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ROBERTO BAZLEN EDITORE NASCOSTO di Valeria Riboli (prefazione di) Giulia de Savorgnani Fondazione Adriano Olivetti Collana Intangibili Tesi

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ROBERTO BAZLEN EDITORE NASCOSTO

diValeria Riboli

(prefazione di)Giulia de Savorgnani

Fondazione Adriano Olivetti

Collana Intangibili Tesi

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature metalliche, i ponti di legnosospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: - Perché la costruzione di Tecla continua così a lungo?- gli abitanti senza smettere di issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e in giù lunghi pennelli, - Perché non cominci ladistruzione, - rispondono. E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, sog-giungono in fretta, sottovoce: - Non soltanto la città. Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l’occhio alla fessura d’una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellatureche rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. - Che senso ha il vostro costruire? - domanda. - Qual è il fine d’unacittà in costruzione se non una città? Dov’è il piano che seguite, il progetto? - Te lo mostreremo appena terminata la giornata; ora nonpossiamo interrompere, - rispondono. Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È una notte stellata. - Ecco il progetto, - dicono.Italo Calvino, Le Città Invisibili, Einaudi, 1972.

Collana IntangibiliTesi 22

Roberto Bazlen editore nascostodi Valeria RiboliCollana Intangibili, Fondazione Adriano Olivetti, n. 22, 2013ISBN 978 88 967 7020 7

La Collana Intangibili è un progetto della:Fondazione Adriano Olivetti

Direzione editorialeFrancesca LimanaRedazioneBeniamino de’ Liguori Carino, Viviana Renzetti, Matilde Trevisani

Fondazione Adriano OlivettiSede di RomaVia Giuseppe Zanardelli, 34 - 00186 Romatel. 06 6877054 fax 06 6896193Sede di IvreaStrada Bidasio, 2 - 10015 Ivrea (TO) tel./fax 0125 627547www.fondazioneadrianolivetti.it

Tutto il materiale edito in questa pubblicazione, ad esclusione delle appendici docu-mentali per le quali si prega di fare riferimento alle fonti citate nel testo, è disponi-bile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Nonopere derivate 3.0 Italia. Significa che può essere riprodotto a patto di citare lafonte, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza.

La Serie Tesi della Collana Intangibili è nata nel 2011 con l’obiettivo di diffondere i risultati dei lavorimigliori svolti in ambito universitario che hanno per oggetto l’opera di Adriano Olivetti e le aree di studioche caratterizzano l’attività della Fondazione a lui intitolata. Un modo per premiare quegli studenti che,grazie al rigore scientifico della ricerca e a una metodologia di studio innovativa e sperimentale, hanno con-tribuito con il lavoro di tesi allo sforzo della Fondazione di consolidare le relazioni con le Università perdiffondere la conoscenza della storia olivettiana e dei suoi numerosi rivoli storici e analitici. La scadenza per la candidatura dei lavori è il 30 giugno e il 30 dicembre di ogni anno. Per ulteriori infor-mazoni www.fondazioneadrianolivetti.it

Roberto Bazlen editore nascosto

di Valeria Riboli

Indice

Premessa

Prefazionedi Giulia de Savorgnani

Introduzione

La formazione e il pensiero di Bazlen

Gli anni della formazione

Il pensiero di Bazlen

La collaborazione con le Nuove Edizioni Ivrea e l’Agenzia Letteraria Internazionale

Bazlen a Milano: conoscenze e collaborazioni

Il progetto delle Nuove Edizioni Ivrea

I rapporti di Bazlen con l’Agenzia Letteraria Internazionale

La collaborazione con Einaudi: lettere editoriali e traduzioni

La collaborazione con Einaudi e il carteggio con Erich Linder: caratteri generali

La collaborazione con Einaudi: temi principali

pag. XI

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1.1.1 Trieste1.1.2 I rapporti di Bazlen con Trieste 1.1.3 Il sodalizio con Montale1.1.4 Il “caso Svevo” 1.1.5 La collaborazione con «Solaria»

2.2.1 Le collane delle Nuove Edizioni Ivrea2.2.2 La collana «Mondi e destini» 2.2.3 La «Collana Letteraria»

2.3.1 Il carteggio con Luciano Foà: 1946-1949 2.3.2 La pubblicazione di Freud e Jung in Italia e la collaborazione con Astrolabio2.3.3 L’attività di Bazlen alla fine degli anni Quaranta 2.3.3 1948-1949: l’inizio delle consulenze editoriali per Einaudi

1.2.1 Gli Scritti: le Note senza testo1.2.2 Gli Scritti: Il capitano di lungo corso

pag. 120pag. 133pag. 138pag. 146pag. 153

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3.2.1 Il rapporto con le letterature straniere: la Mitteleuropa 3.2.2 La letteratura del «giro di secolo» 3.2.3 Lo «sguardo di Orfeo»3.2.3 Lo «sguardo di Orfeo» nelle lettere editoriali 3.2.4 Gli autori italiani

3.3.1 Le traduzioni di opere di saggistica3.3.2 Le traduzioni di opere letterarie

5.1.1 Le opere psicologiche e psicanalitiche presso Boringhieri5.1.2 Il contributo alla «collana viola» 5.1.3 La ripresa dei progetti di collane

5.2.1 La nascita di Adelphi e i rapporti con Einaudi 5.2.2 Il lavoro di Bazlen presso Adelphi5.2.3 La Biblioteca Adelphi e l’“eredità” delle precedenti collaborazioni

4.1.1 Il fallimento dei rapporti con la Fratelli Bocca Editori

Le traduzioni per Einaudi

Le proposte di collane per Einaudi e Bocca

I «I libri piccoli» da Einaudi a Bocca

Dalle collezioni «grande» e «piccola» alla «Collezione dell’io»

La «Collezione dell’io»

La collaborazione con Boringhieri e la nascita di Adelphi

La casa editrice Boringhieri

Adelphi

Conclusioni

Bibliografia

Indice dei Nomi

Indice degli Editori, delle Collane e delle Riviste

Premessa

L’idea di una tesi su Roberto Bazlen è nata, nella primavera del 2010,dal desiderio di analizzare un frammento della storia culturaledell’Italia novecentesca attraverso lo spaccato del mondo editoriale: aricerca conclusa, penso che lo studio di questa figura offra in effetti inmodo unico l’opportunità di indagare trasversalmente le vicende di piùeditori nel corso di più decenni. Tramite le sue consulenze, mai sconta-te e spesso problematiche, egli sfiorò la storia, fra gli anni Venti e iSessanta, di editori e personalità di spicco quali, tra gli altri, AdrianoOlivetti e le sue Nuove Edizioni Ivrea, Luciano Foà e la casa editriceEinaudi, l’Adelphi, Eugenio Montale, Erich Linder; e lo fece, refratta-rio ad attirare l’attenzione su di sé, in modo volutamente nascosto. Isegni lasciati da questo enigmatico personaggio si sono dunque dovuticercare nella sua biografia, nelle sue relazioni, e soprattutto nella gran-de quantità di carteggi editoriali che egli intrattenne, dei quali restaancora considerevole traccia negli archivi: da qui ho iniziato la mia ricer-ca, cercando poi di far dialogare i dati che sono riuscita a raccogliere,apparentemente slegati fra loro, con le idee letterarie di Bazlen, sem-pre espresse in maniera frammentaria, quasi criptica. Nondimeno ciòche infine è emerso, o almeno così mi auguro, è un percorso culturalecoerente, un’idea di letteratura, e ancor più di editoria, portata avanticon caparbietà nella collaborazione con i più diversi interlocutori.

XI

Desidero ringraziare con particolare calore il Professor AlbertoCadioli, che ha seguito la mia tesi con cura e presenza sorprendenti.Ascolto, lucidi consigli e la rinfrancante fiducia nel mio lavoro non misono mai venuti a mancare. La mia gratitudine, inoltre, va alle personee agli enti che hanno supportato la mia ricerca con materiali e infor-mazioni preziose: Roberto Calasso, che generosamente mi ha offertoattenzione e disponibilità; Roberto Cerati, che con la sua esperienza miha guidata nella ricerca presso gli archivi Einaudi; Gianni Antonini, chemi ha fornito la sua testimonianza; il centro Apice; la FondazioneArnoldo e Alberto Mondadori; la casa editrice Bollati Boringhieri; lacasa editrice Astrolabio; non ultimi, Francesca Limana e la FondazioneAdriano Olivetti, grazie al cui lavoro la mia tesi giunge infine alla pub-blicazione. Un ultimo ringraziamento va ai miei familiari, sempre pre-senti, e a Guglielmo. A lui questo libro è dedicato.

Valeria Riboli

XII

Nella foto, da sinistra, BobiBazlen, Angela Zucconi eAdriano Olivetti nel 1950circa. (Archivio FondazioneAdriano Olivetti).

XIII

1 A. Pittoni, La città di Bobi (1965), ora in: Id., L’anima di Trieste. Lettere al Professore, Firenze,Vallecchi, 1968, pp. 89-94.2 Roberto Bazlen, Scritti, Milano, Adelphi, 1984, p. 187.3 Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Roma-Napoli, Edizioni Theoria, 1991, p. 10.

XV

Prefazione

«La città di Bobi c’è, esiste, concreta, reale, purnon essendo segnata sulle carte geografiche. Abitatada creature che vivono qua e là, in Italia e nelmondo»1 .

Ho sempre pensato che le ‹creature› cui Anita Pittoni alludeva fosseroesseri umani, ma anche libri. I libri di cui Bobi Bazlen nutrì la propriaesistenza, i libri che consigliò agli amici, i libri che propose alle caseeditrici per cui operò, i libri che ancora oggi troviamo nei cataloghi dieditori come Adelphi, frutti a volte tardivi di un’attività svolta per unavita intera. E ho sempre pensato che si trattasse - e si tratti tuttora - di«creature che vivono» perché, secondo Bazlen, così come la letteratu-ra “vera” e valida può sbocciare solo dalla vita («Un tizio vive e fa beiversi. Ma se un tizio non vive per fare bei versi, come sono brutti i beiversi del tizio che non vive per fare bei versi.»2), allo stesso modo l’edi-toria vive di idee ‘pulsanti’ e di progetti in continua evoluzione. Unaconcezione molto vicina a quella che Giulio Einaudi definiva “edito-ria sì”, cioè quella «che invece di “andare incontro al gusto del pubbli-co”, [...] introduce nella cultura le nuove tendenze della ricerca in ognicampo, letterario artistico scientifico storico sociale, e lavora per faremergere gli interessi profondi, anche se va contro corrente.»3 E che

richiede non solo creatività ma anche coraggio e perseveranza, in unmondo in cui l’aspetto finanziario è sempre più determinante, ma cheriesce tuttavia a dare ancora ottimi risultati: pensiamo a iniziative comela Fiera dell'Editoria Bobi Bazlen, tenutasi a Trieste dal 2008 al 2011con il proposito di promuovere l’editoria di progetto, «ovvero quel-l’editoria che, a prescindere dal proprio volume di affari, lavora sulleidee e con le idee, costruendosi i mercati a partire dalla cultura e attra-verso la cultura.»4 O all’operato quotidiano di piccole agenzie come la“Bobi Bazlen servizi editoriali”5 di Roma e di istituti come laFondazione Adriano Olivetti, per i cui tipi - non a caso - esce ora ilpresente volume di Valeria Riboli. A ben vedere, la città di Bobi è costituita da una fitta rete di sinergieche configura una metodologia di lavoro estremamente moderna, nellacui filigrana si può tuttavia ancora riconoscere il 'marchio' di Trieste,con quella molteplicità di saperi così radicata nel tessuto cittadino dasopravvivere agli sconquassi del XX secolo, pur in un panorama moltomutato rispetto all'epoca in cui Bazlen si formò. La modernità di BobiBazlen editore e la sua collaborazione con personaggi poliedrici qualiAdriano Olivetti, in una lungimirante intesa fra economia e cultura,risulta tanto più rilevante in una fase storica come quella che stiamoattraversando, cruciale per il destino del libro, cui spetta l’arduo com-pito di ‘conquistare’ lettori sempre più pigri attirati da sempre nuovemodalità di lettura o, più in generale, di intrattenimento. Che la batta-glia non sia ancora perduta si deduce dal successo di pubblico ottenu-to da iniziative come il Festival della letteratura di Mantova o la Fieradel libro di Torino nonché dalla percentuale di librerie che riescono asopravvivere almeno in alcune città di medie e piccole dimensioni. Nelle vicende del libro quale ‘veicolo’ culturale e prodotto commercia-le si rispecchia, almeno in parte, l’evoluzione della società, motivo percui l'operato di personaggi come Bobi Bazlen può fornire chiavi di let-tura illuminanti. Bazlen svolse infatti il ruolo di suggeritore e mediato-re sin dagli anni Venti, ad esempio promuovendo nel suo ambiente ladiffusione degli Ossi di seppia montaliani, fungendo successivamente da‘sponda critica’ per Eusebius nella redazione delle Occasioni, nonché

4 http://fierabazlen.wordpress.com/. L'iniziativa ha dovuto chiudere i battenti nel 2012 perché siè ritirato lo sponsor principale, la Regione Friuli Venezia Giulia.5 Vedi: http://www.bobibazlenservice.com/

XVI

prodigandosi con inventiva e tenacia affinché le opere di Svevo trovas-sero finalmente quella considerazione di critica e di pubblico che a suogiudizio meritavano. Fu poi, circa dalla metà degli anni Trenta sino allamorte, consulente di numerose case editrici. Egli svolse quest'attività,dunque, in un periodo in cui l'editoria si giovava della collaborazionedi un nutrito gruppo di intellettuali - Calvino, Vittorini, Pavese,Bobbio, Fortini, Natalia Ginzburg, solo per citarne alcuni - ma conuno stile completamente diverso da quello dei ‘colleghi’. Infatti, men-tre molti di questi - soprattutto in seno a Casa Einaudi - interpretava-no la progettazione editoriale come una sorta di ‘azione collettiva’ dasvilupparsi tramite incontri (e scontri), Bazlen preferiva intessere lapropria rete, per così dire, ai margini, contando su precisi punti di rife-rimento come Luciano Foà. La differenza di concezione si riconoscenon soltanto nel modus operandi di cui diversi ‘compagni di viaggio’danno testimonianza, ma anche nello spirito e nello stile di scritturache caratterizza le rispettive lettere editoriali6. Dalle stesse lettere, tut-tavia, si evince che Bazlen - pur non incarnando la figura dell’editor cosìcome essa si andava delineando - operava comunque tenendo presen-ti non soltanto i propri gusti e principi letterari, ma anche la logicaaziendale e di mercato. Fu, pertanto, editore a tutto tondo e in quantotale rappresentativo di una stagione culturale che incise profondamen-te sul Novecento italiano. Da questa considerazione muove la ricerca di Valeria Riboli, che rico-struisce l'attività di questo «editore nascosto» portandone alla luce lelinee guida e inserendola adeguatamente nel suo contesto storico-cul-turale. Dopo aver brevemente tratteggiato la formazione di Bazlen e lesue prime iniziative di mediatore (inter)culturale ed averne delineato ilpensiero attraverso un'analisi che collega Il capitano di lungo corso allasuccessiva attività editoriale, Valeria Riboli ricompone il ‘mosaico’bazleniano illustrandone dettagliatamente tutte le tessere, costituite inparte da collaborazioni occasionali e in parte da cooperazioni conti-nuative. Sulla scorta di numerosi documenti inediti - tratti soprattuttodagli archivi della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori diMilano - viene così alla luce lo specifico carattere di progetto a lungo

6 Si confrontino, ad esempio, le lettere di Bazlen pubblicate negli Scritti (Milano, Adelphi, 1984)con quelle di Calvino (p. es. in I libri degli altri. Lettere 1947-1981, Torino, Einaudi, 1991) o diVittorini (p. es. in G. Ferretti, L'editore Vittorini, Torino, Einaudi, 1992).

XVII

termine che l’attività di Bazlen possedeva: se infatti è vero che moltesue scelte e proposte vennero spesso rifiutate in quanto inconsuete oazzardate, è anche vero che Bazlen non abdicò alle sue convinzioni, maal contrario cercò costantemente di raggiungere l'obiettivo ripropo-nendo le stesse opere a più case editrici. Egli gettava le sue sementi indiversi orti letterari7, nella speranza di trovare prima o poi un terrenofertile. Valeria Riboli dedica, nella sua ampia e stimolante analisi, spe-ciale attenzione ai frutti di quegli orti che si rivelarono particolarmen-te fertili, cioè quello coltivato da Adriano Olivetti con le NuoveEdizioni Ivrea prima e le Edizioni di Comunità poi, quello di GiulioEinaudi a Torino e l’orto Adelphi, curato con le proprie mani dallostesso Bazlen insieme all'amico Luciano Foà. Emergono così non sol-tanto una precisa metodologia di lavoro, ma anche autori e temi legatida un filo rosso che si dipana lungo decenni di attività e che in questasede, consapevolmente, non intendo anticipare. Mi piace pensare che la pubblicazione di questa ricerca proprio daparte della Fondazione Adriano Olivetti inauguri ora un nuovo ‘quar-tiere’ nella «città di Bobi».

Regensburg, giugno 2013

Giulia de Savorgnani

7 Con quest’immagine lo rievoca Giani Stuparich in Trieste nei mei ricordi (1948), ora in Cuore ado-lescente. Trieste nei miei ricordi, Roma, Editori Riuniti, 1984, p. 80.

XVIII

Roberto Bazlen editore nascosto.

Trieste crocevia di culture.

1

Introduzione

Il presente lavoro si propone di fornire una ricostruzione quanto piùpossibile completa dell’attività editoriale e culturale di Roberto Bazlen(Trieste 1902 – Milano 1965), personaggio nascosto e per molti versienigmatico, la cui collaborazione con alcune case editrici italiane meritatuttavia di essere riscoperta e, soprattutto, pienamente valorizzata. Perquanto molte delle proposte da lui avanzate negli anni, riguardanti i piùdiversi ambiti disciplinari, abbiano trovato una realizzazione solo parzia-le, risulta comunque interessante illustrare il suo metodo di lavoro, deci-samente peculiare in quanto alcuni degli elementi che lo compongonotornano e si trovano riformulati lungo un arco temporale di considere-vole lunghezza. È infatti possibile rintracciare lo sviluppo e la confermadi un personale modo di operare e concepire l’attività editoriale e cultu-rale lungo un arco temporale che corre dal carteggio intrattenuto conl’amico Eugenio Montale nella seconda metà degli anni Venti fino allastrettissima collaborazione con la casa editrice Adelphi, al principio deglianni Sessanta.La prospettiva dalla quale si è deciso di prendere le mosse ha portato aconsiderare anche alcuni aspetti della sua vicenda e biografica e perso-nale, che si sono ritenuti rilevanti: una scelta di questo genere si giustifi-ca con lo stretto legame che, a parere di chi scrive, sussiste fra il metododi lavoro di Bazlen e il contesto culturale nel quale esso inevitabilmente

si è costituito, vale a dire la Trieste dei primi vent’anni del Novecento. Inconseguenza di questa consapevolezza, nel primo capitolo si è cercato ditracciare un quadro della vivace realtà culturale della città, sottoposta allefertili influenze della cultura dell’Impero Asburgico di cui faceva parte.Molte suggestioni, ad esempio le teorie di Freud e Jung, sono state infat-ti percepite da Bazlen, il quale le ha assimilate e, anni dopo, diffuse inItalia attraverso il proprio lavoro di consulente editoriale e traduttore. Lostesso discorso vale per le idee maturate all’interno della comunità lette-raria triestina, con la quale egli sin dagli anni della propria formazionevenne a contatto, subendone l’influenza: da qui, infatti, nasce la formu-lazione di una personale concezione della scrittura letteraria, alla qualeviene richiesto di privilegiare l’esperienza e il dato autobiografico, fatto-ri fondanti di quelle qualità che Bazlen condensa nella formula della «pri-mavoltità»1. È in questa semplice idea che si è rintracciata l’origine e lacausa della scelta di abbandonare una possibile carriera di scrittore, rite-nuta futile in quanto l’attività letteraria non è giudicata del tutto capacedi rispecchiare il reale. Ad essere privilegiata, dunque, è un’attività che siain grado di intervenire attivamente sulla realtà stessa, supplendo allamancanza di vitalità che secondo Bazlen invalida la scrittura letteraria: sitratta dell’attività editoriale, per la quale egli opta sin da giovane, come sipuò vedere nella rappresentazione che di questa scelta si trova nelromanzo incompiuto Il capitano di lungo corso. La trattazione metaforicadella scelta di non scrivere, paradossalmente collocata all’interno di unoscritto letterario, costituisce un elemento di grande interesse, che si è cer-cato di approfondire e valorizzare quanto più possibile, dal momentoche risulta in parte trascurato dalla critica. Una volta individuate le ragio-ni teoriche del metodo di lavoro di Bazlen, si è scelto di fornirne unaprima esemplificazione, resa possibile dalla ricchezza di iniziative e rela-zioni intellettuali intrattenute sin da molto giovane: ci si riferisce al car-teggio intrattenuto con l’amico Eugenio Montale, al ruolo rilevante rive-stito nel «caso Svevo», infine alla collaborazione con «Solaria», a cavallofra gli anni Venti e Trenta.

Le influenze dell’ImperoAsburgico.

Il carteggio con EugenioMontale.

2

1 Roberto Bazlen, Scritti, Milano, Adelphi, 1984, p. 230. L’edizione appena citata è quella a cui sifarà riferimento in questa sede: si segnala tuttavia che le opere di Roberto Bazlen ivi contenuteerano state precedentemente pubblicate in volumi separati, componenti la collana adelphiana«Quaderni di Roberto Bazlen». Cfr. Roberto Bazlen, Lettere editoriali, a cura di Roberto Calasso eLuciano Foà, Milano, Adelphi, 1968; Roberto Bazlen, Note senza testo, a cura di Roberto Calasso,Milano, Adelphi, 1970; Roberto Bazlen, Il capitano di lungo corso, a cura di Roberto Calasso, Milano,Adelphi, 1973.

L’indagine svolta, dunque, si basa sulla consapevolezza del fatto che «pertratteggiare [...] il ritratto di un uomo che credeva nella letteratura sboc-ciata dalla vita è [...] necessario intrecciare strettamente ricostruzionebiografica e indagine culturale»2.Questa consapevolezza, peraltro, ha contribuito fortemente a delinearela struttura anche dei capitoli successivi al primo. Nel secondo capitolo,dedicato all’attività degli anni Trenta e Quaranta, si sono infatti appro-fonditi i primi passi del rapporto con l’amico più stretto, Luciano Foà:una personalità di spicco nel panorama editoriale italiano, tramite laquale Bazlen intraprende ed approfondisce il proprio rapporto conl’Agenzia Letteraria Internazionale. Esso infatti è testimoniato dal lungocarteggio, che ha come interlocutori rispettivamente Foà e l’altro grandeamico Erich Linder, conservato presso l’Archivio della FondazioneArnoldo e Alberto Mondadori di Milano. È questo stesso archivio,peraltro, che ha permesso di approfondire la collaborazione con leNuove Edizioni Ivrea fondate da Adriano Olivetti: nel fondo archivisti-co della casa editrice Rosa e Ballo, infatti, si sono trovati una serie didocumenti di grande interesse circa il progetto elaborato da Olivetti allafine degli anni Trenta, all’interno del quale il ruolo di Bazlen si configu-ra come di grande rilievo, e coerentemente improntato alle posizioniteoriche appunto descritte nel primo capitolo. Sempre al contesto deglianni di formazione vissuti a Trieste si può in qualche modo ricondurrela collaborazione con la casa editrice romana Astrolabio, a partire dallafondazione nel 1947 della collana «Psiche e Coscienza», diretta da ErnstBernhard, allievo di Jung: una collaborazione che, significativamente, simuove nella direzione della proposta delle opere fondamentali della psi-coanalisi freudiana e della psicologia analitica junghiana, già in parte pre-sentate alle Nuove Edizioni Ivrea, e soprattutto della traduzione di alcu-ne opere degli stessi Freud e Jung. La mancanza di materiale archivisti-co direttamente riferito alla collaborazione con Astrolabio, tuttavia, hapurtroppo impedito di approfondirne i caratteri: un limite che segnaanche quanto si è potuto quindi solo velocemente accennare circa le col-laborazioni con Frassinelli, negli anni Trenta, e Bompiani, nei Quaranta.L’esiguità di documenti archivistici a proposito di alcuni aspetti dell’atti-vità degli anni Trenta e Quaranta si trova, per così dire, controbilanciata

Il rapporto con LucianoFoà e con l’AgenziaLetteraria Internazionale.

Erich Linder e le NuoveEdizioni di Ivrea.

La collaborazione conAstrolabio.

3

2 Giulia De Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio, Trieste, Lint, 1998, p.11.

dalla ricchezza dei materiali conservati a Torino circa la decennale colla-borazione con Einaudi, sviluppatasi prevalentemente nel corso deglianni Cinquanta: la possibilità di leggere la quasi totalità delle lettere indi-rizzate all’editore torinese, delle quali principale interlocutore è LucianoFoà, in quanto segretario generale della casa editrice, ha permesso diapprofondire molteplici aspetti di questa collaborazione, che ha infattirichiesto una trattazione suddivisa in due capitoli, il terzo ed il quarto. Siè cercato, in prima istanza, di illustrare la natura delle proposte avanza-te, riguardanti prevalentemente la letteratura straniera (soprattutto, nona caso, quella mitteleuropea): accanto ad essa, hanno richiesto un discor-so specifico le proposte relative a opere, di varia provenienza geografi-ca, collocate a cavallo fra Ottocento e Novecento, nonché singoli casi diautori italiani rispetto ai quali Bazlen ebbe un qualche tipo di ruolo, qualiStelio Mattioni e l’Anonimo Triestino autore del romanzo Il segreto. Èstato inoltre molto interessante rilevare, al di là dei nuclei tematici checompongono la significativa mole di proposte all’editore, la presenza diuno stile di scrittura fortemente caratterizzante le lettere editoriali diBazlen. Esse infatti sono attraversate da stimoli narrativi e creativi chespesso valicano la formalità e le regole del rapporto fra editore e consu-lente: in questo aspetto si trova, a parere di chi scrive, un’ulteriore provadi un rapporto problematico e mai del tutto risolto con la scrittura nar-rativa, la quale appunto, per quanto abbandonata, riemerge occasional-mente all’interno delle lettere editoriali. In chiusura del terzo capitolo,infine, si sono considerate le vicende delle varie traduzioni per Einaudi,intraprese ma spesso poi non pubblicate: a renderle meritevoli di atten-zione è da un lato la varietà delle opere tradotte (rappresentata sia datesti di saggistica, sia da opere narrative), dall’altro l’esemplificazione cheesse forniscono di alcuni dati caratterizzanti l’attività e soprattutto la per-sonalità di Bazlen. Nelle lettere riferite alle traduzioni per Einaudi, infat-ti, evidente è la paradossale oscillazione fra la cura e l’attenzione per iltesto, che egli vuole offrire in maniera ottimale al pubblico, e l’ostinatatendenza a rinnegare la qualità del proprio lavoro, giungendo non dirado a rifiutarlo in toto: lo testimonia lo pseudonimo, Lorenzo Bassi,con il quale si trovano firmate tutte le traduzioni da lui pubblicate. La riluttanza a un completo coinvolgimento nella propria stessa attività

Le traduzioni per Einaudi.

4

è d’altronde confermata da quanto si è osservato nel corso del quartocapitolo, nel quale si è cercato di delineare la complessa vicenda dellevarie proposte di collane avanzate fra il 1953 e il 1959 presso diversi edi-tori. Esse infatti non hanno mai trovato realizzazione anche in conse-guenza della palese difficoltà di Bazlen a portare avanti metodicamenteil proprio progetto, senza riformularlo di volta in volta e “disperderlo”fra diverse case editrici: per esempio, considerando solo il carteggio conEinaudi, si trova la proposta relativa a una collezione di «testi mitologi-ci, religiosi, iniziatici, folkloristici ecc.»3, seguita nel 1959 dalla presenta-zione del progetto relativo a una «Collezione grande» ed una «piccola»,alcuni aspetti delle quali confluiscono infine nel progetto relativo alla«Collezione dell’io»: rispetto a quest’ultimo, peraltro, il parere di ItaloCalvino ha permesso di riflettere circa la grande distanza anche ideolo-gica che separava Bazlen dalla casa editrice Einaudi. La descrizione del-l’importante e vasto aspetto dell’ideazione di collane da parte di Bazlensi è dunque svolta, proprio per le ragioni appena accennate, consideran-do diversi editori contemporaneamente: le proposte avanzate ad Einaudisi intrecciano infatti strettamente con quanto Bazlen nello stesso temposvolge presso un altro editore torinese, vale a dire Bocca. A quest’ultimoproposito, le testimonianze che si sono potute raccogliere sono indiret-te, in quanto costituite dal carteggio con Erich Linder, ma riesconocomunque a mostrare esaurientemente un metodo spesso caratterizzatodalla proposta di un testo o di un progetto a diversi editori. La ricercanel catalogo di Adelphi dei titoli proposti negli anni alle diverse case edi-trici è risultata quasi scontata, ed ha infatti portato ad osservare comeuna grande parte delle suggestioni fornite ai più diversi editori sia poiconfluita nell’offerta della casa editrice milanese. La necessità di considerare le diverse collaborazioni succedutesi neltempo in connessione con le altre, precedenti e successive, ha determi-nato anche la struttura e le considerazioni esposte nel quinto ed ultimocapitolo. In primo luogo, infatti, la collaborazione con Boringhieri sisvolge contemporaneamente a quella con Einaudi, condividendonealcune proposte; riferibile alla passata attività di Bazlen è anche l’acqui-sizione da parte del neonato editore delle traduzioni freudiane e junghia-ne svolte per Astrolabio, e le diverse proposte di opere di psicologia ed

La collaborazione di Bazlencon Einaudi, Bocca eBoringhieri.

3 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953.

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antropologia pensate specificatamente per il catalogo del nuovo editore.Accanto a questo, la collaborazione con Boringhieri è stata considerataanche come un preludio a quello che per molti aspetti è il risultato piùorganico e identificabile del lavoro editoriale e del pensiero di RobertoBazlen, vale a dire il catalogo di Adelphi: una casa editrice, fondata nel1962 dall’amico Luciano Foà, che anche a distanza di anni risente forte-mente del gusto, delle idee, del tipo di rapporto instaurato con i lettoriche si deve appunto ricondurre alla figura di Bazlen. La documentazio-ne a proposito del suo operato presso la casa editrice milanese è scarsa,essendo costituita da alcune lettere editoriali riportate nel volume degliScritti e, ancora una volta, da quanto si può leggere nel carteggio intrat-tenuto con Erich Linder: essa tuttavia permette di vedere come l’attivi-tà della casa editrice in teoria più aperta alle sue proposte si sviluppi pre-valentemente dopo la morte di Bazlen, avvenuta nel 1965, e nondimenosia segnata dalle critiche, considerate in chiusura dell’ultimo capitolo, cheegli non risparmiò a un progetto editoriale nato, dal suo punto di vista,irrimediabilmente in ritardo. Sono, queste, critiche non arbitrarie, se èstato possibile strutturare il presente lavoro anche a partire dall’osserva-zione di come, ad esempio, testi pensati per le Nuove Edizioni Ivrea, allafine degli anni Trenta, siano stati infine pubblicati da una casa editricefondata nei primi anni Sessanta: a parere di chi scrive, tuttavia, questostesso aspetto deve essere considerato accanto alla valutazione della por-tata e della profondità dell’influenza di un intellettuale che prese parte ainnumerevoli iniziative editoriali succedutesi nell’arco di quasi tre decen-ni e rispetto alle quali senza dubbio egli esercitò un’influenza anche solominima, ma pur sempre costantemente presente.

La nascita della casa editrice Adelphi.

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1. La formazione e il pensiero di Bazlen

1.1 Gli anni della formazione.

1.1.1 Trieste

La vita lungo i confini ha [...] una complessi-ta e una ricchezza derivanti dal fatto che essasi sviluppa al crocevia tra diverse tradizioniculturali, che avverte la presenza di uno sti-molante pluralismo linguistico. Alla frontierasi assiste forse a un processo di scomposizio-ne delle grandi culture nazionali, ma insiemea una loro composizione in una culturadiversa e piu ricca, che deriva dall’incrocio edalla sintesi di esperienze diverse4.

In tale caratteristica di pluralismo e di fusione di identità può essereindividuata una delle peculiarità della Trieste asburgica. Qui nacque nel1902 e visse gli anni della propria formazione culturale ed umanaRoberto Bazlen, personaggio tanto importante quanto nascosto del-l’editoria italiana del Novecento. Considerare un semplice dato biogra-fico quale il luogo d’origine può essere utile per descrivere la figura el’opera di Bazlen, il quale non intrattenne mai un rapporto pacifico conla propria città, tanto da non riuscire a tornarvi che poche volte nel

Roberto Bazlen nasce aTrieste nel 1902

4 Angelo Ara, Claudio Magris, Fra nazione e impero: Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa, Milano,Garzanti, 2009, pp. 667-668.

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corso della vita, dopo l’abbandono del 1934. Rimane il fatto, però, cheegli contribuì in grande misura alla ricchezza culturale di Trieste,venendone anche, viceversa, influenzato. Per delineare il contributo eil ruolo di Bazlen nella cultura italiana può essere perciò utile partiredalla descrizione del contesto che forse più gli diede stimoli di rifles-sione ed occasioni di conoscenza.La Trieste degli anni precedenti al 1918, data dell’annessione all’Italia,fu un centro rilevante per la cultura e il commercio dell’Impero asbur-gico, costituendone il principale porto marittimo. Inoltre, la posizionedi confine fra diverse aree geografiche determinò la compresenza nellacittà, anche dopo il crollo dell’Impero, di molteplici identità culturali,quali furono quella italiana, austriaco-tedesca, slovena e in grande parteebraica. Tutta la popolazione triestina partecipò di questa «identità difrontiera», e la comunità intellettuale, che potè avvalersi della presenzadi personaggi quali Saba, Svevo e Slataper, ne rielaborò consapevol-mente le conseguenze su un piano tanto esistenziale quanto culturale.La posizione di città di confine, collocata ai margini dell’Impero asbur-gico, non fu infatti solo un elemento di pacifico arricchimento e stimo-lo per la città, ma anche fonte di un’inquietudine derivante dal lentosgretolarsi, in atto in quegli anni, dell’Impero stesso, e dal disagio chei molteplici volti della città causavano in chi vi abitava. Ad esempio diciò si può citare l’affermazione di Angelo Ara e Claudio Magris, chenel loro saggio Trieste, un’identità di frontiera tracciano un esauriente qua-dro dei difficili anni di passaggio dall’Impero asburgico allo Stato ita-liano: «Trieste diviene un sensibilissimo avamposto di questa crisi dellacultura e di questa cultura della crisi, grazie alla sua posizione nell’im-pero asburgico»5. È infatti attraverso la «porta di Trieste»6 che vieneintrodotta in Italia la letteratura della crisi e dell’introspezione prodot-ta in quegli anni nel mondo mitteleuropeo ed ebraico (si pensi adesempio all’opera di Kafka): tutti fattori, questi, che condizionarono lacostituzione di una cultura e di una letteratura proprie della città, laquale assorbì stimoli di provenienza europea per ritradurli in una pro-posta di cultura alternativa rispetto a quella dell’Italia, nei cui confinigeografici Trieste si trovò ben presto a rientrare. Come si è anticipato,in autori quali Slataper, Svevo e Saba, per quanto in maniere anche

Trieste snodo portualedell’Impero Asburgico ecrocevia multiculturale.

5 Angelo Ara, Claudio Magris, Trieste, un’identità di frontiera, Torino, Einaudi, 1982, p. 14.6 Ivi, p. 44.

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molto diverse fra di loro, e cronologicamente non sempre corrispon-denti (se si considera ad esempio che Slataper perse la vita nellaGrande Guerra) si può leggere un sottofondo umano condiviso: èquello della crisi di identità, la quale se da un lato è la certa risultantedella condizione storica di una città, dall’altro si presta bene a rappre-sentare il senso di fragilità e disorientamento che alberga in tuttal’Europa di quegli anni.

Gli scrittori che hanno vissuto a fondo la sua eterogeneità, la suamolteplicità di elementi irriducibili a risolversi in un’unità, hannocapito che Trieste - come l’impero asburgico di cui faceva parte -era un modello dell’eterogeneità e della contraddittorietà di tuttala civiltà moderna, priva d’un fondamento centrale e di un’unità divalori7.

Risultato di questo clima è che la città, negli anni precedenti all’annes-sione all’Italia, ma anche e soprattutto in quelli successivi, fu in gradodi elaborare una proposta letteraria per molti aspetti alternativa edinnovativa rispetto a quanto si andava discutendo nell’Italia di queglianni: anche perché «non bisogna dimenticare che la letteratura italianadi quel tempo, pur ricca di scrittori anche nettamente superiori a quel-li triestini, era chiusa in un provincialismo oggi difficilmente immagi-nabile»8. Una proposta, infine, che aveva avuto i suoi prodromi nellacollaborazione di un intellettuale triestino come Slataper alla «Voce»della prima fase, negli anni dal 1908 al 1911.

Sembrerebbe quasi che la più autentica tradizione triestina abbiasempre rifiutato, magari inconsciamente, la formula adottataanche dal Croce che l’arte è sintesi di forma e contenuto: una for-mula che in pratica finisce col mettere l’accento proprio sullaforma9.

A primo e fondamentale esempio della novità letteraria portata daTrieste in Italia può essere citato il rifiuto e la messa in discussione delmagistero dell’estetica crociana. In quanto testimone diretto di questo

Trieste realtà letteraria propositiva per l’Italia deiprimi del Novecento.

7 Ivi, p. 4.8 Giorgio Voghera, Gli anni della psicoanalisi, Pordenone, Studio Tesi, 1985, p. 109.9 Ivi, p. 114.

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clima culturale, Giorgio Voghera (e con lui vari critici) ha infatti evi-denziato come nel loro insieme gli autori operanti a Trieste negli anniin questione abbiano proposto un’immagine della letteratura nellaquale sulla forma, intesa come stile e cura del testo, ha la precedenza ilcontenuto, l’esperienza di vita dalla quale il libro con urgenza scaturi-sce. Tale tipo di attitudine degli scrittori triestini nei confronti dell’ope-ra letteraria trova le sue ragioni, secondo Ara e Magris, in uno sforzodi autodefinizione il quale, non trovando una rispondenza sul pianodella realtà, deve necessariamente tradursi su quello dell’esperienzapersonale, così come essa si riproduce sulla pagina letteraria.

La letteratura acquista un valore esistenziale, una ragione di vitache non vuole essere confusa con l’esercizio letterario. L’«anti-let-terarietà» dei triestini, di cui si è tanto parlato, è l’atteggiamento diuomini che chiedono allo scrivere non bellezza ma verità, perchéper essi scrivere vuol dire acquistare un’identità, non solo comeindividui ma come gruppo10.

Per autori quali Saba, Svevo, Slataper, Stuparich, Quarantotti Gambini,la letteratura abdica al ruolo di mestiere, e dunque di «menzogna»11, peresprimersi all’insegna della verità, dell’onestà, della serietà dell’espe-rienza vissuta: l’antiletterarietà, insomma, «viene [...] per lo più intesa,non senza nebulose ambiguità, come rifiuto del dettato adorno, delle“false” convenzioni formali, dell’eleganza stilistica priva di ingegnoumano»12, in conseguenza di «un’esigenza di cose e sentimenti, di veri-tà, contrapposta all’esigenza di parole»13.Resta da sottolineare la presenza di una componente determinanteall’interno della Trieste dei primi anni del Novecento, ovvero quellaebraica. La comunità ebraica della citta era infatti molto numerosa e daessa provenivano alcuni tra i maggiori intellettuali triestini, basti pen-sare a Saba e Svevo. Questo particolare fattore culturale (per quanto adesso ogni autore si sia rapportato in maniera diversa) risulta nel com-plesso molto rilevante, se si considera che buona parte dei fermenti inatto nei primi tre decenni del Novecento possono essere considerati

... allo scrivere si chiede nonbellezza ma verità...

La comunità ebraica triestina.

10 Angelo Ara, Claudio Magris, Trieste, un’identità di frontiera cit., pp. 15-16.11 Umberto Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere, Milano, Mondadori, 1948, p. 24.12 Claudio Magris, Equivoci e compiacimenti sull’«antiletterarietà» triestina, in «Trieste», a. XVI, n. 87,ottobre 1969, p. 11.13 Ibidem.

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come derivanti anche, appunto, dal mondo ebraico. A questo proposi-to può essere interessante citare le considerazioni che Sergio Campaillafa nel suo saggio Ebraismo e letteratura, nel quale si trovano descritte lecaratteristiche della produzione letteraria ebraica a livello sovranazio-nale: esse sono identificate nei temi ritornanti del viaggio e del mare inautori come Kafka o Joseph Roth, ma soprattutto in un generale atteg-giamento antistoricistico. Tale atteggiamento sarebbe il risultato di unconflitto generazionale (espresso ad esempio in un’opera come Letteraal padre di Kafka), a sua volta determinato dall’assimilazione della“generazione dei padri” alla cultura e al costume dell’impero asburgi-co: quello che ne deriva non può che essere il «rifiuto morale di unarealtà dominata dall’etica mondana del denaro e del successo»14, ed unacrisi di valori che, rappresentata al massimo grado nelle opere degliautori ebrei, in un modo o nell’altro «ha investito tutta la cultura occi-dentale»15. Ed è proprio da questa crisi di valori che Campailla fa deri-vare, trattando della situazione italiana e di autori ebrei quali Svevo oSaba, «una fondamentale impronta antiaccademica»16, ovvero la ten-denza a «una letteratura di cose, non di parole, la quale reinterpreta ilvissuto, e tende a risarcirne le deficienze»17. Ma al di là di questa ulte-riore connotazione dell’antiletterarietà triestina, è importante porre inevidenza la posizione e il ruolo degli ebrei nel quadro della cultura diTrieste (e della Mitteleuropa) dei primi trent’anni del Novecento:

La cultura triestina veramente diversa è, in genere, non soltantoma soprattutto ebraica, perché l’ebreo riassume in sé sia la disper-sione della totalità sociale e la crisi dell’identità, sia la concentra-zione dell’individualità su se stessa, l’irriducibile resistenza deltransfuga e del naufrago18.

La componente forse più rilevante di questa originale «diversità» dellacultura ebraica triestina è costituita dalle teorie psicanalitiche, che pro-

La forte impronta antiaccademica di Svevo e di Saba.

14 Sergio Campailla, Ebraismo e letteratura, in Quirino Principe (a cura di), Ebrei e Mitteleuropa: cultu-ra, letteratura e società, Atti del XVI Convegno “Cultura ebraica e letteratura mitteleuropea”,Brescia, Ed. Shakespeare & Co., 1984, p. 30. 15 Ibidem.16 Ivi, p. 31.17 Ibidem.18 Angelo Ara, Claudio Magris, Trieste, un’identità di frontiera cit., p. 135.

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prio nel primo dopoguerra approdarono in Italia. Nel 1919 EdoardoWeiss, allievo di Freud ed egli stesso ebreo, si trasferì da Vienna aTrieste, dove iniziò ad esercitare la sua professione di psicanalista, tro-vando in particolare nella comunità ebraica della città un fertile terrenodi attecchimento: stando alla testimonianza di Giorgio Voghera, infatti,«quasi tutti i triestini che si appassionavano alla psicanalisi in quegli annierano ebrei o mezzi ebrei»19. Un tale «ciclone»20, come Voghera defini-sce la psicoanalisi in rapporto alla cultura ebraica - triestina, ebbe unarilevanza anche sul versante letterario, dal momento che favorì l’adesio-ne di molti autori al genere dell’autobiografia, e più in generale la ten-denza all’autoanalisi e all’approfondimento psicologico.

1.1.2 I rapporti di Bazlen con Trieste.

Delle realtà fino ad ora descritte Bazlen, che come si è detto nacque aTrieste nel 1902, partecipò variamente sin dall’infanzia. Come moltidegli intellettuali fino ad ora citati, infatti, egli proveniva da una coppiadi genitori di diversa provenienza, essendo la madre Clotilde Levi Minzidi famiglia ebraica di origini venete ed il padre Georg Eugen Bazlen(morto quando il figlio aveva poco più di un anno) di origini tedeschee di fede evangelica. Si può supporre, dunque, che il giovane Bazlenabbia percepito anche all’interno della sua famiglia l’incontro fra cultu-re e religioni diverse, nonché un clima di pluralismo linguistico che nefavorì il bilinguismo italo-tedesco. Oltre a questi primi dati biografici,vale la pena di soffermarsi anche su un altro aspetto che si può suppor-re abbia influenzato la mentalità di Bazlen e la sua sensibilità ai proble-mi culturali: si tratta dell’aspetto dell’educazione scolastica, che ebbe uncerto rilievo all’interno della piu ampia questione dell’annessione diTrieste all’Italia. Come tutti i suoi coetanei, infatti, Bazlen frequentòfino ai diciassette anni le scuole tedesche, dove gli fu impartita un’edu-cazione «basata essenzialmente sull’insegnamento diretto dei testi lette-rari, mediante dei libri senza note che predisponevano a una lettura nonaccademica del dato letterario, e quindi strettamente collegata alle radi-ci stesse della cultura mitteleuropea»21.

Le origini italo-tedesche.

La formazione in una scuola tedesca.

19 Giorgio Voghera, Gli anni della psicoanalisi cit., p. 4.20 Ivi, p. 3.21 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen, Palermo, Sellerio, 1994, p. 17.

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L’annessione di Trieste all’Italia, tuttavia, fece sì che i giovani italiani,trasferitisi nei licei nazionali che avevano sostituito quelli imperiali, vitrovassero un metodo di insegnamento ben diverso, e molto più arre-trato, rispetto a quello cui erano abituati: ed è forse da questo cambia-mento che Voghera trae le ragioni per parlare, a proposito di Bazlen, diuna «contrarietà invincibile verso tutto ciò che si apprende a scuola»22:in particolare, «la filosofia che si insegnava [...] (particolarmente la filo-sofia idealistica) gli incuteva un vero orrore»23.Sin da giovane dunque Bazlen si caratterizzò per una certa indipenden-za rispetto alla cultura allora dominante in Italia, e se tale libertà di pen-siero può e deve essere ricondotta alle peculiarità del suo carattere, èanche opportuno vedere in essa la suggestione del particolare panora-ma storico e dell’ambiente culturale nel quale egli si trovò a crescere ematurare. Testimonianze dirette ed indirette affermano infatti cheBazlen conobbe e trasse insegnamento da alcuni fra i maggiori intellet-tuali triestini del tempo. Ma ciò che più colpisce, e che fa presagire iltipo di attitudine che più tardi lo ispirò nel proprio lavoro editoriale, èil fatto che da queste testimonianze non emerga soltanto l’immagine diun giovane “in formazione”, ma anche quella di un intellettuale preco-ce che ripagava con suggestioni e consigli autori ed intellettuali anchemolto più anziani ed esperti di lui. La ricostruzione della biografia diSaba ad opera di Stelio Mattioni è a questo proposito eloquente: l’auto-re descrive la nascita di quello che fu un profondo rapporto di amiciziafra il poeta e un Bazlen addirittura diciassettenne, «intelligentissimo edisposto a stare con lui delle intere giornate per studiare uno sposta-mento di accento in un verso, o il cambio di un aggettivo»24. Se dunquenella libreria antiquaria, dove avvenivano i loro incontri, il giovane cer-tamente ebbe modo di apprendere molto, è però altrettanto vero che

l’amicizia fra Bazlen e Saba nasce dal fatto che Bazlen, benché ado-lescente, è imbottito di letture, aggiornatissimo rispetto alla Triestedi quegli anni, al punto di consigliare a chi studia il tedesco diimpratichirsi leggendo Kafka. Saba non perde certo l’occasione diportarselo a casa e di chiedergli qualche consiglio25.

Il cambiamento dopo l’an-nessione di Trieste all’Italia.

L’avversione verso la scuolaitaliana.

Bazlen un giovane in for-mazione ma anche un intel-lettuale precoce.

L’amicizia fra il giovanissi-mo Bazlen e Saba.

22 Giorgio Voghera, Gli anni della psicoanalisi cit., p. 177.23 Ivi, p. 178.24 Stelio Mattioni, Storia di Umberto Saba, Milano, Camunia, 1980, p. 81.25 Ivi, p. 82.

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Uno scambio affine emerge dalla testimonianza diretta di GianiStuparich, il quale nelle sue memorie afferma senza mezzi termini che«Bobi26 a diciott’anni ne sapeva più di tutti noi, maturi ed anziani»27.Anche Stuparich, dunque, mette in evidenza la precocità e la freschez-za delle conoscenze del giovane Bazlen, specificando come esse fosse-ro spese per stimolare gli interessi altrui, tramite la segnalazione, divolta in volta, di un libro che, secondo Stuparich, era sempre «anche sediscutibile, d’importanza e di vivo interesse»28. Sin dagli anni Venti, inol-tre, le letture di Bazlen appaiono caratterizzate da una peculiarità cherimarrà tale negli anni, ovvero una certa asistematicità degli interessi,che spaziavano in maniera apparentemente casuale fra gli autori e idiversi contesti letterari: Stuparich nota anche quest’ultimo aspetto, giu-dicandolo però essenzialmente positivo, in quanto a guidare le scelteletterarie di Bazlen vi era un’«attenzione sul vivo»29, un «profondoorientamento del gusto»30 e non “cultura disordinata”, “raffinato dilet-tantismo”»31. Ciò appare tanto più vero se si prende in considerazionel’elenco di autori che Stuparich presenta a testimonianza dei consigli edei contributi di Bazlen al rinnovamento delle letture degli intellettualitriestini. Gli autori citati sono di tutto rilievo: si tratta infatti diLawrence, Gide, Faulkner, Valéry, Cocteau, Bloch, Eliot, Joyce,Hemingway, Trackl, ed infine Kassner; ancora, «certamente Kafka fuuna scoperta di Bobi per l’Italia»32. Per quanto sia bene tenere a menteche tale elenco costituisce il frutto del ricordo personale di un amico(ed è dunque difficile determinare con precisione l’impatto e le even-tuali conseguenze dei suggerimenti di Bazlen), rimane interessanteosservare che alcuni degli autori succitati troveranno posto anche nellelettere editoriali che negli anni successivi Bazlen inviò in quanto consu-lente di diverse case editrici (aspetto, quest’ultimo, sul quale si avràmodo di tornare in seguito). La testimonianza di Stuparich e la ricostruzione di Mattioni restituisco-no dunque l’immagine di un rapporto sereno, di scambio e di arricchi-mento reciproco, fra Bazlen e l’ambiente intellettuale della propria città.

L’attenzione letteraria diBazlen era “sul vivo”, senzaun apparente criterio.

26 “Bobi” corrisponde al diminutivo col quale tutti gli amici chiamarono sempre Bazlen.27 Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi, Milano, Garzanti, 1948, p. 15.28 Ivi, p. 17.29 Ibidem.30 Ibidem.31 Ibidem.32 Ivi, p. 18.

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Tale quadro corrisponde certamente a realtà, ma non si deve dimenti-care che, giunto a poco più di trent’anni, Bazlen scelse di abbandonareTrieste. Inoltre, il riscontro del rapporto di affetto che traspare dai passiappena letti e quello, per quanto riguarda Stuparich, che si può leggerein una lettera del 1949 di Bazlen a Giorgio Voghera: «ho capito unavolta di più perché non voglio rivedere Trieste33 (anche il libro di stupa-rich che ho sfogliato rapidamente, me lo fa comprendere, gründlich [“afondo])»34. Allo stesso modo, dalle pagine di Mattioni emerge, accantoal reciproco scambio e ai dialoghi fra Saba e Bazlen, il parere di que-st’ultimo sulla poesia di uno dei propri maestri. Parere che, peraltro,anticipa in modo degno di nota i criteri sottostanti ai giudizi di moltedelle successive lettere editoriali:

Bazlen ci disse: come poeta, [Saba] era un lavoratore eccezionale,instancabile. E della sua poesia: una bella affermazione d’arte, mainutile in quanto attestata su posizioni ormai arretrate rispetto alresto del mondo, andato oltre, molto oltre; tutto ciò che non dicequalcosa in più, anche se si può accettare come espressione di bel-lezza, è inutile all’uomo; la vita è divenire, l’opera che resta indietronon serve alla storia della civiltà35.

Sembra di vedere, in questo giudizio, un richiamo di Bazlen controquella che egli percepiva come un’eccessiva limatura delle poesie diSaba, se il «poeta» è sottilmente definito «lavoratore» e il valore al qualeBazlen si richiama per motivare il proprio giudizio è «la vita», la quale,in quanto “divenire”, non si presta ad essere l’oggetto dello sforzo diun “poeta-lavoratore”. Si intravede, in questo parere del giovaneBazlen, un riferirsi alle istanze fondamentali dell’ambiente letterariodella Trieste del tempo, così come si è cercato di descriverle nel para-grafo precedente: «letteratura come “vita” e come severo impegnoumano ed etico; serietà e sincerità; problematismo e introspezione; anti-conformismo e antiaccademismo»36. Bazlen, dunque, traeva stimoli dal-

A poco più di trent’anniBazlen lascia Trieste.

Tutto ciò che non dicequalcosa di più, anche seespressione di bellezza, èinutile all’uomo.

33 Si fa presente, anche per citazioni successive, che le minuscole sono nel testo, secondo un usocaratteristico dello stile di scrittura di Bazlen.34 Lettera di Roberto Bazlen a Giorgio Voghera, Roma, 23 dicembre 1949, in Roberto Bazlen,Giorgio Voghera, Le tracce del sapiente. Lettere 1949-1965, a cura di Renzo Cigoi, Udine, CampanottoEditore, 1995, p. 29. Si specifica sin da ora che eventuali imprecisioni o grafie scorrette della linguatedesca sono presenti nell’originale da cui si è tratto.35 Stelio Mattioni, Storia di Umberto Saba cit., pp. 81-82.36 Bruno Maier, Saggi sulla letteratura triestina del Novecento, Milano, Mursia, 1972, p. 3.

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l’ambiente culturale triestino, ma al contempo contribuiva ad arricchir-li e, soprattutto, non esitava a metterli in discussione, usando in un mec-canismo quasi paradossale le medesime “parole d’ordine” che i suoistessi maestri utilizzavano nei loro scritti o nelle loro affermazioni pro-grammatiche.L’ambivalenza del rapporto che Bazlen intratteneva con la propria cittàemerge con una certa chiarezza dall’Intervista su Trieste, uno degli «scrittid’occasione»37 pubblicati in appendice al volume delle Note senza testo, orafacenti parte della raccolta generale degli Scritti. Per quanto di taleIntervista non si conosca nè la data di composizione, nè lo scopo, l’imma-gine della città che ne emerge rimane interessante e singolare. Essa,infatti, oscilla fra l’ironia pungente nei confronti della borghesia triesti-na, che «è […] costretta, in pieno ventesimo secolo, a ricorrere a un fra-sario rettorico ottocentesco da Risorgimento, che tiene alta la fiaccola,che crede che l’italiano sia l’idioma gentil sonante e puro»38, e considera-zioni di ordine storico-culturale acute e consapevoli. Ad esempio, sco-standosi dai pareri invalsi fra gli intellettuali della Trieste del tempo,Bazlen dà un’immagine riduttiva e relativizzante dell’irredentismo, allaquale fa seguire un quadro della cultura triestina complesso, ma di certonon entusiastico. Dopo aver chiarito in prima battuta che «a occhio ecroce, […] Trieste è stata tutto meno che un crogiolo»39 (come ad esem-pio Slataper affermava40), Bazlen continua con queste parole:

E come non esiste un unico tipo triestino, non esiste nemmeno unacultura creativa triestina; creare un’opera omogenea [...] sarebbestato impossibile. Trieste, per queste ragioni, è stata un’ottima cassadi risonanza (del resto non bisogna dimenticare che malgrado certecaratteristiche cosmopolite - […] – è una minima città di provincia[…]) e non ha dato proprio nulla che abbia in qualche modo porta-to un elemento nuovo nella cultura europea41.

Accanto all’immagine di Trieste come prezioso tramite per le idee pro-venienti dall’Europa, Bazlen evidenzia dunque l’aspetto, non seconda-

37 Giulia De Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 191.38 Roberto Bazlen, Scritti, a cura di Roberto Calasso, Milano, Adelphi, 1984, p. 247.39 Ivi, p. 251.40 Si veda ancora, a questo proposito: Angelo Ara, Claudio Magris, Trieste, un’identità di frontiera cit., p. 16.41 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 252.

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rio, del provincialismo della città, che dunque poteva porsi come ispi-ratrice di un clima di rinnovamento, ma non come guida di esso. Ed èin seguito a questa stessa ragione che Ara e Magris motivano il trasfe-rimento (pochi anni prima di quello di Bazlen a Milano) di EdoardoWeiss a Roma, di modo che, ad esempio, «Trieste diviene l’avampostodella psicoanalisi e, insieme, un avamposto destinato a venir superatoe abbandonato»42 ed al suo ruolo vengono associati «la vanità e il falli-mento»43. La città, così, si configura come «il luogo delle grandi e man-cate promesse di felicità e dei tramonti che avvengono al posto dellestesse aurore»44. È inoltre interessante notare che, come esempio diquella che si potrebbe definire la sterilità dell’ambiente culturale diTrieste, Ara e Magris portino proprio il caso di Roberto Bazlen: a pro-posito della cultura triestina, e di questo aspetto di improduttività inparticolare, i due autori affermano infatti che Bazlen «la incarna forsepiù d’ogni altro»45, nel suo essere «seminatore di labirinti e confusioni[...], un pensiero che vive intorno ad un vuoto, ad un’assenza»46. Lavalutazione conclusiva che viene data riguardo a Bazlen non è delle piùlusinghiere, ma comprende indubbiamente degli aspetti di verità: indi-cato come «fiore di questa cultura della nevrosi borghese»47, Bazlen,«nonostante il suo autentico genio, ne riassume anche i limiti: una lar-vata aridità»48. Il discorso di Ara e Magris nel passo appena citato siriferisce al contesto dell’ambiente antifascista triestino. Si può tuttaviafacilmente intendere che la patente di aridità attribuita all’identità poli-tica di Bazlen sia in realtà estendibile più in generale al suo operatointellettuale, dal momento che

le sue carte postume riveleranno, oltre alla fulminea intelligenza,pure la proterva ingenuità di questa intelligenza che, protesa allaricerca del ghigno beffardo, cadrà anche nella patetica smorfia,nella banalità dell’eccentrico che impone agli altri di scambiare l’in-consistenza per una misteriosa, allusiva pregnanza49.

Trieste provinciale.Ispiratrice di un clima dirinnovamento ma non unaguida.

42 Angelo Ara, Claudio Magris, Trieste, un’identità di frontiera cit., p. 136.43 Ibidem.44 Ibidem.45 Ibidem.46 Ibidem.47 Ibidem.48 Ivi, p. 137.49 Ibidem.

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La rilevazione di una certa riluttanza a concretizzare il proprio pensie-ro in una militanza culturale è certamente condivisibile, in quanto que-sto dato rimarrà una costante lungo tutto il percorso, intellettuale maanche umano, di Bazlen: forse, però, si può cercare di approfondire icaratteri di tale riluttanza, dal momento che se da un lato Bazlen amòsempre restare nell’ombra e non si espose mai, come invece fecero altriintellettuali del suo tempo, dall’altro lato con questi stessi intellettuali(e, raggiunta una certa età, ben oltre ai confini della terra d’origine)Bazlen intrattenne rapporti più che mai fertili e produttivi per l’interacultura italiana. Si sta qui facendo riferimento, per fare un solo, primoesempio, al sodalizio fra il giovane triestino ed Eugenio Montale, soda-lizio che, fra le altre cose, favorì la lettura e la diffusione dell’opera diSvevo in Italia.

1.1.3 Il sodalizio con Montale.

Prima dell’abbandono definitivo della propria città nel 1934, Bazlentrascorse un periodo (dall’inverno del 1923 al 1925) a Genova, dovelavorò prima per il commerciante Alessandro Maria Psyllas, poi per laditta d’importazione di caffè di Giulio Morpurgo. Di quest’ultimoBazlen conobbe anche la figlia, Lucia Morpurgo Rodocanachi, con laquale negli anni Trenta strinse una duratura amicizia che gli permise,fra l’altro, di partecipare al ricco e fecondo salotto letterario che siteneva in casa di lei e del marito, il pittore Paolo Stamaty Rodocanachi.Ma soprattutto, gli anni genovesi per Bazlen significarono l’incontro, ela nascita dell’amicizia, con Eugenio Montale. Nel suo ricordo dopo lamorte dell’amico, in origine pubblicato sul «Corriere della Sera», oggiraccolto nel volume che contiene il carteggio fra Svevo e Montale, ilpoeta così descrive l’incontro con l’amico triestino:

Quando venne a trovarmi, nell’inverno ’23-’24, mandatomi non soda chi, egli fu per me una finestra spalancata su un mondo nuovo.Ci vedevamo ogni giorno [...]. Mi parlò di Svevo, facendomi poipervenire i tre romanzi dell’autore stesso; mi fece conoscere moltepagine di Kafka, di Musil (il teatro) e di Altenberg. Conoscevo già

Tra il 1923 e il 1925 gli annigenovesi di Bazlen.

L’amicizia con LuciaMorpurgo Rodocanachi esuccessivamente conEugenio Montale.

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la poesia di Saba, ma Bobi mi rivelo anche Giotti, Bolaffio e, piùtardi, Carmelich. Di mio, aggiunsi alla lista Benco, Stuparich e, annidopo, Quarantotti Gambini50.

Secondo il curatore del carteggio, Giorgio Zampa, il primo a parlare aMontale di Bazlen sarebbe stato Sergio Solmi, in quanto amico dientrambi. Quello che più conta, però, è il fatto che al ritorno a Triestedi Bazlen iniziarono fra i due un’amicizia ed un carteggio durati anni(anche se le lettere di cui disponiamo, pubblicate sempre nel volumedegli Scritti, arrivano solo al 1930). I caratteri di questo sodalizio sonofacilmente deducibili anche solo dal ricordo di Montale citato appenasopra: Bazlen, cioè, favorì in Montale una prima conoscenza della lette-ratura in lingua tedesca che veniva prodotta in quegli anni ed introdusseil poeta alla consuetudine con gli autori triestini del tempo, tanto da faredi lui «quasi un triestino d’elezione»51. Infine, fatto che non emerge dallatestimonianza di Montale, ma chiaramente dal carteggio, Bazlen, perquanto più giovane e meno noto del suo amico, era solito dare giudizimolto liberi sulla sua poesia e contribuì a diffonderla nella propria città.A proposito dei rapporti fra Bazlen e la poesia di Montale possonoessere citate le prime lettere del carteggio fra i due (che, per la verità,raccoglie unicamente le lettere da Trieste a Genova, e non viceversa).Il 5 maggio 1925, infatti, Bazlen, scrivendo all’amico ligure «ti mandole pochissime prenotazioni che ho potuto raccogliere»52 (prenotazioniche significativamente annoverano anche il nome di Umberto Saba),allude alla pubblicazione degli Ossi di seppia presso l’editore Gobetti, laquale sarebbe avvenuta solo al raggiungimento di un determinatonumero di copie ordinate. A quanto si legge nel carteggio, dunque,Bazlen si spese affinché gli intellettuali triestini fossero a conoscenzadell’uscita della prima raccolta di Montale ed ordinassero il libro.Ancora più interessante, tuttavia, è il parere che egli dà circa la primaraccolta montaliana, poco dopo la sua pubblicazione:

Ho riletto il tuo libro: m’è piaciuto molto di più, ancora, e partico-

Bazlen favorì in Montaleuna prima conoscenza dellaletteratura in lingua tedesca.

50 Italo Svevo, Eugenio Montale, Lettere / con gli scritti di Montale su Svevo, a cura di Giorgio Zampa,Bari, De Donato, 1966, p. 146.51 Ibidem.52 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 5 maggio 1925, in Roberto Bazlen,Scritti cit., p. 357.

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larmente le cose lunghe. Le brevi (Ossi di s.) non mi dicono granche, e mi sembrano, spesso, formalmente ingenue. Ma tra le lun-ghe alcune (salvo l’intollerabile ultima strofa del Mediterraneo) misembrano assolutamente perfette e definitive53.

Il giudizio sulla sezione “Mediterraneo”, duro e non argomentato,appare tanto più significativo se si considera che nella prima edizionedegli Ossi di seppia, dunque quella di cui Bazlen sta parlando, proprio alui, all’amico «Bobi B.», tale sezione era dedicata. Rimane il fatto chepochi giorni dopo (il 6 settembre) Bazlen denuncerà all’amico il fattoche «i librai di Trieste, per lo meno quei due che frequento, hannopochissime copie del tuo libro»54, per di più nascoste «in qualcherecondito scaffale»55. Ragione per cui, Bazlen conclude, «li ho fattitogliere di lì, e mettere in vetrina»56. Di un anno successiva è l’opinio-ne che Bazlen dà, in data 26 dicembre 1926, a proposito di alcune liri-che che Montale doveva avergli sottoposto. Il giudizio è in questo casopiù morbido, e permette qualche osservazione sul pensiero di Bazlenal di là dell’opera poetica di Montale:

Le tue liriche. Mi sono piaciute moltissimo, e mi sembrano (restan-do pur sempre in quella linea) molto migliori degli “Ossi”. Il lorolimite: l’impossibilità di uno slatinizzamento della parola italiana.Hai fatto (con Campana e qua e là D’Annunzio) il massimo che sipossa fare à ce but; non mi basta57.

Anche in considerazione delle posizioni che Bazlen assunse negli annisuccessivi riguardo alla letteratura italiana (e al suo essere in grado direggere il confronto con quella europea), si può ipotizzare che con«slatinizzamento della parola italiana» egli qui intendesse quella cheprobabilmente sentiva come la necessità di un’apertura delle opereprodotte in Italia ad un aggiornamento ed un’attitudine più europea,dunque in sostanza più moderna. Che le istanze di rinnovamento chepresumibilmente Bazlen andava formulando in quegli anni risiedesse-ro in uno sguardo rivolto alla letteratura straniera è d’altronde deduci-

L’impossibilità di uno “slati-nizzamento” della parola italiana.

53 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 1 settembre 1925, in Ivi, p. 360.54 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 6 settembre 1925, in Ivi, p. 361.55 Ibidem.56 Ibidem.57 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 26 dicembre 1926, in Ivi, p. 379.

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bile anche da un passo della già citata Intervista su Trieste, nel qualeBazlen descrive «le biblioteche finite sulle bancarelle dei librai del ghet-to»58 al momento dell’abbandono da parte degli austriaci di Trieste. Suqueste bancarelle, il giovane Bazlen trovava «libri veramente importan-ti e sconosciutissimi»59, a proposito dei quali nell’Intervista osserva:

Parlo delle biblioteche dei tedeschi, degli ufficiali di marina austria-ci, ecc., se la situazione fosse stata l’inversa, e se ne fossero andatigli italiani, le bancarelle si sarebbero sfasciate sotto il peso diCarducci Pascoli D’Annunzio60.

Il giudizio dato sulla più istituzionale produzione letteraria italiana èimplicito è non di segno positivo, e trova un riscontro anche nei pare-ri circa poeti di notorietà inferiore rispetto a quelli appena citati. E ilcaso del poeta Pignato, il cui libro in una delle sue lettere Bazlen dicedi avere visto in libreria, aggiungendo: «non mi ha fatto certo l’impres-sione d’un’opera che farà abbassare, nemmeno di un millimetro, il piat-to latino (molto, ma molto alto) della Grande Bilancia CulturaleEuropea»61.Tornando ai rapporti fra Bazlen e Montale, si può allora comprendereche cosa spingesse Bazlen, con un atteggiamento fortemente proposi-tivo, a suggerire titoli ed autori all’amico poeta. Vari sono i nomi cheemergono dalla lettura del carteggio: per fare solo qualche esempio, aMontale negli anni vengono consigliati Antic Hay di Aldous Huxley,Portrait of a Lady di Henry James, Le Sopha di Crébillon le Fils («dopo“Les liaisons dangereuses”, il più bel libro narrativo francese»62),Impressions d’Afrique di Roussel («leggilo, è immenso»63). Da notare è ilfatto che alcuni di questi autori, per esempio James e Crébillon le Fils,si troveranno citati nelle lettere editoriali che Bazlen indirizzerà allacasa editrice Einaudi a partire dalla fine degli anni Quaranta. Inoltre, sesi considera il succitato ricordo di Montale, i consigli che Bazlen glidava dovettero certamente avere una qualche influenza su di lui. Peralcuni di essi, tale influenza è poi facilmente riscontrabile, se si consi-

La Grande Bilancia Culturale Europea.

58 Ivi, p. 254.59 Ibidem.60 Ibidem.61 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 10 settembre 1925, in Ivi, p. 362.62 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 29 settembre 1926, in Ivi, p. 369.63 Ivi, p. 370.

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dera, ad esempio, uno dei rari pareri su scrittori sloveni che Bazlen dànella prima lettera a Montale (risalente al 5 maggio 1925) che si puòleggere negli Scritti.

La casa editrice “Parnaso” di Trieste ha pubblicato la traduzione diuna novella di uno sloveno, Ivan Cankar: Il servo Bortolo ed il suo dirit-to. È, come purezza di linea epica, una delle cose più perfette checonosca. Vorrei leggere una tua critica in una rivista decente64.

La recensione positiva auspicata da Bazlen in effetti apparirà moltopresto, nel settembre del 1925, su «Il Baretti», con il titolo Un servopadrone.

1.1.4 Il “caso Svevo”.

Un meccanismo simile a quello appena descritto si può individuare aproposito del ben più noto e rilevante «caso Svevo», il quale «costitui-sce un capitolo della storia della nostra letteratura»65. La prima testimo-nianza di questo caso, almeno relativamente al ruolo che RobertoBazlen rivestì in esso, si legge in una lettera del 1 settembre 1925, nellaquale Bazlen scrive:

Mi ho fatto dare [sic], da Italo Svevo, i suoi due primi libri: dimmise devo mandarteli a Monterosso, o pure a Genova. Il secondo libro,“Senilità”, è un vero capolavoro, è l’unico romanzo moderno cheabbia l’Italia (pubblicato nel 1898!). Stile tremendo! Te ne scriveròpiù a lungo [...]. Ne manderò una copia anche a Solmi [...]. Hailetto “la coscienza di Zeno”? Devi superare le prime 200 pagine,che sono piùttosto noiose66.

È dunque certo che l’acquisizione materiale dei primi due libri di Svevoavvenne nel caso di Montale grazie alla mediazione di Bazlen, e lo stes-so si può dire riguardo a La coscienza di Zeno, che Bazlen, il 6 settembre1925, promette di spedire al poeta qualora egli non riesca a trovarlo. A

Il “caso Svevo”.

64 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 5 maggio 1925, in Ivi, p. 358.65 Italo Svevo, Eugenio Montale, Lettere / con gli scritti di Montale su Svevo cit., p. VII.66 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, 1 settembre 1925, in Roberto Bazlen, Scritti cit.,pp. 359-360.

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questo proposito è bene comunque accogliere le precisazioni cheGiorgio Zampa fa nella sua introduzione alle Lettere di Svevo e Montale:i passi appena citati, cioè, secondo il critico «non provano in modo asso-luto che la prima indicazione della sua [di Svevo] originalità di scrittorevenissero da Bobi stesso. L’ipotesi è probabile, ma ipotesi rimane»67.Poste queste premesse, il ruolo di Bazlen nel «caso Svevo» può esserepropriamente rintracciato nell’«avere innescato la miccia»68 dell’interes-se della critica italiana per l’opera dell’ormai maturo scrittore triestino:dopo le varie segnalazioni che si possono trovare nelle lettere di Bazlena Montale, infatti, il poeta leggerà i tre romanzi fra il settembre e l’ot-tobre del 1925, per pubblicare subito un primo intervento, dal titoloOmaggio a Italo Svevo, sul numero della rivista l’«Esame» del novembre-dicembre dello stesso anno. Nel gennaio del 1926, poi, Montale pub-blica un nuovo intervento su Svevo, le cui tracce nel carteggio sonolampanti. Il 13 dicembre del ’25, infatti, rivelandosi in parte come“mente” sottostante al nuovo progetto di pubblicazione critica daparte del poeta, Bazlen scrive a Montale: «ho chiesto oggi il permesso,a Svevo, di pubblicare nella nuova rivista un pezzo di Senilità colla tua,seconda, critica»69, per poi concludere «vorrei far scoppiare la bombaSvevo con molto fracasso, dimmi se è il caso di mandare i 2 libri aCecchi, Gargiulo, ecc.»70. L’articolo uscirà sul secondo numero (datato26 gennaio 1926) della neonata rivista milanese «Il Quindicinale» conil titolo Presentazione di Italo Svevo. Sono, questi, interventi che Bazlenaccoglie con entusiasmo, come risulta chiaro da una lettera a Montale,nella quale si dice «molto soddisfatto dei […] due saggi, specialmentedella seconda parte del secondo»71, ed aggiunge vari aggiornamentisullo stato della diffusione dell’opera di Svevo fra critici come, fra glialtri, Prezzolini.Da questo momento fino al 1928 il carteggio Bazlen-Montale non pre-senta più tracce della questione Svevo: il che comunque non toglie, daun lato, il comparire con una certa frequenza del nome di Bazlen nellelettere che proprio in quegli anni Svevo si scriveva con il poeta ligure,

67 Italo Svevo, Eugenio Montale, Lettere / con gli scritti di Montale su Svevo cit., p. IX.68 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 5 maggio 1925, in Ivi, p. X.69 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 13 dicembre 1925, in Roberto Bazlen,Scritti cit., p, 365.70 Ibidem.71 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 17 febbraio 1926, in Ivi, p. 367

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e dall’altro il proseguire del fertile scambio, ora spostatosi su altri piani,di quest’ultimo con Bazlen. Dallo scrittore e dal poeta Bazlen e infattispesso nominato, di volta in volta in quanto amico magari sfuggente(«e Bobi? Mistero»72 scriverà Montale il 19 novembre 1927) o in quan-to intellettuale il cui pensiero è stimato e rispettato dai due corrispon-denti. Per fare un solo esempio, già nel marzo del 1926, quindi solodue mesi dopo l’uscita del suo articolo su «Il Quindicinale», Montalescrive allo scrittore triestino a proposito della ristampa di Senilità, con-sigliandogli di non compromettere la «schiettezza del testo»73 che con«pochissimi ritocchi»74 riguardo ai quali il poeta specifica: «potrebbe eli-minare qualche esclamativo e uno o due anacoluti in tutto, consiglian-dosi con Bazlen che ha un gusto squisito»75.Per quanto riguarda il carteggio fra Montale e Bazlen, come si è dettopoco sopra, dal principio del 1926 al 1928 esso non tocca più il temadell’opera di Svevo. Fra gli argomenti trattati in questo intervallo ditempo rimane da rilevare, oltre a quanto è già stato evidenziato, il rife-rimento di Bazlen a Giuseppe Menasse, che fu il primo traduttore diKafka in Italia: il 4 luglio 1926, infatti, Bazlen chiede a Montale di far-gli avere «una lettera per la casa editrice del “Baretti”, ev. per altre»76,lettera che fungerebbe da presentazione per l’amico Menasse.Quest’ultimo, infatti, è alla ricerca di «una persona che direttamente oindirettamente possa procurargli un lavoro di traduzione»77. Talesegnalazione da parte di Bazlen ha una sua rilevanza, perché permettedi anticipare un altro dei ruoli che egli ebbe nell’editoria italiana, con-sistente nel consigliare a varie case editrici traduttori anche autorevoli(altro caso sarà quello della già citata Lucia Rodocanachi) o di collabo-ratori: inoltre, si può forse parzialmente spiegare con questo passo l’af-fermazione succitata, altrimenti oscura, di Gianni Stuparich, secondoil quale «certamente Kafka fu una scoperta di Bobi per l’Italia»78 (affer-mazione che trova una rispondenza anche nel rapporto fra Bazlen e

Giuseppe Menasse, primotraduttore di Kafka in Italia.

72 Lettera di Eugenio Montale a Italo Svevo, Firenze, 19 novembre 1927, in Italo Svevo, EugenioMontale, Lettere / con gli scritti di Montale su Svevo cit., p. 65.73 Lettera di Eugenio Montale a Italo Svevo, Genova, 29 marzo 1926, in Ivi, p. 16.74 Ibidem.75 Ibidem.76 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 372.77 Ibidem78 Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi cit., p. 18.

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l’amico Giacomo Debenedetti, al quale egli fra l’altro parlava «di auto-ri ancora da scoprire come Kafka»)79. Nella stessa lettera emerge infi-ne un ulteriore ruolo rivestito da Bazlen per l’amico Montale, ovveroquello di mediatore fra quest’ultimo e gli intellettuali di Trieste, in par-ticolare Umberto Saba. È infatti grazie al tramite di Bazlen che il poetaligure può conoscere il riscontro di Saba circa la recensione che egliaveva fatto al suo ultimo libro, Figure e canti. Scrive infatti Bazlen:

Il poeta non è affatto arrabbiato con te. Trova che, nel tuo saggiosu di lui, parli più di tue intime preoccupazioni d’ordine estetico,che della sua poesia; in parte ha ragione. Ciò non toglie che [...] iltuo saggio sia il più presentabile di quanto finora è stato scritto suSaba80.

