al., 2008, Effect of Pimobendan or Benazepril
Hydrochloride on Survival Times in Dogs with Congestive
Heart Failure Caused by Naturally Occurring Myxomatous
Mitral Valve Disease: The QUEST Study, Journal of veterinary
internal medicine, v. 22, no. 5, p. 1124-1135.
5. Freeman, L. M. et al., 2012, Development and evaluation of a
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cats with cardiac disease, Journal of the American Veterinary
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6. Cove Study Group, 1995, Controlled clinical evaluation of
enalapril in dogs with heart failure : results of the Cooperative
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7. Atkins, C. E., and J. Haggstrom, 2012, Pharmacologic manage-
ment of myxomatous mitral valve disease in dogs, Journal of
veterinary cardiology, v. 14, no. 1, p. 165-184.
14
B. Riccio
15
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
L’importanza della visita clinica cardiologica
Oriol Domenech DVM, Ms, Dipl. ECVIM-CA Federica Marchesotti DVM Istituto veterinario di Novara, Dipartimento di cardiologia
RIASSUNTO
Le patologie cardiache sono una delle più importanti cause di
morbidità e mortalità negli animali. Nonostante i progressi nell’e-
cocardiografia e nella cardiologia interventistica che hanno per-
messo dei cambiamenti nella diagnosi e gestione delle patolo-
gie cardiovascolari, la visita clinica cardiologica è il punto chiave
nell’identificazione delle patologie cardiache e facilita la diagnosi
nella maggior parte dei casi. Il segnalamento, l’anamnesi, la visita
clinica e l’auscultazione sono i 4 punti principali della visita cardio-
logica ed il clinico, grazie a queste manovre poco invasive e poco
costose, riuscirà ad orientarsi sul problema del paziente e decidere
quali saranno i test diagnostici più corretti per raggiungere una
corretta diagnosi.
ABSTRACT
Diseases of the heart remains an important cause of morbidity
and mortality in animals. While advances in echocardiography
and in interventional cardiology changed the diagnosis and ma-
nagement of the cardiovascular diseases, the cardiological clinical
examination is a key point in the early detection of a heart disease
and facilitates the diagnosis in the majority of the cases. Signal-
ment, anamnesis, clinical examination and auscultation are the 4
key points of the clinical cardiology evaluation, and the clinician
thanks to these minimally invasive and inexpensive maneuvers,
will be able to have the appropriate problem oriented approach to
the patient and will be able to decide which of the diagnostic tests
will be most appropriate to reach a correct diagnosis.
INTRODUZIONE
La cardiologia veterinaria ha avuto in questi ultimi anni un notevo-
le sviluppo delle conoscenze scientifiche sia diagnostico-cliniche
che terapeutiche; l’aumento dell’età media degli animali e la mag-
giore attenzione dei proprietari sul loro stato di benessere ha inol-
tre contribuito ad evidenziare più frequentemente alcune malattie
cardiache e a conoscerle meglio.
La cardiologia rappresenta quindi oggi per il Veterinario un’area di
intervento molto importante e sempre più frequente: conoscere
gli strumenti adeguati per effettuare una corretta visita clinica è
quindi di forte attualità.
La visita consente di approcciare correttamente il paziente anche
dal punto di vista terapeutico, offrendogli le migliori possibilità in
termini di qualità ed aspettativa di vita.
LA VISITA CLINICA
E’ noto come nella cardiologia gli esami strumentali (es. elettrocar-
diogramma, ecocardiografia), siano di fondamentale importanza
diagnostica, tuttavia non si deve dimenticare come anche la visita
clinica, eseguita in modo accurato e scrupoloso, possa orientarci
sul tipo di problema del nostro paziente, facilitandoci la diagnosi
nel 75% dei casi.
E’ per questo motivo che la visita cardiologica rappresenta la base
essenziale ed imprescindibile di qualsiasi accertamento diagnosti-
co strumentale cardiovascolare.
Essa si articola e si sviluppa in 4 punti fondamentali: segnalamento,
anamnesi, visita clinica e auscultazione.
1) SEGNALAMENTO
Il segnalamento, insieme ad una buona anamnesi aiuta il clinico
ad orientarsi sul sospetto diagnostico. E’ molto importante cono-
scere l’epidemiologia delle principali patologie cardiache, soprat-
tutto di quelle congenite, in quanto un riconoscimento precoce
permette di fornire la migliore terapia, sia essa di natura medica o
chirurgica, con lo scopo di migliorare, dove possibile, la prognosi.
Nel segnalamento vanno valutate attentamente:
• età dell’animale: soggetti anziani saranno più facilmente affetti
da patologie cardiache acquisite primarie o secondarie a patolo-
gie sistemiche e/o neoplasie, mentre nei cuccioli o negli animali
giovani andranno prese in considerazione patologie cardiache
congenite o secondarie a patologie infettive, le quali possono
causare endocarditi, miocarditi o pericarditi [2]. La prevalenza
di alcune patologie, come per esempio degenerazione mixo-
matosa valvolare, è fortemente correlata all’età: si passa da una
16
F. Marchesotti
piccola percentuale nei cani giovani, a circa il 75% nei cani con
età superiore a 16 anni [2].
• Razza e taglia dell’animale: per quasi ogni patologia, sia acqui-
sita che congenita, esiste una predisposizione di razza. La car-
diomiopatia dilatativa, per esempio, è tipica dei cani di taglia
gigante/media, con particolare predisposizione per gli Alani, e i
Dobermann Pinscher [2]. Anche per le patologie congenite esi-
ste una predisposizione di razza (Tabella 1). Uno dei più recenti
studi a tale proposito è stato pubblicato nel 2011 e ha valutato
l’epidemiologia delle patologie congenite in 976 cani italiani [5].
Da questo lavoro è emerso che in Italia la patologia congenita
più comune nel cane è la stenosi polmonare (32,1%), seguita
dalla stenosi sub-aortica (21,3%) e dal dotto arterioso pervio
(20,9%) [5].
2) ANAMNESI
Anamnesi e visita clinica sono i punti chiave della diagnosi. Esse
sono cruciali per le decisioni riguardanti la valutazione clinica e la
terapia.
Un’accurata e precisa anamnesi fornisce importanti informazioni
sul paziente cardiologico. Una buona anamnesi aiuta il clinico a
riconoscere dove è localizzato il problema, a distinguere tra pato-
logia respiratoria e patologia cardiaca, a determinare la frequenza
e la gravità dei sintomi, a valutare la risposta alla terapia, a de-
terminare la presenza di altre patologie concomitanti ed infine,
ma non meno importante, a stabilire un rapporto di fiducia con
il cliente.
Durante l’approccio iniziale è importante che il proprietario forni
sca le informazioni secondo il proprio punto di vista, che dipende-
ranno dallo stato d’animo e dall’esperienza con gli animali. Spesso
fornirà delle informazioni non rilevanti, che il clinico dovrà essere
in grado di filtrare, ma altrettanto spesso potrà fornire delle indica-
zioni cruciali sullo stato clinico del paziente, sentendosi ascoltato e
messo a proprio agio. Un altro tassello importante durante la rac-
PATOLOGIA CONGENITA RAZZA
Stenosi polmonare Boxer
Meticcio
Bulldog Inglese
Bulldog Francese
Pinscher
Pastore tedesco
Beagle
West Highland White Terrier
America Staffordshire Terrier
Chihuahua
Cavalier King Charles Spaniel
Cocker Spaniel
Pitbull Terrier
Rottweiler
Terranova
Golden Retriever
Shih-Tzu
Yorkshire Terrier
Mastino Italiano
Barbone
Schnautzer
Stenosi sub-aortica Boxer
Pastore tedesco
Dog de Bordeaux
Terranova
Rottweiler
Golden Retriever
Dotto arterioso Pastore tedesco
pervio Meticcio
Terranova
Maltese
Dobermann
Barbone
Yorkshire Terrier
Cavalier King Charles Spaniel
Bassotto
Chihuahua
West Highland White Terrier
Volpino di Pomerania
Setter Irlandese
Pastore Belga
Pastore Australiano
Difetto del setto Meticcio
interventricolare Pinscher
Bulldog Francese
Pastore Tedesco
Labrador Retriever
Stenosi Aortica Boxer
Bull Terrier
Pastore Tedesco
Displasia della Labrador Retriever
tricuspide Boxer
Pastore Tedesco
Bulldog Inglese
Golden Retriever
TABELLA 1
predisposizione di razza delle patologie congenite. Tratto da:
Retrospective Review of Congenital Heart Disease in 976 Dogs.
Oliveira P., Domenech O., et al. J Vet Intern med 2011.
17
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
colta dell’anamnesi è l’essere consapevoli del fatto che non tutte
le informazioni importanti saranno fornite dal proprietario, a causa
dell’incompleta osservazione dei segni clinici o di un’ interpre-
tazione sbagliata della sintomatologia da parte di quest’ultimo.
Il clinico quindi deve essere in grado di interrogare in maniera gui-
data il proprietario sul tipo di sintomatologia, per cercare di foca-
lizzare i sintomi di interesse cardiologico (Tabella 2) [3], senza però
dimenticare il concetto che un animale è fatto di più organi.
A volte è utile avere una schema scritto in modo tale da essere
sicuri di non tralasciare nulla di importante.
Questo schema dovrà comprendere, oltre al segnalamento, l’anam-
nesi ambientale (dove vive l’animale e se è a contatto diretto con
altri animali), le informazioni riguardanti il tipo di dieta, l’anamnesi
remota (patologie presenti in passato e tipi di trattamento), lo stato
vaccinale del paziente, il tipo di profilassi eseguita (filaria, pulci e
zecche), le eventuali terapie in atto (dosaggio, durata e risposta alla
terapia) e l’accurata valutazione su eventuali sintomi presenti.
3) VISITA CLINICA
Una scrupolosa visita clinica completerà le informazioni ricevute
dall’anamnesi e dal segnalamento. La visita clinica già inizia men-
tre l’animale entra in ambulatorio. Molto importante è osservare il
proprio paziente, ancora prima di manipolarlo. Questo permetterà
di valutare:
• Body condition score: l’insufficienza cardiaca cronica può por-
tare alla cosìdetta cachessia cardiaca[4]. Questo calo ponderale
negli animali con insufficienza cardiaca è diverso da quello di
un cane sano che perde peso [4]. In un animale sano che sta
ricevendo una quantità di calorie insufficiente a soddisfare i fab-
bisogni, il grasso funge da fonte energetica primaria e ciò contri-
buisce a preservare la massa corporea magra [4]. In un cane con
insufficienza cardiaca la fonte primaria di energia è rappresen-
tata dagli amminoacidi di derivazione muscolare, il che porta
ad una perdita della massa corporea magra [4]. Ciò comporta,
oltre alla perdita di peso, anche la perdita di massa muscolare,
in particolare a livello di regione temporale della testa e a livel-
lo di regione dorsale dell’area lombare (Figura 1) [3]. Questo
processo è molto complesso e l’eziologia è multifattoriale ed
è causato dall’anoressia (presente nel 34-75% dei cani cardio-
patici), malassorbimento ed aumento della produzione di varie
citochine infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale e
l’interleuchina 1 [4].
SINTOMI PIU’ COMUNI NEI PAZIENTI
CON PATOLOGIE CARDIACHE
Tosse
Dispnea
Sincopi
Debolezza/intolleranza all’esercizio
Distensione addominale
Perdita di peso
Zoppie
TABELLA 2
sintomatologia in corso di patologie cardiache.
FIGURA 1
cane con cachessia cardiaca in seguito a grave insufficienza mi-
tralica e tricuspidale. Si apprezza la perdita di massa muscolare a
livello di regione temporale della testa e a livello di regione dorsale
dell’area lombare.
E’ noto che queste molecole provocano direttamente anoressia,
aumentando i fabbisogni energetici ed incrementando il cata-
bolismo della massa corporea magra (Figura 2) [4]. Inoltre nel
cucciolo è importante valutare la crescita corporea, confrontan-
dola con quella di eventuali fratelli: infatti la scarsa crescita può
essere indice di una patologia congenita, sia di natura cardiova-
scolare che non [2].
• Respiro: la frequenza ed il tipo di respiro è un’ottima valutazione
iniziale sulla gravità della patologia cardiaca e soprattutto sull’ur-
genza dell’intervento del clinico. Una respirazione frequente e
superficiale è molto spesso presente nei cani durante una visita
clinica. Questo tipo di respiro deve essere distinto dalla vera di-
spnea. Esistono 2 tipi di pattern respiratorio in base alla causa di
dispnea:
- Pattern restrittivo: è caratterizzato da un aumento della fre-
quenza respiratoria e da una riduzione della profondità del
FIGURA 2
Effetti cardiovascolari e nutrizionali delle citochine infiammatorie.
TNF: fattore di necrosi tumorale; IL-1: interleuchina 1.
18
F. Marchesotti
respiro [2]. E’ causato da una riduzione dei volumi polmonari
determinata da una ridotta compliance dei polmoni o della
parete toracica. Generano questo quadro condizioni quali l’e-
dema polmonare, altri disturbi interstiziali o infiltrativi e la fibrosi
polmonare. Tutte queste patologie riducono l’area disponibile
per gli scambi gassosi, diminuendo la compliance. Essa è an-
che compromessa dal collasso parziale del polmone causato
da accumulo di liquido pleurico o altre alterazioni dello spazio
pleurico [7].
- Pattern ostruttivo: è caratterizzato da un aumento della fre-
quenza e profondità del respiro [2]. E’ causato da patologie
che ostruiscono il lume delle vie respiratorie, a qualsiasi livello
dell’albero respiratorio (es. paralisi laringea, asma) [2].
Nel paziente cardiopatico è anche molto importante la valuta-
zione della frequenza respiratoria a riposo che deve essere infe-
riore ai 30 atti respiratori al minuto. Per questo è fondamentale
che il clinico istruisca il proprietario del paziente sul modo più
semplice di valutarla. L’aumento della frequenza respiratoria a
riposo, nel paziente cardiopatico, può essere un segno precoce
di scompenso cardiaco. Oltre a scopo diagnostico, questa infor-
mazione può essere usata durante la visita clinica per valutare al
meglio la frequenza respiratoria del nostro paziente.
Sono ora disponibili applicazioni on line gratuite ( Cardio Dog-
Ceva Salute Animale) che consentono al proprietario di monito-
rare facilmente la frequenza respiratoria e di mandare il report al
Veterinario curante.
• Intolleranza all’esercizio: animali con patologie cardiache sono
spesso riluttanti al movimento [2, 3]. Con patologie gravi essi
possono anche essere capaci di deambulare per più di qualche
metro [2]. Tuttavia subdoli affaticamenti sono difficili da ricono-
scere e quantificare, per questo è necessario un’accurata anam-
nesi [2].
• Distensione addominale: la distensione addominale causata
dall’ascite è comune nei cani con insufficienza cardiaca destra
conseguente a stenosi polmonare, cardiomiopatia dilatativa,
patologie congenite o acquisite a carico della tricuspide, filariosi
cardiopolmonare [2, 3]. Verificarla è abbastanza semplice, attra-
verso la palpazione addominale o il test del ballottamento [2, 3].
Occasionalmente può essere difficile da identificare in soggetti
obesi e necessita della valutazione ecografica [2].
• Distensione delle vene giugulari: animali con insufficienza
cardiaca destra o patologie pericardiche possono presenta-
re distensione delle vene giugulari e talvolta anche polso
giugulare [2, 3]. Dopo aver osservato molto attentamente l’ani-
male si procede alla visita clinica vera e propria. Gli elementi da
valutare saranno:
• Colore delle mucose e tempo di riempimento capillare: le mu-
cose normalmente si presentano rosee e umide con tempo di ri-
empimento capillare inferiore a 2 secondi [2, 3]. Questi elementi
possono essere influenzati fa numerosi fattori, sia patologici (es.
anemia, policitemia), sia fisiologici (animali molto spaventati) [3].
Per questo tali valutazioni sono spesso poco sensibili per valuta-
re la perfusione tissutale e la massa circolante di eritrociti [3]. Di
solito, nei pazienti con insufficienza cardiaca il colore delle mu-
cose ed il tempo di riempimento capillare è normale, a meno
che non sia presente un grave scompenso [3]. La presenza di
cianosi (colore bluastro delle mucose) può derivare da cianosi di
tipo centrale o cianosi di tipo periferico [7]. La prima è correlata
a concentrazioni > 50 g/l di emoglobina insatura e si riscontra di
solito durante shunts causati da patologie cardiache congenite
quali tetralogia di Fallot e PDA invertito [7]. Quest’ultima con-
dizione causa un particolare tipo di cianosi centrale che viene
definita cianosi differenziale ed è caratterizzata dalla presenza di
cianosi a livello di mucose caudali e non craniali [7]. La cianosi
peiferica è invece correlata ad una scarsa o assente perfusione
periferica [7]. E’ tipica dei gatti cardiopatici in seguito a trombo-
embolismo arterioso [7].
• Palpazione del collo: è molto importante, oltre alla visualizzazio-
ne diretta del collo e delle vene giugulari la palpazione del collo
[3]. Questo esame è particolarmente utile nel gatto con cardio-
miopatia ipertrofica per la valutazione della tiroide, in quanto in
questa specie sono molto comuni patologie della tiroide che
determinano ipertiroidismo e secondariamente patologie car-
diache [3].
• Palpazione addominale: questo tipo di esame viene effettuato
per valutare la presenza di ascite ed epatomegalia [3]. Questi
reperti sono di comune riscontro nell’insufficienza cardiaca de-
stra e nelle patologie con ostruzione della vena cava caudale
[3]. Un’altra manovra che si può eseguire è la valutazione del
riflesso epatogiugulare che si presenta come distensione delle
vene giugulari in seguito ad una compressione addominale cra-
niale di 10-30 secondi [7]. Questa alterazione è associata ad un
aumento della pressione venosa centrale in seguito ad elevate
pressioni in atrio destro [7].
• Palpazione del torace: la palpazione del torace serve per valuta-
re l’itto cardiaco e l’eventuale presenza di fremito [3]. L’itto car-
diaco è di solito anche il punto in cui i toni cardiaci si presentano
di massima intensità [3]. Esso può essere dislocato in seguito alla
presenza di qualsiasi condizione che determina uno sposta-
mento cardiaco all’interno del torace [3]. Nei pazienti obesi può
essere affievolito o assente [2, 7]. Il fremito invece rappresenta
una vibrazione palpabile sulla parete toracica, corrispondente
solitamente al reperto auscultatorio dei soffi cardiaci [7].
• Valutazione del polso arterioso: il polso si basa sulla differenza
tra la pressione arteriosa sistolica e la pressione arteriosa diasto-
lica [7]. L’intensità, la regolarità e la velocità delle onde pressorie
periferiche arteriose si valutano mediante la palpazione del
polso dell’arteria femorale o di altri vasi periferici [7]. Nella de-
19
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
terminazione del polso sono importanti 3 fattori: la frequenza
cardiaca, la gittata cardiaca e le resistenze periferiche [2]. Il polso
dovrebbe essere sempre valutato contemporaneamente all’au-
scultazione cardiaca. Esistono diversi tipi di polso:
- Polso ipocinetico (debole): può dipendere da un aumento
della frequenza cardiaca (riduzione della durata della diastole
con conseguente aumento della pressione diastolica, la quale
porterà ad una riduzione dell’intensità del polso) oppure da una
riduzione della gittata cardiaca secondaria a insufficienza cardia-
ca congestizia, tamponamento cardiaco o ipovolemia [2]. Tutta-
via in seguito ad un aumento compensatorio delle resistenze
periferiche, questo reperto viene riscontrato in caso di marcata
riduzione della gittata cardiaca [2].
- Polso ipercinetico (forte): l’aumento dell’intensità del polso
può essere causata da un aumento della pressione sistolico e/o
riduzione della pressione diastolica ed è un reperto tipico dei
pazienti con insufficienza aortica, dotto arterioso pervio o fistole
artero-venose [2]. Polso ipercinetico può anche essere presente
nei pazienti con ipertermia, anemia, ipertiroidismo e marcata
bradicardia [2, 3].
- Polso paradosso: è tipico dei pazienti con tamponamento car-
diaco o con masse che comprimono l’atrio destro ed è caratte-
rizzato da una riduzione dell’intensità del polso durante l’inspi-
razione ed un aumento durante l’espirazione [2, 3, 7]. Questo
fenomeno si verifica in quanto, durante l’inspirazione, si assiste
ad una riduzione della pressione intratoracica e intrapericardica
e quindi anche a livello di atrio destro, con conseguente aumen-
to del riempimento ventricolare destro [2, 7]. Tale fenomeno a
sua volta causa uno spostamento del setto interventricolare
verso sinistra con riduzione della portata cardiaca sinistra e calo
della pressione arteriosa [2, 7]. Tale reperto si può riscontrare
quando il calo della pressione arteriosa sistolica durante l’inspi-
razione è maggiore di 10mmHg [2, 3, 7].
- Polso alternante: caratterizzato da un’alternanza ritmica di
polso in seguito a gravi disfunzioni del ventricolo sinistro (es.
cardiomiopatia dilatativa) [2]. Un altro tipo di polso alternante,
caratterizzato però dall’assenza di ritmicità, è quello che si può
riscontrare nella fibrillazione atriale secondaria a cardiomiopatie
o a endocardiosi. Tale polso è caratterizzato da un’alternanza
irregolare di polsi di varia ampiezza e morfologia [5]
- Polso piccolo e tardivo: è tipico dei pazienti con grave stenosi
aortica in cui, in seguito ad un aumento del tempo di eiezione,
presenta un’ascesa lenta ed un picco più tardivo [2].
- Polso irregolare: la frequenza dell’onda sfigmica non è regolare
e non è associata a variazioni della respirazione [2]. E’ tipico di
aritmie quale la fibrillazione atriale primaria. L’intensità del polso
è costante, ma la frequenza è irregolare e non varia con il respiro
(distinguere dall’aritmia sinusale respiratoria).
- Assenza di polso: un numero inferiore di pulsazioni femorali,
rispetto ai battiti cardiaci indica un deficit di polso. Tali deficit
sono causati da aritmie cardiache che generano il battito pri-
ma che si sia verificato l’adeguato riempimento ventricolare (es.
battiti ectopici ventricolari prematuri) [7]. L’assenza di polso è
tipico in pazienti con tromboembolismo o grave ipotensione.
In caso di tromboembolismo è possibile rilevare polso assente
o polso debole simmetrico o asimmetrico in base alla localizza-
zione del trombo [7].
• Pressione arteriosa: La pressione arteriosa esprime l’intensità
della forza con cui il sangue spinge sulle pareti arteriose, ed
è in funzione della portata cardiaca e delle resistenze vascolari
periferiche [7]. Poiché la portata cardiaca è rappresentata dalla
gittata sistolica per la frequenza cardiaca, essa sarà influenzata
dalla contrattilità cardiaca, dal precarico e dal postcarico [3]. Tra
questi parametri esistono interazioni continue [7]. In condizio-
ni normali la pressione arteriosa viene mantenuta entro stretti
limiti dall’attività del sistema nervoso autonomo (barocettori
arteriosi), dal sistema endocrino (es. sistema renina-angioten-
sina-aldosterone, ormone antidiuretico/vasopressina e peptide
natriuretico atriale), dai meccanismi di controllo endoteliali, dal-
le prostaglandine vasodilatatrici e dalla regolazione del volume
di sangue da parte del rene [7]. Si definisce pressione sistolica
la pressione massima che si verifica al momento di ciascuna
eiezione cardiaca [7]. Si definisce pressione diastolica invece, la
pressione minima raggiunta appena prima dell’eiezione succes-
siva [7]. Il valore medio della pressione arteriosa nei cani è circa
133/75 mmHg, mentre nel gatto il valore normale è circa 124/84
mmHg [7]. Si inizia a parlare d’ipertensione quando la pressio-
ne sistolica è 150-180 mmHg [2]. Ovviamente nella valutazione
della pressione si deve valutare lo stato di ansietà del paziente
e devono eseguire più misurazioni per rendere più attendibile il
valore risultante [2]. Gli organi più comunemente danneggiati
dall’ipertensione sono occhi, reni, encefalo e cuore [2]. Se duran-
te una visita clinica viene diagnosticata ipertensione, questi or-
gani dovrebbero essere attentamenti esaminati per valutarne il
danno [2]. In particolare a livello cardiaco l’ipertensione cronica
determinerà ipertrofia del ventricolo sinistro [2]. In pazienti con
assenza di anomalie all’auscultazione, l’ipertensione dovrebbe
essere presa in considerazione come causa d’ipertrofia cardiaca
[2]. L’ipotensione è invece definita quando la pressione sistolica
è inferiore a 80 mmHg [2]. Essa dovrebbe essere presa in consi-
derazione in tutti i pazienti che si presentano con segni clinici
riferibili a una bassa portata cardiaca (es. estremità fredde, polso
periferico debole), shock, perdita di sangue e ottundimento del
sensorio [2].
4) AUSCULTAZIONE
L’auscultazione rappresenta uno dei momenti più importante
della visita clinica. Deve essere effettuata in un luogo silenzioso
20
F. Marchesotti
e possibilmente con l’animale in stazione quadrupedale. I rumo-
ri respiratori possono interferire con la valutazione cardiaca. Essi
possono essere attenuati chiudendo la bocca dell’animale (se que-
sto presenta tachipnea) oppure chiudendo con un dito una o en-
trambi le narici per qualche secondo. Nel gatto, altra interferenza
all’auscultazione è data dalle fusa. Per ovviare a questo problema si
può provare a fargli annusare un batuffolo di cottone bagnato con
alcool per qualche secondo, e questo in molti casi, dovrebbe inter-
rompere le fuse per qualche secondo o minuto permettendoci di
avere una finestra auscultativa pulita.
Durante l’auscultazione verranno valutati i toni cardiaci, la frequen-
za e il ritmo cardiaco e la presenza di eventuali soffi.
I toni cardiaci sono suoni transitori di breve durata e sono distinti
in:
• Primo tono (S1): associato alla chiusura della valvole atrio-ventri-
colari, all’inizio della sistole ed è normalmente udibile [2].
• Secondo tono (S2): associato alla chiusura delle valvole semi-
lunari aortica e polmonare ed è normalmente udibile. Nei cani
e nei gatti la chiusura della valvola polmonare, in condizioni fi-
siologiche, è immediatamente successiva a quella della valvola
aortica, ma questa differenza normalmente non viene perce-
pita e per questo S2 è percepito come singolo tono [2]. A vol-
te uno sdoppiamento del secondo tono può essere percepito
fisiologicamente in pazienti di grossa taglia, oppure essere un
reperto patologico in corso di shunt con direzione del flusso de-
stro-sinistro (dotto arterioso pervio reverso), stenosi polmonare,
blocco di branca destro [2].
• Terzo tono (S3): segna l’inizio della diastole ed è dato dal riempi-
mento rapido del ventricolo sinistro [2, 3, 7]. E’ un tono a bassa
intensità e corta durata non udibile in soggetti sani. La sua pre-
senza è sempre patologica e determina il galoppo proto-diasto-
lico [2]. Può essere associato a marcato sovraccarico volumetri-
co in corso di cardiomiopatia dilatativa, dotto arterioso pervio
ed insufficienza mitralica [2]. Nei gatti è più comunemente at-
tribuibile a patologia miocardica ipertrofica o restrittiva e può
essere il primo segno rilevabile con l’esame clinico [7]. La sua
presenza è sempre indice di patologia cardiaca [7].
• Quarto tono (S4): è dato dalla contrazione atriale e non è nor-
malmente udibile [2, 3, 7]. La sua presenza è solitamente asso-
ciata a ipertrofia e/o ridotta compliance ventricolare [1]. Talvolta
è udibile in pazienti con blocco atrioventricolare di III grado [1]
specialmente in cani di grossa taglia.
• Click mesosistolico: è un suono a frequenza medio alta, di corta
durata, che sembra originare dalla vibrazione delle corde ten-
dinee della valvola mitralica [2]. Si può auscultare nei cani con
insufficienza mitralica lieve e spesso è associato ad un soffio di
bassa intensità [2].
I soffi cardiaci vengono definiti come vibrazioni auscultabili che
originano dalla presenza di un flusso sanguigno turbolento [7].
Sebbene siano spesso indicatori di patologia cardiaca, alcuni si ve-
rificano in cuori strutturalmente normali (soffi cardiaci innocenti e
funzionali) [7]. I soffi innocenti sono tipici dei cuccioli e sono dovuti
alle ridotte dimensioni delle strutture vascolari, rispetto alla gittata
cardiaca [2]. Sono di solito soffi sistolici , proto-mesosistolici (corta
durata) , di bassa intensità (da I-III/VI), localizzati nella base cardia-
ca sinistra, che cambiano d’intensità in funzione della frequenza
cardiaca ed eccitazione del paziente, e scompaiono solitamente
entro i 4-6 mesi d’età [2]. La distinzione tra soffio innocente o soffio
patologico di corta durata e bassa intensità in un cucciolo è molto
spesso difficoltosa e merita l’ ecocardiografia, ma la conoscenza
della predisposizione di razza delle varie patologie cardiache con-
genite può sicuramente aiutare il clinico nel formulare una dia-
gnosi differenziale. Anche i soffi funzionali non sono associati a
patologie cardiache, ma alla riduzione od aumento della viscosità
del sangue , del volume plasmatico e della frequenza cardiaca [2].
Si possono riscontrare in corso di anemia, ipertermia, gravidanza,
ipertiroidismo ed aumento del tono simpatico [2]. Sono solitamen-
te proto- o meso- sistolici con basso grado d’intensità [2]. Come
già accennato la sola visita clinica non può differenziare un soffio
innocente o funzionale da un soffio patologico di corta durata e
bassa intensità. In uno studio del 2009 sui boxer è risultato che il
52% dei soggetti non presentava segni ecocardiografici di patolo-
gie cardiache congenite, ma che la maggior parte dei soggetti con
patologie cardiache congenite presentava un soffio di bassa inten-
sità [1]. Per questo la sola auscultazione non può essere utilizzata
come test diagnostico ma è senz’altro un campanello di allarme
che motiva l’esecuzione di un esame ecocardiografico [1]. Infatti
può succedere che cardiopatie congenite non vengano diagnosti-
cate in tempo. In uno studio sulle patologie congenite cardiache
in Italia è emerso che l’età media dei pazienti al momento della
diagnosi era superiore ai 2 anni di età [5]. Questo tipo di patolo-
gie dovrebbero essere diagnosticate il più precocemente possibi-
le in modo da ottimizzare la gestione terapeutica e di aumentare
l’aspettativa e la qualità di vita [5]. E’ per questo che l’auscultazione
cardiaca gioca un ruolo importante e potrebbe essere considerato
come il primo passo per la diagnosi delle cardiopatie congenite.
I soffi cardiaci vengono descritti in base a:
• Insorgenza: indica il momento di comparsa all’interno del ciclo
cardiaco [7]. Si possono distinguere in:
- Sistolici (Figura 3): sono i soffi più comuni nei cani (circa l’80
%) e possono iniziare contemporaneamente a S1 e durare fino
a S2 (pansistolici), possono iniziare subito dopo S1 e durare fino
a S2 (olosistolici), oppure possono iniziare con S1 ed estinguersi
prima di S2 (olosistolici) ed infine possono insorgere dopo S1 ed
estinguersi prima di S2 (Proto o Mesosistolici) [2].
- Diastolici (Figura 3): sono meno frequenti e più difficili da iden-
tificare rispetto ai soffi sistolici e si riscontrano comunemente
nella fase precoce diastolica (protodiastolici), attraverso tutta la
21
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
diastole (olodiastolici), oppure occasionalmente essere presenti
alla fine della diastole (presistolici) [2].
- Continui: sono anche definiti a locomotiva e perdurano du-
rante tutta la durata del ciclo cardiaco [2]. Indicano che tra due
aree connesse vascolarmente esiste un costante e significativo
gradiente di pressione [7]. A frequenze cardiache basse questo
tipo di soffio può non essere udibile verso la fine della diastole
[7].
FIGURA 3
Nomenclatura dei soffi cardiaci in funzione della durata durante la sistole o la diastole.
FIGURA 4
Aree di auscultazione dei soffi cardiaci nell’emitorace sinistro (A) e destro (B) con rappresentazione fonocardiografica dei soffi nelle varie
patologie cardiache (IM: insufficienza mitralica; SP: stenosi polmonare; SSA: stenosi subaortica; PDA: dotto arterioso pervio; DIV: difetto inter-
ventricolare; DT: displasia della tricuspide).
- To and Fro: sono soffi caratterizzati da una componente sistoli-
ca e una diastolica [2].
• Localizzazione ed irradiazione (Figura 4): la localizzazione indica
l’area di proiezione valvolare in cui il soffio presenta maggiore
intensità [2]. Alternativamente la localizzazione può essere de-
scritta semplicemente come basale o apicale [2]. Alcuni soffi si
possono irradiare in altre aree, in base alla direzione del flusso
sanguigno responsabile del soffio [3].
22
F. Marchesotti
FIGURA 5
diagnosi differenziali in corso di soffi cardiaci patologici.
• Intensità: L’intensità di un soffio in genere viene graduata su una
scala da I a VI (Tabella 3) [7]. Nei pazienti con insufficienza mitra-
lica, stenosi polmonare e stenosi sub-aortica l’intensità del soffio
è di solito direttamente proporzionale alla gravità della patolo-
gia, ad eccezione dei soffi musicali in cui la forte intensità è data
dall’effetto del torace che diventa una cassa di risonanza [2].
TABELLA 3
Scala d’intensità dei soffi.
• Configurazione o tonalità : indica la frequenza del profilo del
soffio durante il ciclo cardiaco in relazione alla forma che de-
scrive sul fonocardiogramma [2]. Si distingueranno così soffi
a plateau (uguale sonorità durante la loro apparizione, tipici
dell’insufficienza mitralica) e soffi crescendo decrescendo (l’in-
tensità aumenta gradualmente fino ad un valore picco, per poi
diminuire, tipici della stenosi aortica o polmonare) [2]. Esiste un
altro tipo di soffio definito “soffio musicale”. Tale soffio è dovuto
alla vibrazione dell’apparato valvolare mitralico dato dal rigurgi-
to ed amplificato dalla gabbia toracica che diventa una sorta di
cassa di risonanza [2]. Di solito si riscontra in corso d’insufficien-
za mitralica lieve o moderata [2] .
Sapere riconoscere le diverse caratteristiche del soffio è fonda-
mentale per il clinico, sia per quanto riguarda la gravità della pa-
tologia, sia perché ci da informazioni utili sull’eziologia. Infatti ogni
patologia cardiaca è caratterizzata da un tipo di soffio cardiaco)
[Figura 5].
23
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
CONCLUSIONI
La visita clinica è quindi fondamentale, poiché attraverso ma-
novre poco invasive e soprattutto poco costose per il clien-
te, il clinico potrà essere in grado di orientarsi sul problema
dell’animale e decidere quale approfondimento diagnostico
riterrà più opportuno in modo di arrivare alla diagnosi di for-
ma ordinata ed orientata al problema, aumentando così la
percentuale di esito di arrivare ad una diagnosi corretta.
E’ anche un fondamentale servizio per il Cliente, sempre più esi-
gente ed attento alla qualità offerta.
BIBLIOGRAFIA1. Bussadori C., Pradelli D., Borgarelli M-, Chiavegato D., D’Agnolo
G., Menegazzo L., Migliorini F., Santilli R., Zani A., Quintavalla C.
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24
B. Riccio
25
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
L’uso della Cabergolina nella gestione dei tumori mammari della cagna
Maria Carmela PisuDVM, Libero Professionista ECAR Resident
KEYWORDS:
mammary tumours, prolattin, cabergoline.
RIASSUNTO
Nella cagna intera i tumori mammari sono i secondi per incidenza
e risultano maligni in circa il 50% dei casi.
E’ stata dimostrata la stretta correlazione tra steroidi sessuali e for-
mazione di neoplasie e il diretto rapporto tra pseudociesi e svilup-
po tumorale. La cabergolina si e’dimostrata utile nel ridurre l’iper-
plasia mammaria progesterone-prolattina indotta e nel ridurre le
dimensioni dei noduli mammari benigni e risulta quindi importan-
te il suo utilizzo prima dell’intervento di mastectomia.
ABSTRACT
In non-spayed bitches, the mammary tumours are the seconds for
incidence, and result malignant in approximately 50% of cases. The
close correlation between pseudopregnancy and tumour devel-
opment has been demonstrated. Cabergoline has proved to be
useful in reducing the benign mammary hyperplasia progester-
one- prolactin induced and in reducing the size of the mammary
benign nodules. Therefore it is important its use before mastec-
tomy.
INTRODUZIONE
Nella cagna intera i tumori mammari sono i secondi per incidenza,
secondi solo ai tumori cutanei , con un’incidenza del 35-50% di
tutti i tumori.(1-2-3) Le neoplasie mammarie si presentano soli-
tamente in cagne di eta’ superiore ai 9 anni (maggiore tra i 9-12
anni) ed e’ anche stata descritta una predisposizione di razza (piu’
colpiti barboncini, terrier e spaniel) (1,4) . Le mammelle piu’ coinvolte
sono le mammelle addominali (58% ) che sono solitamente le piu’
sviluppate. Vengono comunemente definiti tumori “fifty-fifty” per-
che’ la percentuale di tumori maligni e’ praticamente sovrapponi-
bile a quella dei tumori benigni (47%-53%). In ordine di incidenza
tra le lesioni benigne si riconoscono, a livello istologico, iperplasia
mammaria, fibroadenomi, adenomi e tumori misti benigni. Tra le
neoplasie maligne il 60% e’ rappresentato dai carcinomi, il 30% dai
tumori misti e il 10% dai sarcomi. (5,6)
E’ stata dimostrata una correlazione tra i tumori mammari e le pato-
logie ovariche e uterine, quali cisti ovariche follicolari, cisti luteini-
che, iperplasia endometriale cistica, e il rapporto diretto tra terapie
ormonali per la soppressione dei calori e incidenza di neoplasia,
cosi come e’ stata descritta la correlazione tra pseudogravidanza
sintomatica e insorgenza dei tumori mammari (7). L’ovariectomia
precoce si e’ invece dimostrata efficace nella prevenzione delle
neoplasie riducendo il rischio relativo (ODDS ratio) a 0.005, 0.08 e
0.26 rispettivamente se l’intervento e’ effettuato prepubere, entro
il secondo calore o entro il terzo calore, contro un rischio relativo
di 1 nella cagna intera (8).
Tale prevenzione , cosi’ come la correlazione con le patologie ova-
riche, le terapie steroidee e con la pseudogravidanza, trova la sua
spiegazione nell’effetto degli ormoni sessuali (estrogeni e proge-
sterone) nello sviluppo della ghiandola mammaria, nel quale gli
estrogeni hanno un ruolo nello sviluppo duttale mentre il proge-
sterone in sinergia con la prolattina ha un potente fattore mitoge-
no sulle cellule epiteliali dell’alveolo e un’azione sulla differenzia-
zione alveolare stessa. Come nella donna, anche nella cagna sono
stati descritti nei tumori mammari recettori per gli estrogeni e per
il progesterone. Tali recettori sono in numero direttamente pro-
porzionale alla differenziazione della neoplasia: nei tumori maligni
diminuiscono rispetto ai tumori benigni e nei tumori indifferenzia-
ti rispetto a tumori maggiormente differenziati; tale correlazione
inversa nella cagna e’ maggiore per i recettori del progesterone (1) .
Nei tumori benigni, cosi come in mammelle iperplasiche, sono an-
che stati descritti recettori per il GH che si ritiene stimoli, attraverso
la produzione di epidermal growth factor (EGF), la moltiplicazione
delle cellule epiteliali mammarie. E’ probabilmente per questo mo-
tivo che le cagne obese (soprattutto se si tratta di obesita’ giova-
nile) hanno una maggiore predisposizione alla formazione di neo-
plasia e una peggior prognosi e aspettativa di vita post chirurgia.
PROLATTINA E ANTI PROLATTINICI
La prolattina interviene nel processo di sviluppo della ghiandola
mammaria in modo diretto e indiretto, attraverso la stimolazione
26
M. Carmela Pisu
della moltiplicazione delle cellule acinose, attraverso la sinergia
con il progesterone nel processo di mitosi cellulare e indiretta-
mente attraverso la sua forte attivita’ luteopropa che permette il
perdurare del corpo luteo e della progesteronemia elevata per
oltre 65 giorni ad ogni ciclo sessuale. La prolattina e’ anche sta-
ta ritenuta responsabile dell’induzione e della crescita di tumori
mammari, attraverso l’attivazione di oncogeni.
Nella mia personale casistica piu’ del 60% delle pazienti con tumo-
ri mammari ha anamnesi di pseudociesi ripetute. Uno studio del
2006 (Verstegen et al) conferma la correlazione tra pseudogravi-
danza e noduli mammari e valuta l’efficacia dell’utilizzo preinter-
vento di una terapia con un antiprolattinico agonista dopaminer-
gico, la cabergolina, con uno studio in doppio cieco.
La somministrazione di 5 μg/die di cabergolina (Galastop®, Ceva
Salute Animale, Milano) per 7-10 giorni preintervento si e’ dimo-
strata utile per ridurre le dimensioni mammarie e la reazione in-
fiammatoria correlata; per ridurre o eliminare piccoli noduli beni-
gni progesterone dipendenti (nel 23% dei casi), per evidenziare
piccoli noduli mascherati dall’iperplasia della ghiandola (13%) e di
conseguenza rendere piu’ semplice e piu’ efficace la chirurgia (9).
In accordo con le piu’ recenti linee guida oncologiche, durante gli
interventi di exeresi, personalmente tendo ad asportare il minimo
tessuto necessario affinche’ la chirurgia sia risolutiva e sicura. Cio’
significa che risulta indispensabile poter riconoscere e distingue-
re, al momento della chirurgia, tutti i noduli presenti nel tessuto
mammario per poter decidere per una mastectomia parziale, tota-
le di una fila o bilaterale in 2 sedute successive.
E’ anche importante sottolineare che proprio per l’effetto del pro-
gesterone e della prolattina sulla mammella e sui tumori mam-
mari, i proprietari spesso si accorgono dei noduli in fase diestrale.
Per tale motivo in accordo con lo studio di Verstegen, prima di
effettuare interventi di mastectomia prescrivo 5μg/kg/die per 10
giorni di cabergolina (Galastop® Ceva Salute Animale, Milano). Con
questo protocollo la chirurgia risulta effettivamente piu’ semplice
perche’ si interviene su tessuti non iperplasici, senza presenza di
latte negli acini e senza congestione mammaria; alla palpazione
prechirurgica e’ spesso possibile riconoscere noduli di dimensioni
< 5mm che non erano stati riscontrati prima della terapia. D’altro
canto e’ spesso possibile osservare la scomparsa di noduli prece-
dentemente rilevati (formazioni benigne progesterone-prolattina
dipendenti) e di disomogeneita’ del tessuto mammario(micro-
granulosita’ e addensamenti localizzati) e di risparmiare in questo
modo mammelle sane.
Tra i noduli mammari personalmente diagnosticati negli ultimi 3
anni, il 59% e’ risultato istologicamente maligno e di questi il 22%
e’ stato identificato come carcinoma complesso, il 16% come car-
cinoma semplice (tubulare o papillare), il 18% come carcinoma in
situ, il 9% come carcinoma squamocellulare, il 2% come sarcomi e
il 33% come tumori misti.
In tutti i casi di diagnosi di noduli mammari (>3mm) viene pre-
scritta terapia con cabergolina per 10 giorni e si rivaluta la paziente
a fine terapia. Nell’ 8% dei casi noduli di piccole dimensioni non
sono stati rilevati alla visita di controllo, nel 12% dei casi sono sta-
ti rilevati noduli adiacenti nella stessa mammella o piu’ spesso in
mammelle adiacenti e nel 15% dei casi i noduli sono stati rilevati di
dimensioni diminuite, spesso spostando il grading anatomoclini-
co da T2 a T1 (cioe’ da noduli >3 cm di diametro a noduli <3cm) (10).