Resta opportuno puntualizzare, a questo proposito, che i rapporti diBazlen con «il vate»81 sono, a sua stessa detta, «discreti»82, su una via cheanche per ragioni personali porterà a una quasi completa rottura.Accanto a tali questioni, però, il «caso Svevo» non è accantonato senon momentaneamente, come si è già avuto modo di accennare. Essoinfatti viene risollevato, di nuovo con una certa partecipazione da partedi Bazlen, a partire da una lettera del 25 settembre 1928, di una deci-na di giorni posteriore alla morte dello scrittore. In questa circostanzaBazlen, pur dicendosi «molto addolorato»83 per la cosa, non esita a for-nire a Montale un quadro assai sincero, quasi sfrontato, della propriaopinione circa il defunto Svevo. L’occasione è data dall’articolo diricordo che Montale aveva scritto due giorni prima sulla «FieraLetteraria», con il titolo Ultimo addio:

Ho paura che il Tuo articolo si presti troppo ad essere interpreta-to male, ed a far sorgere la leggenda d’uno Svevo borghese intelli-gente, buon critico, psicologo chiaroveggente nella vita ecc. Nonaveva che genio: nient’altro. Del resto era stupido, egoista, oppor-tunista, gauche, calcolatore, senza tatto84.

Bazlen come tramite traMontale e Saba.

La morte di Svevo.

79 Paola Frandini, Il teatro della memoria. Giacomo Debenedetti dalle opere e i documenti, Lecce, Manni,2001, p. 46.80 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 371.81 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 26 dicembre 1926, in Ivi, p. 378.82 Ibidem.83 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 25 settembre 1928, in Ivi, p. 380.84 Ibidem.

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Se si considera la conclusione moderata ed affettuosa che Bazlen scri-ve poche righe dopo quelle citate («gli ho voluto – malgré tout – moltobene, come non ne ho voluto che a poche persone»85) non è facilecomprendere quali sentimenti lo spingessero ad un coinvolgimento nelprogetto di mantenere ed arricchire la memoria dell’opera di Svevo. Sipuò supporre, tuttavia, che si trattasse di un insieme di affetto, altaconsiderazione dell’opera dello scrittore, ma anche volontà di “tenerenascosto” al pubblico ciò che poteva dare di Svevo e della sua operaun’immagine in qualche modo distorta. È forse per quest’ultima ragio-ne che Bazlen, nella stessa lettera che si è appena citata, così descrivela propria attitudine nei confronti del riordino e nell’eventuale pubbli-cazione dei materiali postumi sveviani: «tenterò di farmi dare in manotutta l’opera postuma, e di evitare la pubblicazione dell’opera omnia.Sarebbe un disastro. Credo non ci sarebbe nulla di pubblicabile. Madarò un’occhiata»86. Sulla base di questa idea di fondo, Bazlen seguiràparallelamente il progetto della pubblicazione di un volume di novellepresso l’editore Morreale («è indispensabile che la prefazione sia fattada te!»87 scrive a Montale il 6 gennaio 1929) e quello del volume unicodedicato a Svevo che si stava preparando per Solaria. «Se [i redattori diSolaria] aspettano ancora molto, dovrò se Dio vuole mandare un altrobrano inedito, perché quello che ho mandato sarà già stato pubblicatonel volume»88: da questo stralcio di una lettera del settembre 1929emerge quindi l’attenzione a una distribuzione equilibrata dei materia-li nelle varie edizioni. Attenzione che, peraltro, si può vedere ulterior-mente confermata in un passo della stessa lettera:

Inoltre, c’e Angioletti che chiede a Villa Veneziani un brano per lasua ignobile fiera della vanità letteraria. La signora Schmitz insiste.E dovrò sceglierlo. Non c’è verso di far capire a Villa Venezianiche si potrebbe soigner [curare] la “gloria postuma” di S. moltodecorosamente, e che non c’è nessun bisogno di fargli posto a pic-coli colpi di gomito, e frammento per frammento, su tutte le rivi-ste letterarie. Se Dio vuole, pubblicheranno col tempo anche lacorrispondenza, i frammenti filosofici e culturali, e tutte le suefavole completamente idiote89.

L’idea di pubblicare mate-riali postumi sveviani.

La proposta a Solaria.

85 Ivi, p. 381.86 Ibidem. 87 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 6 gennaio 1929, in Ivi, p. 383. 88 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, settembre 1929, in Ivi, p. 385. 89 Ivi, p. 386.

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Da quanto fino ad ora si è cercato di delineare, è evidente dunque lospirito ed il coinvolgimento che spinsero Bazlen da un lato a farsi«primo e consapevole artefice della valorizzazione culturale dell’operasveviana in Italia»90, dall’altro a consigliare letture, pubblicazioni edoperazioni editoriali all’amico Montale. Un coinvolgimento, dunque,che una volta rilevato può aiutare a ridimensionare il succitato pareredi Ara e Magris, i quali imputano al lavoro e agli scritti di Bazlen unacerta «inconsistenza»91. Resta però vero che nel tentativo di dare unquadro complessivo anche solo dell’operato di questi primi anni ci sitrova a fare i conti con frequenti affermazioni paradossali, quasi ostilinei confronti dei destinatari delle sue lettere, che possono risultarefuorvianti, o comunque non chiarificatrici, in sede dello studio dellafigura di Bazlen. Si legge ad esempio nella lettera a Montale del 16novembre 1925: «se un giorno avrò voglia, forse vi manderò, per larivista, un solo articolo sull’inutilità di divulgare in Italia culture este-re»92. Un’affermazione che appare del tutto priva di senso e disorien-tante, alla luce di quanto detto finora e del consistente numero di tito-li unicamente stranieri che Bazlen raccomanderà alle varie case editri-ci. Lo stesso atteggiamento, tendente in effetti al cinismo e alla morti-ficazione delle proprie potenzialità come operatore culturale, in uncontinuo altalenare fra la presentazione di una proposta e il suo ritiro,si trova in un passo poche righe sopra quello citato, dunque significa-tivamente nel pieno del «caso Svevo»:

Siete matti di volermi far collaborare a una rivista? Io sono unapersona per bene che passa quasi tutto il suo tempo a letto, fuman-do e leggendo [...]. Per di più, manco completamente di spiritomessianico divulgativo, e non ho mai inteso nessun bisogno di par-tecipare agli altri le mie idee, tanto meno ai lettori di riviste. Seavete bisogno di indicazioni, scoperte, bibliografie, ecc. vi aiuteròmolto volentieri93.

Non è chiaro a quale rivista Bazlen si riferisca in questo passo, dalmomento che di lì a poco diverse sarebbero state le collaborazioni

La contraddittorietà e ilparadosso nelle affermazioni di Bazlen.

90 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen, cit. p. 28. 91 Angelo Ara, Claudio Magris, Trieste, Un’identità di frontiera cit., p. 137.92 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 16 novembre 1925, in Roberto Bazlen,Scritti cit., p. 364.93 Ivi, p. 363.

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intraprese da Montale, nelle quali il poeta avrebbe potuto voler coin-volgere l’amico. Resta però interessante il fatto che le parole succitatecostituiscono un efficace autoritratto del Bazlen collaboratore quasidel tutto mancato di «Solaria», rivista fiorentina che avrebbe iniziato leproprie pubblicazioni di lì a poco, nel gennaio del 1926.

1.1.5 La collaborazione con «Solaria».

Le prime comunicazioni fra Bazlen e «Solaria», la rivista che avrebbesegnato «forse più di qualunque altra in Italia il senso e il gusto dellenostre lettere tra gli anni venti e gli anni trenta»94, risalgono al 1928.Non si sa con certezza come Bazlen si sia avvicinato alla redazione fio-rentina, ma è presumibile che il tramite sia stato o quello di tre dei suoipiù cari amici, tutti collaboratori della rivista, come Montale, SergioSolmi e Giacomo Debenedetti, o il nutrito gruppo di intellettuali trie-stini che collaboravano con «Solaria». All’interno della cerchia di intel-lettuali che ruotavano attorno al fondatore Alberto Carocci, infatti,«l’altro meridiano che cominciò presto a funzionare fu quello Firenze-Trieste»95, grazie ai contatti della redazione con personalità già ampia-mente citate in questa sede come Svevo, Saba, Quarantotti Gambini,Stuparich, Giotti. Se si considera che le prime e più numerose lettereche Bazlen inviò al direttore e fondatore della rivista Alberto Carocciriguardano ancora una volta il caso Svevo, si può allora pienamenteappoggiare il parere di Giuliano Manacorda, curatore del volumeLettere a Solaria, riguardo alla posizione che «l’asse triestino»96 ebbeall’interno della redazione di «Solaria»: secondo Manacorda, cioè, «cul-turalmente forse meno importante per i minori legami che offriva conuna tradizione consolidata, questo asse è però letterariamente fonda-mentale e quasi decisivo nelle scelte di Solaria»97. La rivista fiorentina,in effetti, diede un certo rilievo all’opera di Svevo (anche al di là, a direil vero, dell’intervento di Bazlen) se ad essa dedicò un intero numero(nel febbraio del 1928) che ospitava la sua novella Una burla riuscita,seguito dal numero unico del marzo – aprile 1929 dove trovavano

Nel 1928 l’inizio degliscambi con la rivista Solariafondata da Alberto Carocci.

94 Lettere a «Solaria», a cura di Giuliano Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. XV.95 Ivi, p. XXIII. 96 Ibidem. 97 Ibidem.

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posto, ormai dopo la morte dello scrittore, gli scritti Il vecchione eFrammenti. Come si è già accennato nel precedente paragrafo, la colla-borazione di Bazlen con «Solaria» si colloca proprio nel contesto del-l’uscita del numero unico dedicato a Svevo, per il quale egli si occupòdella scelta e della cura dei materiali da pubblicare. A questo proposi-to può essere interessante mettere a confronto la prima lettera cheBazlen inviò a Carocci, il 28 ottobre 1928, e il ritratto che egli avevadato di sé nella già citata lettera a Montale. Come si è sottolineato,infatti, il 16 novembre 1925 Bazlen parlava a Montale della propriamancanza di «spirito messianico divulgativo»98, in particolare riguardoai «lettori di riviste»99. Così, invece, egli stesso presenterà il propriolavoro a Carocci:

Frammento. Non credo in generale all’efficacia d’un frammentobreve tratto da un’opera narrativa: non si può staccare un organoda un organismo. E l’opera di Svevo è una delle più organiche checonosca: ogni episodio è sempre la conseguenza di tutte le premes-se, ed è sempre - benché a prima vista non sembri - pieno di rife-rimenti vagamente accennati, di riprese di motivi, ecc. [...]. E poi,pensi, presentando un solo frammento, quanti effetti di illumina-zione vanno perduti100.

Dalla lettura di questo passo appare evidente come l’ottica di Bazlenpresupponesse non solo una profonda consapevolezza rispettoall’opera di Svevo, ma anche il deciso intento di presentarla al pubbli-co nel modo che egli riteneva più appropriato. Bazlen, dunque, fu «aifini del numero unico del ’29, il principale mediatore con l’ambientesveviano di Trieste»101, anche perché a partire dalla propria idea del-l’opera di Svevo si mobilitò affinché essa giungesse opportunamente ailettori, come si riscontra anche nei successivi scambi epistolari conAlberto Carocci. Dalla stessa lettera del 28 ottobre 1928, peraltro,accanto all’attività critica alla quale si è appena fatto cenno, emerge unacollaborazione anche alla stesura della bibliografia (attività che nella

Il numero unico di Solariadedicato a Svevo

98 Lettera di Roberto Bazlen ad Eugenio Montale, Trieste, 16 novembre 1925, in Roberto Bazlen,Scritti cit., p. 363. 99 Ibidem.100 Lettera di Roberto Bazlen ad Alberto Carocci, 28 ottobre 1928, in Lettere a «Solaria», a cura diGiuliano Manacorda cit., p. 87.101 Ivi, p. XXIII.

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lettera a Montale del 1925, presentava come a sé congeniale) e dellacura del testo. A proposito del romanzo Il vecchione, infatti, Bazlen affer-ma senza mezzi termini: «sintassi e grammatica, specialmente negli ulti-mi capitoli, un disastro»102, ragione che evidentemente lo spinge adapportare «correzioni»103, presentate a Carocci come «necessarie»104.Alla luce di quanto si è cercato di mostrare, si può comprendere che ilcontributo di Bazlen alla composizione del volume unico su Italo Svevonon fu certo irrilevante. Resta però la contraddittoria conclusione dellalettera a Carocci fino ad ora citata, la quale corrobora l’immagine di unintellettuale refrattario alla collaborazione troppo stretta e “compro-mettente” con riviste, ma anche alla pubblicazione di cose proprie, cheBazlen dà di sé, e che molti critici e amici, nei loro ricordi, conferma-no. Egli infatti così conclude: «grazie per l’invito di collaborare al Suonumero unico: ma non ho tempo, e in italiano non so scrivere»105.Un analogo atteggiamento di ritrosia si rileva peraltro a proposito dellaseconda occasione di collaborazione di Bazlen con «Solaria», successi-va di qualche anno rispetto al numero unico dedicato a Svevo. L’annoè il 1932, e coincide con una mutata situazione sia all’interno dellaredazione fiorentina, sia forse nel panorama culturale ed editoriale ita-liano. «Solaria», infatti, giunta al sesto anno di attività, è ormai una rivi-sta pienamente affermata, che si avvale della collaborazione di nuoviintellettuali, come ad esempio Elio Vittorini. Soprattutto, quello chesembra caratterizzare l’attività di questi anni è una «condizione di pienae cosciente maturità nel proprio lavoro»106, che permette ai solariani di«sviluppare una delle vocazioni più autentiche della rivista, quella chesuole andare sotto il nome di europeismo»107. La necessità di un’aper-tura alle letterature straniere, con la finalità di sprovincializzare unacultura italiana ormai completamente sottoposta alla chiusura fascista,trovava riscontro anche ad un livello più generale, così che diversefurono le riviste e le case editrici che contribuirono a fare degli anniTrenta il «decennio delle traduzioni»108. Dal canto loro, i solariani discu-

Il tentativo di sprovincializzazione dellacultura italiana sottopostaalla chiusura fascista.

102 Ivi, p. 88.103 Ibidem. 104 Ibidem. 105 Ivi, p. 89.106 Ivi, p. XXXV.107 Ibidem.108 Luisa Mangoni, «Il decennio delle traduzioni», in Le letterature straniere nell’Italia dell’entre-deux-guerres, acura di Edoardo Esposito, Lecce, Pensa Multimedia editore, 2003, p. 12.

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tono l’opportunità di rinnovare la propria proposta editoriale, attraver-so un progetto chiaramente delineato dalle parole di Carocci cheseguono:

Nel corso del 1932 vorrei dedicare alcuni numeri unici di Solariaalle varie letterature straniere contemporanee. Inutile dirLe chequesti numeri unici dovrebbero avere un carattere tendenzioso, nelsenso come è tendenziosa Solaria rispetto alla letteratura italiana109.

Carocci si rivolge qui, in una lettera datata 4 gennaio 1932, proprio aRoberto Bazlen, al quale propone di curare il volume unico dedicatoalla letteratura tedesca contemporanea. L’invito di Carocci si articolacome segue:

Per fare un numero di letteratura tedesca avrei pensato a Lei. Nonmi dica che non ha tempo. Dato che il numero dovrebbe contene-re pochi nomi, la fatica di organizzarlo non dovrebbe essere ecces-siva. [...]. Non potrei [...] rivolgermi a Peterich o a Tecchi, con iquali si cascherebbe inevitabilmente sui soliti Man [sic], oWassermann, o Doblin [sic] etc. etc. Nel qual caso sarebbe perfet-tamente inutile fare il numero. Posso contare su di lei? Ci terreimoltissimo110.

Sembra di vedere, nelle parole del direttore, la volontà di impedire alproprio interlocutore di sottrarsi all’invito: il che fa comprendere da unlato come Carocci si aspettasse da Bazlen una risposta negativa, dall’al-tro come quest’ultimo fosse considerato, benché ancora abbastanzagiovane, un conoscitore autorevole della letteratura tedesca. Nelleparole di Carocci, infatti, si legge la convinzione che Bazlen potrebbeproporre autori davvero nuovi e sconosciuti, non come i «Man» e i«Doblin», ovvero le proposte che egli immagina da parte di germanisticome Tecchi, e che sarebbero a parer suo insoddisfacenti e scontate.È opportuno puntualizzare, a questo punto, che nessuno dei numeriunici dedicati alle letterature europee venne alla luce: se ciò in buonaparte avvenne per questioni interne alla redazione di Solaria (che in

L’invito di Alberto Caroccia curare il numero unico di Solaria sulla letteraturatedesca.

109 Lettera di Alberto Carocci a Roberto Bazlen, Firenze, 11 gennaio 1932, in Lettere a «Solaria», acura di Giuliano Manacorda cit., p. 352.110 Ibidem.

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effetti vagliava anche il progetto alternativo della fondazione di unanuova rivista, unicamente votata all’«europeismo»), rimane il fatto chel’atteggiamento di Bazlen a tale proposito giocò indubbiamente il suoruolo. Per leggere una sua risposta, infatti, si dovranno attendere quasidieci mesi, quando, per la precisione il 22 ottobre, Bazlen così si pro-nuncia rispetto al numero unico dedicato alla letteratura tedesca:

Numero tedesco: ho fatto fare, da Marchi, e da altri, parecchi ten-tativi di traduzione di scrittori tedeschi moderni. Per il momento,quasi unicamente fallimenti. Ma, appena avrò più tempo, le scrive-rò una lunga lettera teorica, e vedrà che ci metteremo d’accordo111.

Di questa lettera non si ha notizia; inoltre, a ulteriore dimostrazionedel fatto che Bazlen fosse riluttante a lasciarsi coinvolgere nel proget-to, si possono leggere vari passi di lettere di persone a lui vicine. È lostesso Giorgio Marchi citato da Bazlen, ad esempio, a mediare fra luie Carocci sin dal gennaio del ’32, riferendo al direttore di Solaria unmessaggio che pare di apertura da parte di Bazlen, il quale non scrivedi persona perché «a letto malato»112. Bazlen, scrive Marchi, «dice che:[...] ti comporrebbe un numero con cinque fra prosatori e poeti [...]non rappresentativi, essendo ciò impossibile dato il carattere della let-teratura tedesca [...], bensì scelte così, casualmente»113. La mancata col-laborazione, nei fatti, da parte di Bazlen sembra dunque motivata daconsiderazioni critiche sulla natura della letteratura tedesca e della suatraducibilità in altre lingue, come si vede dalla lettera di Marchi e daquella citata poco sopra dello stesso Bazlen. Ma accanto ad esse, nonè inopportuno vedere anche una riluttanza, un riserbo di segno diver-so, che trova testimonianza in quanto si è detto fino ad ora e nelleparole, ancora una volta, di Giorgio Marchi. Il 4 maggio del 1932,infatti, egli parla chiaramente a Carocci: «dispera del tuo numero tede-sco perché Bazlen vedo che stiracchia. Io gli sono stato dietro e l’hospinto più che potevo ma mi pare che non vada. Deve avere una rilut-tanza grandissima per buttare nero su bianco»114.

La riluttanza di Bazlenverso la proposta diCarocci.

111 Lettera di Roberto Bazlen a Alberto Carocci, Trieste, 22 ottobre 1932, in Ivi, p. 385. 112 Lettera di Giorgio Marchi a Alberto Carocci, Trieste, 29 gennaio 1932, in Ivi, p. 355.113 Ivi, p. 356. 114 Lettera di Giorgio Marchi a Alberto Carocci, Trieste, 4 maggio 1932, in Ivi, p. 373.

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1.2 Il pensiero di Bazlen.

1.2.1 Gli Scritti: le Note senza testo.

Atteggiamenti e scelte come quelli che si sono cercati di descrivere finoad ora possono trovare una parziale chiarificazione in quanto si leggein due delle sezioni degli Scritti di Bazlen (le Note senza testo e il Capitanodi lungo corso), pubblicati separatamente da Adelphi a partire dal 1968 eraccolti poi in un unico volume nel 1984. Prima di intraprendere la let-tura di tali Scritti, è bene specificare in primo luogo che la loro pubbli-cazione avvenne dopo la morte di Bazlen, dunque indipendentementedalla sua volontà, e la loro composizione, stando alle «Notizie suimanoscritti» ad opera di Roberto Calasso, è collocabile negli anni fra il1945 e il 1960, dunque è posteriore al periodo del quale si è fino ad oraparlato. Resta però il fatto che, dal tentativo di riordino degli appuntiche Bazlen ha lasciato, emerge un quadro abbastanza chiaro, il quale daun lato motiva gran parte delle sue scelte editoriali e di vita, dall’altromostra come il suo pensiero (e la sua scrittura) costituiscano una riela-borazione più o meno conscia di molte delle idee e dei fermenti deiquali egli fu partecipe in gioventù. Le Note senza testo sono costituite dalla selezione di una serie di aforismitratti dai quattro quaderni di appunti che Bazlen ha lasciato alla suamorte, la cui lettura è resa ostica in alcuni passaggi dalla completa asi-stematicità che governa la disposizione dei contenuti. La scrittura,essendo scaturita da un’esigenza personale e privata, risulta inoltreframmentaria, allusiva, ellittica, come mostra in modo indicativo unodegli aforismi che all’unanimità della critica è riconosciuto come massi-mamente rappresentativo del pensiero di Bazlen: «Fino a Goethe: labiografia assorbita nell’opera. Da Rilke in poi: la vita contro l’opera»115.Con queste poche parole, Bazlen riesce a riassumere una «irreversibilee misteriosa trasformazione»116 avvenuta nella produzione letteraria chesi colloca fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Essa riguarda:

la gnosi stessa del pensiero moderno, la cui filosofia concettuale sisottrae per definizione a una naturale osmosi tra vita e opera,

Note senza testo: aforismitratti dai quattro quaderni diappunti di Bazlen.

115 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 184. 116 Ivi, p. 18. La formula qui citata è di Roberto Calasso, nella sua Introduzione agli Scritti di Bazlen.

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retaggio dei secoli precedenti, per realizzarsi, viceversa, in un rap-porto di profonda conflittualità tra l’io e il mondo e quindi tra sog-getto poetico e realizzazione creativa117.

Quello che forse più conta ai fini del discorso che si sta facendo, tut-tavia, è che nella nota citata si può intravedere il punto dal quale sisvolge gran parte del pensiero letterario, ed in qualche modo esisten-ziale, di Bazlen: ovvero, come si può leggere in una delle Lettere edito-riali raccolte sempre nel volume degli Scritti, la «paradossalità inafferra-bile del rapporto artista-opera»118. In Rilke, uno degli autori che apre laletteratura del Novecento, egli infatti vede una discrasia, una conflit-tualità fra due poli, quello della vita, da un lato, e quello dell’opera let-teraria, dall’altro: il che si traduce nella difficoltà per il soggetto, comesottolinea Manuela La Ferla, a esprimersi in un’opera che sappia dareuna visione unitaria del mondo, che appunto il soggetto non riesce piùad avere, avendo perso suo malgrado la propria identità di «Io unifica-to, voce di una sintesi superiore»119. Tale cambiamento epocale, cheBazlen riassume affermando fra l’altro che «l’ancora dell’umanesimo èaffondata»120, si riflette in quella che secondo lui è l’impossibilità stes-sa di scrivere l’opera: «Io credo che non si possa più scrivere libri»121.Una conseguenza di questo tipo farebbe pensare a una conclusioneparadossale e del tutto disfattista circa il ruolo della letteratura, o adun’eventuale adesione a qualche forma di avanguardismo. Ciò tuttavianon avviene, perché quel che pare di vedere nell’insieme delle Notesenza testo non è l’idea che l’opera sia irrealizzabile in assoluto, ma solorelativamente ai canoni estetici e letterari dominanti. In virtù di essi,infatti, secondo Bazlen «l’opera viene intesa solo nella prospettiva dellaprestazione»122, ovvero con eccessivo ossequio alla forma, al “mestie-re” letterario, di modo che facilmente «lo stile diventa galateo»123, uninsieme di regole che uccidono la spontaneità dello scrittore, imponen-

117 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 155. 118 Lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà (casa editrice Einaudi), 9 aprile 1961, in Roberto Bazlen,Scritti cit., p. 306. 119 Paola Zelco, Roberto Bazlen: la scrittura dissolta, in «Capriccio di Strauss», a. IV, n. 10, dicembre1997, p. 19.120 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 220. 121 Ivi, p. 203. 122 Ivi, p. 211. 123 Ivi, p. 173.

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dogli «ordine invece di verità»124. Un ordine che però, come si è detto, non è più percepito come possi-bile. Tra la vita e l’opera, dunque, nella visione di Bazlen la letteraturadel passato ha potuto privilegiare il secondo aspetto: ma se questo pre-supposto venisse ribaltato, e se si giungesse «all’accettazione consape-vole della non componibile scissione moderna fra l’io e il reale che pre-sumeva di rappresentare»125, la creazione di nuovi valori letterari, equindi di opere che possano tornare ad avere un significato reale,sarebbe nuovamente possibile: da tale idea centrale derivano, come sivedrà, le scelte e i gusti editoriali di Bazlen, la sua scelta di non pubbli-care, ed infine gran parte dei contenuti di ciò che per se stesso egliscrisse, di modo che i «principi di estetica»126 che si trovano nelle Notesenza testo risultano decisamente «coerenti con le posizioni morali edintellettuali di Bazlen»127.Sul piano delle osservazioni teoriche, in primo luogo, Bazlen portaavanti la costruzione di un profilo di valori che privilegiano la secondacomponente del conflitto, ovvero quella della vita. Se infatti lo scritto-re non può e non deve più avvalersi degli strumenti dello stile per rap-presentare la realtà, l’alternativa è necessariamente quella di un’adesio-ne più serrata ad essa, nella creazione di una scrittura che sgorghi natu-ralmente dal vissuto e dall’esperienza. «Un tizio vive e fa bei versi. Mase un tizio non vive per fare bei versi, come sono brutti i bei versi deltizio che non vive per fare bei versi»128: questa affermazione, cripticama rappresentativa, aiuta a comprendere, fra l’altro, la severità diBazlen circa vari autori della fine dell’Ottocento, il cui operato «è frut-to d’un malinteso umanistico, ed è fatto senza vera necessità»129.Proprio la necessità è uno dei valori primari che Bazlen annovera fraquelli che dovrebbero sottostare all’operato dello scrittore, così che adessere messi in primo piano sono la “causa scatenante” della scrittura,ed il momento in cui essa si svolge: non il risultato di essa, non il frut-to stilistico della «prestazione», come emerge chiaramente da una delle

Lo scrittore non può avvalersi degli strumentidello stile per rappresentarela realtà.

La scrittura deve sgorgaredal vissuto e dall’esperienza.

124 Ivi, p. 283. 125 Gino Brazzoduro, Roberto Bazlen: un’idea di letteratura a Trieste, in «La Battana», a. XXIV, n. 85, set-tembre 1987, p. 10. 126 Fabio Doraldi, Roberto Bazlen, triestino, in «La Nuova Tribuna», a. VI, n. 60, ottobre 1971, p. 53. 127 Ibidem.128 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 187. 129 Ivi, p. 185.

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Lettere editoriali, quella a proposito di un’opera dello scrittore iranianoSadegh Hedayat, dal titolo Blind Owl:

Non so se è il più bel racconto uscito da non so quanti anni, dicia-mo dopo i racconti di Kafka – probabilmente no. So invece chenon conosco altro racconto (dopo Kafka) nato dalla stessa neces-sità, con la stessa violenza, e che abbia la stessa suggestione. Dico:nato – non: scritto – non so cosa avesse in testa Sadègh Hedayàtquando si è messo a scriverlo130.

Si comprende allora come Bazlen tenda a privilegiare, nelle sue letturee nei suoi progetti editoriali, l’attenzione alle biografie degli autori, non-che il genere dell’autobiografia, per sua natura scarsamente letterario efocalizzato appunto su chi scrive: ulteriore dimostrazione, questa, delfatto che per lui «il criterio di valore era solo e sempre la verità interio-re al di là della parola»131. Tale criterio di giudizio, peraltro, è applicabileanche a scritti non letterari, se a proposito del saggio di psicologia Thehidden remnant dell’autore americano Gerald Sykes Bazlen scrive:

Non c’è mai, in tutto il libro, una frase superflua, una ripetizionegratuita, una leggerezza, una stanchezza, un’inconsistenza. E quel-lo che per me dovrebbe essere uno scrittore: ha qualcosa da dire;quello che ha da dire è vissuto, è suo; lo dice con parole sue, chia-re; con una grande densità, costante132.

È bene puntualizzare, a questo punto, come il primato dell’esperienza,che Bazlen riassume nella pregnante formula della «primavoltità»133

come «unico valore»134, sia da un lato un’ulteriore formulazione di quan-to egli aveva probabilmente assimilato negli ambienti frequentati in gio-ventù, dall’altro l’origine per un discorso, per quanto spesso fumoso,che ha invece molto di originale. Per quanto riguarda il primo aspetto,

L’attenzione verso le bio-grafie degli autori.

La verità interiore.

130 Lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foa (casa editrice Einaudi), 9 marzo 1960, in Ivi, p. 291.131 Italo Calvino, La psiche e la pancia, in «La Repubblica», 1 giugno 1983, pag. 20. È interessante nota-re, peraltro, il fatto che Calvino ponga in problematica relazione questa caratteristica del pensierodi Bazlen con l’influenza che egli esercito sulla composizione di alcune delle poesie delle Occasionidi Montale, da Calvino definite come «versi che segnano il culmine d’una dedizione al potere evo-catore della musica».132 Lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foa (casa editrice Adelphi), 9 agosto 1963, in RobertoBazlen, Scritti cit., p. 342.133 Ivi, p. 230. 134 Ibidem.

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si nota che i concetti espressi da Bazlen nei suoi appunti «si possonoanche considerare caratteristici della letteratura triestina»135, se si pensache fra i letterati di Trieste che egli frequentò negli anni Venti, come siè già visto, si andavano formulando istanze - «l’antiletterarietà», l’otticaanticrociana - affini a quelle che si trovano esposte nelle Note senza testo.È bene, tuttavia, non appiattire le idee di Bazlen su quelle degli intellet-tuali triestini; piuttosto, risulta appropriato dire che:

le illuminazioni come i paradossi di cui sono fitte le “Note senzatesto” rivelano [...] l’autore triestino, non come partecipe della let-teratura della sincerità, ma come prodotto di un ambiente che con-siderava ogni opera letteraria quasi una scoria di un processo inte-riore, il libro come relitto esistenziale136.

Da questi presupposti comuni, inoltre, Bazlen prende le mosse per por-tare avanti il proprio personale ragionamento, che da questo puntoaccentua ulteriormente la tendenza metaforica e quasi sibillina che si èvista a proposito degli aforismi già citati. Constatata quella che per lui èla morte di un sistema di valori, Bazlen infatti insiste su tale aspetto finoa vedere nella stessa morte, intesa come metafora di una distruzione, unobiettivo da raggiungere, o meglio un percorso da portare a compimen-to: di fronte alla sclerosi degli strumenti di lettura della realtà propri delpassato, l’artista e l’intellettuale non possono far altro che vanificarli edistruggerli completamente, in quella che egli definisce «l’arte di mori-re ogni secondo»137, perché «la prossima cultura ci sarebbe già se sipotesse eliminare i residui del passato»138. Dunque, secondo Bazlen,«distruggere vuol dire creare: può essere distrutto solo ciò che sta fra dinoi e le nostre possibilità creative»139. Dalle affermazioni appena considerate, è facile intendere la perentorie-tà, almeno in sede teorica, con la quale Bazlen affermava la necessità diun rinnovamento totale del canone letterario, in favore di nuovi ele-menti, che si trovano proposti in parte nelle Note senza testo, in parte nelCapitano di lungo corso, come si vedrà nel successivo paragrafo. Ad esem-pio, Bazlen sembra essere molto sensibile alle teorie della psicoanalisi

L’arte di morire ogni secondo: capacità di rinnovamento.

135 Gino Brazzoduro, Roberto Bazlen: un’idea di letteratura a Trieste cit., p. 10. 136 Fabio Doraldi, Roberto Bazlen, triestino cit., p. 53. 137 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 181.138 Ivi, p. 186. 139 Ibidem.

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freudiana, come si è visto uno dei maggiori contributi della Trieste deglianni Venti alla cultura italiana, che egli poté conoscere ed approfondiresin da molto giovane: questo precoce e decisivo interesse trova unaprima conferma in quanto si legge nella biografia del suo amico e coe-taneo Giacomo Debenedetti. A proposito dell’«esperienza della psicoa-nalisi e [dell]’interesse nascente verso l’antropologia culturale»140 daparte del grande critico, infatti, si legge che, «probabilmente, corre l’in-fluenza di Bobi Bazlen, che si diceva più interessato alle scienze umanedi quanto non lo fosse alla letteratura»141. Si è precedentemente osser-vato che sul piano strettamente letterario la psicoanalisi determinava, ingran parte delle opere degli autori triestini ed ebrei, una certa tendenzaallo scandaglio dell’interiorità e all’analisi dell’inconscio: ed allo stessomodo Bazlen, almeno in un primo momento, concepì la psicoanalisicome veicolo d’innovazione tematica. A dimostrazione di ciò, si posso-no citare le parole di Giorgio Voghera, che descrivendo tale aspettodella cultura triestina così afferma: «era certamente il nuovo, lo strano,il rivoluzionario che c’era nella psicanalisi, ciò che attraeva “Bobi”»142.Come si è osservato, nell’ottica di Bazlen l’io scrivente non può piùambire ad essere «centro ordinatore e legislatore, [...] entità demiurgicaabilitata alla ricreazione sensata del mondo»143: ne consegue che la novi-tà al quale esso può approdare sia la rappresentazione di «una moltepli-cità di relazioni e di rapporti»144, da parte di un io che si fa «sede di sen-sazioni e di percezioni continuamente modificata dall’esperienza e dal-l’impatto col mondo»145.Le considerazioni appena viste si trovano sviluppate in un altro dei con-cetti ricorrenti nelle Note senza testo, ovvero quello di caos. Esso pertie-ne a diversi ambiti, da quello appunto dell’inconscio, a quello dell’este-tica, a quello più genericamente esistenziale. Dal punto di vista psicolo-gico, o ancora meglio psicoanalitico, il caos si pone come la qualità diquell’inconscio che, come si è visto, lo scrittore deve riportare sullapagina, in un’operazione che, se da un lato si propone di rappresentareil tumulto dell’interiorità, dall’altro tenta anche un parziale riordino di

L’avvicinamento alla psicoanalisi freudiana.

Il concetto di caos.

140 Paola Frandini, Il teatro della memoria. Giacomo Debenedetti dalle opere e i documenti cit. p. 235. 141 Ibidem. 142 Giorgio Voghera, Gli anni della psicoanalisi cit., p. 25. 143 Gino Brazzoduro, Roberto Bazlen: un’idea di letteratura a Trieste cit., p. 10. 144 Ibidem.145 Ibidem.

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essa, nell’ottica introspettiva ed autoanalitica che si è già evidenziata:l’artista, cioe, «viene [...] spinto da ragioni inconsce a dare formacoscientemente all’inconscio - tutto il resto è burocrazia, programma,vanità»146. Proprio quest’ultima nota permette di vedere, ancora unavolta, il nesso strettissimo che, nell’ottica di Bazlen, lega l’ambito delpensiero, della vita, dell’esperienza, con quello dell’arte e dell’estetica.Nel descrivere la parziale lettura che l’io scrivente può ancora esercita-re nei confronti del proprio mondo interiore e della realtà, infatti,Bazlen utilizza significativamente il termine forma: non, però, unaforma classica, statica, ma una forma che sappia rendersi flessibile peraderire all’ottica frammentaria dello scrittore. In questo modo il caos,concetto «decisivo in Bazlen, e movente recondito della sua sprezzatu-ra verso le norme del giudizio critico»147 diventa un precetto estetico,nell’ottica della distruzione e del superamento del passato.Particolarmente significative sono le sue parole in proposito: «da tantotempo gli intellettuali vivono seguendo una linea chiara, ma la lineachiara è nel caos»148. Alla luce di questa affermazione, si può compren-dere in cosa la «sprezzatura verso le norme del giudizio critico» consi-sta: essa è, in sostanza, l’adesione di Bazlen ad un’ottica di rifiuto delcanone classicista, dunque improntato alla razionalità, allo stile, all’equi-libro apollineo. Valori, questi, che egli rinnega per un’estetica contempo-ranea, ma che anche smaschera a posteriori nella loro fallacia originaria,denotandoli senza esitazioni come fallimentari: «la forma è il poloopposto del caos, non il definitivo superamento del caos. Equivoco del-l’estetica europea, del classicismo. L’artista classico crea la morte eter-na»149 (contrapposta, dunque, all’«arte di morire ogni secondo», checome si è visto significa la capacità di evoluzione e rinnovamento). Conil suo laconico giudizio circa il classicismo europeo Bazlen sembra cioèvoler indicare la presenza, al di là delle fasi storiche o letterarie, di unversante, quello dell’inconscio e del caos, dunque del dionisiaco e dellavitalità, che nessuna forma classica può in alcun modo irreggimentare:«non riconoscendo nel caos l’altra faccia della forma, l’estetica europeae di impianto classico si impania in un equivoco»150.

L’artista viene spinto daragioni inconsce a dareforma coscientementeall’inconscio.

L’artista classico crea lamorte eterna contrappostaall’arte di morire ognisecondo.

146 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 187. 147 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro, in «Studi novecenteschi», a. 14, n. 33, giu-gno 1987, p. 78. 148 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 213.149 Ivi, p. 188. 150 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro cit., p. 79.

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Alla luce del rilevamento di tale equivoco, dunque, Bazlen rivisita lapresentazione di Goethe come rappresentante della pacifica condizio-ne ottocentesca di «biografia assorbita nell’opera»151, dunque di equili-brio: «l’armonia della vita di Goethe»152 si configura ora come «nonapollinea»153, ma piuttosto «la più bella, la più ritmica alternanza diforma e caos»154.«Solo dei cattivi scrittori possono scrivere grandi romanzi (quanto mag-giore l’arte, tanto più piccoli i mondi)»155: il ragionamento di Bazlenapproda necessariamente ad un asserto paradossale, ad un punto di nonritorno, che si è raggiunto grazie all’acquisita consapevolezza che glistrumenti della scrittura letteraria in toto possono solo parzialmente rap-presentare la complessità del reale, e comunque solo a patto di soffo-carne una parte di vitalità. È il risultato del discorso teorico, dunque,che inibisce, in lui, lo stimolo alla scrittura, di modo che egli «prenden-dosi proprio alla lettera, divenne il paradosso vivente su cui si specchia-va la da lui osservata paradossalità inafferrabile del rapporto artista-opera»156. Come si è già accennato, tuttavia, l’impasse che Bazlen toccasul piano teorico è con estrema coerenza superata su quello delle scel-te di vita, che gli permettono di collocarsi «al confine e al di là della let-teratura»157, più precisamente sul terreno del lavoro editoriale.

1.2.2 Gli Scritti: Il capitano di lungo corso.

Da Bazlen credo che sarà impossibile ottenere qualcosa. È un pec-cato, ma bisogna rassegnarsi. Né io, né Saba, né alcun altro ha maicapito s’egli scrive. Il suo nome stampato gli farebbe paura; unavolta che lo nominai sull’Italia Letteraria mi disse di essere stato maleper alcuni giorni158.

151 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 184. 152 Ivi, p. 188. 153 Ibidem. 154 Ibidem. 155 Ivi, p. 189. 156 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro cit., p. 89. 157 Ivi, p. 76.158 Lettera di Pier Antonio Quarantotti Gambini ad Alberto Carocci, Trieste, 18 dicembre 1932, inLettere a «Solaria», a cura di Giuliano Manacorda cit., p. 397.

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In questa lettera del 18 dicembre 1932 di Quarantotti Gambini, che inun messaggio dell’anno precedente indicava Bazlen, insieme a Saba,come uno dei più fidati lettori dei suoi libri159, si può vedere una delleragioni, di natura unicamente caratteriale e personale, che lo portaronoa non voler pubblicare. Tale scelta, peraltro, caratterizza fortementel’immagine di Roberto Bazlen, a tratti quasi mitica, che alcuni critici esoprattutto le memorie di chi lo ha conosciuto restituiscono: riguardoad un atteggiamento simile da parte di un amico come GiacomoDebenedetti, addirittura, «qualcuno pensa alla diabolica influenza di BobiBazlen»160. Ad ogni modo, resta il fatto che questa riservatezza di natu-ra tutta personale non impedì a Bazlen di scrivere per se stesso, lascian-do alla sua morte un insieme di frammenti per un romanzo dal titolo Ilcapitano di lungo corso. Stando alle già citate «Notizie sui manoscritti», illavoro su di esso sarebbe iniziato nel secondo dopoguerra, periodo nelquale, riferisce Calasso sulla base delle testimonianze di Sergio Solmi,Luciano Foà, e Ljuba Blumenthal, Bazlen lesse agli amici degli stralcidel suo racconto, che in quegli anni consisteva in un insieme di circaquattrocento pagine. Ciò che oggi si trova pubblicato negli Scritti è latraduzione (essendo l’originale in tedesco) di un testo raccolto da diver-si testimoni, alcuni dattiloscritti e altri manoscritti, di dimensioni moltopiù snelle rispetto a quelle di cui parlano i ricordi appena citati. La frammentarietà dei testimoni del testo, l’incompiutezza della narra-zione e la sua disorganicità (rilevabile fra l’altro nella presenza di svilup-pi concorrenti dello svolgimento dell’intreccio) permettono di afferma-re che il valore di questa testimonianza di una scrittura narrativa daparte di Bazlen non risieda tanto nella qualità letteraria dello scritto,quanto invece nelle osservazioni più generali che esso permette di fare.Nel Capitano di lungo corso, infatti, si possono rintracciare le conseguen-

Il Capitano di lungo corso

159 A proposito del ruolo di Roberto Bazlen come lettore dei romanzi dello scrittore triestino, e inte-ressante considerare l’articolo ad opera di Daniela Picamus dal titolo «Bobi Bazlen e Primavera aTrieste di Pier Antonio Quarantotti Gambini». In esso, tramite l’analisi di alcune lettere inedite che idue si scambiarono tra il 1950 e il 1951, emerge con evidenza come, quantomeno a proposito diPrimavera di bellezza, Bazlen abbia svolto anche un’attività di editing, dal momento che le sue letterenon si limitano a un parere generico circa il romanzo, ma propongono rispetto ad esso modifichedi natura stilistica e, in qualche modo, anche contenutistica. Cfr. Daniela Picamus, «Bobi Bazlen ePrimavera a Trieste di Pier Antonio Quarantotti Gambini», in «Rivista di Letteratura italiana», a.XXIX, n. 1, 2011, pp. 137-147. 160 Paola Frandini, Il teatro della memoria. Giacomo Debenedetti dalle opere e i documenti cit., p. 286.

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ze dei risultati che Bazlen raccolse sul piano teorico: ad esempio, nellascelta di non pubblicare si scorge la volontà di non concedere ai propriscritti lo statuto di opera, per affermare ancora una volta la quasi tota-le fallibilità di essa. Anche perché, come si è visto, se tale fallibilità e inqualche modo arginabile, ciò può avvenire solo lasciando spazio all’ele-mento vitale e mutevole nella scrittura, così che essa si trova ad essereun flusso continuamente mobile, refrattario ad essere fermato nel libro:per Bazlen infatti «ogni opera letteraria è paradossalmente un limite»161,tanto che egli arriva ad affermare, a proposito di un ipotetico scrittore,che «già il fatto che abbia avuto bisogno di creare l’opera parla controla vitalità di quest’individuo»162. Quello che è ancora più interessanterilevare, tuttavia, è che anche internamente al racconto, dunque sulpiano dei contenuti, è possibile affermare che

le Note senza testo ed il Capitano di lungo corso sono indissolubilmentelegati fra loro, poiché s’illuminano a vicenda: il Capitano è una sortadi rappresentazione figurata delle Note che, a loro volta, rivelanomaggiore pregnanza alla luce del primo testo163.

Nel romanzo di Bazlen si trova narrata, seppur frammentariamente, lastoria di un uomo di mare e delle sue peregrinazioni ed avventure,secondo uno schema che ricorda da vicino quello dell’Odissea omeri-ca, oltre ad alludere in vari passi ad un’ampia gamma di modelli lettera-ri. Ed è appunto anche il suo collocarsi nel solco di una tradizione con-solidata che permette di vedere nel racconto «un’esperienza interioreesteriorizzata con l’aiuto di una storia ben nota»164. Questa affermazio-ne poggia, in primo luogo, sulle caratteristiche del protagonista delromanzo: un capitano di lungo corso che vive in una condizione di«disperazione senza oggetto»165, la quale si traduce in una condizione dinon volontà. Di fronte alla necessità di «in qualche modo, come unospettro, mettersi a fare qualcosa»166 egli infatti si autoconvince che «infondo ci si può concedere di non far nulla per un giorno, domani, dopo

L’opera concepita come unlimite.

161 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro cit., p. 88. 162 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 220. 163 Giulia De Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 135. 164 Ivi, p. 141.165 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 43. 166 Ivi, p. 56.

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aver dormito bene, metterà tutto a posto»167: in tali brevi notazioni delnarratore si possono vedere i caratteri di «un’esistenza già determinata,esiliata svevianamente dalla vita stessa»168. Ed è interessante notarecome l’inettitudine del capitano, frutto evidentemente della suggestio-ne dell’inettitudine dei personaggi di Svevo che Bazlen conoscevamolto bene, può essere ricondotta anche alle

due componenti fondamentali della vecchia Austria fra otto e nove-cento: vale a dire l’irripetibile storia dell’assimilazione ebraica, tra-sformata dagli scrittori in irripetibile metafora della condizione diesilio dell’uomo moderno169.

Se di certo Bazlen partecipò della cultura ebraica solo tangenzialmente,in quanto «fu battezzato fin dalla nascita e frequentò scuole cristiane»170,resta però il fatto che «crebbe in un ambiente prettamente ebraico egran parte dei suoi amici di gioventù furono ebrei»171. Soprattutto, comesi è già avuto modo di sottolineare, in quanto lettore egli percepì inprima persona le rielaborazioni letterarie della cultura ebraica primonovecentesca, da parte di quegli autori come «Musil, Kafka, Broch»172

che, anni dopo, avrebbe promosso in veste di consulente editoriale. Al di là della possibile derivazione ebraica e mitteleuropea del personag-gio, è inoltre opportuno sottolineare anche un altro aspetto che lo carat-terizza non marginalmente, tanto da essere chiamato in causa sin dallaprima pagina del romanzo: del capitano infatti si dice che «leggeva libripoco noti di cui aveva seguito le tracce di porto in porto»173 e che nellasua cabina «grandi pile di libri si innalzavano lungo le pareti»174. L’ulterioreconnotazione di lettore vorace e curioso, unitamente a quanto si e affer-mato fino ad ora, permette di osservare che «l’uomo, o meglio l’intellet-tuale contemporaneo, diviene [...] l’oggetto-soggetto della scrittura bazle-niana»175, e che la vicenda del capitano può essere considerata la rappre-

L’influenza della culturaebraica.

Le analogie fra Il Capitano ela figura dell’intellettualemoderno.

167 Ivi, p. 57. 168 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 109. 169 Giuseppe Antonio Camerino, Italo Svevo e la crisi della Mitteleuropa, Napoli, Liguori, 2002, p. 193. 170 Giorgio Voghera, Gli anni della psicoanalisi cit., p. 132. 171 Ibidem. Nel suo ricordo di Bazlen, peraltro, Giorgio Voghera conclude osservando senza mezzitermini che egli «non negò mai di sentirsi sostanzialmente ebreo». 172 Giuseppe Antonio Camerino, Italo Svevo e la crisi della Mitteleuropa cit., p. 194.173 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 23. 174 Ivi, p. 37. 175 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 109.

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sentazione allegorica non solo dell’intellettuale e dell’uomo moderno ingenerale, ma anche di se stesso in quanto partecipe delle stesse condizio-ni. Sulla base di questa possibile chiave interpretativa, alcuni episodi delromanzo acquistano una luce ed un significato particolari, che si cerche-rà ora di illustrare. Avendo constatato la propria condizione di difficoltàed inettitudine, ad esempio, il capitano pensa che «forse aveva preso lecose per il verso sbagliato, con la sua stupida, anchilosata mentalità euro-pea»176. Con «mentalità europea» Bazlen qui forse intende quella culturache, secondo lui, come si è visto, si è persa nell’equivoco e nel conflittofra arte e vita; lo può dimostrare la lettura del passo che segue, nel qualedopo la significativa domanda posta al capitano da una delle sirene cheincontra nel mare, egli si trova coinvolto in un naufragio:

Ascolta il canto, ti canto la tua vita, perché dov’è il confine fra canto e vita?[il corsivo è di chi scrive]. Ma a quanto pare quel confine c’era, e il Capitano a quanto pare eraarrivato al confine, il fischio della sirena della nave gli penetrò nellacarne, ci fu uno schianto improvviso, il Capitano si ritrovò in acqua177.

Di fronte a un disagio e ad un’inettitudine ai quali l’«anchilosata menta-lita europea» non è più in grado di far fronte, dunque, quello che Bazlenimmagina in sede narrativa è il tuffo nell’acqua, il trovarsi sbalzati inmare, in un contatto fisico con un elemento naturale, quello acquatico,che può essere inteso come simbolo di vitalità. Tale possibile interpre-tazione è suffragata dalle sensazioni che il capitano sente nel momentoin cui si trova a nuotare, e che sono tutte di segno positivo:

Finalmente l’aveva trovata, la nuova vita - lo choc dell’acqua freddaera molto forte, e questa fu l’unica cosa che gli venne in mente - lacosa che non gli venne in mente, è che però fece, fu di mettersi anuotare con energia - dopo essere stato tanto a lungo disteso eraquasi una gioia178.

Se il contatto con il mare corrisponde all’incontro con una «nuova vita»,

Il naufragio della «mentalitàeuropea».

176 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 57. 177 Ivi, p. 61.178 Ivi, p. 70.

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in essa si può forse allora vedere, alla luce di quanto osservato a propo-sito delle Note senza testo, quell’adesione al materiale inconscio, caotico evitale che scaturisce dall’esperienza autenticamente vissuta. In un com-plesso meccanismo di proiezioni, Bazlen dunque realizza, nei frammen-ti che compongono il suo racconto, quella che si potrebbe definire unamise en abime: per l’intellettuale - capitano, cioè, di fronte al disagio edall’inettitudine la soluzione non è il tentativo della scrittura, ma il tuffonell’acqua, nella «vera vita [che] vuol dire: inventare nuovi luoghi dovepoter naufragare»179. Per l’intellettuale - Bazlen, parallelamente, il tuffosignifica la scelta di non scrivere un’opera, ma di spendersi in un’espe-rienza attiva, che è quella, a parere di chi scrive, del lavoro editoriale. LeNote senza testo chiosano efficacemente tale nucleo di pensieri, in virtùdel quale di fronte all’impossibilità di scrivere qualcosa che abbia mag-giore pregnanza e spessore di una «nota a piè di pagina», l’unica solu-zione è volgersi ad altro, alla vita stessa, rispetto alla quale appuntol’opera non può che essere una nota irrisoria: «io credo che non si possapiù scrivere libri. Perciò non scrivo libri - quasi tutti i libri sono note apiè di pagina gonfiati in volumi»180. Di fronte a questa consapevolezza,dunque, Bazlen scelse di esercitare la propria passione letteraria nelmodo che gli risultava più congeniale, attraverso l’immissione nel circui-to editoriale di opere che riteneva aderenti ai propri canoni. In talmodo, attraverso la futura attività editoriale darà piena realizzazione allapropria «vocazione mercuriale di mettere in comunicazione persone,idee, libri»181, come già similmente era avvenuto nel rapporto conMontale, nel quale Bazlen aveva dato fra l’altro realizzazione alla pro-pria volontà di «stimolare il prossimo [...] alla “creatività”»182.

È, inoltre, interessante notare che il tema del rapporto fra arte e vita sitrova espresso nella scrittura di Bazlen anche attraverso la rivisitazionedi un mito, quello di Odisseo, che come si è visto egli riecheggia nellastruttura generale del Capitano di lungo corso e discute in sede teorica nellasezione delle Note senza testo intitolata «Antiulisse». Come si è accenna-to, infatti, il naufragio del capitano avviene in corrispondenza dell’in-contro con le sirene, con le quali egli dialoga e da una delle quali si senteporre l’allusiva domanda riguardo al rapporto tra «canto e vita». E se

Il tuffo come esperienzaattiva che oltrepassa il limitedell’opera.

179 Ivi, p. 170. 180 Ivi, p. 203. 181 Italo Calvino, La psiche e la pancia cit., pag. 20. 182 Gillo Dorfles, Quando l’intellettuale aiuta il genio altrui, in «Corriere della sera», 28 marzo 1984, p. 25.

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negli ultimi frammenti del romanzo egli afferma «la mia vita è comin-ciata soltanto quando mi sono messo a inseguire il canto delle sirene»183,questo indica che l’ascoltare tale canto, il quale corrisponde al «richia-mo del mondo umano che vuole essere esplorato e sperimentato intutti i suoi aspetti»184, è stato per il capitano un’esperienza positiva e rige-nerante. Il fatto che egli ascolti senza paura quello che «forse non eraun canto, era un sentirsi portare, un rifugio, una felicità»185 trova fra l’al-tro spiegazione, come si è accennato, nella sezione «Antiulisse» delleNote senza testo. Qui Bazlen, riferendosi all’eroe omerico, il quale intimaai propri compagni di legarlo all’albero della nave, per potere ascoltareil canto senza esserne dominato, commenta: «ascoltare legati il cantodelle Sirene: qui comincia la mancanza di rischio del piccolo borghe-se»186. In tal modo, il «piccolo borghese» diventa il «fenomeno di dege-nerazione»187 dell’eroe omerico, il quale, nella visione di Bazlen, rifuggedal rischio dell’esperienza, arrivando a configurarsi anche come un’im-magine simbolica dell’«anima insipida»188 dell’intellettuale. Attraversol’episodio delle sirene ed il suo approfondimento nelle Note senza testo,Bazlen dunque mette in discussione l’immagine tradizionale di un eroe,iniziata dall’Odissea omerica e continuata da diversi autori fino alla let-teratura contemporanea. Si fa qui riferimento in particolare all’opera diKafka, autore che come si è accennato Bazlen dovette conoscere moltobene ed amare particolarmente. In un breve racconto del 1917, intito-lato «Il silenzio delle sirene»189, l’Odisseo kafkiano non solo si fa legaredai compagni, ma anche chiede loro di turargli le orecchie, per non sen-tire quello che si rivela inaspettatamente essere non un canto, bensì unsilenzio: di fronte ad esso, l’eroe kafkiano rimane indifferente perché «èconsapevole di essere immune da ogni seduzione. Il canto delle sirenenon è per lui una tentazione, ma nemmeno il loro silenzio lo tocca»190.Anche Kafka, dunque, parzialmente rielabora l’immagine omerica del-l’eroe, sottolineando particolarmente il suo impegno per difendersi dal

Il silenzio delle sirene di Kafka(1917).

183 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 139. 184 Giulia De Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 166. 185 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 58. 186 Ivi, p. 209. 187 Ivi, p. 210. 188 Ivi, p. 211. 189 Franz Kafka, Racconti, a cura di Ervino Pocar, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1970, pp.428-429.190 Giuliano Baioni, Kafka letteratura ed ebraismo, Torino, Einaudi, 1984, p. 228.

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canto, e la sua indifferenza alla seduzione delle sirene. Ma la posizionedi Bazlen si rivela ancora diversa da quella appena esposta, dal momen-to che nel suo romanzo «il Capitano [...] trova una sua personale formadi liberazione nell’andare incontro alle Sirene»191. La visione che Bazlenoffre dell’eroe omerico può dunque ricordare piuttosto la curiositasdell’Ulisse dantesco e soprattutto, se si guarda alla già considerata pre-sentazione di Ulisse come immagine allegorica dell’intellettuale, essaconferma quanto si è precedentemente visto a proposito del pensierodi Bazlen. Ovvero, come Manuela La Ferla riassume efficacemente, nelfatto che il capitano scelga di lasciarsi incantare dal vitale canto dellesirene si può vedere una figurazione della

sua [di Bazlen] indiretta dichiarazione etica di non volere, nell’Artecome nella Vita, restare al di qua di quella soglia dove il possibilediventa solo letteratura, ma di oltrepassarla continuamente, sugge-rendo il senso di una scelta opposta all’Opera come tutto compiu-to in ogni sua parte192.

Se, come si è già ipotizzato, la «scelta opposta all’Opera» significa perBazlen l’opzione del campo editoriale, si possono allora provare a rin-tracciare nel Capitano di lungo corso alcune altre rappresentazioni allegori-che di questa attività o elementi di influenza delle proposte editoriali sulsuo romanzo. In primo luogo, il Bazlen che per diverse case editrici(una su tutte Astrolabio) fu convinto promotore della pubblicazionedelle opere di Freud e Jung, e in alcuni casi anche loro traduttore, subi-sce nella propria scrittura l’influenza di alcune delle loro teorie. Se,infatti, il concetto freudiano di inconscio ha un ruolo molto preciso erilevante nella formulazione di quello di caos nelle Note senza testo,accanto ad esso nel Capitano di lungo corso si può vedere l’emergere del-l’influenza di Jung sul pensiero e soprattutto sugli interessi di Bazlen.Tale passaggio è testimoniato a livello biografico dal già citato GiorgioVoghera, il quale riferisce che

ad un dato punto egli si accorse che i freudiani erano troppo razio-nalisti [...]; ed allora, unico nella nostra cerchia, passò con armi ebagagli a Jung, nella cui psicologia analitica lo attraevano gli addentel-

Il lavoro editoriale comescelta opposta all’opera.

191 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 134. 192 Ibidem.

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lati con l’alchimia, l’astrologia, la magia, le filosofie e le religioni orien-tali, tutte discipline a cui “Bobi” si dedicava con grande entusiasmo193.

Del nuovo interesse di Bazlen si può forse vedere una prima traccia nel-l’utilizzo che viene fatto del mito, concetto fondamentale nel sistema dipensiero junghiano e, come si è visto, di una certa rilevanza anche nelcaso del Capitano di lungo corso. Più in generale, si può affermare che nellastesura del romanzo fra le diverse componenti delle tesi junghiane eglisia rimasto «influenzato particolarmente da quelle teorie concernenti losviluppo dei problemi dell’universo umano, [...] riconducibili alla sferadell’arte, della letteratura, della filosofia»194. Così, ad esempio,

la soluzione del conflitto fra conscio ed inconscio per Jung, comeanche per Bazlen, è una via di riconciliazione tra gli aspetti oppostidell’essere. Possiamo intravedere nell’opera di Bazlen l’interesse perla soluzione di questo conflitto interiore [...]. Il Capitano vince lalotta tra i vari aspetti del suo Io: l’empirico, l’ideale e il reale e conil naufragio raggiunge l’affermazione del suo Io reale, proprioseguendo il mare, simbolo dell’inconscio195.

Resta peraltro da appuntare il fatto che, come si è accennato, il mare èun elemento fortemente sentito e carico di risvolti simbolici per moltiautori ebrei, ad esempio i già citati Kafka e Joseph Roth: autori che fral’altro si servono ampiamente della simbologia legata all’Odissea196.Diventa così possibile ancora una volta vedere come la scrittura diBazlen rielabori in sede narrativa gli stimoli culturali percepiti in gioven-tù, per ritradurli poi in forma di proposte editoriali. Delle opere diRoth, ad esempio, Bazlen caldeggerà la pubblicazione presso Einaudinegli anni ’60: ma su questo aspetto si avrà modo di tornare. Allo stes-so modo, una figurazione che arricchisce la connessione fra alcunispunti narrativi presenti nel Capitano di lungo corso ed il lavoro editorialedi Bazlen è costituita dal personaggio dell’Orientale. Questa misteriosafigura viene presentata di scorcio, come un «amico»197 che il capitano di

L’avvicinamento al pensierojunghiano.

193 Giorgio Voghera, Gli anni della psicoanalisi cit., p. 25.194 Paola Zelco, Roberto Bazlen mediatore fra due culture, in «Capriccio di Strauss», a. I, n. I, giugno1993, p. 14.195 Ibidem. 196 Quest’ultimo aspetto e messo in rilievo in un interessante saggio di Claudio Magris: L’Ulisse ebraico-orientale. Joseph Roth fra l’Impero e l’esilio, in «Studi Germanici», a. VII, n. 2, giugno 1970, pp. 179-223.197 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 40.

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lì a poco «finalmente»198 rincontrerà: e il fatto che essa abbia una valen-za positiva per il capitano è confermato dalla continuazione del passogià citato, in cui si denuncia la manchevolezza della «stupida, anchilosa-ta mentalità europea»199. Di seguito a tale amara osservazione, infatti, sitrova scritto:

Come tutto era sciolto, invece, nel suo amico, il capitano che venivadall’Oriente - tutta l’Europa ha preso le cose per il verso sbagliato,non si tratta di volontà, non si tratta di programma, non si tratta dirotte calcolate, quanto più si fanno i calcoli, tanto più ci si allontanadalle Sirene, le Sirene sono figlie del caso, questa volta si sarebbe affi-dato al mare, il mare forse lo avrebbe spinto nella direzione giusta200.

Il personaggio dell’Orientale, dunque, è posto in connessione con ele-menti, quali le sirene o il mare, i quali simboleggiano per Bazlen la vita-lità e un’opzione di vita alternativa: di questi modi di vita, stando alpasso appena citato, l’Orientale partecipa, e li rappresenta agli occhi delcapitano. Nella possibile ottica interpretativa che si è proposta in que-sta sede - e che vede una reciproca illuminazione fra l’opera narrativa diBazlen e la più rilevante attività editoriale - tale corrispondenza puòallora acquistare nuova profondità se, come Giorgio Voghera ha evi-denziato, una delle suggestioni che egli trasse dal pensiero junghiano furelativa alle «filosofie e religioni orientali»201. Questo originale, almenonel contesto della cultura italiana, interessamento è corredato da unodegli aforismi delle Note senza testo, nel quale Bazlen annuncia con nonsi sa quanto affettato piacere la fine di una cultura, nel momento in cuiafferma che «l’Occidente è in cocci... i cocci portano fortuna»202. È forsein seguito a questa consapevolezza che negli anni Cinquanta Bazlenpropone con una certa convinzione, tra «i testi mitologici, religiosi, ini-ziatici, folkloristici»203 che secondo lui costituiscono «gran parte dellecose più vive di questo mondo»204, titoli ed autori orientali comeConfucio, Milarepa (un santo tibetano), ed infine il romanzo cinese del

“L’occidente è in cocci... icocci portano fortuna.”

198 Ibidem.199 Ivi, p. 57. 200 Ivi, pp. 57-58. 201 Giorgio Voghera, Gli anni della psicoanalisi cit., p. 25.202 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 231.203 Citazione tratta da una lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà del 3 luglio 1953 (ArchivioEinaudi, incartamento Bazlen). Per i documenti tratti dall’Archivio Einaudi si farà utilizzo d’orain avanti della sigla AE.204 Ibidem.

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XVIII secolo Il sogno della camera rossa (oltre all’alchimista Paracelso, pro-posta questa che evidentemente scaturisce dalle suggestioni tratte,come Voghera sottolinea, dalla psicologia analitica junghiana). Come ènoto, il tentativo di diffusione del “pensiero dell’Orientale” verrà pro-seguito negli anni Sessanta con ancora maggiore energia dalla casa edi-trice Adelphi: a testimonianza di questo, oltre alla frequenza di titoliorientali fra quelli proposti, si può citare la dichiarazione di RobertoCalasso secondo il quale «per Adelphi l’Oriente è sempre stato un car-dine del programma»205. Questa affermazione costituisce solo una delletante prove del fatto che la proposta editoriale di Adelphi, come si avràmodo di vedere in seguito, debba moltissimo al pensiero e agli interes-si di Bazlen. E non è forse improprio, in conclusione, vedere un nessofra l’elitarismo che caratterizza la casa editrice milanese, se non altro perla sua «resistenza agli imperativi del mercato»206 ed il suo rivolgersi perlo più alla «nicchia dei lettori forti»207, e l’immagine che Bazlen dovevaavere del pubblico potenziale delle opere da lui proposte. Essa si trovaadombrata nell’impietosa descrizione di un’immaginaria popolazioneurbana che si legge nel Capitano di lungo corso:

Ora conosco la città degli Uomini Grigi, che lavorano durante lasettimana e la domenica hanno le loro gioie e i loro compleanni:allora si abbracciano e si augurano innumerevoli altre identiche set-timane lavorative e domeniche di allegria e innumerevoli altri com-pleanni per abbracciarsi e settimane lavorative... – ora non ho piùbisogno di avere una cattiva coscienza – ho vissuto la loro vita,devo proprio aver avuto una cattiva coscienza e così ho vissuto laloro vita, ora li posso disprezzare con buona coscienza208.

Da questo quadro, evidentemente, si distinguevano quelli che con unacerta consapevolezza editoriale Bazlen chiama in una sua lettera «i let-tori di “Adelphi”»209, dunque appunto una «nicchia» colta e raffinata. Mache per il lettore medio ritratto nel passo appena citato Bazlen vedesse

La diffusione del pensieroorientale che poi influenzerà il programma di Adelphi.

205 Cesare Medail, Calasso: sono insegnamenti segreti. In Tibet c’è chi guarda con sospetto, in «Corriere dellasera», 26 novembre 1994, p. 33.206 Francesca Borrelli, Editoria. Anche il mercato ha un’anima raffinata, in «Il Manifesto», 31 ottobre1996, pp. 24.207 Ibidem. 208 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 99.209 Lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà (casa editrice Adelphi), 18 febbraio 1963, in Ivi, p. 330.

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l’opportunità di un arricchimento culturale, e dunque la necessità di unimpegno per guidarlo in tal senso, è testimoniato ad esempio dal passoche segue, tratto da una delle Lettere editoriali: «di libri importanti e sti-molanti ne nascono pochi. E perché, stimolati noi, evitare che venganostimolati gli altri? Gli altri (e particolarmente in Italy) ne hanno piùbisogno di noi»210.

210 Lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà (casa editrice Einaudi), 14 luglio 1960, in Ivi, p. 302.

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2. La collaborazione con le Nuove Edizioni Ivrea e l’AgenziaLetteraria Internazionale.

2.1 Bazlen a Milano: conoscenze e collaborazioni.

Come si è accennato nel capitolo precedente, nel 1934, «deluso da nume-rosi amici e dall’atmosfera triestina nel suo insieme»1, Roberto Bazlen sitrasferì a Milano, dove poté approfondire le sue già vaste conoscenze nelmondo editoriale e culturale, estendendole anche in altre città ed inizian-do, grazie ad esse, la propria attività editoriale, che portò avanti fino aglianni Sessanta. Oltre alle già viste ragioni teoriche che lo spinsero in taledirezione, si può supporre che un ruolo importante nell’introduzione diBazlen negli ambienti editoriali abbia avuto Luciano Foà, conosciuto nel1937, con il quale egli intrattenne un rapporto di profonda amicizia e col-laborazione professionale che porterà alla fondazione di Adelphi, unaventina d’anni più tardi. Nato nel 1915, dunque considerevolmente piùgiovane dell’amico, al momento del suo incontro con Bazlen Foà lavora-va da tre anni presso L’Agenzia Letteraria Internazionale, fondata nel1898 da suo padre Augusto. Istituzione di assoluta rilevanza nel panora-ma letterario-editoriale italiano, l’Agenzia si occupava di proporre, anchenei difficili anni del fascismo, opere di autori stranieri agli editori italiani,e viceversa opere italiane all’estero. Le circostanze del proprio incontrocon Bazlen sono raccontate da Foà in un’intervista rilasciata a DomenicoPorzio, della quale purtroppo non si conosce la data. Da essa, ad ognimodo, emerge che da tempo Foà meditava la creazione di «una specie di

Nel 1934 Bazlen arriva aMilano.

L’incontro nel 1937 conLuciano Foà con cui intrattenne una profondaamicizia e collaborazioneprofessionale.

1 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 75.

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Times Literary Supplement che informasse gli italiani di quello che sipubblicava all’estero, soprattutto»2. Ma la realizzazione di tale progetto,che trovava riscontro nell’esigenza espressa da molti intellettuali italiani diaprirsi alla conoscenza delle letterature straniere, gli fu sconsigliata da«tedeschi immigrati che avevano una specie di biblioteca circolante di libritedeschi»3. La testimonianza appena citata può essere approfondita echiarificata mediante il confronto con un’altra intervista, rilasciata a «IlPiccolo» di Trieste. Qui infatti Foà parla di «un Circolo Letterario fonda-to e gestito da una coppia di emigrati tedeschi, ebrei»4, i quali appunto glipresentarono «una persona che, meglio di ogni altra, poteva dar[gli] unconsiglio su quella [...] idea»5. Così Foà, nell’intervista lasciata a Porzio,descrive l’inizio della sua amicizia con Bazlen e, di scorcio, l’attività chequest’ultimo svolgeva in quegli anni.

Allora mi hanno presentato Bazlen, il quale mi ha subito dissuasodicendo che una cosa simile in Italia non si poteva fare perchél’avrebbero subito boicottata, sequestrata. Però è stato l’inizio dellanostra amicizia. Lui allora faceva, lo ha fatto per alcuni mesi, il con-sulente per Frassinelli, poi ha fatto altro6.

Bazlen dunque aveva, ed è questo un aspetto che si e già parzialmentevisto rispetto alla sua attività negli anni triestini, una certa sensibilitàrispetto al problema del possibile ed auspicabile dialogo con gli editorie gli intellettuali dei paesi stranieri, ma doveva anche ben comprenderele resistenze opposte dal regime in tal senso: secondo Bazlen, infatti, «ilMinculpop non [...] avrebbe permesso»7 la realizzazione del progetto.Dopo tale episodio, peraltro, in entrambe le interviste Foà aggiunge cheBazlen iniziò a collaborare con l’Agenzia, consigliando autori italiani daproporre all’estero, e contemporaneamente compiendo un’«azionepedagogica»8 nei suoi confronti, cioè aiutandolo ad approfondire le

L’idea di Foà di fondare unaspecie di Times LibrarySupplement che informassegli italiani delle uscite edito-riali all’estero.

2 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio, inter-vista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.3 Ibidem.4 Gabriella Ziani, Scrisse sempre, ma non finì mai, in «Il Piccolo», 14 aprile 1993, p. 4.5 Ibidem.6 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio, inter-vista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.7 Gabriella Ziani, Scrisse sempre, ma non finì mai cit., p. 4.8 Ibidem.

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proprie conoscenze di autori italiani, come Gadda, Vittorini eQuarantotti Gambini, e stranieri come Musil e Broch. Quel che più conta, però, è l’impegno che, a cavallo fra gli anni Trentae Quaranta, Bazlen mise nello stimolare la pubblicazione in Italia diopere straniere, impegno che si concretizzò soprattutto nella collabora-zione con la casa editrice Frassinelli, citata da Foà, e le Nuove EdizioniIvrea. La natura della collaborazione di Bazlen con quest’ultima casaeditrice verrà approfondita nel prossimo paragrafo, mentre, per quantoriguarda i suoi contatti con Frassinelli, fondata a Torino nel 1931, lamancanza di materiale documentario non permette, purtroppo, unatrattazione particolareggiata. Si può comunque ipotizzare, conoscendoil progetto della casa editrice di «aprire una finestra sulla grande lettera-tura internazionale»9 e i gusti letterari ed editoriali di Bazlen, che que-st’ultimo assolvesse al ruolo di consulente editoriale per le opere stra-niere. D’altronde, in una testimonianza Foà ricorda che «Bobi vennealla nostra agenzia letteraria insieme con l’editore Frassinelli, di cui aquel tempo egli era consulente, per vedere se avevamo qualche buonromanzo straniero per la pubblicazione in Italia»10. Bazlen, in effetti,presumibilmente appoggiava con entusiasmo l’apertura alle letteraturestraniere che intellettuali come Cesare Pavese o Leone Ginzburg pro-muovevano attraverso le pubblicazioni della casa editrice: si sa peròanche che egli era «consulente di Frassinelli perché amico di FrancoAntonicelli»11, principale artefice della nota collana dall’evocativo nomedi «Biblioteca Europea», il quale nel suo essere «editore di un crociane-simo eretico, ma soprattutto con un grande respiro europeo»12 incon-trava certamente l’approvazione di Bazlen. Fatte queste considerazioni,l’unico titolo di Frassinelli13 a proposito del quale si può ipotizzare l’in-fluenza di Bazlen sarebbe Il messaggio dell’imperatore di Kafka, un’opera lacui pubblicazione si colloca tuttavia nel 1935, dunque prima dell’inizio

La collaborazione con laFrassinelli e le NuoveEdizioni di Ivrea.

9 Catalogo storico edizioni Frassinelli, 1931-1991, a cura di Roberta Oliva, Milano, Frassinelli, 1991, p.VII.10 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana, Roma, Astrolabio, 1977, p. 130.11 Ernesto Ferrero, Foà l’editore al futuro, in «La Stampa», 26 gennaio 2005, p. 25.12 Vanni Scheiwiller, Un editore ideale, in Franco Antonicelli: “dell’impegno culturale”, a cura di AngeloStella, Università degli Studi di Pavia, Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di Autorimoderni e contemporanei, Pavia, 1996, p. 54.13 È opportuno ricordare, comunque, che l‘intero catalogo Frassinelli sarà acquisito, non a caso,da Adelphi, nel 1966.

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della sua collaborazione «ufficiale» con la casa editrice. A sollevare que-sta ipotesi è Vanni Scheiwiller, nel suo ricordo relativo al lavoro edito-riale di Franco Antonicelli in relazione alla «Biblioteca Europea»:

Un altro grosso avvenimento, ma tutta la collana è straordinaria,sono il n. 7 e il n. 8, ben due titoli di Franz Kafka: Il Processo [...] eIl messaggio dell’imperatore, nella traduzione di Anita Rho, che è del’35. Anche qui, l’indicazione di Kafka è probabilmente venuta aAntonicelli attraverso quel rabdomantico scopritore di ingegni chefu Bobi Bazlen, il quale, [...], avrà dato una certa segnalazione al suoamico editore e tipografo14.

È interessante notare, fra l’altro, che, subito di seguito alla testimonian-za sopra riportata, Scheiwiller identifica Giuseppe Menasse (primo tra-duttore, negli anni Venti, di Kafka in Italia) come «un altro», evidente-mente oltre a Bazlen, «difficile amico di Montale»15: si è invece visto nelprimo capitolo del presente lavoro che al contrario Menasse era statopresentato al poeta proprio da Bazlen.

2.2 Il progetto delle Nuove Edizioni Ivrea.

La conoscenza di Bazlen con Adriano Olivetti, allora marito della suaamica Paola Levi, risale al 1939, quando, lasciata Milano, egli si trasferìa Roma. A tale proposito, può essere utile la lettura di una testimonian-za dattiloscritta ad opera di Luciano Foà, forse la brutta copia di un arti-colo16: in questo ricordo, datato 1994, Foà riferisce di lunghe conversa-zioni che a partire dal 1939 Bazlen e Olivetti ebbero a Roma, e che cul-minarono nell’«idea di creare una casa editrice che si preparasse fin daallora - [...] - ad affermarsi dopo la caduta del fascismo»17. Bazlen ed

L’incontro con AdrianoOlivetti.

14 Vanni Scheiwiller, Un editore ideale cit., p. 48.15 Ibidem.16 Si tratta di sette fogli dattiloscritti, che recano solo l’indicazione 1994. Pur non avendo esplici-tato il nome dell’autore, sono attribuibili a Luciano Foà. La copia del dattiloscritto e stata forni-ta da Gianni Antonini, a suo tempo fondatore della casa editrice Cederna e responsabile dellaredazione Ricciardi dal 1951 al 1972. Lo stesso Antonini, peraltro, non sa aggiungere informa-zioni sulla destinazione dello scritto. La citazione riportata si trova a pag. 1. D’ora in poi saràsegnalato in nota come Foà, seguito dal numero di pagina.17 Foà, p.1.

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Olivetti dovettero dunque elaborare concretamente il piano editoriale diquelle che, per brevissimo tempo, e con sole tre pubblicazioni effettiva-mente realizzate, sarebbero divenute le Nuove Edizione Ivrea. A pro-posito di esse, dunque, è bene tenere a mente che si trattò di un proget-to solo in minima parte concretizzato, ma le cui caratteristiche, sullabase delle notizie e dei documenti che è stato possibile raccogliere, sonodi grande interesse come testimonianza sia di un’attività culturaledurante gli anni del regime, sia di un momento non irrilevante nell’ope-rato editoriale di Bazlen. Nel suo dattiloscritto, Foà racconta che il pro-getto di Bazlen ed Olivetti era rivolto principalmente alla pubblicazio-ne di «autori la cui conoscenza era stata ostacolata in Italia non sola-mente dall’ideologia politica, ma anche da una certa arretratezza, uncerto provincialismo della nostra cultura»18. Per meglio comprendere lospirito di Bazlen rispetto all’iniziativa e più in generale la sua completaautonomia rispetto a etichette ideologiche e a forme di pensiero mono-litiche, è tuttavia bene citare quanto anni dopo, nel 1962, egli afferme-ra in una lettera editoriale rivolta alla casa editrice Adelphi. Qui, riflet-tendo a proposito della «reazione contro la massa»19 che secondo luicaratterizza molti intellettuali, Bazlen designa questi ultimi con la cau-stica definizione di «massa antimassa»20, confrontando poi questa situa-zione con quella del «fascismo all’epoca delle N.E.I. [Nuove EdizioniIvrea]»21: in quegli anni, infatti, secondo Bazlen i fascisti

non esistevano più. Il pericolo erano gli antifascisti che invece ditentare di capire si mettevano sul piano dei fascisti, e si riducevanoa una qualsiasi negativa di una qualsiasi positiva; ma con argomen-ti che potevano essere anche nostri. [...]. Io che notoriamente dicoparadossi avevo inventato l’anti-anti-fascismo. Non sono passati daallora nemmeno 20 anni22.