Per la particolare caratteristica dei tumori mammari, nel 60% dei
casi neoplasie benigne e maligne sono presenti nello stesso nodu-
lo, l’utilizzo della cabergolina prima della chirurgia, permette inol-
tre la riduzione delle dimensione anche dei noduli che all’istologia
risultano maligni per l’azione sulla parte benigna e iperplasica del
nodulo stesso.
Fondamentale risulta inoltre la terapia con cabergolina in tutti i
casi in cui la chirurgia viene condotta in diestro (la maggior parte
dei casi) e si associa nella stessa seduta chirurgica l’ovariectomia/
ovarioisterectomia: e’ indispensabile infatti evitare che l’aumento
della prolattina indotto dall’asportazione delle ovaie e conseguen-
te crollo della progesteronemia induca pseuociesi sintomatica a
livello delle mammelle non asportate con conseguente prolunga-
mento dei tempi di cicatrizzazione e di convalescenza post chi-
rurgica.
CONCLUSIONI
La terapia preventiva con cabergolina ad un dosaggio di 5μg/kg/
die per almeno 7 giorni si e’ dimostrato, sia negli studi sia nella
pratica clinica dell’autore, utile per rendere l’exeresi mammaria piu’
semplice e piu’ tranquillamente terapeutica.
Data la dimostrata correlazione tra presudogravidanza e neoplasie
mammarie, l’effetto trofico sul tessuto mammario e la probabile
capacita’ di attivazioni di oncogeni della prolattina, unito al noto
effetto cancerogeno della distensione degli acini alveolari e della
permanenza del latte negli alveoli stessi e nei dotti, in una specie in
cui le neoplasie mammarie sono il secondo tumore per incidenza,
e’ fortemente consigliabile trattare tutte le cagne in stato di pseu-
dociesi anche se sono presenti pochi sintomi, o anche in presenza
di soli sintomi comportamentali senza montata lattea.
La cabergolina si e’ dimostrata un farmaco sicuro ed efficace nel
trattamento della pseudociesi, gli effetti collaterali sono scarsi, di
poca rilevanza e limitati solo alla prima o seconda somministra-
zione. La cabergolina agisce infatti in modo selettivo sui recettori
ipofisari svolgendo una azione diretta di inibizione sulla produzio-
ne e secrezione della prolattina.
La cabergolina inoltre a dosaggi terapeutici, non supera la barriera
ematoencefalica e quindi non stimola la “chemo-receptor trigger
zone” (CTZ) per cui la comparsa del vomito è ridotta o assente cosi’
27
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
come la gastrite secondaria e deve quindi essere considerato il far-
maco di prima scelta per la riduzione della prolattinemia.
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28
A. Barberio
29
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
La flogosi nelle patologie uterine del bovino e il ruolo di BoHV-4
Sarah Jacca1 , Valentina Franceschi1 1Dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, Università di Parma, Italia, via del Taglio 10, 43126 ParmaAutore corrispondente: Dr. Sarah Jacca
RIASSUNTO
Le malattie uterine nella specie bovina sono causa di notevoli
perdite economiche negli allevamenti e per tali ragioni è molto
importante comprenderne l’eziologia e la patogenesi a fini
preventivi e terapeutici. Attualmente, lo sviluppo di patologie
uterine post-parto, quali metriti ed endometriti, è spesso associato
a batteri di origine ambientale, soprattutto E.coli e Arcanobacterium
pyogens, e ad alcuni virus, come l’herpesvirus bovino del tipo 4
(BoHV-4). Nella specie bovina il BoHV-4 è in grado di indurre, come
altri virus erpetici, infezioni persistenti, in particolare nei macrofagi,
ed è stato spesso isolato come patogeno secondario in metriti di
origine batterica. E’ stata perciò ipotizzata una stretta relazione tra
l’instaurarsi di una endometrite batterica, che induce la secrezione
di citochine proinfiammatorie e quindi il richiamo di macrofagi,
persistentemente infettati, dai distretti periferici e la stimolazione
della replicazione virale, in grado di causare ulteriori danni e
infiammazione a carico del tessuto endometriale.
SUMMARY
Bovine uterine diseases are responsible of great economical
losses in the farms and, for these reasons, it is very important to
understand their etiology and pathogenesis, for therapeutic and
preventive purposes. Nowadays, the development of post-partum
uterine diseases, as metritis or endometritis, is often associated to
environmental bacteria, as E.coli and Arcanobacterium pyogenes,
and to some viruses, like Bovine Herpesvirus-4 (BoHV-4). In
the bovine species, BoHV-4, like other herpesviruses, is able to
induce persistent infection, especially in macrophages, and it is
often isolated as secondary pathogen in bacterial metritis and
endometritis. It is suggested the close relationship between the
onset of a bacterial endometritis (which induces the secretion
of proinflammatory cytokines and the attraction of persistently
infected macrophages from the periphery of the body) and
the stimulation of viral replication, that causes damages and
inflammation to endometrial tissue.
KEYWORDS
Bovine uterine diseases, Bovine Herpesvirus-4, proinflammatory
cytokynes.
Nella specie bovina le perdite prenatali, intese come mortalità
embrionale e morte fetale, rappresentano le più importanti
cause di mancato reddito negli allevamenti (1). La maggior parte
di queste perdite si verifica durante la fase embrionale che è
compresa tra il momento della fertilizzazione e il completamento
dello stadio differenziativo, ossia da quando l’embrione, essendosi
già formati tutti gli organi e iniziando la fase di mineralizzazione
dei tessuti duri, inizia a essere definito feto. Il momento più
delicato della fase embrionale è quello compreso tra il primo
giorno post-fertilizzazione e il momento dell’impianto embrionale
che si verifica verso il 20°-21° giorno dopo la fertilizzazione (2). Le
perdite embrionali sono attribuibili alla mancanza di condizioni
intrauterine in grado di permettere prima l’impianto dell’embrione
e in seguito il proseguo della gravidanza. Infatti, il ruolo principale
dell’endometrio è quello di accogliere l’embrione e supportarne
la crescita nel corso della gravidanza, in assenza della quale il
corpo luteo regredisce e prende avvio un nuovo ciclo ovarico.
L’impianto dell’embrione è un processo estremamente dinamico
che richiede un attento dialogo fra blastocisti ed endometrio. Nel
bovino, cosi come nella maggior parte dei mammiferi, il periodo
di tempo durante il quale l’endometrio è recettivo all’impianto è
ridotto e in questo periodo i livelli di progesterone aumentano
mentre diminuiscono quelli degli estrogeni. Questi eventi chiave
legati all’impianto embrionale sono dovuti a tutta una serie di
modificazioni non solo endocrine ma anche immuno-istologiche
dell’endometrio: infiltrazione leucocitaria, modificazione della
matrice extra-cellulare e incremento della permeabilità vasale.
Tutti fenomeni riconducibili a un evento infiammatorio, anche
se moderato e non patologico. Ed è proprio la regolazione
dell’inizio, dell’intensità e della risoluzione di questo stato flogistico
parafisiologico (paraflogosi) a rivestire un ruolo di estrema
30
Sarah Jacca - V. Franceschi
importanza nell’impianto dell’embrione e nel mantenimento
della gravidanza (3). Ne consegue che un’alterata regolazione
di tale risposta infiammatoria, sia nel senso di una flogosi
esuberante che di una sua completa assenza, potrebbe portare a
patologie ginecologiche e a mancata gravidanza. Una dettagliata
conoscenza delle possibili vie di flogosi dell’endometrio costituisce
un requisito indispensabile per lo sviluppo di nuovi strumenti
diagnostici e terapeutici (1,3).
Le funzioni uterine sono spesso alterate dalla contaminazione,
dalla proliferazione e dalla persistenza di microorganismi patogeni
nel lume uterino in conseguenza del parto (Figura 1).
Sebbene in molti casi questi microorganismi possano essere
spontaneamente eliminati nell’arco di circa tre settimane dal
parto, nel 10-17% delle bovine la persistenza dell’infezione può
causare turbe infiammatorie a carico dell’utero, lesioni istologiche
e un ritardo dell’involuzione uterina (con conseguente mancato
impianto embrionale). L’involuzione post-parto dell’utero favorisce
l’eliminazione dei microorganismi contaminanti, mentre è
ostacolata e ritardata dalla loro persistenza. Infatti, la valutazione
dell’involuzione uterina post-parto può aiutare nel discriminare
una condizione fisiologica da una patologica. In animali sani le
corna uterine raggiungono un diametro di 3-4 cm a 25-30 giorni
dal parto, mentre 40 giorni circa dopo il parto la cervice raggiunge
un diametro inferiore a 5 cm, anche se l’involuzione uterina non
può essere considerata completa fino a 50 giorni dopo il parto.
Da un punto di vista patologico la definizione dello stato
infiammatorio del tratto genitale è semplice: in caso di
infiammazione limitata e circoscritta si parla di endometrite,
quando interessa l’intero spessore della parete uterina, strato
muscolare compreso, si parla di metrite, se infine interessa
i legamenti sospensori si parla di parametrite. Le evenienze
flogistiche più frequenti sono rappresentate da metriti ed
endometriti: in entrambi i casi la mucosa si presenta congesta,
edematosa, con una prominente infiltrazione leucocitaria spesso
accompagnata da degenerazione cellulare (apoptosi e necrosi).
Queste condizioni patologiche sono per lo più associate alla
presenza di microorganismi di origine batterica, anche se alcuni
virus, come il BoHV-4 (Bovine Herpesvirus-4), possono talvolta
essere rilevati, anche se solo come agenti di irruzione secondaria. Il
quadro istologico in caso di metriti ed endometriti è caratterizzato
da leucocitosi e deplezione e atrofia delle ghiandole endometriali.
Nel caso in cui la metrite o l’endometrite siano associate alla
presenza di batteri piogeni, oltre che alla presenza di un corpo
luteo progesterone-secernente che garantisce il mantenimento
della cervice chiusa, si parla di piometra (1,3).
Se in termini anatomo-istopatologici la definizione dello stato
infiammatorio dell’utero è apparentemente semplice, lo stesso
non si può dire della sua definizione clinica. Da questo punto di
vista le affezioni uterine a carattere flogistico si distinguono in:
1) Metrite: stato flogistico acuto prettamente sostenuto da
batteri penetrati nell’utero per via ascendente e che tende
a manifestarsi entro 21 giorni circa dal parto. Essendo una
forma acuta, la metrite è anche clinicamente manifesta e i
segni clinici possono essere di entità variabile, localizzati o
sistemici. In funzione della variabilità dei sintomi, le metriti
possono essere classificate in: metrite di grado 1, caratterizzata
da ridotta involuzione uterina con secrezioni uterovaginali
muco-purulente, brunastre e maleodoranti e da assenza di
sintomi sistemici; metrite di grado 2, nella quale, in aggiunta ai
precedenti, sono presenti sintomi sistemici come febbre (>39,5
C°) e riduzione della produzione lattea; metrite di grado 3, con
la quale subentrano anche apatia, depressione del sensorio,
inappetenza e stati tossiemici. I soggetti con metrite di grado 3
sono spesso incurabili e presentano prognosi infausta.
2) Endometrite clinica: non si manifesta prima dei 21 giorni
dal parto (più spesso verso il 26° giorno), è caratterizzata da
secrezioni utero-vaginali mucopurulente e da un diametro
cervicale maggiore di 7,5 cm e non è accompagnata da sintomi
sistemici. L’intensità dell’endometrite clinica è determinata
dal grado di mucopurulenza delle secrezioni utero-vaginali.
Si può così avere un’endometrite clinica di grado 1 quando
sono presenti pochi flocculi di pus, un’endometrite di grado 2
quando i flocculi sono più densi e numerosi ma non superano
il 50% del secreto, un’endometrite di grado 3 quando invece i
flocculi di pus superano il 50% del secreto. Si è osservato che al
crescere del grado aumenta anche l’incidenza della presenza di
FIGURA 1
Metriti ed endometriti sono principalmente indotte da batteri di
origine ambientale. Le cellule epiteliali endometriali sono le prime
a venirne in contatto e sono indotte alla secrezione di citochine
proinfiammatorie che richiamano macrofagi dai distretti periferici
nel sito dell’infiammazione. In un animale persistentemente infet-
tato con Bovine herpesvirus 4, l’attivazionemacrofagica induce la
replicazione di BoHV-4 e, in questo modo, la cronicizzazione della
patologia.
31
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
microorganismi patogeni e si riduce la probabilità di successo
terapeutico.
3) Endometrite subclinica: forma infiammatoria dell’endo-
metrio ad andamento cronico, con assenza di secrezioni
mucopurulente e diagnosticabile tramite indagine citologica.
Come l’endometrite clinica, la forma subclinica si manifesta
dopo almeno 21 giorni dal parto e fino a 60 giorni. Sebbene
le conoscenze non siano ancora molto approfondite, sulla
base dei dati disponibili è stato proposto che si possa parlare
di endometrite sub-clinica quando i campioni citologici uterini
(prelevati tramite flushing o cytobrush tra i 21 e i 32 giorni dopo
il parto) presentano una percentuale di neutrofili maggiore del
10% oppure se i campioni, prelevati tra i 34 e i 47 giorni dopo
il parto, presentano una percentuale di neutrofili maggiore del
5% (1,3).
Come scritto in precedenza, la maggior parte delle affezioni uterine
di origine infettiva sono a eziologia prettamente batterica. Questo
assunto, ormai confermato da una copiosa letteratura scientifica, ha
fatto sì che potenziali agenti patogeni endometrio-tropi di origine
virale fossero del tutto trascurati sia dal punto di vista diagnostico
che eziopatologico. Le infezioni uterine di natura batterica sono
infatti quasi sempre associate a contaminanti ambientali che
penetrano in utero durante il parto per via transvaginale e sono
perciò di individuazione relativamente semplice. Al contrario, le
infezioni uterine di origine virale si verificano per via sistemica
e perciò sono difficilmente individuabili o addirittura non
considerate, soprattutto in caso di animali persistentemente
infetti. Solo in seguito a indagini accurate, che non prendano in
considerazione soltanto la ricerca di agenti batterici ma anche
di virus, si è potuto constatare che il BoHV-4 è spesso associato a
metriti post-parto in copresenza di batteri (4,8).
Il BoHV-4 può essere isolato dalle lesioni endometriali e dai fluidi
utero-vaginali soprattutto nelle prime 3 settimane dopo il parto
e si accompagna spesso a rialzo dei titoli anticorpali. Inoltre,
quando la metrite post-parto è caratterizzata dalla copresenza di
batteri e BoHV-4, è accertabile anche una discreta refrattarietà ai
trattamenti antibiotici (1,3). Il BoHV-4 è in grado di indurre infezione
persistente nei macrofagi, grazie ai quali può diffondere a livello
sistemico (9,10). Nei distretti organici in condizioni flogistiche
e iperemiche e nei quali si verifica un richiamo di macrofagi dai
distretti periferici, in caso di infezione persistente da BoHV-4 si può
manifestare riattivazione virale grazie alla presenza di molecole
pro-infiammatorie (9). Infatti non è un caso che il BoHV-4 si possa
riattivare durante il parto e sia facilmente isolabile in sede uterina
in animali persistentemente infetti. Purtuttavia non si assiste
sempre allo sviluppo e alla cronicizzazione della metrite ma tale
possibilità si riscontra soprattutto in seguito alla copresenza di
BoHV-4 e di alcuni batteri (8) riconosciuti come patogeni uterini
specifici, quali A.pyogenes, E.coli, Streptococcus sp. and Citrobacter.
Essendo noto che il BoHV-4 viene spesso co-isolato con batteri
metritogeni e che da solo non è in grado di indurre metrite,
persino dopo inoculazione sperimentale, è stato ipotizzato che il
virus possa fungere da agente sia predisponente che cronicizzante
le infezioni uterine sostenute da batteri (8,11). In generale, i batteri
e i virus in grado di resistere ai meccanismi di difesa e di proliferare
nei tessuti animali costituiscono i principali fattori scatenanti il
processo infiammatorio e il richiamo di cellule polimorfonucleate
(PMN) dalla periferia che, paradossalmente, sono responsabili
della forma patologica e delle lesioni. La mobilizzazione dei
PMN nella sede di flogosi è poi orchestrata dall’interazione fra
leucociti e citochine (12,13). Quando tale mobilizzazione risulti
particolarmente esuberante, nonostante si verifichi per contrastare
l’infezione, spesso contribuisce essa stessa allo sviluppo delle
lesioni. Durante lo sviluppo della flogosi le prime citochine
prodotte sono IL-1β e TNF-α, che inducono marcata secrezione di
IL-8, il più efficace fattore chemiotattico e attivatore dei PMN. IL-1β,
TNF-α e IL-8 promuovono la degranulazione dei PMN e il rilascio a
livello extracellulare di metaboliti dell’acido arachidonico (PGE2 e
leucotrieni), radicali tossici dell’ossigeno ed enzimi proteolitici che,
operando insieme, generano le lesioni tessutali (12,13).
Sulla scorta delle informazioni di cui sopra e di una serie di dati
sperimentali ottenuti in vitro e in vivo è stato delineato il seguente
paradigma patogenetico: durante il parto l’utero di un animale
può venire a contatto con diversi batteri di origine ambientale.
Qualora l’animale presenti una persistente infezione da BoHV-4 a
livello macrofagico, l’utero infiammato richiama macrofagi dalla
periferia. In queste cellule, grazie alla produzione di molecole
pro-infiammatorie (come l’LPS [lipopolisaccaride]) prodotte
dall’endometrio per via della proliferazione batterica, si assiste alla
replicazione del BoHV-4 che così può infettare dapprima le cellule
stromali e in seguito quelle epiteliali dell’endometrio. La replicazione
del BoHV-4 nelle cellule endometriali determinerà quindi, grazie
a un proteina virale, un ulteriore sintesi di IL-8 che, come già
ricordato, è uno dei maggiori responsabili del richiamo di PMN. Per
il complesso di questi eventi si potrà assistere alla trasformazione
dell’infiammazione uterina da una condizione acuta e transitoria
(metrite) a una condizione cronica (endometrite) (8,11,13,15).
Un simile meccanismo non si verificherà invece in animali non
persistentemente infettati nei quali l’infezione, definibile come
para-fisiologica, si risolverà in circa 3 settimane.
CONCLUSIONI
Sulla base di queste risultanze si può concludere che gli agenti
virali, nello specifico il BoHV-4, costituiscono una componente
aggiuntiva nelle infezioni e nelle patologie uterine della bovina.
Per tali ragioni sarebbe auspicabile l’utilizzo di procedure
32
S. Jacca - V. Franceschi
diagnostiche più accurate, che non limitino il loro campo di ricerca
ai soli agenti batterici. Queste tecniche, anche se più complesse e
dispendiose, potrebbero infatti rappresentare un valore aggiunto
per una corretta diagnosi e un conseguente approccio preventivo
e terapeutico.
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33
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
RIASSUNTO
Il parto e l’inizio della lattazione sono alla base di cambiamenti me-
tabolici che coinvolgono primariamente il calcio e, di conseguen-
za, il metabolismo energetico e lo stress ossidativo. Questi sono
fenomeni complessi e interdipendenti: allo scopo di controllarli, è
necessario migliorare la gestione dell’allevamento attraverso l’uti-
lizzo di appropriati strumenti di indagine.
SUMMARY
Calving and beginning of lactation are responsible of metabolic
changes that primarily involve Calcium turnover, consequently
energy metabolism and oxidative stress. These are complex and
interdependent phenomena: in order to control them, it is neces-
sary to keep on improving the farm management resulting from
appropriate instrument surveys.
Key words: Subclinic Hypocalcaemia (SCH), Milk Fever, DCAD,
NEFA, β-OHB, Oxidative Stress.
INTRODUZIONE
Per le bovine ad alta produzione la regolazione omeoretica del
metabolismo in fase di transizione corrisponde all’utilizzazione
dell’energia disponibile, dei minerali e degli antiossidanti per la
produzione di latte e per affrontare l’attività riproduttiva. Già nei
giorni precedenti il parto hanno inizio fenomeni metabolici e
immunologici contrastanti. Al calo di ingestione fisiologica (cir-
ca 30%) si contrappone una maggiore richiesta di energia per il
completamento del feto ( ≥ 500 g/die) e la produzione di colostro.
Contemporaneamente si innescano i normali processi immunitari
che porteranno successivamente al distacco ed espulsione del-
la placenta (intervento della IL-8). L’obbiettivo che tutte le figure
professionali interessate si debbono porre è quello di ridurre il più
possibile l’entità dei seguenti aspetti:
- deficit energetico
- stress ossidativo
- ipocalcemia
Ipocalcemia sub-clinica
Danilo BuoliMedico Veterinario, Cremona
Questi sono argomenti che possono essere trattati anche sepa-
ratamente, ma che inevitabilmente si intrecciano a causa delle
vicendevoli interferenze. Limitando la trattazione al metabolismo
del calcio, dobbiamo ricordarne l’importanza per l’organismo, es-
senziale per il mantenimento di un buono stato di salute ma an-
che per il controllo di numerose attività extra e intra-cellulari.
Funzioni extracellulari:
- mineralizzazione ossea
- coagulazione
- eccitazione neuromuscolare
Funzioni intracellulari:
- attivazione neuronale
- contrazione muscolare
- secrezione di ormoni
- secondo messaggero per ormoni e fattori di crescita
- regolazione trascrizione genica e attività metaboliche
IL METABOLISMO DEL CALCIO
Considerando il ruolo biologico di primo piano di questo mine-
rale, non sorprende che il metabolismo del calcio sia soggetto a
un controllo piuttosto complesso, finemente regolato da sostanze
ormonali e non. Scopo primario dell’omeostasi calcica è quello di
mantenere costanti le concentrazioni ematiche di calcio. La ripar-
tizione del calcio nell’organismo è riportata in tabella 1.
Calcio mineralizzato
delle ossa
98%
Calcio plasmatico 1%
(di cui il 50% ionizzato e il 50%
legato a proteine e sali)
Calcio extracellulare
e intracellulare
1%
TABELLA 1
Ripartizione del calcio nell’organismo.
34
D. Buoli
La calcemia è un parametro rigidamente regolato a cui parteci-
pano:
- intestino: gradiente osmotico, diffusione facilitata dalla calcium
binding protein (CBP), vitamina D dipendente
- rene
- tiroide
- paratiroidi
Tuttavia la perdita elevata di calcio che si verifica a fine gravidanza
per il completamento delle strutture ossee del vitello e per la pro-
duzione del colostro possono causare dei cali più o meno elevati
di calcio ematico. E’ opportuno ricordare che la quantità di calcio
elementare presente nella prima munta di colostro corrisponde a
4-5 volte la quantità di calcio totale in circolo nel sangue della bo-
vina. Questi cali, in funzione dello scostamento dai normali valori
ematici, possono causare quadri clinici o subclinici.
I QUADRI CLINICI DELL’IPOCALCEMIA
I quadri clinici sono riportati nella tabella 2.
L’ipocalcemia subclinica, priva di segni clinici apparenti, è diagno-
sticabile solo strumentalmente. Allo scopo quindi di eseguire una
diagnosi corretta, possono essere utilizzati, a livello aziendale, due
tipi di strumenti:
- enzimatico-fotometrici (VetScan II, Catalist, e altri)
- emogas analizzatori (EMGA).
I primi strumenti esprimono il valore del calcio in mg/dl e misura-
no la quantità di minerale presente in toto nel sangue (ionizzato,
legato alle albumine, in aggiunta a quello presente sotto forma di
citrati, fosfati e bicarbonati).
L’EMGA rileva invece solo la frazione ionizzata unitamente al pH
ematico, parametro quest’ultimo estremamente importante in
fase di indagine predittiva nel periodo di close-up.
L’incidenza dei primi due quadri clinici (collasso puerperale e
ipocalcemia senza perdita di stazione) si va progressivamente
riducendo e risulta ormai limitata al 3,5/7%. Secondo DeGaris e
Lean, 2008, a un tasso di ipocalcemia subclinica (SCH) del 33% cor-
risponde un tasso di ipocalcemia clinica del 5%. Il vero pericolo
che corrono attualmente le nostre bovine è quindi rappresentato
dall’ipocalcemia subclinica (SCH). Abbiamo detto che si tratta di
una patologia subdola, diagnosticabile solo strumentalmente nel TABELLA 2
Quadri clinici di ipocalcemia.
35
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
FIGURA 1a
Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto
per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel
grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel
sangue in mmol/I.
FIGURA 1d
Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto
per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel
sangue in mmol/I.
FIGURA 1b
Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue in mmol/I.
FIGURA 1c
Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto
per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel
sangue in mmol/I.
periodo di massimo pericolo rappresentato dai 3-4 giorni dopo il
parto. In passato sono stati considerati come valori subclinici quelli
compresi tra 5,5 mg/dl e 8 mg/dl. Quest’ultimo valore pare deb-
ba essere ulteriormente aumentato a 8,59 mg/dl (Martinez et al.,
2012). L’SCH è quindi condizione comune nell’immediato postpar-
to (Reinardt et al., 2011) dovuta all’elevata perdita di calcio con il
colostro associata a un’inadeguata capacità di mobilizzazione le
proprie riserve organiche al fine di ristabilire una normale calce-
mia (Goff, 2008). Secondo uno studio condotto nel 2011 da Rei-
nardt et al., il 25% delle bovine primipare e il 47% delle pluripare
sono colpite da SCH. Gli autori hanno rilevato che la percentuale
di SCH aumenta con l’aumentare del numero dei parti. Questi dati
sono facilmente rilevabili anche da parte del medico veterinario
nella normale pratica professionale.
ESPERIENZE PERSONALI
Le Figure 1a, 1b, 1c e 1d riportano i dati relativi a indagini personali
che confermano quanto riportato precedentemente, e cioè il fatto
che la SCH interessa il 50% e oltre delle bovine pluripare.
36
D. Buoli
Nel caso sopra riportato la misurazione della calcemia è stata
eseguita giornalmente con EMGA a partire dal giorno del parto
e per i 4 giorni successivi. Il valore espresso nel grafico rappresen-
ta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue espressa in
mmol/l. Essendo il peso atomico del calcio pari a 40 e conside-
rando che il calcio ionizzato rappresenta il 50% del calcio totale,
per ottenere il controvalore in mg/dl del calcio totale si deve mol-
tiplicare il valore rilevato per 8 (1 mmol/l di calcio ionizzato corri-
sponde a 8 mg/dl di calcio totale): si può quindi rilevare che solo la
bovina n.102 conserva una calcemia ottimale dal giorno del parto
fino al quarto giorno.
Nelle Figure 2, 3, 4, 5 e 6 sono riportati i dati ottenuti nel corso di
una prova durante la quale la misurazione della calcemia è stata
sempre eseguita nei 4 giorni successivi al parto, misurando diretta-
mente il calcio totale.
FIGURA 2
Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
FIGURA 3
Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
37
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
FIGURA 4
Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
FIGURA 5
Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
38
D. Buoli
Anche questa prova ha confermato che, indipendentemente dai
valori metabolici rilevati nel close-up, l’ipocalcemia subclinica in-
teressa una percentuale elevata di bovine (nella prova in oggetto
il 50%).
Al fine di riconoscere e far riconoscere il problema, il medico vete-
rinario deve innanzitutto mettere a disposizione dell’allevatore e
del nutrizionista gli opportuni strumenti (EMGA, Vetscan, Catalist,
Spotchem ecc.) ed il tempo necessario all’esecuzione ed interpre-
tazione dei risultati ottenuti con queste metodiche analitiche. Le
misurazioni devono essere eseguite nei modi e nei tempi (come
riportato negli esempi precedenti) utili per la correzione della for-
ma patologica. E’ compito del veterinario anche individuare sem-
pre strumentalmente i fattori di rischio che nel close-up possono
interferire o agire negativamente sui meccanismi di mantenimen-
to della normale calcemia:
-misurazione del pH ematico e urinario (DCAD negativo) (Figura 7).
FIGURA 6
Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
FIGURA 7
Misurazione del ph ematico e del ph urinario.
39
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
E’ opportuno fare in modo che il pH ematico non scenda a valo-
ri inferiori a 7,35 per non causare stati di acidosi non compensati
(Constable, 2010). L’acidificazione ematica migliora anche la fun-
zionalità del paratormone (PTH) e contribuisce complessivamente
al mantenimento di quote elevate di calcio totale e di calcio ioniz-
zato dopo il parto.
Gli obiettivi da raggiungere sono:
- un corretto livello ematico del potassio (da 3,5 a 5 mmol/l);
- un apporto di macroelementi in quantità e biodisponibilità
ottimali
- un corretto apporto di antiossidanti (vitamine A, E e C, betacaro-
tene, zinco, selenio, rame-manganese).
L’ipocalcemia subclinica (SCH)
Le patologie direttamente riconducibili all’SCH possono sintetizza-
te nei seguenti punti:
- aumento della cortisolemia come fattore di immuno depressio-
ne (Horst e Jorgensen,1982);
- concentrazioni elevate di cortisolo riducono la chemiotassi e
l’attività antibatterica dei neutrofili (Roth et al., 1982; Salak,
Johnson & McGlone, 2007);
- in presenza di SCH la cortisolemia aumenta di 5-7 volte rispetto
alla norma (Horst e Jorgensen, 1982);
- SCH come agente di stress;
- diminuzione della contrattilità della muscolatura liscia (Harsen
et al., 2003);
- diminuzione della contrattilità del rumine e dell’abomaso
(Chapinal et al., 2011);
- diminuzione della contrattilità degli sfinteri dei capezzoli
(aumento dei casi di mastite) (Curtis et al., 1983);
- diminuzione della contrattilità del miometrio, e conseguente
incremento delle ritenzioni placentari;
- diminuzione dei neutrofili e aumento dell’incidenza delle metriti
(Ducusin et al., 2003);
- aumento dei parti “languidi” con aumento delle distocie (Curtis
et al., 1983);
- aumento del rischio di prolasso uterino (Risco et al., 1984);
- diminuzione del calcio intracellulare che si verifica prima della
riduzione del calcio ematico (Kimura, 2006) (Il calcio è un mes-
saggero secondario dell’immunità cellulare. Dopo la fissazione
dell’antigene sul linfocita la liberazione del Ca2+ contenuto nel
reticolo endoplasmatico favorisce la produzione di anticorpi e
peptidi antibatterici);
- riduzione del numero di cellule immunitarie collegata a ritenzio-
ne placentare (Melendez et al., 2004) (la SCH causa la riduzione
del 40% della capacità dei neutrofili di aggredire i batteri e del
30% circa la capacità dei linfociti di produrre anticorpi);
- l’incidenza delle metriti si riduce del 22% per ogni aumento di 1
mg/dl del calcio ematico totale (Martinez et al., 2012);
- le bovine affette da SCH hanno elevati livelli di corpi chetonici
(Curtis et al., 1983);
- la SCH causa l’aumento di NEFA e β-OHB (Martinez et al., 2012; -
Ospina et al., 2010; Chapinal et al., 2011).
Abbiamo detto in precedenza che questi sconvolgimenti meta-
bolici non sono completamente separati, ma hanno dei naturali
punti di contatto e di cointeressenza. Si arriva quindi al punto di
contatto tra calcemia, metabolismo energetico (NEFA e β-OHB) e
stress ossidativo.
L’aumento dei NEFA causato dalle SCH produce inoltre ulteriori ef-
fetti negativi sulla risposta immunitaria. Si riduce infatti la capacità
di distruzione delle cellule polimorfonucleate dei batteri per i se-
guenti motivi (Hammon , 2006):
• riduzione dell’attività mieloperossidasica (Hammon, 2006)
• riduzione dei livelli di glicogeno nei neutrofili (Galvao et al., 2010)
• riduzione della moltiplicazione delle cellule mononucleari
(Sordillo et al., 2009) e dell’attività ossidativa dei neutrofili (Ster et
al., 2012)
• possibile danno a carico delle cellule pancreatiche preposte alla
produzione di insulina. Nelle bovine ad alta produzione, per
sostenere la produzione di latte, si verifica un periodo transitorio
di resistenza all’insulina. L’aumento dei NEFA ha la funzione di
compensarne la resistenza temporanea (Kahn et al., 2006);
Inoltre, i NEFA sono in grado di fissarsi ai TLR 4 (Tool Like Receptors)
che sono normalmente stimolati dai lipopolisaccaridi batterici
(LPS). Questo stimolo innesca il processo infiammatorio nell’utero,
che in condizione normali viene invece indotto dal contatto con
gli LPS batterici (Hotamisligil et al. al., 2008);
l’aumento dei corpi chetonici sembra invece non avere un effetto
sfavorevole sulla proliferazione delle cellule mononucleate sangui-
gne, sulla produzione di interferone da parte di queste cellule, né
sull’attività ossidativa dei neutrofili (Ster et al., 2012). I corpi che-
tonici non sono quindi necessariamente responsabili degli effetti
sfavorevoli associati alla riproduzione: sono solo da considerarsi
dei semplici marcatori.
Buon ultimo, ma non meno importante aspetto, è quello
rappresentato dal controllo e dalla valutazione dello stress
ossidativo. Tutto ciò che permette di limitare la quantità dei NEFA
(0.3 meq/l prima del parto e 0.8-1 meq/l dopo il parto) in presenza
di SCH ha un effetto benefico sulla produzione dei radicali liberi. Il
deficit energetico è associato a un elevato stress ossidativo, causa
a sua volta di disfunzione dell’attività mitocondriale e del reticolo
endoplasmatico, di morte cellulare (apoptosi) e di modificazione
dell’espressione di numerosi geni;
- l’aumento dello stress ossidativo nelle bovine grasse è una
delle maggiori cause di alterazione del sistema immunitario
(Sorillo, 2009). Il tessuto adiposo è da considerare ormai un orga-
no ad attività endocrina (Inguartsen, 2001; Mukesh, 2009),
40
D. Buoli
capace di esprimere e regolare le adipochine e in grado di avvia-
re il processo infiammatorio con l’intermediazione delle citochi-
ne proinfiammatorie TNF α, IL 6, ecc.) liberate in grande quantità
quando il BCS aumenta.
Correzione dell’ipocalcemia
Considerando quindi l’ipocalcemia (come forse impropriamente
ritenuto da alcuni) la madre di tutte le patologie, vediamo come
si può operativamente correggere questa patologia. Le forme cli-
niche di ipocalcemia, con o senza perdita di stazione, vanno ov-
viamente corrette mediante iniezione endovenosa di soluzioni a
base di calcio. In Italia attualmente disponiamo di prodotti a base
di gluconato di calcio al 20%, associato o meno a sali di fosforo,
magnesio e vitamina B12
. La quantità di prodotto da infondere di-
pende da due fattori:
1. ogni grammo di gluconato di calcio contiene 100 mg di calcio
elementare;
2. alla luce del primo dato, la quantità da somministrare è in rela-
zione alla quantità di calcio effettivamente presente in circolo al
momento dell’iniezione. Dobbiamo altresì considerare un ulte-
riore aspetto: la quota infusa è da considerare come quota ioniz-
zata, cioè immediatamente disponibile. Il conteggio deve quin
di tenere conto di questo particolare (il Ca2+ è il 50% del calcio
totale).
A titolo esplicativo, si ritiene opportuno mostrare un esempio dei
valori che si possono rilevare in un caso di bovina a terra con col-
lasso ipocalcemico:
- Ca++ totale 4 mg/dl ---> Ca++ 2 mg/dl
- una bovina di 700 kg con un volume di sangue di circa 50 litri
ha in circolo un totale di circa 1 g di Ca++, mentre dovrebbe aver-
ne circa 3.5 g. Con la somministrazione di 500 ml di calcio glu-
conato al 20% si infondono realmente 10 g di calcio elementare.
Questo semplice ragionamento suggerisce quindi grande pru-
denza nell’uso endovenoso, comunque sempre successivo ad una
valutazione di tipo strumentale.
Prevenzione dell’ipocalcemia subclinica
L’ipocalcemia subclinica può essere prevenuta, come le forme cli-
niche, mediante interventi nel periodo di close up:
- controllo dell’apporto di K+ in grado di interferire attraverso la
depolarizzazione delle cellule della parete ruminale, sull’assorbi-
mento del magnesio e, in qualità di anione, di contrastare l’acidifi-
cazione della dieta;
- controllo dell’apporto di Ca++, P e Mg;
- introduzione eventuale di mezzi di acidificazione della dieta nel
periodo di close-up. Questo accorgimento può consentire di
ottenere, al momento del parto, una più rapida mobilizzazione
del Ca++ dalle ossa e una riduzione della stabilità del legame tra
Ca++ e albumine e di aumentare con la mediazione del magnesio
l’affinità del paratormone (PTH) con i suoi recettori periferici.
Tutti questi provvedimenti sembrano essere in grado di ridurre l’in-
cidenza dell’SCH del 15-25% (Garret, 2013), senza tuttavia arrivare
ad annullarla. I possibili ulteriori interventi atti a contrastare que-
sta patologia possono essere fondamentalmente due: l’infusione
sottocutanea, al momento del parto, di soluzione di gluconato di
calcio o la somministrazione di boli di sali di calcio.
La prima modalità di intervento ha controindicazioni importanti:
- la quantità di calcio elementare infuso è modesta (500 ml di cal-
cio gluconato al 20% infondono solo 10 g di calcio elementare);
- l’istolesività della soluzione infusa che imporrebbe la sommini
strazione di quantità massime di 75 ml di soluzione per ogni
punto di inoculo (Garret, 2013).
Decisamente più efficace è la modalità di somministrazione di
calcio attraverso boli di sali di calcio (cloruro di calcio e solfato
di calcio). Questa soluzione, di facile impiego e senza rischi reali,
consente un rapido incremento del Ca++ totale, che si protrae nel
tempo. Ulteriore buona caratteristica è l’effetto anionico del pro-
dotto stesso.
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D. Buoli
43
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Utilizzo del dispositivo intravaginale a lento rilascio di progesterone nella terapia dell’anaestro di tipo I, II, III: prova in campo
Giovanni GnemmiDVM PhD Diplomato ECMHM, BOVINEVET Bovine Ultrasound Services
RIASSUNTO
Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia, in con-
dizioni di campo, di un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di
progesterone (PRID®) nel trattamento di bovine in anaestro. L’effi-
cacia del trattamento è stata valutata sulla base del tasso di conce-
pimento registrato a 28-35 e a 55-62 giorni post inseminazione. Il
dispositivo è stato mantenuto in situ per 7 giorni; al momento della
rimozione sono stati somministrati 0,150 mg di D-cloprostenolo
(PGF2
) e 500 U.I. di eCG. Dopo 56 ore dalla somministrazione della
PGF2
sono stati somministrati 4 μg di buserelin (GnRH). Le bovine
sono state inseminate artificialmente (IA) a distanza di 18 ore dal
trattamento con il GnRH. Sono state incluse nella prova un totale
di 100 bovine di razza Holstein con anaestro rilevato a seguito di
due successive indagini ultrasonografiche eseguite a distanza di
14 giorni), nelle quali non era stata evidenziata la presenza di un
corpo luteo (CL). Tra il 28° e il 35° giorno post-IA e tra il 55° e il 62°
giorno post-IA sono stati effettuati anche due accertamenti ultra-
sonografici transrettali per diagnosticare la gravidanza. Il tasso di
concepimento rilevato è stato rispettivamente del 39% (a 28-35
giorni post-IA) e del 33% (a 55-a62 giorni post-IA). Considerata la
tipologia delle bovine oggetto della prova (bovine ad alta produ-
zione in condizioni di anaestro), i risultati ottenuti sono da ritenersi
soddisfacenti.
SUMMARY
Objective of the study was to evaluate the efficacy, in field con-
ditions, of an intra-vaginal device releasing progesterone (PRID®)
in the treatment of bovine in anoestrus. The efficacy of the de-
vice was evaluated on the basis of the conception rate recorded
at 28-35 and at 55-62 days post-insemination (AI). The device was
removed after 7 days from its insert. At the time of removal 0.150
mg of D-cloprostenol (PGF2
) and 500 IU eCG were administered.
After 56 hours from PGF2
injection, 4 mg of buserelin (GnRH) were
administered. Cows were artificially inseminated (AI) after 18 hours
from GnRH administration. A total of 100 Holstein cattle, with
anoestrus detected by the execution of two successive gyneco-
logical ultrasound examinations, spaced at 14 days, in which had
not been highlighted the presence of a corpus luteum (CL ), were
included in the trial. Pregnancy was diagnosed by two trans-rectal
ultrasonography exams carried out twice, the first between the
28th and the 35th day after AI and the second between the 55th
and the 62nd day post AI. The conception rate was respectively of
39 % at 28-35 days post AI and 33 % at 55-62 days post AI. Con-
sidering the characteristics of the selected cows (high-producing
cows in anoestrus), the results can be considered satisfactory .
INTRODUZIONE
L’anaestro è una delle patologie riproduttive più importanti della
specie bovina e può interessare il 20-30% degli animali alla fine
del tempo di attesa volontario1,2. Un’elevata produzione lattea è
considerata come un fattore di rischio: circa il 25% delle bovine
ad alta produzione è sottoposto a riforma anticipata per problemi
riproduttivi nei primi 50 giorni di lattazione3.
Esistono quattro diversi tipi di anaestro4 che presentano una sinto-
matologia clinica sempre caratterizzata dall’assenza della ciclicità
ma con un’eziopatogenesi completamente diversa. Nell’anaestro
di tipo I non si arriva alla deviazione del follicolo dominante per as-
senza di FSH4. Nell’anaestro di tipo II, dopo la deviazione, il follicolo
dominante (FD) regredisce a causa di una scarsa pulsatilità dell’LH.
Ne consegue un nuovo reclutamento follicolare, la deviazione di
un nuovo FD e la sua regressione, processo che si può ripetere per
due, tre o più volte in relazione alla profondità del bilancio ener-
getico negativo4. Infatti, l’anaestro di tipo I e II sono strettamente
correlati a un deficit energetico della bovina. Il tipo I è presente in
circa l’8 delle bovine, e in particolare nelle primipare4. L’anaestro di
tipo III, conosciuto anche come degenerazione cistica, si caratte-
rizza sotto il profilo eziopatogenetico per l’assenza del picco pre-o-
vulatorio dell’LH (surge); conseguenza di ciò è che il FD invece di
ovulare continua a crescere e può persistere, in assenza di un cor-
po luteo (CL), anche per settimane. L’anaestro di tipo IV è carat-
terizzato dalla presenza di un CL persistente, come conseguenza
44
G. Gnemmi
di una infiammazione endometriale, che di fatto pregiudica la pro-
duzione endogena di PGF2α
e impedisce così la luteolisi4.
L’anaestro non dovrebbe essere considerato una vera e propria
patologia ma solo un sintomo e come tale dovrebbe essere gesti-
to6. L’anaestro di tipo I, II e III sono l’espressione, a diversi livelli, di
un bilancio energetico negativo, mentre l’anaestro di tipo IV è la
conseguenza di una infiammazione uterina.
Prima di intraprendere una terapia per l’anaestro, ci si dovrebbe
chiedere quale è l’obiettivo: curare il “sintomo” o ingravidare la bo-
vina? Apparentemente le due cose costituiscono un unico obiet-
tivo ma in realtà di tratta di una visione medico-scientifica e zoo-
tecnica molto diversa. Se l’obiettivo sanitario è quello di curare il
“sintomo” possono essere adottate diverse strategie: nell’anaestro
di tipo I, II e III si può prendere in considerazione l’utilizzo di GnRH
o di hCG5-6-7 associato alla somministrazione di vitamine liposolu-
bili (A-D-E), mentre in caso di anaestro di tipo IV si può ricorrere a
trattamenti intrauterini e/o alla somministrazione di prostaglandi-
ne (naturali o sintetiche)8,9.