Sembra, dunque, da queste parole, che le ragioni della partecipazione diBazlen al progetto di Olivetti fossero per così dire eminentemente cul-turali: non politiche, visto che da queste ultime Bazlen non fu mai spin-

Le Nuove Edizioni di Ivrea.

Un progetto che avrebbevisto protagonisti gli autoriinvisi al fascismo.

L’anti-anti-fascismo diBazlen.

18 Ibidem.19 Lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà (casa editrice Adelphi), 31 agosto 1962, in RobertoBazlen, Scritti cit., p. 322.20 Ivi, p. 323.21 Ibidem.22 Ibidem.

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to ad agire. Questo particolare aspetto caratterizzò con una certa forzala sua personalità, tanto che Gianni Stuparich la elegge a rappresentan-te di un’intera generazione, nel momento in cui rileva lo stacco fra lapropria e quella che «si trovò davanti al fascismo»23. Di fronte ai «gros-solani miraggi»24 dell’ideologia fascista, infatti, secondo Stuparich «chiallora possedeva una sensibilità interiore, era costretto a ritirarsi [...] e,per contrasto, raffinarsi ancor più nel proprio mondo cerebrale»25. Ad ogni modo, al di là delle ragioni personali di Bazlen, gli aspetti di«arretratezza» e «provincialismo» che lui e Olivetti percepivano all’inter-no della cultura italiana sono specificati da Foà nell’intervista rilasciataa Domenico Porzio, dove egli li identifica, oltre che con il fascismo, con«l’idealismo, il crocianesimo»26: la congiunzione di tali forze, per moltis-simi aspetti in realtà fra loro avverse, impediva infatti la pubblicazionedi opere che spaziavano dalla «cultura religiosa, alle avanguardie lettera-rie straniere all’inizio del secolo a grandi scrittori del sette - ottocento[...], dallo studio delle civiltà antiche alla filosofia, a testi teorici dell’eco-nomia e della politica»27. Sempre secondo le varie testimonianze diLuciano Foà citate in questa sede, il caso più eclatante, oltre a quellodelle letterature straniere in generale, era quello della psicanalisi. Adessa, intesa non solo come possibile proposta editoriale, ma anche ingenerale come nuovo eventuale apporto alla cultura italiana, opponeva-no una certa resistenza sia Croce, che faceva dell’avversione alla psica-nalisi e alla psicologia una componente della propria «reazione antipo-sitivista»28, sia il regime fascista, per quanto secondo alcuni si debba«sfumare il quadro della “persecuzione” antipsicoanalitica da parte delregime»29. Resta il fatto che, soprattutto dopo l’emanazione delle leggirazziali, l’antisemitismo, sulla scorta di quanto avveniva in Germania,«aveva condannato a un non sempre metaforico rogo le opere di Freude dei suoi discepoli»30, così che gli studiosi o i medici che in qualche

Il fascismo, il crocianesimoe l’idealismo: aspetti delprovincialismo e dell’arretratezza della cultura italiana.

L’ostilità verso la psicoanalisi.

23 Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi cit., p. 16.24 Ibidem25 Ibidem26 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.27 Intervento di Luciano Foà al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993. Orain Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dal Gruppo ’85,Udine, Campanotto Editore, 1995, p. 14. 28 Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino, Paolo Boringhieri Editore, 1966, p. 23. 29 Ivi, p. 49. 30 Ivi, p. 66.

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modo, parlandone o praticandola, si occupavano di psicoanalisi «dovet-tero chiamarla con nome diverso, giungendo talora a evitare ogni rife-rimento, che non fosse aggressivamente polemico, a Freud»31. Per que-ste ragioni nel 1939 Edoardo Weiss si trasferì negli Stati Uniti, e con luidiversi psicoanalisti ebrei, di modo che «dai primi del 1939 sino a tuttoil 1945, in Italia non si parlò praticamente più di psicoanalisi»32. Di fron-te allo stato di cose appena descritto, si possono comprendere chiara-mente le ragioni per cui «Olivetti si era messo in testa di fare la casa edi-trice, la grande casa editrice, che si presentava alla caduta del fascismo»33

per superarne le chiusure, anche grazie alla pubblicazione di testi che«in varissimi campi [...] erano in gran parte scoperte di Bazlen»34.Per la verità, l’attività delle Nuove Edizioni Ivrea si colloca ben primadella caduta del fascismo, se si considera che il progetto iniziò ad esse-re vagliato già dal 1938-1939, e che Olivetti si mobilitò per la sua attua-zione nel 1941, quando ad essere coinvolto fu lo stesso Luciano Foà. Inun ricordo raccolto da Giorgio Soavi, infatti, egli racconta che «nell’au-tunno del 1941 [...] Adriano si era presentato [all’Agenzia LetterariaInternazionale] dicendo che voleva fare una casa editrice»35. È interes-sante notare che Olivetti si presentò «come amico di Bobi Bazlen»36, ilquale, racconta Foà, «doveva avergli parlato spesso di me, in vista delsuo progetto editoriale»37. Che la sola pianificazione della nascita delleNuove Edizione Ivrea potesse incontrare moltissime difficoltà è testi-moniato dal fatto che anche l’attività dell’Agenzia Letteraria fronteggia-va in quegli anni forti resistenze, in quanto «non era permesso pubbli-care libri inglesi, americani, francesi a causa della guerra, e dovevamosolo limitarci agli autori tedeschi, danesi o svedesi o di altri paesi neu-trali»38. Tutti i fattori fino ad ora accennati, che spaziano dunque dallasemplice chiusura culturale alla vera e propria censura, non impedironocomunque al gruppo costituito da Olivetti, Bazlen e il neo arrivato Foà

La psicoanalisi in Italia dal1939 al 1945

L’“ostracismo” nei confronti di libri inglesi,americani, francesi

31 Ibidem. 32 Ibidem.33 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.. 34 Ibidem.35 Giorgio Soavi, Italiani anche questi, Milano, Rizzoli, 1979, p. 132.36 Ibidem.37 Ibidem.38 Ibidem.

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di mettersi al lavoro, anche nell’ottica di «cominciare a pubblicare qual-cosa, senza far nascere troppi sospetti, ancora prima della caduta delfascismo»39. La sede della casa editrice fu così stabilita in un primomomento a Milano, anche se a partire dal 1942, in seguito ai bombar-damenti che iniziarono a colpire la città, Olivetti decise il trasferimentoa Ivrea. Nella sua testimonianza dattiloscritta, Foà delinea con una certaprecisione il tipo di lavoro che si andava svolgendo in quel periodo: frai propri compiti, ad esempio, egli cita la ricerca di traduttori, la curadelle relazioni con gli editori stranieri per l’acquisizione dei diritti dipubblicazione, ed infine il «tenere i rapporti tra Adriano a Ivrea eBazlen a Roma»40. Si è già accennato che il ruolo di Bazlen nella stesu-ra di una grande parte del programma editoriale delle Nuove EdizioniIvrea dovette essere fondamentale. A tale proposito, Foà fornisce unadescrizione molto precisa dei caratteri del suo lavoro in questo periodo.Così infatti scrive Foà:

Bazlen [...] mi tempestava di foglietti, ognuno dei quali era dedica-to o a una nuova proposta di pubblicazione, o a un suo parere suun libro letto, o a una sua richiesta di testi da esaminare o alla noti-zia di un suo incontro con una persona come possibile nostro futu-ro autore o possibile traduttore, [...]. La sua attività, in quei due anniscarsi che durarono le “Nuove Edizioni Ivrea”, superava ogniimmaginazione41.

La testimonianza appena riportata risulta di grande interesse, in quan-to, oltre a provare il forte impegno che Bazlen mise nella collaborazio-ne al progetto di Adriano Olivetti (forse anche «coinvolgendo nella ste-sura del programma la compagna Ljuba Blumenthal»42), permette difornire una prima immagine del suo metodo di lavoro, che egli manter-rà immutato fino alla collaborazione con Einaudi e, molto probabil-mente, con Adelphi. Di fatto, però, Foà afferma anche che i circa due-mila foglietti recanti «consigli di libri e contatti con gente»43 che in quelperiodo Bazlen gli inviò «andarono smarriti dopo la nostra diaspora

La sede delle NuoveEdizioni di Ivrea dapprimaa Milano e dal 1942 a Ivrea.

Il ruolo di Foà.

L’apporto di Bazlen alleNuove Edizioni di Ivrea.

39 Ivi, p. 133.40 Foà, pag. 4.41 Ibidem. 42 Dario Biagi, Il dio di carta: vita di Erich Linder, Roma, Avagliano Editore, 2007, p. 43. 43 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foa, s.d..

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dell’8 settembre ’43»44: ed a nulla sarebbero servite le ricerche che Foàafferma, nell’intervista rilasciata a Domenico Porzio, di avere fatto farein «vari archivi»45. Successivamente a questa data, infatti, il progettoriguardante la nascita della casa editrice venne accantonato, per risorge-re nel dopoguerra nelle Edizioni di Comunità. Dopo il periodo di reclu-sione vissuto da Olivetti nel luglio del 1943 per via della sua attività diopposizione al regime, è infatti

convinzione comune che [...] sull’uomo prevalgano gli interessi dicarattere immediatamente politico, e che quindi il programma delleNuove Edizioni Ivrea si disperda insieme con il gruppo che vi lavo-rava, in quel clima di generale smobilitazione che il precipitare deglieventi di guerra provoca in Italia46.

Come si e già accennato, le Nuove Edizioni Ivrea dettero alle stampesolo tre titoli, ovvero, nel 1943, gli Studi e proposte preliminari per il PianoRegolatore della Valle d’Aosta (un progetto diretto dallo stesso Olivetti) eLa vocazione umana, dello storico dell’età romana Aldo Ferrabino. SegueL’ordine politico delle Comunità di Adriano Olivetti, stampato in Svizzeranel 1945 ma ancora recante la sigla delle Nuove Edizioni Ivrea. Un pic-colo gruppo di opere dunque, che non si può certo ritenere rappresen-tativo della rilevanza del progetto in generale, ed in particolare dellospecifico contributo che ad esso Bazlen apportò.

2.2.1 Le collane delle Nuove Edizioni Ivrea.

Se evidentemente gli archivi non possono riportare alla luce le provecerte della collaborazione di Roberto Bazlen con le Nuove EdizioniIvrea, resta però il fatto che Foà stesso testimonia che «un certo nume-ro di opere scelte da Bazlen per Olivetti apparvero poi nelle collane diRosa e Ballo e della Cederna, per confluire più tardi nell’opera diAdelphi»47. La ricerca in archivio, dunque, può aiutare a illuminare alme-

Dopo il 1943 le NuoveEdizioni di Ivrea vennerosospese fino a risorgere nel1946 con le Edizioni diComunità.

Gli unici titoli delle NuoveEdizioni di Ivrea.

Il "Fondo Olivetti" nel cata-logo Rosa e Ballo, Cedernae Adelphi

44 Foà, p.4. 45 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foa, s.d.. 46 Beniamino de’ Liguori Carino, Adriano Olivetti e le Edizioni di Comunità (1946-1960), Roma,Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, n. 57, 2008, p. 57.47 Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dal Gruppo ’85

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no una parte della proposta editoriale che fra Roma, Ivrea e Milano fuelaborata: all’interno di essa, poi, si può, con l’aiuto della consapevolez-za circa gli autori che Bazlen prediligeva, cercare di isolare quelle cheappunto dovettero essere le sue proposte editoriali. Il caso di Rosa e Ballo è a tale proposito indicativo: nata come proget-to nel 1942 a Milano, la casa editrice inizia a pubblicare due anni dopo,grazie all’intenso lavoro dei suoi fondatori, Achille Rosa e FerdinandoBallo, i quali «cercano una via d’uscita, con coraggio e volontà, unmodo attivo per sfuggire al dolore cupo dei tempi, per [...] ridare spe-ranza ai propri ideali politici e umani»48. Uno spirito di questo tipo sipuò forse paragonare a quello che, come si è visto, animava l’attività delgruppo di intellettuali di Ivrea: ed è forse questa una delle ragioni chespinsero la casa editrice milanese ad acquistare i diritti di una parte deititoli che avrebbero dovuto far parte del programma editoriale stilato daOlivetti e Bazlen. A tale proposito, la consultazione dell’archivio dellacasa editrice, ora custodito presso la Fondazione Mondadori di Milano,ha fornito notizie di grande interesse. In una lettera datata 9 febbraio1946, inviata dalla casa editrice Rosa e Ballo ad Alessandro Pellegrini,allora collaboratore Olivetti ma presto anche della stessa Rosa e Ballo,viene infatti fornito un elenco delle «opere del “fondo Olivetti” cheacquisteremo senz’altro salvo un preciso accordo sul prezzo»49. Esso,dunque, costituisce una prima immagine di quello che sarebbe dovutoessere il catalogo editoriale delle Nuove Edizioni Ivrea, comprendendoanche la divisione delle opere in varie collane. Il materiale d’archivio chesi è consultato testimonia inoltre che successivamente alla lettera appe-na citata le trattative e l’invio da Ivrea di opere in visione proseguirono,per circa un mese, fino al 18 marzo del 1946, quando venne firmato ilcontratto fra la Rosa e Ballo Editore e le Nuove Edizioni Ivrea, «garan-tite personalmente dal Sig. Ing. ADRIANO OLIVETTI»50, per l’acqui-sto dei diritti di una serie di opere. Si preferisce in questa sede nonriportare i titoli che emergono dai documenti fino ad ora citati, in quan-to obiettivo del presente lavoro non è tanto delineare i passaggi delle

Il caso Rosa e Ballo.

L’acquisizione di opere pro-venienti dal “FondoOlivetti”.

cit., p. 14.48 Stella Casiraghi, Un sogno editoriale: Rosa e Ballo nella Milano degli anni Quaranta, Milano, FondazioneAlberto e Arnoldo Mondadori, 2006, p. 15.49 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato.50 Ibidem.

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trattative fra le due case editrici, quanto piuttosto provare a chiarirequella che fu la natura delle progettate Nuove Edizioni Ivrea, e soprat-tutto il ruolo che Roberto Bazlen ebbe in esse. Inoltre, questi documen-ti si trovano completati da un altro, più interessante e completo, costi-tuito da un insieme di fogli dattiloscritti, numerati ma purtroppo nondatati, anche se riferimenti al suo interno permettono di ipotizzare cheesso risalga a un periodo successivo al settembre del 1943 e preceden-te alla fine della guerra: dalla lettura di questi fogli dattiloscritti si puòimmaginare che essi costituissero una sorta di prospetto dei diritti delleopere possedute, redatto dalle Nuove Edizioni Ivrea ad uso di possibi-li acquirenti, e che vanno a costituire il così detto “Fondo Olivetti”51. Sesi considera che, come si è visto, solo a proposito delle opere proposteda Bazlen, Foà parla di circa duemila «foglietti», si può affermare concertezza che l’insieme di opere che il dattiloscritto in questione cita siasolo una piccola parte di quello che doveva essere il ben più ampio cata-logo editoriale delle Nuove Edizioni Ivrea: resta però il fatto che vi sipuò comunque leggere un numero considerevole di titoli, spesso conl’indicazione dei traduttori e dei curatori delle edizioni e delle collane.Sulla base di queste informazioni, si può dunque provare a delineare,seppur parzialmente, quella che doveva essere l’offerta della progettatacasa editrice, e raccogliere alcune notizie di grande interesse circa illavoro di Bazlen in essa. In prima istanza, è opportuno segnalare unaltro genere di classificazione dei testi citati nel documento in questio-ne, il quale sottende la divisione per collane: le opere, infatti, sono inprimo luogo divise fra quelle «pronte»52, quelle «non ancora pronte i cuidiritti ci appartengono», quelle «pronte di cui non possediamo i diritti»,quelle infine «di dominio pubblico messe in traduzione e non pronte».Seguono infine due elenchi più brevi degli altri, relativi ai «contratti peracquisto di diritti d’autore rimasti in sospeso a causa dell’interruzionedel nostro lavoro nel settembre 1943» ed un elenco delle «opzioni delleNuove Edizioni Ivrea». Per ragioni di chiarezza, in questa sede si prefe-risce dare conto delle opere citate nel documento sulla base delle colla-ne che da esso emergono, e non su quella dei gruppi appena elencati. Ilprimo insieme di opere che emerge dal dattiloscritto è costituito da una

La classificazione dei testiper le Nuove Edizioni diIvrea.

51 E questa infatti la denominazione del sottofascicolo dell’archivio Rosa e Ballo dal quale si sonotratti i fogli in questione.52 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato. La citazioni che seguono sono tratte dalla stessa fonte.

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collana di filosofia, che prevedeva i seguenti titoli:

Collana filosofia

Barth - Der Roemerbrief (traduzione prof. Giovanni Miegge) Lavelle - Le mal et la souffrance (traduzione P. Gabriele Lattanzi) Le Senne - Obstacle et valeur (traduzione prof. Pietro Chiodi) Lavelle - La Conscience de soi (traduzione prof. Mario Tedesco) Marcel - Etre et avoir (traduzione prof. Fernanda Pivano) Stuart Mill - Autobiografia (traduzione prof. Giorgio Facchi) Barth - Die dogmatikLavelle - La presence totaleLavelle - De lacte Otmar Spann - Erkenne dich selbstBarth - Die Auferstehung der totenBarth - Rechtfertigung und rechte Barth - Evangelium und Bildung Barth - Die soouveranitaet des wortes gottes und die entstehung des glaubensBarth - David Friedrich Strauss als theolog Bergson - Les deux sources de la morale et de la religion

Se si considera che nessuno degli autori citati figura nelle lettere edito-riali che Bazlen scriverà in anni successivi ad altri editori, si può ipotiz-zare che nella collana filosofica si trovassero quelle opere che, standoalla testimonianza dattiloscritta di Luciano Foà più volte citata in que-sta sede, rispondevano al pensiero e alle idee politiche di Olivetti: neldattiloscritto, infatti, Foà parla di un programma «diviso in due parti»53,una rispondente agli interessi di Bazlen, l’altra a quelli di Olivetti. Lostesso discorso si può forse fare per l’insieme di titoli che va sotto ilnome di «Humana civilitas»54: accanto alla denominazione della collananel documento vengono anche citati i direttori della stessa, ovvero il«Prof. Alessandro Passerin d’Entreves e Umberto Campagnolo»55. Aquesto proposito, è interessante notare che nel 1954 il primo dei duesarà autore di un saggio, La dottrina del diritto naturale, pubblicato dalleEdizioni di Comunità, e di una serie di articoli per l’omonima rivista,

La Collana Filosofia.

Con molta probabilitàsegnalazioni affini al pensie-ro politico di Olivetti.

La Collana HumanaCivilitas a cura diAlessandro Passerind’Entreves e UmbertoCampagnolo.

53 Foà, pag. 3.54 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato.55 Ibidem.

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che Olivetti inizierà a pubblicare a partire dal 1946. Rispetto adUmberto Campagnolo, invece, nel suo saggio Adriano Olivetti e leEdizioni di Comunità (1946-1960), Beniamino de’ Liguori Carino riportache secondo Renzo Zorzi, direttore delle Edizioni di Comunità dal1960 alla fine degli anni Ottanta, «l’inizio delle Nuove Edizioni Ivrea ècollegato principalmente a [lui], e che solo in un momento successivoOlivetti, forse in disaccordo con il lavoro portato avanti [...], si rivolse aBazlen»56. I titoli che si citano di seguito a titolo d’esempio, dunque, nondovevano essere particolarmente in linea con i gusti di quest’ultimo:

Collana Humana Civilitas

Buonarroti - Saggi. de la Boétie - Della servitù volontaria (traduzione di V.E. Alfieri) Guizot - Trois generations (traduzione Prof Raffaele Ciampini) Hamilton Jay e Madison - The Federalist (traduzione Prof. UmbertoCampagnolo) Mallet du Pan - Considerazioni sulla natura della Rivoluzione Francese(traduzione prof. Alessandro Passerin)57.

Un discorso diverso, invece, va fatto per quanto riguarda la collana deiSaggi, annoverata di seguito ad «Humana civilitas». Nel nutrito gruppo diopere che componevano tale collana, infatti, non è improprio rintracciarequalche titolo che fu probabilmente il frutto dei consigli editoriali di Bazlen.

Collana Saggi

Carl Burckhardt - Gestalten Und Maechte (traduzione Alessandra Scalero) De Unamuno - L’agonia del Cristianesimo Frobenius - Monumenta Africana (traduzione Marcella Ravà) Kereny - Apollon (traduzione Albina Calenda Ferretti) Ivanov - Dostojevski e altri saggi (traduzione dello stesso Ivanov) Otto - Il sacro (traduzione Prof. Bonajuti) Ortega Y Gasset - Il tema del nostro tempo (traduzione di Sergio Solmi) Ortega Y Gasset - La ribellione delle masse

La Collana, secondo RenzoZorzi, fu legata principalmente alle scelte diPasserin d’Entreves.

56 Beniamino de’ Liguori Carino, Adriano Olivetti e le Edizioni di Comunità (1946-1960) cit., p. 52.57 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato.

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Peterson - Il mistero degli ebrei e dei gentili (traduzione Ascari) Ortega Y Gasset - Meditazioni sul Chisciotte (traduzione Aldo Camerino) Shubart - L’Europa e l’anima orientale (traduzione Dott. Mario Piazza) Auer Ritzel - Dalla federazione di cantoni alla federazione europea (traduzione Prof. Venturini) De Rougemont - Penser avec les mains (traduzione Fabrizio Onofri.Il suo nome non deve comparire sulla edizione italiana) Stepun - Das antlitz russlands und das gelicht der revolutions (traduzioneElsa Bermann) Groethuysen - Les origines de la bourgeoise en France (traduzione Dott. Alessandro Forti) Berbert - Liturgy and Society (traduzione Prof. Bonaiuti) Neman - Discourse on the Scope and Nature of University Education (traduzione Prof. Sergio Baldi) Soloviov - Tre Dialoghi (traduzione P.A. Zveteremich) Soloviov - La critica dei principi astratti (traduzione P.A. Zvetermich) Soloviov - Discorsi sull’umanità di Dio (traduzione Bruno Del Re) Berdialeff - Esprit de libertè Granet - La pensée chinoise Heiler - Das gebet Jung e Kereny - Einfuehrung in das der mythologie Ortega Y Gasset - La redencion de las provincias Ortega Y Gasset - Historia como sistemaOrtega Y Gasset - Kant, desumanation del arte, mision de la universitad (IlKant è stato tradotto da Solmi per essere aggiunto all’edizione ita-liana del tema del nostro tempo). Picard - Die flucht vor gott Pirenne - Les grand courants de l’histoire universelle Rapsodia Del Tindaro - Studio sul buddismo Ruffini - Senator Francesco, scritti storici sulla riforma Schweitzer - Verfall und wiederaufbau der kultur Richard Wilhelm - Der mensch und das sein (Traduzione: Di Martino) Zimmer - Maya der indische mythos Dewey - Human nature and conduct Cheneviere - Il pensiero politico del galdino Dawson - Progress and religion Cristo e la storia

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Ouspenski - A New Model of the Universal Peddersen - Sulla religione degli ebreiRathenau - Von kommenden dingen Newman - Apologia pro vita sua58

Come si è già visto, in seguito alla sua «estetica della lettura come feno-meno nomade»59, vale a dire come veicolo di un interesse per i piùdisparati aspetti del sapere e del reale, la ricchezza culturale di Bazlenspaziava dall’antropologia, alla psicologia, alla critica d’arte e letteraria,così che tanto per le Nuove Edizioni Ivrea quanto per le case editricicon le quali collaborerà in futuro molti dei titoli consigliati privilegianotali ambiti rispetto a quello letterario. A conferma di ciò si può leggereil già citato dattiloscritto ad opera di Foà, nel quale si sostiene che, delledue parti in cui era organizzato il programma delle Nuove EdizioniIvrea, una era costituita dalle «passioni, a quel tempo, di Bazlen, cheandavano dalla letteratura alla psicoanalisi (soprattutto quella rappre-sentata da Jung)»60, contrapposte alle opere che trattavano «la vita socia-le e politica sotto ogni aspetto»61, queste ultime invece caldeggiate daOlivetti. A proposito delle proporzioni in cui le opere di Jung furonoproposte da Bazlen, alcuni sostengono che «nel programma delleNuove Edizioni Ivrea [...] c’erano tutte le opere di Jung»62: ed è in effet-ti interessante ciò che a questo proposito lo stesso Olivetti afferma il23 aprile del 1942 in una sua lettera a Hermann Keyserling, nella qualesi trova illustrato il progetto delle Nuove Edizioni Ivrea. Fra le diverseproposte del catalogo, infatti, egli cita

una collezione di psicologia. Come voi forse saprete, molto poco èstato fatto in Italia in questo campo e le stesse opere fondamentali dipsicanalisi non si possono trovare tradotte in italiano. Il primo librodi questa collezione sarà «Psychologische Typen» [Tipi psicologici] diJung. In seguito pubblicheremo degli altri testi di Jung63.

La ricerca archivistica che si è svolta non ha potuto fornire una prova di

Le proposte di Bazlen perle Nuove Edizioni Ivrea.

58 Ibidem.59 Giovanni Mariotti, L’oracolo di Adelphi, in «Espresso», 7 dicembre 1980, p. 157.60 Foà, pag. 3.61 Ibidem.62 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 133.63 Beniamino de’ Liguori Carino, Adriano Olivetti e le Edizioni di Comunità (1946-1960) cit., p. 49.

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questa affermazione, ma rimane vero che nell’elenco di titoli appena cita-ti si possono trovare diverse tracce di testi legati al sistema di pensierojunghiano: ad esso Bazlen, come si è visto, si interessò dopo aver cono-sciuto l’opera di Freud, che in seguito avrebbe contestato parzialmente(cosa che non gli impedì di proporne la pubblicazione presso editoricome Astrolabio e Boringhieri). Per fare un primo esempio, fra i Saggiche le Nuove Edizioni Ivrea avrebbero dovuto proporre si trovano irecentissimi Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia64 di Jung e Kerenyi:quest’ultimo, uno studioso ungherese di Storia delle religioni, influenzatoappunto dalle teorie junghiane. Si tratta dunque di un’opera che ben rap-presenta la suggestione che il pensiero junghiano esercitava in direzionedello studio della Storia delle religioni e della mitologia intese come formedi pensiero archetipico, e delle quali anche Bazlen percepì l’influenza, seper una parte dei titoli appena citati si può presupporre che siano statiproposti da lui. Si veda a questo proposito il caso dell’Apollon, saggio del1937 sempre di Kerenyi, e dell’opera di un altro studioso della Storia dellereligioni come Rudolf Otto, presente nella collana con l’opera Il sacro. Sesi considera che Otto fu uno degli autori che influenzarono il pensiero diKerenyi, si inizia a vedere come il sistema di testi proposti dalle NuoveEdizioni Ivrea non fosse solo casuale65, ma al contrario le opere in essocontenute fossero collegate da fili concettuali più o meno sottili. Ai «con-tinui giochi di sponda intrattenuti [dal pensiero junghiano] con i sistemifilosofici e religiosi orientali»66, nonché con la mitologia e la Storia dellereligioni, si possono allora ricondurre anche titoli come La pensée chinoi-se del sinologo Marcel Granet, Il mistero degli ebrei e dei gentili del teologoErik Peterson, L’Europa e l’anima orientale del filosofo tedesco WalterSchubart. Ancora, profondamente influenzati dal pensiero junghianosono altri due autori presenti nella collana dei Saggi delle NuoveEdizioni Ivrea, ovvero l’etnologo Leo Frobenius (autore di Monumentaafricana) e Heinrich Zimmer, con l’opera sulla mitologia indiana Maya:der Indische Mythos [Maya: I miti indiani].Infine, si può ancora osservare, a proposito dei titoli considerati fino ad

Jung e Kerenyi.

64 Citato nell’elenco con il titolo tedesco originale (Einfuehrung in das Wesen der Mythologie). La primaedizione dell’opera e del 1941.65 La “non casualità” delle proposte di Bazlen è peraltro ravvisabile anche in un altro aspetto del suooperato, illustrato da Giulia de Savorgnani. Secondo la studiosa, infatti, egli «seminava qua e là leproprie proposte», diffondendole fra quegli editori che pensava potessero accoglierle. Cfr Giulia deSavorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio, cit., p.124.66 Harold Coward, Jung e il pensiero orientale, Milano, La biblioteca di Vivarium, 1985, p. 9.

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ora, il fatto che essi ebbero una certa rilevanza per Bazlen, sia prima, siadopo la sua collaborazione con la casa editrice di Adriano Olivetti: e ilcaso del filosofo spagnolo Ortega y Gasset, che Bazlen aveva segnala-to a Solaria già molti anni prima, più precisamente nel 1932, anno incui come si è visto la redazione della rivista meditava un’aperturaall’Europa anche tramite la creazione di una nuova testata. A questoproposito Bazlen in una sua lettera consiglia a Carocci, per trovare col-laboratori al progetto, di «sfogliare le ultime annate della rivista diOrtega»67 (che quindi egli doveva presumibilmente seguire con unacerta costanza). Infine aggiunge:

Rivista europea: [...]. Molto consigliabile per dare il tono, nel primonumero, una traduzione di qualche saggio di Ortega: p.e. «El temade nuestro tiempo» o «La deshumanisación del arte» o, ancorameglio, di qualche brano de «La ribelión de las masas»68.

Tutti e tre i titoli si trovano annoverati una decina di anni dopo in quel-l’insieme di opere che secondo Bazlen ed Olivetti avrebbero costituitoun apporto fondamentale alla cultura italiana: ed è questo solo il primoesempio di un autore che Bazlen sceglie di proporre a distanza di anniad editori diversi, evidentemente ritenendone la pubblicazione di gran-de importanza. Olivetti peraltro recepì evidentemente con una certaprontezza il pensiero di Bazlen in proposito, se nella già citata lettera aKeyserling Ortega y Gasset è citato, insieme a «Rudolph Kassner, LeoFrobenius, [...], Ivanow»69, tra quegli autori i cui «diritti esclusivi perl’Italia»70 la casa editrice di Ivrea si è primariamente «assicurata»71.Come si è accennato poco sopra, inoltre, alcuni dei titoli fino ad oravisti ricompaiono in lettere scritte da Bazlen successivamente al perio-do delle Nuove Edizioni Ivrea, in una dinamica simile a quella appenavista per le opere di Ortega y Gasset: è questo il caso dei saggi diMarcel Granet, Heinrich Zimmer e Richard Wilhelm. Nel 1946, infat-ti, in una lettera dell’Agenzia Letteraria Internazionale a Bazlen si trovadelineata la situazione dei diritti delle opere di Granet, il cui contratto

67 Lettera di Roberto Bazlen ad Alberto Carocci, Trieste, 22 ottobre 1932, in Lettere a «Solaria», a curadi Giuliano Manacorda cit., p. 385.68 Ivi, p. 386.69 Beniamino de’ Liguori Carino, Adriano Olivetti e le Edizioni di Comunità (1946-1960) cit., p. 49.70 Ibidem.71 Ibidem

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«delle NEI [Nuove Edizioni Ivrea] era scaduto ed è stato prolungatogià un paio di volte, così che l’editore francese si è seccato»72. Chi scri-ve (presumibilmente Luciano Foà) informa inoltre Bazlen circa la pre-senza, in quello che nella lettera in questione viene definito generica-mente il «fondo» (dunque come si è visto il «fondo Olivetti»), delladisponibilità delle opere di Zimmer e Wilhelm, con contratti ancoravalidi. Foà, poi, conclude con queste parole: «farò passare la lista delleNEI e guarderò se c’è ancora qualcosa che possa interessareAstrolabio»73. Sulla base di quanto appena letto, si può immaginare cheBazlen desiderasse che le opere che non erano state pubblicate dalleNuove Edizioni Ivrea non finissero dimenticate, ma che né Rosa eBallo, né Cederna, né le nascenti Edizioni di Comunità (improntatequeste ultime più sulle idee politiche di Olivetti che sui suoi «interessipiù specificatamente culturali»74) fossero interessate alla loro pubblica-zione. Di fronte al fatto che nessuna delle case editrici che aveva acqui-stato i diritti delle opere delle Nuove Edizioni Ivrea si era mostratainteressata a quei titoli, evidentemente Bazlen doveva volgere lo sguar-do altrove, e cioè ad una casa editrice come Astrolabio, la cui propostaeditoriale era per molti aspetti compatibile con i suoi interessi e con laquale infatti egli in questo periodo inizia a collaborare. Un discorso affine vale per l’opera di Picard, citata nella lettera di Foàcome una di quelle che potrebbero ancora interessare Olivetti: ed ineffetti, tre anni più tardi, dunque nel 1949, Bazlen raccomanderà alleEdizioni di Comunità la pubblicazione del nuovo libro di questo autore(ma è questo un aspetto sul quale si avrà modo di tornare in seguito).

2.2.2 La collana «Mondi e destini».

Proseguendo nell’analisi dei materiali contenuti nell’archivio Rosa eBallo, risultano di ancora maggiore interesse le due collane presentate diseguito a quella dei Saggi: esse infatti permettono di aggiungere qualcheelemento, seppur parziale, alle molte affermazioni circa la mancanza di

Le proposte scartate dalleNuove Edizioni di Ivrea maanche da Rosa e Ballo e daCederna vengono sottopo-ste a Astrolabio, con cuiBazlen inizia a collaborare.

La proposta alle Edizioni diComunità dell’opera diPicard.

72 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1946, b.1, fasc. 28 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 8 dicembre 1946.73 Ibidem.74 Cesare Musatti, Psicologi in fabbrica: la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, Torino, Einaudi,1980, p. 4.

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testimonianze sulla proposta delle Nuove Edizioni Ivrea, soprattutto perquanto riguarda la persona di Roberto Bazlen. Dal prospetto delle pub-blicazioni che avrebbero dovuto caratterizzare la casa editrice di Olivetti,infatti, emerge la presenza di una collana chiamata «Mondi e destini» edi una «Collana Letteraria». Quel che più conta, accanto ai nomi dellecollane si trovano alcuni dati fondamentali, in quanto si specifica che laprima è costituita da «scritti autobiografici»75 ed «affidata a RobertoBazlen»76, ed anche la Collana Letteraria risulta «a cura di RobertoBazlen»77. Di seguito si riportano i titoli che componevano la prima delledue serie:

Collana Mondi e destini(Scritti autobiografici – la collana era affidata a Roberto Bazlen)

Metternich - Lettere (traduzione al Dott. Alessandro Pellegrini) Rilke - Lettere dal Muzot (traduzione prof. M. Doriguzzi e LeoneTraverso) Rilke - Su Dio (traduzione: Leone Traverso che, per accordi specialicon l’Ing. Olivetti, ci ha ceduto il diritto sulla traduzione per un’edi-zione di 5000 esemplari) Rilke - Lettere a una giovane signora (diritti: idem come sopra.Traduzione: come sopra) Rilke - Lettere a un giovane poeta (traduzione: come sopra) Santa Teresa D’Avila - Autobiografia (traduzione: Marcori e Weiss) Vieuchange - Smara (traduzione: Fabrizio Onofri) Goethe, Schiller - Carteggio (prof. Raffaello Prati) Naropa Biografia (a cura di Giuseppe Tucci) Romola Nijnski (traduzione Renata Barocas) Waln - The House Of Exile (tradotto da Fabrizio Onofri. I diritti nonpoterono essere trattati con l’America a causa dello stato bellico) Gosse - Father and Son (affidata a Vittorio Gabrieli che ha già tradot-to tre quarti del libro e che ha ricevuto un anticipo di £ 1500. I dirit-ti devono essere acquistati in Inghilterra) Hudson - Long Ago and Far Away (affidata a Eugenio Montale, a cuisono state versate 8000 £ - riteniamo che il lavoro non sia maistato iniziato)

La Collana Mondi e Destinie la Collana letteraria.

75 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato.76 Ibidem.77 Ibidem.

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Lawrence - Epistolario (Affidata a Salvatore Rosati, a cui sono stateversate £ 10000. La prima metà del lavoro dovrebbe essere termina-ta. I diritti però sono stati acquistati da Bompiani)78.

La succitata presentazione della collana «Mondi e destini», dunque,dimostra in prima istanza che il ruolo di Bazlen all’interno delle NuoveEdizioni Ivrea non fu soltanto quello, di per sé significativo, di consu-lente editoriale, ma anche quello ben più rilevante, in quanto peraltromai più da lui assunto, di direttore di collana: se si presta attenzione poial tipo di titoli che vengono proposti, le osservazioni che è possibilefare in proposito diventano molteplici. Come si è già osservato nelprimo capitolo del presente lavoro, infatti, su Bazlen e su molti altriintellettuali triestini del suo tempo giocò un ruolo importante l’in-fluenza di correnti culturali, spesso tra loro interconnesse, quali la psi-canalisi e alcune componenti della cultura ebraica nella loro formula-zione mitteleuropea: entità che, sul piano letterario, si traducevanonella predilezione per il genere autobiografico, o comunque per unaforte componente personale e, per così dire, reale nell’opera.L’autobiografia, infatti, è

il genere letterario che, per il suo stesso contenuto, esprime megliola confusione fra autore e persona, confusione sulla quale è fonda-ta tutta la pratica e la problematica della letteratura occidentale apartire dalla fine del XVIII secolo79.

Si è anche già visto come il problema del rapporto dell’autore con lapropria opera abbia trovato una formulazione personale e peculiarenegli scritti teorici di Roberto Bazlen, quantomeno da un punto divista generale e non applicato ad un genere specifico: con la collana«Mondi e destini» si assiste invece a una sua possibile risoluzione sulpiano della pratica editoriale, attraverso la predilezione per il genereautobiografico, e di conseguenza per i racconti di vita altrui che da essoemergono. Se si considera poi che da molti Bazlen è considerato come«una sorta di pontefice massimo della cultura post e anti idealistica»80,la sua attenzione per l’autobiografia può essere considerata anche

Il genere autobiografico inMondi e Destini.

78 Ibidem.79 Philippe Lejeune, Il patto autobiografico, traduzione di Franca Santini, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 35.80 Alberto Cavaglion, Trieste vicina e lontana, in «Millelibri», a. 7, n. 68, ottobre 1993, p. 54.

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come una componente non irrilevante di questa posizione. In Italia,infatti, «l’autobiografismo confessato non è mai stato praticato [...] conla furia che altre letterature vi hanno portata»81, così che è facile com-prendere perché «una delle novità maggiori di un movimento comequello de “la Voce”»82 si possa rintracciare nell’«aver dato buonacoscienza alla descrizione del proprio Io, anche se spesso le tradizioniformali, il culto della “bella figura” e della “bella pagina” hanno gua-stato i risultati»83. In effetti, la scarsa frequenza dell’autobiografia nellaproduzione letteraria italiana trova una spiegazione, fra l’altro,nell’«ostilità idealista»84 nei suoi confronti.

In opposizione a tutte le forme di finzione, la biografia e l’autobio-grafia sono testi referenziali; [...] esse pretendono di aggiungereun’informazione a una “realtà” esterna al testo, dunque sottomet-tendosi a una prova di verifica. Il loro scopo non è la sempliceverosimiglianza, ma la somiglianza al vero85.

L’autobiografia, dunque, è un genere caratterizzato da un forte legamecon il reale, con la “vita” di cui Bazlen cercava un’espressione sincerasulla pagina letteraria: ma questo aspetto si trova ad essere in stridentecontrasto con una concezione estetica, come è quella di BenedettoCroce e dei molti critici che hanno seguito il suo pensiero, che affer-ma con forza la necessità dell’autonomia dell’arte. Con questa defini-zione, Croce afferma la doverosa immunità dell’arte da atteggiamentieteronomi, cioè rivolti ad altro che non sia «intuizione lirica, dove ilsecondo termine [...] sta, appunto, a specificare la peculiarita dell’intui-zione»86. Poco spazio, dunque, è lasciato all’esperienza, a quell’autobio-grafia che Bazlen così definisce: «come, nel momento in cui scrivo,credo mi si presenti di averlo vissuto»87. La vocazione empirica erainfatti per Bazlen una componente fondamentale dei fattori di interes-se di un’opera letteraria: ed è proprio questa caratteristica che Crocepone come peculiare della «letteratura» in confronto alla «poesia»: ilprimo termine, comunque, non ha un «significato negativo, giacché81 Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana cit., p. 291.82 Ibidem.83 Ibidem.84 Ivi, p. 290.85 Philippe Lejeune, Il patto autobiografico cit., p. 38.86 Ernesto Paolozzi, L’estetica di Benedetto Croce, Napoli, Guida, 2002, p. 21.87 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 208.

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designa un ruolo»88, ma tale ruolo è appunto quello del «non poetico,dell’empirico»89.Anche in ragione della propria adesione al reale, l’autobiografia si poneinoltre come «genere»90, peculiare nel suo definirsi «meno attraverso glielementi formali di cui è costituito, che attraverso il “contratto di let-tura”»91: quest’ultimo consisterebbe cioè in uno specifico «patto auto-biografico», improntato, come si è visto, sulla realtà e per molti aspet-ti alternativo al patto di lettura che sottosta ad un’opera di finzione.Anche questo aspetto non sembra poter trovare d’accordo l’esteticacrociana, che faceva della riconsiderazione dei generi letterari in chia-ve per lo più negativa una componente della propria «teoria liberatricedell’attività artistica»92 e delineava, inoltre, una stretta connessione frail contenuto e la forma, considerando la seconda come diretta espres-sione del primo. Bazlen non può certo essere ridotto a un cultore delcontenuto, né tantomeno etichettato come un promotore della lettera-tura di genere (si pensi ad esempio a quanto scrive in una lettera del1952 a Sergio Solmi, dove la fantascienza è denotata come «penosa-mente cattiva letteratura, [...] legata ad un livello culturale di terzo ordi-ne»93): ma, alla luce di quanto visto finora, si possono comprendere leragioni del suo interesse per gli autori «boicottati sia dal fascismo, siada un certo tipo di crocianesimo, che era poi una di quelle ideologieabbastanza imperanti»94, e che secondo lui intorpidiva la curiositàverso il nuovo dei letterati e dei lettori italiani. Tale pensiero «si erasaldato, per così dire, con gli interessi dominanti di Adriano[Olivetti]»95, il quale dunque compensò, accogliendo le sue proposte,il fatto che Bazlen «ogni tanto faceva un po’ il consulente di qualcheeditore ma tutti gli editori avevano paura delle sue idee perché eranointempestive»96. Di questa intempestivita sarà una prova il rifiuto chenegli anni Cinquanta la casa editrice Einaudi avrebbe opposto alle

88 Ernesto Paolozzi, L’estetica di Benedetto Croce cit., p. 29.89 Ivi, p. 28.90 Philippe Lejeune, Il patto autobiografico cit., p. 6.91 Ibidem.92 Ernesto Paolozzi, L’estetica di Benedetto Croce cit., p. 66.93 Lettera di Roberto Bazlen a Sergio Solmi, 19 novembre 1952, in Roberto Bazlen, Scritti cit. p. 280.94 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.95 Foà, pag. 3.96 Ibidem.

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proposte, da parte di Bazlen, circa il varo di diverse collane, spessocaratterizzate da una forte presenza del genere autobiografico (aspet-to, quest’ultimo, sul quale si avrà occasione di tornare).Ulteriore indice di un interesse per l’autobiografia consapevole e percosì dire sistematizzato da parte di Bazlen è il fatto che, come per iSaggi, le opere proposte per la collana «Mondi e destini» mostrino ele-menti di interconnessione che vanno al di là dell’appartenenza al gene-re. Pertinenti a quelli che si sono visti essere i suggerimenti per la col-lana dei Saggi, ad esempio, sono la biografia di Naropa, monaco bud-dista del XII secolo, e l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila. Allo stesso modo, la presenza fra le proposte di Bazlen di The house ofexile di Nora Waln testimonia il suo interesse per il mondo orientale,questa volta visto con gli occhi di una donna americana che nel 1933ha pubblicato il resoconto del proprio viaggio in Cina. Il nome del tra-duttore, Fabrizio Onofri (citato anche per la traduzione di Smara, reso-conto di viaggio ad opera di Michel Vieuchange), permette peraltro diosservare il “metodo” adottato da Bazlen per ottemperare al propriodovere di selezione di traduttori e collaboratori per le Nuove EdizioniIvrea: egli cioè prediligeva evidentemente la scelta di persone note, omeglio amiche, ed è questo un atteggiamento che rimarrà invariatonegli anni a venire. Fra i due, infatti, vi era un rapporto di «reciproco,appassionato interesse»97 ed amicizia, tanto che Onofri, in uno dei per-sonaggi principali del suo romanzo Manoscritto98, adombrò la figura del-l’amico triestino. Viceversa, alla fine degli anni Cinquanta sarà ancoraBazlen a cercare di aiutarlo, proponendo a Paolo Boringhieri99 di farsieditore della rivista «Tempi moderni», di cui Onofri era stato fondato-re nel 1957. Si può spiegare nello stesso modo la significativa presen-za del nome di Eugenio Montale come traduttore delle memorie del-l’infanzia passata in Argentina di William Henry Hudson, immaginan-do inoltre che sia iniziata qui la consuetudine di Montale con questoautore, del quale tradurrà il romanzo Green mansions100. Infine, si noti

Le biografie di Naropa esanta Teresa d'Avila

La scelta dei traduttori.

97 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 125.98 Sebastiano Carpi [pseudonimo di Fabrizio Onofri], Manoscritto, Torino, Einaudi, 1948.99 Testimonianza di questo episodio, sul quale si tornerà in seguito, resta nel carteggio fra RobertoBazlen e Paolo Boringhieri, la cui lettura è stata gentilmente concessa dall’editore Bollati Boringhieri.100 William Henry Hudson, La vita della foresta, traduzione di Eugenio Montale, Torino, Einaudi,1987. La pubblicazione della traduzione montaliana, apparsa nella collana «Scrittori tradotti da scrit-

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ancora fra i nomi dei traduttori, qui nel caso dell’Autobiografia di SantaTeresa D’Avila, il nome di Weiss, dunque, molto probabilmente, dellopsicanalista freudiano con il quale, soprattutto in questi anni, Bazlenera in stretto contatto. Per quanto riguarda gli altri titoli di cui Bazlen raccomanda la pubbli-cazione per la collana «Mondi e destini», colpisce il peso che rispettoall’insieme hanno gli autori provenienti dall’ambito mitteleuropeo, ocomunque di lingua tedesca. Come si è già evidenziato, infatti, con essi,e con la loro pratica del genere dell’autobiografia, egli aveva avuto sinda giovane particolare familiarità, avendone assorbito gli stimoli attra-verso l’ambiente culturale nel quale era cresciuto ed avendo la possibi-lità di leggerli in lingua originale. Si può allora facilmente comprende-re la presenza di veri e propri scrittori, per esempio Rilke, Goethe eSchiller, ma anche di personaggi provenienti da altri ambienti, comenel caso di Metternich e della nobile ungherese Romola Nijnski: pre-senze, queste ultime, che si possono giustificare anche con l’ambiguaposizione del genere autobiografico rispetto al campo propriamenteletterario. Ed è forse per questa stessa ragione che molte delle operecatalogate come «scritti autobiografici»101 consistono in realtà di reso-conti di viaggio (quindi potenzialmente ascrivibili al genere dell’odepo-rica) o raccolte di lettere: rimane comunque il fatto che, pur non trat-tandosi di testi autobiografici a tutti gli effetti, la quota di “realtà”, diesperienza vissuta da un soggetto che si configura prima come perso-na che come autore, e in questi testi molto elevata, e costituisce perBazlen uno dei loro maggiori fattori di interesse. Si è infatti visto nelprimo capitolo come proprio Rilke102 e Goethe siano indicati, nelle Notesenza testo, come le due opposte polarità, a cavallo fra Ottocento eNovecento, del modo di rapportarsi al problema del rapporto artista-opera.Resta peraltro da osservare, ed è questo un aspetto caratteristico del-l’operato editoriale di Bazlen, che agli autori da lui ritenuti di maggio-

tori», è dunque posteriore alla morte del poeta.101 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato.102 A proposito di Rilke, si segnala che il suo epistolario, insieme alle Elegie duinesi e ai Sonetti ad Orfeo,verra acquistato nel luglio del 1946 dalla casa editrice Cederna. Per la parziale consultazione dell’ar-chivio di quest’ultima si ringrazia Gianni Antonini.

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re interesse egli riserverà una sorta di “fedeltà” sul piano editoriale: èinfatti frequente il ritornare delle medesime proposte a diversi editori,nella speranza prima o poi di ottenerne la pubblicazione. Per fare unprimo significativo esempio dell’attaccamento di Bazlen nei confrontidei “suoi” autori, le Lettere a un giovane poeta e le Lettere a una giovane signo-ra verranno riproposte da Adelphi, nella medesima traduzione diLeone Traverso segnalata nel catalogo delle Nuove Edizioni Ivrea: lapubblicazione da parte della casa editrice milanese risale al 1980, dun-que quasi quarant’anni dopo il progetto di Ivrea e soprattutto quindi-ci anni dopo la morte di Bazlen. Non sono però, questi, tempi chedebbano stupire, dal momento che sono in molti a sottolineare cheFoà e Bazlen a partire dai primi anni Sessanta «prepararono lunghielenchi di titoli»103, come si è visto spesso tratti dal lavoro svolto inpassato presso altre case editrici: ma «alcuni di quei primitivi proget-ti, ancora non realizzati, lo saranno negli anni successivi»104 alla fonda-zione della casa milanese. Di Goethe, uno dei massimi autori in lin-gua tedesca, Bazlen invece consiglia ad Einaudi, nel 1953, una biogra-fia. In una lettera a Foà, infatti, egli riferisce dell’opera di «HeinrichMeier: Goethe, leben und werk [Goethe, vita e opera], di cui m’handetto cose che mi convincono. Poiché avete fatto un libro suShakespeare, perché no»105. Risulta quasi scontato notare, a questoproposito, il fatto che Bazlen resti incuriosito non da un’opera di cri-tica su Goethe, o da una possibile riedizione dei suoi scritti, ma da untesto che consiste nella ricostruzione della vita dello scrittore. Anchenel caso del nome di Lawrence, uno degli autori che, come si è visto,Stuparich citava fra le letture innovative proposte da Bazlen all’am-biente culturale di Trieste106, si assiste ad una serie di successive pro-poste nelle lettere indirizzate nel tempo alle varie case editrici:all’Epistolario proposto alle Nuove Edizioni Ivrea seguirà infatti ilsuggerimento, nel 1962 ad Einaudi, della pubblicazione di una biogra-fia. Il succedersi delle proposte di Bazlen relative a Lawrence e Goethe,dunque, procede su binari paralleli: a una prima segnalazione di volu-mi di lettere, infatti, Bazlen fa seguire, presso altre case editrici, la pro-

103 Giovanni Mariotti, L’oracolo di Adelphi cit., p. 156.104 Ibidem.105 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 10 aprile 1953.106 Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi cit., p. 15.

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posta di ricostruzioni biografiche, forse a immaginario completamen-to degli epistolari. Quel che conta, di fatto, è che non si tratta mai del-l’opera letteraria dei due autori, la quale forse per Bazlen non si sareb-be caratterizzata per essere «vivissima»107, come invece è per lui unabiografia. Si veda infatti come si articola, a proposito di Lawrence, laproposta di Bazlen:

D.H. Lawrence: a complete biography: biografia dei dueLawrence108, scritta da centinaia di persone che li hanno conosciu-ti. Escluso farla completa, tre volumi, in tutto circa duemila pagi-ne. Ma pare sia vivissima – pensa se potrebbe interessare una ridu-zione109.

Il destinatario della segnalazione è in questo caso Daniele Ponchiroli,succeduto a Luciano Foà nel ruolo di corrispondente di Bazlen pressoEinaudi: Foà, infatti, aveva già da un anno abbandonato il proprioposto di lavoro a Torino per trasferirsi a Milano, dove nel giugno del1962 avrebbe fondato la casa editrice Adelphi. A questo proposito, èindicativo che una delle prime opzioni di pubblicazione richieste daAdelphi all’Agenzia Letteraria Internazionale sia stata, appunto nelluglio del 1962, proprio quella per le Lettere di Lawrence110: testimo-nianza, questa, quantomeno dell’auspicio di realizzare i progetti dipubblicazione che Bazlen aveva per le Nuove Edizioni Ivrea.L’esempio forse più rilevante, fra le opere afferenti al «fondo Olivetti»,della caparbietà con la quale Bazlen accompagnava i propri autori pre-diletti, o comunque ritenuti validi, alla pubblicazione è però quello diFather and son di Edmund Gosse: un’opera che esula, come nel caso diLawrence, dall’ambito mitteleuropeo, essendo Gosse uno scrittore egiornalista inglese, e da quello dell’autobiografia intesa in senso stret-to, dal momento che il libro è catalogabile come romanzo autobiogra-fico. La prefazione firmata dall’autore, infatti, chiarisce preliminarmen-

La biografia di D. H.Lawrence viene proposta aDaniele Ponchiroli, succes-sore di Foà all’Einaudi.

Il caso di Father and Son diEdmund Gosse.

107 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, foglio di «segnala-zioni» indirizzato da Roberto Bazlen a Daniele Ponchiroli, gennaio 1962.108 Bazlen si riferisce qui, probabilmente, a uno dei due fratelli maggiori dello scrittore inglese,Ernest o George Lawrence.109 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, foglio di «segnala-zioni» indirizzato da Roberto Bazlen a Daniele Ponchiroli, gennaio 1962.110 Si veda a questo proposito: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo ErichLinder, Serie annuale 1962, b. 12A, fasc. 7 (corrispondenza Adelphi Edizioni), Adelphi Edizioni aLinder, Milano, 18 luglio 1962.

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te quanto segue: «in un’epoca come la nostra111, in cui la narrativa assu-me forme così fantasiose e tuttavia plausibili, è forse necessario avver-tire che la seguente narrazione - [...] - è, in tutte le sue parti, scrupolo-samente veritiera»112, e si pone dunque come «documento»113. Non è quin-di la presenza di una forma di finzione ciò che permette di avvicinarequesto libro al genere del romanzo, ma forse il fatto che, per ammis-sione dello stesso autore, ci sono aspetti, per esempio i nomi dei per-sonaggi, «in cui ci si è scostati dalla pura verità»114, e il tono generale deltesto è indicato dallo stesso Gosse come oscillante fra due categorieche hanno molto di letterario, ovvero il «comico»115 ed il «tragico»116.Due categorie, peraltro, rispetto alle quali Bazlen era sensibile, dalmomento che di esse parla in uno degli aforismi delle Note senza testo:«il tragico è ancora più subalterno del comico»117.Nella scelta di questo titolo si può dunque forse vedere un anello dicongiunzione fra i testi proposti che si possono considerare eminente-mente non letterari e quelli dove si può invece rilevare anche un aspet-to di seppur moderata finzione. Questa ipotesi, suffragata dal fatto chealla collana «Mondi e destini» segua, nel «fondo Olivetti», una «CollanaLetteraria» sempre diretta da Bazlen, trova un riscontro anche sulpiano della teoria letteraria. Sulla base della necessità di «distingueresoprattutto il romanzo autobiografico dall’autobiografia»118, infatti, èstato indagato il rapporto, che non si sa quanto consciamente Bazlenripercorre nelle sue proposte per le Nuove Edizioni Ivrea, fra i duegeneri, intesi come rappresentanti rispettivamente di una scrittura diverità e di una di finzione:

Non si tratta [...] di sapere se è più vera l’autobiografia o il roman-zo. Né l’una, né l’altro; all’autobiografia mancheranno la comples-sità, l’ambiguità, ecc., al romanzo l’esattezza; si tratterebbe dunquedell’una più l’altro? Piuttosto, dell’una in rapporto all’altro119.

La biografia come documento.

111 La prefazione risale al settembre del 1907, data della prima edizione del libro.112 Edmund Gosse, Padre e figlio, traduzione di Bruno Fonzi, Milano, Adelphi, 1965, p. 3.113 Ibidem.114 Ivi, p. 4.115 Ibidem.116 Ibidem.117 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 188.118 Philippe Lejeune, Il patto autobiografico cit., p. 38.119 Ivi, p. 46.

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Per quanto riguarda invece il percorso editoriale che concretamente, esuo malgrado, Bazlen farà compiere a Father and son di Edmund Gosse,dal carteggio con Erich Linder risulta che nel 1954 egli ne acquisterà idiritti di traduzione, per proporlo rispettivamente, sempre negli anniCinquanta, alle case editrici Bocca e Boringhieri: l’ultima tappa di que-sto lungo percorso sarà la pubblicazione, come secondo titolo della«Biblioteca Adelphi», nel 1965. Si avrà modo, in seguito, di tornare piùapprofonditamente sui ripetuti tentativi da parte di Bazlen per ottene-re la pubblicazione di Father and son: è però interessante evidenziare, inquesta sede, il fatto che nei primi tre titoli120 pubblicati dalla «BibliotecaAdelphi» si possano vedere

tre opere rare che, nel loro insieme, esprimono il mondo interioredi Bazlen, ne traducono lo spirito e il gusto come perfetto testa-mento spirituale di chi, fino alla fine, si attenne al dovere di funge-re da ponte, da veicolo di cultura121.

La pubblicazione di questi testi come si è visto avvenne a partire dal1965, quindi appena dopo la morte di Bazlen. Ma si può presupporreche egli accolse il progetto con uno spirito diverso da quello che era sot-tostato alle prime proposte di quelle stesse pubblicazioni, “invecchiate”ormai di vent’anni. Quest’ultimo aspetto è sottilmente evidenziato daLuciano Foà nell’intervista firmata da Domenico Porzio, nel momentoin cui, parlando della fondazione di Adelphi, egli afferma che

mettere subito sul piatto una grossa impresa è stata una cosa che èstata fatta anche se Bazlen non era del tutto d’accordo. [...] la posi-zione di Bazlen era che questa casa editrice nasceva in ritardo inconfronto a tutto quello che lui aveva accumulato in non so quan-ti anni di letture... in cinquant’anni122.

Una constatazione, questa, che si trova corredata dall’osservazione diRoberto Calasso, il quale nella seconda parte dell’intervista risponde

Father and Son presso F.lliBocca, Boringhieri eAdelphi

120 Oltre a Padre e figlio, si fa qui riferimento a L’altra parte di Alfred Kubin e Manoscritto trovato aSaragozza del polacco Jan Potocki.121 Aurelia Gruber Benco, Ispirata a Roberto Bazlen l’eccezionale Biblioteca Adelphi, in «Umana», n. 6-10,giugno-settembre 1965, p. 34.122 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.

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insieme a Foà alle domande di Porzio. Calasso infatti evidenzia il fattoche «in realtà nel ’62 [Bazlen] era in anticipo su oggi. Cioè lui vedevadelle cose come già bruciate [...], [cose che] non erano state percepiteprima e che lui aveva già percepito»123.

2.2.3 La «Collana Letteraria».

Come si è accennato nel precedente paragrafo, la presenza nel pro-gramma delle Nuove Edizioni Ivrea di «opere biografiche e autobio-grafiche in cui si riflettevano quelle che [Bazlen] chiamava “vite esem-plari” nei campi più diversi»124, e che potrebbero essere consideratecome il segno di un rifiuto in toto delle potenzialità della letteraturanella rappresentazione del reale, trova un contrappunto nella presenza,nello stesso programma, di una «Collana Letteraria». Essa è indicatacome «a cura di Roberto Bazlen»125 e può essere dunque consideratacome il primo esempio di una serie di libri dalle «caratteristiche comu-ni»126, riflettenti la posizione del loro curatore rispetto «ai modelli let-terari, o ai dibattiti culturali, o alle riflessioni filosofiche»127 del periodoin cui essi vengono proposti. Si vedano allora i titoli che si trovanocompresi nella collezione:

Collana Letteraria(a cura di Roberto Bazlen)

Hopkins - Poesie (traduzione prof. Augusto Guidi) Hofmannsthal - Saggi (oppure Lettera a Lord Chandos ed altrisaggi) (traduzione Leone Traverso) Hofmannsthal - Andreas (diritti: sono in corso le trattative; comun-que, il libro può e deve essere pubblicato subito perché è in prepa-razione presso altri editori i quali non posseggono i diritti.Traduzione: Gabriella Bemporad). Rilke - Elegie duinesi (traduzione: Leone Traverso).

La Collana letteraria curatada Bazlen.

123 Ibidem.124 Foà, pag. 3.125 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato.126 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, Napoli, Liguori,2007, p. 79.127 Ibidem.

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Claudel - Presence et prophetie (traduzione: Sandro Penna). Mirò - Figure della passione del signore (traduzione: Mario Socrate). Kierkegaard - La ripresa (traduzione: Angela Zucconi). Rilke - Sonetti ad Orfeo (traduzione: eravamo in trattative per rileva-re quella di Prati). Alain - Entretiens avec le sculpteur. (tradotto a cura di UmbertoMorra, cui fu corrisposto un compenso di £ 1500 (manoscrittorivenduto da Sergio Solmi). Si è incaricato un amico residente aParigi di trattenere i diritti). Ball - Cristianesimo bizantino (tradotto dalla prof. Luisa de Col; cuifu corrisposto un compenso di £ 5400. non si poté acquistare idiritti a causa del divieto della propaganda germanica; l’editore ciassicurò un diritto di priorità per la propagazione del contratto aguerra finita). Raby - Poeti latini del trecento (affidata al prof. Arrigo Levasti, a cuisono state versate £. 2500. Il libro dovrebbe essere in gran partetradotto. I diritti devono essere acquistati in Inghilterra). Buber - Storie chassidiche (affidata a Marcella Ravà a cui sono stateaffidate £. 5000. Il lavoro dev’essere pronto per un terzo. I dirittidevono essere trattati in Palestina)128.

Ad un primo sguardo ai titoli sopra elencati, non sembra inopportunoipotizzare che nel caso della «Collana Letteraria» Bazlen abbia privile-giato la propria tendenza all’asistematicità, alla scelta dei testi fra lediscipline e i campi più disparati. Non risulta immediato, infatti, rin-tracciare quelle «caratteristiche comuni» che, solitamente, dovrebberocongiungere i diversi titoli proposti all’interno di una stessa collana:disparati sono i generi proposti, dalla poesia, alla saggistica, alla narra-tiva, e le provenienze degli autori, mai italiani ma varianti al loro inter-no fra l’onnipresente Austria, l’Inghilterra, la Francia, infine la Spagna.A questo proposito, può stupire ad esempio la presenza di GerardManley Hopkins, poeta inglese la cui opera si colloca nella secondametà dell’Ottocento, ma scoperto dalla critica solo il secolo successi-vo: profondamente estraneo, comunque, agli altri due autori europei diuna certa notorietà presenti nell’elenco, quali sono Rilke eHofmannsthal. Può però forse aver avuto rilevanza, ai fini della sceltadi Bazlen, il fatto che Hopkins, attraverso una serie di innovazioni rit-

128 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds nondatato.

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miche ed espressive di grande forza simbolica, abbia rinnovato consi-derevolmente il codice poetico inglese, anticipando sviluppi, per esem-pio il verso libero, appartenenti alla poesia del Novecento. Più facil-mente spiegabile è invece la presenza nel programma della «CollanaLetteraria» di Rilke e Hofmannsthal, considerati «autori tipicamente“bazleniani”»129, forse perché entrambi austriaci ed operanti nei primidecenni del Novecento (tanto che i due furono personalmente in con-tatto, come dimostrano le lettere che si scrissero). A proposito di Rilke,si assiste al completamento della proposta che era stata iniziata per lacollana «Mondi e destini»: Bazlen infatti accosta alla produzione epi-stolare del poeta austriaco quella più caratteristica, ovvero appunto ilavori poetici. La scelta dei titoli, poi, risulta guidata da una certa con-sapevolezza, visto che le Elegie duinesi possono essere considerate fra leraccolte più rilevanti della cultura mitteleuropea, e che nell’insiemedelle opere di Rilke si pongono in significativa contiguità stilistica econtenutistica con l’altra raccolta proposta da Bazlen alle NuoveEdizioni Ivrea, ovvero i Sonetti ad Orfeo. Per quanto riguarda invece ilcaso di Hofmannsthal, può fare riflettere il fatto che di questo autoreBazlen proponga la pubblicazione di Andreas130, dunque un romanzovolutamente incompiuto e per questo assimilabile al già considerato«gusto [di Bazlen] per quel “non finito”, tanto più rivelatore, per luidelle opere finite e costruite»131 (il quale come si è visto si esplica fral’altro nell’incompiutezza dello stesso Capitano di lungo corso). Meritaqualche considerazione, inoltre, la proposta della Lettera di LordChandos (che Bazlen indica erroneamente come Lettera a Lord Chandos),un testo datato 1902 e costituito dall’immaginaria lettera che in età eli-sabettiana un giovane scrive al filosofo empirista Francesco Baconeper motivare la propria scelta di abbandono dell’attività letteraria. «Ilmio caso, in breve, è questo: ho perduto ogni facoltà di pensare o diparlare coerentemente su qualsiasi argomento»132: da passi come que-sto si comprende perché, nella sua Introduzione, Claudio Magris defini-sca la Lettera di Lord Chandos come

Rilke e Hofmannsthal.

129 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 79.130 Si segnala che il romanzo è indicato da Bazlen con un titolo abbreviato. Quello completo corri-sponde a Andreas oder Die Vereinigten [Andrea o i ricongiunti].131 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 270.132 Hugo von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos, traduzione di Marga Vidusso Feriani, Milano,Biblioteca Universale Rizzoli, 1985, p. 43.

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un manifesto del deliquio della parola e del naufragio dell’io nel con-vulso e indistinto fluire delle cose non più nominabili né dominabi-li dal linguaggio; in tal senso il racconto è la geniale denuncia diun’esemplare condizione novecentesca133.

Significativo è poi il fatto che gli elementi appena citati furono tantosentiti da Hofmannsthal da spingerlo ad abbandonare quasi definitiva-mente la scrittura letteraria in favore di quella per il teatro: un’arte,dunque, che non si serve unicamente del linguaggio verbale per rap-presentare la realtà. Alla luce di quanto si è visto circa il personale pen-siero di Bazlen sul problematico rapporto fra l’autore, la “vita”, e la suapossibilità di resa sulla pagina, si può allora comprendere senza diffi-colta la fascinazione che un’opera come quella di Hofmannsthal dove-va esercitare su di lui. Significativi sono poi, a proposito di Rilke e Hofmannsthal, i tradutto-ri segnalati: si tratta infatti per il primo del già citato Leone Traverso,per il secondo invece di Gabriella Bemporad, con la quale negli anniBazlen avrà innumerevoli contatti. Figlia del noto editore fiorentino, laBemporad sarà infatti più volte traduttrice per Einaudi grazie alla suamediazione. A legarla a Bazlen, in effetti, dovevano essere l’amicizia ei diversi interessi condivisi, come quello, in prima istanza, per la psicoa-nalisi junghiana praticata da Ernest Bernhard, alla quale entrambi sisottoposero (senza contare il fatto che proprio lei sarà la traduttricedell’unica opera di Bernhard, Mitobiografia, pubblicata, si può dire nona caso, da Adelphi134). Entrambi inoltre dovevano nutrire interesseappunto per le opere di Hofmannsthal, oggetto della tesi di laurea dellaBemporad, e che lei si troverà a tradurre più volte per Adelphi, a par-tire dagli anni Settanta. Interessante è il fatto che fra le traduzioni diHofmannsthal svolte da Gabriella Bemporad per Adelphi figuri pro-prio l’Andreas: si tratta dunque di una traduzione che risale agli annidelle Nuove Edizioni Ivrea, e che, dopo essere stata pubblicata dallacasa editrice Cederna, ricompare appunto presso Adelphi. È infine danotare che già nel 1956 Bazlen stesso, scrivendo a Linder a propositodi una sua traduzione di un’opera di Hofmannsthal, indicasse la

I traduttori per Rilke eHofmannsthal: GabriellaBemporad e LeoneTraverso.

133 Claudio Magris, Introduzione, in Lettera di Lord Chandos cit., pp. 6-7.134 Ernst Bernhard, Mitobiografia, a cura di Hélène Erba-Tissot, traduzione di Gabriella Bemporad,Milano, Adelphi, 1969.

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Bemporad come possibile revisore della traduzione: «le sue ultime tra-duzioni di Hofmannsthal» riferisce infatti Bazlen «sono fatte conmolto geschmakt [gusto]»135.Si possono invece probabilmente motivare con gli interessi di Bazlenin ambito religioso i testi di due autori di area mediterranea, quali sonoil francese Paul Claudel e lo spagnolo Gabriel Mirò, entrambi operan-ti, in quella che sembra essere quasi una costante degli autori propostiper la «Collana Letteraria», e per molte delle future proposte da partedi Bazlen, nella prima metà del Novecento. Si tratta, in entrambi i casi,di opere di prosa e saggistica religiosa: nel caso dell’opera del primo deidue autori, Presence et prophetie [Presenza e profezia] è interessante notareche essa sarà pubblicata nel 1947 dalle Edizioni di Comunità, nell’au-torevole traduzione di Sandro Penna che si trova indicata sin dal pro-gramma che si sta citando in questa sede. La pubblicazione del saggiodi Claudel presso le Edizioni di Comunità, unitamente al fatto che néClaudel né Miro si troveranno più citati nelle successive lettere edito-riali di Bazlen, può dunque far immaginare che probabilmente la pub-blicazione di questo testo nella «Collana Letteraria» corrispondesse piùal desiderio di Olivetti che a quello di Bazlen, o forse che egli non neritenesse imprescindibile la pubblicazione se non nell’ambito del pro-gramma delle Nuove Edizioni Ivrea. Rimane comunque il fatto che, aldi là della responsabilità personale nella proposta dell’uno o dell’altrotitolo, o delle ipotesi che si possono fare per motivarne la presenza nel«fondo Olivetti», alla «Collana Letteraria» prevista per le NuoveEdizioni Ivrea doveva sottostare la volontà di proporre un percorsotematico attinente alla Storia della religioni: lo dimostra anche, fra l’al-tro, un titolo come Cristianesimo bizantino, ovvero il saggio datato 1923di Hugo Ball, artista e scrittore che fu tra i fondatori del dadaismo. Unaragione simile a quella appena addotta si può citare inoltre per la pre-senza nel programma del filosofo della religione e sociologo austriacoMartin Buber: la scelta da parte di Bazlen delle sue Storie chassidiche puòessere forse spiegata con la vicinanza che, come si è più volte posto inevidenza, egli aveva con la cultura ebraica. È inoltre importante sotto-lineare il fatto che nel caso delle Storie chassidiche si sia in presenza di un

I testi di Paul Claudel eGabriel Mirò.

Presenza e Profezia di Claudelpresso le Edizioni diComunità.

Le Storie chassidiche di MartinBuber.

135 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956, b.8, fasc. 47 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 29 gennaio 1956.

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testo di ambito narrativo, o comunque genericamente letterario: unaspetto, questo, che appare scontato per un testo la cui pubblicazioneè prevista in una collana denotata specificatamente come «letteraria»,ma che tale non è se si considera che, delle dodici opere proposte, solola metà non è costituita da titoli di saggistica (si pensi infatti, oltre aititoli non narrativi già messi in evidenza, a Entretiens [interviste] avec lesculpteur del filosofo francese Alain). Questa anomalia si può forsespiegare con la concezione, per molti aspetti sfiduciata, che Bazlenaveva dell’opera letteraria in sé stessa, nonché con l’interesse che eglinutriva, e continuerà a nutrire negli anni, per opere che esulino da taleambito: ma non è forse improprio ipotizzare, nell’elaborazione del-l’elenco di titoli che dovevano comporre la collezione letteraria, anchela presenza di voci diverse da quella di Bazlen, sebbene tale aspetto siamolto difficilmente dimostrabile. Un caso che può forse suggerirecome nella scelta delle opere presentate nella «Collana Letteraria»siano intervenute più figure è quello dell’opera di Kierkegaard Laripresa: un testo filosofico-psicologico che significativamente compa-rirà, nel 1954, nel catalogo delle Edizioni di Comunità136, come si èvisto rispondenti all’idea editoriale di Adriano Olivetti. Kierkegaard,peraltro, compare con altri titoli sia nel programma delle NuoveEdizioni Ivrea, sia in quello delle Edizioni di Comunità, dunqueappunto all’interno di gruppi di testi sui quali si può immaginareBazlen non avesse grande influenza (anche se la collocazione del filo-sofo danese all’interno dell’esistenzialismo, dunque di una filosofiamolto lontana dall’idealismo, doveva presumibilmente trovare Bazlenfavorevole alla pubblicazione). D’altro canto, può tuttavia far riflet-tere il nome indicato per la traduzione di La ripresa: si tratta di AngelaZucconi, la quale collaborerà più volte nel corso degli anni conAdriano Olivetti (essendo fra l’altro stata incaricata della traduzionedi «tutto Kierkegaard»137) ma che, come risulta dal carteggio di Bazlencon l’Agenzia Letteraria Internazionale, ebbe appunto molti contat-ti anche con quest’ultimo. Si può forse allora immaginare che il ruolodi Bazlen nella diffusione delle opere di Kierkegaard non sia statodecisivo, ma forse nemmeno del tutto irrilevante. In primo luogo,

L’opera di Kierkgaard e letraduzioni di AngelaZucconi.

136 Søren Kierkegaard, La ripresa. Tentativo di psicologia sperimentale di Constantin Constantius, Milano,Edizioni di Comunità,1954.137 Valerio Ochetto, Adriano Olivetti industriale e utopista, Ivrea, Cossavella Editore, 2000, p. 108.

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infatti, sarà proprio lui a segnalare il lavoro della traduttrice all’AgenziaLetteraria Internazionale, come si può leggere in una lettera indirizza-ta a Luciano Foà del marzo del 1948: in tale occasione, Bazlen segna-la che la Zucconi «sta lavorando sulla traduzione di Kierkegaard»138, edaggiunge che sarebbe disposta ad eseguire traduzioni anche da altrelingue scandinave. Ed ancora, due mesi dopo (il 3 maggio 1948)Bazlen cercherà di “sistemare” la traduzione, appunto ad opera dellaZucconi, delle lettere fra il filosofo e la sua compagna Regina Olsen:ad essere segnalata a Foà è la casa editrice Cederna come possibileacquirente della traduzione, anche se il progetto non andrà in portoperché, scrive Foà il 12 maggio, «il vento della crisi libraria soffia vio-lentissimo e anche il team Kierkegaard - Olsen non riesce facilmente afarsi strada»139. Infine interessante, anche alla luce di quanto visto nelprecedente capitolo circa il rapporto di Bazlen con il sistema scolasti-co italiano, e quanto egli scrive a Foà nel maggio del 1949: «ho propo-sto alla Zucconi di fare un’antologia antiscolastica (cioè di brani diromanzi, autobiografie, ed eventualmente dipinti e fotografie (da film)sugli orrori della scuola vom altertum zur gegenwart [dall’antichità aigiorni nostri]»140. Una lettera, quest’ultima, che permette di intravedereuna consuetudine fra Bazlen e la traduttrice, che consentiva loro anchel’elaborazione di comuni progetti editoriali. Ancora, nel passo appenacitato si può vedere nuovamente la predilezione di Bazlen per il gene-re autobiografico, il quale secondo lui, evidentemente, avrebbe dovu-to trovare uno spazio non solo nelle pubblicazioni della «grande casaeditrice»141 che avrebbe dovuto aprire «agli italiani quegli orizzonti cheil provincialismo fascista più che vietare aveva fatto smarrire»142, maanche nei programmi scolastici.

Una proposta di antologiaper Angela Zucconi.

138 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 11 marzo 1948.139 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 12 maggio 1948.140 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1949,b. 2, fasc. 24 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 18 maggio 1949.141 Valerio Ochetto, Adriano Olivetti industriale e utopista cit., p. 106.142 Ibidem.

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2.3 I rapporti di Bazlen con l’Agenzia Letteraria Internazionale.

2.3.1 Il carteggio con Luciano Foà: 1946-1949.

Come si è visto nel primo paragrafo del presente capitolo, poco dopola nascita della sua amicizia con Luciano Foà, Bazlen intraprese unrapporto di collaborazione, oltre che con le già viste citate case edi-trici, con l’Agenzia Letteraria Internazionale. Foà infatti era tornatoa lavorarvi, dopo l’esperienza di Ivrea e gli anni passati in Svizzerafino alla fine della guerra, avvalendosi allora dell’aiuto del giovaneErich Linder, già collaboratore di Olivetti. Negli anni del dopoguer-ra, i due dunque lavoreranno insieme nella gestione dell’AgenziaLetteraria Internazionale, fino a che Foà si trasferirà a Torino perassumere il ruolo di segretario generale presso Einaudi e Linder sisostituirà completamente a lui all’interno dell’Agenzia.L’avvicendarsi di personaggi nell’Agenzia Letteraria Internazionaletrova riscontro nel mutare dei destinatari delle lettere che ad essaBazlen indirizzerà negli anni (comunque non sempre specificati, dun-que difficili da determinare con certezza), e che si trovano archiviatenel fondo Erich Linder, presso la Fondazione Arnoldo e AlbertoMondadori di Milano: gli elementi di interesse di questo ampio car-teggio sono molteplici. In esso, infatti, si può in primo luogo vedereriflesso il tipo di atteggiamento con il quale Bazlen si rivolgeva allepersone con cui di volta in volta si trovava a lavorare: non il freddorapporto professionale, nel quale, come si vede per esempio rileg-gendo le lettere a Solaria, Bazlen si trovava a disagio, ma il colloquiocon una persona amica ed intima, in questo caso rispettivamenteLuciano Foà ed Erich Linder. Non è infrequente, infatti, intravede-re nelle lettere all’Agenzia le ragioni che talora guidavano Bazlennelle sue scelte, vale a dire gusti personali, passioni ed idiosincrasie:se infatti, e per ragioni che si sono già viste, «leggere sembra perBobi preludere quasi a una forma di compartecipazione attiva conl’opera»143, si comprende facilmente come l’«irradiare le proprie sco-perte agli amici [divenga] un suo, personalissimo, mezzo di espres-sione»144. Inoltre, al di là di questa «peculiare attitudine a consigliare

Roberto Bazlen, LucianoFoà e Erich Linder.

143 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 34.144 Ibidem.

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libri [...] ai suoi amici»145, il carteggio con l’Agenzia LetterariaInternazionale, per la sua posizione super partes rispetto alle varie caseeditrici, illumina le relazioni di Bazlen, spesso altrimenti per lo piùavvolte nell’ombra, con alcune di esse. In conseguenza di questo aspet-to, il carteggio che dal 1946 al 1949 Bazlen intrattiene con l’amico Foàtratta prevalentemente, ma non esclusivamente, della ridistribuzionedel «mitico fondo NEI - [...] cui attingeranno massicciamente gli edi-tori serviti dal suo genio [di Bazlen] nel Dopoguerra»146: lo conferma ilfatto che la prima lettera del carteggio, indirizzata da Foà a Bazlen l’8dicembre 1946, chiami in causa, come si è già accennato, «i libri diAstrolabio»147 e «Jung delle N.E.I»148.

2.3.2 La pubblicazione delle opere di Freud e Jung in Italia e la colla-borazione di Bazlen con Astrolabio.

«Jung nelle NEI: l’ultima parola di Adriano è che li vuole fare tutti lui»149:è questa una delle prima frasi che si legge nel carteggio fra RobertoBazlen e Luciano Foà, come rappresentante dell’Ali (sigla per AgenziaLetteraria Internazionale). Nella sua semplicità, l’affermazione appenacitata permette di ipotizzare che, almeno in un primo momento, AdrianoOlivetti fosse rimasto fermo nella propria volontà di pubblicare, ora coni tipi delle Edizioni di Comunità, l’intera opera di Jung. Il progetto, però,per le ragioni che si sono già viste, non trovò realizzazione, così che ilpensiero junghiano venne introdotto in Italia attraverso le pubblicazionidi diverse case editrici, prima fra tutte Astrolabio. Vale la pena di soffer-marsi brevemente sulle origini e i caratteri della casa editrice romana, conla quale Bazlen intrattenne un rapporto di intensa collaborazione duratodieci anni. Astrolabio si presenta per la prima volta nel panorama edito-riale italiano nel 1944, con la pubblicazione del Dizionario filosofico diVoltaire. A guidare la casa editrice è Mario Meschini Ubaldini, «uno dei

Adriano Olivetti vuole pub-blicare tutto Jung ma il progetto non si realizza.

145 Ivi, p. 59.146 Dario Biagi, Il dio di carta: vita di Erich Linder cit., p. 44.147 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1946,b. 1, fasc. 28 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 8 dicembre 1946.148 Ibidem.149 Ibidem.

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precursori della diffusione della psicologia e psicanalisi in Italia»150: ineffetti, nel giro di due anni Astrolabio comincia a costruire «una propriaidentità»151, fondata sull’esplorazione di quel «campo editoriale non sfrut-tato»152 in Italia, costituito appunto dalle opere fondamentali della psica-nalisi freudiana e della psicologia analitica junghiana. In tal senso, Bazlendà con il proprio lavoro un contributo decisivo, che si può vedere rifles-so anche nel suo scambio di lettere con Foà.Trasferitosi a Roma nel 1939, Bazlen nello stesso anno conosce ErnstBernhard, allievo di Jung e personalità di estrema importanza nella diffu-sione del suo metodo in Italia: un metodo al quale Bazlen si sottoposetempestivamente per combattere i propri «gravi disturbi nevrotici»153, chel’analisi freudiana intrapresa anni prima con Weiss non era riuscita a risol-vere. Quello che interessa in questa sede, però, è che fra Bazlen eBernhard si instaurò una relazione di tipo non soltanto terapeutico, maanche professionale: nel 1945, infatti, lo psicanalista junghiano sarà pre-sentato proprio da Bazlen a Ubaldini con conseguenze non indifferenti,visto che nella «Presentazione della casa editrice»154 si afferma che «l’in-contro decisivo per l’orientamento della neonata Astrolabio fu quello conErnst Bernhard». In effetti, nel 1947 nacque la famosa «Psiche eCoscienza», ovvero «una collana di testi e documenti per lo studio dellapsicologia del profondo, diretta dal dott. Ernst Bernhard», come si leggenella quarta di copertina dei libri pubblicati. È importante specificare,però, che lo psicanalista non operò da solo nella direzione di «Psiche eCoscienza». Una «comunicazione personale di Ubaldini»155 ad AldoCarotenuto, infatti, sottolinea che, accanto a Bernhard, Bazlen fu «digrandissimo aiuto per il lancio della collana»156: ovvero, più precisamente,egli «agisce da tramite fra [Ubaldini] e Berhard»157 anche dopo aver pre-sentato i due, ed in tal modo, «grazie a una diversa congiunzione di fat-tori storico-editoriali, [...] riesce ad attuare quanto rimasto precedente-

Bazlen e Ernst Bernhard aRoma.

La nascita di “Psiche eCoscienza” di Astrolabio.

150 Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia, 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, p. 195.151 Domenico Lombrassa, Un pesarese coraggioso e geniale: Mario Meschini Ubaldini, in I cento anni del“Mamiani”: 1984-1994, Pesaro, Cassa di Risparmio di Pesaro, 1986, p. 123.152 Ivi, p. 124.153 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 123.154 Presentazione della Casa Editrice Astrolabio Ubaldini Editore, documento gentilmente concesso daFrancesca Proto e Francesco Gana, Direttore Editoriale della Casa Editrice.155 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 71.156 Ibidem.157 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 60.

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mente incompiuto»158. Il riferimento è evidentemente alle opere proposteda Bazlen per le Nuove Edizioni Ivrea, come fra le altre cose il suo car-teggio con l’Agenzia Letteraria Internazionale contribuisce a mettere inevidenza. Nella lettera che si è citata in apertura di questo paragrafo, infatti, appareevidente che Foà si rivolga all’amico triestino come al mediatore dei rap-porti fra l’ALI e Astrolabio. Foà infatti, dopo aver parlato dei titoli jun-ghiani, così scrive poco sotto: «Astrolabio avrebbe interesse di pubblica-re le opere di Freud? Noi ci siamo messi in contatto con i proprietari deidiritti a Londra»159. Rispetto a tale questione Foà torna nei primi giornidel marzo 1947, quando comunica a Bazlen che l’editore inglese in pos-sesso dei diritti delle opere di Freud cederebbe ad Astrolabio «Neue folge[Nuova serie] e Vorlesungen [Lezioni]»160, a patto che «a rivedere i testi siaWeiss»161. Foà, dunque, svolge il proprio lavoro di agente letterariomediando fra i detentori dei diritti delle opere di Freud e Astrolabio, allaquale egli si rivolge nella persona di Bazlen. Un altro segno della collabo-razione di quest’ultimo con la casa editrice si trova poi nel fatto che nellaquarta di copertina della Introduzione allo studio della psicanalisi (Prima seriee Nuova Serie), dunque l’opera a cui Foà si riferisce, è L’interpretazionedei sogni, il traduttore indicato è proprio Roberto Bazlen. I volumi ven-gono di fatto immessi nel mercato editoriale nel 1948, ma da quanto sista vedendo in questa sede emerge chiaramente il fatto che il progettoera in elaborazione già da almeno un anno. Riguardo alla prima opera,poi, la nota che riferisce che la «traduzione italiana [è] interamente rive-duta [...] da Edoardo Weiss» indica che le richieste dell’ALI sono statefatte rispettare da Bazlen. Tali traduzioni, che vedono i fondamenti delpensiero freudiano «pubblicati in Italia per la prima volta»162, inducono ariflettere sul fatto che, se certamente Bazlen a partire dalla fine degli anniTrenta si trovò in maggiore consonanza con Jung, che egli concepivacome «il figlio ribelle»163 del fondatore della psicanalisi, questo non glifaceva dimenticare la massima importanza della conoscenza, in Italia,

La traduzione di Bazlen deL'interpretazione dei sogni perAstrolabio.

158 Ibidem.159 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1946,b. 1, fasc. 28 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 8 dicembre 1946.160 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1947,b. 1, fasc. 25 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 10 marzo 1947.161 Ibidem.162 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 60.163 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 125.

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anche delle opere di Freud. Bazlen stesso espone chiaramente il propriopensiero a riguardo, in un breve intervento, intitolato «Freud», pubblica-to nella raccolta dei suoi Scritti.

Nell’ambito della cultura occidentale, Freud ha scoperto una nuovadimensione dell’uomo. E tutte le riserve che si possono fare sull’ope-ra di Freud, e sono molte, non intaccano la sostanzialità definitiva diquesta sua grande scoperta164.

Questa l’apertura dell’articolo di Bazlen, scritto intorno al 1947 «per ilsettimanale Omnibus»165, è corrispondente, forse, alla necessità di presen-tare la nascente collana «Psiche e Coscienza». Nelle parole appena citatesi scorge preliminarmente tanto la stima provata nei confronti del«patriarca onnipotente»166 Freud, quanto anche la velata dichiarazionedella necessità di aprirsi a nuovi stimoli. Una necessità che in Bazlen pog-gia su una consapevolezza profonda, acquisita negli anni, che gli permet-te di argomentare con una certa incisività quanto dichiarato in aperturadel proprio intervento. Bazlen infatti, nello sviluppo del proprio discor-so, avverte a proposito del fondatore della psicoanalisi che «genialitàimplica unilateralità, implica monomania»167, così che la scoperta da partedi Freud di «un mondo nuovo»168 ha portato lui e coloro i quali hannoseguito il suo pensiero «a voler spiegare il tutto da una sola visuale par-ziale»169. Sono queste le ragioni che portano Bazlen ad affermare cheFreud «benché morto dieci anni or sono [nel 1939], è uno scienziato deldiciannovesimo secolo»170: una definizione, questa, che non pare esseredel tutto lusinghiera. Rimane il fatto che, nonostante la dichiarata diffi-denza nei confronti dello scienziato viennese, Bazlen dimostra, conun’onestà intellettuale degna di nota, di comprendere il fatto che se «lameccanicità delle sue applicazioni dà fastidio, [se] le sue deduzioni sonodiventate piatte e meschine»171, ciò è dovuto anche al fatto che il pensie-ro di Freud «è già ovvio, quotidiano, corrente, banale»: laddove però que-

164 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 259.165 Così si trova indicato dai curatori del volume degli Scritti di Bazlen. Cfr. Ivi, p. 256, nota 1.166 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 125.167 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 259.168 Ibidem.169 Ibidem.170 Ivi, p. 260.171 Ibidem.

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sto avviene anche perché «la prova della grandezza di certe scoperte staproprio nel fatto che diventano subito “naturali”»172. Nel suo breve arti-colo, insomma, Bazlen pone con ordine tutte le premesse necessarie apresentare il proprio lavoro di traduzione, nonché enuncia una serie di“avvertimenti al lettore”, che lo accompagnino nella lettura di Freud. Inperfetta coerenza col suo essere «marginale per vocazione»173, peraltro,Bazlen sottolinea la portata dell’operazione editoriale, ma non l’artefice diessa, vale a dire appunto se stesso:

Un volume di Freud, Lezioni introduttive allo studio della psicanalisi, iniziauna nuova collezione, vasta e attuale, di testi e documenti psicologi-ci. Il volume riunisce una ristampa corretta della prima traduzioneitaliana della prima serie di conferenze e la serie nuova, finora maipubblicata in volume. C’è, in Italia, una generazione che da anni nontrova nelle librerie quest’opera classica. Freud, nell’ultimo periodo delfascismo, era proibito. Per questa generazione, il volume sarà unarivelazione174.

Tornando ora alla già citata lettera di Foà del 10 marzo 1947, in essa egliaccenna a due questioni che permettono nuove osservazioni circa l’ope-rato di Bazlen nella fine degli anni Quaranta: finito di trattare la questio-ne della cessione dei diritti di Freud, infatti, Foà riferisce a Bazlen di nonavere ancora ricevuto risposta «da Pantheon per Einführung in das Wesender Mythologie di Jung-Kerenyi»175. Il titolo citato in tedesco da Foà corri-sponde a null’altro che ai Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia,un’opera che come si è visto Bazlen aveva proposto per la collana deiSaggi delle Nuove Edizioni Ivrea: il fatto che Foà tenga aggiornato l’ami-co circa lo stato dei diritti dell’opera porta a pensare che Bazlen fosseinteressato alla questione, magari considerando la possibilità di una pub-blicazione del saggio presso Astrolabio. D’altronde, che il suo lavoropresso la casa editrice romana fosse anche motivato dalla volontà di nondisperdere le idee concepite per il progetto di Ivrea è confermato da unaltro elemento. Bazlen infatti, attraverso Foà, insiste in quel periodo

172 Ibidem.173 Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia, 1945-2003 cit., p. 195.174 Roberto Bazlen, Scritti cit., pp. 260-261.175 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1947,b. 1, fasc. 25 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 10 marzo 1947.

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anche perché ad Astrolabio siano cedute altre due opere di Jung, ovve-ro La realtà dell’anima e Tipi psicologici, come emerge dal passo che segue:«Adriano manderà direttamente a Bernhard quella parte di Wirklicheitder Seele [Le realtà dell’anima] che è già tradotta. Credo che se Bernhardinsistesse un po’, Adriano gli cederebbe anche Psychologische Typen [Tipipsicologici]»176. Di fatto, delle tre opere junghiane appena citate, solo leultime due verranno pubblicate da Astrolabio, rispettivamente i Tipipsicologici nel 1948, nella traduzione di Cesare Musatti risalente ai tempidi Ivrea, e La realtà dell’anima l’anno successivo. I Prolegomeni, invece,troveranno spazio nel 1948 nella neonata «collana viola» einaudiana,diretta da Cesare Pavese ed Ernesto De Martino, sulla quale si avràmodo di soffermarsi in seguito. Il ruolo di Bazlen all’interno di Astrolabio, però, non si limita alla già diper sé rilevante traduzione di due opere di Freud. Fra il 1947 e il 1949,infatti, egli attende anche alla traduzione di testi junghiani: del 1947, infat-ti, è la traduzione di Psicologia ed educazione, il secondo volume pubblicatonella collana «Psiche e coscienza», mentre di due anni successiva e la pub-blicazione di Psicologia ed alchimia. Ed è forse anche lo stretto contatto conquesto «difficile e nello stesso tempo sconcertante lavoro di Jung»177 cheavvicinò Bazlen ad alcuni di quelli che sarebbero diventati i suoi interes-si primari, e che fin da ora trovano un’applicazione editoriale: ovvero,come si è già in parte visto, i

testi mitologici, religiosi, alchemici e astrologici di qualsiasi civiltà,dato che in tali opere, per così dire “impersonali”, si manifestava,secondo Jung, la psiche collettiva, così centrale nel pensiero dell’ana-lista svizzero178.

Si comprende allora la presenza nel programma di «Psiche e Coscienza»,accanto a Psicologia ed alchimia di Jung, di testi come l’I Ching, con la prefa-zione dello stesso Jung, e dell’opera di Lily Abbegg In Asia si pensa diver-samente, un’opera che Bazlen chiede personalmente all’ALI di poter pren-dere in visione, il 18 dicembre 1947. A ulteriore testimonianza dell’impe-

Il caso Jung: Astrolabiopubblicherà I Tipi psicologicitradotto da Cesare Musattie La Realtà dell’anima. I prolegomeni invece sonopubblicati da Einaudi nellaCollana Viola diretta da De Martino e Pavese.

176 Ibidem.177 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 127.178 Si cita ancora dalla Presentazione della Casa Editrice Astrolabio Ubaldini Editore, gentilmente con-cessa dalla casa editrice stessa, nella quale appunto si fa riferimento all’impegno di Bazlen anchenella collana «Civilta dell’Oriente».

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gno di Bazlen in questo senso si può citare il suo contributo, rispetto alquale però non è stato possibile trovare documentazione, alla collana«Civiltà dell’Oriente», diretta da Emilio Servadio, la quale appunto «anno-vera le opere fondamentali per la conoscenza del buddismo Zen e tibe-tano, oltre che della religione induista»179.Del rapporto di Bazlen con il proprio occasionale lavoro di traduttoreresta peraltro una traccia nel carteggio con Foà. In una lettera del 24 otto-bre 1948, infatti, Bazlen così si rivolge all’amico, confidando nei suoiinnumerevoli contatti con le case editrici italiane: «intanto, se ti è possibi-le, pescami, faute de mieux [in mancanza di meglio], una traduzione paga-ta non troppo male»180. All’occorrenza, dunque, Bazlen cercava lavori ditraduzione per una semplice ragione economica: ma ciò non toglie chequesta attività probabilmente avesse per lui anche un senso diverso, se siconsidera che le traduzioni svolte per Astrolabio porteranno tutte il suonome (cosa che non avverrà per quelle einaudiane) e che egli dovevaguardare al suo lavoro con un certo orgoglio, come dimostra il passoimmediatamente successivo a quello appena citato: «Sembra che io tradu-ca bene. Debenedetti ha dichiarato che ho fatto l’unica traduzione italia-na decente di un libro scientifico - ma ci metto molto tempo, e lasciodepositare molto a lungo, per cui vivere con traduzioni mi sarebbeimpossibile»181. Rimane però il fatto che, come in tutti i rapporti profes-sionali che Bazlen ebbe nel corso della sua vita, non sia possibile vederein lui una posizione unilaterale rispetto a quanto svolto. Da un lato, infat-ti, c’è la soddisfazione appena vista, e la fiducia in se stesso che portavaBazlen a proporsi per nuove traduzioni. Dall’altro lato, però, egli nonrinuncia mai a sminuire il proprio lavoro, spesso a rinnegarlo. In una let-tera del dicembre 1948, per esempio, egli chiarisce a Foà che «la traduzio-ne approvata da Giacomino [Debenedetti] è quella di Psicologia ed edu-cazione di Jung»182. Ma l’approvazione di Debenedetti non deve valere poitanto agli occhi di Bazlen, se egli subito di seguito, a preventiva giustifica-zione di eventuali imperfezioni, specifica che essa è stata «pubblicata

Il contributo di Bazlen allaCollana Civiltà dell’Orientedi Servadio.

La traduzione di Psicologia eeducazione di Jung.

179 Domenico Lombrassa, Un pesarese coraggioso e geniale: Mario Meschini Ubaldini cit., p. 126. 180 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 24 ottobre 1948. 181 Ibidem.182 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 11 dicembre 1948.

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senza le mie correzioni con sbagli di stampa and so on da Meschini»183.Alla luce di quanto appena visto, allora, il fatto che Bazlen abbia voluto,nel caso di Astrolabio, riconoscere la “paternità” delle proprie traduzionisi accompagna comunque ad un aspetto non positivo, dal momento che,oltre a sminuire la traduzione junghiana, egli rinnega anche quella freu-diana. Nella stessa lettera dell’11 dicembre 1948, infatti, Bazlen proseguecon parole di risentimento nei confronti di Mario Meschini Ubaldini, poi-ché egli «ha messo il mio nome sulla traduzione del sogno di Freud cheuscirà adesso»184: nemmeno di essa, dunque, Bazlen era del tutto soddi-sfatto. Un ulteriore elemento di riflessione circa l’enigmatico atteggia-mento rispetto al proprio lavoro è fornito dalla nota che si può leggerenell’edizione Boringhieri dell’opera di Freud (la casa editrice torinese,infatti, acquisterà i diritti di molte delle opere di Astrolabio, negli anniCinquanta). Nel presentare una traduzione che non è quella di Bazlen,infatti, l’editore specifica quanto segue, mettendo sì in luce le imperfezio-ni che in effetti intaccavano il lavoro, ma anche rilevando i suoi aspetti divalore e dunque, contemporaneamente, l’atteggiamento autodenigratoriodel traduttore:

si è tenuta presente, oltre alla traduzione inglese, [...], la tradu-zione italiana di Roberto Bazlen [...], spesso imperfetta – il tra-duttore non desiderava che gli venisse attribuita, trattandosi,diceva, solo di un primo abbozzo cui venne data dignità di edi-zione a sua insaputa – ma talvolta illuminante185.

2.3.3 L’attività di Bazlen alla fine degli anni Quaranta.

Gli attriti con Ubaldini circa i tempi e le modalità delle consegne delle tra-duzioni (che si verificarono, a quanto si legge dal carteggio con Foà,anche a proposito di Psicologia e alchimia) portarono Bazlen, sin dalla lette-ra dell’11 dicembre 1948, ad affermare che «naturalmente, molto più di

Le vicende della traduzionede L'interpretazione dei sognidi Freud.

183 Ibidem.184 Ibidem.185 Sigmund Freud, Opere 1899. L'interpretazione dei sogni, traduzione di Elvio Facchinelli e HermaTrettl Facchinelli, Torino, Bollati Boringhieri, 1966, p. XXII.

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una traduzione mi interesserebbe un po’ di aria nuova»186. Sembra dun-que che molto prima dell’effettiva rottura con Astrolabio, avvenuta nel1955, Bazlen sentisse la necessità di estendere la rete delle proprie colla-borazioni: e un grande aiuto in questo senso, prima e dopo l’esplicitarichiesta che si è appena citata, gli proveniva dal contatto costante conl’Agenzia Letteraria Internazionale, e con l’amico Luciano Foà in partico-lare. Attraverso questa relazione, infatti, Bazlen poté distribuire libri econsigli presso diverse case editrici, condizionandone l’operato in manie-ra più significativa di quanto si possa pensare se si guarda alle sole colla-borazioni “ufficiali”. Al di là di esse, infatti, dal carteggio emerge la mol-teplicità di ruoli che Bazlen assolveva per l’Ali, ed attraverso essa, per lacultura italiana in generale: a questo proposito, si può citare uno dei temiricorrenti nel carteggio, ovvero l’attività di Bazlen non solo nel campodell’editoria libraria. Il 2 novembre 1947, infatti, Foà chiede all’amico diprendere contatti con il mondo cinematografico romano, nell’eventualeprospettiva che l’Ali inizi a lavorare in questo ambito. La ragione di ciò,peraltro, risiede anche nel fatto che, come avverte Foà in una sua lettera,«con gli editori italiani, credo proprio che non ci sia nulla da fare per te.Sono tutti in grave crisi»187. Alla proposta di Foà, Bazlen risponderà fral’altro una quindicina di giorni dopo, offrendosi prevalentemente comelettore di opere che possano eventualmente fungere da soggetti per film:«passato questo periodo di lavoro, vedrò di farmi segnalare commedieche forse potrebbero andare - tu intanto mandami tutto quello che hai»188.Ed in effetti, da questa lettera in poi, di tanto in tanto comparirà la segna-lazione di qualche commedia, ma anche di testi come i Viceré di DeRoberto, per un’eventuale trasposizione cinematografica; il tutto, peraltro,accompagnato da diverse sollecitazioni, come nella lettera del 18 dicem-bre 1947, dove si legge «mandami soggetti, libri, eccetera [...], ed anchecommedie. Ho bisogno di guadagnare qualche soldo»189. Un’altra attivitànon immediatamente connessa al lavoro per case editrici riguarda la scrit-

La rottura con Astrolabionel 1955.

Il ruolo di Foà e dell’ALI.

Le attività di Bazlen perl’ALI sono molteplici e nonsolo di riferimento all’editoria.

186 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 11 dicembre 1948. 187 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1947,b. 1, fasc. 25 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 2 novembre 1947. 188 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1947,b. 1, fasc. 25 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 16 novembre 1947. 189 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1947,b. 1, fasc. 25 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 18 dicembre 1947.

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tura di articoli o brevi saggi, che Foà propone a Bazlen e rispetto allaquale quest’ultimo si mostra sfuggente come si è ormai visto più volte. Il4 febbraio 1948, evidentemente rispondendo a una proposta di Foà in talsenso, Bazlen si pronuncia circa l’opportunità di un proprio saggio suSvevo. L’atteggiamento, però, ricalca quello visto a proposito delle pro-poste da parte di «Solaria»:

saggio biografico Svevo: volentieri, qualora la famiglia abbia materia-le sufficiente e me lo mandi a Roma. Stabilirmi a Trieste per ricercheecc. non mi conviene. Non salterebbe fuori un saggio molto lungo,[...]. Comunque, tra biografia e – più importante della biografia –ambientazione, salteranno fuori – se non mi viene un attacco di epi-grammaticità – almeno dieci pagine190.

Come per le eventualità di collaborazioni per «Solaria», dunque, Bazlensembra aperto alla possibilità di scrivere un saggio, ma ben presto lasciaanche emergere la propria ritrosia, confermata anche dal fatto che essonon verrà pubblicato. Un mese dopo la lettera appena citata, infatti, eglipromette a Foà di rimettersi a lavorare al saggio su Svevo, evidentemen-te nel frattempo accantonato, con queste parole:

devo mettere a posto quelle moltissime faccende che sono statocostretto a trascurare [...], poi vedo se mi riuscirà nuovamente di lede-re il mio pudore, e di trascrivere e correggere quell’abbozzo che ti homostrato qui a Roma191.

L’avversione all’idea di pubblicare, di uscire dall’ombra nella quale amavaavvolgersi, emerge ancora in una lettera del maggio 1948, dove a questosuo atteggiamento Bazlen non allude ironicamente come nel caso del-l’ipotetico saggio su Svevo, ma fa aperto riferimento. Infatti, di fronteall’opportunità di recensire un volume di diari di Leo Longanesi, Bazlen,discussa l’eventuale struttura dell’articolo, così conclude: «del resto,Montale s’è stabilito a Milano, redattore del Corriere della Sera. Se haioccasione di vederlo, discuti pure con lui il problema dei miei articoli,

Un altro compito cheBazlen assolve per guada-gnare è quello di scriverearticoli o saggi. Ne proponeuno su Svevo a Solaria.

190 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 4 febbraio 1948. 191 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 11 marzo 1948.

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insistendo naturalmente sul mio più stretto incognito»192.Più fattivo appare invece l’atteggiamento di Bazlen rispetto al lavorostrettamente legato all’ambito dell’editoria libraria. È importante sottoli-neare a questo proposito che la natura della collaborazione con l’AgenziaLetteraria Internazionale gli richiedeva di far fruttare non solo le proprievastissime conoscenze letterarie, ma anche un tipo di consapevolezzadiversa, vale a dire quella circa le dinamiche specifiche dell’editoria italia-na: dunque le strategie degli editori, i diversi tipi di pubblico a cui essi sirivolgevano, le possibilità che un libro aveva di soddisfare le aspettativedei lettori. È evidentemente la considerazione di questi fattori, per esem-pio, che spinge Bazlen a proporre una raccolta di lettere inedite diD’Annunzio, possedute e messe in vendita da «Luciana Walmarin, che fu[sua] amante»193: ma la proposta è rivolta esclusivamente ad editori stranie-ri, perché «in Italia se ne ricava pochissimo»194. Le singole opere che Bazlendi lettera in lettera segnala a Foà, il quale evidentemente poi le distribuisceai diversi editori, sono numerose: appare tuttavia più interessante cercaredi seguire l’articolarsi di una sua proposta organica per alcuni editori, chein alcune sue lettere egli specifica come diretti destinatari delle sue propo-ste. È questo il caso, per fare un primo esempio, delle Edizioni diComunità, una realtà alla quale Bazlen poteva guardare con una certaattenzione e consapevolezza, dal momento che essa era figlia di un pro-getto, quello delle Nuove Edizioni Ivrea, nel quale egli aveva avuto unruolo primario. Olivetti stesso doveva essere memore dell’articolato lavo-ro svolto da Bazlen per le Nuove Edizioni Ivrea, e testimonianza ne è l’esi-stenza di un «accordo», dunque di una nuova forma di collaborazione, frai due. Ad esso Bazlen fa riferimento in una lettera del 19 gennaio 1949,anche se lo spirito con cui egli sembra collaborare al lavoro di Olivetti nonsembra affatto lo stesso che lo aveva guidato nella partecipazione al pro-getto di Ivrea. Bazlen infatti così presenta la situazione: «con Adriano, [...],c’è stato una specie di accordo, che ho dovuto accettare, ma che in parte,naturalmente, mi è peinlich [imbarazzante]»195. Si può forse immaginare

Le Edizioni di Comunità.

192 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 3 maggio 1948. 193 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 4 aprile 1948.194 Ibidem.195 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1949,b. 2, fasc. 24 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 19 gennaio 1949.

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che le difficoltà che egli percepiva nella sua nuova forma di collaborazio-ne con Olivetti fosse dovuta anche alla consapevolezza di un mutatoclima culturale, e soprattutto ai già considerati cambiamenti negli obietti-vi editoriali di Olivetti stesso: sin da una lettera dell’anno precedente,infatti, Bazlen aveva parlato di alcuni libri «residuati delle n.e.i.»196, defi-nendoli, in un atteggiamento tra il presuntuoso e il paternalistico, «tuttilibri che, dopo la seconda guerra mondiale e prima della terza, sonodiventati una scocciatura innocente e ben intenzionata, degna di esserepubblicata dalle “Edizioni di Comunità”»197. Oltre a questo però Bazlenspecifica con una certa chiarezza le ragioni della propria scarsa convin-zione, dando un quadro esauriente circa la propria posizione rispetto alpanorama letterario e culturale di quegli anni.

proprio nelle cose che lo interessano lo posso aiutare molto poco,sia perché, più tempo passa, meno roba [...] decente da segnalare eda pubblicare ci sarà - non credo che possa nascere ancora un’ope-ra letteraria di vera importanza, e quel tanto di positivo che si stacreando e verrà sempre di più creato in Europa, dalla fisica moder-na alla psicologia, e di pensiero in genere, è troppo lontano dagliinteressi di Adriano198.

Il pessimismo che si legge in questo passo, peraltro, non toglie l’impegnoche a dispetto di esso Bazlen mette nel proprio lavoro: ed è questa unacostante che caratterizza fortemente il suo modo di operare. Alla difficol-tà di trovare opere che soddisfino Olivetti e il pubblico della sua casa edi-trice, allora, Bazlen risponde proponendo, come si è già visto, un saggiodel pensatore svizzero Max Picard, «che, malgrado una certa impazienzache mi provoca qualche volta, è uno dei pochi scrittori di cui si possarispondere»199. La segnalazione di un autore quale Picard, molto vicino alpensiero cattolico, può peraltro spiegare il riferimento che Bazlen pochigiorni dopo fa al proprio segnalare «libri “religiosi” a Comunità»200. Comeautore, anche se con titoli diversi da quelli che Bazlen aveva proposto,

Il diverso atteggiamentoverso le Edizioni diComunità.

Le difficoltà a formulareuna nuova proposta editoriale.

196 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 24 ottobre 1948. . Ibidem.197 Ibidem.198 Ibidem.199 Ibidem.200 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1949,b. 2, fasc. 24 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 26 gennaio 1949.

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Picard comparirà nel catalogo delle Edizioni di Comunità: non così, però,avviene nel caso di altri testi, prevalentemente saggi, e di un volume dicorrispondenze di Antoine de Saint-Exupery, che Bazlen in diverse lette-re segnala. Riguardo alla «lista di libri tedeschi, che potrebbero interessa-re non soltanto “comunità”»201 e che Bazlen promette di inviare a Foà,invece, la vaghezza del riferimento non permette una verifica sul catalo-go della casa editrice di Olivetti. Si può ad ogni modo affermare che ilnuovo «accordo» con Olivetti non ponesse Bazlen, come era avvenutoper le Nuove Edizioni Ivrea, in una posizione rilevante rispetto alla scel-ta delle opere da pubblicare, ma prevedesse anche una sua attività di tipopiù semplicemente redazionale. Il 20 aprile 1949, infatti, in una letteraindirizzata alle Edizioni di Comunità, Bazlen così scrive a proposito diPresagi di un mondo nuovo di Hermann von Keyserling202: «poiché Luciano[Foà] mi ha scritto che avete bisogno urgente delle bozze, ve le rimandooggi stesso, dopo aver letto attentamente soltanto poco più di un centi-naio di pagine»203. Bazlen era dunque evidentemente incaricato di rivede-re il testo: tuttavia è importante sottolineare che oltre allo svolgimento diquesto compito egli era tenuto anche ad esprimere un parere sulla suapresentazione, ovvero sui caratteri di quel «patto editoriale»204, che sem-pre «orienta l’atto di lettura»205. Nella sua lettera, infatti, egli continua con-sigliando, per meglio contestualizzarlo, di mettere «bene in rilievo la datanel quale il libro fu pubblicato per la prima volta»206, per poi approfondi-re ulteriormente in che cosa secondo lui dovrebbe consistere un eventua-le testo introduttivo:

se poi si dovesse temere che certe pagine del libro vengano inter-pretate come “filofasciste” [...], fate fare una brevissima introdu-zione da una persona garantitamente antifascista (credo che Solmila potrebbe fare benissimo: sono problemi e posizioni che lo inte-ressano molto), menzionando nella prefazione che Keyserling erain disgrazia presso il Terzo Reich, che non aveva il permesso di

I rifiuti di Olivetti.

201 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1949,b. 2, fasc. 24 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 19 gennaio 1949.202 Hermann Von Keyserlin, Presagi di un mondo nuovo, Milano, Edizioni di Comunità, 1949.203 Archivio Storico Olivetti, Ivrea, lettera di Roberto Bazlen alle Edizioni di Comunità, Roma, 20aprile 1949.204 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 158.205 Ibidem.206 Ibidem.

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pubblicare, che è morto tra vere privazioni nei pressi di Innsbruch– dovrebbe bastare207.

Nel caso del rapporto fra Bazlen e Olivetti, dunque, si può dire che era ilprimo a indicare i libri a Luciano Foà, il quale ottemperando al propriodovere di agente letterario li proponeva a sua volta all’editore. Con altrecase editrici il caso è leggermente diverso, come si può vedere a proposi-to del caso di Guanda. La casa editrice fondata nel 1932 è segnalata infat-ti, in tutte le biografie di Bazlen, come una di quelle con le quali egli col-laborò: di questa collaborazione, però, non restano che scarsissime trac-ce, la prima delle quali si trova appunto nella lettera del 24 ottobre 1948,che Bazlen scrive a Foà.

Guanda è stato a Roma: è un periodo di secca, e di crisi moltoacuta, si trova nuovamente con molti soldi in mano. Vuol fare uni-camente libri di poesia (“la fenice”), libri sui musicisti, e libri perbambini. [...]. M’ha, indirettamente, [...] pregato di scriverti io. Fa’come meglio credi.

In questo caso, dunque, sembra che il ruolo di Bazlen consista nel pre-sentare un nuovo editore all’Agenzia Letteraria Internazionale, la qualeperaltro, sempre attraverso una lettera di Foà, accetterà di buon grado lacollaborazione. A quanto si può leggere nel carteggio di Bazlen conl’Agenzia, il suo ruolo in questo ambito sarà limitato, o comunque nondocumentabile, ma decisivo nel caso della pubblicazione di un libro inparticolare: si tratta dell’antologia Poesia dei popoli primitivi di Eckart vonSydow. Con queste parole, infatti, egli lo segnala a Foà: «poesia dei popo-li primitivi [...]: se non l’avevi dato a suo tempo a Einaudi, manda perfavore l’esemplare che ti ho dato a Guanda, possibilmente subito»208. Inprimo luogo, dunque, Bazlen si occupa di fare arrivare il libro all’editore,ricalcando così il ruolo di «scouting»209 che apparterrebbe all’agente lette-rario: come si è visto nel passo della lettera appena citata, infatti, Bazlenè consapevole delle energie che Guanda stava investendo nella collana di

Il rapporto con Guanda.

207Archivio Storico Olivetti, Ivrea, lettera di Roberto Bazlen alle Edizioni di Comunità, Roma, 20aprile 1949.208 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1949,b. 2, fasc. 24 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 26 maggio 1949. 209 Alberto Cadioli , Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 51.

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poesia «Fenice», la quale in effetti determina «fin dal 1939 il ruolo e l’im-magine che distingueranno la casa editrice per vari decenni»210, ed eviden-temente per questa ragione decide di segnalare il titolo. Il contributo all’attività di Guanda tuttavia non si limita a questo, vistoche nel frontespizio del libro, pubblicato solo nel 1951211, si legge che la«versione», ovvero l’edizione, è «a cura di Roberto Bazlen», mentre piùdiscretamente la traduzione e attribuita a «R.B.». In primo luogo, sembradi vedere che con lo scorrere degli anni la disponibilità di Bazlen a firma-re le proprie traduzioni sia in qualche modo scemata, rispondendo anchealla sua tendenza a «vivere cancellando»212, dal momento che esse si tro-vano firmate nel caso della pubblicazione di Freud e di Jung a partire dal1947, poi contrassegnate da una sigla, come avviene nel caso della tradu-zione per Guanda che si sta qui considerando, ed infine presentate sottopseudonimo in tutte le future traduzioni per Einaudi. Al di là di questoaspetto, se l’edizione è presentata come «a cura di Roberto Bazlen» si puòipotizzare che elementi paratestuali quali la presentazione che si legge nelrisvolto siano stati da lui scritti, o quantomeno certamente approvati. Ineffetti, leggendo attentamente questa breve presentazione del testo, nonappare improprio rintracciarvi alcune delle “parole chiave” del pensieroletterario-editoriale di Bazlen e degli ambiti culturali dei quali egli parteci-pava. «Per la prima volta in Italia»213: è questo il sintagma d’apertura del-l’introduzione, che richiama al già visto valore, letterario ma evidente-mente anche editoriale, della «primavoltità»214, intesa come l’eccezionalità,il valore aggiunto che il nuovo in sé e per sé costituisce ai fini dell’arric-chimento del pubblico. Pare inutile soffermarsi nuovamente, inoltre, sullanecessita che ormai da anni Bazlen percepiva di un rinnovamento dellacultura italiana. Cio che è pubblicato «per la prima volta» consiste poi in«testi in versione limpida e intimamente partecipe, la voce poetica deipopoli al margine della Storia»: il fascino del libro sembra dunque risie-dere nella spontaneità di un «canto naturale», estraneo a quella «prestazio-

210 Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia, 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, p. 117.211 Poesia dei popoli primitivi: lirica, religiosa, magica e profana, scelta, introduzione e note a cura diEckart von Sydow, Parma, Guanda, 1951.212 Così Bazlen descrive il proprio carattere in una lettera a Lucia Rodocanachi, datata 16 agosto1942. Si veda a questo proposito Giuseppe Marcenaro, Una amica di Montale: vita di LuciaRodocanachi, Milano, Camunia, 1991, p. 172.213 Ibidem. Tutte le citazioni che seguono sono tratte dal risvolto di copertina dell’edizione Guanda,del 1951, della Poesia dei popoli primitivi.214 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 230.215 Ivi, p. 211.

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ne»215 in cui Bazlen vedeva imbrigliata l’opera figlia di un «malentendupiccolo borghese»216. Contro questa degenerazione che per lui nasceanche da un’evoluzione storica, egli dunque propende per la produzionepoetica di popoli che appunto alla storia sono estranei: una scelta che,peraltro, ha indotto molti a parlare dello stesso Bazlen come un «uomopost-storico, del quale nessun quadro culturale [...] riuscirà a fare giu-stizia»217. Se l’originalità di una pubblicazione che presenti la poesia deipopoli primitivi è indubitabile, resta però il fatto che nello scritto intro-duttivo che si sta qui analizzando l’interesse di questa poesia sia pre-sentato non solo nei suoi intrinsechi caratteri di naturalezza e sempli-cita. Un accento particolare infatti è posto sul fatto che la «nozione del“primitivo”» sia stata oggetto dello studio di «etnologi e psicologimoderni» (gli stessi di cui Bazlen favoriva la pubblicazione in altre caseeditrici) e che essa abbia aperto «orizzonti alla conoscenza del mito,dell’inconscio»: concetti, questi ultimi, dalla chiara eco junghiana, e,come si è visto, di grande rilievo anche nel pensiero, negli Scritti, e nellepubblicazioni caldeggiate da Roberto Bazlen. Per quanto riguarda la sua attività editoriale nella seconda metà deglianni Quaranta, resta da segnalare un’altra collaborazione annoveratanelle biografie, ma che ancora una volta non può essere approfonditaper mancanza di documenti in proposito. Si tratta della collaborazionecon Bompiani, intrapresa probabilmente sin dagli ultimi mesi dellaguerra. Tramite della conoscenza fu Erich Linder, che nel 1945 lavora-va presso l’agenzia letteraria dell’editore, e che appunto «si vanta diaver sistemato presso Bompiani l’amico Bazlen»218. In effetti, il 21 mag-gio 1945 Valentino prende nota a proposito di

Bobi Bazlen. Disposto a una più vasta, anche totale collaborazio-ne: letture, segnalazioni, dirigere una collana. È straordinario. [...].Cos’è che lo muove e lo chiama? È tutto cultura e si direbbe chenon contenga altro dentro di sé. Ma qualche segno avverte chenon è vero: forse legge per non pensarci. Si agita sulla sedia comese avesse la coda219.

La collaborazione conBompiani tramite l’amicoErich Linder.

216 Ibidem.217 Roberto Calasso, Da un punto vuoto, Introduzione a Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 15.218 Dario Biagi, Il dio di carta: vita di Erich Linder cit., p. 67.219 Valentino Bompiani, Vita privata, Milano, Mondadori, 1973, pp. 238-239.

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Da questo efficace ritratto umano e professionale non è dato di determi-nare in cosa esattamente consistesse il lavoro di Bazlen presso Bompiani,né il carteggio con Foà fornisce informazioni in proposito. Qualche trac-cia di questo aspetto del percorso professionale di Bazlen resta però nelsuo carteggio con l’amica Lucia Rodocanachi, alla quale, come farà anchenegli anni della collaborazione con Einaudi, Bazlen si impegnerà a pro-curare lavori e traduzioni. Il 22 giugno 1946, infatti, scrive all’amica che«per ciò che riguarda possibili traduzioni, troppo tardi per autori e libridecenti. Tutti hanno già proposto tutto. Tutti gli editori, compresoBompiani con cui ho parecchio da fare, sono carichi di libri decenti chevengono smaltiti molto lentamente»220. Bazlen, dunque, sembra coinvol-to dal lavoro per l’editore milanese, ma anche come sua consuetudineguarda ad esso con un certo ostentato distacco, che sembra lo porti a pro-digarsi più per l’amica in cerca di traduzioni che per uno dei propri dato-ri di lavoro. Un mese dopo la lettera appena citata, infatti, Bazlen ancorauna volta le raccomanda di «mandarmi i libri di cui mi hai scritto. Se [...]dovessi raccomandarli a Bompiani, farei del mio meglio per farti avere latraduzione»221. Resta da sottolineare che nei frammenti di lettere conLucia Rodocanachi, riportati nella biografia di lei, Bazlen riporta, oltre anumerosi stati d’animo, immagini, brevi racconti che aiutano molto acomprendere l’uomo222, le ragioni della fine del proprio rapporto conBompiani, il quale

S’è arenato completamente nelle cose che più mi interessano, ed ipochi romanzi americani che mi manda giustificano che mi metta avomitare mezz’ora dopo averli ricevuti senza il bisogno di continua-re a leggerli223.

Al di là della differenza di vedute che poteva allontanarlo dall’editore,stupisce di leggere un tale disgusto nei confronti della letteratura ame-

Tracce della collaborazionesi trovano nel carteggio conl’amica Lucia Rodocanachi.

220 Lettera di Roberto Bazlen a Lucia Rodocanachi (Roma, 22 giugno 1946) in GiuseppeMarcenaro, Una amica di Montale: vita di Lucia Rodocanachi cit., pp. 191-192221 Lettera di Roberto Bazlen a Lucia Rodocanachi, Roma, 31 luglio 1946, in Ivi, p. 192.222 Si veda un solo esempio, tratto da una lettera del 2 dicembre 1947, in cui Bazlen parla dei pro-pri «molti miti e ricadute, da cui, come ultimo risultato, si distilla un signore stanco con occhialiche in questo momento è seduto davanti a una macchina in via Margutta sette. Sì, cara Lucia, epotrei continuare con questo tono, ma spero ti basti il tono, e che tu non abbia bisogno di varia-zioni per capire la melodia». Cfr. Ibidem.223 Lettera di Roberto Bazlen a Lucia Rodocanachi, Roma, 9 agosto 1947, in Ibidem.

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ricana da parte di un intellettuale tanto aperto all’estero come fuBazlen. Ma che egli, forse soprattutto negli anni del dopoguerra,mostrasse una particolare e quasi cieca avversione verso molte ideolo-gie e correnti culturali italiane e non, è facilmente rilevabile dalla defi-nizione, per fare un solo esempio, che in una lettera alla Rodocanachidel gennaio del 1949 Bazlen dà di Ladri di biciclette di De Sica: «il puntopiù basso nel quale sia caduta l’Italia»224. Una definizione che non sistenta a comprendere, se si considera che già nel 1945 Bazlen scrivevaall’amica che «ora che è venuta a mancare la complicità antifascista, èvenuto a cadere l’unico legame che avessi con tutta questa brava genteche ha aspettato ventidue anni per fare carriera»225; opinioni come que-ste, peraltro, giustificano forse anche il giudizio positivo che egli dedi-ca a un romanzo dall’impronta tradizionale come Menzogna e sortilegio diElsa Morante, che gli sembra «il primo romanzo italiano con verasostanza scritto dopo la guerra»226.

2.3.4 1948-1949: l’inizio delle consulenze editoriali per Einaudi.

«Facevo da braccio secolare del consigliere-ispiratore RobertoBazlen»227: così Luciano Foà ricorda, in un’intervista, il tipo di rappor-to che sul piano professionale lo legò all’amico triestino. Guardandoallo svolgersi del carteggio durato decenni fra Bazlen e Foà, si com-prendono facilmente le ragioni dell’affermazione appena citata. Il rap-porto di Bazlen con Einaudi, nelle biografie solitamente collocatonegli anni Cinquanta, ebbe infatti inizio alla fine degli anni Quaranta,quando Foà, in quanto agente letterario nella paterna AgenziaLetteraria Internazionale, iniziò a mediare i rapporti fra l’amico triesti-no e la casa editrice torinese. Quando poi Foà stesso si trasferirà nelcapoluogo piemontese, a lui Bazlen continuerà a scrivere; questa volta,però, rivolgendosi non più all’agente letterario, bensì al segretariogenerale della casa editrice torinese. Tornando al carteggio fra Foà eBazlen, il primo segnale di un contatto fra quest’ultimo ed Einaudi si

L’avversione di Bazlen neiconfronti di edeologie ecorrenti culturali italiane.

L’impietoso commento su“Ladri di biciclette”.

L’elogio del romanzoMenzogna e sortilegio dellaMorante.

Il lavoro con l’Einaudi e laprosecuzione del sodaliziocon Foà che divenneSegretario Generale dellacasa editrice torinese.

224 Lettera di Roberto Bazlen a Lucia Rodocanachi, Roma, 16 gennaio 1949, in Ivi, p. 193.225 Lettera di Roberto Bazlen a Lucia Rodocanachi, Roma, 9 settembre 1945, in Ivi, p. 190.226 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 3 maggio 1948.227 Roberto Barbolini, Fratelli di carta, in «Panorama», a. XXIII, n. 1, 7 gennaio 1994, p. 92.

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trova in una lettera del 24 ottobre 1948, nella quale Bazlen così scrive:

A giorni ti rimanderò [...] la White goddess di Graves. E ti scrive-rò anche quel tanto che saprò scrivere su questo libro: è un belpasticcio: l’ho quasi finito, superficialmente, con molto lavoro emolta fatica, e veramente non so che pesci pigliare. Il materiale èmolto bello, e sicuramente plausibile (con riserve), ma formularel’uso che ne ha fatto Graves non è facile. Tenterò di farlo conmolta cautela, anche per la posizione ambivalente che Pavese hanei miei riguardi. Comunque, avere il lettorato di Einaudi (se paga)è una cosa che mi farebbe molto piacere. Sarebbe la meno peggiodelle parecchie possibilità di lavoro che cominciano ad offrirmisiin questo momento228.

Bazlen, dunque, si presenta ad Einaudi con la proposta dell’opera di unfamoso poeta e saggista, che nel suo La Dea Bianca svolge uno studio sullamitologia celtica: un ambito, alla luce di quanto si è visto fino ad ora, dalquale era molto incuriosito. Accanto alla segnalazione dell’interesse deltesto, però, egli segnala anche le difficoltà che la sua lettura ha compor-tato, ponendo tale aspetto in connessione con «la posizione ambivalente»di Pavese: un fattore, quest’ultimo, che Bazlen sembra considerare comeun possibile ostacolo alla propria collaborazione con Einaudi. I timoriche si leggono nel passo appena citato si possono ricondurre al lavoroche Pavese con Ernesto De Martino aveva svolto per il varo, alla fine del1947, della «Collezione di studi etnologici, psicologici e religiosi», dettaaltrimenti «collana viola». Durante la fase di programmazione della colla-na e di scelta dei titoli che in essa sarebbero dovuti confluire, Pavese si erarivolto ad Erich Linder. In una lettera del 1 ottobre 1947, infatti, così scri-veva: «esce a dicembre la “Collezione di studi etnologici, psicologici e reli-giosi” da me personalmente coccolata [...]. Bisogna che quel briccone diLuciano se ne ricordi, e non ci ripeta lo scherzo di Jung. Smetta di rifor-nire Astrolabio, Ivrea»229. Pavese, dunque, era indispettito dalla cessionedelle opere di Jung alle Nuove Edizioni Ivrea e ad Astrolabio, due conte-sti editoriali nei quali Bazlen aveva lavorato con considerevole impegno.

Graves, la prima proposta.

La Collana Viola di Pavesee De Martino.

228 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 24 ottobre 1948.229 Cesare Pavese, Lettere 1945 - 1950, Torino, Einaudi, 1966, p. 175.

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E che anche lo stesso Bazlen fosse oggetto del suo risentimento è dedu-cibile da un’altra lettera di Pavese, questa volta diretta a Foà, di poco suc-cessiva a quella appena citata:

non parlarmi del fondo Ivrea. È come l’antro di Trofonio. Né diBazlen che voglio lasciare ad Astrolabio. Mandami invece [...] i titoliche ti paiono buoni e vedremo. Tieni presente che [...] a noi interes-sa la vera e propria etnologia, oppure buona psicanalisi230.

Dalla lettura di questo passo, la diffidenza di Pavese sembra da ricondur-si quasi unicamente a ragioni di concorrenza fra case editrici, dal momen-to che anche lo scrittore, appunto come Bazlen, aveva interesse alla pub-blicazione di Jung e che proprio tale questione sarebbe stata causa di con-trasti fra lui e De Martino: quest’ultimo, infatti, dopo la pubblicazionenella «collana viola» dei Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia e dell’ope-ra, sempre di Jung, L’Io e l’inconscio, avrebbe opposto resistenza al fatto che«la collana [fosse] già connotata nettamente in senso junghiano»231. Adogni modo, alle speranze e alle esitazioni di Bazlen Foà risponde pronta-mente pochi giorni dopo la sua lettera del 24 ottobre 1948, accennandoa una sorta di “strategia” per introdurre l’amico nella casa editrice diTorino: «aspetto il rapporto sul Graves. Prima di abbordare il problemadel “lettorato”, penso sia meglio avviare già dei rapporti. Dopo i primidue o tre libri, entrerò in azione»232. Quest’ultimo suggerimento verràseguito da Bazlen, il quale infatti, per fare un solo esempio, pochi mesidopo aggiungerà alla proposta di Graves quella relativa alla pubblicazio-ne di una raccolta di fiabe di Andersen.

A proposito di Einaudi, manca in Italia un’edizione completa, oalmeno una scelta piuttosto vasta, delle fiabe di Andersen - non esi-stono che edizioni per ragazzi, in traduzioni meno che discrete [...].Non credi che Einaudi, dopo aver fatto quattro volumi di Mille e unanotte potrebbe fare uno o due volumi grossi di Andersen? - anche

Le diffidenze di Pavese neiconfronti di Bazlen.

Le fiabe di Andersen tra-dotte da Marcella Rinaldi.

230 Ivi, p. 181. Si fa presente, inoltre, che un’interessante ricostruzione delle vicende delle opere diFreud e Jung in Italia si trova nel recente libro di Giulia Boringhieri, Per un umanesimo scientifico, inparticolare alle pagine 195-197. Cfr. Giulia Boringhieri, Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, dimio padre e di noi, Torino, Einaudi, 2010.231 Cesare Pavese, Ernesto De Martino, La collana viola: lettere 1945-50, a cura di Pietro Angelini,Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 30.232 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 28 ottobre 1948.

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come opera letteraria e non soltanto come libri per bambini - te lochiedo perché una mia amica che non conosci e che sa benissimo ildanese, ha fatto qualche tentativo di traduzione di Andersen, e par-ticolarmente di quelle fiabe che passavano per intraducibili [...] conun risultato veramente buono233.

Dal passo appena citato, si può vedere nuovamente come, a volte, le pro-poste editoriali che Bazlen formulava nascessero, oltre che dalle sue let-ture, dalla vicinanza con intellettuali, scrittori e soprattutto traduttori chein lui speravano di trovare una via alla pubblicazione. In questo caso apresentargli il proprio lavoro di traduzione delle fiabe di Andersen èMarcella Rinaldi, la quale peraltro nel corso degli anni sarà più volte ripre-sentata da Bazlen, con successo, ad Einaudi. Anche questo specifico caso,nel quale oltre ad una collaboratrice egli suggerisce una particolare for-mula editoriale che renda la letteratura per ragazzi appetibile agli adulti,andrà a buon fine234: anche perché, come si legge dal passo appena cita-to, la Rinaldi trovava in Bazlen, nei mesi a cavallo fra il 1948 e il 1949, unocchio particolarmente attento alle pubblicazioni, dunque ai possibiliinteressi, di Einaudi. Se dunque dall’esempio citato si può dedurre cheBazlen seguisse il consiglio di Foà relativo alla segnalazione di diversi tito-li ad Einaudi, riguardo alla specifica questione del saggio di RobertGraves, la sua risposta in proposito ripresenta invece l’atteggiamentosfuggente e a tratti sfiduciato che si è visto più volte: anche se, in questofrangente, più che indifferenza sembra di leggere in Bazlen una forte insi-curezza, che sul piano editoriale può essere ricondotta al fatto che egli«fece da consulente per diversi editori [...] senza mai ottenere quei risul-tati che si riprometteva»235. È dunque, forse, questa frustrazione delle sueaspettative che lo spinge a scrivere a Foà:

ti accludo una estremamente povera e poco impegnativa pagina suGraves236. Visto che passo per matto, non volevo prendere troppo le

233 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 2, fasc. 24 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 19 gennaio 1949.234 Si veda infatti, qualche anno dopo, l.uscita nei «Millenni» di Hans Christian Andersen, Fiabe,traduzione di Alda Manghi e Marcella Rinaldi, Torino, Einaudi, 1954.235 Intervento di Luciano Foà al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 15.236 Di questa scheda di lettura purtroppo non resta traccia nel carteggio fra Bazlen e Foà.

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difese di quell’altro matto furioso che è Graves. Vedi se può bastarein caso contrario dimmi come devo fare237.

A queste parole Bazlen aggiunge a mano: «e consegna il foglio unica-mente se sei convinto che vada bene»238, ulteriore indice dello scrupo-lo con il quale egli si apprestava a presentare una propria proposta edi-toriale a Pavese e alla casa editrice Einaudi. Dalla risposta di Foà che sipuò leggere nel carteggio, emerge tuttavia anche il fatto che la preoc-cupazione di Bazlen fosse, almeno riguardo alla questione della WhiteGoddess di Graves, in buona parte ingiustificata, dal momento che il 20novembre Foà scrive all’amico: «Pavese, dopo aver letto il tuo rappor-to, ci scrive di aver un desiderio matto di rileggere il Graves.Spediscimelo, per favore, al più presto»239. Si suppone dunque che lalettera editoriale di Bazlen non fosse così poco convincente, dalmomento che essa spinse Pavese a richiedere altri pareri ed infine, il 25febbraio 1949, i diritti dell’opera a Foà240. Resta da sottolineare che LaDea Bianca di Graves, nonostante la vicenda cui si è appena fattocenno, non verrà pubblicata da Einaudi, essendo compresa «tra i libriche nel 1951, dopo la morte di Pavese, De Martino avrebbe consiglia-to di espungere»241 dal programma della «collana viola»: in compenso,conformemente a quanto si è visto e si vedrà essere un percorsocomune a moltissime delle opere proposte da Bazlen a diverse caseeditrici, il saggio di Robert Graves comparirà, moltissimi anni dopo,nel catalogo della casa editrice Adelphi242. Resta comunque il fatto che,proseguendo nella lettura del carteggio fra Foà e Bazlen, si può rinve-nire un’ulteriore ragione della circospezione con la quale egli si avvici-na alla possibilità di collaborazione con Einaudi. Essa riguarda ancorauna volta la figura di Cesare Pavese, di grande importanza all’internodella casa editrice torinese, ma anche all’interno della Frassinelli degli

Il successo di White Goddesdi Graves muoverà Pavese arichiedere altri pareri diBazlen.

La morte di Pavese e imutamenti nella CollanaViola.

237 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 5 novembre 1948.238 Ibidem.239 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1948,b. 1, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Foà a Bazlen, Milano, 5 novembre 1948.240 A questo proposito si veda Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trentaagli anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 524-525.241 Ivi, p. 538.242 Robert Graves, La Dea Bianca, Grammatica storica del mito poetico, traduzione di Alberto Pellissero,Milano, Adelphi, 1992.

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anni Trenta, un’esperienza editoriale alla quale, come si è visto, ancheBazlen aveva partecipato. Tornando sulla questione relativa adEinaudi, alla quale egli guardava con soggezione ma anche con unacerta speranza, così infatti Bazlen scrive a Foà, mostrando di essere aconoscenza di alcune delle dinamiche interne alla casa editrice:

Einaudi: non mi hai più scritto come stia la situazione ai mieiriguardi. Cian m’ha accennato vagamente, ma anche lui non sape-va nulla di preciso, che Pavese ha fatto opposizione. Del resto,benché non mi conoscesse e non sapesse nulla di me, mi sonoimbattuto già una volta nell’opposizione di Pavese, quindici annifa, all’epoca di Frassinelli: aveva opposto il suo veto contro il mr.Weston di Powys, che stavo per far fare a Frassinelli, con una let-tera che Frassinelli mi mostrò in seguito, e che era di un’animosi-tà veramente degna di nota243.

243 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1949,b. 2, fasc. 24 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma, 25 gennaio 1949.

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3. La collaborazione con Einaudi: lettere editoriali e traduzioni.

3.1 La collaborazione con Einaudi e il carteggio con Erich Linder: caratteri generali.

Mi sono trovato sul collo soltanto lavori seccanti e deprimenti, tra iquali la traduzione della Melanconia (sic!) della Warburg, e [...] nonpotevo scrivere lettere perché dovevo finirli, e [...] mi mettevo a dor-mire per non cominciarli; e [...] gran parte dei soldi per questi lavo-ri li avevo già spesi, mentre non mi riusciva di farmi pagare da altrieditori per lavori già fatti; - [...] poiché non m’interessano più i libridegli altri, mi sono messo a scrivere per conto mio, il che assorbe edè zeitraunbend [porta via tempo]1.

Dalle parole appena citate, tratte da una lettera all’amica LuciaRodocanachi del marzo 1951, si può trarre una seppur vaga immaginedell’attività di Bazlen al principio degli anni Cinquanta, nonché dedurrelo spirito con il quale vi si accostava: uno spirito che pare di scarsa con-vinzione e di svogliatezza, stati d’animo che trovano nella continuazio-ne della stesura del Capitano di lungo corso un solo parziale rimedio. Al dilà delle problematiche del tutto personali che, secondo Foà, portavanoBazlen a vivere «giorni e giorni di torpore e di malinconia»2, l’indolenzacon la quale egli presenta una delle prime attività che svolse per Einaudipuò essere ricondotta a diverse ragioni: da un lato, forse, la situazione

Il principio della collaborazione con la casaeditrice Einaudi.

1 Lettera di Roberto Bazlen a Lucia Rodocanachi, Roma, 3 marzo 1951, in Giuseppe Marcenaro,Una amica di Montale: vita di Lucia Rodocanachi cit., p. 193.2 Gabriella Ziani, Scrisse sempre, ma non finì mai, in «Il Piccolo», 14 aprile 1993, p. 4.

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interna alla casa editrice tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio deiCinquanta, dall’altro le riserve con cui sin dall’inizio Bazlen aveva accet-tato la prima proposta di collaborazione da parte di Einaudi. Dalla con-sultazione del fascicolo dedicato a Bazlen presso l’archivio della casa edi-trice, infatti, si può seguire l’articolarsi della proposta che, sin dal 1949,gli viene avanzata per la traduzione di Saturno e la melanconia di ErwinPanofsky, Raymond Klibanski e Fritz Saxl, l’opera a cui appunto egli siriferisce nella sua lettera a Lucia Rodocanachi: già dall’agosto del 1949,infatti, Bruno Fonzi, interlocutore di Bazlen fino all’arrivo di Foà aTorino, si era messo in contatto con lui, annunciandogli che

si tratterebbe di tradurre dal tedesco: Saturn and Melancholy (stu-dio di storia delle religioni, di filosofia naturale e d’arte) di Fritz Saxle Erwin Panofsky, in collaborazione con Raymond Klibansky. Sono400 grandi pagine di bozze che discutono la teoria degli umori fisi-ci e del temperamento attraverso tutte le citazioni classiche, dellevarie epoche romane e dei trattatisti alchimisti medievali, fino alRinascimento ove si chiarisce l’ultimo scopo del libro: l’analisi ico-nografica e simbolica della Melancolia di Durer3.

Dalle parole di Fonzi, in effetti, Saturno e melanconia appare come un’ope-ra che, alla luce del già visto interesse di Bazlen per materie di studioquali l’alchimia o la storia delle religioni, poteva interessarlo e stimolarlonel lavoro di traduzione. La risposta che però si legge a proposito dellavoro su quest’opera rivela una forte diffidenza da parte sua: Bazleninfatti, dopo aver «dato un’occhiata molto attenta al volume»4, dichiaradi accettare il lavoro, ma anche sin da subito lo descrive come «una fac-cenda un po’ preoccupante»5: a inquietarlo è ad esempio la traduzione diquelle «citazioni classiche» che Fonzi annoverava come caratteristichedel libro, ostiche di per sé ma anche perché «creano un macello, e costi-tuiscono vera vita buttata via sia per il traduttore che per l’editore»6. Aguidare la risposta di Bazlen alla prima proposta di collaborazione daparte di uno dei maggiori editori italiani è dunque il criterio del rispetto

La proposta di tradurreSaturno e la melanconia diPanofsky, Klibanski e Saxl.

3 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di BrunoFonzi a Roberto Bazlen, 2 agosto 1949.4 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 11 settembre 1949.5 Ibidem.6 Ibidem.

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della «vera vita», che senza mai smentire se stesso egli porta avanti sudiversi piani, da quello editoriale, a quello letterario, a quello appuntopersonale: tanto che Foà, l’amico forse più caro che egli abbia avuto,parla di lui come «di un uomo che prende [...] sul serio la propria vita,facendone un capolavoro di coerenza tra idee e comportamento»7. Nonè difficile, peraltro, esemplificare quanto Foà osserva a proposito del-l’amico triestino. Quest’ultimo infatti, valutate da un punto di vista stret-tamente professionale le difficoltà che il libro presenta, prevede di finirela traduzione «non prima dell’estate del ’52»8 e pone una serie di condi-zioni, consistenti nella richiesta di agevolazioni che la casa editrice devegarantirgli, perché possa rispettare le scadenze. Stabilito questo, Bazlenconclude con un’osservazione in cui non è improprio intravvedere l’om-bra del Capitano di lungo corso, o comunque dell’uomo che in qualsiasi cir-costanza pone la propria «vera vita» come una priorità irrinunciabile:«non vorrei ipotecare tre anni di vita, e vedermi piovere addosso bozzeda correggere in un momento nel quale navigo in non so quali altrimondi»9. L’immagine di se stesso collegata a quella della navigazione edel mare è solo il primo esempio dell’intervento di una particolare formadi fantasia, verrebbe da dire una suggestione immaginifica, all’internodel carteggio con Einaudi, un aspetto sul quale si avrà modo di tornare:accanto a queste parole, comunque, Bazlen conclude facendo più con-cretamente riferimento alla propria attività in quei mesi, ovvero presu-mibilmente le varie traduzioni, considerate nel capitolo precedente, ditesti ad opera di Freud e Jung:

caro Fonzi, non creda che io esageri le difficoltà. Ho finito proprioadesso un lavoro di questo genere (ma molto più facile), il quale m’èservito, se non altro, ad imparare ad essere molto più cauto10.

La collaborazione con Einaudi, come si è visto desiderata da tempo, siapre dunque con un lavoro di traduzione, il cui svolgimento verrà per laverità trascinato per molti anni: accanto ad esso, inoltre, col tempoBazlen approfondisce i propri rapporti con la casa editrice torinese, fino

7 Gabriella Ziani, Scrisse sempre, ma non finì mai cit., p. 4.8 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 11 settembre 1949.9 Ibidem.10 Ibidem.

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ad assumere il ruolo di consulente editoriale. Come si è accennato inapertura del presente paragrafo, però, questo ruolo sarà assunto nonsenza difficoltà, visto anche che in generale, in quegli anni, «lo status deiconsulenti Einaudi appariva a volte tutt’altro che definito»11: il caso diBazlen è in questo senso particolarmente rappresentativo dal momentoche, per quanto come si è appena visto i contatti con la casa editriceabbiano inizio sin dal 1949, solo dieci anni dopo la collaborazione verràufficializzata da un contratto. Un aspetto, quest’ultimo, che appare anco-ra più singolare se si considera che già dal 1953, in una nota rivolta aGiulio Einaudi, Luciano Foà sottolineava la rilevanza del contributo chegià in quel periodo Bazlen aveva fornito alla casa editrice:

Roberto Bazlen. Da tre anni collabora con segnalazioni e con pare-ri, senza aver ricevuto da noi un soldo, a parte qualche libro. Cinqueopere segnalate da lui [...], sono state accolte nel nostro programma,tra cui l’Antico Testamento nella versione di Villa (versione allaquale egli stesso dovrà in parte collaborare). Inoltre parecchie suesegnalazioni e proposte sono allo studio. Penso che, a parte il lavo-ro di consulenza per la versione dell’Antico Testamento, bisogne-rebbe riconoscergli una somma una tantum per il lavoro fatto inquesti anni12.

L’occasione per il tentativo di Foà di definire almeno economicamentela posizione del suo amico all’interno della casa editrice è offerta, comesi può leggere, da un progetto relativo alla presentazione di «una tradu-zione nuova dei libri biblici (unicamente il Vecchio Testamento)»13, cheBazlen aveva proposto alla casa editrice: un progetto che verrà intrapre-so per poi essere accantonato dopo qualche anno14. Nonostante questoepisodio, tuttavia, «un rapporto di consulenza ufficiale, con tanto di con-

Una nota di Foà per GiulioEinaudi.

11 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 475.12 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Giulio Einaudi, s.d.13 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 13 ottobre 1953.14 La traduzione dell’Antico Testamento, ad opera del poeta e biblista Emilio Villa, aveva inizial-mente trovato un.accoglienza molto positiva presso il comitato editoriale della casa editrice, chepensava di includerla nella collana dei «Millenni». Il lavoro, peraltro, era seguito personalmente daBazlen, il quale il 24 gennaio 1957 ne commentava la prima parte dicendo che «stilisticamente eraun disastro. Gliel’ho fatto rifare, spiegandogli tutto quello che a mio parere non andava bene»(cfr. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di

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tratto, si instaurò appena nel 1959»15: prima di questa data, infatti, stan-do ai già citati ricordi di Foà,

il momento non era certo propizio a una collaborazione di Bobicon la Einaudi. La guerra fredda imperversava e i rigori ideologico-politici erano al loro culmine. Un vero dialogo con un uomo cosìistituzionalmente anti-ideologico come lui era impossibile16

Se dunque l’inconciliabilità ideologica ostacolò il pieno ingresso diBazlen nella casa editrice torinese, accanto ad essa non è impropriovedere, come ragione di un rapporto che Foà definisce «lungo e stenta-to»17, il contributo della sua complessa personalità: egli infatti non si pre-sentò mai alle famose “riunioni del mercoledì” einaudiane, e sempredelegò la lettura delle sue lettere editoriali all’amico Foà. In effetti, conl’arrivo dell’amico dall’ALI, nel 1951, le lettere di Bazlen per Einaudi siinfittiscono, si articolano, e mostrano un maggior coinvolgimento nellosvolgimento del proprio lavoro di consulente editoriale: ma senza checiò si traduca mai in un progetto editoriale compiuto e concretamenterealizzato, anche quando egli avanza esplicite proposte in questa direzio-ne. Resta comunque vero, nonostante la solo parziale riuscita di una col-laborazione durata più di un decennio, che in essa si possano isolaredelle fasi, dei nuclei di proposte fra loro collegate, e diverse modalità direalizzazione delle stesse: quel che più conta, nelle lettere editoriali invia-te ad Einaudi si può cercare di isolare alcuni temi e caratteri ritornanti,vista prima di tutto l’estrema fedeltà di Bazlen alle proprie idee lettera-rie, che egli sembra non poter fare a meno di riproporre caparbiamente.Esse infatti si trovano ripetute e riformulate di lettera in lettera, e tutta-via non trovano una realizzazione compiuta in una collana che le rappre-senti: un aspetto, quest’ultimo, da ricondursi alla responsabilità tanto delconsulente, spesso vago nelle proprie proposte, quanto dell’editore, che

Le differenze di pensiero traBazlen ed Einaudi.

La mancata frequentazionedelle riunioni del mercoledì.

Roberto Bazlen a Luciano Foà, 24 gennaio 1957). Le mancanze del traduttore, anche nel sensodi frequenti ritardi di consegna, unite al sorgere di dubbi da parte dell’editore circa la convenien-za del progetto, portarono comunque, alla fine degli anni Cinquanta, ad accantonarlo. Per unatrattazione più approfondita su questo aspetto si puo vedere Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casaeditrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., pp. 711-712.15 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 81.16 Intervento di Luciano Foà al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 17.17 Ivi, p. 18.

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come si è detto spesso mostrò nei suoi confronti una certa freddezza18.Per quanto riguarda le diverse fasi del rapporto con Einaudi, le pochelettere che nel biennio 1949-1950 Bazlen si scambiò con Bruno Fonzitestimoniano che in quel periodo l’unica forma di collaborazione fuappunto la traduzione di Saturno e melanconia: non è possibile dunque ipo-tizzare che già in quel periodo svolgesse un’attività di vero e proprioconsulente editoriale, basata sul contatto diretto con la casa editrice. Adimostrarlo è anche il fatto, introdotto in chiusura del capitolo preceden-te, che appunto i titoli consigliati già dal 1948 siano stati rivolti all’edito-re grazie al tramite dell’Agenzia Letteraria Internazionale. D’altronde,nella sua lettera dell’agosto 1949, Bruno Fonzi così articola la propriaproposta di traduzione di Saturno e melanconia: «tempo fa incaricammoLuciano Foà di chiederle se sarebbe stato disposto a fare un lavoro pernoi. Non ne abbiamo più saputo niente, e forse Foà se ne sarà dimenti-cato. Perciò le rifaccio io tutta la storia»19. Il rapporto di Bazlen conEinaudi sembra dunque realizzarsi sempre in relazione a quello che Foàha con la casa editrice: ed è appunto solo nel 1951, quando Foà si tra-sferisce a Torino per assumervi il ruolo di segretario generale di Einaudi,che si possono iniziare a leggere i pareri di lettura che Bazlen scrivevaper la casa editrice. A questo proposito è interessante notare che unadelle ragioni addotte da Foà per il proprio trasferimento a Torino è pro-prio il fatto che nel dopoguerra gli fosse venuto a mancare l’elemento,diciamo l’interesse politico che animava il [suo] lavoro prima all’AgenziaLetteraria»20, cosa che appunto lo spinge ad andare «da Einaudi, la cuiproduzione [gli] sembrava quella più interessante in Italia»21, anche «perragioni [...] di varietà politica»22: una prospettiva, dunque, molto diversada quella dell’amico, almeno dal punto di vista politico. Ad ogni modo,a Foà Bazlen indirizza le proprie lettere, affidandogli la loro consegna apersonaggi quali Calvino, Cases, o Fruttero, o demandandone la letturadurante «le famose riunioni del mercoledì dei consulenti e dei redattori

Luciano Foà segretariogenerale presso Einaudi.

18 Si fa presente che il particolare aspetto della collaborazione di Bazlen con Einaudi relativo allaproposta di nuove collane sarà oggetto di trattazione specifica nel capitolo seguente del presen-te lavoro.19 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di BrunoFonzi a Roberto Bazlen, 2 agosto 1949.20 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.21 Ibidem.22 Ibidem.

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della casa editrice»23: segno questo di una sua personale timidezza, maanche del fatto che le modalità della sua collaborazione con la casa edi-trice stentavano ad essere definite con esattezza. È solo nel dicembre del1959, infatti, che i “foglietti” che Bazlen spedisce a casa Einaudi si tro-vano distinti fra quelli delle «richieste» (ovvero «libri cui voglio dare unaprima occhiata io»24) e quelli invece delle «segnalazioni»25, cioè libri cheBazlen già conosce e che pensa possano interessare l’editore. Prima diquesta data, negli anni fra il 1951 e il 1959, per Einaudi Bazlen si occu-pera della realizzazione della traduzione delle opere più diverse, nonchéinvierà un grandissimo numero di “foglietti” ricchi di proposte di pub-blicazione e pareri editoriali. Solo una minima parte di essi avrà un segui-to e come si è già visto la maggior parte dei titoli ai quali Bazlen tenevamaggiormente confluiranno, negli anni Sessanta, nel catalogo diAdelphi. Resta comunque da rilevare il fatto che, prima della succitataorganizzazione in fogli di «richieste» e «segnalazioni», le lettere perEinaudi, rivolte alla persona di Foà, sono caratterizzate da un maggiorcoinvolgimento, o comunque dalla presenza di questioni personali che siaccostano a quelle professionali: non è forse un caso, ad esempio, chesolo negli anni della presenza di Luciano Foà presso Einaudi Bazlenabbia «osato» proporre, seppur disordinatamente e con una vaghezza emancanza di energia che lo stesso Foà gli rimprovera, diversi progetti dicollane, non a caso riecheggiati nella struttura della proposta editorialeadelphiana. Un aspetto, quest’ultimo, sul quale si avrà modo di tornare.Lo stesso tipo di relazione, che intreccia strettamente l’aspetto persona-le e quello professionale, si può trovare anche nel carteggio che Bazlencontinua a intrattenere con un altro grande amico, Erich Linder: comesi è già accennato, infatti, partito Foà per Torino Bazlen continuerà aintrattenere rapporti con l’ALI, attraverso appunto un frequente scam-bio di lettere. Esse peraltro permettono di chiarire almeno parzialmentealcuni punti, altrimenti oscuri, della sua attività editoriale: come neglianni Quaranta, infatti, nei Cinquanta egli non si limiterà alla collabora-zione con la sola casa editrice Einaudi ma, al contrario, forse anche in

23 Intervento di Luciano Foà al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 17.24 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959.25 Ibidem.

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conseguenza delle difficoltà a vedere qui attuati i propri progetti, cerche-rà di realizzarli, parallelamente, attraverso la collaborazione con altrecase editrici, quali Bocca e Boringhieri. L’insoddisfazione di Bazlendoveva d’altronde essere molto profonda, e come sempre sconfinantenell’ambito della «vera vita», se all’amico Linder nel 1956 arriverà a con-fessare quanto segue:

io ho dormito esaurientemente per un anno e mezzo, rinfacciando-mi di aver troppo sonno o di essere troppo pigro. [...]. Medito [...]di lasciare possibilmente presto [...] questo Vaterland [patria] che, almio risveglio, ho trovato più scocciante che mai. Il programma siforma lentamente, ma molto eindeutig [chiaramente]; quando saràdefinitivamente formulato, ti racconterò26.