L’obiettivo sanitario dovrebbe però coincidere con l’obiettivo zoo-
tecnico: curare il sintomo finalizzando la terapia all’ingravidamen-
to della bovina. Nel caso di anaestro di tipo I, II e III, questo obietti-
vo può essere perseguito ricorrendo all’impiego di un dispositivo
intra-vaginale a lento rilascio di progesterone. L’efficacia di questo
tipo di terapia nel contrastare l’anaestro è ampiamente documen-
tata in letteratura10,11,12,13,16.
Questo lavoro si prefigge lo scopo di descrivere il risultato di una
prova di campo condotta in 12 diversi allevamenti nei quali sono
state selezionate 100 bovine di razza Holstein con anaestro di tipo
I, II e III e alle quali è stato applicato un dispositivo intra-vaginale a
lento rilascio di progesterone (PRID®DELTA).
OBIETTIVO DELLA PROVA
L’obiettivo della prova è stato quello di verificare i tassi di concepi-
mento in bovine in anaestro di tipo I, II e III a distanza di 28-35 e di
55-62 giorni dall’inseminazione, a seguito dell’applicazione di un
dispositivo intra-vaginale. Nello studio non era prevista la presen-
za di gruppi di controllo positivi e/o negativi.
MATERIALI E METODI
Criterio diagnostico. Le bovine selezionate per la prova erano di
razza Holstein e Red Holstein. Il numero medio di giorni di lattazio-
ne era di 117 giorni (minimo 92 e massimo 136 giorni), il BCS me-
dio era di 2.25 (minimo 2.00 e massimo 2.50) e la produzione lattea
media era di 36 litri/giorno (minimo 28 e massimo 46 litri/giorno).
Le bovine sono state incluse nel gruppo di studio, dopo essere
state sottoposte a due visite ginecologiche e ad accertamenti
diagnostici ultrasonografici eseguiti a distanza di 14 giorni e nei
quali non è stata evidenziata la presenza di corpi lutei (CL). Nelle
bovine non sono state verificate le concentrazioni di progestero-
ne, e quindi la diagnosi di anaestro è stata emessa solo sulla base
dei due accertamenti ecografici. L’ecografia ha dimostrato di avere
un’ottima sensibilità e specificità nella determinazione della pre-
senza-assenza di CL14,15. I criteri di valutazione adottati nel corso
dell’esame ecografico sono riportati di seguito:
• Anaestro tipo I: sono state definite in anaestro di tipo I le bovine
con strutture follicolari inferiori a 8 mm, in assenza di CL. Totale
bovine in anaestro di tipo I: 6.
• Anaestro tipo II: sono state definite in anaestro di tipo II le bovine
con strutture follicolari tra 8-15 mm, persistenti nelle due
successive visite, in assenza di CL. Totale bovine in anaestro di
tipo II: 53.
• Anaestro tipo III: sono state definite in anaestro di tipo III le
bovine con strutture follicolari > 15 mm, persistenti nelle due
visite successive, in assenza di CL. Totale bovine in anaestro di
tipo III: 41.
Il Dispositivo. Le bovine sono state incluse nello studio solo alla
fine del periodo di bilancio energetico negativo, ovvero al mo-
mento del calo del picco di lattazione. Complessivamente sono
stati inseriti 101 dispositivi intra-vaginali: nel corso della prova
infatti un dispositivo è stato perso da una bovina che, di conse-
guenza, è stata estromessa dalla prova. Il tasso di ritenzione del
dispositivo è stato quindi del 99%. Questo dato è stato superio-
re alle attese, in considerazione del fatto che il tasso di ritenzione
normalmente registrato è intorno al 97% (Dati Ceva). Il dispositivo
intra-vaginale impiegato è stato il PRID DELTA© (Ceva), contenente
1.55 grammi di progesterone. La regione perineale è stata lavata,
detersa e disinfettata prima dell’inserimento del dispositivo che è
stato posizionato sul fondo della vagina, a ridosso dell’ostio cer-
vicale esterno, mediante l’utilizzo di un apposito applicatore. Per
facilitare lo scorrimento del dispositivo nell’applicatore si è fatto
ricorso a un gel.
Il Programma di sincronizzazione. Il dispositivo è stato mantenuto
in situ per 7 giorni; in settima giornata il dispositivo è stato quindi
rimosso dalla vagina grazie all’apposito cordino collegato al dispo-
sitivo stesso. Al momento della rimozione, a ogni bovina sono stati
iniettati 0,150 mg di d-cloprostenolo (VETEGLAN® BIO98) e 500 UI
di eCG (SINCROSTIM® CEVA). Dopo 56 ore dalla somministrazio-
ne della prostaglandina sono stati somministrati 4 μg di buserelin
(RECEPTAL© MSD), cui è seguita una inseminazione artificiale a di-
stanza di 18 ore (Tabella 1).
45
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Diagnosi di gravidanza. Le bovine sono state sottoposte a diagno-
si di gravidanza ultrasonografica per via trans-rettale utilizzando
un’unità ecografica ultra-portatile di 1.850 grammi (IMAGO© ECM).
La diagnosi è stata realizzata ricorrendo a una sonda lineare da 7.5
MHz. Il criterio diagnostico utilizzato è stato il seguente:
1. Verifica delle ovaie (destro e sinistro): ricerca di uno o più CL,
identificando anche la posizione (destra o sinistra) del CL. In caso
di CL multipli si è registrata la presenza e la loro distribuzione sulle
ovaie: ovaio destro e sinistro, due a destra o due a sinistra. Non si
è provveduto a registrare il tipo di CL (compatto, cavitario, ex cavi-
tario), non essendo questo dato sensibile e/o condizionante nella
gestione del metodo. La diagnosi di gravidanza è stata realizzata a
28-35 giorni post inseminazione su tutte le bovine che non hanno
manifestato calore precedentemente al 28° giorno dall’insemina-
zione (n=62 bovine). Una seconda diagnosi di gravidanza è stata
realizzata a 55-62 giorni su tutte le bovine che sono risultate gravi-
de con embrione vivo al primo controllo (n=37 bovine).
RISULTATI
I risultati relativi alla diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni
post inseminazione sono riportati nella Tabella 2. Trentotto bovine
(38%) hanno manifestato il calore tra il 18° e il 25° giorno post-
inseminazione mentre le restanti sessantadue bovine (62%) sono
state sottoposte a diagnosi di gravidanza ultrasonografica trans-
rettale tra il 28° e il 35° giorno post-AI.
Di queste 39 (pari al 39% del totale delle bovine e al 57,35% delle
bovine sottoposte a diagnosi) sono risultate gravide. Due delle 39
bovine diagnosticate gravide (pari al 2% del totale, ovvero al 5.12%
delle gravide) mostravano morte embrionale tardiva (una bovina
alla diagnosi eseguita al 28° giorno e un’altra al 33° giorno post-
AI). Delle 37 bovine risultate gravide, 3 presentavano gravidanza
gemellare (7.69% delle gravide), due delle quali bilaterali e una
monolaterale destra. Altre 5 bovine risultate gravide presentavano
un doppio CL: 3 a destra, 1 a sinistra e 1 a destra e a sinistra. Tutti
gli embrioni sono stati valutati ecograficamente, senza manipola-
zione uterina, ed è stata rilevata la presenza di un battito cardiaco
normale e di una frequenza regolare. Inoltre sono stati valutati i
seguenti parametri: anecogenicità del liquido amniotico, aneco-
genicità del liquido allantoideo, integrità della membrana amnio-
tica, aderenza della membrana corion-allantoidea, dimensione
dell’embrione. Tutti i 37 embrioni vivi presentavano i parametri
vitali nella norma.
Delle 23 bovine risultate non gravide al primo controllo (pari al
23% del totale, ovvero al 37.09% di quelle non viste in calore), otto
(pari all’8% del totale, ovvero al 34.78% delle bovine non gravide al
primo controllo) non presentavano un CL, mentre delle 15 bovine
con tessuto luteale, 3 presentavano due CL (in entrambi i casi 1 a
destra e 1 a sinistra).
I risultati relativi alla diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni
dopo l’inseminazione sono riportati nella Tabella 3.
TABELLA 1
Programma di sincronizzazione con dispositivo intravaginale in
bovine da latte.
TABELLA 2
Diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni post inseminazione
artificiale.
TABELLA 3
Diagnosi di gravidanza eseguita a 55-62 giorni post inseminazione
artificiale.
Il secondo controllo di gravidanza è stato eseguito tra il 55° e il 62°
giorno di gestazione. Delle 37 bovine gravide al primo controllo,
4 sono state trovate “vuote” (10.81%), una di queste con un feto di
circa 50 giorni all’interno del corno uterino ipsi-laterale al CL. Una
delle gravidanze perse era una gravidanza gemellare mono-latera-
46
G. Gnemmi
le, mentre le restanti 3 erano gravidanze singole.
In totale 33 bovine (pari al 33% del totale delle bovine) sono state
riscontrate gravide al secondo controllo di gestazione. Tra il primo
e il secondo controllo di gestazione si sono perse 6 gravidanze
(pari al 15,38% del totale delle gravide alla prima diagnosi di gra-
vidanza).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’anaestro è una patologia riproduttiva importante e di non facile
gestione. Soprattutto negli allevamenti commerciali è fondamen-
tale poter utilizzare protocolli collaudati, di facile impiego e in gra-
do di garantire ripetibilità dei risultati. Questi protocolli devono
integrarsi ai programmi di sincronizzazione già in uso per le bovine
cicliche. Esistono diverse interpretazioni, relativamente all’efficacia
dei diversi trattamenti, che possono prevedere o meno l’incorpora-
zione di un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di progestero-
ne17,18. I risultati di questa prova confermano la validità del metodo
utilizzato , garantendo un tasso di concepimento assolutamente
accettabile al secondo controllo di gestazione (33%) e perfetta-
mente in linea con i dati di Bryan e collaboratori, che hanno rileva-
to un tasso di concepimento tra il 30 e il 36% in bovine in anaestro
trattate con un dispositivo intra-vaginale rilasciante progesterone
associato o meno alla somministrazione di eCG al momento della
rimozione del dispositivo18. Considerando la tipologia delle bovine
selezionate per questa prova (bovine ad alta produzione), i risul-
tati ottenuti sono incoraggianti. Queste bovine infatti presentano
un catabolismo epatico degli ormoni steroidei accelerato rispetto
alle manze, alle bovine in asciutta e a quelle a bassa produzione.
Ulteriori approfondimenti sono comunque necessari per com-
prendere come sia possibile mantenere un livello di P4 >1.5 ng/
mL (per bloccare la pulse dell’LH). L’applicazione di due dispositivi
o il ricorso a un dispositivo con un maggiore livello di progestero-
ne, oppure con una diversa forma di rilascio, potrebbe essere una
possibile soluzione.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Comparazione dell’efficienza in scrofette puberi di un trattamento progestinico e di un trattamento progestinico associato a gonadotropine
A. Scollo1,DVM, PhD, E. Catelli1, DVM, P. Casappa2, DVM, C. Mazzoni1, DVM1 Medico Veterinario Suivet2 Ceva Salute Animale
RIASSUNTO
Nell’allevamento suinicolo moderno la gestione e l’introduzione
della scrofetta nella carriera riproduttiva ricoprono un ruolo
fondamentale, in quanto da questo animale dipende il futuro
produttivo dell’azienda. Lo scopo del presente lavoro è stato
quello di determinare l’efficacia della sincronizzazione degli estri
sulle performance zootecniche di un gruppo di scrofette puberi
sottoposte a trattamento farmacologico con il solo progestinico
(Altresyn®, 4 mg/ml di Altrenogest) o con il progestinico associato
a una successiva somministrazione di gonadotropine (Fertipig®,
eCG 80UI/ml e hCG 40UI/ml). I risultati suggeriscono che la
somministrazione nelle scrofette di eCG e hCG in associazione
(Fertipig®) 24 ore dopo la fine del trattamento con Altrenogest
(Altresyn®) garantisce maggiore omogeneità tra la fine di
quest’ultimo trattamento e la venuta in estro degli animali,
consentendo così un’ottimizzazione del management delle
fecondazioni.
ABSTRACT
In modern pig breeding, the management and the introduction of
the gilt in the reproductive career play a key role, from this depends
the reproductive future of the herd. The aim of this work was to
determine the effectiveness of oestrus synchronization on the
reproductive performances of a pubertal gilts group subjected to
pharmacological treatment with progestin-only (Altresyn ®, 4mg/
ml of Altrenogest), or with progestin associated with subsequent
administration of gonadotropins (Fertipig ®, e CG and hCG 80UI/
ml 40UI/ml) group. The results suggest that the administration
of eCG and hCG in combination (Fertipig®) 24 hours after the
end of treatment with Altrenogest (Altresyn®) in gilts, ensures
greater uniformity between the end of the latter treatment and
the coming of the animals in oestrus, allowing optimization of
insemination management.
KEY WORDS
Gilt, Gonadotropin, Estrus, Progestin, Gonadotropine.
INTRODUZIONE
Nell’allevamento suinicolo la scrofetta richiede particolari
attenzioni in quanto dalla sua delicata gestione dipende il futuro
riproduttivo dell’intera azienda. Ricoprendo un ruolo cardine, i
costi a essa legati non sono trascurabili e un calo di efficienza può
rapidamente tradursi in una tangibile perdita economica (1). Nella
realtà zootecnica, ogni anno vengono riformate dal 30 al 50%
delle scrofe che vengono sostituite dalla rimonta delle scrofette
(2): il successo di questa sostituzione rappresenta una vera e
propria sfida per il management dell’azienda. Sfortunatamente
però non è facile ottenere un numero sufficiente di scrofette
pronte a garantire il tasso di rimonta e quindi il successo dell’intera
operazione passa necessariamente attraverso un’ottimizzazione
dei flussi di questi animali. L’opportunità di poter decidere
in che momento sincronizzare gli estri delle scrofette, ma
soprattutto di poterli concentrare in un breve lasso di tempo può
rappresentare un punto di grande utilità per l’azienda. I risvolti
positivi tanto sulla gestione del seme, certamente ottimizzato
soprattutto se acquistato, quanto sulla gestione dei parti, a loro
volta più concentrati nell’unità di tempo, possono veramente
“fare la differenza”. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia
della somministrazione per via orale dei progestinici nella
sincronizzazione dell’estro in scrofette puberi, anche in una fase
sconosciuta del ciclo estrale (2). Tuttavia, l’insorgenza del calore
in animali sincronizzati con progestinici può avvenire in un arco
di tempo non del tutto prevedibile e distribuirsi anche all’interno
di una intera settimana. Questo inconveniente è per la maggior
parte attribuibile a un insufficiente sviluppo follicolare. Con lo
scopo di stimolare questo sviluppo e ottenere un maggiore effetto
sincronizzante, negli ultimi anni la ricerca ha indirizzato la propria
attenzione verso protocolli di sincronizzazione dell’estro che
prevedono l’utilizzo di gonadotropine al termine del trattamento
col progestinico (3). Diversi studi sono stati già condotti sugli
effetti dell’associazione di queste due categorie di farmaci nella
fisiologia delle scrofette (4, 5, 6), mentre per contro meno indagato
50
A. Scollo - E.Catelli - P. Casappa - C. Mazzoni
è stato finora l’aspetto zootecnico delle performance conseguenti
alla sincronizzazione.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di determinare
le performance zootecniche di scrofette puberi sottoposte a
trattamento farmacologico con il solo progestinico (Altresyn®,
4mg/ml di Altrenogest) oppure con il progestinico associato a
una successiva somministrazione di gonadotropine (Fertipig® eCG
80UI/ml e hCG 40UI/ml).
MATERIALI E METODI
Animali e management
Lo studio è stato condotto in un allevamento suinicolo commerciale
a ciclo aperto, rispettando le norme minime sulla protezione dei
suini come indicate dalla legislazione vigente (7). Per la prova sono
state selezionate 66 scrofette puberi in fase estrale sconosciuta,
tutte di genetica ibrida commerciale Large White × Landrace.
L’età media degli animali era di circa 180 giorni di vita, con un
peso stimato intorno ai 100 kg. L’ultima fase di selezione, prima
dell’introduzione nel reparto di gestazione, è avvenuta valutando
l’integrità degli appiombi, le dimensioni dei genitali esterni e la
condizione corporea (BCS) (8). Il periodo di osservazione è iniziato
in marzo, concomitantemente al trasferimento delle scrofette nelle
gabbie di gestazione (attorno ai 7 mesi di vita e a un peso di 120 kg),
ed è terminato in maggio. Gli animali sono stati allocati all’interno
di un capannone a ventilazione forzata con pavimentazione in
grigliato e sono stati sottoposti a un’irradiazione luminosa di 8 ore
di luce al giorno ad un’intensità di 300 lux. L’alimento, in ragione
di 1,80 kg/capo/die di una formulazione standard, è stato fornito
con sistemi automatizzati due volte al giorno (alle ore 07:00 e alle
ore 16:00). L’acqua è stata lasciata a disposizione ad libitum tramite
un abbeveratoio a spillo. A tutte le scrofette è stato somministrato
puntualmente e individualmente Altrenogest (Altresyn® 4 mg/
ml, Ceva) al dosaggio orale di 20 mg/capo/die (pari a 5 ml di
preparato) per 18 giorni consecutivi al momento del pasto delle
ore 07:00. Il diciannovesimo giorno (ossia 24 ore dopo l’ultima
somministrazione di Altrenogest) 36 scrofette sono state trattate
per via intramuscolare con 5 ml di un preparato contenenti
400 UI di eCG e 200 UI di hCG (Fertipig®, Ceva). Le rimanenti 30
scrofette sono state invece trattate con le stesse modalità con
una soluzione placebo. A partire dal giorno 19 per due volte al
giorno (alle ore 08:00 e alle ore 16:00) è stata effettuata la ricerca
degli estri con il verro; la venuta in estro è stata registrata alla
manifestazione del riflesso dell’immobilità da parte dell’animale
e delle tipiche caratteristiche dell’estro descritte da Signoret (9).
Durante l’estro, le scrofette sono state fecondate alla presenza del
verro, con inseminazione artificiale convenzionale con cateteri
a spugna e buste monodose da 90 ml per 2,6 x 106 spermatozoi
vivi e vitali in extender a lunga conservazione. Il seme refrigerato,
utilizzato entro 24 ore dal prelievo, è stato depositato nelle vie
genitali femminili con una prima dose al rilevamento dell’estro e
una seconda a distanza di 24 ore, secondo il protocollo suggerito
da Almeida et al. (10). Gli animali sono stati quindi monitorati per
l’intera gravidanza e gli eventuali ritorni in estro o gli aborti sono
stati annotati.
Oltre all’intervallo tra la fine del trattamento con Altrenogest e
l’insorgenza dell’estro (ISE-pt) sono stati calcolati anche i principali
parametri riproduttivi degli animali, quali la fertilità ecografica, la
portata al parto e la percentuale di calori entro l’ottavo giorno
post-trattamento. Inoltre, al momento del parto, per ciascuna
scrofetta sono stati raccolti i dati relativi al numero di nati totali,
nati vivi, nati morti e mummificati.
Analisi statistica
Le percentuali di portata al parto dei due gruppi sono state
confrontate tramite l’analisi del chi-quadro, mentre per le
percentuali di scrofette in calore entro gli 8 giorni dalla fine del
trattamento è stato utilizzato il Fisher’s exact test. Per l’ISE-pt, il
numero di nati totali, nati vivi, nati morti e mummificati invece è
stato utilizzato il t-test. La variabile ISE-pt è stata successivamente
analizzata anche con il test del chi-quadro per il confronto tra
due distribuzioni di dati. Un ulteriore z-test è stato effettuato per
il confronto tra frequenze di dati entro ciascun giorno di venuta
in calore.
RISULTATI
Sono emerse differenze significative tra i due gruppi di trattamento
(P < 0,05) per intervallo tra la fine del trattamento con Altrenogest
e l’insorgenza dell’estro (di seguito nel testo ISE-pt), la cui durata
è risultata di 5,6 giorni per le scrofette trattate con Altrenogest
e Fertipig® e di 6,3 giorni per il gruppo trattato solamente con
Altrenogest. Tale differenza è stata confermata anche nell’analisi
della distribuzione dei dati nei due gruppi (P < 0,05); l’indice di
Kurtosis calcolato ha evidenziato una distribuzione con una
curva ad angolo molto più acuto (?) nel gruppo delle scrofette
con doppio trattamento piuttosto che nel gruppo trattato con
solo Altrenogest (3,03 vs 0,24), descrivendo la minore variabilità
della venuta in estro dopo la somministrazione di gonadotropine
(Grafico 1).
Infatti, il 57% delle scrofette trattate con entrambi i farmaci
ha manifestato il calore a distanza di 5 giorni dalla fine del
trattamento con Altrenogest, con un complessivo 83% tra il giorno
5 e 6. Tra le scrofette non trattate con Fertipig® invece, solo il 41%
ha manifestato il calore concomitantemente al giorno 6, mentre le
restanti si sono distribuite nei giorni precedenti e seguenti (10%
il giorno 5; 17% sia il giorno 7 che il giorno 8). Nel confronto tra
frequenze percentuali per ciascun giorno di venuta in calore si
è evidenziata forte differenza significativa (P < 0,001) al giorno 5
(Grafico 2).
I risultati non significativi degli altri parametri indagati sono
riportati in Tabella 1.