Alla sua idea di trasferirsi, a quanto si legge, a Parigi, Linder così rispon-de, fornendo un’ulteriore prova del tipo di rapporto che legò Bazlen aquasi tutte le persone con le quali portò avanti progetti di natura, in teo-ria, unicamente editoriale:

il tuo progettato abbandono, definitivo, delle native shores mi rat-trista: [...] la tua presenza era un confortante punto fermo. È veroche praticamente vado a Parigi più spesso che a Roma, e che insostanza cambia la dislocazione del punto, non la sua fermezza27.

3.2 La collaborazione con Einaudi: temi principali.

3.2.1 Il rapporto con le letterature straniere: la Mitteleuropa.

«Qualcuno ha [...] detto che l’allontanamento da Trieste di Bazlen eraalla ricerca di quella dimensione europea (inseguita nei libri) che eglinon riusciva a trovare a Trieste, dove avrebbe preteso di trovarla»28: lacitazione appena riportata permette di riflettere ancora una volta sul

26 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 29 gennaio 1956.27 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 29 febbraio 1956.28 Intervento di Elvio Guagnini al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 75.

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ruolo della città d’origine nella formulazione delle istanze culturali cheegli portò avanti lungo l’intero corso della propria carriera editoriale. Èperò anche bene sottolineare il fatto che se da un lato, come si è visto,Trieste si rivelò ben presto essere un ambiente troppo angusto per le aspi-razioni di Bazlen, dall’altro la nascita di quelle stesse aspirazioni fu favo-rita in lui, e in un certo senso ispirata, proprio dalla città in cui nacque.Non è infatti casuale che il primo, e forse più noto, parere editoriale for-nito ad Einaudi sia stato relativo a un libro, L’uomo senza qualità di Musil,pubblicato a partire dal 1930 e più che mai rappresentativo del lentodisgregarsi dell’Impero Asburgico. Il parere circa questo romanzo nonfu dovuto ad un’iniziativa personale di Bazlen, come invece spessoavverrà in futuro, ma alla richiesta da parte di Fonzi, dopo che a questoproposito era stato dato un parere negativo, almeno rispetto alla pub-blicazione, da parte di Delio Cantimori e Norberto Bobbio. Fonzi infat-ti il 16 marzo 1951 annuncia a Bazlen di stargli inviando «tre volumi dellungo romanzo incompiuto: Der mann ohne eigenschaften [L’uomo senzaqualità] di Robert Musil, che lei quasi certamente conoscerà: gradirem-mo anche per questo il Suo parere»29. Nel formulare la sua richiesta diun parere da parte di Bazlen su un libro considerato con grande proba-bilita oggetto delle sue conoscenze, Fonzi gli invia inoltre «i più cordia-li saluti, anche da Luciano Foà, nuovo collega»: la promozione da partedi Bazlen dell’opera di Musil ha inizio dunque in corrispondenza del-l’ingresso di Foà nella casa editrice Einaudi. Il ricordo di quest’ultimo atale proposito è d’altronde ulteriormente chiarificatore:

Nel 1951 ero da poche settimane a Torino, [...] quando mi capitòdi vedere un giudizio di Norberto Bobbio [...] su «L’uomo senzaqualità» di Musil. Non capii per quale ragione quest’opera, pursempre di narrativa, fosse stata data in lettura a Bobbio, professo-re di filosofia del diritto. Comunque Bobbio era rimasto colpito dallibro, ma non ne vedeva la possibilità di una pubblicazione a causadella sua complessità e della sua lunghezza. Allora pensai di spedi-re i tre volumi a Bazlen per avere un suo giudizio30.

Il caso Musil.

29 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di BrunoFonzi a Roberto Bazlen, 16 marzo 1951.30 Intervento di Luciano Foà al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dal

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Di fronte alla richiesta che gli proviene da Torino, Bazlen articola lapropria risposta in diverse lettere editoriali. In prima istanza, infatti, eglirisponde a Fonzi dando una concisa definizione dello spirito che animail libro e contestualizzando, altrettanto concisamente, questo spirito inuna precisa temperie storica e letteraria:

è uno di quei mondi che si creano strada facendo, e non è, per for-tuna, l’esecuzione burocratica di un programma prestabilito; delresto, data la visuale (molto «fra due guerre») dalla quale è visto ilmondo della disgregazione, (che nel caso concreto è la disgregazio-ne dell’impero austro-ungarico), era quasi inevitabile che il librorimanesse frammentario31.

La descrizione dell’Uomo senza qualità come «mondo» può essere forseindicata come un primo segnale di quella che sembra una particolare sin-tonia percepita da Bazlen con esso: si è visto infatti come due anniprima, discutendo la possibilità di svolgere la traduzione di Saturno emelanconia per Einaudi, egli avesse usato la stessa parola per designare idiversi periodi della propria stessa vita, quando parlava a Fonzi di un«momento nel quale navigo in non so quali altri mondi»32. Al di là di que-sta «spia» verbale del fatto che Bazlen fosse attratto da quella che senti-va come una “non programmaticità” del romanzo di Musil, è interessan-te segnalare che la sua sensibilità nei confronti dell’opera dello scrittoreaustriaco dovesse anche poggiare su basi culturali ben radicate neltempo. Bazlen, infatti, dopo avere introdotto il parere circa il romanzoincompiuto di Musil preferisce al contrario consigliare dei romanzi che,provenienti dalla medesima temperie culturale dell’Uomo senza qualità, sipresterebbero con maggiore semplicità alla pubblicazione. «Poiché miavete tirato fuori i romanzi della disgregazione (sic!)»33, Bazlen cita, conil titolo in tedesco, il «primissimo libro»34 dello stesso Musil, ovvero I tur-

Gruppo ’85 cit., p. 17.31 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 19 marzo 1951.32 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 11 settembre 1949.33 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 19 marzo 1951.34 Ibidem.

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bamenti del giovane Torless, nonché I sonnambuli di Hermann Broch, «pro-babilmente molto più accessibile e più commerciabile del romanzo diMusil benché di livello non inferiore»35. Le notazioni appena considera-te permettono di sottolineare come accanto a una grande familiaritàcon le opere degli scrittori mitteleuropei fosse presente in Bazlen anchela lucida volontà di presentarli nel modo più opportuno per il pubblicoe per l’editore: nel primo caso, sottoponendo ad esso una serie di pub-blicazioni «progressive» e preparatorie, nel secondo tenendo presentianche considerazioni di ordine commerciale, che possono condiziona-re profondamente il «giudizio di pubblicabilità»36 del testo. Ed effettiva-mente è la contemporanea considerazione di tutti questi fattori a guida-re Bazlen nella formulazione del proprio giudizio. Nella lettera specifi-catamente dedicata all’Uomo senza qualità, infatti, egli considera l’operain primo luogo da un punto di vista critico-letterario, necessariamentepreliminare alla valutazione dell’eventuale apprezzamento da parte delpubblico. Il romanzo di Musil, dunque, «come livello, non si discute, e[...] va pubblicato ad occhi chiusi37»: una valutazione giustificata median-te la considerazione del «valore sintomatico in ogni singola pagina» edel «valore assoluto in moltissime parti», che fanno del libro «una dellefaccende più grosse tra tutti i grandi esperimenti di narrativa non con-formista, fatti dopo la prima guerra mondiale». Una volta esposte que-ste considerazioni, però, come si è detto Bazlen passa a considerare ilfatto che il libro sia «da discutersi molto, invece, da un punto di vistaeditoriale-commerciale», e questo dal momento che esso è

1°) troppo lungo 2°) troppo frammentario 3°) troppo lento (o noioso, o difficile, o come vuoi chiamarlo) 4°) troppo austriaco

In particolare il quarto punto dello schematico giudizio fornito rispet-to al romanzo costituisce un anello di congiunzione fra i diversi ordinidi considerazioni che egli svolge nell’insieme della lettera: il romanzo diMusil, vale a dire, è «carico di allusioni a forme di vita, abitudini, istitu-

35 Ibidem.36 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 135.37 Roberto Bazlen, Scritti cit., pp. 273 - 279. Da queste pagine sono tratte tutte le citazioni cheseguono.

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zioni [...] poco familiari al lettore italiano». Se addirittura anche la «fisio-nomia dei nomi e dei cognomi» viene considerata «di una sintomaticitàe di una precisione clinica sbalorditiva», si può comprendere allora per-ché Bazlen avanzi delle perplessità rispetto alla convenienza della pub-blicazione del libro in Italia. Rimane però anche il fatto che la conside-razione che egli aveva della letteratura come qualcosa riguardante davicino la vita e l’intimità della persona doveva fargli controbilanciare leconsiderazioni strettamente economiche con alcune di diverso ordine:ovvero, la speranza che in qualsiasi lettore italiano, d’altronde conside-rato di «livello [...] infinitamente più alto di quanto si ritenga comune-mente», la mancata partecipazione al contesto storico-letterario cuiMusil si riferisce potesse essere compensata con una partecipazione,appunto, di natura umana, e quasi istintiva. Così Bazlen descrive imomenti che secondo lui dovrebbero susseguirsi nella lettura:

ti succede che attraverso questi interminabili dialoghi, saggi, tratta-ti, feuilletons - e dopo esserti abbondantemente irritato e annoiato- ti si formi lentamente un mondo vivissimo, le persone [...] assu-mono lentamente una densità ed una plastica da grandissimi per-sonaggi da romanzo, [e] l’azione, della quale non ti sei accorto, filache è un gusto, e non ti sei annoiato, ma [...] ti sei divertito, haicompartecipato, [...] per due mesi sei vissuto in parte di quelmondo, e [...] ti sei innamorato di Agathe, la sorella dell’uomosenza qualità.

La presenza di «un mondo vivissimo» nel quale il lettore, al di là dellapropria cultura e provenienza, si immerge e del quale partecipa e perBazlen una ragione più valida di qualsiasi altra per promuovere il libro.Lo stesso comitato editoriale di Einaudi, d’altronde, dovette trovareconvincente il suo giudizio «assai lungo ed estremamente circostanzia-to»38: il quale infatti, stando alla memoria di Foà, ebbe «l’effetto di tra-volgere ogni resistenza alla pubblicazione di quella grande opera»39.

38 Intervento di Luciano Foà al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo '85 cit., p. 17.39 Ibidem. È interessante peraltro osservare che anche Franco Fortini, al quale nel giugno del 1951era stato richiesto un parere sul romanzo ed un saggio di traduzione, indicò l’opera di Musil come“molto notevole”. La citazione della lettera di Fortini, datata 30 luglio 1951, è tratta da LuisaMangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 818.

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L’Uomo senza qualità, infatti, verrà pubblicato in tre volumi, a partire dal1957, nella collana di narrativa e teatro dei «Supercoralli», nata nel 1948e ospitante «autori contemporanei italiani e stranieri di grande rilievo»40.Così come all’influenza di Bazlen sono da ricondursi le pubblicazioninel 1959 de I turbamenti del giovane Torless nei «Coralli», e l’anno successi-vo de I sonnambuli di Hermann Broch (nella stessa collana dell’Uomosenza qualità).

Almeno sul fronte della diffusione della letteratura mitteleuropea (fosseessa relativa al periodo della «disgregazione» o meno) Bazlen riuscì dun-que a vedere seguiti, presso Einaudi, buona parte dei propri consiglieditoriali. Tale positivo risvolto del suo lavoro, peraltro, si manifesta aproposito di Musil anche successivamente all’iniziale consiglio circa lapubblicazione della sua opera, dal momento che anni dopo, nel 1959,egli verrà incaricato di trattare i rapporti con i curatori del terzo volu-me del romanzo. A testimoniarlo è una lettera del 14 giugno 1959, nellaquale Bazlen descrive lungamente «le due ore esatte di colloqui [...]veramente emozionanti»41 appena avute con «Ernst Kaiser»42 e suamoglie, ovvero due studiosi che «lavorano da più di sei anni [...] sullenote di Musil»43 e che ad Einaudi fanno una serie di proposte. Esse con-sistono nella pubblicazione di un loro saggio sull’autore austriaco, l’or-ganizzazione di una mostra, a Roma, «del materiale di Musil»44, ed infinela riorganizzazione dei frammenti che compongono l’ultima sezione delromanzo: da quanto si può riscontrare nel catalogo di Einaudi, di tuttequeste proposte dalla casa editrice verrà accolta solo quella circa l’edizio-ne critica del testo, dal momento che appunto Kaiser e sua moglie risul-tano i curatori del terzo volume dell’Uomo senza qualità45. Al di là dei risul-tati, è comunque interessante porre in evidenza l’impegno di Bazlen perun’ottimale presentazione dell’opera di Musil, e della letteratura mitte-leuropea in generale, dal momento che, ad esempio, nella stessa letteradel 14 giugno egli propone, contestualmente all’organizzazione della

40 Gian Carlo Ferretti, Storia dell'editoria letteraria in Italia, 1945-2003 cit., p. 149. 41 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 14 giugno 1959.42 Ibidem.43 Ibidem.44 Ibidem.45 Robert von Musil, L'uomo senza qualità, III, traduzione di Anita Rho, a cura di Eithne Wilkins eErnst Kaiser, introduzione di Cesare Cases, Torino, Einaudi, 1962.

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mostra romana, di

agitare le acque più possibile, per esempio mostra Musil coinciden-te con presentazione Toerless (il Toerless Vi consiglierei di pubbli-carlo a parte; è il pendant, molto più sostanziale, della Morte aVenezia, scritto molti anni prima della morte a Venezia; è breve;molto morboso; giocando su Mann, si dovrebbe poterlo venderemolto, ma molto più del M.o.E [ovvero l’Uomo senza qualità]46 .

Sembra di vedere riproposto, in queste parole, l’atteggiamento tenutocirca vent’anni prima a proposito del «caso Svevo», che come si è vistoera consistito prevalentemente nella cura affinché l’opera fosse presen-tata nel modo più rispettoso possibile tanto della volontà dell’autorequanto delle esigenze del pubblico. A queste ultime in particolareBazlen dà grande rilievo nel momento in cui, un mese dopo aver pre-sentato i Keiser all’editore, egli dà un giudizio circostanziato circa il lorosaggio su Musil: egli cioè considera preliminarmente che «come intro-duzione a Musil, in Italia, per gente che non ne sa niente, e particolar-mente per quel brutto mondo di lettori che legge saggi senza leggere gliautori di cui i saggi trattano, non basta»47.D’altro canto, però, Bazlen specifica anche che un saggio su Musilpotrebbe avere una valenza positiva se presentato insieme ad un testointroduttivo: con l’ausilio di quest’ultimo, infatti, «il (mostruoso) feno-meno Musil diventa molto organico»48. Così come nel 1925 Bazlen avevavoluto «far scoppiare la bomba Svevo con molto fracasso»49 e, come si èvisto, aveva fatto molto perché ciò avvenisse, allo stesso modo negli anniCinquanta, per Musil ed altri autori, egli cerca di “accompagnare” lapubblicazione con tutti gli ausili che permetterebbero una loro pienaaccettazione e comprensione da parte del pubblico italiano: anche se,alla luce di passi in cui quello di alcuni lettori è designato come «un brut-to mondo», è bene considerare come, rispetto a questi ultimi, sull’inten-to divulgativo spesso abbia il sopravvento una certa supponenza.

Il caso Musil in confronto aquello sveviano.

46 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 luglio 195947 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 luglio 1959.48 Ibidem. 49 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 365.

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Ad ogni modo, tra il 1951, anno della prima lettera editoriale riferita aMusil, e il 1960, che vede la pubblicazione dei Sonnambuli di Broch, innu-merevoli sono le proposte da parte di Bazlen di opere provenienti dal-l’ambito mitteleuropeo o più generalmente tedesco, a lui particolarmen-te vicino, come si è visto, in conseguenza della almeno temporanea con-divisione di un «ben determinato humus culturale»50. Questo peculiare, e particolarmente caratterizzante, aspetto dei gusti let-terari di Bazlen si tradurrà dunque in una forte insistenza per la pubbli-cazione della letteratura mitteleuropea: ma, è bene notarlo, senza che ciòsi traduca mai in un atteggiamento acritico, essendo al contrario moltopiù consona a Bazlen la costante messa in discussione delle proprie idee,fino ad arrivare spesso al paradosso. Il caso di Broch può essere in que-sto senso rappresentativo: dopo la prima citazione del 1951, come si èvisto, in rapporto all’opera di Musil, Bazlen torna a insistere su I sonnam-buli sei anni dopo, quando scrive a Foà riferendosi ad un’ulteriore pro-posta, relativa a questo autore, fatta a Renato Solmi nel 1953:

Broch: ne avevo parlato con René Solmi, quattro o cinque anni fa.L’aveva respinto con tanta energia che non m’è sembrato il caso diriparlarne. A mio parere, va fatto. Certi effetti, of course, vannoperduti [...]. Prima di compromettermi definitivamente, vorrei rive-dere il terzo volume51.

Avendo evidentemente constatato l’aprirsi della disponibilità dell’edito-re nei confronti della pubblicazione di Broch, Bazlen torna a proporlosolo un paio di mesi dopo, dando ancora una volta un giudizio quantomai positivo circa questo autore. Il 21 ottobre 1957, infatti, egli parla di:«Die schuldlosen [Gli incolpevoli]: letto anni fa. Riletto una secondavolta: alcune tra le più belle pagine di Broch. D’altra parte in nessun librosuo che conosca, il suo ibrido è così penoso, quasi doloroso»52. Bazlendunque identifica come valore positivo la presenza, nell’opera di Broch,

I sonnambuli di Broch.

50 Claudio Magris, Il mito asburgico. Umanità e stile del mondo austroungarico nella letteratura austriacamoderna, Torino, Einaudi, 1963, p. 14. 51 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 17 giugno 1957.52 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 21 ottobre 1957. Il conciso giudizio fornito sarà comunque sufficiente adincentivare la pubblicazione dell’opera nella stessa collana de I sonnambuli, ovvero i “Supercoralli”.Cfr. Hermann Broch, Gli incolpevoli. Romanzo in undici racconti, traduzione di G. Gozzini CalzecchiOnesti, Torino, Einaudi, 1963.

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di quella che appare come un’identità sofferta e caratterizzata da un fortedisorientamento. Allo stesso modo il carattere dell’ibrido, inteso però dalpunto di vista dello stile e della struttura dell’opera, doveva averlo con-quistato anche in I sonnambuli, un romanzo che a parere della criticarompe con

l’ultima parvenza del racconto classico, sviluppando contempora-neamente la narrazione su diversi piani e dissolvendo ogni struttu-ra tradizionale con l’alternare indifferentemente saggi filosofici,squarci lirici, meditazioni religiose e pagine narrative53.

Ai ripetuti elogi nei confronti della prosa di Broch si contrappone il giu-dizio, fornito poco tempo dopo, sulle sue poesie: il 22 novembre 1957,infatti, Bazlen le definisce «veramente disperanti»54. La valutazione nega-tiva di una parte dell’opera di un autore non è, ovviamente, di per sé pro-blematica: ma tale diventa se di seguito a questa considerazione Bazlenannota, senza fornire spiegazioni in merito, che le poesie di Broch sonodisperanti «come mi sembra disperante tutto Broch, particolarmente daquando mi sono messo in testa di finire Der Versucher [Il tentatore],per cui soffro ogni sera con una decina di pagine, e sono 600 paginefitte»55. Nel giro di un mese, dunque, il giudizio circa l’opera dello scrit-tore austriaco è sottoposto a un ripensamento: così che, coerentementecon le proprie concezioni teoriche, Bazlen si affretta a chiedere di poterleggere «i volumi dei saggi e della corrispondenza»56, nella forte convin-zione che al letterario possa supplire il non letterario, se non addirittura la«vera vita» dello scrittore.Rimane comunque da considerare che probabilmente la disapprova-zione circa l’opera di Broch fosse dovuta alla delusione di fronte,appunto, a una sola parte di essa. Nel luglio del 1957, infatti, Bazlenindicava il valore di questo autore come prova del disvalore di un altrorappresentante della letteratura mitteleuropea, il quale, come ad esempio

Le poesie di Broch.

53 Claudio Magris, Il mito asburgico. Umanità e stile del mondo austroungarico nella letteratura austriacamoderna cit., p. 300. 54 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 22 novembre 1957. 55 Ibidem. 56 Ibidem.

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«Roth»57 e «Musil»58(dunque autori molto spesso citati nelle lettere edito-riali), ha «rievocato, direttamente o indirettamente, l’atmosfera e le carat-teristiche della civiltà danubiana»59: si tratta in questo caso di Heimitovon Doderer, autore del romanzo I demoni e considerato «uno dei piùscanzonati eppur fedeli eredi della tradizione francogiuseppina»60. Èperaltro interessante notare che anche a proposito di quest’ultimoautore l’opinione di Bazlen non resta affatto ferma nel tempo: la primavolta che egli lo cita, ancora nel 1954, dice infatti di trovarlo «moltobello»61, ma nei successivi pareri di lettura tale giudizio non viene con-fermato. La bellezza delle pagine di Doderer sembra infatti quantome-no non essere tale da reggere seppur minimamente il confronto conl’opera di autori a lui contemporanei o comunque assimilabili, fra iquali come si è accennato Bazlen cita anche Broch. Una considerazio-ne, questa, che è segno da un lato della continua rivalutazione a cuiBazlen sottoponeva le proprie letture, dall’altro del fatto che egli nonpromuovesse alcun gruppo di autori o forma letteraria acriticamente esenza porre le proprie personali distinzioni:

in questo frattempo, ho riletto il secondo della trilogia di Broch [...];bellissimo, e da farsi senz’altro. Invece ho smesso, dopo aver lettoancora un centinaio di pagine, i Daemonen. Insulso, ributtante, enoioso. Leggi una pagina di Doderer dopo una pagina di Broch, eperfino di Doeblin, e naturalmente di Musil, e capirai per cosa è giu-sto non farlo. A tua richiesta (ma spero ti convinca da te) dispostoa scriverti uno sfogo più esauriente (benché, per quella roba lì, nonmeriti perder tempo)62.

Uno «sfogo [...] esauriente», peraltro, Bazlen in realtà lo aveva già forni-to un mese prima della lettera appena citata, in un parere che si trovariportato nella raccolta degli Scritti bazleniani: ulteriore conferma, que-

Doderer e I demoni.

57 Claudio Magris, Il mito asburgico. Umanità e stile del mondo austroungarico nella letteratura austriacamoderna cit., p. 14. 58 Ibidem. 59 Ibidem.60 Ivi, p. 274. 61 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 14 gennaio 1954. 61 Ibidem. 62 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 7 luglio 1957.

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sta, della sua significatività. Il giudizio su Doderer, infatti, si fonda inprima istanza sulle concezioni già viste nel primo capitolo come caratte-ristiche di Bazlen e di molti altri letterati e scrittori triestini, vale a dire ildeciso rifiuto della concezione dell’opera letteraria come pedestre «pre-stazione»63: così, a proposito de I demoni, se da un lato egli è disposto adammettere che «la Leistung [la prestazione] è considerabile»64, dall’altrolato però puntualizza che solo in «certi buoni scrittori di poca sostanza(Thomas Mann; in parte anche Joyce) la Leistung diventa sostanza»65 :

In Doderer [la Leistung] invece non serve ad altro che a nasconde-re, a mascherare, una mancanza di sostanza assoluta, il vuoto puro.Non c’è che molta furberia, una grande eleganza superficiale chenon compensa la hybris fondamentale, un’intelligenza molto paras-sitaria e, se gratti, molto banale66.

La povertà di un libro che è anche e soprattutto povertà del suo autore,dal momento che Bazlen chiama in causa la sua «intelligenza» ed apre ilproprio giudizio premettendo che Doderer «non [gli] è simpatico»67, fasì che tra le altre cose egli trovi «strano che piaccia a Cases»68. In effetti,i due consulenti si trovarono molto spesso a valutare insieme l’opportu-nità della pubblicazione di un libro, anche se la tendenziale condivisionedi prospettiva, dal momento che anche Cases nei suoi pareri «tendeva asottolineare gli aspetti di crisi e di disgregazione»69 che emergevano dalla«produzione tedesca più recente»70, in questo caso si verifica solo par-zialmente. Già nel novembre del 1956, infatti, il maggior consulente diEinaudi per la letteratura tedesca aveva scritto a proposito de I demoni:

È uno di quei libri che o li traducete voi o non li traduce nessuno.È infatti certamente notevole ma pesantissimo. [...]. Spirito e stileproustiano-musiliano. [...]. Libro, insomma, di livello culturale ele-vato e di ambizioni pure elevate, ma di lettura piuttosto faticosa.[...]. Penso che bisognerà tradurlo prima o dopo, ma senza nessu-

63 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 211. 64 Ivi, p. 284. 65 Ibidem. 66 Ibidem. 67 Ibidem. 68 Ibidem. 69 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 846. 70 Ibidem.

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na urgenza. Si è vissuti sinora senza Musil e si potrà vivere benis-simo per altri 10 o 20 anni senza Doderer71.

I demoni sono dunque considerati un romanzo la cui pubblicazione nonè segnata da una particolare urgenza, ma che dovrebbe rientrare a pienodiritto nel panorama editoriale italiano: e la loro pubblicazione, con quel-lo stesso ritardo che Cases stesso aveva ammesso, è solo una dimostra-zione della maggiore influenza che il suo pensiero presumibilmenteaveva rispetto a quello di Bazlen72. Resta comunque fermo il fatto che, aldi là dello specifico caso di Doderer, Cases forniva certo un fondamen-tale «supporto critico alla crescente attenzione della casa editrice per lagrande letteratura di lingua tedesca del Novecento»73, ma anche capitavache questo avvenisse «in controcanto con Bazlen, da cui spesso veniva-no gli impulsi iniziali»74. Pur con riserve e parziali contraddizioni, dunque, Bazlen diede granderilievo a quegli autori mitteleuropei che, certo con diverse modalità, ave-vano a posteriori evocato nei loro romanzi l’atmosfera di un impero indeclino: ma è bene tenere presente, per dare conto nel modo più esau-riente possibile del suo vasto operato editoriale, che non fu solo ilmondo della «disgregazione» visto dagli occhi di scrittori austriaci adattirare la sua attenzione. Essendo l’interesse di Bazlen rivolto all’operaletteraria come frutto diretto dell’esperienza di un uomo, è infatti com-prensibile che la sua curiosità spazi, per così dire, nel tempo e nei luoghidove egli identifica dei “nuclei di esperienza”, dei «mondi» ritenuti vali-di. È anche per questa ragione, dunque, che nelle lettere editoriali indi-rizzate a casa Einaudi si possono da un lato rintracciare i nomi di nume-rosi scrittori provenienti dagli Stati nati dall’Impero Asburgico maappunto non legati alla sua lenta «disgregazione», dall’altro autori prove-nienti dal nord Europa, o dalla Polonia, che interessavano invece Bazlenper il periodo specifico in cui erano vissuti.

Magda Szabo: Das Fresko [L’affresco]: [...]. Of course vieux jeu,ecc. - insopportabilmente. Soltanto che la Magda Szabo è un’unghe-

71 Ivi, p. 847. 72 Heimito von Doderer, I demoni. Dalla cronaca del caposezione Geyrenhoff, traduzione di ClaraBovero, Maura Mancinelli, e Anita Rho, Torino, Einaudi, 1979. 73 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit. p. 846. 74 Ibidem.

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rese, dunque d’una bravura carogna che, rispetto a prodotti anglo-sassoni simili, è quasi genialità. Io mi sono annoiato, particolarmen-te perché i capitoli [...] sono eccessivamente lunghi. Ma devo direche, benché sia superfluo tutto il libro, non c’è una parola superflua.Se avete bisogno di un libro superfluo fatto molto bene, eccolopronto. Ma sono per no75.

Il romanzo che Bazlen prende in considerazione nel passo appena cita-to, L’affresco della scrittrice ungherese Magda Szabo, risale al 1958: dun-que, ovviamente, nasce da un contesto geografico, ma soprattutto stori-co, completamente diverso rispetto a quello da cui potevano essere natele opere di Musil, di Broch, o di Doderer. Resta però il fatto che, nono-stante il consiglio, infine, di non pubblicare il romanzo, Bazlen individuinella sola provenienza dell’autrice la ragione della sua bravura: MagdaSzabo è ungherese, «quindi [il corsivo è di chi scrive] di una bravura caro-gna», e questo aspetto basta a farle guadagnare il riconoscimento di unaabilità artistica di gran lunga maggiore rispetto a quella dei ben più notiautori anglosassoni. Tale abilità, peraltro, sembra consistere soprattuttoin una scrittura essenziale, dunque in sostanza in uno stile snello e lon-tano da quell’eccesso di enfasi che rientra fra le più frequenti critiche cheBazlen muove agli scrittori. Secondo un ragionamento che non appare dissimile a quello che loguida nelle valutazioni su Magda Szabo, peraltro, molti saranno i nomidi scrittori yiddish che Bazlen raccomanderà. Egli infatti apprezza le lorocapacità di rappresentazione di un mondo quanto mai lontano da quel-lo del lettore italiano e, anche in questo caso, l’immediatezza della loroscrittura: tutti aspetti che per Bazlen assumono un positivo valore«antropologico»76. Resta però anche ferma la riserva che un tale tipo discrittura possa essere un ingrediente non apprezzabile per il lettore ita-liano, secondo Bazlen più affascinato dalle ampollosità dello stile.Comunque, nella stessa lettera in cui dà il proprio parere circa L’affrescodi Magda Szabo, egli, valutando la possibilità di pubblicazione da partedi Einaudi di un’antologia di letteratura yiddish, propone appunto anchel’assunzione di un consulente specifico per la letteratura ebraica, che

L’affresco di Magda Szabo,scrittrice ungherese.

Gli scrittori yiddish raccomandati da Bazlen.

75 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 21 giugno 1961.76 Ibidem.

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sappia dunque introdurla nel catalogo della casa editrice nel modo piùconvincente e coerente con la sua “strategia”.

In David Laube: quattro racconti di quattro scrittori ebraici recenti.Due bellissimi. Non vi dico di farlo, perché un libro antropologicodi pochi autori mi pare non vostro stile. Ma in ogni caso, vedere dipescare un consulente per la letteratura ebraica moderna, e chieder-gli che vi parli dei libri più lunghi di Jizchazk Schenhar e di ChajimHasas. Meritano. [...]. (Molto bella anche la novella di Jehuda Ja’ari,ma di una purezza e di una semplicità - e di una lentezza - che quida noi non attaccano)77 .

3.2.2 La letteratura del «giro di secolo»78.

«In genere, vi consiglio di cercare tra la letterature del giro di secolo,dove c’è da pescare molto più di quanto si crede»79: così, il 28 aprile 1951,Bazlen introduce un romanzo, Il demone meschino del russo FëdorSologub, al quale doveva tenere particolarmente, se dieci anni dopo, nel1961, il nome di Sologub si legge ancora nelle lettere indirizzate adEinaudi. Nonostante la tenacia con cui Bazlen torna negli anni a parlaredi questo titolo, già dal 1954 la sua pubblicazione avverrà ad opera diGarzanti: cosa che comunque non toglie l’interesse che esso ha comeesemplificazione delle idee editoriali e letterarie di Bazlen, ma anchedella difficoltà che si può rilevare in lui a seguire “da vicino”, vale a direcon una costanza che si esplichi nel breve periodo, il percorso editorialedei suoi autori prediletti. Per quanto infatti già dal 1951 Bazlen affermiche Il demone meschino è «un libro bellissimo»80, bisognerà attendere treanni, dunque il 1954 in cui appunto cade la pubblicazione da parte diGarzanti, perché egli si soffermi sulle qualità del libro in una lettera edi-toriale ad esso specificatamente dedicata. «Ho avuto la sensazione di tro-varmi davanti a uno dei libri più perfetti o almeno più vivi per me, diquell’immenso periodo che va dalla fine del secolo alla prima guerra

Il demone meschino di FëdorSologub.

77 Ibidem.78 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 1 settembre 1951.79 Ibidem.80 Ibidem.

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mondiale»81. Allontanandosi dal suo consueto stile, fatto di «subitaneisbalzi di valutazione, caratteristici di una spregiudicata lettura in fieri»82, inquesto caso Bazlen circoscrive puntualmente gli elementi che per lui ren-dono il primo quindicennio del Novecento «immenso», aggettivo chenasconde una sua decisa predilezione appunto per la letteratura prodot-ta in questo periodo: «era il momento in cui nascevano le nuove formu-lazioni psicologiche, e la narrativa migliore e più attuale era tutta sul limi-te fra la creazione di immagini spontanee e la formulazione di determi-natori comuni»83. Un giudizio, quest’ultimo, dal quale sembra di potervedere che se programma, se tecnica (definiti «determinatori comuni»)potevano esservi in uno scrittore, essi erano ammissibili solo in seno aquelle «nuove formulazioni psicologiche», freudiane e junghiane, per lacui pubblicazione, come si è visto, Bazlen si era speso e si spenderà. Edè anche da notare che le osservazioni di carattere storico-letterario cheegli fa in merito a Il demone meschino di Sologub si trovano per così direriflesse nelle notazioni editoriali che nella stessa lettera si possono legge-re: Bazlen cioè sembra creare un parallelo fra il clima culturale che avevaaperto il ventesimo secolo84 e quello che caratterizza i lettori a lui con-temporanei, nel momento in cui afferma che, nelle «letterature del girodi secolo», «i meno-di-trent’anni di oggi faranno scoperte emozionanti etroveranno le radici più vicine, e finora sconosciute, di tutti i loro moti-vi e di tutti i loro problematismi»85. I problemi di quei giovani che «lointeressavano come tali, come persone che la vita non aveva ancora gua-stato»86 potrebbero dunque trovare un sollievo e una rispostanell’«autentico»87, nel «mitico»88, nel «sogno»89 che caratterizzano Il demo-ne meschino di Sologub, romanzo che risale al 1905: che i quarant’anni cheseparano la prima edizione del libro dalla sua traduzione italiana noncostituiscano per Bazlen un ostacolo al suo valore è d’altronde confer-

81 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 280. 82 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 269. 83 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 281. 84 A tale clima, peraltro, almeno dal punto di vista letterario egli aveva fatto cenno in una sezio-ne delle Note senza testo dal titolo “Problema dell’epoca”: al suo interno, un aforisma parla infattidei “grandi complicati dell’Ottocento”, definiti unicamente come “figure della dissoluzione,senza soluzioni”. Cfr. Ivi, p. 183. 85 Ivi, pp. 280-281. 86 Testimonianza di Luciano Foà riportata in Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 71. 87 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 282. 88 Ibidem.

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mato dalla risposta che il 4 luglio 1954 egli fornisce a un’osservazione diFoà. Quest’ultimo doveva evidentemente aver fatto notare all’amicoquella che riteneva una mancanza di attualità del libro, se Bazlen glirisponde come segue:

non d’accordo col tuo argomento: “resto ormai noto”: vale per tuttii classici. Ciò che conta, sempre, è la grande carica della erstmalig-keit [lett. «per la prima volta»]. O almeno l’attualità frenetica nelmomento in cui il libro fu scritto90.

Il demone meschino, dunque, ha valore prima di tutto come libro che incar-na quella che nelle sue Note senza testo Bazlen designa, senza però davve-ro definirla, come «primavoltità»91: dunque un’«attualità frenetica», un’ur-genza che quasi costringe l’autore alla scrittura, e che è segnata da una«carica» tale da perdurare negli anni, costituendo un valore alternativorispetto al rientrare o meno di un libro nella categoria dei “classici”. Dalpasso appena citato, si comprende perché a proposito di Bazlen si troviscritto che «rinnegava [...] apertamente il valore dei classici e si avventu-rava in ardite esplorazioni culturali, cercando lo strano, l’inconsueto»92. Ilconfronto di un libro come Il demone meschino con altri ad esso contem-poranei, e soprattutto di gran lunga più noti, non doveva quindi spaven-tarlo in alcun modo o spostare il suo giudizio, dal momento che appun-to alla stabile appartenenza di un libro al panorama letterario egli predi-ligeva la «primavoltità»: per tale ragione, ad esempio, il romanzo diSologub per Bazlen «non è soltanto l’unico romanzo russo che rimangadel 900-917, ma anche uno dei pochissimi non sfioriti di quel periodo (edi dopo) di tutto il mondo»93. Un tipo di giudizio molto simile a quello appena citato vale d’altrondeanche per un altro autore operante fra la fine dell’Ottocento e l’inizio delsecolo successivo, ovvero il norvegese Knut Hamsun. La prima presen-tazione da parte di Bazlen del suo Mysterien si colloca poco prima di quel-

Il concetto di primavoltità.

Mysterien di Knut Hamsun.

89 Ibidem.90 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 4 luglio 1954. 91 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 230. 92 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana cit., p. 123. 93 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 30 agosto 1961.

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la di Sologub, ovvero nel luglio del 1953, quando Bazlen lo indica comeun romanzo «che frega tutta la letteratura americana di questi ultimitrent’anni»94: una letteratura nei confronti della quale, tranne poche ecce-zioni, egli nutriva una certa diffidenza, forse in conseguenza del suo rite-nere «superflua [...] probabilmente tutta l’America»95. Anche a propositodi Hamsun, peraltro, Bazlen pone in evidenza la novità del romanzo,rimasta tale dopo la sua prima pubblicazione avvenuta nel 1892, atten-dendo però otto anni per tornare a parlarne. Solo nel maggio del 1961,infatti, Hamsun ricompare come uno dei «uno degli ultimi grandiromanzieri europei»96, forse in ragione del fatto che la «parte vecchia»97diMysterien, ovvero quella che potrebbe risultare più lontana dalla mentali-tà e dall’orizzonte d’attesa del lettore del Novecento, per Bazlen «nonpesa»98. Al contrario, il romanzo appare caratterizzato da un elemento di«primavoltità», laddove con essa questa volta sembra si intenda più ladecisiva presenza di un elemento di innovazione, consistente nel fattoche il protagonista di Mysterien è definito come «Il Grande Sgangheratoin preda all’inconscio, inventato dieci anni prima delle prime pubblica-zioni psicoanalitiche di Freud»99: Hamsun, insomma, è riuscito a creareun personaggio che addirittura anticipa quelli che per Bazlen sono fra gliapporti culturali più “vivi” ed innovativi di tutto il Novecento. Resta tut-tavia da evidenziare il fatto che, così come nel caso di Sologub, la pro-posta di Bazlen relativa all’opera di Hamsun non verrà accolta daEinaudi: ulteriore ragione di delusione per lui, che in effetti, soprattuttonegli ultimi anni della propria collaborazione con Einaudi, non manche-rà di fare presente quantomeno il proprio disappunto. A DanielePonchiroli, ad esempio, Bazlen chiederà esplicitamente di «tener d’oc-chio (o far tener d’occhio) anche i romanzi non impossibili (anche sediscutibili) che vi ho segnalato in questi ultimi anni, e di cui non ho sapu-to più nulla»100: fra essi, appunto, egli cita in primo luogo Il demone meschi-

Il rifiuto di Mysterien e l’inasprirsi di una già compromessa collaborazione.

94 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 2 luglio 1953. 95 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 15 febbraio 1960. 96 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 310. 97 Ibidem. 98 Ibidem. 99 Ivi, pp. 310-311. 100 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 22 dicembre 1961.

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no di Sologub, «che mi ostino a considerare uno dei romanzi ancora vividel primo anteguerra»101. Se frequente è la presenza, fra le proposte editoriali di Bazlen, di autorila cui opera si colloca fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX seco-lo, è perché in essi appunto egli doveva trovare un elemento di novità edi attualità, per di più non ancora scoperto in Italia: cosa che ancora unavolta fa di lui un anticipatore, se ad esempio rispetto ad Hamsun egliafferma, nel 1961, di «averlo riletto [...] dopo 40 anni»102. Ad ogni modo,è bene comunque puntualizzare che se in particolare nei romanzi del«giro di secolo» Bazlen evidentemente trovava un apporto valoriale piùinnovativo rispetto ad esempio ai romanzi americani (per cui, ad esem-pio, il protagonista di Mysterien «tiene discorsi nietzscheani tutti sballati ein fondo tutti giusti»103), è però altrettanto vero che la novità in sé e persé, al di là del suo collocarsi in un dato periodo, lo attraeva particolar-mente. È questo un aspetto che emerge ad esempio in un «bellissimo»104

parere a proposito di Ferdydurke dello scrittore polacco WitoldGombrowicz, dunque un romanzo che si colloca successivamenterispetto a quelli appena citati, essendo del 1937.

Direi assolutamente di SÌ!!!Mi sono divertito un mondo e mezzo; ed è uno degli alleati più one-sti che si possano avere nella vera rivoluzione contro il amore, laarte, gli immortali principi e tutte le fregnacce che sai105.

Con quella che ancora una volta appare come una almeno ostentatafreddezza, Bazlen mostra nel passo appena citato quell’aspetto, che si ègià rilevato per esempio rispetto alla sua posizione circa il fascismo esoprattutto l’antifascismo, di deciso rifiuto di qualsiasi valore o posizio-ne culturale che egli consideri precostituiti, invecchiati, o, sembra, sem-plicemente condivisi da troppi: rompendo con questo tipo di valori, cheper la verità egli cita molto vagamente, Ferdydurke è da lui considerato, inultima istanza, «un libro molto rispettabile, e veramente sano»106.

Il parere su Ferdydurke diWitold Gombrowicz.

101 Ibidem. 102 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 310. 103 Ivi, p. 311. 104 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.105 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 285. 1067 Ibidem.

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Sono questi ultimi aggettivi insoliti in uno scritto che, sebbene non pre-disposto alla pubblicazione, aveva comunque una valenza critica e diorientamento per il comitato editoriale einaudiano. Essi però, oltre adessere molto frequenti nello stile di scrittura di Bazlen, a ulteriore testi-monianza del suo rapporto spontaneo e diretto col dato letterario,dovettero comunque risultare convincenti anche per Einaudi, dalmomento che Ferdydurke verrà pubblicato, nella già citata collana dei«Coralli», già nel 1961, cosa che fa di Gombrowicz, fra l’altro, «lo scrit-tore polacco famoso che ha scoperto Bobi»107.

3.2.3 Lo «sguardo di Orfeo».

«Robbe-Grillet è uno dei tanti (dei quasi tutti) che stanno preparando laterza guerra mondiale; e da una cultura ridotta in questo stato non rima-ne altro che emigrare»108: è questo, in sintesi, il giudizio che nel maggiodel 1956 Bazlen fornisce a proposito di uno dei maggiori rappresentan-ti del Nouveau roman francese, imputandogli sostanzialmente una capaci-tà di innovazione solo apparente, ed anzi addirittura «vergognosamentein ritardo»109 rispetto ad autori quali Dostoevskij. La stessa diffidenza,peraltro, lo guida quattro anni dopo almeno nelle prime battute del suogiudizio verso un altro saggista e romanziere francese vicino al Nouveauroman, Maurice Blanchot. A proposito del suo saggio Lo spazio letterario,infatti, Bazlen prima di tutto denuncia, in una lettera datata 9 aprile 1961,«certi suoi giri a vuoto, intorno a solidificazioni come il désir e la nuit el’angoisse e quella mort che ti raccomando particolarmente, solidifica-zioni che si sono putrefatte nel simbolismo francese e nel classicismopostsimbolista»110: a Blanchot, insomma, Bazlen imputa la mancanza direale capacità innovativa in favore dell’involuzione su temi e topoi lettera-ri per lui ormai sclerotizzati, ed ai quali si riferisce con un certo pungen-te sarcasmo. D’altronde, anche a uno scrittore sperimentale quale AlainRobbe-Grillet Bazlen aveva associato «uno dei tanti aggettivi di moda

Robbe-Grillet e Blanchot.

107 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.108 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 283. 109 Ivi, p. 282. 110 Ivi, p. 305.

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come “allucinato”, o “magico” o che so io»111, ad ulteriore messa in evi-denza di una supposta novità, che per lui non è tale. Allo stesso tempo,però, a proposito di Blanchot egli si mostra disposto a riconoscere anchegli aspetti positivi del suo lavoro: essi infatti sembrano quasi progressi-vamente emergere, di frase in frase, nello svolgersi del parere editoriale,di modo che il giudizio iniziale risulta in sostanza ribaltato. Quel che piùconta, non è improprio vedere in alcuni aspetti del pensiero di Blanchotalcuni fondamentali puntelli teorici per le posizioni di Bazlen, che spes-so perdono di mordente perché segnate da un’eccessiva indeterminatez-za, causata dal fatto che, «nemico giurato di tutti i sistemi e di tutte le teo-rie in quanto tali, non ci offre esplicite spiegazioni in merito [alle proprieidee]»112. Nel frangente del giudizio relativo all’opera di Blanchot, Bazleninfatti così prosegue con le proprie considerazioni:

Mi sono messo a sfogliare L’Espace littéraire dapprima soltanto dimalavoglia, poi anche irritatissimo di trovarlo meno irritantementeacrobata spirituale di quanto lo credessi, finché mi sono trovatodavanti al capitolo «Le Regard d’Orphée» e qui mi sono messod’impegno, perché [...] so che quando c’è di mezzo Orfeo (eEuridice poi!) trovo la chiave di tutta la mia intolleranza113.

Bazlen dunque ammette quello che è anche un suo personale pregiudi-zio, nel momento in cui si mostra irritato dal fatto di non avere trovato,in Blanchot, quelle caratteristiche che pensava lo avrebbero infastidito.Al contrario egli ammette, ed è questo il punto centrale del suo giudizio,di essersi «trovato davanti a sei pagine stupende, scritte non al di qua néal di là ma sullo spartiacque, dove la paradossalità inafferrabile del rap-porto artista-opera è espressa come non l’ho trovata espressa mai»114.Con «spartiacque» Bazlen intende per così dire il centro di quel proble-ma, relativo al rapporto fra lo scrittore e la sua opera, dunque fra la «vita»e la sua trasposizione sulla pagina, che come si è visto per lui era centra-le e fondante molte delle sue posizioni teoriche e scelte editoriali: inragione di questo, la formulazione da parte di Blanchot di problemi affi-ni a quelli percepiti da Bazlen suscita il suo entusiasmo, e la sua piena

Lo sguardo di Orfeo.

111 Ivi, p. 283.112 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 89. 113 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 306. 114 Ibidem.

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raccomandazione del libro, seppur nella consapevolezza che esso «nonpuò avere molto successo»115. Una considerazione che evidentementenon spaventò nemmeno l’editore, se il libro venne poi pubblicato, nel1967, all’interno della collana dei Saggi einaudiani116. L’opera «non ha nulla a che vedere col significato, col senso, come loimplicano l’esistenza del mondo e lo sforzo della verità, la legge e la chia-rezza del giorno»117: è questa solo una delle considerazioni presenti nel-l’opera di Blanchot circa l’«incompatibilità fondamentale»118 fra l’«imma-ginario»119 e il «mondo della realtà»120, nelle quali Bazlen doveva trovareriecheggiato il proprio personale sentire. In particolare, nelle pagine cheBlanchot dedica al noto mito di Orfeo Bazlen poteva trovare un elemen-to propositivo che in qualche modo rispondeva ai suoi stessi dubbi, seb-bene presentato, attraverso il mito, in chiave metaforica e quasi sibillina:caratteristiche, queste ultime, che comunque dovevano risultargli conge-niali, se si pensa allo stile della sua stessa scrittura. «Orfeo è disceso versoEuridice: Euridice è, per lui, l’estremo che l’arte possa raggiungere;costituisce, sotto un nome che la dissimula [...], il punto profondamenteoscuro verso cui l’arte, il desiderio, la morte, la notte sembrano tende-re»121. Interessante è notare il fatto che in questo passo Blanchot enume-ri esattamente quel «désir», quella «nuit» e infine quella «mort» che comesi è visto suscitavano la massima irritazione di Bazlen. D’altra parte,però, questa formulazione costituisce la base da cui l’autore parte pertrattare il problema che considera centrale, ovvero quello dello «sguardodi Orfeo»122: esso costituisce nello stesso momento la vanificazione el’inveramento dell’opera, in una visione per molti aspetti vicina al para-dosso, come vicine al paradosso erano molte delle posizioni di Bazlen.Lo sguardo di Orfeo è infatti il

gesto proibito [...] che [egli] deve compiere per portare l’opera al dilà di ciò che la garantisce, e può compiere ciò solo dimenticandol’opera, nel trasporto di un desiderio che gli viene dalla notte e che

115 Ibidem.116 Maurice Blanchot, Lo spazio letterario, traduzione di Gabriella Zanobetti, Torino, Einaudi, 1967. 117 Ivi, p. 228. 118 Jean Pfeiffer, La passione dell’immaginario in Maurice Blanchot, Lo spazio letterario cit., p. XI. 119 Ibidem.120 Ibidem.121 Maurice Blanchot, Lo spazio letterario cit., p. 147. 122 Ibidem.

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è legato alla notte come la propria origine. In questo sguardo, l’ope-ra è perduta. È il solo momento in cui essa si perde completamen-te, in cui qualcosa di più importante dell’opera, di più destituitod’importanza che l’opera, si annuncia e si afferma. L’opera è tuttoper Orfeo, eccetto quello sguardo in cui essa si perde; cosicché essapuò appunto superarsi soltanto in quello sguardo, per unirsi alla suaorigine e consacrarsi nell’impossibilità123.

La «paradossalità del rapporto artista-opera»124, che Bazlen sentiva per-sonalmente e ritrovava espressa nelle pagine di Blanchot, consiste quin-di proprio nel fatto che «l’ispirazione»125, dunque lo sguardo di Orfeo, siconfigura come «la negazione dell’opera in sé e per sé»126, divenendo«l’ultimo dono dell’artista alla sua opera, ma [...] anche il momento solen-ne in cui la sacrifica»127. Essa è insomma quello sguardo privo di volontà,di programma, di tecnica, che Bazlen richiedeva allo scrittore, “fidando-si” solo del valore e della veridicità dell’esperienza. Oltre a questo fon-damentale aspetto, diversi dovevano essere gli elementi di interesse cheLo spazio letterario aveva agli occhi di Bazlen: si può infatti immaginare,ad esempio, che la trattazione in chiave mitica di un discorso teorico(con uno spirito dunque molto simile a quello che guida la trattazionedel mito di Odisseo nel Capitano di lungo corso) dovesse essere vissutocome un ulteriore elemento di consonanza con il proprio pensiero.Inoltre, le riflessioni di Blanchot si trovano esemplificate mediante trat-tazioni singole circa autori, quali Kafka, Rilke, Hofmannsthal, ed infineHölderlin128, che come si è visto avevano in diverse circostanze cattura-to l’interesse di Bazlen. Forse anche alla luce di queste considerazioni,egli riteneva particolarmente valido il pensiero di Blanchot, tanto dainvitare Foà, sempre nella lettera del 9 aprile 1961, a confrontare le sue

123 Ivi, pp. 149-150. 124 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 306. 125 Gianni Puglisi, Che cosa è lo strutturalismo, Roma, Astrolabio, 1970, p. 118. 126 Ibidem.127 Ibidem.128 Del poeta tedesco, infatti, il 1 luglio 1953 Bazlen aveva proposto, per i “poeti tradotti con testoa fronte” le “traduzioni ritmiche, buone e fedeli (ottime quelle in ritmi classici) di Hölderlin.Tante, direi, da farne già un volume. E di molte già il commento (solido) pronto” di GiorgioVigolo. (Cfr. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lette-ra di Roberto Bazlen a Luciano Foà, 1 luglio 1953). Il progetto peraltro andrà in porto, comedimostra la presenza, nella “Nuova collana di poeti stranieri con testo a fronte”, del seguente tito-lo: Friedrich Hölderlin, Poesie, traduzione e saggio introduttivo di Giorgio Vigolo, Torino,Einaudi, 1958.

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pagine «con le scemenze su Orfeo nel libro di Marcuse, verso la fine,libro che avete accettato»129: si tratta in questo caso di Eros e civiltà, unsaggio che peraltro già dal 1956 Bazlen aveva acconsentito a tradurre130.In esso, tuttavia, egli doveva trovare più elementi di disvalore che non divalore: un atteggiamento che non è difficile riscontrare anche rispetto adaltre opere tradotte per Einaudi. Al di là della coincidenza di vedute sul piano teorico che spinge Bazlena caldeggiare la pubblicazione del libro di Blanchot, è inoltre interessan-te notare che il pensiero del saggista e romanziere francese assunse perlui tale rilevanza da portarlo a considerare alcuni libri alla luce delle sim-bologie e delle riflessioni da lui proposte: è Bazlen stesso ad ammetter-lo, nel momento in cui, solo un mese dopo la lettura di Lo spazio lettera-rio, egli scrive a Foà che «in Borges, e in parte in Blanchot, ho trovato ipiù comodi puntelli per quello che ti ho scritto quando mi sono arrab-biato con Sansom»131. Il riferimento è al parere editoriale che Bazlenaveva inviato pochi giorni prima a proposito di The Body, romanzo fir-mato dall’inglese William Sansom, rispetto al quale in primo luogo eglimette in evidenza, con impietoso sarcasmo, la completa mancanza dioriginalità. L’autore, infatti,

ha quella sensiblerie anonima basata sulla sofisticata conoscenza diquello che gli high-brow inglesi ritengono l’insondabilità dellahuman condition [...] e la applicano sugli ultimi avanzi diMaupassant e Cecov spazzandoli in direzione di Proust e dellaWoolf, sollevando molto pulviscolo Dostoevskij132.

Dalla lettura di questo passo, risulta evidente come Bazlen imputi aSansom una sostanziale mancanza di spontaneità, che rende il suo Thebody una sorta di vuoto scimmiottamento di opzioni stilistiche o conte-nutistiche un tempo rivoluzionarie, che tuttavia divengono banali nelmomento in cui sono solo frutto di imitazione, e non fertile terreno di

La traduzione di Eros e civil-tà con lo pseudonomo diLorenzo Bassi.

The Body di William Sansom.

129 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 306. 130 La traduzione, sulla quale si avrà modo di ritornare, verrà comunque realizzata, come fra l’al-tro testimonia il catalogo delle pubblicazioni Einaudi, dove Bazlen compare con lo pseudonimodi Lorenzo Bassi: Herbert Marcuse, Eros e civiltà, introduzione di Giovanni Jervis, traduzione diLorenzo Bassi, Torino, Einaudi, 1964. 131 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 18 maggio 1961. 132 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 308.

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evoluzione. A questo proposito, è interessante citare un aforisma delleNote senza testo, nel quale Bazlen afferma che «noi non abbiamo model-li, abbiamo solo precursori»133: in questo passo il fatto che l’opera deigrandi autori del passato non sia prototipo per un’imitazione condottasulla sua falsariga, ma punto di partenza per un percorso indipendente,è indicato come un dato reale. Ma se si considera quanto Bazlen scriveper esempio a proposito di Sansom (e per la verità anche a proposito dimolti altri autori), si comprende come quello che in sostanza è «lo sguar-do di Orfeo» appartenesse secondo lui solo a pochi. Non è infatti impro-prio vedere l’influenza delle formulazioni circa lo «sguardo di Orfeo»nella pretesa che l’opera non si fondi su uno sforzo di scrittura, dunqueanche di imitazioni di modelli passati, ma sul naturale fluire di uno sti-molo che, appunto, «è più importante»134 di essa, in quanto muove daragioni umane.

Mi sembra [...] raccapricciante il fatto che in Europa ci sia un uomo(tra infiniti altri, circa come lui) non stupido, con doti non disprez-zabili, umanamente probabilmente non troppo scadente che chi saperché, [...], passa a tavolino, per un anno intero, non so quante oreal giorno, rompendosi la testa per «creare» un barbiere alle prese colsuo senso d’inferiorità davanti a un garagista. In che mondo siamo?À quoi bon? Dell’à quoi bon, e delle ragioni (non «ciniche» , non disu-mane, anzi!) per cui ora [...] è il momento di farla smettere con i per-sonaggi «piccoli» , coi drammi soltanto descrittivi [...], ti scrivo un’al-tra volta135.

Nel caso di The body, dunque, lo «sguardo di Orfeo», o meglio la suaassenza, è assurto a movente, per quanto non esplicitato, della critica diBazlen al libro: Sansom, cioè, ha scritto «rompendosi la testa», e senzavolgersi a qualcosa di più importante del risultato del proprio sforzo. Èinoltre anche interessante rilevare il fatto che in molti altri casi la presen-za dello «sguardo di Orfeo», rievocata esplicitamente o meno, sia anchequella caratteristica che suscita la sua passione per un libro. È questo ilcaso del romanzo dello scrittore ungherese László Németh, pubblicatonel 1965 nella collana dei «Supercoralli» con il titolo Una vita coniugale136 ,

Una vita coniugale di LászlóNémet.

133 Ivi, p. 229. 134 Maurice Blanchot, Lo spazio letterario cit., p. 149. 135 Roberto Bazlen, Scritti cit., pp. 310-311. 590 László Németh, Una vita coniugale, traduzione di Anita Rho, Torino, Einaudi, 1965.

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rispetto al quale Bazlen dà un primo deciso giudizio il 12 novembre1960, avvertendo che «è da prendersi ad occhi chiusi [...]: è l’unicoromanzo di razza che io abbia letto da quando leggo per voi»137. Un pare-re più articolato, nel quale il nome di Orfeo compare esplicitamente, sipuò leggere nella lettera del 10 aprile 1961, nella quale Bazlen forniscela propria risposta all’esplicita richiesta da parte di Foà di un «giudiziodettagliato»138, richiesta così motivata: «Sapendo che il libro ti è piaciutomolto, vorrei vedere se non è il caso di tenerlo presente per il premiointernazionale che sarà attribuito a Formentor ai primi di maggio»139.Nella sua lettera, datata 10 aprile 1961, dunque il giorno seguente rispet-to al giudizio su Blanchot, Bazlen premette di non conoscere «con esat-tezza le condizioni del premio»140, cosa che lo costringe a scrivere «delpremio che darei io, a un autore vivente [...] per un’opera narrativa pie-namente realizzata»141: una premessa, questa, che mette in evidenzaquanto il giudizio sia condizionato dalla soggettività di chi lo scrive.

Ti ripeto: opera pienamente realizzata. E con questo, scarto tutta lanarrativa sperimentale (l’unica che ancora, e non troppo, mi interes-si) perché premierei coraggio, disinvoltura, spregiudicatezza, avven-turosità, consapevolezza di problemi scottanti, insofferenza didischi vecchi e tutto quello che vuoi, in altre parole posizioni forsefertili e buone intenzioni, ma non quell’opera per intenderci sullaquale vi ho messo sotto gli occhi l’Orphée di Blanchot142.

In questo passo dalla lettura non immediata, Bazlen crea una completasovrapposizione fra la figura di Orfeo così come Maurice Blanchot ladescrive e la scrittura di Németh, che evidentemente condivide qualco-sa con la narrativa sperimentale, ma anche per certi aspetti la supera. Aldi là del consueto ribaltamento paradossale per cui di seguito Bazlenafferma anche che «sub specie Orphée non premierei nessuno»143, risul-

137 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 12 novembre 1960. 138 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 19 febbraio1961. 139 Ibidem.140 Ibidem.141 Ibidem.142 Ibidem.143 Ibidem.

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ta interessante cercare di circoscrivere in che cosa consista per Bazlen ilquid che Németh ha rispetto a quegli scrittori, dunque come concreta-mente si realizzi lo «sguardo di Orfeo». In primo luogo, come si è giàparzialmente visto, una dote di Németh risiede nel suo scrivere «mode-stamente»144, cosa che determina il fatto che nelle sue pagine «non [ci sia]puzza di volontà di opera d’arte, non [ci sia] emulazione»145. Al di là diquesto aspetto, lo «sguardo di Orfeo» si configura anche come ciò cherende il romanzo

ricco, perché crea ininterrottamente qualcosa, senza ripetersi mai.Pensa al soggetto [...]: una specie di summa, di elenco di paradigmi,ma sempre vivo, mai “calcolato” o pedante - senza sospetto di fila-telia. È tutto necessario. Un miracolo146.

La posizione di Bazlen è in questo caso pienamente lucida: la vitalitàdella scrittura, dunque il fatto che essa non risponda ad un piano prece-dentemente elaborato, si traduce in una fertile creazione, la quale,rispondendo a una necessità personale, non può ripetersi, ma al contra-rio può solo affermarsi nella propria unicità. È questa la ragione che nelcaso di Németh, e come si è già detto di altri autori, determina la com-partecipazione di Bazlen al libro, il suo coinvolgimento personale ed inultima istanza il suo impegno per la pubblicazione. È curioso inoltre notare che la profondità, l’urgenza che genera l’opera,appaia mancante nei romanzi dello stesso Blanchot, che Bazlen si trovachiamato a giudicare. Il romanziere e saggista francese, quindi, almenodal suo punto di vista, sembra aver creato sul piano teorico un “mito”di grande valore concettuale, che tuttavia poi non ha trovato quell’appli-cazione pratica, nell’opera, che ne testimoni la veridicità: in ragione diquesto, l’«onestà» di Blanchot, dunque insieme la spontaneità e la fedel-tà a un’idea ben precisa dello scrivere che Bazlen molto spesso chiamain causa, risulta sostanzialmente compromessa. Di uno dei quattroromanzi di cui gli è stata affidata la lettura (ma senza specificare di qualesi tratti), infatti, egli rileva che

144 Ibidem.145 Ibidem.146 Ibidem.

145

ha pagine (pagine!) che toccano per la loro precisione, petulanza emonomania - ma quello che è plausibile in una pagina, spesso in unafrase diventa (almeno lo sospetto) esercizio, virtuosismo, gusto dellasonata su una corda sola; l’Erlebnis [esperienza] gli scappa per latangente della pagina scritta così bene147.

Con le parole appena citate, peraltro, Bazlen sostanzialmente confermaun giudizio che pochi mesi prima Calvino aveva dato circa il Blanchotromanziere, sostenendo che «è uno che lavora con grande rigore, nien-te da dire, però è assolutamente negato a farsi leggere»148. Proseguendocon le proprie considerazioni, Calvino inoltre sostiene che Blanchot«non prende; resta freddo e grigio»149: un’affermazione che sembra espri-mere le conseguenze più generali di quanto Bazlen aveva osservato sulpiano della riuscita dello stile dello scrittore. L’ossequio alla pagina lima-ta che secondo Bazlen guida Blanchot nella sua scrittura narrativa smen-tisce insomma gli assunti espressi in Lo spazio letterario, laddove ad esem-pio si dice che «scrivere, incomincia con lo sguardo di Orfeo. Questosguardo è l’impulso del desiderio che spezza il destino e la preoccupa-zione del canto e, in questa determinazione inspirata e incurante essoraggiunge l’origine, consacra il canto»150.

3.2.3 Lo «sguardo di Orfeo» nelle lettere editoriali.

Resta a questo punto da sottolineare un possibile altro risvolto delleposizioni che si trovano riassunte nello «sguardo di Orfeo», ovvero larielaborazione di un mito che vede nello scrivere, come si è visto, un«desiderio che spezza [...] la preoccupazione del canto»151, prescinden-do dunque dai suoi risultati. Dallo specifico punto di vista di Bazlen,per questa ragione l’opera si deve porre, prima di tutto, come il dialo-go di un uomo con un altro uomo, giocato sulla condivisione di

Il giudizio di Calvino suBlanchot.

147 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 21 ottobre 1960. 148 Lettera di Italo Calvino a Luciano Foà (San Remo, 26 giugno 1960) in Italo Calvino, I libri deglialtri: lettere 1947-1981, Torino, Einaudi, 1991, p. 334.149 Ibidem.150 Maurice Blanchot, Lo spazio letterario cit., p. 151. 151 Ibidem.

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un’esperienza e di una visione della realtà che in virtù della sua forza sifa appunto letteratura: come si è visto nel primo capitolo del presentelavoro, una conseguenza di questo risiede in primo luogo nel fatto cheBazlen rinunci alla scrittura di una propria opera dal momento che,appunto, non riesce a credere fino in fondo nella sua efficacia e nellapossibilità che ancora l’autore possa porsi come «demiurgo, creatore diuna struttura unica e totalizzante, percepita come rappresentazionedella realtà»152 da sottoporre al lettore. D’altra parte, però, sembraanche che egli non rinunci del tutto, o forse non riesca a rinunciare, allanarrazione, e soprattutto alla narrazione come lui la concepisce, dun-que come condivisione di un’esperienza con un interlocutore che attra-verso la partecipazione emotiva ne uscirà arricchito. A questo propo-sito, Sergio Solmi sottolinea il fatto, per così dire sospetto, che Bazlenabbia conservato con cura, invece di distruggere, «i suoi quaderni edisegni [...] in un filo di ironica speranza»153. Secondo Solmi, infatti,

l’abbandono alla sorte di simili orme, segni, concrezioni, di talitestimonianze cristallinamente enigmatiche di un «passaggio»,s’accorderebbe abbastanza bene al suo gusto per i documenti divita, per i diari, per quel «non finito», tanto più rivelatore, per lui,delle opere finite e «costruite»154.

A parere di chi scrive, non è improprio vedere nel tono stesso di alcu-ne lettere editoriali una ulteriore esemplificazione di quanto Solmi giu-stamente osserva. Non è difficile, infatti, percepire come Bazlen colle-ghi strettamente il giudizio circa un libro con la circostanza nella qualelo ha letto: la quale, mediamente, viene descritta con un’attitudineappunto narrativa, e si fonde con gli aspetti caratteristici del libro, in uninteressante gioco di condizionamenti reciproci. Un esempio partico-larmente significativo in tal senso è costituito dal parere editoriale del 2giugno 1960 relativo a Le monde desert di Pierre Jean Jouve, opera chenon troverà posto fra le pubblicazioni dell’Einaudi. A proposito di que-sto libro Bazlen infatti preliminarmente dichiara che «qui c’entra unfatto personale»155, descritto subito di seguito con dovizia di particolari.

La narrazione come condivisione di un’esperienza.

Le monde desert di Pierre JeanJouve.

152 Paola Zelco, Roberto Bazlen: la scrittura dissolta cit., p. 20. 153 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 270. 154 Ibidem.155 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto

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Per dare conto del coinvolgimento e del particolare spirito che le sueparole tradiscono, si cita il parere nella sua quasi totale interezza:

Anche questo l’ho letto in treno, attraversando la Svizzera, in uninfernale vagone letto di tipo razionalissimo che non conoscevo,e che di giorno non ha divano, ma soltanto una poltrona di metal-lo in un ambiente di metallo, e ci si sente come sulla sedia elettri-ca durante un viaggio interplanetario. [...]. In treno, faceva freddo,avevo passato una notte irritante sulle ruote, avevo una sgradevo-le sensazione di febbre, mi sono nuovamente sentito sfiorato dallapolmonite. Per cacciare questa sensazione, prendo in mano il libro[...], e mi trovo davanti al monologo durante il delirio di una pol-monite. Letto a freddo, forse mi sarebbe sembrato voluto, artifi-ciale, tirato per i capelli, - ma letto in quelle condizioni mi sonoaccorto che era di una precisione fotografica, e tutto quello cheavrebbe potuto sembrare “stile” non era che una geniale econo-mia. Ho letto di un fiato tutto il libro sotto questo segno, e devodire che mi ha “gepackt” [avvinto]156.

A dispetto del parere immediatamente successivo, a proposito di unromanzo del quale si dice unicamente che è «uno schifo»157, nel caso diJouve è evidente come la forza della narrazione, che salva il suo librodall’essere «voluto, artificiale», risvegli anche la compartecipazione diBazlen e inconsciamente la sua personale necessità di raccontare e diabbandonarsi ad un gusto della descrizione (per esempio quella deltreno) che nulla ha davvero a che fare con il libro in questione. Loscambio fra lo scrittore e il lettore è dunque avvenuto, e permette aquest’ultimo di spaziare, di modificare il proprio giudizio e dare adesso una forma che in parte esula dallo «schema»158 consueto delle let-tere editoriali, fondato principalmente su tre elementi, ovvero «la pre-sentazione [...] dell’autore»159, «la descrizione del testo»160, infine «il giu-dizio [...] sulla pubblicabilità»161. Inoltre, nel caso specifico di Jouve, la

Quando il giudizio sul libroè condizionato da circostanze personali.

Bazlen a Luciano Foà, 2 giugno 1960. 156 Ibidem.157 Ibidem.158 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 135. 159 Ibidem.160 Ibidem.161 Ibidem.

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forza e l’evidenza della descrizione libera infine lo scrittore, almenoagli occhi di Bazlen, dal pericolo di incarnare quegli «altissimi idealideodorati»162 nei quali lo scrittore è cresciuto e che avrebbero potutocondizionarlo negativamente: la spontaneità della scrittura, che accen-de il piacere e il bisogno di raccontare del lettore stesso, positivamen-te mette a tacere in Jouve «i concetti, il vocabolario, i luoghi comuni, ipregiudizi, i tabù, i miti»163, che a Bazlen risultavano, come si è visto,particolarmente odiosi. Se l’incontro tra l’esperienza dell’autore e quella del lettore spinge que-st’ultimo a “mettersi in gioco” sul piano del racconto (di modo che lalettura diviene «una continuazione di quella fittissima rete di rapportiumani che Bobi Bazlen andava tessendo di giorno in giorno»164), non èd’altra parte infrequente, come si è già accennato, la presenza di unostimolo, per così dire, di fantasia, una fascinazione delle immagini, chepuò apparire come un’applicazione dello «sguardo di Orfeo» allaforma della lettera editoriale: vale a dire che, occasionalmente, per unmomento Bazlen “si distrae” dalla finalità prima del proprio scritto, emostra qualcosa di sé, o comunque qualcosa di altro rispetto al pareredi lettura: cosa che aiuta a comprendere perché le lettere editoriali pos-sano essere considerate «le forme scritte in cui l’ingegno di RobertoBazlen si esprime meglio»165. La momentanea deriva su un piano diver-so da quello del semplice parere editoriale avviene per esempio nelcaso del parere circa il romanzo dell’americano Edmund WilsonMemoirs of Hecate county, nel quale il fastidio per una scrittura evidente-mente troppo scontata, quindi troppo poco stimolante, si traduce nelbreve quadro che avvilisce lo scrittore a ruolo di cameriere, dipingen-do quindi il lettore come avventore libero di manifestare la propriainsoddisfazione: «Wilson [...] mi serviva le pagine con stile perfetto, el’unica cosa che sentivo veramente era l’irritazione di non potergli get-tare la mancia in faccia»166. Memoirs of Hecate county, peraltro, è nella stes-sa lettera posto a confronto con un altro romanzo americano, che

162 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 2 giugno 1960.163 J. T., Uno strano caso di sterilità letteraria, in “Settanta”, agosto-settembre 1970, p. 78. 164 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 93. 165 Ivi, p. 134. 166 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 maggio 1960.

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invece ha suscitato l’entusiasmo di Bazlen, e che meriterebbe dunquela mancia negata a Wilson. Si tratta di The looking glass di WilliamMarch, per descrivere il quale, nella lettera del 9 marzo 1960, egli avevautilizzato l’evocativa metafora della «carne viva del racconto»167, pro-dotto da un autore che è «un matto con l’anima a fior di pelle»168. Ilcarattere viscerale dello scrivere di March determina così il fatto che inconfronto al suo romanzo «tutto era piatto, anemico, sterile, di unmateriale plastico sintetico (immagine che vale, passata la sbornia diWilliam March, per quasi tutta la narrativa anglo-americana)»169. Lostesso Bazlen, dunque, definisce il proprio parere editoriale come«immagine», e tuttavia nel farlo non dimentica totalmente la finalitàprima di ciò che sta scrivendo, se tornando a parlare del romanzocome possibile pubblicazione egli conclude, in ossequio a un ragiona-mento di ordine editoriale, proponendo di «farlo e lanciarlo»170. La struttura generale della lunga lettera che ospita il parere editorialecirca The looking glass può inoltre esemplificare per un’ultima volta quel-la particolare forma di rapporto partecipativo e vitale, di interazioneanche fantasiosa, che Bazlen sembra intrattenere nei confronti dei librila cui lettura gli era affidata da Einaudi. Nel tentativo di disporre ordi-natamente una serie molto numerosa di pareri, infatti, egli chiariscepreliminarmente che «la mia norma e il mio argomento più validosono il gusto e la compartecipazione con i quali li ho letti»171: e si puòpoi immaginare che sia appunto la «compartecipazione» che Bazlensente o meno nel corso della lettura che lo porta a disporre le proprietrattazioni in categorie create ad hoc. Egli infatti parla in primo luogodei libri «dei quali mi sento di rispondere» (o ancora, «che mi hannodato veramente qualcosa»), seguiti dai «libri che non mi sento di scar-tare senza possibilità di appello», per concludere infine, «velocemente»,con le «condanne senza appello». All’interno di questa “griglia”, che inse stessa tradisce anche solo un minimo aspetto di giocosità e soprat-tutto di creatività, i giudizi sui singoli libri ospitano poi altrettante brevinotazioni che coloriscono il semplice parere editoriale: la tendenza alla

The Looking Glass di WilliamMarch.

167 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 293. 168 Ibidem. 169 Ibidem. 170 Ivi, p. 294. 171 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 9 marzo 1960. Le citazioni che seguono sono tratte dalla stessa lettera.

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creazione di immagini e metafore si rivela poi soprattutto, in questocaso, circa i pareri negativi, laddove per esempio l’opera della scrittriceirlandese Iris Murdoch è definita, senza altra notazione, «prima dellaclasse; perfetta; sapore dei cibi congelati, prima di essere sgelati com-pletamente», dunque con un giudizio all’insegna del comico al qualefanno seguito le poche parole dedicate al sessuologo americano JohnMoney: «altro primo della classe. Questo però, di una classe di defi-cienti». Giudizi impietosi e argomentati solo dall’evidenza delle imma-gini utilizzate, ai quali fanno da controcanto le brevi note positivecome quella relativa all’opera dello scrittore russo Aleksandr Grin:

come per certe fiabe, si può capire soltanto mentre la si vive leg-gendola, - e come per certe fiabe, non si può dire se è bella o brut-ta - o si ingrana o non si ingrana. Io ho ingranato; quanta gente cisia, in Italia, che possa ingranare, non so; io ne conosco parecchia.

Sembra dunque che «lo stretto legame esistente tra l’idea di letteratura(e di scrittura) coltivata dal lettore editoriale e il giudizio da lui espres-so»172 in Bazlen si declini anche in quanto si è appena cercato di descri-vere: ovvero la tendenza ad esprimere i propri pareri editoriali ancheall’insegna del gioco descrittivo, della partecipazione emotiva, insom-ma di uno spirito e un’attitudine che non sono unicamente quelli dellettore editoriale che offre il proprio parere alla casa editrice. Taliaspetti, inoltre, nel caso di Bazlen costituiscono forse l’ultima applica-zione del sistema di reciproci richiami che lega il suo pensiero teoricocon la scelta di non scrivere ed, infine, con il suo lavoro editoriale.Come si è visto nel primo capitolo, infatti, la scrittura, e soprattutto lapubblicazione, non sono strade che Bazlen si senta di intraprendereper intrattenere un proficuo dialogo con il pubblico dei lettori, cosache lo spinge alla scelta, rappresentata metaforicamente ne Il capitano dilungo corso, di dedicarsi al lavoro editoriale: il quale dunque può esserevisto come personale opzione rispetto alla «condizione estrema in cuila cultura letteraria del Novecento ritaglia il suo spazio più autentico evitale»173. La coerenza della base teorica del proprio agire è dunque

Iris Murdoch.

172 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 140. 173 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 109.

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molto forte: non è forse ingannevole, tuttavia, anche la percezione chese da un lato «il mandato letterario viene rifiutato, non assolto in quan-to già decaduto»174, dall’altro nel rifiuto di Bazlen si aprano piccoli spi-ragli, che probabilmente suppliscono a una soluzione non sempre sen-tita come soddisfacente. In questo modo, la lettera editoriale sembraessere intesa anche come una particolare e personalissima forma diprosa, di «possibilità espressiva»175, di divertito dialogo di un lettorecon un altro lettore, nel tentativo di avvincerlo e convincerlo a legge-re a propria volta: ne emerge dunque un’urgenza di contatto con il pro-prio interlocutore che non è forse molto diversa da quella che, anchealla luce delle considerazioni circa «lo sguardo di Orfeo», secondoBazlen dovrebbe guidare l’autore nel gesto della scrittura. Il risultato,in alcune lettere, sembra essere una sorta di reinvenzione ed ulteriorecoloritura dello scrivere e dell’inventività altrui tramite l’interventodella propria inventività, che si esplica nel «porgere, [...] mostrare, [...]segnare in margine, [...] spargere indizi di quell’altrove che come unabisso soggiace a tutto lo scrivibile e il dichiarabile»176. Per fare un ulti-mo esempio, la descrizione, indirizzata a Italo Calvino, della trama diA house for Mr Biswas di V. S. Naipaul si trasforma nelle veloci e diver-tite righe che si riportano di seguito, dedicate alla descrizione dellevicende di un personaggio, indiano come l’autore che lo ha creato,destinato a «morire [...] disoccupato e di mal di cuore, dopo esserestato ammalato di stomaco per almeno quattrocento pagine»177:

metti assieme tutti questi capitoli, e hai non soltanto la vita com-pleta del Signor Biswas, ma anche quella (completa) del clan di suamoglie, che lo divora - suocera, se ben ricordo undici cognate tracui tre vedove (vedove!) e dunque otto cognati, più due cognatifratelli della moglie, sorella della suocera, cognato della suocera,un grouillement di infiniti nipoti in un caos garantitamente napo-letano, tutti ben caratterizzati, tutti distinguibili, tutti ininterrotta-mente in piena azione, per lo più nefasta178.