51
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
DISCUSSIONE
Alla luce della ormai consolidata difficoltà di individuare il momento
ideale della fecondazione nelle scrofe e ancor più nelle scrofette, il
controllo dell’estro è l’unico approccio per cercare di determinare
il minore intervallo possibile tra il momento dell’ovulazione e la
fecondazione artificiale. A tale scopo, l’efficacia dell’Altrenogest
nel sincronizzare l’estro in scrofette puberi è ampiamente
documentato (revisioni: 2, 11, 12). Riassumendo i dati riportati in
letteratura Estienne et al. (5) sostengono che la sincronizzazione
con l’utilizzo di Altrenogest per 18 giorni garantisce l’estro
approssimativamente nel 90% delle scrofette trattate. I risultati
del presente lavoro hanno invece superato queste aspettative
in entrambi i gruppi di trattamento, raggiungendo entro l’ottavo
giorno dall’ultima somministrazione di Altrenogest il 96,6% e il
97,2% rispettivamente per le scrofette senza gonadotropine e
per quelle trattate anche con il Fertipig®. L’elevata percentuale di
scrofette in calore entro l’ottavo giorno dalla fine del trattamento
conferma dunque l’efficacia dell’Altrenogest nella sincronizzazione
dell’estro a prescindere dall’utilizzo di gonadotropine. Come
già osservato da de Jong et al. (13) in un recentissimo lavoro,
le differenze nelle performance zootecniche dei due gruppi
possono infatti essere esigue. Tuttavia, a differenza di quanto
GRAFICO 1
Analisi della distribuzione degli intervalli tra l’ultima somministra-
zione di Altrenogest ed il calore.
TABELLA 1
Dati produttivi delle scrofette dei due gruppi di trattamento.
GRAFICO 2
Frequenze percentuali del giorno di insorgenza dei calori nelle
scrofette appartenenti ai due gruppi di trattamento (analisi della
distribuzione dei dati: P < 0,05).
A: scrofette trattate solo con Altrenogest; B: scrofette trattate sia con
Altrenogest che con Fertipig®; k = indice di Kurtosis.
a,b: lettere differenti indicano differenza significativa tra le frequenze nei
due gruppi di trattamento (P< 0,001).
*Dati calcolati escludendo i parti delle scrofette tornate in calore dopo la fecondazione.
Variabile Altrenogest Altrenogest + Fertipig P-value
Scrofette (n°) 30 36
Calori entro 8 giorni (%) 96,6 97,2 > 0,05
ISE-pt, media (giorni) 6,3 ± 1,4a 5,6 ± 1,1b < 0,05
Fertilità ecografica % 90 83,3 > 0,05
Portata al parto (%) 83,3 77,8 > 0,05
Nati totali, media (n°)* 14,8 ± 2,7 13,2 ± 3,5 > 0,05
Nati vivi, media (n°)* 12,6 ± 3,1 11,5 ± 4,1 > 0,05
Nati morti, media (n°)* 1,5 ± 2,2 1,0 ± 1,3 > 0,05
Mummificati, media (n°)* 0,7 ± 1,4 0,7 ± 2,3 > 0,05
52
A. Scollo - E.Catelli - P. Casappa - C. Mazzoni
effettuato nel presente lavoro, de Jong ha utilizzato le sole eCG
per la stimolazione dello sviluppo follicolare. Sebbene infatti
le gonadotropine corioniche di cavalla siano spesso utilizzate
da sole, la loro associazione con le hCG rappresenta uno tra i
protocolli di induzione dell’estro più diffusi sia per la sua efficacia
nella stimolazione dell’ovulazione (14) che per la minore mortalità
embrionale che ne deriva (15). Nel presente lavoro, utilizzando una
associazione tra eCG ed hCG è emersa una differenza significativa
(P < 0,05) per l’ISE-pt, che nel sopracitato studio si era manifestata
solo con una lieve tendenza senza piena significatività statistica
(P = 0,07). Le scrofette trattate con il Fertipig® invece hanno
manifestato il calore 5,6 giorni dopo la fine del trattamento rispetto
ai 6,3 giorni degli animali trattati solo con Altrenogest. Risultati
simili erano stati riportati precedentemente in letteratura da
Horsley et al. (6), anche in questo caso a seguito dell’associazione
di hCG e eCG. Ancora, una riduzione dell’ISE-pt nelle scrofette è
stata osservata anche da Engl et al. (16) (con l’impiego del GnRH)
e da Martinat-Bottè et al. (17) (con l’impiego di eCG associate a un
agonista del GnRH). Al contrario, Kaeoket (18), facendo ricorso alla
somministrazione delle sole hCG dopo l’Altrenogest, afferma che
l’intervallo tra la fine del trattamento e la comparsa dell’estro non è
tra i parametri influenzati dalla somministrazione di gonadotropine.
Malgrado i risultati contrastanti, è comunque da sottolineare il
differente utilizzo delle gonadotropine fatto dai diversi autori che
ha permesso di evidenziare una apparente minore efficacia per
i protocolli che prevedono, dopo il trattamento progestinico, la
somministrazione di solo una delle gonadotropine in esame (eCG
o hCG) e non una associazione tra le diverse gonadotropine o
tra gonadotropine e GnRH. Sebbene i diversi studi non possano
essere confrontati in quanto condotti in condizioni sperimentali
differenti, l’effetto positivo registrato nel presente lavoro sulla
venuta in estro dopo il trattamento potrebbe essere attribuibile
proprio all’associazione di eCG e hCG. È probabile infatti che la
riduzione dell’intervallo ISE-pt sia avvenuta grazie alla sinergia
nell’attività LH- ed FSH-simile delle due gonadotropine; Driancourt
et al. (19) affermano infatti che l’LH stimola la crescita follicolare
dai 4 mm fino alle dimensioni preovulatorie e che questo
si traduce in un accorciamento della fase follicolare e nella
conseguente riduzione dell’ISE-pt (13, 20). Inoltre, l’efficacia del
protocollo terapeutico utilizzato conferma anche la correttezza
delle tempistiche di somministrazione delle gonadotropine dopo
l’ultima dose di Altrenogest (24 ore): Kaeoket (18) infatti, che non
aveva registrato alcuna efficacia nel proprio protocollo, suggeriva
che il timing utilizzato per la somministrazione gonadotropinica
(3 giorni dopo l’ultima dose di Altrenogest) poteva essere improprio
e responsabile di uno squilibrio ormonale in grado di determinare
il mancato incremento preovulatorio di LH, la precoce produzione
di progesterone per luteinizzazione dei follicoli, e le conseguenti
interferenze nel processo di ovulazione.
Gli altri parametri analizzati nel presente lavoro non hanno
mostrato differenze significative tra i due gruppi di trattamento.
Sebbene le stesse conclusioni abbiano suscitato alcune perplessità
in altri autori (17) sui reali effetti benefici conseguenti all’aggiunta
di gonadotropine all’Altrenogest, è utile sottolineare come da
un’indagine più approfondita sull’ISE-pt si possano rilevare risvolti
estremamente interessanti per quanto riguarda l’ottimizzazione
della successiva fase di inseminazione della scrofetta. Infatti
l’analisi del parametro ha evidenziato anche nel gruppo trattato
con Fertipig® una maggiore concentrazione degli estri in due
giorni invece che in quattro.
Engl et al. (16) suggeriscono il potenziale tornaconto ottenibile
dalla concentrazione delle inseminazioni in un arco di tempo
minore. Come suggerito da Degenstein et al. (21), l’ottenimento
di calori ravvicinati permetterebbe di focalizzare una maggiore
attenzione zootecnica e valutare con più precisione il momento
delle ovulazioni garantendo così un ottimale management di
questa delicata fase. L’adozione di un protocollo di inseminazione
artificiale con scarso margine di errore rappresenta infatti il valore
aggiunto dell’efficacia dell’induzione dell’estro; il fine ultimo
delle ricerche in questo campo, empiricamente, è l’ulteriore
restringimento di questo intervallo per l’utilizzo di una singola
dose di seme (21).
In conclusione, la somministrazione nelle scrofette di eCG e hCG
in associazione (Fertipig®) 24 ore dopo la fine del trattamento con
Altrenogest garantisce un migliore intervallo tra quest’ultimo e
la venuta in estro degli animali. Il più ristretto range di insorgenza
dell’estro consente inoltre di ottimizzare il management delle
inseminazioni nella scrofetta, facilitando così la delicata gestione
di questo animale che riveste un ruolo chiave nell’azienda
suinicola moderna.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Gestione riproduttiva delle manze in allevamenti di bovine da latte
Ceva Sante Animale ha organizzato il secondo ReprodAction Scien-
tific Meeting con il contributo di un nuovo gruppo di ricercatori
esperti nel campo della riproduzione e della gestione della man-
dria. L’incontro si è tenuto il 16 e il 17 Aprile del 2013 presso l’Azien-
da “La Blanca Dairy Hub” (www.blancapyrenees.com) a La Seu de
Urgell, in Spagna. Obiettivo principale dell’incontro è stato quello
di creare un ambiente ideale per un aperto scambio di idee e per
un’ampia discussione tra esperti su uno specifico argomento: “La
gestione riproduttiva delle manze in allevamenti di bovine da lat-
te”. I partecipanti all’incontro, provenienti da diversi Paesi, hanno
presentato dati e discusso delle pratiche più comuni nella gestio-
ne delle manze (con particolare riferimento agli aspetti riprodutti-
vi), prendendo in considerazione i differenti sistemi di allevamento
nei vari Paesi.
RICONOSCIMENTI
Ceva Sante Animale vuole ringraziare tutti i partecipanti all’incon-
tro per il sostegno e l’impegno profusi nel fornire informazioni
aggiornate sull’argomento oggetto del simposio. Un particolare
ringraziamento va al Dr. Alex Bach (IRTA), al Sig. Pepe Ahedo, alla
sua famiglia e al Dr. Daniel Martinez della Blanca Dairy Hub. Un do-
veroso ringraziamento va anche al Dr. Palma per il prezioso contri-
buto nella stesura di questo documento.
NOTA
I contenuti riportati in questa breve rassegna non rappresentano
l’opinione di un singolo esperto ma sono piuttosto un compendio
delle opinioni dei diversi partecipanti all’incontro. Nel caso di un
interesse riguardo particolari linee di ricerca o per approfondire
singoli punti di vista riguardanti gli argomenti trattati nel presente
documento, invitiamo i lettori a prendere contatto direttamente
con il Dr. Giorgio Valla ([email protected]) che si farà carico
di contattare l’esperto.
Gamze Alpun (Ceva Product Manager, Turkey), Gita Imam (Ceva
Technical Manager Savapars, Iran), Aryan Badiei (Islamic Azad
University, Tehran, Iran), Pedro Rodriguez (Ceva Corporate Prod-
uct Manager), Robert Dobson (Dairy Producer, UK), Simon King
(BVM&S MRCVS, Lambert Leonard & May Vet Practice, UK), Thomas
Paliargues (Ruminant Director for Ceva Africa/Middle East), Russ
Davis (Ceva Product Manager, Australia), Valentin Nenov (Rumi-
nant Product Manager, Ceva Middle-East), Hilary Dobson (Univer-
sity Liverpool, UK), Juan Munoz-Bielsa (Ceva Corporate Marketing
Director), Stephanie Clarke (Ceva Marketing Manager, UK), Tine
Van Werven (Utrecht University, Netherlands), Anna Zakharova
(Ceva Veterinary Adviser, UK), Ralf Werner (Ceva Livestock Man-
ager, Germany), Marta Terré (IRTA Research Center, Spain), Prof.
Geert Opsomer (University of Ghent, Belgium), Rafal Trukan (Ceva
Product Manager, Poland), Heinrich Bollwein (University of Zurich,
Switzerland), Tomasz Janowski (University of Warmia and Mazury,
Poland), Şukru Metin Pancarcı (University of Balikesir, Turkey),
Giovanni Gnemmi (ECBHM Diplomate, Bovinevet, Italy), Stephane
Floch (Ceva Product Manager, France), Vasileios Kanoulas (Ceva
Product Manager, Greece).
FIGURA 1
Il gruppo che ha partecipato all’incontro scientifico.
In piedi da sinistra a destra:
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Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
In prima fila, da sinistra a destra:
Victor Cabrera (University of Wisconsin, USA), Alex Souza (Ceva
Corporate Technical Manager), Giorgio Valla (Ceva Marketing Ma-
nager, Italy), Antonio Jimenez (Ceva Product Manager, Spain), Su-
sana Astiz (INIA Research Center, Spain).
INTRODUZIONE
Questo documento si prefigge l’obiettivo di riassumere gli aspetti
principali e le conclusioni relative agli argomenti trattati nel cor-
so di una riunione di esperti nel campo della gestione sanitaria e
dell’allevamento della bovina da latte, riunione che si è concen-
trata soprattutto sul tema della “gestione riproduttiva delle manze
nell’allevamento delle bovine da latte”.
I dati presentati relativi all’età ideale, nonché al peso ottimale al
momento del primo parto, si applicano alle manze di razza frisona;
informazioni su altre razze sono disponibili su richiesta.
Il documento è suddiviso in cinque sezioni:
• Panoramica sulle pratiche di gestione delle manze nei diversi
Paesi
• “Dalla nascita al periodo dell’accoppiamento/inseminazione:
investire sulla futura bovina”
• Le migliori strategie e pratiche di gestione al momento dell’ac-
coppiamento/inseminazione
• Appendice: riassunto dei principali programmi di riproduzione
disponibili per le manze
• Appendice: linee-guida nutrizionali durante il periodo di alleva-
mento delle manze
Panoramica sulle pratiche manageriali di gestione delle man-
ze nei diversi Paesi
Tutti i partecipanti all’incontro hanno concordato sul fatto che gli
allevatori hanno la tendenza a investire poco tempo e a dedicare
poca attenzione alla gestione dell’allevamento delle manze, e in
particolare agli aspetti riproduttivi che riguardano in modo spe-
cifico questi animali. Nel corso degli interventi sono stati portati
alcuni esempi per evidenziare una gestione non adeguata delle
manze:
• le manze sono spesso allevate in aree (al pascolo o in recinti)
distanti dall’allevamento principale (Figura 1);
• i ricoveri delle manze sono spesso costituiti da strutture obsolete
o da adattamenti improvvisati o non idonei;
• il personale addetto alla gestione delle manze può non possede-
re un adeguato livello di competenza;
• infine, e questo punto è stato considerato molto importante,
tutti gli esperti hanno convenuto che si riscontrano spesso gran-
di difficoltà ad accedere e a disporre di un adeguato e accurato
sistema di registrazione dei dati di allevamento in generale e dei
dati riproduttivi delle manze in particolare, che talvolta semplice-
mente non esistono.
La mancanza di interesse e la carenza di informazioni sulle strate-
gie nutrizionali adottate nelle manze risultano evidenti se si con-
siderano i dati di letteratura disponibili. Durante gli ultimi decenni
l’allevamento delle manze ha ricevuto scarsa attenzione da parte
della comunità scientifica e accademica rispetto a quella dedicata
alle bovine in lattazione. Il risultato è stato che sono disponibili
limitate informazioni scientifiche per quanto riguarda alcune aree
relative alla gestione delle manze.
La Dott.ssa Terré (Spagna) e la Professoressa Dobson (Regno Uni-
to) hanno dimostrato che, nonostante sia spesso trascurato dagli
allevatori, l’allevamento delle manze rappresenta la seconda voce
di spesa tra i costi globali sostenuti in un allevamento di bovine
da latte e incide in genere per circa il 15-20% dei costi totali di
produzione (Figura 2).
Pertanto, l’aumento dell’efficienza nella gestione delle manze rap-
presenta un fattore di criticità per una buona economia aziendale.
FIGURA 1
Le manze nullipare sono spesso allevate in zone remote dell’alle-
vamento da latte - la sindrome della manza “dimenticata”. Diaposi-
tiva presentata dal Dr. S. King. UK.
FIGURA 2
I costi relativi alle manze allevate per la rimonta costituiscono la
seconda voce di spesa nell’allevamento da latte. Diapositiva pre-
sentata dalla Dr.ssa Terré, Spagna.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Per quanto riguarda la gestione riproduttiva, quando si confronta
il quadro relativo alle performance riproduttive delle manze in Eu-
ropa uno dei problemi principali da affrontare e risolvere è costi-
tuito dalla mancanza di un’affidabile registrazione dei dati a livello
nazionale. Inoltre, secondo l’esperienza dei partecipanti, molti alle-
vatori fanno ancora affidamento sulla rilevazione visiva degli estri
che solo a volte vengono indotti dall’utilizzo di prostaglandine. La
data della prima inseminazione/accoppiamento sembra essere
compresa tra i 13 e i 18 mesi di età e la data del primo parto tra i
23 e i 31 mesi. Questo dato varia in modo significativo in funzione
del tipo di gestione adottato nell’allevamento. L’utilizzo di sistemi
di rilevazione dell’estro, che possono comprendere anche sistemi
elettronici rilevatori di attività, può incrementare in modo signi-
ficativo il tasso di rilevazione dei calori. Gli esperti incoraggiano
l’utilizzo di questi dispositivi, anche se occorre sempre tenere in
considerazione i possibili limiti correlati alla tipologia dell’alleva-
mento e agli aspetti economico-finanziari legati all’adozione di
questi sistemi. Inoltre, allo scopo di ovviare a una scarsa efficienza
nella rilevazione dei calori, gli allevatori tendono a utilizzare una
grande varietà di programmi di sincronizzazione. In seguito, per
fornire un adeguato supporto a veterinari e allevatori nella scelta
nella migliore strategia da adottare, saranno discussi in modo ap-
profondito i vari aspetti della gestione riproduttiva delle manze.
Il tasso di utilizzo dell’inseminazione artificiale (IA) si differenzia tra
i diversi Paesi e persino all’interno dei singoli Paesi: ad esempio,
il Dr. Pancarci (Turchia) ha presentato dei dati che evidenziano
come l’IA sai molto utilizzata delle zone occidentali della Turchia,
mentre la monta naturale è ancora molto diffusa nelle zone orien-
tali del Paese.
Queste osservazioni sono state integrate dai dati forniti dal Dr. S.
King (Regno Unito), che ha riferito che l’inseminazione naturale è
ancora utilizzata in circa il 25% degli allevamenti di bovine da latte
da lui controllati nella sua attività professionale. E’ perciò abbastan-
za evidente che in alcune aree europee l’inseminazione artificiale
non è utilizzata nella totalità dei casi e che il ricorso al/ai toro/i è
considerata ancora oggi come la scelta migliore per l’inseminazio-
ne delle manze. Ciò accade in particolare negli allevamenti che
prevedono il pascolo come metodo di allevamento.
In generale è stato evidenziato che i vantaggi dell’IA rispetto alla
monta naturale sono rappresentati dal miglioramento genetico
della mandria, da una migliore bio-sicurezza, da una maggiore
uniformità della qualità del seme (ad esempio, il toro aziendale
può presentare un seme di bassa qualità nei mesi estivi) e da una
migliore performance riproduttiva, almeno quando l’IA è ben ge-
stita. Tutti questi punti sono stati oggetto di approfondimento e di
discussione in numerosi articoli scientifici riguardanti sia le bovine
da latte che da carne, mentre, come già accennato, sono piuttosto
scarsi i dati disponibili relativi alle manze.
FIGURA 3
Effetto della dimensione della mandria sull’età al primo parto in
manze da latte.
Nel corso dell’incontro, uno degli argomenti maggiormente al
centro dell’attenzione degli esperti è stato l’aumento dell’utiliz-
zo di seme sessato nella gestione delle manze. Il Dr. King (UK), ad
esempio, ha mostrato alcuni dati indicanti che l’uso di seme sessa-
to rappresenta circa il 12,5% del totale del seme utilizzato nel Re-
gno Unito (DairyCo Survey, 2012), anche se ancora non si raggiun-
gono i livelli di utilizzo rilevati in altri Paesi europei quali Svizzera e
Germania, come affermato dal Prof.Bollwein. Nonostante ciò, gli
esperti si sono mostrati d’accordo nell’affermare che è necessaria
una certa cautela al riguardo di un uso “aggressivo” del seme sessa-
to. In breve, devono essere attentamente valutate alcune variabili
di mercato quali i prezzi delle manze da rimonta, del latte e delle
bovine riformate, così come tutte le variabili correlate alla riprodu-
zione, e in particolare i tassi di gravidanza che si conseguono dopo
l’uso di seme sessato o non-sessato.
Si vuole qui incoraggiare i lettori ad accedere a un sito web indi-
pendente che utilizza diversi programmi (alcuni di questi sviluppa-
ti dal Prof. V. Cabrera, USA) e che può essere d’aiuto nel prendere
decisioni accurate riguardo l’utilizzo di seme sessato nelle manze
da rimonta: http://dairymgt.uwex.edu/tools.php. Dal sito web è in-
fatti possibile scaricare ulteriore documentazione e dettagli sull’u-
tilizzo dei dati che possono essere utili nell’uso di questi supporti.
Il Dr. G. Gnemmi (Italia) ha fornito interessanti dati epidemiologici
sull’allevamento delle manze da rimonta in Italia (AIA, 2013; ARAL
2011; dati personali). Il Dr. Gnemmi ha ricordato che ci sono mar-
cate differenze tra le diverse razze di bovine da latte per quanto
riguarda l’età al primo parto (ad esempio, Holstein: 27 mesi di vita;
Brown Swiss: 31 mesi), probabilmente legate al tipo di gestione
e alle dimensioni medie delle mandrie. Per esempio, secondo l’e-
sperienza del Dr. Gnemmi e come confermato anche nell’ultimo
rapporto ARAL del 2011, nelle mandrie di grandi dimensioni (>200
bovine in lattazione) le manze presentano un’età al primo parto
inferiore a quella registrata nelle mandrie più piccole (<50 bovine
in lattazione) (Figura 3 – a sinistra). Una simile tendenza è stata evi-
denziata anche dalla Dr.ssa S. Astiz (Spagna) (Figura 3 – a destra).
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Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
Nel corso del suo intervento inoltre il Dr. Gnemmi ha presentato
prove convincenti del fatto che, indipendentemente dalla varietà
di fattori che possono influenzare le performance delle manze, si
possono ottenere buoni risultati, con sistemi di gestione differen-
ziati e mirati, sia negli allevamenti al pascolo che negli allevamenti
confinati a stabulazione semi-libera. Il relatore ha affermato che
tutto si riduce alla cura dei dettagli.
Gli esperti di altri Paesi non sono stati in grado di produrre riscontri
ufficiali e aggiornati relativi ai dati riproduttivi nelle manze. Infatti,
alcuni dati ufficiali sulla gestione delle manze risalgono a più di
dieci anni fa. Secondo il Prof. Opsomer (Belgio), la mancanza di una
adeguata registrazione e analisi dei dati è un chiaro elemento di
debolezza su base multinazionale.