La lettera editoriale comeforma di prosa.

174 Ivi, p. 108. 175 Ivi, p. 62.176 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro cit., p. 78. 177 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Italo Calvino, 21 febbraio 1962. 178 Ibidem.

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3.2.4 Gli autori italiani.

Se, come si è visto fino ad ora, il criterio primo dei giudizi dati daBazlen consisteva nella valutazione di quella che è da lui definita comeuna «compartecipazione» rispetto al libro, e dunque una relazioneprima di tutto umana con il suo autore, non sarebbe inopportunoaspettarsi da parte sua la promozione, accanto a quegli autori mitteleu-ropei che come si è visto egli promosse tenacemente, di scrittori italia-ni, partecipi dunque di «mondi» tendenzialmente molto vicini a quelliche egli stesso condivideva. Al contrario, però, l’esiguità di nomi italia-ni citati nelle lettere ad Einaudi induce a riflettere ulteriormente circale sue esigenze come lettore, a volte contraddittorie e spesso difficili dadelineare. A questo proposito, poi, si può osservare che se a proposi-to di Einaudi è bene tenere a mente che il ruolo principale di Bazlenera, come si è detto, quello di consulente per le letterature straniere,d’altro canto, anche nel caso degli altri numerosi editori con i quali col-laborò, la proposta di autori italiani, contemporanei o meno, è presso-ché nulla.

In genere, come vedrai, comincio a puntare, per i Coralli, su libret-ti di - o su - altre culture. Non esotismi decorativi [...], né usi ecostumi da romanzo coloniale inglese. Ma che ci sia almeno unpaesaggio poco noto, o un modo di vivere che non sia il nostro.Tutto quello che raccontano - o che si svolge tra - i visi pallidi, èdiventato di una monotonia esasperante: la Invernizio e Blanchotsono diventati quasi la stessa cosa179.

Dal passo appena citato emerge con una certa evidenza la denuncia daparte di Bazlen di una certa monotonia e mancanza di vitalità (dunquedi interesse) nella letteratura europea, la quale si traduce nella proposta,in questo caso, del romanzo di un autore camerunense, ovvero Le vieuxnégre et la medaille di Ferdinand Oyono, rispetto al quale egli comunquespecifica che si tratta di un «autore negro, non primitivo, ma letteratofrancese»180: tutte caratteristiche che non varranno comunque a deter-

179 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 21 ottobre 1960. 180 Ibidem.

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minare la scelta di acquisto dei diritti, se un anno dopo, il 22 dicembre1961, Bazlen lamenterà la mancata pubblicazione del libro, questavolta definito come «un’inezia molto simpatica»181. Ad ogni modo, inconseguenza di quanto si è appena rilevato si può supporre che accan-to alla necessità di «compartecipazione», che avrebbe potuto spingereBazlen in direzione della letteratura italiana, doveva intervenire ancheun altro valore per lui fondamentale, ovvero l’unicità del libro, la suacapacità, appunto, di presentare agli occhi del lettore «un modo di vive-re che non sia il nostro». È comunque bene tenere a mente che all’in-terno di questo criterio generale sia però ancora una volta la vicinan-za, la presenza di un orizzonte di valori condiviso da autore e lettore,a guidare l’attenzione di Bazlen verso uno scrittore italiano piuttostoche un altro. L’esempio di Stelio Mattioni, autore non a caso triestinodel quale egli, oltre che «ignoto “regista” del “caso Svevo”»182 è consi-derato «scopritore»183, è a questo proposito significativo: e ciò a mag-gior ragione se si considera che il parere editoriale relativo alla sua rac-colta di novelle I sosia compare proprio nella stessa lettera, quella del21 ottobre 1960, in cui Bazlen dichiara la propria intenzione di punta-re, per i Coralli, su «altre culture». La lettura data dell’opera e del per-sonaggio di Mattioni (come sempre strettamente connessi fra di loro)è infatti condotta tenendo in gran conto la sua provenienza triestina:

è venuto a trovarmi, qualche settimana fa, un non intellettuale trie-stino, l’ometto Stelio Mattioni, sotto i 40 anni, impiegatino self-made, provincialissimo come non lo si può essere che a Trieste,simpaticissimo (anche alla Ljuba), autore di un volume di versidisprezzatissimo da Stuparich and Co, [...] e mi ha lasciato il suopiuttosto grosso manoscritto, i Sosia, 3 lunghe novelle184.

In primo luogo, dunque, come spesso avviene Bazlen dà un veloceinquadramento, ma sempre di grande incisività, circa l’autore, conside-rato come uomo, anzi come «ometto», con un termine che si riferisce

L’unicità del libro.

Stelio Mattioni.

181 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 22 dicembre 1961.182 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 19. 183 Ibidem.184 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 21 ottobre 1960.

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dunque anche all’aspetto fisico di Mattioni. Quel che più conta, nelcaso specifico la valutazione circa l’uomo è data sulla base della prove-nienza da una città, appunto la stessa nella quale Bazlen era cresciutoe si era formato, che viene considerata come ragione del provinciali-smo di Mattioni. Il fatto poi che il gruppo di intellettuali con i quali egliha a che fare sia costituito da «Stuparich and Co.» non sembra costitui-re un elemento positivo, se si considera quanto Bazlen andava dicen-do di lui e della sua opera letteraria185: come a dire che ai limiti dellamentalità di Mattioni dovevano corrisponderne di paragonabili nellacerchia degli intellettuali della sua città, che Bazlen conosceva moltobene. Al di là di queste prime considerazioni di natura umana, nellequali la presenza di Trieste è forte, ma di segno negativo, è interessan-te notare quanto si può leggere a proposito dell’opera in sé e per sédello scrittore: anche nella formulazione del giudizio circa quest’ulti-ma, infatti, la città, o meglio la sua produzione letteraria, ha un ruolodeterminante, questa volta però in quanto termine di paragone per laproduzione dei giovani autori triestini. Della raccolta I sosia, infatti,dopo aver dichiarato che «non mi sembra roba da buttar via alla legge-ra»186, Bazlen osserva quanto segue:

c’è aria (non imitazione) di Svevo, c’è in certi episodi l’intensità cheavevano a suo tempo (ora l’hanno perduta, e si sono dissolti in con-fusione, in leziosità stilistiche - ho tentato di rileggerli mesi fa) i Trecrocifissi di Quarantotti, c’è necessità - anzi un (molto modesto)demone.

Sembra dunque che il valore che caratterizza l’opera di Mattioni sia davedersi prevalentemente nel suo riecheggiare un elemento noto non soloa Bazlen, ma a qualsiasi lettore italiano, ovvero il tono della scrittura sve-niana. L’esigenza del nuovo, dell’unicità del libro, sembra dunque qui tra-dotta in una ricerca di segno quasi opposto, ovvero la riconoscibilitàdella scrittura di Mattioni sotto l’insegna di quella di uno dei maggiori

185 Si ricordi a questo proposito il già citato passo di una lettera del 1949 di Bazlen all’amico trie-stino Giorgio Voghera, nella quale si legge: “ho capito una volta di più perché non voglio rivede-re trieste (anche il libro di Stuparich che ho sfogliato rapidamente, me lo fa comprendere, grün-dlich [“a fondo”]). La citazione è tratta da Roberto Bazlen, Giorgio Voghera, Le tracce del sapiente,Lettere 1949-1965 cit., p. 29.186 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 21 ottobre 1960. Da essa sono tratte le citazioni che seguono.

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autori della letteratura di Trieste. Tale tipo di atteggiamento, in partediverso da quello che si è fino ad ora rilevato, deriva forse anche dal fattoche come si è visto gran parte dei “valori letterari” cui Bazlen si richia-ma sono riconducibili al contesto triestino: rispetto ad un «mondo» cheegli conosceva così bene perché era stato anche il suo, dunque, gli eraforse inevitabile cercare ciò che gli era noto e che gli risultava ricono-scibile. In tal modo, la «necessità», valore come si è visto fondante inBazlen ed equivalente alla forza dell’esperienza che spinge alla scrittu-ra, appare qui adombrata da valutazioni di ordine diverso, in nomedelle quali, ad esempio, l’«ingenuità» di Mattioni è designata come«quasi scostante», e a «chi guarderà le novelle» viene consigliato disuperare «la barriera dell’home made». La spontaneità e la semplicitàdella scrittura, che in altri contesti avevano raccolto ogni approvazio-ne da parte di Bazlen, in questo frangente appaiono invece più comeelementi di disvalore, o comunque rientrano fra quegli aspetti rispettoai quali egli sembra prescrivere un impegno e un miglioramento all’au-tore. Stupisce infatti, se si pensa a quanto detto fino ad ora, che Bazlenosservi fra l’altro che «se un Vittorini se la sentisse di “educarlo”, comeha fatto con uno degli scrittori di Menabò, potrebbe saltar fuori, mipare, molto più di uno scrittore da Menabò». A fronte di giudizi giàcitati in cui Bazlen elegge a motivo di valore di un libro il fatto che essosia «nato - non [...] scritto»187, può risultare disorientante che per ungiovane autore, del quale peraltro riconosce l’abilità, egli pensi addirit-tura ad una forma di “educazione”, dunque, sembra, all’apprendimen-to di modalità di scrittura ritenute più consone rispetto a quelle adot-tate spontaneamente da Mattioni. Oltre a quelle già considerate, altre possibili ragioni dell’ipotesi di revi-sione di I sosia sollevata da Bazlen si possono leggere in una letterainviata allo scrittore pochi giorni dopo quella einaudiana, il 25 ottobre1960. In essa, in primo luogo Bazlen lo mette in guardia da eccessiveillusioni di pubblicazione («dubito molto. Ma stiamo a vedere»188). Unaspetto, d’altronde, sul quale fa alcune considerazioni anche nella let-tera a Foà, nel momento in cui, dopo aver ventilato l’ipotesi che

La spontaneità e la semplicità della scritturacome elementi di disvalore.

187 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 291. Si tratta in questo caso del già parzialmente citato parere edi-toriale circa Blind Owl dello scrittore iraniano Sadègh Hedayàt. 188 Lettera di Roberto Bazlen a Stelio Mattioni (Venezia, 25 ottobre 1960) in Roberto Bazlen, Scusiquesto tono da maestrino. Una lettera inedita allo scrittore triestino, in “il Piccolo”, 14 aprile 1993, p. 5.

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Mattioni possa diventare uno «scrittore da Menabò»189, egli osserva chequeste sarebbero «fortune, mi pare, che non sono nel destino diMattioni»190: sono, queste, riserve per la verità ingiustificate, dalmomento che Il sosia già nel 1962 verrà pubblicato nei «Coralli»191, col-lana di narratori contemporanei italiani ed esteri. Il fatto che le propo-ste di Bazlen ebbero un seguito tangibile, peraltro, è testimoniato dauna lettera che il 29 novembre 1960, dunque un mese dopo la suasegnalazione, Calvino scrive appunto a Vittorini, al quale poi il libro«piacque»192, per annunciargli che

siamo in possesso d’uno scrittore che mi pare del tutto eccezionale.Non somiglia a nessuno, ha un mondo fantastico proprio e di gran-de forza, ed è “misterioso” sul serio, senza nessuna compiacenzafumistica. Si chiama Stelio Mattioni, [...] è triestino. Ci arriva trami-te Bobi Bazlen193.

Al di là di questo, è interessante notare come nella sua lettera a MattioniBazlen ponga la sua scrittura in opposizione a quella degli altri autori ita-liani (un aspetto rilevato anche da Calvino), dall’altro gli consigli un lavo-ro di rigida revisione, dunque appunto anche di parziale snaturamentodella propria spontaneità, in ossequio al gusto del lettore italiano. Laterza novella della raccolta è così presentata come «non bella, anzi, manecessaria, intensa, in certi punti un po’ invasata»194 e tali aspetti sonoindicati come positivi, dal momento che «sono qualità che non appar-tengono agli italiani»195. Subito di seguito, tuttavia, Bazlen prosegue

189 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 21 ottobre 1960. 190 Ibidem. 191 Stelio Mattioni, Il sosia, Torino, Einaudi, 1962. È interessante notare, peraltro, che a partire dallafine degli anni Sessanta diverse opere di Mattioni entreranno a fare parte del catalogo Adelphi. 192 Bruno Maier, Saggi sulla letteratura triestina del Novecento cit., p. 289.193 Lettera di Italo Calvino a Elio Vittorini (29 novembre 1960) in Italo Calvino, I libri degli altri:lettere 1948-1981 cit., p. 348. Il seguito della lettera che Calvino scrive a Vittorini, peraltro, per-mette di vedere come in effetti l’ipotesi ventilata da Bazlen di un Mattioni come “scrittore daMenabò” fu accettata e portata avanti all’interno della casa editrice. Calvino infatti a propositodei tre racconti de I sosia afferma che «si potrebbe sceglierne uno dei tre [...] per il Menabò, datala notevole lunghezza, e poi pubblicarne tre nei Coralli». Sarà quest’ultima possibilità ad essererealizzata da Einaudi. 194 Lettera di Roberto Bazlen a Stelio Mattioni (Venezia, 25 ottobre 1960) in Roberto Bazlen, Scusiquesto tono da maestrino. Una lettera inedita allo scrittore triestino cit., p. 5. 195 Ibidem.

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annotando che «d’altra parte c’è qualche ingenuità, certi svolgimentipoco (o niente motivati), - e quello che gli “italiani” non perdonano,qualche infelicità o goffaggine d’espressione»196: tutti aspetti di fronteai quali, inaspettatamente, Bazlen assume consapevolmente «un tonodidattico, da maestrino»197, del quale si scusa con lo scrittore, e che ineffetti appare inaspettato a maggior ragione se si considera la sezionedelle Note senza testo relativa all’immaginario dialogo fra un«allievo»198ed un «maestro»199. In essa, per fare un solo esempio, alladomanda «allora non sei una guida?»200 postagli dall’allievo, il maestroumilmente risponde: «no, quanto te, perché tu mi sei venuto incontro...e che tu mi sia venuto incontro è il mio limite»201. Resta comunque ilfatto che se da un lato non è improprio vedere una parziale incoeren-za nell’atteggiamento di Bazlen nei confronti di Mattioni, dall’altrolato, alla luce delle testimonianze di quest’ultimo, il suo atteggiamentonon deve essere considerato eccessivamente severo. L’immagine che diBazlen lo scrittore triestino restituisce è infatti quella del paziente mae-stro, descritta nelle Note senza testo e caratterizzata dalla

soddisfazione di avermi “scoperto”, che nei suoi giudizi non ebbemai l’aspetto di una lezione, ma d’incoraggiamento continuo sì, edirei interessato oltre i limiti di un espertissimo nei confronti di unoscrittorello spontaneo che cercava di corrispondere alle sue speran-ze facendo del proprio meglio202.

D’altronde, non è inopportuno considerare il fatto che lo stesso Calvino,nella già citata lettera a Vittorini a proposito de I sosia, descritti come larappresentazione di «un fondo di ambienti piccolo borghesi triestini vistisenza misericordia, sul quale si staccano le storie più strane»203, ponga inevidenza, ad esempio, il fatto che «il primo è molto sgangherato e scritto

196 Ibidem. 197 Ibidem. 198 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 222. 199 Ibidem. 200 Ivi, p. 223. 201 Ibidem. 202 Intervento di Stelio Mattioni al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 58. 203 Lettera di Italo Calvino a Elio Vittorini (29 novembre 1960) in Italo Calvino, I libri degli altri:lettere 1947-1981 cit., p. 348.

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coi piedi, e poi man mano negli altri racconti si va facendo più bravo»204:un parere che insomma dimostra, insieme alle ammissioni di Mattionistesso, quanto forse le osservazioni di Bazlen non fossero arbitrarie. Sempre strettamente legato al mondo intellettuale triestino è un altrolibro italiano, dal titolo Il segreto, con il quale Bazlen sembra mostrare unacerta affinità: tuttavia è bene tenere conto che essa non è espressa nellelettere inviate ad Einaudi, presso il quale d’altronde egli stesso riconosceche «il mio campo è rigidamente ridotto alle letterature estere»205. Le trac-ce dell’apprezzamento circa questo romanzo vanno invece cercate nelcarteggio intrattenuto negli anni, per la verità con una certa incostanza,con l’amico Giorgio Voghera, autore del più volte citato Gli anni della psi-canalisi. L’amicizia con Voghera non fu «in nessun caso [...] letteraria»206,visto il fatto che su questo tema tra i due non ci fu mai «un’intesa»207: lidivideva, infatti, il fatto che l’amico fosse più «legato alla cultura classi-ca»208, cosa che come si è visto non apparteneva del tutto a Bazlen.Eppure quest’ultimo, chiamato ad esprimere il proprio parere circa ilromanzo Il segreto, del padre di Giorgio, Guido Voghera, non mancheràdi dare una lettura, tanto “veloce” quanto significativa, che tuttavia nonprende «in considerazione [...] la possibilità di una pubblicazione»209.Secondo un atteggiamento che non gli era del tutto estraneo, infatti,Bazlen procrastina il più possibile il momento in cui dovrà risponderealle domande che gli vengono poste. Giunto poi quel momento, egliespone concisamente idee e pareri sui quali promette di ritornare,lasciandoli, come ad esempio avviene anche per il Capitano di lungo corso,«concludersi in nebbioso avvenire, o [...] non concludersi mai»210. Dallalettura delle lettere fra Bazlen e Giorgio Voghera, infatti, emerge che ilmanoscritto de Il segreto, il cui autore volle peraltro restare anonimo, affi-dandolo al figlio per una pubblicazione postuma, fu consegnato a

L’amicizia con GiorgioVoghera e il manoscritto delpadre Guido.

204 Ibidem. 205 Lettera di Roberto Bazlen a Stelio Mattioni (Venezia, 25 ottobre 1960) in Roberto Bazlen, Scusiquesto tono da maestrino. Una lettera inedita allo scrittore triestino cit., p. 5. 206 Intervento di Giorgio Voghera al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile1993. Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 23. 207 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 21. 208 Ibidem. 209 Intervento di Giorgio Voghera al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile1993. Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 23. 210 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 270.

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Bazlen già dal 1949: il 23 dicembre di quell’anno, infatti, egli scrive che«per non “sfogliare rapidamente” il tuo manoscritto, non l’ho ancoraletto», concludendo con la promessa di farlo «nei primi giorni di genna-io»211, ed esprimendo la consueta avversione nei confronti della cittànatale («intanto, a Trieste, non salutarmi nessuno, ma salutami i tuoi, chesono in Palestina»212). Più importante è il fatto che dalle parole che sisono appena citate risulti evidente che a Bazlen venga fatto credere cheIl segreto sia opera di Giorgio Voghera. Con questa fallace consapevolez-za, dopo aver lasciato scorrere due anni, il 20 novembre 1951 Bazlenformula il proprio parere sul manoscritto: un giudizio che appare insostanza molto positivo. In primo luogo, infatti, Bazlen premette chevorrebbe trattare la questione a voce, «una volta, molto a lungo»213, dalmomento che il romanzo «implica tali problemi che non hanno nulla ache fare [...] con le usuali discussioni dei “casi di vita”»214. Posto questo,così prosegue nel proprio giudizio:

l’unica cosa che ti posso dire è che mi ha toccato moltissimo, che seil termine non fosse troppo logoro ti direi che sono veramente vis-suto sotto il fascino di certe tue lucidità (ti ripeto che l’ho letto indue giorni e mezzo, e non per buttarlo giù e farla finita), e che chisa vivere con tale intensità un’esperienza non ha il diritto di fermar-si, e di chiudere bottega215.

Per quanto, come si è detto, egli non si sia potuto impegnare per la pub-blicazione de Il segreto, è evidente che avendone avuto la possibilitàBazlen avrebbe promosso il romanzo: nel parere appena citato, infatti,egli pone in luce il coinvolgimento che la forza e l’intensità di un’espe-rienza causano in chi legge e che, come si è visto, in numerosi casi lo ave-vano spinto a caldeggiare la pubblicazione di un romanzo. In cosa poil’esperienza descritta da Giorgio Voghera consista, lo specifica LinucciaSaba, figlia di Umberto e altra attrice nel caso de Il segreto, nell’introdu-

211 Lettera di Roberto Bazlen a Giorgio Voghera (Roma, 23 dicembre 1949) in Roberto Bazlen,Giorgio Voghera, Le tracce del sapiente, Lettere 1949-1965, a cura di Renzo Cigoi, Udine,Campanotto Editore, 1995, p. 29.212 Ibidem. 213 Ivi, p. 31. 214 Ibidem. 215 Ibidem.

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zione al romanzo, che verrà infatti pubblicato, firmato da un «AnonimoTriestino», nel 1961 all’interno della collana dei «Nuovi Coralli».

Era un lungo, straziante, serrato monologo, prima del bambino,poi del ragazzo e infine dell’uomo. Quasi senza avvenimenti ester-ni, per pagine e pagine, restiamo avvinti al corso di una vita, alleesperienza, le speranze, la disperazione, le fatiche del protagonistasempre sperando, con lui e contro di lui, che si liberi e parli. [...].Ed è questo, forse, il fascino del racconto: un racconto che è lanascita, lo svilupparsi e lo stabilizzarsi di un amore e della sua geli-da, soverchiante ombra, la sotterranea nevrosi che proprio l’amo-re libera e scatena216.

Il romanzo di Guido Voghera, dunque, si caratterizza per una forteimpronta psicologica, che lo avvicina a generi quali la «narrativa di ana-lisi e di memoria, [...], [l’]autobiografia, [il] journal intime»217, per la pre-senza di «una nevrosi», termine che come si è visto Bazlen aveva dovu-to sentire più volte nell’ambiente in cui era cresciuto, e che appuntoora ritrovava nella scrittura di una persona che a quello stesso ambien-te aveva partecipato. La profondità, l’autoanalisi, l’espressione sinceradel sé tornano dunque a catturare il suo interesse, dal momento checon questi argomenti, come si è visto nel primo capitolo, egli avevaavuto a che fare sin da giovane. In tal modo, «certi aspetti della lettera-tura triestina»218 presenti nel romanzo, nonché una «certa aura mitteleu-ropea del Mann, del Kafka, del Musil»219, ed infine le «dottrine freudia-ne»220 dovevano appunto trovare in Bazlen un’accoglienza molto con-sapevole. Accanto alla positiva rilevazione dell’«intensità»dell’esperien-za è però opportuno notare che Bazlen, in una lettera di poco succes-siva a quella citata, ritorni sulla questione del manoscritto de Il segreto,denunciandone questa volta, seppur con una buona dose di oscurità, ilimiti. Dopo aver specificato che la trattazione della questione richie-derebbe tempo ed energia, Bazlen la definisce affermando in primaistanza che «mi sembra il momento di affrontare una lebenseinstellung

216 Linuccia Saba, Introduzione a Anonimo Triestino, Il segreto, Torino, Einaudi, 1961, pp. 5-6.217 Bruno Maier, Saggi sulla letteratura triestina del Novecento cit., p. 29. 218 Ibidem.219 Ibidem.220 Ibidem.

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[regola di vita] (e la possibilità di affrontarla esiste [...]) che comincia adiventare un po’ troppo deleteria, non dico per te, ma per tutti, e conla quale sarebbe ora di farla finita»221. L’entità di tale «regola di vita» èquanto mai difficile da cogliere, dal momento che, visto il modo in cuiè descritta, non è chiaro se sia collegata a una riflessione di natura let-teraria o umana. Partendo però dal presupposto che, come si è visto, idue aspetti erano per lui quasi completamente sovrapponibili, si puòforse immaginare che la formulazione che segue consista nella velatacritica a una mancanza di vitalità tanto dell’uomo quanto dello scritto-re, che Bazlen ancora credeva essere Giorgio Voghera:

del resto è una faccenda che ho formulato credo fino in fondo, esulla quale ho già scritto parecchio - pensa che quasi tutta la cul-tura che in un certo modo ci ha determinato o espresso in questisecoli, è stata fatta da gente che non ha superato la crisi dei 42anni; i Pascal, Spinoza, Kierkegaard, ecc. ecc. - e che ora è giuntoil momento in cui verso i quarantadue bisognerebbe finalmentecominciare a vivere222.

La questione resta a questo punto in tutti i sensi sospesa, vista la pres-soché completa interruzione del carteggio fra il 1951 e il 1961: è inquesto anno, infatti, che Giorgio Voghera torna a rivolgersi all’amico,per chiarire definitivamente quali siano l’origine e l’autore de Il segreto.La lettera che il 2 luglio Bazlen riceve, infatti, contiene in primo luogola «scusa di una grossissima bugia e [...] una piccola, ma calda e insi-stente preghiera»223. Di seguito, infatti, Voghera rivela che Il segreto con-siste nelle memorie non sue ma di suo padre e prosegue spiegando che«io volevo che tu le leggessi ed esprimessi il tuo parere; ed anche papàlo desiderava, ma non voleva assolutamente che tu sapessi che le avevascritte lui»224: un uomo di molti anni più vecchio di Bazlen, che lo aveva

La risoluzione del caso de Ilsegreto.

221 Lettera di Roberto Bazlen a Giorgio Voghera, Roma, 28 dicembre 1951. In Roberto Bazlen,Giorgio Voghera, Le tracce del sapiente, Lettere 1949-1965 cit., p. 35.222 Ibidem. In effetti, nelle Note senza testo si può trovare testimonianza della riflessione a cui Bazlenallude nella sua lettera a Voghera. In uno degli aforismi, per la verità fra i meno concettualizzati,si legge infatti: «morti o crollati nella mia età critica (42 anni) nella mia situazione: Spinoza,Kierkegaard, Pascal, Nietzsche, Van Gogh, Kafka». Cfr. Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 178. 223 Lettera di Giorgio Voghera a Roberto Bazlen, Trieste, 2 luglio 1961. In Roberto Bazlen,Giorgio Voghera, Le tracce del sapiente, Lettere 1949-1965 cit., p. 41. 224 Ibidem.

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conosciuto quando era nient’altro che un ragazzo, aveva dunque grandesoggezione e timore del suo parere circa la propria opera. Ulteriore testi-monianza, quest’ultima, della stima che la sua figura, anche quando egliera molto giovane, doveva raccogliere: ad essa peraltro, come si è giàvisto, Bazlen avrebbe risposto negli anni con sempre maggiore freddez-za, se ad esempio nella risposta inviata a Giorgio Voghera si percepiscechiaramente l’intento di mostrarsi superiore all’ambiente letterario triesti-no, ma anche genericamente italiano. Non è allora difficile capire, vista lasua estraneità quantomeno pretesa a questi “mondi”, la grande volontà diviaggiare e soprattutto l’interesse e l’affezione molto più per le opere let-terarie straniere che non per quelle italiane. Così infatti Bazlen scrive il 30agosto 1961 dalla provincia di Merano, una delle mete preferite, appun-to, dei suoi viaggi lontano dai centri nevralgici della cultura italiana:

In ogni caso, stai tranquillo - da quando è uscito il libro sono com-pletamente fuori dal mondo (e particolarmente da quello chelegge subito le novità italiane), e dopo di qua - vado in mondi dovel’italiano non lo leggono (credo a Londra) per cui, anche volendo-lo, non sono stato e non sarò in grado di commettere indiscrezio-ni. Del resto, e benché praticamente io lavori molto per Einaudi,fuori dal mondo del Klatsch [pettegolezzo] letterario lo sono daanni e anni. E sto benissimo. - Anche da quello triestino225.

3.3 Le traduzioni per Einaudi.

3.3.1 Le traduzioni di opere di saggistica.

Come si è avuto modo di considerare in apertura del presente capito-lo, la collaborazione di Bazlen con Einaudi inizia, oltre che con alcuniconsigli editoriali forniti tramite l’Agenzia Letteraria Internazionale,con la traduzione del saggio Saturno e la melanconia di RaymondKlibansky, della quale egli inizia a discutere con l’editore nell’agostodel 1949. L’atteggiamento tenuto da Bazlen in questa circostanza,come si è visto tendenzialmente diffidente verso il lavoro che si accin-

225 Lettera di Roberto Bazlen a Giorgio Voghera, Merano, 30 agosto 1961. In Roberto Bazlen,Giorgio Voghera, Le tracce del sapiente, Lettere 1949-1965 cit., p. 45.

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geva ad intraprendere, troverà riscontro anche nelle diverse altre tradu-zioni svolte per l’editore torinese. È tuttavia bene sottolineare chequella che sembra una costante tendenza a sminuire il proprio lavoro,o le opere tradotte, atteggiamento che in alcuni casi determinò la man-cata pubblicazione delle stesse, non sia l’unico aspetto rilevabile a pro-posito delle modalità di lavoro del Bazlen traduttore. Si può infattispesso constatare anche il suo impegno affinché l’adozione di misuredi tipo redazionale ed editoriale, soprattutto nel caso delle opere lette-rarie, aumenti la vendibilità del libro o semplicemente ne favorisca lacomprensione da parte del pubblico; o ancora, non è improprio rileva-re anche in questo frangente della collaborazione di Bazlen conEinaudi, che d’altronde corre parallelo alle sue consulenze editoriali,un certo grado di progettualità, ed il tentativo di arricchire l’offertaeinaudiana con nuovi progetti editoriali o semplicemente tramite lapresentazione di nuovi traduttori. Resta comunque invariato nel tempoil suo mantenersi «ostinatamente deciso a restare inedito»226, il che hafatto sì che «le sue [...] traduzioni di saggi e racconti apparvero quasisempre con nome fittizio»227, rendendo assai poco nota l’attività diBazlen come traduttore. È infine da sottolineare, prima di considerarei singoli casi delle opere tradotte, come nelle traduzioni effettuate perEinaudi si possano vedere rappresentati alcuni dei principali interessidi Bazlen. A tale proposito si può dunque presupporre che la qualitàdelle sue traduzioni fosse favorita dalle sue conoscenze nell’ambito inquestione, nonché dal suo bilinguismo italo-tedesco, al quale si aggiun-geva la conoscenza dell’inglese228: aspetti, questi, che non tolgono lasua accettazione di lavori, per esempio la traduzione del poeta ameri-cano William Carlos Williams, tendenzialmente estranei al campo dellesue competenze e dei suoi interessi più consolidati. Il caso di Saturno e la melanconia, in effetti, può essere preso ad esempiodi questo ed altri elementi che si sono fino ad ora accennati. La pro-posta della traduzione di un libro indicato da Luisa Mangoni come un«classico»229, infatti, prima di essere sottoposta a Bazlen da Bruno

Il caso di Saturno e la melanconia.

226 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., 270. 227 Ibidem.228 Per una trattazione approfondita circa questo aspetto si può vedere il paragrafo dedicato daGiulia de Savorgnani al rapporto di Bazlen con la “questione della lingua”. Cfr. Giulia deSavorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., pp. 127-131. 229 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 539.

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Fonzi, era stata avanzata da Pavese, in una lettera del 22 luglio 1949indirizzata a Foà. In essa, lo scrittore forniva una breve descrizione dellibro, mostrando anche la preoccupazione che la traduzione venisseultimata in breve tempo:

Dunque abbiamo i diritti di Saturn and Melancholy di Saxl ePanofsky, aiutante Klibansky, del Warburg Institute. Il libro studiacon somma erudizione la teoria degli umori, dei caratteri e dei pia-neti. Finisce con un’analisi millimetrica delle Melanconie di Dürer.Ci puoi garantire che Bazlen lo tradurrà, davvero, in meno di unanno?230

La preoccupazione mostrata da Pavese circa la necessaria tempestivitàdel lavoro di traduzione si spiega presumibilmente col fatto che eglifosse consapevole del disaccordo di Ernesto De Martino rispetto allapubblicazione del libro. In effetti, Saturno e melanconia costituirà uno diquei titoli che, nel 1951, dopo la morte di Pavese, De Martino espun-gerà dalla «Collana viola»: con esso lo stesso destino toccherà all’ope-ra di Robert Graves, il primo autore che, come si è visto, Bazlen avevaproposto con una certa insistenza alla casa editrice Einaudi, mostran-do dunque una certa affinità di concezione con Pavese circa il taglio dadare alla «Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici». Saturnoe la melanconia, infatti, era considerato da De Martino come un testorappresentante quelle «aperture tematiche»231 promosse da Pavese,volte a creare una «polifonia»232 all’interno della collana, che egli disap-provava. Al di là di questo, resta comunque il fatto che, a dispetto diquel che Pavese sperava, il libro andrà incontro a una «lunga e tormen-tata vicenda editoriale»233. A quanto si può leggere nelle lettere inviatealla casa editrice Einaudi, infatti, Bazlen, dopo avere seppure con qual-che riserva accettato la traduzione, sollevava anche, sin da subito, unaserie di problematiche ad essa connesse, consistenti, come si è sottoli-neato in apertura del presente capitolo, nel fatto che «le bozze tedescheerano non definitive, alcune citazioni presentavano punti interrogativi,alcuni richiami erano evidentemente provvisori, le bozze erano in

230 Cesare Pavese, Lettere 1945-1950, Torino, Einaudi, 1966, p. 402. 231 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 538.232 Ibidem.233 Ivi, p. 539.

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parte terze, in parte quarte [...] e in parte quinte»234. Tutti aspetti cheportavano Bazlen ad assumere l’atteggiamento che si è più volteriscontrato nelle sue collaborazioni editoriali, caratterizzato dalla ten-denza a mantenersi vago circa i propri impegni, o ancora di più a pro-crastinarne le scadenze. In tal modo, a dispetto della premura diPavese, con il quale comunque egli non tratta direttamente, Bazlen cosìdescrive l’andamento del proprio lavoro:

Non posso fissarvi in modo impegnativo il ritmo col quale mande-rei le singole parti della traduzione, né fissarvi la data di consegnadell’ultima pagina; ci sono troppe parole che non ho trovate in nes-sun vocabolario, troppe cose che veramente non so come risolverò,né so a chi rivolgermi per farmi aiutare. Il testo inglese mi aiuteràmoltissimo (particolarmente nell’interpretazione dei brani in tede-sco medievale), ma rimarrà comunque un certo numero di proble-mi per i quali mi devo rimettere nelle mani del Signore235.

Anche solo la presenza nel saggio di «brani in tedesco medievale» per-mette di vedere come egli avesse ragione nel rilevare che la traduzionenon potesse essere immediata: è però anche da considerare che unanno dopo, quando Bazlen scrive a Fonzi per informarlo di trovarsi giàallo stadio di revisione del proprio lavoro, gli chiede di tardare il termi-ne di consegna «entro un limite decoroso»236. Le ragioni addotte per ilsuo ritardo consistono, tuttavia, non solo nel fatto che il lavoro di revi-sione «sia molto più lungo e faticoso di quanto immaginassi»237, maanche, paradossalmente, nel clima romano, «contro il quale non ce l’hofatta»238: un aspetto d’altronde spesso utilizzato come scusa per ritardi,mancanze o malumori239. La completa opinabilità delle osservazioni

234 Ivi, p. 539, nota n. 403. 235 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 11 settembre 1949. 236 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 16 luglio 1950. 237 Ibidem. 238 Ibidem. 239 Si può a questo proposito citare quanto Luciano Foà scrive in un suo ricordo di Bazlen, nelquale osserva, a proposito dei momenti di infelicità o difficoltà che egli viveva, il fatto che “cer-cava di occultarli, a parole o per iscritto, con le sue lagnanze per lo scirocco romano, per l’ariacattiva che respirava, per i rumori che sentiva in strada sotto le sue finestre”. Cfr. Gabriella Ziani,Scrisse sempre, ma non finì mai cit., p. 4.

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fatte nel momento in cui Fonzi gli concede la procrastinazione dei ter-mini, ponendo «come limite decoroso la fine d’ottobre»240 nella consa-pevolezza che il lavoro sia «ammazzante»241, costituisce d’altrondeun’ulteriore conferma di un atteggiamento spesso in buona parte arbi-trario: rispetto alla difficoltà della traduzione, infatti, Bazlen sembra averscordato gli ostacoli tecnici, per rilevare al contrario la scarsa vivacità deltesto da rivedere, dunque sostanzialmente la pesantezza del lavoro.

credo che il limite che lei m’ha fissato sia veramente decoroso - manon consideri troppo indecoroso se - ma credo di no - lo dovessioltrepassare di qualche settimana - come vedrà, la “melanconia”non ha nulla a che fare con una traduzione, ma con qualcosa chesta a mezza strada tra il gioco di pazienza ed il lavoro forzato, eperfino le dosi (minime) di revisione che introduco di nascostonella mia giornata pesano molto di più di quanto potrebbero pesa-re ore ed ore di traduzione un po’ viva242.

L’atteggiamento di marcata insofferenza che si legge chiaramente nelpasso appena citato, comunque, non toglie che nei fatti Bazlen cerchidi ovviare ai diversi ordini di difficoltà riscontrati nel testo, mostrandodi avere comunque a cuore la sua finale pubblicazione: già nel novem-bre del 1950, infatti, egli chiede l’aiuto di «gente del mestiere»243, indi-cata nelle figure di un grecista ed un medievalista, per aiutarlo nel lavo-ro di revisione, pur avendo già sottoposto «la traduzione a tre mieiconoscenti non specializzati, ma lettori molto attenti»244. Bazlen dun-que manifesta indirettamente la necessità, non si sa se per indolenza oper incertezza circa la qualità del proprio lavoro, di un intervento ester-no sulla propria traduzione. Tale aiuto, dopo le richieste che si sonoviste, gli arriverà l’anno successivo, nel 1951, da una figura della statu-ra di Giulio Argan: così che, nel giugno di quell’anno, Bazlen può pro-

Le revisioni delle traduzioni.

Giulio Argan.

240 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di BrunoFonzi a Roberto Bazlen, 1 settembre 1950. 241 Ibidem. 242 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 20 settembre 1950. 243 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 19 novembre 1950. 244 Ibidem.

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mettere a Foà, come sempre mischiando ragioni personali e professio-nali, che «a meno che la costruzione davanti a casa mia non mi mettain condizioni di non poter lavorare in casa - o altre sciagure simili [...]entro settembre [avrete] tutto a Torino»245. La questione circa la pubblicazione di Saturno e la melanconia sembrereb-be a questo punto chiusa, ma la lettura del carteggio di Bazlen con lacasa editrice Einaudi permette in realtà di rilevare un suo accantona-mento per ben cinque anni, ovvero fino al 29 settembre 1956, quandoegli torna a scrivere a Foà di nuovo a proposito della semplice revisio-ne del proprio lavoro: a tale proposito, tuttavia, Bazlen introduce orail nuovo nome di Gabriella Bemporad, sua amica e traduttrice presen-tata da lui in diverse occasioni, per un’ulteriore revisione, pur osservan-do che «del resto, il manoscritto che ti avevo mandato era stato rivisto(e date le osservazioni che mi ha fatto, mi pare molto coscienziosa-mente) da Argan»246. Evidentemente, dunque, forse per un’osservazio-ne da parte dell’editore, o forse per personale scrupolo di Bazlen, lasua traduzione viene interamente corretta un’altra volta, forse anche invirtù del fatto che Argan, compatibilmente con il proprio ambito distudi, si era occupato prevalentemente della «parte figurativa»247 dellibro. Di fatto, comunque, il 14 ottobre Bazlen informa Foà che «laBemporad, dopo qualche esitazione, ha accettato»248, e nel farlo sotto-pone all’amico una serie di questioni ancora da rivedere, contenute inun «elenco [...] delle cose da mettere in chiaro nella traduzione»249.Quella che inizialmente appariva come una considerevole resistenzaall’idea di impegnarsi nella traduzione dell’opera di Erwin Panofskyviene dunque rimpiazzata da un’altrettanto considerevole attenzioneper la qualità del risultato finale del proprio lavoro: resta comunque ilfatto, che in effetti spiega l’osservazione di Luisa Mangoni circa la tra-vagliata storia editoriale di Saturno e la melanconia, che il libro pubblica-to solo a partire dal 1983 nella collana dei Saggi einaudiani risulterà tra-

Gabriella Bemporad

245 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 28 giugno 1951. 246 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 29 settembre 1959.247 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 539,nota n. 403. 248 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 14 ottobre 1956. 249 Ibidem.

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dotto non da Roberto Bazlen, il quale d’altronde difficilmente avreb-be acconsentito a firmare il proprio lavoro, bensì dallo storico dell’ar-te Renzo Federici250. Dunque, presumibilmente, il lavoro che avevacoinvolto il consulente triestino, seppure con alterni umori, per diver-si anni, risultò in sostanza, come d’altronde molte delle proposte avan-zate all’editore, svolto completamente a vuoto. Per molti aspetti paragonabile alla vicenda di Saturno e la melanconia èquella relativa ad Astrazione ed empatia di Wilhelm Worringer, della cuitraduzione Bazlen si occupa a partire dal 1953: anche in questo caso,infatti, si tratta di un saggio che, per la verità più specificatamenterispetto all’opera di Panofsky, tratta di problemi di Storia dell’arte.Come nel caso che si è appena considerato, inoltre, la traduzione cheBazlen porterà a termine non sarà quella infine pubblicata dall’editore.Ad ogni modo, da una lettera inviata a Foà nel febbraio del 1953 risul-ta che la proposta di tradurre il saggio dello storico dell’arte tedescoera stata rivolta a Bazlen, appunto all’inizio di quell’anno, da GiulioArgan. Egli in effetti era stato l’autore, nel 1952, della proposta di pub-blicazione del saggio, nel contesto di un «intensificarsi dei suoi rappor-ti con la casa editrice»251 che lo portava a incentivare la riproposta delleopere, come appunto era quella di Worringer, «di critica d’arte ottocen-tesca»252. Stando a quanto Luisa Mangoni riporta nella sua ricostruzio-ne della storia della casa editrice torinese, peraltro, la proposta diArgan aveva incontrato «il convinto assenso di Einaudi»253, il qualevedeva in essa la creazione di un filone «di ricerca [...] di notevole inte-resse»254: dalle lettere di Bazlen, invece, si può rilevare un atteggiamen-to non altrettanto entusiastico, ma comunque interlocutorio, a propo-sito del progetto della pubblicazione di opere, non solo Astrazione edempatia, di Wilhelm Worringer. Come risulta dalle lettere che Foà eBazlen si scambiarono nei primi mesi del 1954, infatti, il consulentetriestino fa presente al suo amico che «ad Argan interesserebberoanche [...] dei libri preparati a suo tempo per le Nuove Edizioni Ivrea,

Il caso di Astrazione ed empatia di Worringer.

250 Erwin Panofsky, Raymond Klibansky, e Fritz Saxl, Saturno e la melanconia. Studi di storia della filo-sofia naturale, religione e arte, traduzione di Renzo Federici, Torino, Einaudi, 1983. 251 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 496. 252 Ibidem. 253 Ibidem. 254 Archivio Einaudi, Torino, lettera di Giulio Einaudi a Giulio Argan (incart. Argan), 21 novem-bre 1952. La lettera è citata in Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta

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di cui esistono già le traduzioni pronte»255, fra i quali egli cita appuntoun’altra opera di Worringer, dal titolo Arte egiziana256: in tale richiesta daparte di Argan, derivante evidentemente dalla conoscenza delle opereche Olivetti intendeva proporre, si può peraltro vedere la traccia dellasua probabile partecipazione al progetto di Ivrea, oltre alla sua presen-za in esso come autore di una Antologia della critica d’arte257. Ad ognimodo Bazlen, in quanto stretto collaboratore di Adriano Olivetti altempo delle Nuove Edizioni Ivrea, conservava evidentemente unacopia della traduzione dell’Arte egiziana, se in una lettera del 31 genna-io 1954 egli avvisa l’amico di avergliela spedita, «in modo che tu tipossa mettere in contatto con Comunità per l’acquisto»258. Anche se latraduzione di Arte egiziana non figurerà nel catalogo Einaudi, il fattoche essa venga citata tanto da Bazlen quanto da Argan permette di ipo-tizzare la partecipazione dello storico dell’arte al progetto di Ivrea nonsolo come autore, bensì anche come un collaboratore che in quantotale presumibilmente aveva avuto a che fare con Bazlen, il quale fu unodei maggiori consulenti della casa editrice. Resta comunque il fatto chela probabile parziale condivisione, in passato, di un progetto editorialecomune non spinge Bazlen ad accettare incondizionatamente la pro-posta di Argan circa la traduzione di Astrazione ed empatia: al contrario,il 16 luglio 1954, probabilmente in seguito al fallimento delle trattativecon le Edizioni di Comunità, dunque di fronte alla necessità di rispon-dere circa la possibilità di essere il traduttore dell’opera, egli informaFoà circa il fatto che «i due Worringer li consegnerò probabilmente adArgan e gli cercherò un traduttore decente. [...]. Io finisco di guardar-li, ma credo che la traduzione mi scoccerebbe troppo»259. La riluttanza

Il rapporto con Argan sindalle Nuove Edizioni diIvrea.

agli anni sessanta cit., p. 496. 255 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 15 marzo 1951. 256 Dai materiali relativi alle Nuove Edizioni Ivrea che si sono potuti consultare, presso laFondazione Mondadori di Milano, nell’archivio della casa editrice Rosa e Ballo, risulta in effettila presenza, per una collana di “Storia e critica d’arte”, della traduzione, ad opera di CordeliaGundolf, di Arte egiziana di Wilhelm Worringer. Cfr. Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori,Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds non datato.257 Nella stessa collana in cui figurava Arte egiziana di Worringer, infatti, si trova l’indicazione diuna Antologia della critica d’arte ad opera appunto di Giulio Argan. Cfr. Fondazione Arnoldo eAlberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo, b. 16, fasc. 1, ds non datato.258 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 31 gennaio 1951. 259 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto

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di fronte alla prospettiva di affrontare la traduzione di Astrazione edempatia, peraltro, fa sì che un anno dopo, nell’aprile del 1955, Bazlenproponga, secondo una consuetudine che si è più volte rilevata, l’ami-ca Lucia Rodocanachi per svolgere il lavoro al suo posto260: una propo-sta che tuttavia, almeno stando a quanto si può leggere nel carteggiofra Bazlen e Foà, cade sostanzialmente a vuoto. Se tuttavia, a partiredal 1959, il nome di Worringer ricompare nelle lettere che i due amicisi scrivono, si può evidentemente supporre che buona parte delle trat-tative per questa traduzione non si siano svolte per via epistolare, o chele lettere ad essa relativa siano andate perdute. Il 22 gennaio 1959,infatti, Foà si rivolge a Bazlen in una lettera che lascia chiaramenteintendere che infine la traduzione di Astrazione ed empatia sia stata asse-gnata proprio a lui: il segretario generale di Einaudi, infatti, sollecital’amico, nella trattazione di diverse questioni «urgenti»261, a consegnareil lavoro, dal momento che «Bollati, incaricato da Einaudi, deve esami-nar[lo] con urgenza per farsi un’idea dell’importanza del testo e dellepossibilità di illustrarlo»262. La risposta che Bazlen fornisce a questo

La proposta di LuciaRodocanachi come traduttrice di Astrazione eempatia.

Bazlen a Luciano Foà, 16 luglio 1951. 260 Cfr. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera diRoberto Bazlen a Luciano Foà, 11 aprile 1955. Come si è già accennato, infatti, diverse sono lecircostanze in cui Bazlen fa il nome dell’amica presso l’editore Einaudi. Già nel 1953, infatti,Bazlen le aveva annunciato, come si legge in una lettera a lei rivolta, che “Luciano [...] mi assicu-ra che ti manderà qualcosa, anzi, se non dovessero decidere per il Forster, probabilmenteHeinrich Mann” (Cfr. Genova, Il Novecento: catalogo della mostra: Genova, centro dei Liguori, 20 maggio-10 luglio 1986 cit., p. 426). Una promessa, questa, che trova un preciso riscontro nel carteggio fraBazlen e Foà, come si può vedere da una lettera scritta da quest’ultimo pochi giorni prima:“Rodocanachi: per Howards end non abbiamo ancora deciso. Eventualmente le affideremmoqualche altra cosa, magari qualche romanzo di Heinrich Mann (o le novelle)” (Archivio Einaudi,Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Luciano Foà a RobertoBazlen, 6 ottobre 1953). Se né la traduzione dell’opera di Mann né quella del romanzo di E.M.Forster Howards end vennero poi realizzate, è interessante notare che una buona parte delle operedi Dylan Thomas indicate nel Catalogo Einaudi risultano appunto tradotte da LuciaRodocanachi. Rispetto a questi lavori, peraltro, Bazlen prenderà precisa posizione, difendendonela qualità ai fini appunto di convincere Foà ad assegnarle anche la traduzione dell’opera diWorringer: “RODOCANACHI: a Arenzano, ho letto una novella di Thomas tradotta da lei, el’ho confrontata col testo che avete stampato. La traduzione m’è sembrata molto buona”. Postoquesto, Bazlen contesta puntualmente una serie di correzioni che l’editore ha apportato al lavo-ro della traduttrice, per concludere infine giustificando la propria “pedanteria” col fatto che “misembra giusto difendere una traduzione fatta meglio di quanto possa sembrare”. (Cfr. ArchivioEinaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen aLuciano Foà, 29 settembre 1956).261 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 22 gennaio 1959. 262 Ibidem.

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proposito è particolarmente rappresentativa del suo atteggiamento,che tende ad accostare lo scrupolo per una traduzione che sia il piùpossibile fedele e chiarificatrice rispetto all’originale ad una personalis-sima insofferenza verso il proprio lavoro e, molto spesso, verso gliautori che si trovava a tradurre:

l’ho tradotto molti anni fa, sul testo tedesco, e senza essere statoeffettivamente in grado di risolvere la traduzione di certi terminiconcettuali che poi effettivamente sono risultati intraducibili. Poi hoavuto in mano la traduzione inglese. [...] il traduttore inglese (dicerto d’accordo con Worringer) ha semplificato la terminologia(cosa che da solo non mi sarei sentito autorizzato a fare) ed ho rifat-to la traduzione partendo da quella polenta che avevo fatto io, maintroducendo le modifiche terminologiche della traduz. inglese. Edè saltato fuori un testo, arido come quello tedesco, ma almeno com-prensibile. Ora, dopo anni volevo rivedere questa seconda mia tra-duzione, ma è così noiosa che a Roma non ce l’ho fatta263.

Il fatto che il testo originale sia di per sé «arido», comunque, non toglieche nell’indicare la «prima versione»264 del proprio lavoro, che è quellache invierà a Bollati, egli la definisca «sgrammaticata, inesatta, pococomprensibile e con correzioni semi-illeggibili»265, ma comunque suffi-ciente per quella ricerca di illustrazioni che egli ritiene necessaria, con-tribuendo in tal modo anche alla cura editoriale del libro.L’insoddisfazione e le critiche circa il lavoro svolto furono probabil-mente la causa di una lunga fase di revisione del testo, della qualeBazlen si incaricherà e rispetto alla quale si troverà in più occasioni adessere incalzato dall’amico. A questa personale lentezza, sono poi daaggiungere i problemi che Bazlen manifesta nella traduzione della pre-fazione al saggio di Worringer, esposti in una lettera del 7 giugno 1959.In essa, con un certo sarcasmo, egli annovera, fra le fasi del suo lavo-ro, il «tentativo di unire in frasi quello che ho capito, non l’insieme, cheè una banalità che si potrebbe dire in tre righe chiarissime»266.

263 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 23 gennaio 1959. 264 Ibidem. 265 Ibidem. 266 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 7 maggio 1959.

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Un’osservazione, questa, alla quale fa seguito una telegrafica e quasiamara conclusione, come sempre frutto di una personale visione dellecose: «NON GARANTISCO - ma finirà che diventa giorni e giorni divita»267. Di fatto, comunque, nei mesi successivi l’impegno per la crea-zione di un libro qualitativamente migliore possibile andrà intensifi-candosi, coinvolgendo anche il vasto campo di conoscenze che Bazlenpoteva vantare, come ad esempio nel caso dell’aiuto che egli ammettedi avere ricevuto, per la traduzione di alcuni termini, da «Rachewiltz»268:si tratta cioè di Boris De Rachewiltz, genero di Ezra Pound, del qualeegli era grande amico, cosa che gli permetteva la consultazione dellabiblioteca del poeta, conservata nel castello di Brunnenburg, pressoMerano269. Nella stessa lettera, peraltro, Bazlen aggiunge un consigliocirca la promozione del libro: «per réclame, fascetta intorno alla coper-tina, ecc. potete mettere qualcosa come “impostazione fondamentaledel problema arte astratta - realismo”. Dovrebbe forse servire a ven-dere, del resto è vero [...]. Che dio me la mandi buona»270. Quella chedunque appare anche come una certa cura editoriale del testo nondovette comunque risultare sufficiente ai fini della pubblicazione dellatraduzione di Bazlen: dal giugno del 1959, infatti, la questione nonverrà più trattata nel carteggio, e soprattutto la traduzione che nel 1975comparirà nella Piccola Biblioteca Einaudi271 non sarà a suo nome. La mancata pubblicazione delle traduzioni di saggi di Storia dell’arte,che Bazlen aveva intrapreso tra la fine degli anni Quaranta e la primametà dei Cinquanta, trova tuttavia, per così dire, un risarcimento nellapresentazione al pubblico, per quanto sotto pseudonimo, di altre due

L'amicizia con Boris DeRachewiltz, genero di EzraPound.

267 Ibidem. 268 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 17 maggio 1959.269 Nelle lettere di Bazlen ad Einaudi, in effetti il nome di Boris de Rachewiltz e di sua moglieMary compare con una certa frequenza. L’amicizia che lo legava alla coppia, infatti, permettevaa Bazlen la proposta di pubblicazioni che avrebbero potuto avere una loro specifica originalità,come emerge ad esempio da una lettera del 10 gennaio 1960, nella quale Bazlen scrive: “ho deci-so che entro quest’estate vado da loro, al castello, dove ci sono quattro grandi biblioteche inte-ressanti (per es. tutta la biblioteca di Ezra Pound) e dove pescherò”. Nella stessa lettera, Bazlenpropone la pubblicazione, poi non realizzata, delle opere di un particolare tipo di teatro giappo-nese, il teatro Nô: “la Mary R. ha molto altro materiale inedito che sta traducendo, Vi direi di scri-vere subito, parlando del vostro progetto di un volume di Nô, e proponendo un accordo”. Cfr.Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 10 gennaio 1960.270 Ibidem. 271 Wilhelm Worringer, Astrazione ed empatia, introduzione di Jolanda Nigro Cove, traduzione diElena Deangeli, Torino, Einaudi, 1975.

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opere di saggistica da lui tradotte: un ambito che dunque si pone comeprevalente nei lavori di traduzione svolti da Bazlen. Nel catalogoEinaudi, infatti, la traduzione di Eros e civiltà di Herbert Marcuse2721 eL’uomo artificiale di Jean Rostand è indicata ad opera di Lorenzo Bassi,ovvero lo pseudonimo scelto, come si vedrà, a proposito di una suatraduzione dell’opera di Brecht. In particolare la traduzione del saggiodi Marcuse riveste un certo interesse, sia rispetto al percorso culturaledi Bazlen, il quale si rapportava ad un’opera che per molti aspetti rom-peva con le teorie della psicologia junghiana e freudiana, o comunquele sviluppava, sia rispetto alla linea editoriale e culturale della casa edi-trice Einaudi: nel 1956, quando il lavoro gli viene proposto, in partico-lare la collana dei Saggi si poneva infatti come «la cartina di tornaso-le»273 di «inquetudini, [...], incertezze, [...] fermenti [...] di un momentodi difficile trapasso»274 nella cultura italiana, mentre la sua pubblicazio-ne, nel 1964, dunque in un clima culturale mutato, costituirà «quasi unpreludio a quell’Uomo a una dimensione, pubblicato nel NuovoPolitecnico nel 1967»275, che avrebbe dato «il suo segno a una nuovastagione politica»276. Ad ogni modo, la prima lettera che Bazlen scrive aproposito del saggio di Marcuse, il 29 settembre 1956, lo vede giàimpegnato nel lavoro, anche se «ancora poco, perché stavo male»277,cosa che lo porta a promettere di finire la traduzione entro un mese,come in effetti testimonia il suo ritornare sulla questione in ottobre, inuna lettera che mostra le difficoltà incontrate anche da un punto divista tecnico. A proposito di esse, Bazlen, facendo riferimento alla ver-sione inglese del saggio, chiede la consulenza di Renato Solmi, il qualein effetti aveva proposto la pubblicazione del libro:

annoiandomi, vado lentamente avanti, e fra due settimane al piùtardi, sarà finito [...]. Domanda intanto a René Solmi (e salutamelo),se il modo come ho tradotto due concetti inventati hélas da Marcuse,lo convince, o se può suggerirmi soluzioni meno sinistre.

Eros e civiltà di HerbertMarcuse.

272 Herbert Marcuse, Eros e civiltà, traduzione di Lorenzo Bassi, Torino, Einaudi, 1964. 273 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 813. 274 Ibidem.275 Ivi, p. 823.276 Ibidem.277 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 29 settembre 1956.

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Performance principle = principio di prestazione (forse, benché siauna soluzione che non amo, messo fra virgolette) che, per quantobrutto, è meno indeterminato di principio di esecuzione. Surplus repression = repressione addizionale278

Le ragioni della noia manifestata da Bazlen, accanto alla rilevazione didifficoltà derivanti dalla pura pratica traduttiva, non sono tuttavia daspiegarsi con una personale indolenza: esse infatti vengono moltoorganicamente esposte in una lunga lettera del dicembre 1957, dunquedopo una pausa di un anno nella vicenda editoriale relativa a Eros e civil-tà. In essa, Bazlen, oltre a rilevare come di consueto la propria insod-disfazione rispetto a quanto svolto, discute una serie di questioni tra-duttive che mostrano l’accuratezza della sua riflessione circa le tesiesposte da Marcuse: una riflessione che, peraltro, lo porta ad esprime-re un giudizio sostanzialmente negativo circa un’opera che, al contra-rio, rivestiva una certa importanza per gli intellettuali della casa editri-ce Einaudi. L’apertura della lettera, per la verità, è dedicata ad unasevera autocritica, che lo porta ad affermare che «ciò che credo inveceche funzioni male, è il mio italiano. Mi sono sforzato, all’ultimomomento, di appiccicare alla traduzione un po’ di grammatica e un po’di sintassi; ma non sono in grado di giudicare se basti»279: di fronte aquesto dubbio, Bazlen chiede che il proprio lavoro sia interamente rivi-sto da Fonzi, al quale lascia la piena libertà di «fare tutte le correzionistilistiche che crede necessarie, senza interpellarmi»280. Non così inve-ce, avviene per quanto riguarda la traduzione della «terminologia»281 delfilosofo tedesco, rispetto alla quale evidentemente aveva riflettutotanto da poter giustificare puntualmente, o comunque difendere inquanto inevitabili, le proprie scelte traduttive, come ad esempio silegge nel passo che segue: «ci sono state delle ragioni per cui è risulta-to indispensabile tradurre sensorietà e non sensualità (benché laSinnlichkeit [sensibilità] kantiana venga usualmente tradotta con sen-sualità) ecc.»282. Alla disponibilità quantomeno a discutere le proprie

278 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 14 ottobre 1956.279 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 11 dicembre 1957. 280 Ibidem.281 Ibidem.282 Ibidem.

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scelte, che si era vista anche nel momento in cui Bazlen aveva richie-sto il parere di Renato Solmi, nella conclusione della lettera si accostatuttavia, come si è accennato, un ragionamento di diverso ordine, signi-ficativamente connesso alla scelta di non apporre la propria firma allatraduzione: invitando Foà a scegliere al posto suo lo pseudonimo,Bazlen manifesta con decisione quello che appare un rifiuto completodell’opera, la quale evidentemente rappresenta valori, probabilmente dinatura politica, ma per lo più legati al suo interesse riguardo alla psico-logia analitica, che egli non condivideva.

non voglio entrarci nemmeno con la scelta dello pseudonimo; inparte, perché il libro mi sembra pericoloso (delle ragioni per lequali proprio non mi va, se ne parla una volta a voce), in parte per-ché c’è un attacco contro Jung che Jung (che si merita molti attac-chi) proprio non si merita283.

L’accostamento, come si è visto, di ragioni personali, ideologiche e tec-niche porta inoltre Bazlen, che come si è visto alla fine comparirà sottopseudonimo come traduttore di Eros e civiltà, a porre le sue regole perle traduzioni che gli verranno proposte in futuro: «mandami un libroche mi faccia venir voglia di tradurlo bene; o almeno un libro che nonmi faccia far fatica. Far vera fatica per esser costretti a tradurre nonbene un libro che non si approva, è troppo sterile»284. Un’opera di que-sto genere, a giudicare dalla maggiore facilità con la quale arriva allapubblicazione, è la raccolta di saggi del biologo e filosofo francese JeanRostand, presentata da Einaudi con il titolo L’uomo artificiale285: il 22gennaio del 1959, infatti, evidentemente dopo avergli presentato unaprima offerta, Foà ricorda all’amico di essere in attesa di «una tuarisposta per il Rostand e per il Lorenz»286, dunque prospettando la tra-duzione non solo dei saggi del filosofo francese, ma presumibilmenteanche di un’opera di Konrad Lorenz. Nella sua risposta, peraltro,Bazlen mostra di accettare entrambe le proposte, dal momento chestende un piano di lavoro contemporaneo sui due autori: evidente-

La traduzione de L’uomo arti-ficiale di Rostand, sempre fir-mato con lo pseudonimo diLorenzo Bassi.

283 Ibidem.284 Ibidem.285 Jean Rostand, L’uomo artificiale, traduzione di Lorenzo Bassi, Torino, Einaudi, 1959. 286 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 22 gennaio 1959.

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mente, comunque, esso non troverà realizzazione, non si sa perresponsabilità del traduttore o dell’editore, visto che l’opera dell’etolo-go austriaco non risulta nel catalogo Einaudi. A partire dalla lettera incui Bazlen accetta entrambi gli incarichi, d’altronde, egli sembra soffer-marsi maggiormente sul lavoro di Rostand, del quale egli afferma che

è un bel pasticcio - di pagine e pagine, se togli l’enfasi (che però èun’enfasi non stupida) non rimane che una misera vescica sgonfia-ta. Per cui dimmi: 1°) se sono autorizzato a tagliare sia frasi qua e là, sia pagine inte-re (in genere al principio e alla fine) 2°) se tagliando pagine intere si presenta la necessità di creare unnesso, posso farlo con (pochissime) parole mie?3°) se certe sbrodolature posso riassumerle, con le parole sue, inpoche frasi mie287.

Bazlen dunque mostra un certo interesse per l’opera sulla quale stalavorando, come egli apertamente dichiara e come d’altronde si puòdedurre dal suo impegno per eliminare le lungaggini che imputa all’au-tore. Al di là di questo, è da rilevare la maggior incisività del suo lavo-ro in questo frangente, dal momento che, oltre a partecipare alla scel-ta dei saggi che avrebbero dovuto costituire il volume, egli sostanzial-mente non tornerà più sulla questione fino alla consegna. Nel maggiodel 1959, infatti, di fronte alla richiesta pervenutagli pochi giorni primada Foà circa il fatto che «c’è una certa urgenza per il Rostand. Potrestimandarmelo entro il mese?»288, Bazlen risponde di avere ultimato la tra-duzione, e chiede unicamente di pagargli la breve consulenza di un«biologo a Roma (basterebbe mezz’ora, anche meno)»289.

3.3.1 Le traduzioni di opere di saggistica.

La cura che Bazlen metteva affinché l’opera fosse presentata in manie-

287 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 4 febbraio 1959. 288 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 8 maggio 1959. 289 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 12 maggio 1959.

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ra ottimale al pubblico, al di là delle sue personali incertezze e dell’ef-fettiva pubblicazione dei suoi lavori, appare confermata, ed anziaumentata di grado, nel caso delle due traduzioni di opere letterarie cheegli svolse per Einaudi. La prima, relativa a una raccolta di racconti delpoeta imagista americano William Carlos Williams, risale al 1951, dun-que si colloca fra i primi lavori commissionatigli dall’editore. A quan-to risulta dalla lettura del carteggio con Foà, la prima proposta per lapubblicazione della raccolta, che apparirà nel 1961 nei «Supercoralli»290,è da ricondursi, come è facile aspettarsi, a Vittorini, il quale «volevaqualche anno fa che il libro lo facesse Einaudi»291. Nel momento in cuiFoà propone il lavoro a Bazlen, nondimeno, egli lo informa che«Vittorini non vuol più tradurre e così la faccenda è rimasta. Si potreb-be ora rimettere in moto la macchina»292. Come si è già accennato,Bazlen non nascondeva una certa diffidenza nei confronti, sembra,della cultura e del popolo americani in genere, pur sempre, comunque,avendo cura di distanziare il proprio giudizio da eventuali implicazioniideologiche, come si può leggere in un parere editoriale dedicato allascrittrice Maude Hutchins. A tale proposito, infatti, egli scrive che «ame non dispiace - [...] perché, poverina [...] si difende (e nel mondoamericano, mi pare, vuol dire parecchio - anche se per noi i nemicisono troppo facili, e le armi di difesa troppo ovvie)»293. Queste, per laverità molto generiche, posizioni, si riflettono in un’idea della lettera-tura americana decisamente severa, che egli espone confrontandol’opera dello scrittore ungherese László Németh, come si è visto da luiparticolarmente apprezzato, con una non meglio specificata letteratu-ra nazionale statunitense:

è logico che i libri scritti in una lingua che non sia una delle cinquelingue correnti non possano venir conosciuti che in ritardo. È unhandicap con cui bisogna fare i conti. Non riconoscerlo, significaescludere a priori quasi tutte le letterature mondiali (e non soltantoquesto; ma anche lavorare con prospettive sbagliate. O per esempio

La traduzione dei raccontodi William Carlos Williams.

290 Williams Carlos Williams, I racconti del dottor Williams, introduzione di Van Wyck Brooks, tradu-zione di Lorenzo Bassi, Torino, Einaudi, 1963. 291 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 13 novembre 1951. 292 Ibidem293 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 15 febbraio 1960.

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dare un piano di rilievo a una letteratura così inconcludente e pro-vinciale come quella americana. Non è una boutade. Confrontalacon quel pochissimo della letteratura ungherese che conosciamo)294.

Alla luce di quanto osservato, non avrebbe stupito il rifiuto di cimen-tarsi nella traduzione di un autore rappresentante di una letteratura eduna cultura tanto sgradite: ed in effetti, quando Bazlen, per la verità unanno dopo la proposta di Foà, risponde sulla questione, precisa cheWilliams è l’«unico americano che io tolleri ancora»295. Oltre a questo,fra le ragioni che lo spingono ad accettare egli annovera anche il fattodi avere già svolto una traduzione di Williams (uscita per la rivista dicultura americana «Prospettive U.S.A.» nel 1952296) che lo ha fatto«diventar matto»297 e nella quale ha «trovato gli stessi scogli»298 rilevatinella raccolta di racconti: scogli che però egli deve avere infine aggira-to, o comunque affrontato, e che dunque potrebbero costituire piutto-sto un rassicurante elemento di consuetudine con l’autore. La tradu-zione in sé e per sé, in effetti, verrà ultimata in tempo breve, dalmomento che già nel novembre del 1953 Bazlen può informare Foà diaverla finita. La pubblicazione del libro nella collana dei «Supercoralli»,tuttavia, avverrà dieci anni dopo, e le problematiche ad essa connessetrovano conferma nei lunghi archi temporali durante i quali, nel car-teggio con Foà, non si trova menzione dell’andamento del lavoro suWilliam Carlos Williams: tutti aspetti che lasciano intendere le difficol-tà incontrate nell’arrivare a un testo definitivo che possa essere conse-gnato all’editore. In effetti, nel momento in cui informa Foà di averconcluso la prima stesura della traduzione, Bazlen chiede la consulen-za di specialisti per la resa degli americanismi di cui è ricco il testo diWilliams, ed inoltre fa presente quanto segue:

intanto non potresti tra le cose che state preparando, cercarmisubito qualcosa che mi vada bene e che, una volta tanto non mi

“Williams è l’unico america-no che io tolleri ancora”.

Dalla traduzione della raccolta alla sua pubblicazione.

294 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 20 aprile 1961. 295 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 16 dicembre 1952. 296 William Carlos Williams, La distruzione di Tenochtitlán e Commedia morta e sepolta, in “ProspettiveU.S.A”, a. I, n. 1, autunno 1952, pp. 30-41 e 52-61. 297 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 16 dicembre 1952. 298 Ibidem.

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faccia diventar matto. Mi andrebbe bene qualche tedesco, sul tipodi Joseph Roth, anche (ma meno) Heinrich Mann, o roba delgenere. Ma se mi dici in genere cosa state preparando, lasciando-mi la scelta, mi fai un vero piacere: ho bisogno di qualcosa dapoter fare subito. [...] (ho pensato alla narrativa tedesca perché lì,veramente, posso fare bene 20 pag. al giorno; ma segnalami ancheteatro, saggi (se sono il contrario della malinconia [...]): ed ancheroba francese o americana (se sono il contrario di Williams, o dellaHutchins la quale (benché io non c’entri direttamente) mi fa da unmese perdere due ore al giorno299.

Richiedendo traduzioni di opere letterarie in tedesco, dunque, Bazlenmostra chiaramente la maggior immediatezza con la quale traduce daquesta lingua, come sarebbe ovvio aspettarsi: accanto a questo aspetto,tuttavia, e nonostante il fastidio che egli manifesta a proposito del lavo-ro svolto su Williams, è interessante notare l’allusione ad un suo impe-gno ai fini della pubblicazione di autori americani. Accanto alla traduzio-ne del poeta, infatti, a quanto sembra Bazlen sta aiutando l’amicaAdriana Motti nella traduzione di Diary of love della già citata MaudeHutchins300: una traduzione rispetto alla quale, presumibilmente, sin dal-l’origine Bazlen aveva avuto un ruolo non irrilevante, se si considera chenel settembre del 1952 proprio a lui Bruno Fonzi aveva chiesto di indi-care un traduttore appunto per questo romanzo301. Oltre a questo aspet-

La collaborazione conAdriana Motti per la traduzione di Diary of Lovedi Maude Hutchins.

209 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 23 novembre 1953. 300 Maude Hutchins, Diario d’amore, traduzione di Adriana Motti, Torino, Einaudi, 1959. Dei lavo-ri della nota traduttrice de Il giovane Holden, peraltro, Bazlen si farà sempre garante, proponendo-la come si è visto per la traduzione del romanzo cinese Monkey, pubblicato nel 1959, e difenden-do la qualità del suo lavoro. Si può vedere, a questo proposito, una lettera del 14 gennaio 1954,nella quale appunto Bazlen discute l’assegnazione della traduzione del romanzo cinese ad AdrianaMotti, mostrando anche di avere seguito da vicino la traduzione della scrittrice americana:«Monkey: l’Adriana Motti va benissimo, e grazie che glielo riservi. Non giudicarla in base al ritmotraduzione Hutchins. Che è già fatta, e credo che su nessun libro Einaudi sia stato lavorato tanto(devi credermelo sulla parola, vedrai come tutto sembra semplice)». Cfr. Archivio Einaudi,Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a LucianoFoà, 14 gennaio 1954. Infine, nell’agosto del 1954 il consulente triestino proporrà all’editore unaraccolta di novelle ad opera della traduttrice, poi non pubblicata, delle quali specifica che «sonostate scritte sempre di getto, ognuna in una sera sola, e non sono state corrette. Per cui, perun’eventuale pubblicazione, va considerata una certa ripulitura stilistica, ed eventualmente qual-che piccola modifica in qualche episodio. Il problema è di sapere se a tuo avviso Vittorini pub-blicherebbe un volumetto di novelle di questo genere nei Gettoni». Cfr. Archivio Einaudi, Torino,Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà, 4agosto 1954. 301 Cfr. a questo proposito Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento

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to, non è forse casuale la richiesta di Bazlen, inoltrata il giorno successi-vo a quello della lettera appena citata, di poter prendere visione dellanuova raccolta di un altro poeta americano influenzato dall’imagismo,ovvero Wallace Stevens302, nel probabile tentativo di approfondire il con-testo culturale nel quale l’opera di Williams si era sviluppata. La compresenza di costanti difficoltà nella resa in italiano della linguadel poeta e la tendenza a trattare aspetti della pubblicazione diWilliams non strettamente collegati alla traduzione che Bazlen stavasvolgendo si trova peraltro confermata da quanto si può leggere in unalettera datata luglio 1954, l’ultima prima di un lungo silenzio, rotto solonel 1959, circa la traduzione della raccolta di racconti. In questa lette-ra, infatti, Bazlen mostra di volere arricchire la presentazione al pub-blico del poeta con altri titoli, come dimostra la proposta di “un’edi-zione bilingue delle ultime poesie di «William Carlos Williams»303, lequali «con qualche riserva sul loro contenuto, sono tra le pochissimepoesie leggibili che mi sono passate tra le mani dopo la guerra»304: a taleproposito, peraltro, viene anche fatto il nome di un possibile tradutto-re, evidentemente ritenuto particolarmente adatto, ovvero VittorioSereni. L’interesse che Bazlen mostra ad inserire l’opera del poeta ame-ricano all’interno di un progetto editoriale di più ampio respiro si trovad’altronde controbilanciata, nella stessa lettera, dall’ammissione delledifficoltà incontrate nel proprio lavoro:

Conto di ricominciare a lavorare a metà settembre, e come primacosa tenterò di dare l’ultima limata a William Carlos Williams, cheti manderò entro ottobre se mi deciderò a mandartelo. Mangianoclams con molta disinvoltura: non so se me la sentirò di mandar-ti un manoscritto in cui mangiano arselle (cozze disgraziatamenteno, e gamberi o gamberetti, che sarebbero la soluzione con menorisalto, sarebbero troppo inesatti). (Equivoco con datteri, nonpuoi dire sempre datteri di mare; vongole non mi vanno bene peraltre ragioni, eccetera eccetera eccetera)305.

Wallace Stevens.

Bazlen, lettera di Bruno Fonzi a Roberto Bazlen, 15 settembre 1952. 302 Cfr. a questo proposito Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamentoBazlen, lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà, 23 novembre 1953. 303 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 16 luglio 1954. 304 Ibidem.305 Ibidem.

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La proposta circa una pubblicazione più strutturata delle opere diWilliams sembra da questo punto in poi sostituire quasi integralmenteil suo ruolo di traduttore dei racconti firmati dal poeta, tanto che quan-do nel 1959 Bazlen torna a trattare la questione, lo fa soprassedendoquasi completamente circa il progredire del proprio lavoro. Nella sualettera, infatti, egli insiste sul fatto che «più importante di tutto, sareb-be una scelta, un po’ vasta, delle poesie, per i “poeti tradotti con testoa fronte”», rispetto alle quali egli pensa in un certo senso a svilupparequanto, in quegli anni, l’editoria italiana aveva già proposto dell’operadel poeta. Bazlen, infatti, fa presente che «le trad. della VittoriaGuerrini nel volumetto di Scheiwiller306 sono fatte benissimo, idemquelle di Sereni307; forse ve ne farebbero altre»308: in effetti, la pubblica-zione nel 1961 di una selezione delle poesie di Williams nella «Nuovacollana di poeti tradotti con testo a fronte» porterà appunto i due nomida lui indicati309. Oltre a questo aspetto, nella stessa lettera egli fornisceil proprio parere circa un possibile ulteriore filone della pubblicazionedelle opere del poeta, quello relativo alle sue Selected letters, di fattoaccennando anche un giudizio critico circa l’opera dell’autore, e rile-vandone la scarsa notorietà in Italia: dunque, sostanzialmente,mostrando di avere ben presenti ragioni critiche ed editoriali, che tut-tavia fanno passare in secondo piano la traduzione dei racconti, ai qualiviene dedicato solo un veloce cenno.

Selected Letters. [...]. A quanto ricordo, sono molto belle, nonhanno soltanto interesse biografico, e il bisogno di una poesia“nuova” e il logorio dei ritmi vecchi non è mai stato espresso, cheio sappia, con tanta matter-of-facteness e con un’insistenza cosìautentica. Servirebbero, se non altro, pubblicandole, a compensa-

306 William Carlos Williams, Il fiore e il nostro segno. Poesie di Williams Carlos Williams, traduzione diCristina Campo, Milano, All’insegna del Pesce d’oro, 1958. Si fa presente che Cristina Campo eralo pseudonimo della poetessa e traduttrice Vittoria Guerrini. 307 William Carlos Williams, Poesie, versioni di Vittorio Sereni, immagini di Sergio Dangelo,Milano, Edizioni del triangolo, 1957. 308 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 9 aprile 1959. 309 William Carlos Williams, Poesie, tradotte e presentate da Cristina Campo e Vittorio Sereni,Torino, Einaudi, 1961. Rispondendo alla proposta di Bazlen, d’altronde, Foà gli fa presente cheun progetto affine è già stato concepito da Sereni, come si legge dal passo seguente: “L’idea diSereni [...] sarebbe di mettere insieme in un volume le sue versioni con quelle della Guerrini, chegli sembrano molto buone”. Cfr. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incarta-mento Bazlen, lettera di Luciano Foà a Roberto Bazlen, 14 aprile 1959.

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Cristina Campo.

310 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 9 aprile 1959. 311 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 16 dicembre 1959. 312 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 14 aprile 1959. 313 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 1 maggio 1960. 314 Ibidem.

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re almeno in parte l’ondata di banalità che verrà sollevata dallapubblicazione dell’epistolario di Saba. [...]. D’altra parte. W.C.W. ètroppo poco conosciuto in Italia per fare, come secondo suo libro,le lettere (se trovo un luogo dove lavorare, le novelle vorrei man-darvele entro l’estate. E come introduzione, non so se gioverebbefare invece l’autobiografia, molto bella anche questa, ma forse -non me la ricordo - troppo legata all’ambiente letterario america-no che qui non si conosce)310.

Dall’aprile del 1959 le lettere che Bazlen invia trattando della pubbli-cazione di William Carlos Williams sono numerose, e tutte impronta-te alla convinta promozione delle qualità di Cristina Campo, alla qualeera legato anche da un rapporto d’amicizia, come traduttrice («le [sue]traduzioni di W. C. Williams sono perfette - tra le pochissime belle tra-duzioni poetiche italiane che conosca»311). Accanto a questo aspetto,Bazlen fornisce il proprio contributo circa la selezione delle poesie chesi potrebbero integrare nella raccolta in lavorazione, mantenendo sem-pre desta l’attenzione alla riuscita del volume come frammento rappre-sentativo ed esauriente circa l’opera del poeta americano. Dopo avereproposto i testi della raccolta dal titolo The desert music («con delle poe-sie che sono fra le più belle, moderne, che conosca»312) Bazlen infattiarriva a proporre la collocazione di «un piccolo gruppo di lettere»313 acorredo della raccolta che Einaudi si accinge a pubblicare, vedendo inesse una possibile funzione di supporto per il lettore alla comprensio-ne delle poesie: secondo lui, infatti, «con 5-10 lettere, scelte bene, met-tete assieme la sua ars poetica completa, e date alle poesie uno sfondomolto più fresco di quanto possa dare una prefazione»314. Dalla diffidenza iniziale, dunque, Bazlen è arrivato a formulare un giudi-zio circa l’opera del poeta americano che gli permette di indicare all’edi-tore il modo migliore per sottoporla ai lettori: resta però il fatto cheancora nel settembre del 1960, dunque poco prima che da Torino gli

arrivi una prima sollecitazione formale alla consegna della traduzioneche gli era stata commissionata, egli si mostri in difficoltà rispetto a quel-lo che in origine avrebbe dovuto essere il suo unico compito. Egli infat-ti così presenta lo stato della traduzione dei racconti di Williams: «finitada anni. Insoddisfacente. Rifatta. Insoddisfacente. [...] la rivedrò que-st’inverno, e spero vada finalmente a posto. Salvo certi punti (parecchi)che nessuno degli americani cui ho chiesto mi ha saputo spiegare»315. Iproblemi incontrati al momento della traduzione del 1952 per la rivista«Prospettive U.S.A», i quali avevano richiesto la «collaborazione diAdriana [Motti], Giacomo [Debenedetti], americani, même intervento diMoravia»316, si sono dunque ripresentati al momento di svolgere unanuova traduzione per Einaudi, che peraltro non smette di sollecitarne laconsegna. Essa tuttavia avviene solo alla fine del 1961, quando Bazleninvia all’editore «un manoscritto rivisto da molte persone e credo giàpubblicabile com’è»317, per il quale comunque chiede una nuova revisio-ne ad opera di Adriana Motti: una traduttrice nella quale, come si è visto,egli aveva molta fiducia e che, «per il parlato di Williams, è la persona piùindicata che conosca»318. Che effettivamente a lei siano poi stati affidatidiversi compiti, nella fase finale della preparazione dell’edizione dei rac-conti del poeta americano, è d’altronde dimostrato da quanto si legge inuna sua lettera rivolta a Italo Calvino, al quale evidentemente era affida-ta la cura dei rapporti «ufficiali» con la traduttrice. Il 10 dicembre del1962, infatti, Adriana Motti si dice «d’accordo su Williams [...] e sul tito-lo (anche se a Bobi non piacerà. D’accordo anche su prefazione, che hotradotto e sto rivedendo)»319. Osservazioni, queste, al quale lo scrittorerisponde nel febbraio del 1963, facendole al contrario presente che «aBobi Bazlen»320, il quale dunque seguì le vicende del libro fino agli ultimipassi prima della pubblicazione, «il titolo I racconti del dottor Williams piacemoltissimo, anzi, lo esige»321.

Le consulenze di AdrianaMotti, GiacomoDebenedetti e AlbertoMoravia.

315 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 18 settembre 1960. 316 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 1 gennaio 1961. 317 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 4 ottobre 1961. 318 Ibidem. 319 Lettera di Italo Calvino ad Adriana Motti (10 dicembre 1962) in Italo Calvino, I libri degli altri:lettere 1947-1981 cit., p. 415.320 Lettera di Italo Calvino ad Adriana Motti (6 febbraio 1963) in Ivi, p. 423. 321 Ibidem.

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La traduzione dell’operapostuma di Brecht Gli affaridel Signor Giulio Cesare.

La proposta di collaborazione con Gabriella Bemporad.

322 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 8 marzo 1958. 323 Bertolt Brecht, Gli affari del signor Giulio Cesare e Storie da calendario, traduzione di Lorenzo Bassi,Paolo Corazza e Franco Fortini, Torino, Einaudi, 1959.

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La seconda traduzione letteraria che Bazlen svolge per Einaudi nel1958 riguarda un romanzo postumo di Bertolt Brecht, Gli affari delsignor Giulio Cesare, dunque, come nel caso di Williams, un’operasostanzialmente minore all’interno della produzione dell’autore: al di làdi questo, la vicenda editoriale di questo romanzo presenta decisamen-te meno aspetti di problematicità rispetto a quanto si è visto riguardoal poeta americano, anche in conseguenza del fatto che in questosecondo caso Bazlen incontrò diverse difficoltà e si impegnò attiva-mente per organizzare la pubblicazione. Resta comunque il fatto cheanche in questa circostanza egli, una volta firmato il contratto per latraduzione, cerchi di accostare al proprio lavoro quello di una tradut-trice che considera capace, la sua amica Gabriella Bemporad, il cuilavoro più volte aveva proposto ad Einaudi. In una lettera datata 7 feb-braio 1958, infatti, Bazlen fa presente che la Bemporad ha già tradot-to alcune poesie di Brecht, che dunque si potrebbero riunire in unaraccolta: una proposta alla quale Foà risponde informando l’amico chele «poesie di Kalendergeschichten [Storie da calendario] le sta già tradu-cendo Fortini, come pure le altre poesie di Brecht»322. Se dunque il ten-tativo da parte di Bazlen di lavorare con Gabriella Bemporad, o comun-que di promuoverne l’attività presso l’editore, non avrà seguito, è peròimportante rilevare che proprio l’opera che Foà indica come assegnataalla traduzione di Franco Fortini, ovvero Storie da calendario, verrà poiinclusa nell’edizione, uscita nella collana dei «Supercoralli», de Gli affaridi Giulio Cesare323. L’accostamento del proprio lavoro a quello di Fortini,peraltro, non fu presumibilmente sgradito a Bazlen: a dimostrarlo è ilgiudizio decisamente negativo che egli, nel momento in cui ha finito ditradurlo, fornisce a proposito del romanzo postumo di Brecht, cosa cheprobabilmente faceva sì che anche a suo parere esso necessitasse diessere pubblicato insieme ad un’altra opera dello stesso autore.

Brecht: è veramente un libro insulso e geistlos [inutile] (bada checerte cose di Brecht mi piacciono, m o l t o!). Cioè il primo gettopieno di sgrammaticature. Frasi buttate giù alla meglio, effetti nonsfruttati, ecc. di un libro che, lavorato e finito, avrebbe forse potu-

to essere un po’ meglio (non troppo)324.

La rilevazione della scarsa qualità e rilevanza del romanzo di Brecht,accanto alla considerazione delle caratteristiche della sua trama, gli per-mette peraltro di fare alcune osservazioni che da un lato mostrano la giàvista attenzione ai fini di una presentazione ottimale del testo, questavolta da un punto di vista commerciale, dall’altro tradiscono nondime-no una certa supponenza rispetto al pubblico immaginato per il libro:

Ho pensato che già che lo pubblicate, sarebbe giusto pubblicarloprima possibile. Il libro non tratta che di trucchi elettorali, volta-faccia di partiti e cose simili, e in clima di elezioni (anche se pas-sate da poco) e con fascetta adeguata potrebbe avere una suabanale attualità, e venir venduto un po’ di più, tra tutta quellagente che vuole leggere nei libri quello (né più né meno) che leg-gono ogni giorno sul giornale325.

Ad un pubblico che, a giudicare da come viene descritto, sostanzial-mente manca di fantasia può dunque bastare un’attualità definita«banale»: nel formulare un giudizio come quello che si è appena letto,dunque, Bazlen sembra non avere davvero a cura la percezione daparte del pubblico dell’opera, come era stato nel caso di Williams,bensì la semplice riuscita dell’investimento attuato dall’editore. Ècomunque vero che, al di là delle personali ragioni che potevano spin-gerlo in questa direzione, egli torna poco dopo ad insistere sulla suaidea, mostrando, dunque, quantomeno una certa convinzione. Pochigiorni dopo il parere che si è appena visto, infatti, Bazlen torna a con-sigliare di pubblicare il romanzo di Brecht «con urgenza»326, motivandola propria insistenza con il fatto che «certi titoli di giornale che mi sono

324 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 13 maggio 1958. Il giudizio sull’opera di Brecht si troverà corredato daulteriori osservazioni che Bazlen farà scrivendo a Carlo Fruttero, che negli ultimi stadi prima dellapubblicazione si occuperà del libro. A lui, presentando il proprio lavoro, Bazlen scrive che “iltesto tedesco, è una prima stesura, dura, non curata, approssimativa, con sintassi polentosa e ana-coluti. Ho tentato di dare un tono trascurato e disordinato anche all’italiano, ma ho visto, leggen-do la traduzione stampata, che è soltanto sgradevole (non che il libro in tedesco non sia sgrade-vole, anzi!). Dunque cambia quanto vuoi”. Cfr. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratoriitaliani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a Carlo Fruttero, 14 gennaio 1949. 325 Ibidem. 326 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 20 maggio 1958.

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Le strategie di promozionedel libro.

328 Ibidem. 329 Ibidem. 330 Ibidem. 331 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 22 maggio 1958. 332 Ibidem.

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caduti sotto gli occhi, e certe parole lette sui manifesti, sono tali e qualicerti punti del “Caesar”»327: per rafforzare la propria proposta, inoltre,egli chiama in causa anche la sua influenza negli ambienti culturalialmeno romani, cosa che in questo caso potrebbe secondo lui darevoce, dunque incrementandone la vendita, non solo al romanzo da luitradotto, ma anche al resto dell’opera di Brecht.

Non parlo di grande successo. Ma facendo far subito qualcherecensione nei giornali (il Giacomo Debenedetti, per esempio,m’ha detto che dovrebbe fare la critica letteraria in un quotidiano(importante e nuovo, ma non so come si chiami) [...]; e se gli chie-do di farmi l’articolo subito, me lo fa senz’altro) e forse non ven-dete soltanto un po’ di più di quel che sarebbe la vendita norma-le, ma spingete (un poco) anche la vendita del Teatro328.

La convinzione con cui Bazlen caldeggia la strategia di promozioneche si è fino ad ora descritta permette di rilevare una certa consapevo-lezza, da parte sua, circa quello che poteva essere un modo per pro-muovere un libro evidentemente ritenuto altrimenti troppo “debole”.Accanto a questo aspetto, tuttavia, si può rilevare anche la personale,si potrebbe dire consueta, insoddisfazione circa la qualità del propriolavoro, che lo porta, nella stessa lettera, a chiedere a Foà un giudizio inproposito: «dimmi com’è la traduzione. Non sono assolutamente ingrado di rendermene conto, [...]. - bada che certe soluzioni che posso-no sembrare strambe, sono più aderenti di quanto possa sembrare»329.Alle questioni sollevate da Bazlen l’amico risponderà informandoloche «il libro non uscirà, quasi certamente, fino all’anno prossimo»330,dal momento che il 1958 ha già visto la pubblicazione di altre opere diBrecht e dunque con la proposta di questo autore «non si può esage-rare»331: nel contempo, tuttavia, Foà implicitamente approva la tradu-zione che Bazlen ha svolto, dal momento che non la commenta, masemplicemente ne sollecita la consegna, tornando a contattarlo, quan-do la pubblicazione è ormai prossima332, per sapere sotto quale nome

vada indicata la traduzione. La risposta che Bazlen scrive pochi giornidopo è forse, nella sua semplicità, indicativa di un atteggiamento sem-pre a metà fra un’ironia quasi paradossale, la decisa volontà di non ren-dere mai pubblica la propria persona e il proprio lavoro, ed un atteg-giamento rispetto ad esso che combina impegno e, a volte sembra,disinteresse: «nome traduttore Brecht: quello che vuoi, ma non il mio.Mi pare che i traduttori dal tedesco dovrebbero chiamarsi Lorenzo.Come cognome non so: il più banale possibile»333.

333 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 22 gennaio 1959.

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L’incontro con GiulioEinaudi.

1 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 103, nota n. 40.

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4. Le proposte di collane per Einaudi e Bocca.

4.1 I «libri piccoli» da Einaudi a Bocca.

Come si è specificato in apertura del precedente capitolo, la consulen-za che per un decennio Bazlen fornì alla casa editrice Einaudi si svol-se quasi totalmente “a distanza”, tramite le lettere inviate a LucianoFoà. A questo proposito, Giulia de Savorgnani riferisce di un soloincontro con Giulio Einaudi, cosa singolare all’interno di un rapportoprotrattosi per lungo tempo, e che peraltro nasconde qualche ragionedi interesse. Sembra infatti che

in quell’occasione anche l’editore torinese, come la maggior partedei suoi colleghi, rimase affascinato dalla personalità di Bazlen,tanto da pensare di affidargli la direzione di una collana tutta sua.Ma anche in questo caso l’entusiasmo si raffreddò ben presto ecosì la “linea Bazlen” non riuscì ad affermarsi1.

La frequente mancanza di entusiasmo nei confronti dei progetti diBazlen costituisce un aspetto che si è già posto in evidenza. È peròanche vero che la tendenza di quest’ultimo a viaggiare e mantenere unacerta distanza rispetto ai luoghi dove si sarebbe dovuto svolgere il suolavoro ebbe forse un ruolo non indifferente nella scarsa incidenza dellesue proposte; tanto più se si considera che il fatto di non essere anchefisicamente legato, per così dire, alla redazione einaudiana gli permet-

teva di tentare l’almeno parziale realizzazione su diversi fronti dei pro-pri progetti editoriali. La lettura del carteggio con Erich Linder aiuta amettere in luce questo aspetto, pur nella difficoltà di cercare di rico-struire la fisionomia di progetti che si sovrappongono e confondonofra loro, in un arco temporale che va dal 1953 alla fine della collabora-zione con Einaudi. Ad ogni modo, la prima proposta da parte diBazlen relativa non a un singolo libro, ma a un insieme di testi in qual-che modo fra loro connessi risale al luglio del 1953, quando egli cosìpresenta a Foà un elenco di autori e titoli in dodici punti:

Ti ho detto a Torino (e ne ho parlato brevemente anche conEinaudi) che quasi non esistono traduzioni accessibili e non impe-netrabili di quasi tutti i testi mitologici, religiosi, iniziatici, folklori-stici ecc. che vengono comunemente citati nei libri di psicologia,antropologia, storia delle religioni ecc. - È un materiale che sta perdiventare di attualità (senza dimenticare che comprende granparte delle cose più v i v e di questo mondo) e credo che, presen-tato in modo altrettanto vivo, e proteggendolo dagli attentati dellafilologia pura, si potrebbe (lentamente e andando con i piedi dipiombo), mettere assieme una collezione non insoddisfacente daun punto di vista strettamente commerciale2.

Nel passo appena citato si possono rintracciare molti degli aspetti checaratterizzano maggiormente le modalità e i caratteri dell’operato diBazlen, così come si è cercato di descriverli in questa sede: oltre a farecenno a un dialogo intrattenuto, ma «brevemente», con Einaudi, egliinfatti presenta una collana rispondente a quelli che si sono visti esse-re fra i suoi interessi primari, che vorrebbe vedere diffusi in Italia nonsolo tramite testi teorici e saggistici. Al contrario, la loro presentazio-ne deve avvenire in maniera “viva”, come “vivi” sono definiti esplici-tamente appunto i titoli proposti, dal momento che si pongono comecorredo antologico di un sapere che si sta progressivamente diffon-dendo in Italia. Bazlen infatti pone l’accento sull’«attualità» che carat-terizzerebbe le sue scelte: un valore che, come si è visto, era per lui fon-damentale, e che tuttavia non gli impedisce di mantenere ferma l’atten-zione per la gradualità, dunque anche la qualità, del raccoglimento da

La proposta di una collezio-ne di testi mitologici, religio-si, iniziatici, folkloristici.

2 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953.

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3 Si veda e a questo proposito Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trentaagli anni sessanta cit., pp. 708-709. 4 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 710. 5 Ibidem. 6 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 maggio 1951. 7 Ibidem.

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parte del pubblico di determinati stimoli. Infine, accanto a moventi diordine culturale la sua proposta vaglia anche un aspetto commerciale,rispetto al quale la collezione non sarebbe «insoddisfacente»: il possi-bile successo che egli prospetta, dunque, si giustifica anche con la con-sapevolezza, sebbene non espressa esplicitamente in questo passo, delfatto che le case editrici italiane non abbiano ancora sfruttato appienole potenzialità offerte dal vastissimo ambito della «psicologia, [dell’]antropologia, [della] storia delle religioni». Valutando più da vicinoquest’ultimo aspetto, si può allora rintracciare l’origine del progettopresentato nel 1953 in una lettera di due anni precedente, cosa chedimostra che l’idea di Bazlen, nata da valutazioni commerciali e cultu-rali assieme, poggiasse su una riflessione molto ben radicata, e lasciatadecantare per due anni della sua collaborazione con Einaudi.L’interesse per la progettazione di una nuova linea nelle pubblicazionidella casa editrice era stato peraltro espresso anche da altri consulenti ecollaboratori, quali Vittorini e Chabod3. Luisa Mangoni, nella sua rico-struzione della storia di casa Einaudi, descrive tale interesse comel’«espressione di una [...] mediazione culturale rispetto a nuove curiositàpercepite come in crescita nella cultura italiana»4, specificando però anchequanto questa «mediazione» fosse in sostanza «disarticolata»5. Un agget-tivo che si applica evidentemente bene allo svolgersi dei suggerimenti deiconsulenti Einaudi, ma che può anche ben rappresentare la reazione dellacasa editrice di fronte ad essi, come si avrà modo di considerare. Tornando allo specifico progetto di Bazlen e soprattutto alle sue origi-ni, è importante rilevare che appunto già in una lettera del 1951, rivol-ta ancora a Bruno Fonzi, egli fornisce il proprio parere circa un saggiodi un allievo di Jung, Hans Schär, citando fra l’altro la «collana viola»6,nella quale secondo lui «il libro [...] dovrebbe rientrare»7. Al di là delgiudizio fornito circa l’opera di Schär, è interessante notare che Bazlenosservi che «particolarmente in campo “viola” in Italia resta da pub-blicare ancora quasi tutto - e non penso soltanto agli studi moderni,

quanto al materiale sul quale questi studi lavorano, testi etnologici,antichi libri religiosi, raccolte di favole ecc.»8. L’idea di Bazlen, dunque,si configura come un completamento di quel «campo viola», ovverorelativo alla già citata «collezione di studi religiosi, etnologici e psicolo-gici» creata nel 1948 da Cesare Pavese ed Ernesto de Martino, la qualeevidentemente secondo lui necessitava di un’integrazione. È appuntouna proposta in tal senso, dunque, che egli avanza ad Einaudi due annidopo, nel luglio del 1953, tramite la presentazione del breve elenco chesi riporta di seguito:

POPOL VUH (libro sacro dei Maya Quiché)Leggende e miti ebraici antichi (scelta dal Ben Gorion) MILAREPA (Vita e Canti di un Santo tibetano)PLUTARCO: Iside e OsirideLa Vita di APOLLONIO DI TIANAPAUSANIA: Viaggio in GreciaORAPOLLO: I geroglifici CONFUCIO: Analecta Il Libro della Pittura bizantinaIl Sogno della Camera RossaPARACELSOSWEDENBORG9

Come si è già visto nel corso del primo capitolo del presente lavoro,la proposta di molti dei testi sopra elencati può essere consideratacome frutto delle suggestioni delle teorie della psicologia analiticajunghiana, cosa che non stupisce se si considera che sin dalle primebattute della «Collana viola» «Jung [aveva dato] la sua impronta all’in-tera collezione»10: la comune derivazione dei titoli, il loro suppostoruolo, come insieme, di «prolungamento» antologico della «viola» edinfine il fatto che Bazlen stesso indichi esplicitamente il proprio elen-co come «collezione» dovevano giustificare la speranza di vederlipubblicati appunto come un insieme, una collana di testi fra lorostrettamente connessi. È però proprio questa speranza che Foà,

Le opere proposte da Bazlennel catalogo Einaudi.

8 Ibidem. 9 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953. 10 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 516.

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La mediazione di Foà.

11 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 6 ottobre 1953. Dalla stessa lettera sono tratte le citazioni che seguono.12 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 710. 13 Ivi, p. 711.

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nella sua risposta al progetto di Bazlen, mortifica, anche se, come sivedrà, non per una chiusura a priori, sua o di altri, rispetto all’idea insé della creazione di una nuova collezione, dal momento che «è quasisempre avvenuto che le nostre collane nuove siano nate quasi natural-mente da altre collane»11. La vera ragione dell’impossibilità di realizza-re il progetto di Bazlen così come lui lo ha prospettato risiede dunquealtrove, ma ad essa Foà non fa esplicito riferimento, contando eviden-temente sulla possibilità che l’amico possa comunque intendere lanatura del problema. Chiarito infatti che «una collana del genere nonpotrebbe inserirsi nel programma della nostra Casa che affiancandosialla collana viola», Foà puntualizza anche che

la “Viola” è affidata alla direzione di De Martino, e poiché è evi-dente che una certa armonia di indirizzo dovrebbe regnare tra ledue collane (quella critico-storica e quella di testi), abbiamo moltidubbi che l’impresa, così come tu la prospetti (cioè come collana)possa essere facilmente realizzata.

Puntualizzando quanto si è appena visto, Foà sembra dunque cercaredi ovviare ai possibili «problemi di congestione con de Martino»12,direttore appunto della «collana viola». Ma soprattutto, si può capire daqueste parole che la mancanza di affinità del progetto di Bazlen fossenon solo con la «collana viola», ma anche con l’indirizzo che ad essa ilsuo direttore, Ernesto De Martino, intendeva dare. In questo specifi-co senso, l’intervento di Foà offre «esemplare testimonianza di quellacomplessa mediazione interna, di quel dar spazio a istanze che anda-vano maturando, particolarmente evidente [...] nelle collane a spettrolargo»13. Come si è già avuto modo di rilevare, infatti, de Martino erasostanzialmente contrario ad una esplicita connotazione della collanain senso junghiano, cosa che in effetti la realizzazione del progetto diBazlen avrebbe contribuito a comportare. La proposta è dunque boc-ciata nella sua forma originaria, e per la verità troverà anche scarsissi-ma realizzazione nella modalità alternativa che Foà, presumibilmentedopo aver discusso la questione all’interno della casa editrice, delinea:

«la cosa più semplice per ora ci sembra che sia di vedere quali dei librida te consigliati possano meglio rientrare in una delle collane già esi-stenti, e specialmente nei Saggi, nei Millenni e nell’Universale»14. La «collana viola», dunque, passa in secondo piano, come d’altrondel’idea di pubblicare organicamente «i dodici volumi proposti inluglio»15: il tutto per ragioni che non si trovano spiegate in altro modoche quello che si è appena descritto. La risposta della casa editrice rife-rita da Foà dovette in effetti causare la perplessità, e forse il risentimen-to, di Bazlen: prova ne è il fatto che egli, smentendo il quasi abitualeatteggiamento procrastinante, in questo caso risponda dopo pochigiorni, esprimendo esplicitamente il proprio pensiero: «Testi mitologi-ci, religiosi, ecc.: come corpo unico, avrebbero avuto maggior peso»16.Se comunque Bazlen mostra di avere colto il messaggio contenutonelle parole dell’amico, nel momento in cui afferma che «dati gli argo-menti che m’hai scritto, niente in contrario di cominciare con l’inserir-li in collezioni già esistenti»17, resta però il fatto che egli non sembraaccettarli completamente, se poche righe sotto, passando in rassegna lediverse componenti della proposta formulata in luglio, così prosegue,approfondendo le ragioni della sua prima affermazione:

SWEDENBORG: è l’esempio tipico di quella categoria di autori chela casa ed. Einaudi può pubblicare unicamente in una collezione dimateriale psicologico-religioso. In una collezione, avrebbe un’illumi-nazione e un’accentuazione giustificabili. Che vi mettiate a pubblica-re Swedenborg, così [...], (e non escludo che sarebbe un libro che“va”), è un po’ buffo. Dunque, eventualmente in un secondo tempo18.

Venuta a cadere la prospettiva di dare vita a una collana completa, dun-que, Bazlen in alcuni casi rinuncia ai singoli titoli, evidentemente innome dell’importanza «dell’illuminazione e del valore di contrappun-

L’accantonamento della proposta di collezione.

14 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 6 ottobre 1953. 15 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 13 ottobre 1953.16 Ibidem. 17 Ibidem. 18 Ibidem.19 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto

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Il sogno della camera rossa.Romanzo cinese del secoloXVIII e altri romanzi cinesiantichi.

Bazlen a Luciano Foà, 3 maggio 1951. 20 Ibidem. 21 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 13 ottobre 1953. 22 Popol Vuh, Le antiche storie del Quiché, a cura di Adrián Recinos, traduzione di Lore Terracini,Torino, Einaudi, 1960. 23 Cinquant’anni di un editore: le edizioni Einaudi negli anni 1933 - 1983, Torino, Einaudi 1983, p. 626. 24 Ibidem. 25 Il sogno della Camera Rossa. Romanzo cinese del secolo XVIII, a cura di Franz Kuhn, presentazionedi Martin Benedikter, traduzione di Clara Bovero e Carla Pirrone Riccio, Torino, Einaudi, 1958. 26 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 6 ottobre 1953.

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to»19 che egli attribuiva ad un testo «nell’insieme della collana»20: decon-testualizzato rispetto a una rete di titoli che ne sostenga il senso ed indi-rizzi la percezione da parte del pubblico, dunque, il titolo perde signifi-cato e, forse, anche interesse. Non lo perde però del tutto, se Bazlen, inchiusura della lettera in cui lamentava la perdita di «peso» dei titoli se nonpresentati in un’unica collezione, torna a ricordare a Foà che «se comedirezione, Vi interessa, avreste da tradurre, ritradurre, scoprire e inven-tare almeno metà della letteratura di questo mondo»21, evidentementealludendo a un proprio possibile contributo in questa direzione. Per la verità, tale contributo da parte di Bazlen nello «scoprire e inven-tare» correnti culturali inedite, sarà da un lato impoverito dal rifiuto,rispetto a diverse opere, da parte di Einaudi, dall’altro realizzato, perquanto solo in parte e prevalentemente come tentativo, mediante lacollaborazione con diverse case editrici. Il caso dei dodici titoli appenacitati è a questo proposito indicativo. Di essi, cioè, solo due troveran-no posto all’interno del catalogo Einaudi e comunque in due collanedifferenti, dal momento che Popol Vuh. Le antiche storie del Quiché22 figu-ra nella Nuova Serie dell’Universale Einaudi, collana volta alla pubbli-cazione di «testi classici»23 ritenuti «essenziali per il dibattito culturaleitaliano»24, mentre Il sogno della Camera Rossa. Romanzo cinese del secoloXVIII25 verrà pubblicato all’interno dei «Millenni». A questo proposi-to è però anche bene specificare che lo stimolo alla pubblicazione dellibro non è da ricondursi alla sola influenza di Bazlen, se nella suarisposta Foà gli aveva fatto presente che «avevamo già pensato di pub-blicare nei Millenni Il sogno della Camera Rossa e così altri romanzi cine-si antichi (tra cui Monkey)»26: tale proposta è dunque da ricondursianche, e forse soprattutto, all’influenza ben più rilevante di Elio

Vittorini, il quale in effetti in quel periodo «suggeriva ulteriori allarga-menti di campo verso le antiche letterature cinese e giapponese»27.Vittorini, dunque, si trovava evidentemente in accordo con la conside-razione di Bazlen secondo la quale le traduzioni di tali testi «sono nel-l’aria e non giungerebbero troppo inaspettate ai lettori italiani»28,potendo tuttavia dare maggiore concretezza a questa considerazione diquanto il consulente triestino potesse fare. Resta comunque da sotto-lineare il fatto che le «27 illustrazioni originali fuori testo di Kai Ch’i»indicate nel Catalogo Einaudi per Il sogno della Camera Rossa sono forseda ricondursi all’indicazione, che Bazlen aveva fornito presentando ilsuo elenco di titoli, circa il fatto che essi fossero libri «anche facilmen-te e giustificatamente illustrabili»29. Ed anche per il romanzo cineseMonkey, pur non avendolo direttamente proposto, Bazlen avrà unruolo di rilievo. Già in una lettera del 13 dicembre 1953, infatti, scrive-rà a Foà: «Monkey invece ti pregherei di darlo alla Adriana Motti»30, pro-muovendo in questo modo una traduttrice che aveva svolto, in alcunicasi grazie all’amico triestino, e svolgerà molti lavori per la casa editri-ce31. Anche solo nelle pubblicazioni rispetto alle quali Bazlen ebbe unqualche tipo di ruolo, tutte avvenute fra il 1958 e il 1960, si può alloravedere un esempio di quella «linea complessivamente in crescita nellacasa editrice, anche su sollecitazione, in qualche caso inaspettata e pro-prio perciò più significativa, dei suoi consulenti»32, di cui LuisaMangoni rileva la presenza. È infine anche bene tenere presente cheriguardo a romanzi come Monkey o Il sogno della Camera Rossa, è stataposta in rilievo anche la ragione politica che spingeva l’editore alla pub-blicazione, se la fine degli anni Cinquanta vide fra l’altro «l’incontro diGiulio Einaudi con una delegazione della Repubblica Popolare Cinese,alla quale [...] mostra le sue edizioni dei massimi romanzi cinesi»33. Resta però da osservare un ulteriore elemento, a conferma tanto di una

L’influenza di Vittorini nellescelte dei testi antichi di letteratura cinese e giapponese.

27 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 708. 28 Ibidem. 29 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953. 30 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 13 dicembre 1953. 31 Nel caso specifico del romanzo cinese che si sta qui prendendo in considerazione, si veda infat-ti il Catalogo Einaudi, sempre all’interno della Nuova Serie dell’Universale Economica: WuCh’êng-ên, Lo scimmiotto, prefazione di Arthur Waley, traduzione di Adriana Motti dal testo ingle-se di Arthur Waley, Torino, Einaudi, 1960. 32 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 708. 33 Libri e scrittori di via Biancamano, casi editoriali in 75 anni di Einaudi, a cura di Roberto Cicala e

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Paragrano, opera dell’alchimista Paracelso,pubblicato nel 1961 daBoringhieri.

Velania La Mendola, presentazione di Carlo Carena, Milano, EDUcatt, 2009, p. 15. 34 Ivi, p. 710. 35 Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, a cura di Dario Del Corno, Milano, Adelphi, 1978.36 Vita di Milarepa, a cura di Jacques Bacot, traduzione di Anna Devoto, Milano, Adelphi, 1966. 37 Paracelso, Paragrano, introduzione, traduzione e note di Ferruccio Masini, Torino, PaoloBoringhieri Editore, 1961.

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proposta editoriale «disarticolata»34 da parte di Einaudi, quanto dellatendenza di Bazlen a lavorare su piani diversi, estendendo cioè le pro-prie proposte, contestualmente o col passare degli anni, a più editori:senza che tuttavia questo comporti necessariamente il buon esito delleproprie proposte. Se infatti come si è appena visto dei dodici consiglipresentati nel luglio del 1953 solo due ebbero seguito presso Einaudi,degli altri dieci solo una minima parte ebbe destino affine presso altrieditori. Come ormai risulta ovvio aspettarsi, infatti, due dei titoli pro-posti troveranno spazio, con un ritardo di molti anni, nella BibliotecaAdelphi, rispetto alla quale l’influenza di Bazlen si rivela, col procede-re del discorso che si sta svolgendo in questa sede, sempre più consi-stente. La Vita di Apollonio di Tiana di Filostrato35, infatti, verrà pubbli-cata solo nel 1978, preceduta nel 1966 dalla Vita di Milarepa36: si trattadunque di due biografie, ulteriore conferma dell’interesse di Bazlenper quello specifico genere e del fatto che solo Adelphi lo abbia quasipienamente assecondato. L’entità dei personaggi ritratti in questi testi,un mago vissuto nel I secolo dopo Cristo, dunque nel tardo mondopagano, ed un religioso tibetano la cui vita si colloca nell’undicesimosecolo, tradiscono ulteriormente il fascino che Bazlen percepiva, comesi è più volte sottolineato, verso «mondi» lontani nel tempo e nello spa-zio, nonché verso tutto quanto potesse avvicinarlo alla magia, alla sto-ria delle religioni e più in generale a tutti quei campi tematici in qual-che modo affini al pensiero junghiano. Alla stessa temperie, dunqueallo stesso stimolo da parte di Bazlen, è da ricondursi Paragrano, operadell’alchimista Paracelso37, che troverà posto nel 1961nell’«Enciclopedia di autori classici» di Boringhieri, un altro editorecon il quale Bazlen intrattenne una corrispondenza. In essa, per la veri-tà, il testo di Paracelso non trova menzione, ma non è difficile suppor-re il fatto che la sua pubblicazione sia stata il frutto della suggestionedel consulente triestino, visto il suo metodo di lavoro fondato spessosulla contemporanea raccomandazione di un titolo a diversi editori. Ben più rilevante, a quest’ultimo proposito, è quanto emerge dalla let-

tura del carteggio fra Bazlen ed Erich Linder, con il quale, come si èvisto, egli aveva un rapporto non solo di amicizia, ma anche di colla-borazione professionale, fondata appunto sul ruolo che l’AgenziaLetteraria poteva avere nella diffusione dei “suoi” titoli presso i varieditori italiani. All’interno del carteggio, infatti, si possono rintraccia-re, anche se non sempre con facilità, le tracce dei tentativi che egliattuò per vedere pubblicati i libri in cui credeva: la prima testimonian-za in tal senso si può leggere in una lettera datata 10 dicembre 1953,dunque solo due mesi dopo la risposta negativa che come si è vistoFoà aveva dovuto inviare all’amico riguardo al suo progetto. Le parolecon cui Bazlen introduce quanto egli vuole dire a Linder, peraltro,mostrano anche il fatto che, per ragioni forse di concorrenza fra caseeditrici, tale tentativo da parte sua potesse causargli qualche attrito conEinaudi. In apertura della sua lettera, infatti, specifica che essa «è ancheper Luciano [Foà], cui non ha scopo che scriva separatamente; delresto la corrispondenza della faccenda di cui ti scrivo, è giusto chevenga indirizzata all’ambiente neutrale dell’agenzia»38. È in effetti,come emerge dalla citazione che segue, proprio grazie al tramite diquesto “ambiente neutrale” che Bazlen sperava di dare vita alle proprieproposte, dopo avere indipendentemente trovato una casa editrice chefosse disposta, almeno teoricamente, ad accoglierle. Si tratta dellaFratelli Bocca, che aveva raccolto l’eredità di un’attività editoriale intra-presa ad Asti nel 1775 e conclusasi dopo la Prima Guerra Mondiale:nel 1936, infatti, la casa editrice era stata nuovamente fondata a Milano,con un programma che prevedeva prevalentemente la pubblicazione ditesti filosofici. Ad essa appunto egli si riferisce quando scrive a Linderdi stare

finalmente mettendo su quella specie di Insel-Büecherei [bibliote-ca isola] non Insel-Büecherei, con testi, in media, più high-brow,più ausgefallen [insoliti] o almeno meno noti di quelli che erano(in parte) i testi della vera Insel. La faccio con Bocca. Ho avutoparecchio da fare, quest’ultimo tempo, con De Marzio, che credo

I Fratelli Bocca Editori.

38 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953. Dallastessa lettera sono tratte le citazioni che seguono.

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39 È interessante notare, peraltro, che già in una lettera del 28 ottobre 1953 Bazlen aveva annun-ciato l’avvio della propria collaborazione con la Fratelli Bocca Editori in una lettera all’amicaLucia Rodocanachi, alla quale stava cercando di procurare delle traduzioni presso Einaudi: “fracirca due settimane, dovrò aiutare un mio conoscente a fare un programma per una collezione disaggi per Bocca [...] e poiché gli indicherò parecchi stranieri, ti faccio saltar fuori qualcosa”. Cfr.Genova, Il Novecento: catalogo della mostra: Genova, centro dei Liguori, 20 maggio-10 luglio 1986, a curadi Giuseppe Marcenaro, Genova, Sagep, 1986, p. 426.

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conosci, e che mi sembra una persona più che decente non soltan-to per le misure dell’editoria italiana39.

Dalle parole appena lette emerge dunque il progetto di Bazlen, che difronte al rifiuto di Einaudi si muove quasi tempestivamente per tradur-lo nella sua interezza presso un altro editore: nel farlo, inoltre, egli loapprofondisce e lo colloca, più esaurientemente di quanto non avessefatto con Einaudi, all’interno del panorama editoriale non italiano,bensì europeo. A quanto si legge, la scelta di titoli formulata nel luglioricalca infatti parzialmente quella della collana «Bücherei»: dunque una«Biblioteca» nella quale non è forse improprio vedere il prototipo del-l’omonima collana adelphiana. Ad ogni modo, ciò a cui in questo fran-gente Bazlen esplicitamente si riferisce come a un modello consiste inuna collana, dal nome appunto di «Bücherei», appartenente alla casaeditrice tedesca Insel Verlag, nata a Lipsia nel 1898: dal 1912, abban-donando le tradizionali pubblicazioni pregiate, essa aveva pubblicatotesti di piccolo formato e prezzo ridotto, caratterizzati dalla propostadi opere brevi di autori tendenzialmente noti e da una certa cura tipo-grafica e redazionale. Da questo modello editoriale, dunque, Bazlenaveva tratto spunto per la propria proposta ad Einaudi, così come la sitrova allusivamente descritta nella lettera rivolta ad Erich Linder. Dallalettura di questa lettera, tuttavia, appare anche il fatto che il modello siastato declinato in maniera personale, attraverso la proposta di titolispesso afferenti al pensiero junghiano, da lui stesso descritti come «piùinsoliti [e] meno noti» rispetto al modello proposto dalla collana tede-sca: sebbene, come si è detto, la casa editrice Einaudi non si trovi nem-meno nominata nel passo che si è citato sopra, che egli a tali testi fac-cia riferimento nel momento in cui presenta il progetto a Linder è peròinferibile anche solo a partire da un semplice dato linguistico. Esso,però, permette di rilevare appunto che i libri proposti a Bocca e quel-li proposti a Einaudi, se non erano esattamente gli stessi, derivavanocomunque dalla medesima idea editoriale. Nella lettera a Linder, infat-

ti, Bazlen connota i testi proposti come «high-brow», vale a dire “dialta cultura”, “intellettuali”, in maniera speculare a come li aveva defi-niti già dal 1951, quando aveva scritto, a proposito del saggio dello jun-ghiano Hans Schär: «lo consiglierei senza esitazioni per una collana che[…] intenda pubblicare tutti i testi psicologici importanti od utili ad untempo, come lo sconsiglierei, […] senza esitazioni, per una collana che,diciamo, intenda essere un’antologia molto high-brow di questi stessitesti»40. In un passo come quello citato, dunque, non appare impropriovedere un’ulteriore definizione della proposta editoriale che appuntoBazlen aveva probabilmente iniziato a formulare nel 1951, per poi pre-sentarla nel 1953 a Einaudi e, successivamente, a Bocca. Il fatto che sitratti dello stesso progetto, poi, è confermato dalle osservazioni allusi-ve che egli fa di seguito, in merito appunto alla collaborazione che sista prospettando con Bocca:

A me va molto bene, anche perché si tratterà di aggiornare, e par-ticolarmente cambiare livello, a tutta quella sua parte religioso-ini-ziatico-magico-psicologica, che è uno dei campi che mi interessadi più, e per i quali, salvo il Bocca di una volta, con tutta la sua bas-sezza provinciale [...] autodidatta, non c’erano, e non ci sono, altrieditori in Italia41.

Il risentimento nei confronti di Einaudi, dunque, è tanto velato quan-to evidente. Esso peraltro sembra derivare non solo e non tanto daragioni personali, quanto invece anche da una lucida valutazione rela-tiva al panorama editoriale italiano, che lo porta a constatare il fatto cheil proprio progetto «high-brow» non potrebbe adattarsi che a un pic-colo editore marginale. Il passaggio dall’uno all’altro editore, inoltre,non doveva poggiare unicamente su ragioni di opportunità o di affini-tà personali con i diversi comitati editoriali, ma anche sulla coscienzadell’affinità e delle somiglianze, per quanto su scale dimensionali diver-se, fra le due case editrici, ulteriormente provate dal fatto che «laFratelli Bocca [...] fu uno degli esempi storici a cui si ispirò Giulio

Il risentimento nei confrontidi Einaudi.

40 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 maggio 1951.41 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953.

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42 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 103, nota n. 28. 43 Giulio Einaudi, Frammenti di memoria, Milano, Rizzoli, 1988, p. 15. 44 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953. 45 Ibidem.

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Einaudi»42. Quest’ultimo, in effetti, così la ricorda, prima che l’attivitàvenisse trasferita a Milano: «a Torino esistevano case editrici di cultu-ra, prima di tutto la F.lli Bocca, con un catalogo stupefacente, disper-so in seguito alla sua rovina. Ricordo la vecchia libreria Bocca [...].Bocca, Laterza, Treves erano gli esempi storici»43. Bazlen, dunque, pen-sava forse di poter far leva anche su questa, seppur non bene definita,affinità: resta comunque il fatto, a testimonianza della consapevolezzache egli doveva avere tanto delle somiglianze quanto delle differenzefra i vari editori, che il progetto che egli configura per Bocca, per quan-to come si è detto concettualmente del tutto consonante con quelloeinaudiano, sia anche da lui adattato, ed arricchito, per la nuova casaeditrice. È anche in questo specifico senso che si colloca il ruolo diLinder, dal momento che Bazlen, dopo i passi appena riportati, con-clude come segue:

Per cui, in genere [...] manda o mandami tutto quello che ti passaper le mani di quel genere. Ora, per i libretti piccoli, per i quali tichiederò molti altri diritti col tempo ([l’editore] ne vuole fare dipiù di quanto io sia in grado di seguire, per cui dovrò un po’ fre-narlo), avrei per il momento bisogno di un Ronald Firbank: hopensato al Prancing nigger44.

Da questo passo in poi, il contenuto della lettera prescinde completa-mente, per così dire, dal presupposto einaudiano, in quanto Bazlen daun lato enumera una serie di titoli, oltre al romanzo dell’autore ingleseFirbank, che vorrebbe vagliare per la collezione di Bocca, dall’altro for-nisce ulteriori indicazioni circa lo sviluppo della sua idea editoriale.Accanto al nome di Firbank, infatti, egli cita in primo luogo il libro del-l’americano Thomas Wolfe «su come ha scritto i suoi romanzi (nonricordo il titolo)»45: si tratta del saggio The story of a novel, scritto nel1936, interessante in primo luogo in quanto libro che evidentementeconcepisce la scrittura come un’esperienza passibile di una trattazioneautobiografica. Si può allora forse immaginare, nel momento in cuiriferisce che «a suo tempo l’avevo letto per le N.E.I [Nuove Edizioni

Ivrea]»46, che il libro fosse già stato considerato come un possibile tito-lo per la collana di autobiografie «Mondi e destini», parte del progettoche Bazlen aveva formulato per Olivetti negli anni Quaranta. «Einaudi,probabilmente, non lo fa, e ad Einaudi potrebbe convenire che vengapubblicato da un’altra casa editrice, che porterebbe il nome di Wolfe inun altro giro di lettori. Vedi tu, parlane con Luciano e, se puoi, man-damelo»47. Così Bazlen, appena dopo avere menzionato le NuoveEdizioni Ivrea, prosegue nella sua esposizione, mostrando ancora unavolta la singolare tendenza a creare un ideale circuito fra le case editricicon le quali aveva lavorato in passato e le collaborazioni del presente. Adesempio, rispetto al caso di Wolfe, la pubblicazione di una sua opera daparte di Bocca sembra avere un’utilità nella delineazione del suo pubbli-co anche rispetto alla proposta editoriale di Einaudi: il tutto, nel 1953,riguardo ad un libro che Bazlen aveva letto da almeno quindici anni.Nell’elencare a Linder i titoli che potrebbero nutrire la collana diBocca, come si è detto, Bazlen non manca di descriverne ulteriormen-te i caratteri: un’attenzione, quest’ultima, che probabilmente avevacaratterizzato anche le collane prospettate per le Nuove EdizioniIvrea, rispetto alle quali tuttavia la mancanza di documenti non forni-sce spazio all’approfondimento. Ad ogni modo, nelle informazioni viavia fornite a Linder, e col suo tramite all’Agenzia LetterariaInternazionale, Bazlen in primo luogo chiarisce il fatto che il suo inte-resse è rivolto a quegli autori i cui «libri sono composti di molte partiindipendenti (raccolte di saggi, di memorie, ecc.)»48: di tali tipi di opere,infatti, gli sarà possibile “prelevare” «soltanto quel “cuore” comprimi-bile in una ottantina o poco più di pagine»49. Le dimensioni dei libri chedesidera vedere pubblicati gli sono dunque molto chiare, così comechiara è l’idea relativa ad altri «aspetti materiali»50: di fronte alla richie-sta da parte di Linder, qualche giorno dopo, di delucidazioni circa lapresentazione dei testi («rilegata o no, carta più o meno accettabile,stampa indecente come quella solita di Bocca, o stampa decorosa, senon bella, - e infine prezzo presumibile»51), Bazlen risponde con una

46 Ibidem. 47 Ibidem. 48 Ibidem. 49 Ibidem. 50 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 20. 51 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,

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I piccoli librini Bocca.

b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 12 dicembre 1953. 52 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 20.53 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 15 dicembre 1953. 54 Ibidem. 55 Ibidem.

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certa approssimazione, chiarendo però alcuni punti che permettono dicomprendere come gli «aspetti materiali» del libro possano essere con-siderati elementi attraverso i quali l’editore, in questo caso il consulen-te, «caratterizza il volume come proprio e i potenziali lettori riconosco-no l’edizione loro più consona rispetto alle altre»52. Bazlen infatti, rela-tivamente a quelli che ora chiama i «piccoli librini Bocca»53 chiarisceche, per quanto il loro formato sia ancora «allo studio»54, egli non contadi promuoverli «se non diventano libretti molto belli. Del resto, Boccacambia stile (ed anche sostanza), e sta’ tranquillo che quell’odore diprovincia non ci sarà più nemmeno nelle altre collezioni»55. La nonmeglio definita qualità materiale del libro, dunque, lo libera dal provin-cialismo che più volte egli indica come pecca delle pubblicazioni delpiccolo editore milanese. Accanto alle seppur semplici indicazioni fornite circa la materialità dellibro, un aspetto sul quale nella proposta ad Einaudi non si era pronun-ciato, ciò che si pone con una certa evidenza ed invita a riflettere ulte-riormente è il cambiamento che sembra investire il progetto nel pas-saggio da un editore all’altro, fermo restando comunque il fatto cheesso non verrà realizzato in alcuno dei due casi. Bazlen non offre alcu-na spiegazione in merito, ma appare evidente che l’elenco di dodiciautori ed opere che nel luglio del 1953 propone ad Einaudi ben pocoabbia a che vedere con quanto solo qualche mese dopo viene pensatoper la Fratelli Bocca. Nel primo caso, infatti, la collezione avrebbedovuto costituire, come si è visto, un sostegno antologico a saggi eopere di psicologia e antropologia: i testi proposti sono dunque legatial mondo orientale, all’antichità, mediterranea e non, alla Storia dellereligioni, infine all’alchimia, ambiti ai quali come si è visto Bazlen si erainteressato in seguito all’approfondimento, ed alla traduzione, delleopere di Carl Gustav Jung. Il progetto formulato per l’editore Bocca, invece, pur presentandoaspetti di affinità, se non identità, con quello einaudiano, se ne distin-gue però per quanto riguarda i titoli proposti: non è infatti difficile

notare come l’opera di autori quali Ronald Firbank, Thomas Wolfe oLlwellyn Powys56 sia tutta collocabile nell’ambito del Novecento. Allostesso modo, la proposta di «raccolte di saggi»57, ma anche «di memo-rie»58 si distingue da quanto era stato pensato per Einaudi, e nel casodelle memorie fa piuttosto pensare al «versante freudiano» dei suoiinteressi, consistente anche, come si è già accennato, in titoli cheBazlen aveva presenti da molti anni. Tale atteggiamento da un latomostra la costanza con la quale egli tornava a riproporre le proprie ideeai diversi editori, dall’altro testimonia ulteriormente una visione nonsolo della letteratura, ma anche delle proprie scelte professionali comeentità in fieri, dunque vitali perché in continuo mutamento. Un aspet-to che permette di richiamarsi ancora una volta alla difficoltà di coglie-re con precisione il significato ed il senso di idee che appaiono spessoaleatorie, ed in alcuni casi paradossali. D’altra parte, però, esso permet-te anche di approfondire ancora una volta perché del «suo rapportocon i libri»59 sia stato scritto che «non fu mai del tutto intellettuale, matanto spontaneo, vitale e creativo quanto il rapporto con gli esseriumani»60. Da questo punto di vista, si può allora comprendere perchél’idea editoriale che originariamente avrebbe dovuto presentare le testi-monianze di una letteratura millenaria si traduca ora nelle seguentiindicazioni, presentate a Linder per indirizzare la sua ricerca di altrititoli per l’editore Bocca, oltre a quelli che Bazlen ha già proposto:

Per tua norma, vorrei tenermi molto ai mezzi classici, o a scritto-ri anche recenti ma che, in un certo modo, si siano già “deposita-ti”; ciò non esclude però che ci possa mettere dentro anche cosemodernissime (da Jouhandeau a Saint John Perse, da Rodker - colquale ero già in corrispondenza - ad Andrade)61.

Dopo una prima “smentita” della sua avversione nei confronti dei clas-

56 Si veda a questo proposito Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serieannuale 1953, b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicem-bre 1953. 57 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953. 58 Ibidem. 59 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 125.60 Ibidem. 61 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953.

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I volumetti illustrati.

62 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 15 dicembre 1953.63 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 23 dicembre 1953.

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sici, che già lascia immaginare la versatilità dei suoi criteri di giudizio,Bazlen segue invece la propria inclinazione a tendere verso il nuovo,verso quel «modernissimo» che nell’insieme dei titoli pensati per l’edi-tore Bocca si configura, alla luce del passo appena citato, come anchela scelta di una serie di poeti del Novecento, da Saint John Perse,Premio Nobel per la letteratura nel 1960, rispetto al quale dunqueBazlen mostra un certo intuito, a due rappresentanti del modernismo,quali l’inglese John Rodker ed il brasiliano, anche se in questo casol’identificazione è più problematica, Carlos Drummond de Andrade.Le proposte appena citate, dunque, mostrano il fatto che le oscillazio-ni dei gusti e dei progetti di Bazlen non si manifestassero solo nel pas-saggio da un editore all’altro, ma anche all’interno del medesimo pro-getto. Nella lettera a Linder del 15 dicembre 1953, infatti, nel discute-re i primi titoli proposti per Bocca, Bazlen prosegue elencando, «natu-ralmente, anche volumetti illustrati: nel primo elenco che ho fatto, cene sono due soli: il discorso sulla moderne kunst [arte moderna] diKlee, con disegni di Klee (tutto il discorso non avrebbe avuto, sonst[altrimenti], che venti pagine)»62, dunque estendendo ulteriormente ledirezioni verso le quali la sua proposta editoriale muoveva. A quest’ul-timo sviluppo della proposta dell’amico, Linder peraltro dà maggiorseguito, dando vita a una discussione appunto sulla natura dei «libriniBocca». Il 23 dicembre 1953, infatti, nel lamentare il mancato appun-tamento con il rappresentante dell’editore, De Marzio, egli affermaanche che «se i librini saranno belli, ti manderò un progetto per unaserie illustrata»63: da uno stimolo di Bazlen diverso rispetto a quello chesembrava il criterio fondante la collana per Bocca, ne nasce dunque unulteriore, relativo appunto alla pubblicazione di libri d’arte illustrati,che in seguito sarà Linder a curare trattando direttamente con l’edito-re. Quello che però interessa evidenziare a tal proposito è che nell’ori-ginaria proposta di Bazlen circa la possibilità di inserire nella serie dei«librini Bocca» anche testi illustrati sia da vedersi ancora la suggestio-ne della collana tedesca che, come si è visto, egli aveva parzialmentepreso a modello: la ragione della variabilità della proposta per l’edito-re italiano, dunque, è forse spiegabile anche con il fatto che il suo stes-

so modello prevedesse libri dei tipi più disparati. È d’altronde lo stes-so Bazlen a chiarire di stare facendo riferimento alla «Bücherei», nelmomento in cui il 27 dicembre, rispondendo ad alcune riserve diLinder, egli riferisce che

non vorrei fare una “serie illustrata”, ma, come nella InselBüecherei, illustrare i libri la cui illustrazione è indicata. Non fareiil libro illustrato per il libro illustrato, ma soltanto dove, comedocumentazione, rinforzo, commento atmosferico, ciò sia neces-sario, o dove le illustrazioni abbiano un valore in sé, e per una feli-ce costellazione, si sposino bene col testo64.

Al modello della «Biblioteca» di Lipsia, dunque, Bazlen doveva riferir-si non solo per i tipi di libri proposti, come si è visto di non univocadefinizione, quanto anche per la loro semplice cura materiale e reda-zionale, come il passo appena visto dimostra. Inoltre, non è forseimproprio considerare anche il fatto che trattando appunto la questio-ne delle illustrazioni dei libri secondo il modello della casa editricetedesca, Bazlen fa presente a Linder che «le copertine che [la FratelliBocca] sta studiando sono già su una strada europea, siamo d’accordoche per i librini consulterà Mardersteig e qualsiasi altra persona io glisuggerisca»65. Il nome che Bazlen fa in questo frangente non è casua-le, e permette di vedere un ulteriore possibile filo, per quanto sottile,che collega la casa editrice Adelphi, fondata nel 1962, con le idee e, inquesto caso, i contatti, che Bazlen andava elaborando sin dalla primametà degli anni Cinquanta. Giovanni Mardesteig, infatti, è il celebretipografo di origine tedesca che aveva fondato a Verona, nel 1948, laStamperia Valdonega, specializzata in edizioni pregiate. Alla sua opera,dunque, evidentemente anche sulla base di una conoscenza personalecon il Mardersteig, Bazlen pensava per la Fratelli Bocca, al fine digarantire l’elevata qualità dei suoi «librini». Allo stesso modo, si puòallora immaginare che anche la collaborazione che Adelphi intrattennecon il tipografo tedesco, culminata negli anni Ottanta nella coedizio-

64 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 27 dicembre 1953.65 Ibidem.

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66 Sigfried Unseld, L’autore e il suo editore: le vicende editoriali di Hesse, Brecht, Rilke e Walser, Milano,Adelphi; Verona, Valdonega, 1988. 67 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 27 dicembre 1953.68 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1954,b. 4A, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 13 gennaio 1954. 69 Ibidem.

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ne66 di un libro sulle vicende editoriali di autori quali Rilke o Brecht,abbia tratto origine forse proprio dalla conoscenza che legava il tipo-grafo e il consulente triestino. Ad ogni modo, la collaborazione di Bazlen con Bocca nei mesi a caval-lo fra il 1953 e il 1954 continua e si sviluppa, seppure nella costanteambiguità di fondo circa la natura del progetto. Una volta escluso dal-l’insieme dei titoli proposti quello relativo ai libri specificatamente d’ar-te, dei quali si occuperà Linder, a quest’ultimo Bazlen continuerà arivolgersi come ad un agente letterario che lo aiuti nel reperimento deititoli e nella trattazione dei diritti dei diversi libri pensati per il piccoloeditore milanese. Già nel dicembre del 1953, infatti, Bazlen informal’amico che la «prima infornata [...] dovrebbe uscire entro l’anno»67,cosa che evidentemente lo spinge ad accelerare i tempi di programma-zione della collana, sia per quanto riguarda i titoli già considerati, siaper la ricerca di nuovi. Indicativa a questo proposito è la lettera del 13gennaio 1954, nella quale, oltre a riprendere in considerazione il casodi Llewellyn Powys («non ne ho letto che poche pagine. E non ti possodire se proprio questo suo libro sì. Comunque è un tipo di autore chemi va»68) Bazlen infatti prospetta un nuovo filone all’interno del pro-getto per Bocca, sempre connettendolo alla collana che fino ad ora siè cercato di descrivere, ma in realtà deviando rispetto alle caratteristi-che sia della «Bücherei» della casa editrice Insel, sia della collana pro-posta ad Einaudi l’anno precedente. Subito di seguito alle considera-zioni su Powys, infatti, egli scrive a Linder:

poiché conto di fare lo stesso tipo dei libri piccoli anche in un for-mato più grande, in modo da metterci dentro anche libri fulllenght, se hai altra roba del genere in agenzia, manda senz’altro.Tra poco te ne chiederò parecchi io69.

I criteri materiali, che tuttavia comportavano anche delle precise con-seguenze sul piano della scelta dei testi, dal momento che prevedeva-

no la considerazione di libri unicamente di piccole dimensioni, ocomunque frazionabili, sembrano dunque non essere particolarmentevincolanti, dal momento che appunto da quanto si legge Bazlen sem-bra, più che ogni criterio, ossequiare quello del suo personale interes-se alla pubblicazione di un titolo. In questo modo, la «capacità dellacollezione di estendere gli stessi caratteri formali a libri diversi e [...] dipermettere al lettore di sapere in anticipo cosa aspettarsi»70 sembraalmeno in questo frangente non essere per lui una priorità. Se da unlato questo aspetto permette forse di comprendere meglio le difficol-tà che Bazlen ebbe sempre a vedere realizzate le proprie idee editoria-li, dall’altro è forse un esempio particolarmente significativo della ver-satilità e della vivacità degli interessi culturali di un intellettuale che nonsi legò mai ad un unico editore o ad un unico progetto editoriale. Restacomunque da porre in evidenza la sua pertinacia, che in altri passi delpresente lavoro è stata definita come una “fedeltà” agli autori cheapprezzava e lo portava a proporli a qualunque editore potesse esseread essi interessato. Il primo titolo, di quelli «full lenght» (dunque libri anche di dimensio-ni consistenti, da pubblicarsi per intero), è infatti Out of Africa di KarenBlixen, citata nella lettera del 13 dicembre con il suo pseudonimo(Isaac Dinesen) e con un titolo, African farm, inesatto, ma facilmentericonducibile al suo più noto romanzo. Un romanzo che appuntoBazlen non dimenticherà, e che ripresenterà tre anni dopo, il 22novembre 1957, all’editore Einaudi, mostrando le ragioni del suoapprezzamento: «straordinaria come Lebenshaltung [modo di vita] edecenza di Erleben [esperienza], ma temo che passerebbe inosservatacome uno dei tanti libri di memorie di vita coloniale»71. Il criterio discelta, dunque, è quello visto più volte relativo alla forza dell’esperien-za che il libro veicola, e che doveva avere affascinato Bazlen sin dal1954. Dalla lettura del carteggio con Einaudi, peraltro, emerge anche l’ir-ritazione con la quale egli apprese della pubblicazione del libro da partedi Feltrinelli, un episodio che Bazlen affermerà averlo «seccato»72 e che èforse da vedersi come la ragione da un lato dell’aiuto che egli darà alla

70 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 77. 71 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 22 novembre 1957.72 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 22 dicembre 1957.

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73 Nella lettera a Foà del 10 febbraio 1958, infatti, si legge: “se non ti dispiace, vorrei confiscarel’Out of Africa della Blixen (cioè la trad. tedesca): mi può servire per aiutare la Lucia Demby(Drudi) che lo traduce per Feltrinelli”. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani,incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà, 10 febbraio 1958. 74 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1954,b. 4A, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 13 gennaio 1954. 75 Ibidem.

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traduttrice del libro per Feltrinelli73, dall’altro della cospicua presenza,anni dopo, di titoli della scrittrice danese nel catalogo di Adelphi. Un discorso affine a quello relativo all’opera di Karen Blixen si puòperaltro fare per un altro testo, che, come si è avuto modo di vederenel secondo capitolo, investiva un ruolo evidentemente di grande rilie-vo nell’insieme dei libri ai quali Bazlen era maggiormente affezionato.Si tratta del romanzo autobiografico dell’inglese Edmund Gosse Fatherand son, che nel suo ricomparire anche nei progetti editoriali portatiavanti negli anni Cinquanta, dopo la sua inclusione nella collana«Mondi e destini» pensata per le Nuove Edizioni Ivrea, si pone comel’esempio più rilevante ed indicativo dell’atteggiamento, già più voltedescritto, con cui egli cercava di ottenere la pubblicazione di un testoche trovava di valore. Il 2 febbraio 1954, dunque appena dopo averenettamente ampliato i criteri di scelta per la collezione progettata conBocca, Bazlen appunto menziona Edmund Gosse, permettendo diaggiungere, con le osservazioni che fa, un altro piccolo tassello allescarsissime notizie che si hanno circa la sua collaborazione conBompiani, un editore al quale, come si è visto, era stato brevementelegato nel dopoguerra. In apertura della sua lettera, infatti, Bazlendomanda a Linder se sia «ancora in rapporti freundschaftlich [amiche-voli] con Bompiani»74, aggiungendo che

a suo tempo, per “Corona” e “Grandi ritorni”, avevo messo inmoto parecchi libri, di cui, visto che aveva sospeso la loro pubbli-cazione quasi gleichzeitig [contemporaneamente] a quando miaveva dato l’incarico di mandarle avanti, non s’è fatto nulla. Havoluto soltanto che gli fossero consegnate due o tre traduzioni,che poi non ha pubblicato. Tra queste, “Father and son”, diGosse, che (lo conosci?) è un molto bel libro e che, per una miacollezione Bocca, mi andrebbe bene. Poiché sembra che non lopubblichi potrebbe cedermi la traduzione?75

La collaborazione di Bazlen con l’editore Bompiani, dunque, apparealla luce del passo appena citato come l’attività di scelta e proposta dititoli per due collane, soprattutto «Corona», di una certa rilevanzaall’interno del programma della casa editrice. Una decina di anni dopoil lavoro svolto per l’editore milanese, egli tenta poi di “recuperare”, alfine di includerli nel nuovo progetto formulato per Bocca, alcuni deitesti «messi in moto» per l’editore milanese. Un aspetto, quest’ultimo,che permette di ipotizzare che nella disponibilità di Bazlen, ricordatada Bompiani in un passo già citato in questa sede, a «dirigere una col-lana»76 si possa vedere un progetto simile a quello che egli, negli anniCinquanta, porta avanti per Bocca. Appunto ai fini della realizzazionedi tale progetto, dunque, Linder si mette in contatto con Bompiani perpoi, dopo qualche mese, riferirne la risposta all’amico. Il 2 dicembre del1954, infatti, Bazlen viene informato del fatto che «Bompiani ha rispo-sto che è disposto a cedere il Gosse»77, aprendo così la possibilità del-l’acquisto dei diritti e della pubblicazione dell’opera da parte di Bocca. Nel caso dello scrittore inglese, dunque, la mediazione attuata daLinder ottiene risultati positivi, ma da quanto si legge nel carteggio sumolti altri versanti i contatti fra l’Agenzia Letteraria Internazionale el’editore Bocca si rendono ben presto problematici: il che probabil-mente costituisce un ulteriore motivo della mancata realizzazione delprogetto di Bazlen. Sin dal marzo del 1954, infatti, Linder avevaespresso il proprio disappunto per l’incostanza delle risposte dell’edi-tore alle sue lettere, specificando che «anche nell’ambito della tua col-lana, mi ha rimandati firmati i contratti per Prancing Nigger, ma nonha pagato, e temo che sollecitarlo servirà a poco»78. Dalla lettura dellelettere che Linder si scambiò in quei mesi con il rappresentante dellacasa editrice, De Marzio, emerge in effetti la scarsa puntualità dellaFratelli Bocca nel rispettare le scadenze contrattuali, prevalentementerelative ai pagamenti dei diritti delle opere, che ne avrebbero permes-so la pubblicazione: una situazione che si sarebbe protratta per unanno. Di fronte alle ripetute lamentele di Linder, infatti, l’8 gennaio1955 Bazlen scrive all’amico promettendogli «dopo questa mia, una

76 Valentino Bompiani, Vita privata cit., pp. 238.77 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1954,b. 4A, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 2 dicembre 1954. 78 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1954,b. 4A, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 22 marzo 1954.

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79 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1955,b. 7, fasc. 42 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 8 gennaio 1955. 80 Ibidem. 81 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1955, b.15, fasc. 8/16 (corrispondenza Fratelli Bocca Editori), De Marzio a Linder, Milano, 24 marzo 1955.82 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1955,b. 7, fasc. 42 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 17 febbraio 1955.

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lettera di De Marzio [...] col quale ho parlato ieri»79, ma in realtà giàanticipando una spiegazione circa i comportamenti del rappresentantedella Fratelli Bocca. Quest’ultimo, infatti, «si rende conto ecc. Però tiavviso fin d’ora che fino al momento dell’unificazione degli uffici (tra-sporta Milano a Roma) la confusione continuerà»80. La casa editrice,dunque, sta trasferendo la propria sede da Milano a Roma: un cambia-mento che evidentemente comporta il rallentamento della sua attività,come lo stesso De Marzio fa presente, nel marzo del 1955, a Linder,nel momento in cui scrive:

Non so se Bazlen ha avuto modo di raccontarLe che cosa è acca-duto [...]; penso che egli abbia avuto modo di accennarLe alle dif-ficoltà che sono insospettatamente sorte nell’amministrazionedella nostra Casa Editrice. Esisteva a Milano una situazione dellaquale non ero perfettamente a conoscenza. Ho dovuto rimetterein ordine tutta l’amministrazione, affrettare il trasferimento aRoma, ridurre drasticamente le spese e rimediare all’enorme con-fusione che la divisione degli uffici fra Roma e Milano aveva pro-vocato. Ora finalmente, iniziato il trasferimento del magazzino daMilano a Roma, [...], ho un po’ di tempo per riprendere i contattiche avevo interrotti, quello con lei fra i primi81.

Il tentativo di ripresa dei rapporti fra la casa editrice e l’AgenziaLetteraria Internazionale risulta tuttavia insufficiente e tardivo, dalmomento che da ormai un mese Linder si era rivolto a Bazlen, eviden-temente considerandolo una figura interna alla casa editrice, per farglipresente che «quanto a De Marzio, scusami, ma le scuse che ti offreper giustificare i suoi silenzi non significano niente»82. De Marzio dun-que doveva aver già tentato, probabilmente tramite la lettera di Bazlenche si è citata poco sopra, di recuperare i rapporti con Linder, il qualeperò appare irremovibile, e comunica all’amico, senza mezzi termini, lapropria decisione:

capirei non potesse trattare con la dovuta fretta delle questioniamministrative; ma noi chiediamo soltanto risposte editoriali, chepuò mandare benissimo da Roma. [...]. Pensa che non m’ha anco-ra scritto per i libretti - e, se lo facesse ora, non mi fiderei più. [...].Tu sei, personalmente, fortunato, perché ti segue e ti paga; a noinon conviene, in tutta onestà, fare molta fatica e prenderci molteinevitabili arrabbiature [...]. Da parte nostra, quindi, per quanto midispiaccia, [De Marzio] non avrà mai un libro83.

Se dunque a partire dal 1954 i rapporti fra l’Agenzia LetterariaInternazionale e la Fratelli Bocca Editori iniziarono lentamente a gua-starsi, si deve comunque tenere presente che questo non impedì unulteriore sviluppo del progetto di Bazlen, il quale dunque, se da un latocome si è visto tentava di mediare fra le due parti, dall’altro se ne ren-deva del tutto indipendente, portando appunto avanti la propria per-sonale ricerca di libri per l’editore Bocca, o forse unicamente per unapropria idea editoriale in realtà slegata dal catalogo di uno specificoeditore. A proposito della collaborazione con il piccolo editore mila-nese, comunque, significativo è il fatto che tramite una lettera rivolta aLuciano Foà, datata 25 maggio 1954, Bazlen riapra la questione dellacessione ad esso di alcuni titoli da parte di Einaudi, cosa che permettedi ipotizzare la fisionomia del progetto prima del suo abbandono defi-nitivo (almeno per alcuni anni). In prima istanza, infatti, nella sua let-tera il consulente triestino domanda all’amico «a che punto siete (voi,Einaudi) con Norman Douglas»84, autore inglese rispetto al quale evi-dentemente gli era stato richiesto un parere. Tale parere è fornito subi-to di seguito: «i suoi quattro libri che mi avete mandato sono pratica-mente inservibili, e tirate le somme anche molto noiosi». Oltre a que-sto breve giudizio, tuttavia, Bazlen fa presente a Foà che «invece avevomesso «Old Calabria» già molto tempo fa in lista per i miei librettiBocca, i quali libretti, in certi casi, saranno anche libri normali». La pre-senza nella collana dei «libretti» di Bocca di Old Calabria, dunque unresoconto di viaggio ad opera di un autore del Novecento qualeDouglas, sembrerebbe dimostrare il fatto che Bazlen stia infine privi-

Dal 1954 i rapporti tra l’ALIe la F.lli Bocca iniziano aguastarsi.

83 Ibidem. 84 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 25 maggio 1954. Dalla stessa lettera sono tratte le citazioni che seguono.

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L’altra parte di Alfred Kubin.

85 Alfred Kubin, L’altra parte, traduzione di Lia Secchi, Milano, Adelphi, 1965. Le citazioni cheseguono sono tratte dal risvolto di copertina di questa edizione.

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legiando quel progetto di pubblicazioni legate a libri di autori contem-poranei, spesso vicini al genere dell’autobiografia e in qualche modovotati all’approfondimento psicologico che, come si è visto, egli avevasovrapposto all’originario progetto stilato per Einaudi, proponendoalla Fratelli Bocca Editori opere come quelle di Wolfe, della Blixen, diEdmund Gosse. E che a tale versante del proprio progetto egli sembrialludere è testimoniato dal seguito della lettera indirizzata a Foà, nellaquale Bazlen domanda «cosa avete deciso per il Kubin, che, se non lofate voi, lo farei fare qui»: il riferimento è a L’altra parte, un romanzodel 1908 ad opera del disegnatore boemo Alfred Kubin. Solo la datadella prima edizione del libro, insieme alla sua provenienza mitteleuro-pea, dovevano costituire una non indifferente ragione di interesse,tanto più se si considera che il fatto che Kubin non fosse uno scritto-re di professione doveva evidentemente favorire, agli occhi di Bazlen,la spontaneità e la naturalezza della scrittura. Anche solo queste primeintuitive osservazioni possono aiutare a comprendere, dunque, l’attac-camento che Bazlen mostra per questo libro, iniziandolo ad introdur-re all’editore Einaudi a partire dal 1953 e riproponendolo per diversianni alla stessa casa editrice. Come si è visto ormai in diversi casi, illibro consigliato caldamente all’editore torinese troverà spazio soloanni dopo, nel 1965, quando costituirà la prima pubblicazione dellaBiblioteca Adelphi85: chiaro sintomo della forte impronta che il gustodi Bazlen avrebbe dato alla collana di punta della neonata casa editri-ce. Il risvolto di copertina dell’edizione adelphiana, inoltre, permette dicomprendere, oltre alle modalità tramite le quali la casa editrice mila-nese intendeva evidentemente presentare il libro, quelle caratteristicheintrinseche che evidentemente lo avvicinano ai testi autobiografici elegati all’immersione nel sé, insomma al “versante freudiano”, degliinteressi di Bazlen, che egli andava elaborando sin dagli anni Cinquantae del quale quindi la Biblioteca Adelphi accoglie inevitabilmente l’im-pronta. L’altra parte, infatti, costituisce l’unico romanzo di un illustra-tore vittima di «lunghi periodi di crisi psichica», superati appunto solograzie alla composizione di un romanzo (ed alla sua illustrazione): ilgesto della scrittura costituisce dunque «una discesa agli inferi» comequella dell’Orfeo del mito e, con esso, dell’Orfeo di Blanchot, rivelan-

dosi dunque come «una liberazione» per chi scrive; ma gli echi del pro-prio panorama culturale che Bazlen doveva percepire nel libro dell’illu-stratore boemo non si limitavano forse solo a questo, se si considera chelo «scenario del suo [di Kubin] unico romanzo», una città immaginariadal nome di Perla, «è impregnato dei chiaroscuri di Praga, [...] città delGolem e di alchimisti», nonché città di Kafka, «il quale conobbe Kubin,l’ammirò e ne subì l’influenza, tanto che nelle sue opere si ritrovano,soprattutto nel Castello, alcuni dei motivi fondamentali di L’altra parte»86. Tanto l’opera di Norman Douglas quanto quella di Alfred Kubin, dun-que, sebbene provenienti da «mondi» molto diversi fra loro, sembranotestimoniare il fatto che Bazlen lasci gradualmente decadere l’inizialeprogetto di pubblicazione di «tutti i testi mitologici, religiosi, iniziatici,folkloristici ecc. che vengono comunemente citati nei libri di psicolo-gia, antropologia, storia delle religioni»87: è però ad essi che, rendendoancora più ostica la descrizione della sua idea di collana per Bocca,come per qualsiasi altro editore, Bazlen fa riferimento subito di segui-to alla richiesta di informazioni circa Douglas e Kubin. Chiedendo di«quella lista di libri di documenti religiosi, cosmogonici, eccetera, cheti ho mandato molto tempo fa»88, infatti, egli parzialmente smentiscequanto si è appena ipotizzato, ovvero l’abbandono del progetto dipubblicazione di opere afferenti al pensiero junghiano: un progetto alquale appunto in chiusura della lettera del 25 maggio 1954 egli sembrariallacciarsi, per tradurlo, come inizialmente aveva prospettato, pressoil piccolo editore. Dalla lettura del carteggio con Linder, peraltro,emergono ulteriori titoli chiaramente riferiti a tali ambiti culturali,ovvero, in primo luogo, il saggio Philosophies of India di Heinrich RobertZimmer, che fa pensare che la scelta non fosse solo riferita a testi anto-logici, ma anche a saggi veri e propri (di quello di Zimmer, in partico-lare egli scrive che è «bellissimo, e che - se sarà ancora libero - farò di

Philosophies of India diHeinrich Robert Zimmer.

86 Bazlen, d’altronde, evidentemente concepiva l’influenza fra Kubin e Kafka come reciproca. Adimostrarlo è una testimonianza di Giorgio Zampa, il quale, descrivendo il proprio incontro conl’intellettuale triestino, così ricorda: “avevo scritto da qualche parte, tempo prima, una nota su unromanzo di Alfred Kubin, L’altra parte, affermando [...] che non trovavo nella narrazione nulla dikafkiano. Bazlen aveva sostenuto il contrario e ora voleva, disse, conoscere il mio punto di vista”.Cfr. Giorgio Zampa, Lo sconosciuto disse: sono Bobi, in “Il Giornale”, 13 settembre 1985, p. 28. 87 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953. 88 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 25 maggio 1954.

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Il diverso pubblico di lettori Einaudi e Bocca.

89 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1955,b. 7, fasc. 42 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 8 gennaio 1955. 90 Si veda a questo proposito l’edizione italiana del libro, che non fu pubblicato dalla FratelliBocca Editori. Il libro tibetano della Grande Liberazione: il metodo per realizzare il Nirvana attraverso laconoscenza della Mente, a cura di W.Y. Evans-Wentz, con un commento psicologico di C.G. Jung,Roma, Newton Compton, 1975. 91 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1955,b. 7, fasc. 42 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 8 gennaio 1955. 92 Ibidem. 93 Ibidem. 94 Ibidem.