Altri esperti hanno discusso di sistemi alternativi di allevamento.
La Prof.ssa T. van Werven (the Netherlands) ha mostrato che circa
il 5-8% degli allevatori olandesi vendono sia i vitelli maschi che le
femmine ad allevamenti da ingrasso e che quindi non allevano la
rimonta in azienda. Le manze gravide vengono quindi acquistate
da allevamenti specializzati nella crescita delle manze stesse. La
Prof.ssa van Werven ha posto l’attenzione anche su un altro im-
portante aspetto che riguarda l’interpretazione dei dati aziendali: “i
veterinari e gli allevatori devono porre molta attenzione alla distri-
buzione che presenta l’età al primo parto all’interno dell’azienda e
non solamente al dato medio”. A questo riguardo, ha fornito alcuni
dati (Figura 4) che rivelano che, anche se il dato medio dell’età al
primo parto non è lontano dal dato ideale, oltre la metà delle man-
ze partorisce a un’età superiore ai 26 mesi di età.
Il Dr. King (UK) ha aggiunto che in un recente studio esplorativo
condotto al fine di valutare l’età al primo parto utilizzando i dati
provenienti da 500 allevamenti di bovine da latte forniti dalla ban-
ca dati nazionale del Regno Unito (Hanks & Kossaibati, 2011), è
stato evidenziato che solo il 25% degli allevamenti aveva un’età
media al primo parto uguale o inferiore ai 27 mesi. Questo ritardo
nell’età al primo parto può avere un considerevole impatto sulla
profittabilità dell’allevamento. Oltre alle perdite correlate all’au-
mento dei costi di alimentazione che si registrano fino al mo-
mento del parto, un incremento significativo dei tempi del primo
parto rispetto all’intervallo ideale di 23-34 mesi ha un drammati-
co impatto sulla produzione di latte della prima lattazione, come
evidenziato nella Figura 5 presentata dal Prof. Bollwein (Svizzera e
Germania).
È interessante notare che la scelta del momento giusto per avviare
le manze alla riproduzione, scelta che si basa sul raggiungimento
di specifici parametri relativi ad età, dimensioni della bovina (al-
tezza) e peso vivo delle manze stesse, non è necessariamente ap-
plicabile in tutti i territori, e in particolare nelle aree sottoposte a
condizioni estreme di stress da calore.
Nel corso dell’incontro, questo punto è stato sottolineato dal Dr.
Badiei (Iran), così come da altri esperti che si sono occupati degli
effetti dello stress da calore nei loro Paesi.
Di norma, in considerazione del fatto che durante la stagione cal-
da i tassi di concepimento tendono a essere bassi nelle bovine in
lattazione mentre non risultano drasticamente influenzati nelle
manze nullipare1, gli allevatori hanno la tendenza ad agire sull’e-
tà al primo concepimento delle manze (anticipandolo) al fine di
ottenere abbastanza gravidanze nel gruppo delle manze per com-
FIGURA 4
La distribuzione dell’età al primo parto è maggiormente rappre-
sentativa delle performance riproduttive reali delle manze piutto-
sto che la semplice età media al primo parto, diapositiva presenta-
ta dalla prof.ssa van Werven - the Netherlands.
FIGURA 5
L’età al primo parto influenza la produzione lattea alla prima lat-
tazione, diapositiva presentata dal Prof. Bollwein (Svizzera e Ger-
mania).
Mahlkow- Nerge 2007. LKV Mecklenburg-Vorpommern.
Slide presented by Dr. Tine van Werven
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
FIGURA 6
Perdite delle manze da rimonta dalla nascita alla 1a lattazione -
diapositiva presentata dalla Prof.ssa Dobson (UK).
pensare gli scarsi tassi di concepimento che si riscontrano nelle
pluripare negli allevamenti da latte. Di conseguenza, gli allevatori
che operano in zone calde possono mantenere il tasso di bovine
gravide relativamente costante nel corso dell’anno.
Le manze allevate al pascolo rappresentano un’eccezione alla re-
gola che stabilisce l’intervallo tra 23 e 24 mesi di vita come data
ideale del primo parto. Questi animali semplicemente non sono
in grado di raggiungere dimensioni e peso adeguati a 23 mesi di
età e quindi la data ideale del primo parto viene a essere ritardata.
Una volta che le manze hanno raggiunto dimensioni/età ideali, è
essenziale adottare alcune semplici strategie manageriali durante
il periodo di transizione (pre-parto) e nel periodo post- parto. La
Prof.ssa Dobson (UK), per esempio, ha sottolineato che, in conside-
razione del fatto che le bovine alla prima lattazione hanno tipolo-
gie e requisiti alimentari differenti da quelli delle bovine pluripare2,
è importante mantenere le manze primipare separate dalle bovine
pluripare allo scopo di incrementare il tasso di ingestione di mate-
ria secca e anche lo stato sanitario nel corso della prima lattazione.
Le manze dovrebbero essere introdotte nel gruppo di accoppia-
mento/inseminazione a circa 400 giorni di vita (o a circa 13 mesi
di vita) e dopo che hanno raggiunto almeno i 400 kg di peso. In
seguito, per ottenere un’ottimale produzione lattea alla prima lat-
tazione e massimizzare quindi la profittabilità, le manze, sottopo-
ste a un ideale gestione riproduttiva, dovrebbero essere in grado
di partorire tra i 23 e i 24 mesi di vita, con un peso che si dovrebbe
aggirare intorno ai 650 kg.
Dalla nascita al periodo dell’accoppiamento/inseminazione:
investire sulla futura bovina.
Concetto di sistema di alimentazione intensiva o “enhan-
ced-growth” durante il periodo di allevamento della manza-
Secondo la Dott.ssa Terré (Spagna) è frequente la pratica di som-
ministrare ridotte quantità di latte o di sostituti del latte (4 l/giorno)
alle vitelle da rimonta. Tuttavia è stato dimostrato che promuovere
una rapida crescita nelle prime fasi di allevamento può avere ef-
fetti positivi sulla futura produzione di latte e sul mantenimento
delle performance nella seconda lattazione [3,4]. L’unico modo per
incrementare in modo significativo la crescita delle giovani vitelle
è quello di somministrare elevate quantità di latte o di suoi sosti-
tuti (fino a 6-7 l/giorno) in modo da consentire un tasso di cre-
scita giornaliera superiore ai 700 g. In genere, mentre le manze
crescono si rileva di norma la diminuzione dell’efficienza alimenta-
re e quindi è molto importante accelerare la crescita delle manze
non solo durante il periodo pre-svezzamento, ma anche durante
il periodo di transizione dallo svezzamento ai 5 mesi di età. Du-
rante questo periodo, per assicurare un buon tasso di crescita, si
dovrebbe raggiungere l’obiettivo di una crescita giornaliera media
(Average Daily Gain o ADG) > 1,000 g/giorno.
Nel corso del suo intervento, la Prof.ssa Dobson (UK) ha sottoli-
neato l’importanza dell’allevamento delle manze e soprattutto il
numero impressionante di perdite nel comparto dei giovani ani-
mali documentato nel 2009 dalla Prof.ssa Claire Wathes del Royal
Veterinary College (UK) in allevamenti commerciali del Regno Uni-
to. I dati, riportati nella Figura 6, evidenziano le perdite in giovani
animali registrati dalla nascita all’inizio della lattazione.
Sorprendentemente, come descritto dalla Prof.ssa Dobson, solo
Brickell et al. 2009
il 77% delle manze arrivano a effettuare la prima lattazione. Per-
tanto, il miglioramento della gestione delle manze, con particolare
riferimento alle misure di prevenzione come la corretta sommini-
strazione del colostro e l’adozione di adeguate strategie alimentari
e sanitarie, determina un impressionante effetto sulla salute e sul
tasso di sopravvivenza nel comparto delle vitelle dal momento
dell’allattamento e dello svezzamento fino all’inizio dell’attività ri-
produttiva.
Quante manze si devono allevare per mantenere costante la
dimensione della mandria?
Questa è una domanda interessante che merita una certa atten-
zione, anche perché allevare le manze è un’attività abbastanza co-
stosa (è la seconda voce di spesa in un allevamento di bovine da
latte). Come è stato sottolineato nel corso dell’incontro dalla Dott.
ssa Terré (Spagna) e dal Prof. Cabrera (USA), oltre a cercare di fare
in modo che la maggior parte delle manze arrivino al primo parto
il più presto possibile e con dimensioni e peso ideali, gli allevatori
più avanzati si pongono l’obiettivo di non allevare un numero di
manze superiore a quello effettivamente necessario per mantene-
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Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
re costante la grandezza della mandria (Tabella 1).
Gli allevatori con un’elevata efficienza manageriale nell’allevare le
manze e che sono in grado di ottenere un’età e una dimensione
TABELLA 1
Numero di animali da rimonta necessari per ogni anno per mante-
nere inalterata la dimensione della mandria in funzione del tasso
di riforma nelle bovine in lattazione e dell’età al primo parto in una
mandria di 100 vacche in lattazione - Adattato da Paul Frike, 2003.
TABELLA 2
Punteggio del tratto riproduttivo - fonte (7): Andersen et al., 1991.
ideale degli animali al primo parto possono permettersi di avere
un numero minore di giovani animali pur mantenendo stabile la
dimensione della mandria, come evidenziato nella Tabella 1. Il Prof.
Cabrera (USA) ha citato un interessante supporto informatico di-
sponibile in rete (free web-tool) sviluppato da lui in collaborazione
con il team del Servizio Tecnico (extension service) dell’Università
del Wisconsin e che ha l’obiettivo di aiutare gli allevatori a calco-
lare il numero di animali da rimonta necessari per la loro mandria.
Questo supporto, e la documentazione relativa, è disponibile al
pubblico al sito http://dairymgt.uwex.edu/tools.php. Inoltre, il
Prof. Cabrera ha sottolineato che il test genomico sta diventando
uno strumento prezioso per gli allevatori di bovine da latte al fine
di aumentare l’efficienza dell’allevamento attraverso l’allevamento
di un minor numero di animali da rimonta. “Gli allevatori efficienti
possono eseguire un test genomico su tutti gli animali da rimonta
subito dopo la nascita e allevare solo gli animali migliori” ha com-
mentato il Prof. Cabrera.
Le migliori strategie e pratiche gestionali al momento della
riproduzione
Uno scarso sviluppo uterino, l’età al momento dell’ingresso nel
gruppo degli animali in attività riproduttiva e il punteggio di con-
dizione corporea (Body Condition Score o BCS) sono fattori che
sembrano chiaramente influenzare la fertilità delle manze. Questi
fattori devono essere attentamente valutati prima di avviare le
manze all’attività riproduttiva.
Per quanto riguarda lo sviluppo uterino, è stato raccomandato di
procedere alla valutazione del punteggio del tratto riproduttivo
(Reproductive Tract Score), come indicato nella Tabella 2, in tutte
le manze prima di iniziare la routine riproduttiva5-7. In generale, le
manze con un punteggio che evidenzia scarso o immaturo svi-
luppo uterino dovrebbero essere gestite in modo differenziato
(ad esempio, adottando la riforma selettiva degli animali infertili,
il miglioramento del piano nutrizionale, e così via) allo scopo di
migliorare i punteggi uterini e consentire alle bovine di iniziare l’at-
tività riproduttiva nel modo migliore. Le manze dovrebbero essere
introdotte nel gruppo delle bovine in riproduzione solo quando
il punteggio uterino è superiore a 3 nella classificazione riportata
nella Tabella 2.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
In relazione all’impatto dell’età e del Body Condition Score (BCS)
sulla ciclicità delle manze, nonostante il fatto che i problemi di ci-
clicità siano stati ampiamente studiati nelle bovine in lattazione,
lo stato di anaestro nelle manze di allevamenti di bovine da latte
non è stato altrettanto frequentemente oggetto di studio. I dati
presentati dal Prof. Janowski (Polonia) e dal Dr. King (UK) eviden-
ziano chiaramente l’impatto che l’età delle manze e il BCS hanno
sull’incidenza dell’anestro, come riportato in Tabella 3.
TABELLA 3
Effetto dell’età delle manze e del BCS sullo stato di ciclicità - diapositiva presentata dal Dr. King (UK).
Quindi, queste due variabili, in aggiunta a una corretta valutazio-
ne del punteggio del tratto uterino, devono essere prese in con-
siderazione prima di impostare un programma riproduttivo delle
manze.
In generale, le manze ben gestite possono raggiungere la pubertà
e mostrare cicli riproduttivi normali a partire dagli 11-12 mesi di
vita. Quindi le manze, di norma, sono avviate alla riproduzione a
partire dai 13-14 mesi di vita e mostrano chiari segni dell’attività
estrale che hanno una durata variabile tra le 12 e 18 ore. Pertanto,
la maggior parte degli allevamenti nei quali sono utilizzati di rou-
tine sistemi di rilevazione degli estri, come la rilevazione visiva o
l’utilizzo di altri sistemi (uso di gessetti colorati), tendono a avere
un eccellente tasso di rilevazione dei calori (numero di bovine in-
seminate/numero di bovine idonee a essere inseminate), che può
raggiungere il 65-70%8.
I tassi di concepimento (numero di bovine gravide/numero di
bovine inseminate) che si ottengono nelle manze da latte pube-
ri in seguito a inseminazione all’estro naturale possono raggiun-
gere valori uguali o superiori al 60%. Quindi nelle manze gestite
in modo ottimale l’obiettivo di fare sì che la maggior parte degli
animali partorisca tra i 23 e i 24 mesi di vita può essere facilmente
raggiunto attuando esclusivamente una corretta routine di rile-
vazione dei calori senza il ricorso ad altre manipolazioni del ciclo
estrale che prevedono l’utilizzo di ormoni.
Tuttavia, dato che è piuttosto comune che la raccolta dei dati
relativi alle performance riproduttive delle manze da latte è relati-
vamente scarsa, molti allevatori non sono consapevoli dello stato
reale dell’efficienza riproduttiva delle loro manze. Pertanto, sono
necessari molti sforzi per raccogliere informazioni accurate per
valutare l’efficienza della rilevazione dell’estro così come i tassi di
concepimento che si ottengono nel comparto delle manze.
L’utilizzo delle prostaglandine (PGF2α
), che causano luteolisi e indu-
cono comparsa dell’attività estrale in manze cicliche, può essere
una buona scelta per cercare di ridurre il dato relativo ai giorni medi
che intercorrono tra la nascita e l’inizio dell’attività riproduttiva e,
di conseguenza, anticipare la prima gravidanza e il conseguente
inizio della prima lattazione. Il Prof. Cabrera ha anche affrontato e
discusso le problematiche relative all’’utilizzo di differenti program-
mi di sincronizzazione nelle manze e il ritorno dell’investimento
effettuato con la loro adozione, argomento che di recente è stato
oggetto di una rassegna pubblicata da Chebel8.
L’uso delle PGF2α
nelle manze cicliche all’inizio del periodo di inse-
minazione/accoppiamento favorisce l’aumento della percentuale
di manze inseminate nel corso di un certo periodo (ad esempio,
una settimana) rispetto al gruppo di manze non sottoposte ad
alcun trattamento. La letteratura disponibile ha dimostrato che la
somministrazione delle PGF2α
all’inizio del periodo riproduttivo può
indurre una migliore sincronizzazione del comportamento estrale,
facilitare la rilevazione dei calori (un maggior numero di animali
vanno in calore nello stesso momento) e ridurre di circa 7-10 giorni
il tempo necessario per ottenere una gravidanza nelle manze trat-
tate rispetto agli animali di controllo non trattati (Figura 7).
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Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
FIGURA 7
Distribuzione dell’espressione estrale in manze da latte trattate con di PGF 2 rispetto al gruppo di controllo non trattato - Fonte: adattato
da (6,8).
Ad esempio, Stevenson6 ha dimostrato che il 72% delle manze
sono rilevate in calore entro una settimana dal trattamento con
una singola dose di PGF2α
mentre solo il 36% delle manze non sot-
toposto a trattamento ha mostrato il calore nello stesso periodo.
I tassi di concepimento ottenuti non differiscono in modo signi-
ficativo tra le manze inseminate al calore indotto dal trattamen-
to farmacologico rispetto alle manze di controllo non trattate e
inseminate al calore naturale. Quindi, l’uso delle PGF2α
raddoppia
di fatto la quantità di manze ingravidabili per ogni settimana. Non
deve quindi sorprendere che l’utilizzo strategico delle PGF2α
nelle
manze , come protocollo di sincronizzazione, sia così diffuso a li-
vello mondiale.
Gli allevamenti di manze con una bassa efficienza di rilevazione
dei calori possono trovare beneficio dall’utilizzo di programmi di
sincronizzazione sviluppati recentemente che consentono di ese-
guire un’inseminazione a tempo fisso e di ottenere elevati tassi di
concepimento. Le manze da latte, rispetto alle bovine in lattazio-
ne, hanno un certo numero di caratteristiche uniche dal punto di
vista riproduttivo, come una maggior percentuale di animali che
mostrano mediamente più di 2 (fino a 3) ondate follicolari (ondate
follicolari che sono probabilmente più corte) e maggiori livelli di
progesterone circolante durante il diestro.
Pertanto, i programmi di sincronizzazione come l’Ovsynch9 che
sembrano funzionare piuttosto bene nelle bovine in lattazione,
quando sono utilizzati nelle manze consentono di ottenere tassi
di concepimento inferiori a quelli che si ottengono nelle man-
ze inseminate naturalmente all’estro rilevato10. Di conseguenza,
nell’ultimo decennio, da parte di diversi gruppi di ricerca sono
stati condotti studi di base e di campo per la definizione di pro-
grammi di inseminazione a tempo fisso, specificamente sviluppati
per le manze, che possano consentire di ottenere tassi di conce-
pimento uguali o superiori a quelli ottenuti dopo inseminazione
naturale all’estro rilevato. Un esempio significativo di questi nuovi
protocolli, che sembra funzionare abbastanza bene nelle manze,
è quello conosciuto come “programma progesterone a 5 giorni”
(5 days-progesterone program”)11,12. Seguendo il concetto che pre-
vede l’utilizzo di programmi di sincronizzazione “corti”, la Dott.ssa
Astiz (Spagna) ha presentato dei dati ottenuti utilizzando questo
programma in otto allevamenti da latte del nord-est della Spa-
gna, per un totale di 451 inseminazioni. Il tasso di concepimento
ottenuto è stato del 57.4% (Dr. Palma, 2013 – comunicazione per-
sonale).
Pertanto, attualmente si ha a disposizione una gamma di efficienti
programmi di sincronizzazione per l’inseminazione a tempo fis-
so che possono essere utilizzati validamente nelle manze e che
consentono di inseminare la totalità degli animali con tassi di con-
63
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
FIGURA 8
Tavola riassuntiva delle priorità da tenere in considerazione per la definizione di un possibile piano di azione per la gestione riproduttiva delle
manze da latte.
cepimento simili o leggermente inferiori a quelli che si possono
ottenere con inseminazione naturale delle manze in calori rilevati.
Inoltre, come evidenziato dalla Dott.ssa Astiz, una volta presa la de-
cisione di utilizzare, ad esempio, una semplice somministrazione di
prostaglandina o di implementare un programma di sincronizza-
zione più complesso, l’allevatore è comunque obbligato a gestire
la riproduzione delle manze su base settimanale o bi-settimanale
e, quindi, le manze non sono mai trascurate per un lungo periodo
di tempo. Questo, di per sé, si traduce in un miglioramento della
gestione riproduttiva della gestione delle manze.
Ovviamente, i veterinari e gli allevatori devono tenere in consi-
derazione le differenti variabili e effettuare un’attenta valutazione
del ritorno dell’investimento allo scopo di decidere quale possa
essere la migliore strategia all’interno dei diversi programmi di
sincronizzazione/inseminazione disponibili. Nelle reali condizioni
di allevamento delle mandrie gestite in modo ottimale si tende
a combinare differenti tecniche per fare in modo che le manze si
ingravidino il più presto possibile e nel modo economicamente
più vantaggioso. Chebel8 ha effettuato un’interessante analisi eco-
nomica al fine di comparare i diversi sistemi di gestione riprodutti-
va delle manze in allevamenti di bovine da latte. In breve, Chebel
nel corso della sua analisi ha preso in considerazione il numero
di giorni risparmiati nel periodo che va dall’inizio di un program-
ma di inseminazione/accoppiamento al parto e i costi associati ai
diversi programmi utilizzati. Per acquisire maggiori dettagli può
risultare utile la lettura dell’articolo originale8.
La principale conclusione del lavoro è stata che, in considerazione
del fatto che l’utilizzo delle PGF2α consente di accorciare il tem-
po per ottenere un calore fertile, si dovrebbero ottenere benefici
dall’uso delle prostaglandine anche in allevamenti con un buon
(>66%) tasso di rilevazione dei calori, anche in funzione del fatto
che i costi sostenuti per il trattamento farmacologico sono com-
pensati dall’anticipazione del concepimento stesso (Figura 8).
Un’altra importante conclusione che si può trarre dalla rassegna
di Chebel è che gli allevatori che devono affrontare il problema di
una non efficiente rilevazione dei calori possono trarre beneficio
dall’implementazione di sistemi di sincronizzazione con insemi-
nazione a tempo fisso specificamente studiati per essere utilizzati
nelle manze, come il programma che utilizza dispositivi intra-vagi-
nali a base di progesterone (5d-progesterone program).
64
Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
Appendice: riassunto dei principali programmi riproduttivi disponibili per le manze .
FIGURA 9
FIGURA 10
65
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Appendice: linee guida nutrizionali durante il periodo di allevamento delle manze.
FIGURA 11
FIGURA 12
66
Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
FIGURA 13
FIGURA 14
FIGURA 15
67
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
BIBLIOGRAFIA
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ovulation relative to AI on ovarian dynamics and fertility of dairy
heifers. J Dairy Sci 2011, 94 (10): 4997-5004.
68
Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
69
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Abstracts and research digest - Estratti di articoli selezionati comparsi su altre riviste veterinarie
A cura di G. Valla, Marketing Manager Ruminanti Ceva Salute AnimaleE-mail: [email protected]
EFFETTO DELLA SOMMINISTRAZIONE DI MELOXICAM SU SENSIBILITÀ AL DOLO-RE, RUMINAZIONE E SINTOMI CLINICI IN BOVINE DA LATTE AFFETTE DA MASTI-TI CLINICHE INDOTTE DA ENDOTOSSINE.
Fitzpatrick CE, Chapinal N, Petersson-Wolfe CS, DeVries TJ, Kel-
ton DF, Duffield TF, Leslie KE. The effect of meloxicam on pain
sensitivity, rumination time, and clinical signs in dairy cows
with endotoxin-induced clinical mastitis. J Dairy Sci. 2013 May;
96(5):2847-56.
Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia di un
dispositivo (algometro a pressione) per la misurazione del dolore
(Pressure Algometer=PA) (Figura 1) e di un sistema di monitorag-
gio automatizzato dell’attività ruminale allo scopo di individuare i
mutamenti che si verificano sulla sensibilità al dolore e sui tempi
della ruminazione in risposta a mastiti cliniche da endotossine. Il
PA è un dispositivo che può essere usato per definire la pressione
e / o la forza necessarie per produrre una determinata soglia di
pressione-dolore. Secondo obiettivo dello studio è stato quello
di valutare gli effetti prodotti da un preparato farmaceutico con-
tenente meloxicam, un farmaco antinfiammatorio non steroideo
(FANS), sulla sensibilità al dolore e sull’attività ruminale, così come
su altri sintomi correlati, in bovine affette da mastiti cliniche da en-
dotossine. La mastite clinica è stata indotta sperimentalmente in
13 bovine da latte primipare e in 12 pluripare a seguito di infusione
intramammaria in un quartiere sano di 25 μg di lipopolisaccaridi di
Escherichia coli (LPS). Subito dopo l’infusione, una metà delle bo-
vine è stata sottoposta a trattamento con meloxicam (0.5 mg/kg
p.c. [2.5 mL del preparato farmaceutico ogni 100 kg di peso corpo-
reo]), mentre l’altra metà, utilizzata come controllo, è stata trattata
con lo stesso volume di un placebo. La soglia di sensibilità al dolore
è stata valutata per mezzo della misurazione delle differenze nella
pressione necessaria per indurre risposte dolorifiche nei quartie-
ri dei soggetti controllo rispetto ai quartieri dei soggetti infettati,
utilizzando un “algometro” 3 giorni prima, immediatamente dopo
e a distanza di 3, 6, 12 e 24 ore dall’infusione delle LPS, e dopo trat-
tamento con meloxicam e con la preparazione placebo. L’attività
ruminale è stata monitorata in modo continuo per mezzo di un
rilevatore individuale collegato a un collare (HR-Tag, SCR Engineers
Ltd) a partire dai 2 giorni precedenti e fino a 2 giorni dopo l’infusio-
ne di LPS. Inoltre, al fine di valutare l’entità e la durata dell’infiam-
mazione dopo infusione di LPS, sono stati monitorati i seguenti
parametri: edema mammario, valutato mediante un punteggio
da 1 a 5 (1= nessun edema; 5= edema molto grave); temperatura
corporea; punteggio cellule somatiche (Somatic Cells Score = SCS);
assunzione di materia secca (Dry Matter Intake = DMI). Negli ani-
mali di controllo (trattati con il placebo), a 6 ore dall’infusione di
LPS, la differenza nella pressione sui quartieri sani e su quelli infetti
è aumentata di 1.1 ± 0.4 kg di forza esercitata rispetto ai valori di
base, suggerendo un aumento della sensibilità al dolore nei quar-
tieri infettati. L’infusione di LPS e il trattamento con meloxicam non
hanno dimostrato, in generale, di esercitare influenze sull’attività
ruminale. Tuttavia, il modello relativo all’attività ruminale diurna
nel giorno dell’infezione con LPS ha rivelato una deviazione com-
plessiva dai valori basali. In particolare, le bovine hanno trascorso
meno tempo a ruminare nelle ore seguenti l’infusione di LPS e un
tempo maggiore nella seconda parte della giornata. Il trattamento
con meloxicam non ha influenzato il conteggio delle cellule so-
matiche o il livello di assunzione della materia secca. Tuttavia, gli
animali trattati con meloxicam hanno mostrato l’insorgenza di un
edema mammario di grado minore (Tabella 1) e una temperatura
corporea inferiore rispetto ai soggetti di controllo trattati con la
preparazione placebo nelle ore successive all’infusione di LPS. Gli
Autori concludono affermando che il dispositivo di rilevazione del
dolore e il sistema di monitoraggio della ruminazione possono
essere utili strumenti per la rilevazione della presenza di mastite
e per la valutazione della guarigione della stessa a livello di alleva-
mento. Inoltre, il trattamento con meloxicam presenta benefici per
quanto riguarda il contenimento del dolore, dell’edema mamma-
rio e della temperatura corporea correlata alla presenza di forme
cliniche di mastite indotte da LPS batterici.
70
Abstracts and research digest
FIGURA 1
Sensibilità al dolore misurata con un dispositivo di rilevazione della pressione (Force Ten FDX 50 pressure algometer - Wagner Instruments,
Greenwich, CT), equipaggiato con una piastra di rilevazione della pressione applicata perpendicolarmente al quarto mammario, approssima-
tivamente a 25 cm, ventralmente, all’attaccatura del capezzolo e a 5 cm lateralmente al legamento sospensore mediano.
TABELLA 1
Valori medi dei punteggi relativi all’edema mammario nelle 24 bovine prima (valori basali) e dopo (+ 3, 6, 12 e 24 ore) l’infusione con LPS di
Escherichia coli e iniezione di meloxicam o di placebo.
71
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
TASSI DI LUTEOLISI E DI GRAVIDANZA IN BOVI-NE DA LATTE DOPO TRATTAMENTO CON CLO-PROSTENOLO O DINAPROST.
Stevenson J.S.a, Phatak A.P.b. 2010. Rates of luteolsis and
pregnancy in dairy cows after treatment with cloprostenol
or dinoprost. Theriogenology 73:1127-38.a Department of Animal Sciences and Industry, Kansas
State University, Manhattan, Kansas USAb Technical Services Veterinarian, Alta Genetics, Hughson, Ca-
lifornia USA
La luteolisi, definita come regressione o involuzione del corpo lu-
teo con perdita della sua funzionalità, è un momento chiave nei
programmi di sincronizzazione attualmente utilizzati nell’alleva-
mento della bovina da latte. Alcuni studi indicano che circa il 20%
delle bovine non risponde positivamente alla somministrazione
di PFG2α
(1). Per ottenere un’efficace diminuzione dei valori di pro-
gesteronemia, condizione che precede sempre un’inseminazione
fertile(1,2), è essenziale che le bovine presentino una luteolisi com-
pleta. In corso di utilizzo di un protocollo di pre-sincronizzazio-
ne–sincronizzazione (PreSynch-Ovsynch) con inseminazione arti-
ficiale a tempo fisso, la percentuale di bovine gravide raggiunge
il 40,5%(1) quando il trattamento con la prostaglandina induce una
luteolisi completa e la progesteronemia scende da valori supe-
riori a 1ng/ml a valori inferiori a 0,5 ng/ml a distanza di 56 h dal
trattamento prostaglandinico. Tuttavia, il tasso di concepimento
diminuisce drasticamente se la luteolisi è ritardata (la concentra-
zione di progesteronemia non scende a 0,5 ng/ml fino a 96 ore
dalla somministrazione della prostaglandina). La situazione risulta
ancora più critica, con tassi di concepimento inferiori al 10%, quan-
do la prostaglandina induce luteolisi incompleta. Infine, il tasso di
concepimento risulta nullo quando non si verifica la luteolisi e i
livelli di progesterone rimangono al di sopra di 1 ng/ml. Le moti-
vazioni per le quali un corpo luteo maturo può risultare refrattario
al trattamento prostaglandinico sono al momento sconosciute.
In riferimento alla farmacodinamica delle diverse prostaglandine,
naturali o sintetiche, Pursley e Coll.(4) suggeriscono l’esistenza di
differenze nel tempo che intercorre tra la somministrazione della
prostaglandina e la successiva luteolisi (rispettivamente, 29,4 ore
con dinoprost e 29,1 ore con cloprostenolo) e la conseguente ovu-
lazione (103 ore vs 101 ore, rispettivamente con dinoprost e clo-
prostenolo). Nello stesso studio gli Autori hanno rilevato differenze
nelle concentrazioni di progesterone dopo il trattamento con le
prostaglandine, con una caduta più veloce della progesteronemia
dopo trattamento con cloprostenolo rispetto al trattamento con
Dinoprost entro 12 ore. Tuttavia, le differenze scompaiono e le
concentrazioni di progesterone risultano sovrapponibili quando
la progesteronemia viene valutata fra le 12-24 ore, le 24-48 ore
e le 48-96 ore dal trattamento con entrambe le prostaglandine(4).
Quindi, si può affermare che esistono differenze di comporta-
mento tra prostaglandine sintetiche e naturali, ma che queste
differenze sono presenti solo nelle prime ora post-trattamento(2).
La comparazione dell’effetto luteolitico prodotto dalle diverse pro-
staglandine disponibili sul mercato per quanto attiene percentua-
le di luteolisi, tasso di induzione dell’estro e tasso di concepimen-
to, è stata al centro di numerosi studi pubblicati negli ultimi 30
anni. La struttura chimica delle prostaglandine sintetiche (come
il cloprostenolo) presenta un anello cloro benzilico che è invece
assente negli analoghi naturali (come il dinoprost) e che conferi-
sce un’emivita maggiore. Pertanto, in molti studi è stata formulata
l’ipotesi che, in considerazione del metabolismo endogeno e della
resistenza e del tasso di eliminazione delle varie prostaglandine, i
composti di sintesi possano sviluppare una maggiore attività lu-
teolitica rispetto ai composti naturali. Di recente questa ipotesi è
stata oggetto di una pubblicazione di Stevenson e Coll (3), che han-
no riportato i dati ottenuti nel corso di due altri studi eseguiti negli
U.S.A (Figura 1). Nel primo studio, 2358 bovine da latte, provenienti
da sei allevamenti da latte della California, sono state sottoposte
ad un protocollo di pre-sincronizzazione (Presynch) mediante l’uti-
lizzo di due iniezioni di PGF2α
eseguite a distanza di 14 giorni l’una
dall’altra. Le bovine rilevate in calore in risposta al trattamento con
prostaglandine sono state inseminate (n=1094), mentre le rima-
nenti bovine (n=1264), che non presentavano calore, sono state
sottoposte a un secondo protocollo di sincronizzazione (Cosynch
72), iniziato 12 o 14 giorni dopo la seconda iniezione del Presynch
(GnRH; PGF2α
dopo 7 giorni; GnRH dopo 72 ore; inseminazione a
tempo fisso dopo 72 ore). All’interno del Cosynch, le bovine sono
state assegnate “a caso” a due gruppi di trattamento: gruppo a
= closprostenolo (n=650 soggetti; gruppo b = dinoprost (n=614
soggetti). Campioni di sangue per la determinazione dei livelli di
progesterone (P4) prima e dopo il trattamento con le prostaglan-
dine sono stati raccolti al momento dell’iniezione (tempo 0) e a 48
e 72 ore dall’iniezione. Per la valutazione dei risultati è stato utiliz-
zato un cut-off di 1 ng/ml: concentrazioni di P4 ≥1 ng/ml definiva-
no un corpo luteo (CL) funzionale, mentre concentrazioni di P4 <1
ng/ml indicavano la presenza di un CL non funzionale o l’avvenuta
regressione dello stesso. Nel secondo studio, 427 bovine da latte,
delle quali non era noto lo stato di gravidanza, sono state incluse in
un protocollo di Ovsynch-Resynch. Una dose di GnRH è stata som-
ministrata a 333 bovine, mentre in 94 bovine è stata iniettata solu-
zione fisiologica. Sette giorni dopo è stata verificata la gravidanza
e le bovine risultate non gravide sono state classificate in funzione
del numero di CL presenti e assegnate, a caso, al trattamento con
cloprostenolo o dinaprost (Figura 1).
Considerando le bovine che presentavano concentrazioni emati-
che di progesterone ≥1 ng/ml (e che quindi erano potenzialmente
in grado di rispondere all’azione luteolitica della prostaglandina), la
percentuale di soggetti con luteolisi completa (riduzione dei livelli
di P4 a < 1 ng/ml a 73 ore dal trattamento) era significativamente
maggiore (P < 0.01) nelle bovine trattate con dinoprost (91.3%)
rispetto al cloprostenolo (86.6%) (Figura 2).
Anche nel secondo studio la percentuale di regressione luteale è
72
Abstracts and research digest
risultata statisticamente superiore (P < 0.05) nel gruppo trattato
con dinoprost (78.5%) rispetto a quello trattato con cloprostenolo
(69.1%). Il tasso di concepimento rilevato nei due gruppi, sia nello
studio 1 che nello studio 2, non ha presentato differenze statistica-
mente significative (Figura 3).
Gli Autori concludono che, sulla base della definizione di luteolisi
utilizzata nel corso degli studi, che presuppone che le concentra-
zioni ematiche di P4 scendano al di sotto di 1 ng/ml a 72 ore dal
trattamento, dinoprost mostra un’attività luteolitica maggiore di
cloprostenolo. Questo dato è stato registrato in entrambi gli studi,
anche nelle bovine che mostravano più di un corpo luteo. Tutta-
via, nonostante le differenze rilevate nell’efficacia luteolitica delle
due tipologie di prostaglandine utilizzate, nei due studi presi in
considerazione non sono state riscontrate differenze nelle perfor-
mance riproduttive.
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influyen en la fertilidad de la vaca lechera en produccion. Libro
de ponencias del XI Congreso Internancional ANEMBE de
medicina bovina (Avila 2011).
FIGURA 3
Tasso di concepimento dopo l’utilizzo dei protocolli di insemina-
zione artificiale (IA) e di due tipi di prostaglandine (3).
FIGURA 1
Schemi di trattamento.
FIGURA 2
Percentuale di luteolisi dopo utilizzo dei protocolli di inseminazio-
ne artificiale (IA) e di due tipi di prostaglandine (3).
73
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
NELLA BOVINA DA LATTE IL TRATTAMENTO CON
PROGESTERONE PRIMA DELL’INSEMINAZIONE ARTIFI-
CIALE FAVORISCE LA SINCRONIZZAZIONE DELL’OVU-
LAZIONE, AUMENTA I TASSI DI GRAVIDANZA PER
INSEMINAZIONE E RIDUCE LE PERDITE DI GRAVI-
DANZA DOPO L’INSEMINAZIONE.
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gesterone supplementation before timed AI increased ovula-
tion synchrony and pregnancy per AI, and supplementation
after timed AI reduced pregnancy losses in lactating dairy
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Una delle principali cause di ridotta fertilità nelle bovine da latte ad
alta produzione consiste in una inadeguata progesteronemia pri-
ma e dopo l’accoppiamento o l’inseminazione artificiale (IA). Infatti,
la presenza di idonee concentrazioni di progesterone è essenziale
perché l’ovulazione abbia successo e si instauri la gravidanza. Per
questa ragione, in passato, sono stati condotti studi al fine di valu-
tare gli effetti sulla fertilità conseguenti alla somministrazione di
progesterone. Obbiettivo degli Autori è stato quello di valutare l’ef-
ficacia dell’utilizzo di un dispositivo intravaginale a lento rilascio di
progesterone, contenente 1,55 g di progesterone (PRID), nei primi
7 giorni di un protocollo Ovsynch (pre-IA) e/o dal 4° all’11° giorno
post-IA . Nel corso dello studio sono stati valutati i seguenti para-
metri: risposta dell’ovaio al trattamento, concentrazioni ematiche
di progesterone, tasso di gravidanza per inseminazione artificiale
(P/AI) e percentuale di perdita di gravidanza. L’ipotesi alla base del-
lo studio era che il trattamento con PRID pre- e post-IA possa in-
crementare il tasso di gravidanza e ridurre le perdite di gravidanza.
Per la prova sono state utilizzate 608 bovine da latte di tre differenti
allevamenti, alle quali è stato applicato un protocollo di sincroniz-
zazione (Ovsynch) che consisteva in due iniezioni di GnRH (100
mg di gonadorelina) ad intervallo di 9 giorni e in un’iniezione di
prostaglandina (PG) (500 mg di cloprostenolo) dopo 7 giorni dal
primo trattamento con GnRH. In 294 bovine si è proceduto all’in-
serimento del dispositivo PRID mentre le restanti 314 bovine sono
state tenute come controllo (Figura 1). Il dispositivo è stato inserito
al momento della prima iniezione di GnRH del protocollo Ovsynch
ed è stato rimosso al momento della somministrazione della PG.
L’inseminazione artificiale a tempo fisso (TAI) è stata eseguita a 12
e a 16 ore di distanza dal secondo GnRH del protocollo Ovsynch.
Un sottogruppo di 217 bovine, in uno dei tre allevamenti, era stato
pre-sincronizzato con una doppia iniezione di PG intervallate tra
loro da 14 giorni, con la seconda somministrazione di PG effet-
tuata 12 giorni prima del primo trattamento con GnRH previsto
dal protocollo Ovsynch. Tutte le altre bovine incluse nello studio
hanno iniziato il protocollo Ovsynch in una fase del ciclo non nota.
Lo stato di condizione corporea (BCS = Body Condition Score), con
una scala di valutazione da 1 a 5, è stato valutato al momento
dell’inseminazione artificiale (TAI). Per la valutazione della risposta
al trattamento un esame ultrasonografico (U/S) è stato effettuato
in tutte le bovine incluse nello studio al momento della sommini-
strazione del GnRH, al momento della somministrazione della PG,
al momento dell’inseminazione artificiale (TAI) e 24 ore dopo la TAI.
Inoltre, l’esame ultrasonografico è stato eseguito anche a distanza
di 32 e di 60 giorni dall’IA allo scopo di accertare e confermare la
gravidanza. A distanza di 4 giorni e mezzo dall’inseminazione artifi-
ciale (TAI) (e precisamente al giorno 14) le bovine che non avevano
risposto alla PG (con luteolisi valutata mediante esame ultrasono-
grafico e confermata, in modo retrospettivo, dalla valutazione del-
la progesteronemia) e non avevano ovulato (l’ovulazione è stata
accertata mediante esame ultrasonografico eseguito al giorno
10,5) dopo il secondo trattamento con GnRH sono state riasse-
gnate a due gruppi: negli animali di un gruppo è stato inserito il
dispositivo PRID (n=223), mentre gli animali dell’altro gruppo sono
stati tenuti come controlli (n=229). Il dispositivo è stato lasciato
in situ per 7 giorni (Figura 1). Al fine di valutare le concentrazioni
ematiche di progesterone sono stati raccolti campioni di sangue
(BS) al momento del trattamento con la prostaglandina (PG), al
momento dell’inseminazione artificiale (TAI) e a distanza di 14 e
21 giorni dall’inseminazione. L’utilizzo del PRID prima dell’IA ha
ridotto in modo significativo la percentuale di bovine che hanno
ovulato prima dell’inseminazione (5.8% vs. 11.1%) e ha significati-
vamente aumentato il tasso di gravidanze per IA nelle bovine non
pre-sincronizzate (41.3% vs. 25.1%). Le bovine che hanno ovulato
in risposta al primo trattamento con GnRH (bovine cicliche e bovi-
ne con un BCS ≥ 2.75) hanno mostrato un incremento del tasso di
gravidanza per inseminazione (P/AI), ma l’utilizzo del PRID pre-TAI
non ha aumentato il tasso P/AI in queste bovine. Inoltre, l’utilizzo
del PRID post-TAI non ha influenzato il tasso di gravidanza per in-
seminazione (P/AI). Al contrario, l’applicazione del PRID ha ridotto
il tasso di perdita di gravidanza (6.2% vs. 11.4%) tra il 32° ed il 60°
giorno di gestazione. La riduzione del tasso di perdita di gravidan-
za (Tabella 1) era significativamente inferiore (P=0.10) nelle bovine
acicliche cui è stato applicato il PRID rispetto alle bovine alle quali
il dispositivo non è stato applicato (5.6% vs. 33.3%). Per quanto ri-
guarda le concentrazioni ematiche di progesterone (P4), l’impian-
to del PRID pre-TAI ha prodotto un aumento significativo (P=0.08)
delle concentrazioni di P4 (4.4 ± 0.2 nelle bovine trattate e 3.9 ±
0.2 ng/mL nelle bovine non trattate) al momento della sommini-
strazione della PGF (giorno 7). Un aumento significativo (P<0.01)
si è potuto rilevare anche con l’impianto di PRID post-AI (6.5 ± 0.2
nelle bovine trattate e 5.6 ± 0.2 ng/mL nelle bovine non trattate).
Inoltre, le concentrazioni ematiche di P4 rilevate al momento della
somministrazione della PG e al giorno 21 sono risultate correlate in
modo lineare alla probabilità di ottenere una gravidanza al giorno
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Abstracts and research digest
32. Gli Autori concludono affermando che il trattamento con pro-
gesterone tramite il ricorso a un dispositivo intravaginale a lento
rilascio effettuato prima dell’inseminazione (pre-TAI) aumenta il
tasso di gravidanza (P/AI) nelle bovine non pre-sincronizzate e che
l’utilizzo del dispositivo post-TAI riduce il tasso di perdita di gravi-
danza, in particolare nelle bovine non cicliche.
FIGURA 1
Protocollo sperimentale.
TABELLA 1
Perdita di gravidanza tra il 32° ed il 60° giorno post TAI, in considerazione dello stato di ciclicità rilevata all’inizio del protocollo Ovsynch e del
trattamento con PRID eseguito post-TAI.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
NOTE
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B. Riccio
B. RiccioB. Riccccicio
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