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tutto per far c o l t e m p o - ora peserebbe troppo»89) . Ad esso siaggiunge Tibetan book of the great liberation, un testo non a caso oggettodi un commento ad opera dello stesso Jung90, e che Bazlen connetteesplicitamente con l’elenco di proposte einaudiane, indicandolo comeun libro che «dopo il Milarepa, farò di tutto per far fare»91 . Di fatto,dunque, la nuova formulazione delle proprie idee sembra prevederel’accostamento dei due, per quanto molto ampi, ambiti tra i qualiBazlen aveva oscillato nei diversi momenti del proprio progetto, costi-tuendo l’apertura di una nuova, e diversa dalle precedenti, prospettivaeditoriale: accanto alla scelta di «libri normali»92 insieme ai «libretti»93,dunque con ossequio agli aspetti materiali ed al formato del libro,Bazlen infatti sembra infine optare per anche per un accostamento deidue gruppi che egli aveva, non si sa quanto consapevolmente, costitui-to sulla base di criteri di ordine contenutistico. Può risultare disorientante, infine, il fatto che il chiaro tentativo cheBazlen nuovamente attua per “trapiantare” almeno una parte delleopere “junghiane” presso Bocca si trovi all’interno di una lettera perl’editore Einaudi, nella quale egli, consigliando a Foà la visione delcatalogo di un editore tedesco, specifica quanto segue: «io mi sono poiguardato tre volumi di questa collezione per Bocca, che per molteragioni non possono interessare la Bocca, ma invece, dato il genere dilettori e particolarmente di acquirenti vostro, parecchio voi»94. La con-sapevolezza che si trova qui espressa circa il fatto che il pubblico diBocca potesse essere anche molto diverso rispetto a quello di Einaudinon sembra dunque costituire un ostacolo rispetto al tentativo di vede-re il progetto pensato per un editore realizzato da un altro: un tentati-vo la cui attuazione si pone evidentemente con sempre maggioreurgenza, dal momento che già in agosto Bazlen torna a sollecitare

l’amico con una certa insistenza riguardo ai «testi religiosi ecc»95, sotto-lineando la propria necessità di «avere una risposta al più presto»: unasollecitudine che presumibilmente si spiega con l’inizio dello sposta-mento da Milano a Roma della Fratelli Bocca Editori e che portaBazlen, in quello che sembra un insieme di dispetto e necessità di incal-zare una risposta da parte di Einaudi, a formulare la propria richiestaa Foà come segue: «devo prendere parecchie decisioni intorno a Boccaed ho bisogno di sapere se, o quali, rimangono liberi (ti ripeto ancorauna volta la preghiera di mandarmi, se non li fai, i testi che vi siete pro-curati nel frattempo)». Alla «preghiera» dell’amico, Foà risponde unpaio di mesi dopo, forse dopo avere nuovamente consultato il comita-to editoriale einaudiano:

testi religiosi ecc. : ti devo dare una risposta su questo punto. Hoguardato la lista delle tue proposte, e ritengo che, per non rovinar-ti la possibilità di fare la collana con Bocca, possiamo lasciarti vialibera su tutto, a parte il Popol Vuh, per il quale una decisione èstata presa qualche mese fa, quando ancora eravamo dell’idea diinserire alcune delle opere da te proposte nelle diverse nostre col-lane. Spero che la mancanza del Popol Vuh non danneggi troppola tua progettata collana, ma non vedo proprio come, in questomomento, si possa ritornare sulla decisione presa dal Consiglioeditoriale. Aggiungo che nella tua lista era comparso anche Ilsogno della camera rossa che facciamo e che come ti devo aver giàscritto a quel tempo, era già stato deciso prima della tua segnala-zione insieme ad altri romanzi classici cinesi. Per tutto il resto puoiquindi procedere96.

Attraverso la lettera di Foà, quindi, la casa editrice Einaudi fornisce aBazlen il consenso alla realizzazione presso un altro editore delle dodi-ci proposte, connotate esplicitamente come una «progettata collana»,che egli aveva avanzato nel luglio del 1953: a parte i due titoli che,come si è visto sopra, vennero effettivamente pubblicati pressoEinaudi, e quelli che già appartengono alla casa editrice torinese, sem-bra dunque di poter leggere nelle parole di Foà la possibilità di una

La scelta einaudiana delPopol Vuh.

95 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 8 agosto 1954. Dalla stessa lettera sono tratte le citazioni che seguono.96 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 8 ottobre 1954.

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La rottura fra Linder eFratelli Bocca.

97 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1955,b. 7, fasc. 42 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 17 febbraio 1955. 98 Ibidem.

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positiva realizzazione del progetto di Bazlen. Come si è visto, tuttavia,per quanto si è potuto verificare essa nei fatti non verrà concretizzata,vista la rottura dei rapporti fra l’Agenzia Letteraria Internazionale e laFratelli Bocca Editore sancita dalla lettera di Linder del febbraio 1955:a questo proposito, comunque, resta da porre in rilievo l’allusione,nella stessa lettera, da parte di Linder ai «due libretti già pubblicati»97,che non risultano nei cataloghi della Bocca ma che, vista la descrizio-ne che l’Agente letterario ne fornisce, sembrano corrispondere allepubblicazioni che Bazlen aveva pensato per l’editore: «Secondo me èstato un errore farne soltanto due: avrebbe dovuto uscire con quattro,tutti insieme, e tutti di diversi colori. Questi due si assomigliano trop-po, e, con la distribuzione già piuttosto difettosa della Bocca, in libre-ria non si vedono affatto»98.

4.1.1 Il fallimento dei rapporti con la Fratelli Bocca Editori.

La lettera di Erich Linder che si è citata in chiusura del predente para-grafo sembra dunque testimoniare il completo fallimento di un’ideaeditoriale sviluppata nel corso di due anni, fra il 1953 e il 1955, e pro-posta parallelamente a due diversi editori: un fallimento che, come si èvisto, trova ragione in una serie non indifferente di cause esterne allavolontà di Bazlen, ma che appunto si può anche spiegare con elemen-ti solo a lui riconducibili, e descrivibili come una personale riluttanzaad assumere e portare avanti un punto di vista univoco su un qualsia-si tema. Per queste stesse ragioni, il progetto che come si è visto era giàstato apertamente accantonato da Einaudi e lentamente abbandonatoda Bocca non solo viene nuovamente presentato sin dal 1956, maancora una volta è sottoposto a riformulazioni, modifiche, sviluppiulteriori rispetto a quanto era già stato un discorso in fieri nei due anniprecedenti. Non è a questo punto difficile comprendere come a pro-posito della figura di Bazlen nelle sue collaborazioni con vari editori,di cui Einaudi è un esempio particolarmente significativo, si possa

affermare che sostituì «alla posizione del critico quella del lettore»99,anteponendo, cioè, il proprio gusto, le proprie curiosità, il sovrapporsispesso disordinato delle proprie letture alla costituzione di una collanadalla fisionomia ben definita. Se si considera la figura di Bazlen, dun-que, si può affermare che nel suo caso l’identità dell’editore, consisten-te più di tutto nel «ruolo, assegnato a un individuo o a un gruppo dipersone diverse: direttori di collana, redattori, consulenti»100, risulti inmolti casi compromessa. Essa, infatti, prevedrebbe in primo luogo la«configurazione di un progetto editoriale»101, dunque il «dar corpomateriale al passaggio dal “testo di uno scrittore” al “libro di un letto-re”, e più precisamente di un lettore potenziale che deve inverarsi in unlettore reale»102. Non è difficile, alla luce di quanto si è osservato fin daora e si osserverà in seguito, notare come appunto la figura del “letto-re potenziale” al quale Bazlen pensava nella stesura dei propri proget-ti non si concretizzi mai in quella di «un lettore reale», se si eccettuaforse il caso di quei “lettori di “Adelphi”»103 ai quali egli potrà rivolger-si negli anni Sessanta. Prima del progetto adelphiano, comunque perlui solo in parte realizzato, in quanto immediatamente precedente lasua morte, nel suo operato è tuttavia possibile riscontrare innumerevo-li esempi di quanto si è appena osservato. In primo luogo, infatti, allarottura dei rapporti fra Erich Linder e la Fratelli Bocca Editori seguiràl’allontanamento di Bazlen da questi ultimi, probabilmente in seguitoalla consapevolezza dell’impossibilità, ancora una volta, di vedere rea-lizzati i propri progetti. L’insoddisfazione rispetto alla collaborazione con Bocca emerge infat-ti chiaramente da una lettera che Bazlen scrive a Linder il 27 agosto1956, nella quale egli denuncia il fatto che «De Marzio ha poca vogliadi fare l’editore, io ancora meno di fare il consulente per un editore chenon ha voglia»104: un’insoddisfazione che lo porta a non farsi scrupolinel considerare «libero», ovvero cedibile, un libro come Prancing niggerdi Ronald Firbank, come si è visto uno dei primi proposti per la colle-

La “supremazia” del lettore.

I lettori di Adelphi.

Prancing nigger di RonaldFirbank.

99 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro cit., p. 89. 100 Alberto Cadioli, L’editore e i suoi lettori, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2000, p. 30.101 Ibidem. 102 Ibidem. 103 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 330. 104 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 27 agosto 1956.

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105 Ibidem. 106 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 26 aprile 1956. 107 Ibidem. 108 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 1 maggio 1956.

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zione di Bocca. Rispetto ad esso ora Bazlen scrive a Linder: «ricordatisoltanto, se tu dovessi vendere i diritti ad altri, che da Bocca trovano,pronta, una traduzione ben fatta»105. Questo primo gesto di allontana-mento dall’editore, d’altronde, era stato anticipato da alcune conside-razioni fatte nel maggio dello stesso anno in risposta a una lettera diLinder. Quest’ultimo, infatti, si era espresso con un certo dispetto persollecitare una risposta circa appunto il libro di Firbank, al quale dun-que l’editore doveva ancora essere legato da un contratto: «proprio ieriho visto che Bocca ha ripreso a pubblicare (cose assolutamentemostruose in verità), e prima di annullare il contratto, vorrei sentirequalcosa da te»106. Al risentimento di Linder, che fra l’altro con scarsadiplomazia denuncia «lo stato comatoso di Bocca»107, Bazlen rispondeappunto pochi giorni dopo, informando l’amico che «si dovrebbe fareun programma, ma non credo lo si potrà fare [...] prima del 10 - 15 diquesto mese. (del resto [...] soltanto verso quella data vaglierei se miconvenga o non mi convenga continuare)»108. In sostanza Bazlen anti-cipa l’abbandono progressivo del proprio ruolo di consulente editoria-le per la piccola casa editrice e a partire da questo momento intrapren-de il tentativo di ridistribuire i titoli presso altri editori. A testimoniar-lo, per fare un primo esempio, è una lettera che l’anno successivo, il1957, Bazlen indirizza a Vanni Scheiwiller, evidentemente interessato auna delle opere che erano state di Bocca: che il testo in questione sitrovi nominato qui per la prima volta, peraltro, costituisce un indice delfatto che il carteggio con Linder, per quanto molto utile per cercare diricostruire il lavoro di consulenza che Bazlen svolse per Bocca, nonpuò comunque fornire notizie del tutto complete. Ad ogni modo, dallasua risposta si può leggere solo il nome dell’autore dell’opera, ovverol’orientalista Ernest Fenollosa: ma considerando che di essa Bazlentornerà a parlare ad Einaudi, collegando il titolo appunto ai nomi diScheiwiller e Bocca, non è improbabile l’ipotesi che si tratti diL’ideogramma cinese come mezzo di poesia: una ars poetica, che appunto

Scheiwiller pubblicherà nel 1960109. A proposito di essa, appunto nel1957 Bazlen risponde all’editore informandolo che

malgrado tutte le ricerche, testo e traduzione del Fenollosa sonoirreperibili, come del resto è andato smarrito da Bocca quasi tuttoquello che avevo consegnato io stesso. Mi dispiace molto, maveramente contro quella gente non so più che fare110.

La stessa acredine che, dopo la fine della loro collaborazione, avevacaratterizzato i pareri di Bazlen a proposito di Astrolabio e MarioMeschini Ubaldini è dunque percepibile anche nelle parole che eglidedica a Bocca. E che ci possa essere una somiglianza nel tipo di rap-porto che egli intrattenne con i due editori, quantomeno rispetto alseguito che le proposte di Bazlen ebbero presso di loro, è d’altrondeconfermato da quanto, il 12 febbraio 1958, egli risponde a Linder, evi-dentemente in seguito a una sua specifica richiesta in merito: «tenterò(tenterò!) di mandarti elenchi traduzioni non pubblicate Astrolabio eBocca. Ma pescare quella gente (e dopo pescata, farla funzionare) istmuehe, muehe, muehe [è difficile, difficile, difficile]»111. Nella stessa let-tera, peraltro, egli torna a parlare anche del Prancing nigger di RonaldFirbank, che evidentemente fra il 1956 e il 1958 non era ancora riusci-to a “sistemare” presso un qualche editore: «di Bocca, oltre alParacelso di cui ti avevo parlato, e di cui ti manderò un esemplare,bisognerebbe sistemare ancora la traduzione (di Sereni) del PrancingNigger di Firbank. Hai qualcuno a cui lo potresti proporre?»112. Quellache nel 1956 Bazlen aveva vagamente indicato come «una traduzioneben fatta»113, si configura ora come opera di Vittorio Sereni: cosa che

La fine dei rapporti conBocca e Astrolabio.

109 Ernest Fenollosa, L’ideogramma cinese come mezzo di poesia: una ars poetica, introduzione e note diEzra Pound, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1960. A questo libro Bazlen presumibilmente siriferisce in una lettera del 17 gennaio 1959, rivolta a Luciano Foà, nella quale riferisce che “unlibretto che abbiamo perduto (ci tenevo moltissimo) era il Fenollosa, che avevo fatto tradurre perla collenzioncina Bocca, e che poi hanno dato al Vanni Scheiwiller (che lo deve aver pubblicatoin questi ultimi mesi)”. Cfr. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamentoBazlen, lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà, 17 dicembre 1959. 110 Università degli Studi di Milano - Centro Apice, Archivio Scheiwiller (in corso di riordino),Carteggio Vanni, fasc. Bazlen Roberto, lettera di Bazlen a Vanni Scheiwiller, 22.11.1957.111 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1958,b. 10, fasc. 54 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 12 febbraio 1958. 112 Ibidem. 113 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 27 agosto 1956.

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114 Ronald Firbank, Il cardinal Pirelli; La principessa artificiale e fuoco nero, cura e prefazione di GiorgioManganelli, traduzione di Diana Bonacossa e Vittorio Sereni, Milano, Feltrinelli, 1964. 115 Roberta Cesana, “Libri necessari”: le edizioni letterarie Feltrinelli (1955-1965), Milano, EdizioniUnicopli, 2010, p. 502. 116 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 11.117 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 13 dicembre 1956. Dallastessa lettera sono tratte le citazioni che seguono.

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forse ne agevolò la vendita, che si tradurrà nella pubblicazione dellibro, pochi anni dopo, nella collana «I narratori di Feltrinelli»114, comeuno dei «ben cinque romanzi di Firbank [che] erano stati acquistati daFeltrinelli, tramite Linder, fin dal 1959»115. Come era avvenuto in occasione dell’abbandono del progetto di colla-na presso Einaudi nel 1953, dunque, Bazlen molto presto si mobilitaper fare sì che le proposte che egli ha avanzato per il programma di uneditore non cadano completamente nel vuoto, ma possano trovarecomunque posto nel panorama editoriale italiano: un aspetto del suoagire nel mondo editoriale che, come si è visto, corre parallelamentealla costante riformulazione e rivisitazione dei suoi stessi progetti. Sipuò allora, forse, vedere in questo un’ulteriore dimostrazione di quel-la ricerca del nuovo e del mutamento che era particolarmente caratte-ristica del suo metodo di lavoro. «Per tratteggiare i contorni di un’esi-stenza nutrita di libri, il ritratto di un uomo che credeva nella letteratu-ra sbocciata dalla vita è [...] necessario intrecciare strettamente rico-struzione biografica e indagine culturale»116: tale osservazione di Giuliade Savorgnani induce allora a considerare da un particolare punto divista quanto emerge dal carteggio con l’amico Erich Linder, dal qualecome si è visto spesso risultano con chiarezza gli umori e i progettianche personali di Bazlen. Sin dalla fine del 1956, infatti, da una lette-ra scritta all’amico emerge il suo bisogno di «ricominciare a farmi unacultura ab ovo»117. Per questa ragione, egli chiede a Linder di vendereper lui alcuni suoi libri di cui si dice «carico», e che considera ormai «dabuttarsi via», per trarne denaro da spendersi in libri nuovi, in questocaso presentati attraverso l’indicazione di un generico campo temati-co: «Aegypten! - per cui, se hai all’agenzia libri sull’Egitto, per favore,mandare».

Ho per es. la prima o la seconda edizione (erano leggermente

diverse) dell’epistolario di Rilke in sei volumi, [...]. Ora, l’epistola-rio di Rilke spero di dimenticarmelo. Se lo dovessi mai riprende-re, prenderei in mano, direi, unicamente i due volumi dell’episto-lario con la Thurn und Taxis, nel qual caso, of course, rileggereile lettere di lei, e non quelle di lui.

È questa la considerazione che Bazlen riserva all’insieme delle letteredi Rilke, che in buona parte, come si è visto nel secondo capitolo delpresente lavoro, egli aveva previsto di pubblicare nella collana «Mondie destini» delle Nuove Edizioni Ivrea. Al di là del sarcasmo che carat-terizzava spesso lo stile delle sue lettere - e che altrove gli fa scrivere, aproposito della medesima questione, che «il tutto va venduto a chilo (ilche è un ottimo modo di fare la critica letteraria)»118 - si può dunqueipotizzare, anche sulla base di semplici osservazioni quotidiane comequella che si appena citata, come egli percepisse forse una necessità dirinnovamento delle proprie personali letture. Il «metodo» per fare que-sto, che alla luce di quanto si è visto fino ad ora si può immaginare egliapplicherà anche al proprio successivo lavoro editoriale, è d’altrondeda lui chiaramente esposto: «investo cultura passata in cultura futura, earrivo ai libri che attualmente mi sono essenziali».

4.2 Dalle collezioni «grande» e «piccola» alla «Collezione dell’io».

Negli anni dal 1954 al 1959, come si è detto in apertura del presentecapitolo, il ruolo di consulente editoriale rivestito da Bazlen per la casaeditrice Einaudi non fu abbandonato, ma al contrario semmai raffor-zato dalla presenza, già dal 1951, dell’amico Luciano Foà come segre-tario generale della casa editrice. Non stupisce dunque che l’idea diBazlen rispetto alla creazione di una collana organizzata secondo il suogusto trovi nuovamente espressione, dopo i contatti intessuti con altrieditori, proprio presso Einaudi, che per primo aveva declinato la pro-posta. La probabile dispersione di alcune lettere del fascicolo dell’ar-chivio dell’editore dedicato alla corrispondenza con il consulente trie-stino non permette, purtroppo, di ricostruire con precisione le circo-

118 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1958,b. 7b, fasc. 10 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 15 marzo 1957. Dallastessa lettera è tratta la citazione che segue.

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119 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. Dalla stessa lettera sono tratte le citazioni che seguono.

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stanze e le modalità del varo del nuovo progetto editoriale: ma la natu-ralezza con cui Bazlen ad esso si riferisce nella prima lettera che neporta traccia rende molto probabile il fatto che prima di essa il proget-to fosse evidentemente già stato discusso, anche solo in conversazionipersonali fra Bazlen e Foà. Difatti, il 19 dicembre 1959 egli inviaall’editore un elenco di libri, che si riporta di seguito, sotto la sola inte-stazione di «Collezione piccola»119, anticipato da nient’altro che dueproposte di singoli titoli in quegli stessi giorni, e presentato unicamentecome l’insieme di «quelli che potrebbero essere i primi dodici volumet-ti». Rispetto ad essi Bazlen fa solo alcune puntualizzazioni, ad esempioosservando che «se si potesse avere la traduzione del Tiro all’arco diHerriegel, la si pubblica subito, e si rimanda uno di questi dodici»:un’ipotesi valida tanto più se si considera che «visto che anche voi avre-te delle preferenze, [...] o che so io, Vi indico un secondo gruppo, egual-mente di dodici, dai quali si potrà attingere, e che, comunque, andrebbe-ro presi in considerazione per la pubblicazione in un secondo tempo».Di seguito, dunque, si riportano testualmente entrambi gli elenchi:

1. Il libro del Tè2. Cabeza de Vaca3. Hogg: Peccatore4. Vita della contadina, raccontata a Tolstoi5. Musil: Ueber die Dummheit [Sulla stupidità]

(una lunga conferenza - molto bella)6. Fukazawa: à propos des chansons7. Tutuola: Bevitore Vino di Palma 8. Sauvageot: Commentaire (pensarci. Chiedere a Daniele

[Ponchiroli] se l’ha finito). 9. Daumal : Monte Analogue10. Ortega: un saggio

(o diversi. Aspetto di vedere il volume di Sergio Solmi)11. Una novella lunga (o un gruppo organico di novelle) di Dery. 12. Nossak: Der Untergang

(la distruzione di Amburgo, di cui vi ho parlato)

Gruppo di riserva (Artaud, naturalmente, lo pubblicherei volentieri trai primi, ma ci saranno pasticci di diritti di autore, ricerca testi, ecc.)

1. Artaud: Au pays des Tarahumeras (con aggiunti altri scritti del Messico)

2. Mandelstam: I due “racconti” (di cui non conosco che il Francobollo egiziano)

3. Wedekind: Mine Haha4. Thurn und Taxis: Ricordi di Rilke 5. Dahlberg: The Flea of Sodom6. Kierkegaard

(documenti di K. - o forse, con meno entusiasmo lettere a Regina. Aspetto di ricevere il vol. inglese di documenti [...])

7. Le satire del giovane polacco di cui Vi ho scritto ugualmente oggi.

8. The Way of a Pilgrim (l’autobiografia del Pellegrino Russo)9. Poesie e racconti dei gauchos10. Olecha: L’invidia (se non ripubblicato in Italia) 11. Una nobilissima riduzione per la radio francese

di un dramma leggendario taoista12. Un racconto lungo della Lagerlof

È bene puntualizzare, preliminarmente alla descrizione di titoli che sisono appena citati, il fatto che subito di seguito all’elenco relativo alla«Collezione piccola», Bazlen ne presenti anche uno relativo ad una«Collezione grande», sul quale si avrà modo di tornare. Per il momen-to, comunque, è sufficiente osservare quello che sembra un ritorno aduna fase intermedia del progetto formulato qualche anno prima perBocca, che appunto prevedeva la distinzione fra due gruppi di libri, inbase a criteri tanto materiali quanto contenutistici: il che fa pensare chenella creazione del nuovo prototipo di collana Bazlen tendenzialmen-te si riferisca a esso, ritraducendo presso Einaudi, per certi aspetti,quanto era stato pensato per Bocca. È inoltre interessante soffermarsisulle indicazioni che egli stesso fornisce subito di seguito all’esposizio-ne del primo elenco, le quali forniscono insieme una dimostrazione del

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120 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 77. 121 Massimo Cacciari, Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento, Milano, Adelphi, 1980, p.222. 122 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 13.123 Ibidem. 124 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 77. 125 Ibidem.

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metodo di lavoro che si sta cercando di descrivere in queste pagine eduna chiosa ad esso. Una volta presentato un elenco di titoli che eglistesso denota come «collezione», dunque almeno in teoria uno «spaziocircoscritto [il corsivo è di chi scrive] dentro il catalogo di un editore»120,Bazlen infatti aggiunge che i titoli proposti sono da considerarsi «conriserva di cambiamenti strada facendo»; tali cambiamenti sembranoconsistere nell’integrazione dell’elenco «sia [con] testi da pubblicarsipresto per ragioni di attualità, sia [con] nuovi libri scoperti». Il criterioprimario nella costituzione delle sue collezioni, dunque, è prevalente-mente quello dell’urgenza, dell’«attualità», della scoperta di libri semprenuovi che, meglio di quelli precedentemente proposti, aderiscano adun interesse ed uno stimolo vitale e collocato nel presente: è anchequesto aspetto, peraltro, che contribuisce a configurare il suo metodopiù che altro come «lettura, non magistero interpretativo»121. Resta fermo, comunque, il fatto che accanto a quanto si è appena vistoBazlen specifica anche che «per Vostra norma: ho in riserva dozzine edozzine di altri titoli», un’osservazione che permette di osservare comeaccanto ai libri «nuovi» egli si ripromettesse di proporre quei titoli,alcuni in parte già considerati, ai quali era per qualche ragione legatoda tempo. Ad ogni modo, è a questo punto ancora più evidente, per-ché riconosciuta da Bazlen stesso, la sua quasi completa avversioneall’idea di creare un modello di collana coerente e stabile nel tempo:un’avversione che in primo luogo risponde, a parere di chi scrive, aduna scelta consapevole, dettata dalla concezione, all’insegna di un fortevitalismo, del libro «quale veicolo di idee e di immagini nuove»122, dun-que quale «fonte di felicità non solo per chi lo scrive o lo legge, maanche per chi contribuisce a farlo esistere»123. Non è difficile osservarecome tale concezione poco si accordi con la definizione di collanacome unificazione, «sotto un unico titolo e per lo più sotto una comu-ne grafica»124, di «libri affini per aree tematiche, per genere, per tenden-za»125. La presentazione di un insieme di titoli accomunati anche solo

da un «suggerimento editoriale per la [loro] modalità di ricezione»126,infatti, dal suo punto di vista corrispondeva evidentemente anche adun “irreggimentare” il libro, un “imbrigliarlo”, privandolo così dipotenzialità interpretative da parte del pubblico. È allora forse possibi-le vedere un ulteriore reciproco nesso fra l’agire editoriale di Bazlen ela sua identità di scrittore mancato: Il capitano di lungo corso, infatti, pro-prio allo stesso modo del progetto di varo di una collana che egli portaavanti per anni senza mai riuscire a realizzarlo, «rimane volutamenteincompiuto»127, e dà piuttosto la precedenza «al suo predisporsi all’ac-cadere, restando strutturalmente aperto»128.Resta però il fatto che la personale resistenza alla concreta realizzazio-ne di un progetto editoriale (comunque anche ostacolata dalla scarsaaccondiscendenza degli editori) è controbilanciata dallo stesso Bazlencon il continuo tentativo di creare quelle stesse collane, le quali costi-tuiscono la prova di un’onesta messa in discussione delle proprie ideee del proprio metodo. Ed è appunto da questo punto di vista che èopportuno cercare di analizzare l’elenco di testi che si è citato pocosopra, rispetto ai quali è evidente soprattutto un’evoluzione rispettoall’idea che era sottostata alla proposta formulata nel luglio del 1953per lo stesso editore Einaudi: nel progetto del 1959, infatti, i «testimitologici, religiosi, iniziatici, folkloristici»129, che come si è detto siriferivano prevalentemente ai fondamenti del pensiero junghiano, ven-gono sostituiti da una serie di titoli che ad un primo sguardo appaionoper lo più collocati nella contemporaneità, e riconducibili ad un piùampio e generico interesse antropologico, o comunque non stretta-mente letterario, soprattutto per quanto riguarda la scelta di opereromanzesche. Nell’elenco dei libri che avrebbero dovuto comporre la«Collezione piccola», comunque caratterizzato da una forte commi-stione di generi, le opere romanzesche appaiono infatti in minoranza,essendo solo quattro su un gruppo di ventiquattro proposte. Ècomunque interessante notare che nella loro totalità esse costituisconoun insieme abbastanza organico, riconducibile essenzialmente ad unaforte impronta memorialistica ed autobiografica: Laissez moi

Nella Collezione piccola unaforte commistione di generi.

126 Ibidem. 127 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 109. 128 Ibidem. 129 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953.

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La scarsa incidenza delleproposte di narrativa.

130 Hans Erich Nossack, La fine. Amburgo 1943, Bologna, Il Mulino, 2005. 131 René Daumal, Il Monte Analogo. Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche,Milano, Adelphi, 1968. 132 La definizione dei libri della Biblioteca Adelphi come “libri unici” è tratta dal risvolto di coper-tina delle prime pubblicazioni della collana. Su questo aspetto si avrà comunque modo di torna-re in seguito. 133 Roberto Calasso, Così inventammo i “libri unici”. Da Nietzsche a Kubin, Hesse e Walser, in “LaRepubblica”, 27 dicembre 2006, pp. 56-57. 134 René Daumal, Il Monte Analogo. Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche,Milano, Adelphi, 1968. La citazione è tratta dal risvolto di copertina. 135 Jurij Karlovic Oleša, Invidia e I tre grassoni, saggio di Vittorio Strada, traduzioni di GiulioDacosta e Clara Coïsson, Torino, Einaudi, 1969. 136 Si veda a questo proposito Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trentaagli anni sessanta cit., p. 329.

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(Commentaire), unica opera della francese Marcelle Sauvageot, è infattiil racconto, in forma epistolare, della lenta agonia di una giovanedonna colpita dalla tubercolosi, nella quale si ritrova l’immagine del-l’autrice, morta appunto a trentaquattro anni. Allo stesso modo, allaforza dell’esperienza personale è riconducibile il romanzo, pubblicatoin Italia con il titolo di La fine. Amburgo 1943130, di Hans Erich Nossack,costituito dall’allucinata descrizione della propria città natale rasa alsuolo durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. È infi-ne di particolare interesse la presenza, nel minuto gruppo di romanzifacenti parte della «Collezione piccola», de Il Monte Analogo del filoso-fo francese René Daumal: un testo che costituirà la diciannovesimapubblicazione della Biblioteca Adelphi131, che Roberto Calasso addirit-tura ha descritto come «l’asse [...] verso cui la flottiglia dei libri unici [diAdelphi]132 orientava la rotta»133. Ed è appunto interessante notare chenel risvolto di copertina dell’edizione adelphiana questo romanzo diavventure sia descritto come la trasposizione del pensiero «lentamentematurato nelle esperienze dell’autore»134, con una forte messa in luce,quindi, dell’aspetto personale e in qualche modo autobiografico che locaratterizza. Non è a questo punto forse improprio notare che il soloromanzo, fra quelli proposti, che presenzierà nel catalogo di Einaudi,all’interno dei «Supercoralli», sarà l’unico completamente estraneo algenere autobiografico, o alla presenza di una sua componente neltesto: si tratta cioè di Invidia135, opera risalente al 1922 dello scrittorerusso Jurij Karlovic Oleša, la cui pubblicazione, comunque, era discus-sa da molti anni all’interno della casa editrice136. Alla scarsa incidenza delle proposte di Bazlen sul piano dei romanzi fada riscontro un insuccesso simile sul fronte delle opere di narrativa

breve, la cui scelta appare in effetti più coerente con l’intestazione dellacollana come «Collezione piccola»: a ulteriore conferma del fatto chein questo caso Bazlen sembri sviluppare il progetto intrapreso conBocca, si può in effetti ricordare che già dal dicembre del 1953 egliaveva parlato della propria volontà di pubblicare, eventualmente, «sol-tanto quel “cuore” comprimibile in una ottantina o poco più di pagi-ne»137, evidentemente, dunque, privilegiando l’aspetto delle ridottedimensioni degli scritti proposti. Di fatto, comunque, tutte le novelleed i racconti proposti per la «Collezione piccola» einaudiana non ver-ranno pubblicati dall’editore: è questo infatti il caso di Amos Tutuola,autore nigeriano, così come dei racconti di Dery, di Mandel’štam, dellascrittrice svedese Selma Lagerlöf, infine di Mine Haha del tedescoFrank Wedekind. Rispetto a questi autori, peraltro, non sarà possibileleggere da parte di Foà, dunque in realtà da parte della casa editriceEinaudi, una risposta puntuale, come ad esempio era avvenuto in occa-sione della proposta formulata da Bazlen nel 1953. È però indicativoil fatto che, come in molti altri casi, almeno due dei titoli proposti perla sezione della «Collezione piccola» dedicata a novelle e racconti sitrovino pubblicati anni dopo presso Adelphi: è questo infatti il caso deIl bevitore di vino di palma, di Amos Tutuola, pubblicato nel 1983 nella«Biblioteca Adelphi»138, e di Mine Haha, che invece troverà posto nella«Piccola Biblioteca Adelphi»139. Si inizia così a prospettare l’ipotesi, giàin parte sollevata in questa sede, di una derivazione delle collane adel-phiane da quelle che in anni precedenti Bazlen aveva proposto ad altrieditori. Tale ipotesi, peraltro, trova forse un’ulteriore dimostrazionenella distinzione, all’interno appunto del catalogo Adelphi, fra una col-lana “grande” ed una “piccola”, unite sotto il comune nome di«Biblioteca»: un nome che come si è visto probabilmente deriva daun’altra idea di Bazlen, ovvero l’imitazione del modello della collanatedesca «Bücherei» [Biblioteca] della casa editrice Insel di Lipsia. Ilfatto che il ruolo di Bazlen per la costituzione della «Biblioteca» e della«Piccola Biblioteca» adelphiane sia un aspetto del suo lavoro editoria-le che merita di essere approfondito è d’altronde ulteriormente confer-

137 Ibidem. 138 Amos Tutuola, La mia vita nel bosco degli spiriti - Il bevitore di vino di palma, traduzione di AdrianaMotti, con una nota di Itala Vivan, Milano, Adelphi, 1983. 139 Frank Wedekind, Mine Haha, ovvero Dell’educazione fisica delle fanciulle, traduzione di VittoriaRovelli Ruberl, con un saggio di Roberto Calasso, Milano, Adelphi, 1975.

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L’interesse per l’EstremoOriente.

140 Schichiro Fukazawa, Le canzoni di Narayama, traduzione di Bianca Garufi, Torino, Einaudi, 1961. 141 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 85.142 Ibidem. 143 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 144 Ibidem. 145 Ibidem.

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mato, oltre che dagli elementi di presentazione «formale» delle collaneche si sono appena descritti, anche da casi come quello della pubblica-zione dei racconti di Amos Tutuola, la cui traduzione ad opera diAdriana Motti è forse riconducibile appunto anche all’amicizia che lalegava a Bazlen sin dai tempi della sua collaborazione con Einaudi. Lostesso tipo di mediazione fra la casa editrice torinese e traduttori chele sarebbero in seguito stati fedeli vale fra l’altro per un altro titolo diquelli proposti nel 1959, uno dei pochi che Einaudi scelse di pubblica-re: si tratta dell’opera dello scrittore giapponese Schichiro Fukazawadal titolo Le canzoni di Narayama140, la cui traduttrice, Bianca Garufi, ècitata, appunto insieme ad Adriana Motti, come una delle «amicheromane»141 di Bazlen, che all’interno della casa editrice Einaudi erano«fra i collaboratori meno noti ma [a lui] più cari»142. La scelta di que-st’opera per la nuova versione della «Collezione piccola», peraltro,costituisce una delle rare proposte che possano essere ricondotte aglistimoli che egli aveva tratto dal pensiero junghiano, e che avevanodeterminato la totalità delle scelte dei titoli per la prima collana propo-sta ad Einaudi, nel 1953. La proposta dell’opera di Fukuzawa rappre-senta infatti, insieme alla vaga citazione di «un dramma leggendariotaoista»143, il risultato di quell’interesse per l’Estremo Oriente, cheappunto il pensiero junghiano stimolava e che Bazlen accolse ed assor-bì profondamente: anche se in occasione della formulazione di un pro-getto di collana per Einaudi nel 1959 esso sembra parzialmente accan-tonato, per dare spazio ad interessi in parte di altra natura. Ad un ambito più genericamente antropologico possono infatti esserericondotte le due proposte, viziate da una certa genericità, relative alle«poesie e racconti dei gauchos»144, nonché all’«autobiografia di unPellegrino Russo»145. Molto più rigorosa appare invece l’indicazione diun’opera affine alle due che si sono appena citate, ovvero lo scritto diviaggio di Antonin Artaud Au pays des Tarahumeras. Il resoconto delperiodo passato in Messico dallo scrittore francese doveva appunto

fornire un’immagine di una certa evidenza circa un «mondo» e una cul-tura lontani: aspetti che nella visione di Bazlen, alla luce di quanto si èfino ad ora osservato, dovevano avere un grande valore. Nella letteraappena successiva a quella che si sta citando, infatti, egli specifica che«Artaud lo conosco poco (quando più mi interessava, i testi erano inparte introvabili)»146, ma continua ad insistere sulla pubblicazione, senon dell’opera completa dell’autore, quantomeno del suo resoconto diviaggio. Esso poi risulta in qualche modo valorizzato dall’accostamen-to ad un romanzo, Le cretois di Pandelis Prevelakis, rispetto al qualeBazlen fornisce un parere appunto nella stessa lettera dedicata adArtaud. La sua bocciatura del romanzo è in questo caso molto decisa,e sembra poggiare prevalentemente sulla condanna degli aspetti,appunto, più strettamente letterari del libro: ad esempio, egli critica lapresenza di «personaggi casuali, senza nessuna necessità che siano pro-prio loro»147, e constata il fatto che il quadro storico che caratterizzal’opera, giudicato positivamente, sia però compromesso da un’eccessi-va letterarietà, che lo porta ad affermare che «mi sembra veramenteimmorale continuare a propagandare i clichés omerici»148: dal confron-to fra i due pareri editoriali contenuti nella stessa lettera sembra dun-que che alla forza della descrizione di una realtà, che caratterizza ilresoconto di viaggio di Artaud, sia contrapposta una supposta vacuitàe superfluità, che secondo il suo parere la finzione romanzesca com-porta. Così facendo, il romanzo, sicuramente quello di Prevelakis, maforse anche il genere letterario in sé e per sé, devia dall’imprescindibi-le campo della «necessità», intesa o come forza dell’esperienza o comeevidenza della descrizione. Nonostante la valutazione positiva fornita da Bazlen, comunque, Aupays des Tarahumeras venne evidentemente rifiutato da Einaudi: tuttavia,come spesso avviene, esso apparirà come quarto titolo della«Biblioteca Adelphi»149, che appunto si conferma essere l’approdo deipiù vari interessi culturali ed editoriali di Bazlen. Inoltre, all’internodella stessa collana avrà luogo la pubblicazione anche di uno degli altri

Au pays des Tarahumeras diAntonin Artaud.

146 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, s.d. 147 Ibidem. 148 Ibidem. 149 Antonin Artaud, Al paese dei Tarahumara e altri scritti, a cura di H.J. Maxwell e Claudio Rugafiori,Milano, Adelphi, 1966.

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150 Anonimo russo, La via di un pellegrino. Racconti sinceri di un pellegrino al suo padre spirituale, tradu-zione di Alberto Pescetto, con un saggio di Pierre Pascal, Milano, Adelphi, 1972. 151 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 269. 152 Ibidem. 153 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953.

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titoli proposti, segnati da una certa impronta antropologica, che sisono appena citati: l’«autobiografia di un pellegrino russo», infatti,verrà pubblicata da Adelphi nel 1972, con il titolo La via di un pellegri-no. Racconti sinceri di un pellegrino al suo padre spirituale150. A proposito delleultime proposte analizzate, peraltro, è interessante osservare quantoSergio Solmi, il quale come si è visto fu molto vicino a Bazlen, osser-va a proposito delle attitudini culturali dell’amico, nel momento in cuiafferma che a proposito di esse «si può agevolmente rilevare, oltre l’in-teresse “letterario”, l’altro più pressante interesse “umano”»151.L’adesione ad un interesse di natura antropologica si può dunque con-nettere, oltre che ad una variazione rispetto alle suggestioni fornitedalla psicologia analitica, ad un allontanamento, le cui ragioni d’altraparte si sono già analizzate, dal campo propriamente letterario: unaspetto che appunto Solmi rileva con una certa evidenza, soprattuttorelativamente alla maturità di Bazlen, nel momento in cui ricorda che«negli ultimi anni, mi disse una volta che la “letteratura” non lo inte-ressava più, ma soltanto, in essa e oltre di essa, l’“antropologia”»152. Le osservazioni di Solmi circa l’evoluzione degli interessi di Bazlen sipossono allora connettere a quanto precedentemente visto circa l’ipo-tesi che nella proposta di collana per Einaudi avanzata nel 1959 sia davedersi più che altro il riecheggiamento del progetto formulato perBocca: nel 1953, descrivendo a Linder i tratti salienti del proprio pro-getto, egli aveva infatti chiarito di voler pubblicare prevalentemente«raccolte di saggi, di memorie, ecc.»153, dunque generi tendenzialmentelontani tanto dall’ambito letterario quanto da quello dei testi vicini allapsicologia analitica. In effetti, se si guarda i titoli proposti per la«Collezione piccola» che non si sono ancora presi in considerazione,essi sono quasi totalmente riconducibili a questi due ambiti tematici,per i quali tra l’altro spesso Bazlen “attinge” dalle proposte formulatein anni precedenti per altri editori. Sia Rilke sia Kierkegaard sono infat-ti autori che, come si è visto nel secondo capitolo del presente lavoro,Bazlen aveva cercato di promuovere soprattutto presso le Nuove

Edizioni Ivrea: la figura del poeta austriaco, del quale per la casa edi-trice di Adriano Olivetti egli aveva proposto le Elegie Duinesi e diverseraccolte di lettere, è infatti ora riproposta attraverso le memorie diMarie Thurn und Taxis, la principessa nel cui castello, presso Duino,egli aveva appunto composto le sue elegie. Allo stesso modo la tradu-zione delle lettere di Kierkegaard e della sua compagna Regina Olsenera già stata proposta da Bazlen, nel 1948, all’Agenzia LetterariaInternazionale, dopo l’inclusione di un’opera del filosofo danese nella«Collana Letteraria» della casa editrice di Ivrea. Il progetto editoriale presentato ad Einaudi alla fine degli anniCinquanta, che, come si è visto, veniva elaborato già da diversi anni,trae dunque anche spunto, quantomeno sul piano dei titoli e degliautori proposti, da quanto in tutt’altro contesto culturale ed editorialeegli aveva pensato per la piccola casa editrice di Adriano Olivetti.Accanto a Rilke e Kierkegaard si può infatti citare, come ulteriore“ricordo” del progetto di Ivrea, Ortega Y Gasset, le cui opere, appun-to nella traduzione di Sergio Solmi, egli aveva proposto sia nel conte-sto della collaborazione con Solaria, sia all’interno della collana dei«Saggi» di Ivrea, e che nel frangente del nuovo progetto di Einaudisono da collocarsi come esempio della componente saggistica della«Collezione piccola». Il filosofo spagnolo, dunque, si conferma comeuno degli autori al quale Bazlen fu maggiormente legato, cosa che sipuò affermare anche a proposito di Robert Musil: come si è visto inapertura del presente capitolo, la pubblicazione dell’opera dello scrit-tore austriaco era stata oggetto di un grande impegno da parte del con-sulente triestino, all’inizio degli anni Cinquanta, come risultato diun’evidente volontà da parte sua di presentare al pubblico italiano imassimi risultati della produzione letteraria mitteleuropea. Questosforzo di innovazione che Bazlen aveva compiuto a partire dal 1951iniziava peraltro a dare i propri frutti quanto alla “sedimentazione”degli autori proposti, se nel 1965 L’uomo senza qualità, insieme ad altriromanzi «usciti in prima edizione nei Supercoralli»154, venne presenta-to in una nuova edizione all’interno dei «Millenni», «perché, [...], nel-l’ormai massiccio numero di opere pubblicate, la collana accennasse a

154 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 706. 155 Ibidem.

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The flea of Sodom di EdwardDahlberg.

Memorie di una contadina diLev Tolstoj.

156 A questo proposito è bene fare presente che i primi due titoli della “Collezione piccola”, pre-sentati come Il Libro del Tè e Cabeza de Vaca, si troveranno fra le proposte avanzate all’editoreBoringhieri. Si avrà dunque modo di analizzarle in seguito. 157 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953. 158 Ibidem. 159 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 11 aprile 1955.

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riassumere anche la funzione di sanzione di “classico” per un testo delNovecento»155. Accanto alla progressiva presentazione di Musil qualeclassico della letteratura novecentesca, dunque, Bazlen sceglieva già nel1959 di renderne nota l’opera non narrativa, includendo nella propriaproposta per la «Collezione piccola» la conferenza, tenuta dallo scrit-tore a Vienna nel 1937, «Sulla stupidità», che comunque l’editore, adispetto della consistente presenza di opere di Musil all’interno delproprio catalogo, decise evidentemente di non pubblicare. La presenza di autori come Ortega Y Gasset o Musil, ai quali Bazlenera legato sin dalla propria gioventù, non esclude comunque la propo-sta, all’interno del progetto relativo alla «Collezione piccola», di quelleche si possono considerare novità, quantomeno relativamente alla rosadi autori che egli regolarmente tornava a riproporre ai diversi editori156.A tale proposito, gli esempi che si possono citare sono riconducibilitanto all’ambito della scelta di «saggi»157, quanto a quello delle «memo-rie»158, che sin dal 1953 Bazlen aveva indicato come gli ambiti favoritida cui trarre le proprie scelte. Nel caso di The flea of Sodom dello scrit-tore angloamericano Edward Dahlberg, ad esempio, Bazlen propendeper un saggio di argomento letterario, un ambito dal quale, se si eccet-tua la proposta di Lo spazio letterario di Blanchot, egli traeva titoli conun certa parsimonia. Al genere memorialistico possono essere ricon-dotte, invece, le Memorie di una contadina raccolte da Lev Tolstoj, dun-que un autore “classico”, e presente con molti titoli all’interno del cata-logo einaudiano. In una lettera del 1955 a Luciano Foà Bazlen avevamostrato di apprezzarne l’opera letteraria, nel momento in cui scrive-va «ho riletto direi, dopo quarant’anni esatti, la sonata a Kreutzer, sba-lorditiva ancora adesso»159: per il proprio progetto relativo al varo diuna collana, per quanto dai caratteri fumosi e di difficile definizione,egli tuttavia promuoveva un’opera assai poco rappresentativa dellaproduzione maggiore dell’autore russo. Quel che veniva privilegiato, alcontrario, era il proprio personale interesse per gli scritti memorialisti-

ci, a maggior ragione dal momento che essi potevano soddisfare il suointeresse per l’antropologia: con tale termine, infatti, Solmi sottolineache Bazlen

non intendeva già una “scienza”, [...], ma una libera e avventurosaconoscenza degli uomini, dei singoli, con le ineffabili striature delloro carattere, ambiente e storia, quali si rivelavano nei loro scrit-ti, o dietro di essi160.

In questo caso, l’«ambiente e la storia» nei quali doveva essersi svoltala quotidianità di una contadina russa si trova presentata dalla penna diuno dei più noti scrittori russi, in quello che sembra un tentativo, daparte di Bazlen, di porre l’abilità dello scrittore al servizio di quella cheegli riteneva «vera vita»161. A proposito della proposta di collana che Bazlen formulò nel 1959,resta da specificare il fatto che accanto alla presentazione di quella«piccola», i cui tratti si sono appena cercati di delineare, egli prevedaanche il varo di una «Collezione grande»162, che trova ancora una voltaun corrispettivo nel piano di pubblicazioni steso nel 1953 per la FratelliBocca Editori, ma nessuna anticipazione, invece, nel carteggio conEinaudi. La prima menzione che Bazlen fa del proprio progetto, infat-ti, in una lettera del 16 dicembre 1959 nella quale promuove il lavorodella scrittrice e traduttrice Cristina Campo, prevede la presenza unica-mente di una «collezione piccola»163, alla quale appunto il lavoro dellaCampo «potrà servire molto»164. Così come per la «piccola», dunque,apparentemente non è semplice individuare quelli che furono i criteriche guidarono Bazlen nella scelta dei titoli per la «Collezione grande»:a maggior ragione se si considera che egli stesso, una volta elencata unaserie di titoli, chiarisce che «a questa collezione vorrei pensarci moltolentamente. Ho buttato giù questi nomi alla rinfusa, senza consultare

Cristina Campo.

160 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 269. 161 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Bruno Fonzi, 11 settembre 1949. 162 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 163 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 16 dicembre 1959. 164 Ibidem.

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165 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. Dalla stessa lettera sono tratte le citazioni che seguono.

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tutti gli appunti - e soltanto in via indicativa»165. Sembra comunque chela «Collezione piccola» vada pensata anche in relazione alla sua omo-loga, non ancora del tutto completa per quanto riguarda la puntualescelta dei titoli: i quali comunque sembrano consistere, sempre standoalle indicazioni fornite in merito, nella lunga serie di opere che neltempo gli editori avevano rifiutato, dal momento che Bazlen parla diesse come il risultato di «appunti» presumibilmente raccolti nel tempo.

Collezione grande: I primi quattro: Gosse: Father and sonSaxeBeauvoire quasi sicuramente Neihardt: Eagle Voice (an aunthentic taleof the Sioux Indians)(A me pare di sì, idem a [Ponchiroli] - [...])In caso negativo: sostituire con uno dei seguenti, tutti da prendersi in considerazione per la continuazione della collana:

Misia De Poncins: KablounaAksakow: La prima parte delle CronacheHenry MillerSwami Nikhilananda: Ramakrishna, Prophet of New India [...]DickinsonBoswellHerndon: Life of Lincoln (a meno che non convenga pubblicare estratti nella coll. piccola)Fothergill: Innkeeper’s Diary (idem)The Education of Henry Adams (di cui dovreste avere una traduzione pronta) Strindberg Strindeberg Strindberg Strindberg !!!!!Vera Figner Colloqui con Goethe

Lagerloef: diari e ricordiMallea: Historia de una Pasion Argentina (con molti punti di domanda)Chaim Bloch: Lebenserinnerungen des Kabbalisten Chaijm Vital (Vienna 1927 - chi lo ripesca!)ecc.ecc. ecc. ecc. ecc.

Il primo titolo presentato per la «Collezione grande», assieme allalunga fila di «eccetera» con la quale Bazlen scherzosamente chiude ilproprio elenco, sembra dimostrare quanto si è appena ipotizzato,ovvero che la seconda collana dovesse presentare prevalentementequei titoli che egli da tempo aspettava di vedere pubblicati: anticipan-do, in questo, una delle caratteristiche fondanti almeno delle primepubblicazioni della Biblioteca Adelphi. La nuova proposta di Father andson di Edmund Gosse, peraltro, permette di vedere un’ulteriore con-nessione fra il progetto presentato nel 1959 ad Einaudi e quanto all’ini-zio del 1954 Bazlen aveva pensato per la Fratelli Bocca Editori, quan-do ai «librini Bocca»166 egli aveva accostato anche pubblicazioni in «unformato più grande, in modo da metterci dentro anche libri fulllenght»167: Gosse appunto, dopo essere stato citato negli elenchi di pos-sibili pubblicazioni per le Nuove Edizioni Ivrea e per Bompiani, erastato incluso, insieme per esempio a Karen Blixen, in tale nuova tipo-logia di collana. La citazione del romanzo autobiografico di EdmundGosse come prima pubblicazione della «Collezione grande» dunque,costituisce un “legame” non indifferente fra i due progetti: i qualiforse, entrambi, comprendevano sostanzialmente libri di dimensioniconsistenti, non frazionati a formare dei «librini», in alcuni casi depo-sitati da tempo negli appunti di Bazlen. La vaghezza di molte delleindicazioni relative ai titoli che compongono la «Collezione», d’altron-

166 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 15 dicembre 1953. 167 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1954,b. 4A, fasc. 36 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 13 gennaio 1954.

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168 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1953,b. 7, fasc. 48 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 10 dicembre 1953.169 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 170 Sergej Timofeevic Akskakov, Cronaca di famiglia, traduzione di Angelo Maria Ripellino, con unsaggio di Serena Vitale, Milano, Adelphi, 1984. Dal risvolto di copertina di questa edizione sonotratte le citazioni che seguono.

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de, permette forse di rilevare un altro aspetto. Spesso infatti, come sipuò vedere anche solo a una prima lettura del progetto della collana,le proposte si trovano indicate solo tramite il nome dell’autore o l’in-dicazione del titolo, cosa che forse permette di rifarsi nuovamente aquanto Bazlen aveva chiarito a Linder nel dicembre del 1953, quandoaffermava: «per tua norma, vorrei tenermi molto ai mezzi classici, o ascrittori anche recenti ma che, in un certo modo, si siano già “deposi-tati”»168, una definizione nella quale si possono forse vedere adombra-ti, oltre agli autori proposti a suo tempo alla Fratelli Bocca Editori,anche, ad esempio, Emily Dickinson, Henry Miller, August Strindberg,che Bazlen non sente il bisogno di indicare con maggiore precisione. Resta però il fatto, di una certa rilevanza, che sia possibile approfondi-re e specificare ulteriormente quanto le somiglianze con il progettoformulato per l’editore Bocca tra il 1953 e il 1954, da un lato, e le indi-cazioni che Bazlen fornisce circa il fatto di avere «buttato giù questinomi alla rinfusa»169, dall’altro, porterebbero a pensare. Uno sguardopiù attento sui titoli proposti da Bazlen con il nome di «Collezionegrande», infatti, permette di vedere come in realtà essi siano uniti daquel «denominatore comune» che aveva caratterizzato progetti comequello della collezione «Mondi e destini» per le Nuove Edizioni Ivrea,e continuerà a contraddistinguere le proposte per Einaudi: si tratta delcarattere biografico o autobiografico, che come si è visto Bazlen pre-diligeva in seguito a precise ragioni teoriche. La rilevazione di taleaspetto fortemente caratterizzante le scelte relative alla «Collezionegrande» è resa possibile, in prima istanza, proprio dall’osservazione delgià evidenziato carattere autobiografico di un romanzo come Father andson di Edmund Gosse, che oltre a dare la propria impronta alla«Biblioteca Adelphi», essendo il secondo titolo della collana, evidente-mente doveva già assolvere a questo ruolo per la «Collezione grande»,costituendo la prima opera proposta: d’altronde, non è questo l’unicotesto, proposto per Einaudi, che trovi poi posto all’interno del catalo-go Adelphi. Lo stesso destino, infatti, avrà Cronaca di famiglia170 dello

scrittore russo Sergej Timofeevič Aksakov, ovvero l’opera, risalente al1856 e pubblicata da Adelphi solo nel 1984, di un «imparziale narrato-re di racconti tramandatisi oralmente», dunque di un autore che «sisentiva incapace di “inventare”» e che dunque doveva trarre la propriavena scrittoria dalla realtà delle terra in cui era cresciuto. Sempre ricon-ducibile ad un’esperienza personale di una certa drammaticità è la testi-monianza, raccolta dallo scrittore John G. Neihardt, dello stregoneSioux Alce Nero circa la lotta del proprio popolo con i bianchi: con iltitolo di Alce nero parla, nel 1968 essa costituirà la diciassettesima pub-blicazione della «Biblioteca Adelphi»171. La presentazione dell’operanon troppo tempo dopo il varo della collana, peraltro, costituisce unaprova più certa, ad esempio in confronto alla pubblicazione diAksakov solo nel 1984, dell’influenza del gusto di Bazlen nel caratteredelle pubblicazioni della casa editrice milanese. Le osservazioni fattefino ad ora circa la presenza di una forte impronta autobiograficaall’interno della «Collezione grande» permettono peraltro di chiarire idiversi casi di un’indicazione eccessivamente vaga delle opere: adesempio, l’ambigua citazione di «Saxe» è molto probabilmente ricon-ducibile all’opera dello scrittore francese Maurice Sachs, rispetto alquale si può leggere un parere nella lettera del 9 marzo 1960:

Maurice Sachs, Abracadabra: non mi piace. [...]. Ha pagine colsugo che cola come nel SABBAT - ma spesso il gioco diventainconsistente e si perde nel lezioso e nell’estetizzante - in certipunti persino nel decorativo - non è spregevole, e lo potete farrimorchiare dal SABBAT, per ragioni commerciali. Non peraltre172.

Dal passo appena citato, emerge con una certa chiarezza come delloscrittore francese Bazlen bocciasse con una certa severità il romanzoAbracadabra: esso infatti, è tanto «inconsistente» da necessitare di esse-re trainato da Sabbat, un’opera connotata sin dal sottotitolo (Souvenirsd’une jeunesse orageuse, ovvero «ricordi di una giovinezza tempestosa») in

Cronaca di famiglia e Alce neroparla pubblicati da Adelphi.

171 John G. Neihardt, Alce nero parla. Vita di uno stregone dei Sioux Oglala, messa per iscritto da JohnG. Neihardt (Arcobaleno fiammeggiante), illustrata da Orso in piedi, traduzione di J. RodolfoWilcock, Milano, Adelphi, 1968. 172 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 9 marzo 1960.

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August Strindberg.

173 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1960. 174 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 12 settembre 1959. 175 Ibidem. 176 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 177 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 185. 178 Ibidem.

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senso marcatamente autobiografico. Non è dunque improprio ipotiz-zare che nella «Collezione grande» Bazlen volesse vedere pubblicatoproprio quest’ultimo scritto. Un discorso affine vale anche per l’indi-cazione relativa a «Vera Figner»173, politica russa della quale, evidente-mente, Bazlen proponeva le Memorie di una rivoluzionaria. Il caso diStrindberg, infine, permette alcune osservazioni, sulla base di quantoBazlen aveva osservato già dal settembre del 1959:

Strindberg (le Historische Miniaturen [Miniature Storiche], chem’erano antipatiche già quando leggevo voracemente Strindbergquasi forty years ago, [...]), e Briefe [Lettere] che mi sembranoassieme a quelle di Van Gogh le lettere più emozionanti (o almenoil Briefband [il libro di lettere] più emozionante) di questi ultimicento anni. Leggi Inferno, e dimmi com’è, così da solo, isolato, nonverwoben [intrecciato] in quella stramba vita. Io, questa notte holetto una novella di Strindberg (ce ne sono alcune qui datent [chesono datate]) da battere (se fossimo in un mondo di graduatorie,ma Gottseidank [grazie a Dio] siamo più in alto) Tolstoi174.

Delle opere citate, alla luce di quanto si è visto finora, appare eviden-te che quella che Bazlen pensava di integrare nel suo progetto per la«Collezione grande» fosse la raccolta di lettere, intesa come documen-to «emozionante»175, presumibilmente perché vero e legato ad espe-rienze reali. Tale aspetto, peraltro, permette di assumere Strindberg,insieme a Maurice Sachs, come esempio del fatto che la parte autobio-grafica, biografica o epistolare dell’opera di un autore fosse spessoquella maggiormente consolidata e coltivata nel tempo all’interno degli«appunti»176 di Bazlen, dal momento che egli stesso accenna al fatto diavere letto «voracemente» l’opera dello scrittore svedese da ben qua-rant’anni. Un aspetto confermato dalla citazione di Strindberg, giànelle Note senza testo, insieme a «Nietzsche, Wilde, Jarry, ecc.»177, fra i«grandi rivoluzionari della fine del secolo»178. La grande originalità del-

l’opera di Strindberg nel panorama della cultura a cavallo fraOttocento e Novecento trova forse anche una ragione nella «vitastramba» da lui condotta, nel momento in cui essa sembra essere con-siderata come un valore riguardante e condizionante molto da vicinoanche la sua opera letteraria: Bazlen, infatti, manifesta la difficoltà dileggere il romanzo Inferno scindendolo appunto dalla «vita stramba» dichi lo ha scritto. E non è improbabile che quest’ultimo aspetto, nellasua ottica, avesse un ruolo anche come componente del valore dellanovella che viene paragonata all’opera di Tolstoj: un autore del quale,pur nell’apprezzamento della sua opera letteraria, Bazlen aveva propo-sto per la «Collezione piccola» uno scritto che appunto esulava da taleambito, essendo legato alla testimonianza di vita di una contadinarussa. Ad ogni modo, della proposta relativa all’autore svedese nullaviene accolto da Einaudi, e solo una parte, comunque non quella pre-sumibilmente pensata per la «Collezione grande», viene accolta all’in-terno della «Biblioteca Adelphi»179. La scelta dell’opera di Strindberg, apertamente indicata nelle Note senzatesto come valida testimonianza della «letteratura della fine del secolo»180

permette fra l’altro di osservare come all’interno delle scelte di operebiografiche ed autobiografiche pensate per la «Collezione grande» sipossa anche riscontrare la sovrapposizione degli altri interessi checaratterizzavano il bagaglio culturale di Bazlen. Se appunto lo scritto-re svedese rappresenta la letteratura «del giro di secolo»181, che come siè visto era stata ampiamente promossa presso Einaudi, anche la sceltadei Colloqui con Goethe, ad opera del suo segretario Johan PeterEckermann, non appare casuale: si può infatti vedere in essa l’ultimotassello di una serie di proposte, avanzate negli anni per diversi edito-ri, di opere legate in qualche modo alla vita dello scrittore tedesco,

179 Delle diverse opere di Strindberg che si trovano nel catalogo di Adelphi, infatti, solo Infernoappare forse il frutto degli interessi di Bazlen, e comunque all’interno di un volume che raccogliediverse opere dell’autore. Si veda infatti August Strindberg, Inferno - Leggende - Giacobbe lotta, a cura,e con un saggio, di Luciano Codignola, Milano, Adelphi, 1972. Che per un certo periodo egli sisia interessato dell’opera dell’autore svedese, d’altronde, è confermato dal già citato ricordo fir-mato da Giorgio Zampa, nel quale così si legge: “sul palchetto di un vicino scaffale, Bobi vide leopere complete di Strindberg in edizione svedese. Si occupava da un pezzo della loro presenta-zione italiana e volle sentire la mia opinione sui criteri da adottare. Era preferibile cominciare conil blocco degli scritti autobiografici, e poi fare seguire il teatro: in che modo? Per generi o perordine cronologico”. Cfr. Giorgio Zampa, Lo sconosciuto disse: sono Bobi, cit., p. 28. 180 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 185. 181 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 1 settembre 1951.

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182 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 184. 183 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro cit., p. 76. 184 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 185 Ibidem.

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nella volontà, forse, di illuminare l’aforisma che indicava appunto inGoethe l’esempio più rappresentativo di una «biografia assorbita nel-l’opera»182. Dopo i tentativi, considerati nel secondo capitolo del pre-sente lavoro, di vedere pubblicati presso le Nuove Edizioni Ivrea ilCarteggio con Friedrich Schiller e presso Einaudi una biografia delloscrittore, la scelta dell’opera di un uomo che lo aveva conosciuto per-sonalmente appare del tutto coerente con la sovrapposizione, rilevatada Bazlen, fra la vita e l’opera di Goethe: come a dire che la pubblica-zione di testimonianze e documenti relativi alla prima non avrebberopotuto che chiarire ed arricchire anche la seconda. Si può inoltre cita-re un altro esempio della presentazione dei propri ambiti tematici pre-diletti nella forma di testi biografici, memorialistici, epistolari (ovverotutti i generi «al confine e al di là della letteratura»183, o comunqueampiamente privilegianti l’aspetto della “vita”): la proposta di pubbli-cazione degli «appunti di un discepolo» del mistico indianoRamakrishna e di Lebenserinnerungen des Kabbalisten Chaijm Vital [memo-rie del cabalista Chaijm Vital] ad opera del rabbino Chaim Bloch chia-ramente si collocano nell’ambito delle discipline toccate dal pensierojunghiano, costituendo dunque una parziale ripresa, seppur nell’ambi-to della proposta di una nuova e diversa linea editoriale, del progettopresentato ad Einaudi nel 1953 e solo in piccola parte riproposto nelprogramma della «Collezione piccola»: i collegamenti che si possonovedere tra quest’ultima e la «Collezione grande», d’altronde, sonoespressamente chiariti da Bazlen, nel momento in cui, di seguito allaproposta di una biografia di Lincoln e di Innkeeper’s diary [diario di unlocandiere] di John Fothergill egli specifica che di questi testi si potreb-bero «pubblicare estratti nella piccola»184. Tale osservazione, peraltro,permette di rilevare, a dispetto di quanto sembrerebbe, una maggiorcoerenza interna nella «Collezione grande», dal momento che la «pic-cola» appare caratterizzata per lo più dalle ridotte dimensioni, al di làdelle tematiche trattate, dei libri proposti. Un’ipotesi che trova ulterio-re conferma nel fatto che della scrittrice svedese Selma LagerlöfBazlen proponga per la «Collezione piccola» un «racconto lungo»185,

per la «grande», invece, una raccolta di «diari e ricordi» dallo stampoesplicitamente autobiografico. Per quanto come si è visto anche all’in-terno della «Collezione piccola» la sezione autobiografica non fosseper nulla indifferente, si può forse ipotizzare che Bazlen volesse fral’altro proporre nelle due collane testi diversi dei medesimi autori,caratterizzando appunto la “collana maggiore” in senso più marcata-mente autobiografico. La presenza di titoli nei quali si possono chiaramente vedere rappre-sentati ambiti culturali già esplorati da Bazlen, o autori scoperti e pro-posti da tempo, non toglie comunque che nella prima proposta relati-va alla «Collezione grande» trovino spazio anche biografie ed autobio-grafie “nuove”, cioè citate per la prima volta e non riconducibili ai con-testi fino ad ora delineati: cosa che, comunque, non esclude la confer-ma, anche a proposito di essi, dell’elaborazione coerente di una benprecisa linea editoriale. Oltre ai casi già considerati di Maurice Sachs eVera Figner, un primo esempio che si può citare in questo senso èquello di Kablouna, ovvero il resoconto del viaggio nell’Artico canade-se dell’avventuriero e scrittore francese Gontrand de Poncins, pubbli-cato per la prima volta in America nel 1941. Un’opera di questo tipoaveva attirato l’attenzione di Bazlen già dal marzo del 1959, spingen-dolo a darne un parere molto positivo ma indipendente dalla possibi-lità di inserire il titolo nella «Collezione grande», ai tempi evidentemen-te ancora non progettata. Resta il fatto che quanto Bazlen scrive a pro-posito di Kablouna nel marzo del 1959 può presumibilmente ben appli-carsi alla totalità dei titoli pensati per la collana einaudiana.

KABLOUNA non fatevelo scappare. Non si tratta di mettere inchiaro se, da un punto di vista sterilmente etnografico, seguametodi più o meno approvati dalla pedanteria di uno specialista. Èun problema che non c’entra. Ciò che importa, invece, è chesiamo a una nobiltà di Haltung [atteggiamento], a un’ultima one-stà e immediatezza di esperienza, una modestia che è profondalibertà, come tra i visi pallidi non esistono più. Farlo se non altroper mostrare com’è fatta una persona per bene (e, oltre a tutto ilresto, come si descrive un personaggio)186.

Kablouna di Gontrand dePoncins.

186 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 marzo 1959.

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The books in my life di HenryMiller.

187 Sergio Solmi, Nota, in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 267. 188 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1956,b. 8, fasc. 46 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 9 marzo 1959.

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Nell’attribuzione all’ambito etnografico anche di una certa sterilitàsembra di vedere quantomeno una nuova formulazione del pensiero diBazlen: se appare poco probabile la possibilità del sopirsi del suo inte-resse per discipline quali l’antropologia e l’etnografia, si può peròaffermare che sempre più, negli anni, egli richiedesse anche agli autoridi opere di saggistica quella che a proposito di Gontrand de Poncins,e della sua opera, è definita come «onestà ed immediatezza di esperien-za»: una definizione per Bazlen presumibilmente applicabile a tutti ititoli della «Collezione grande». Come si è già in parte evidenziato,peraltro, è proprio la «nobiltà» delle esperienze dell’autore a determi-nare la qualità del suo libro, a proposito del quale, infine, viene forni-to un parere che sovrappone considerazioni umane e letterarie, privi-legiando però le prime: Gontrand de Poncins, cioè, è «una persona perbene», cosa che sembra determinare, ad esempio, la qualità della suadescrizione di un personaggio. L’immedesimazione ed il coinvolgi-mento di Bazlen sono a questo punto “automatici”, e lo portano, afronte della descrizione del periodo passato dall’autore insieme allepopolazioni Inuit, a rilevare la banalità delle esperienze dei «visi palli-di»: ulteriore esempio della sua tendenza, espressa anche solo tramitescelte lessicali lievemente marcate, a «colorire la situazione di un auto-re e le caratteristiche di un libro»187. Ben più rilevante, invece, è l’in-fluenza che su di lui esercita un altro dei titoli proposti per la«Collezione grande», del quale, come nel caso di Gontrand de Poncins,aveva già parlato qualche tempo prima della presentazione del proget-to della nuova collana: anche se nell’elenco non si trova l’indicazionedel titolo, si tratta di The books in my life di Henry Miller, una raccolta dimemorie dello scrittore americano sulle proprie esperienze di lettura.Sempre nel marzo del 1959, Bazlen aveva citato questo libro nel suocarteggio con Linder, definendolo un «gran bel libro»188. Le ragioni delproprio apprezzamento sono fornite, tre giorni dopo, in una lettera aFoà, dove Bazlen, a proposito dell’«autobiografia letteraria» di Miller,osserva quanto segue:

T’ho detto che intendevo fare una lista dei libri che lui menziona,perché di lui mi fido come di pochi. Non soltanto è un lettore stra-ordinario (del resto, il libro è bellissimo), ma gli piacciono anchetutte le cose che piacciono a me (di cui, molte, in genere non presetroppo sul serio - ha per esempio un capitolo intero su RiderHaggard; e un altro, freneticamente entusiasta, su Blaise Cendrars;ecc.). Non ti mando tutta la lista [...], ma per oggi soltanto il tito-lo di quei pochi libri che interessano particolarmente me, o cheforse potranno interessare voi189.

Le opere amate da Henry Miller, così come quelle proposte da Bazlennelle sue consulenze editoriali, non vengono «prese troppo sul serio»,come il caso di Blaise Cendrars, per fare un solo esempio, può testimo-niare: lo scrittore francese, infatti, era stato menzionato sin dal 1953190,fino all’aperta lode che si legge, a proposito del romanzo Moravagine, il22 novembre 1957, quando Bazlen scrive che «ha delle pagine straor-dinarie»191. La riserva che egli stesso aveva sollevato in questa circo-stanza, relativa al fatto che «l’insieme è scostante, e non credo che inItalia attaccherebbe»192, può forse giustificare la mancata pubblicazionedel romanzo da parte dell’editore. È però più difficile indicare le ragio-ni per cui lo stesso destino ebbe l’insieme di opere, citate da Miller, cheBazlen elenca di seguito al parere fornito circa The books in my life:

Richard Jefferies, The story of my heart: di cui sapevo già qualcosa, vagamente, e di cui ho trovato in Miller delle citazioni che mi sono andate nelle ossa. Frederick Carter: Symbols of revelationEduardo Santiago: The Round. [...]193.

Moravagine di BlaiseCendrars.

189 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 12 marzo 1959. 190 Il 28 agosto 1953, infatti, Bazlen scriveva: “e poiché siamo in tema letteratura francese, che voifate senza troppa difficoltà, non avete mai pensato a Blaise Cendrars [...]?”. Cfr. Archivio Einaudi,Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a LucianoFoà, 28 agosto 1953. 191 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 22 novembre 1957. 192 Ibidem. 193 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 12 marzo 1959. L’elenco di titoli è riportato solo parzialmente, visto ilseguito nullo che tale proposta ebbe presso l’editore, e il fatto che lo stesso Bazlen non torni piùa menzionarla.

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Le proposte di Bazlen perEinaudi e il ruolo di ItaloCalvino.

194 Miller, I libri della mia vita, traduzione di Bruno Fonzi, Torino, Einaudi, 1976. 195 Simone de Beauvoir, Memorie di una ragazza per bene, traduzione di Bruno Fonzi, Torino,Einaudi, 1960.

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Il libro dello scrittore americano, dunque, doveva anche fungere da sti-molo a nuove possibili pubblicazioni da parte dell’editore, e soprattut-to a nuove letture per il pubblico: un aspetto che permette di vederecome lo scambio umano che per Bazlen era garantito dalla presenza inun’opera di un forte aspetto autobiografico potesse realizzarsi anchesul piano culturale. È inoltre interessante notare che dei libri citati daMiller, che egli avrebbe voluto vedere pubblicati, l’unico su cui eglideciderà di insistere, prima presso Einaudi e poi come si vedrà pressoBoringhieri, sarà ancora una volta un testo autobiografico, ovvero Thestory of my heart di Richard Jefferies. È opportuno comunque ricordareche The books in my life, al contrario dei titoli in esso menzionati, sareb-be stato pubblicato da Einaudi, sebbene in netto ritardo rispetto allaproposta che Bazlen aveva fatto. Esso, infatti, troverà posto nellaNuova Serie dei «Supercoralli» solo nel 1976194, costituendo, insiemeall’opera di Simone de Beauvoir, l’unica proposta relativa alla«Collezione grande» che abbia avuto seguito presso Einaudi: alla lucedi quanto si è detto fino ad ora, non è difficile ricostruire quale operadella scrittrice femminista francese Bazlen avesse immaginato per la«Collezione grande», ovvero le Memorie di una ragazza per bene, pubbli-cate anch’esse nei «Supercoralli» nel 1960195.

4.3 La «collezione dell’io».

Una volta descritto il complesso articolarsi, negli anni Cinquanta, dellaproposta da parte di Bazlen circa il varo di una nuova collana da partedi Einaudi, resta da osservare come esso non sia stato abbandonatocon leggerezza dal comitato editoriale della casa editrice, ma al contra-rio sia stato ampiamente discusso e considerato, soprattutto nel tenta-tivo di integrarlo in una strategia di concorrenza con altri editori e dicoerenza con la linea editoriale einaudiana. In questo senso, un ruolorilevante ebbe Italo Calvino, la cui influenza all’interno della casa edi-trice è superfluo rilevare: in due lettere inviate a Giulio Einaudi rispet-tivamente nel novembre 1959 e nel gennaio 1960, infatti, lo scrittore,

evidentemente interpellato sulla questione, esprimeva un parere chemerita di essere approfondito in questa sede. La prima lettera cheCalvino spedisce da New York, dove si trovava in quel periodo, metteinfatti chiaramente in luce l’ulteriore connotazione che all’interno delcomitato editoriale di Einaudi si tentò di dare al progetto di Bazlen:anche se è bene tenere a mente il fatto che il 22 novembre 1959, datadella lettera di Calvino, a quanto risulta, il consulente triestino nonaveva ancora inviato il proprio elenco di titoli all’editore, ma presumi-bilmente gliene aveva solo parlato nell’incontro cui Giulia deSavorgnani fa riferimento nel proprio lavoro196. Di seguito si riportal’apertura del parere di Calvino:

Il patrimonio più prezioso di una casa editrice è il carattere, lafisionomia. (Il che sul piano commerciale si traduce nella capacitàdi crearsi, mantenere e accrescere un pubblico proprio). Dunquea ognuno le proprie silerchie, attenzione agli sconfinamenti spiri-tualistici, bisognerebbe fare delle antisilerchie tali da marcare deci-samente la differenza tra il nostro modo di rispondere a quegliinteressi e il modo di Alberto [Mondadori] e Giacomino[Debenedetti]197.

Dalle parole appena citate, appare evidente che nel progetto di Bazlenfosse stato visto un probabile valido concorrente alla collana che sindall’inizio aveva caratterizzato fortemente il catalogo della neonatacasa editrice Il Saggiatore, ovvero appunto la «Biblioteca delleSilerchie», fondata nel 1958 e diretta da Giacomo Debenedetti: un’ini-ziativa che, oltre a causare preoccupazioni di ordine commercialeall’editore Einaudi, poteva effettivamente trovare diversi punti di con-tatto, e di confronto, con i progetti ideati nel tempo da Bazlen. Sottola direzione di Debenedetti, come si è visto suo caro amico e da luiindirizzato nell’approfondimento di diversi ambiti culturali, la«Biblioteca delle Silerchie», si componeva infatti di «squisiti, divaganti,

Le affinità con la Bibliotecadelle Silerchie.

196 Giulia de Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., p. 103, nota n. 40. Il passo è giàstato citato nel presente capitolo, e fa effettivamente riferimento all’incontro che avvenne fraBazlen e Giulio Einaudi, il quale secondo la de Savorgnani pensò “di affidargli la direzione di unacollana tutta sua”. 197 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (New York, 22 novembre 1959) in ItaloCalvino, Lettere 1940-1985, a cura di Luca Baranelli, introduzione di Claudio Milanini, Milano,Arnoldo Mondadori, 2000, p. 617.

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198 Michele Gulinucci, Debenedetti e “Il Saggiatore” in Giacomo Debenedetti, Preludi. Le note editoria-li alla “Biblioteca delle Silerchie”, a cura di Michele Gulinucci, introduzione di Edoardo Sanguineti,Theoria, Roma, 1991, p. 22. 199 Ibidem. 200 Ibidem. 201 L’aspetto dell’influenza della figura di Bazlen su Giacomo Debenedetti si è già rilevato nelprimo capitolo del presente lavoro. Si ricorda comunque che, da quanto emerge da opere biogra-fiche sul critico letterario, Bazlen avrebbe favorito in lui l’interessamento a discipline quali la psi-coanalisi o l’antropologia culturale, nonché ne avrebbe stimolato la lettura “di autori ancora dascoprire come Kafka”. Per una trattazione approfondita circa i rapporti fra i due intellettuali, siveda Paola Frandini, Il teatro della memoria. Giacomo Debenedetti dalle opere e i documenti, Lecce, Manni,2001, da cui sono tratte le notizie qui esposte. Si può inoltre aggiungere, a ulteriore testimonian-za di una fertile vicinanza culturale, l’indicazione di Bazlen fra i collaboratori di una rivista pro-gettata a Roma nel dopoguerra da Debenedetti e Guido Piovene. Per quanto mai realizzata, essacomunque prevedeva la pubblicazione “di un saggio di Jung nella traduzione di Bobi Bazlen”.Cfr. Marcello Ciocchetti, Prima di piantare i datteri. Giacomo Debenedetti a Roma (1944-1945), Pesaro,Metauro edizioni, 2006, p. 61. 202 Michele Gulinucci, Debenedetti e “Il Saggiatore” in Giacomo Debenedetti, Preludi. Le note editoria-li alla “Biblioteca delle Silerchie” cit., p. 28.

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colorati volumetti»198, che nelle tematiche toccate spaziavano «dall’anti-chità al Novecento, dal racconto, al saggio, al manuale, al diario»199,seguendo il «gusto per la scoperta, la riscoperta, e l’invenzione a tuttocampo»200 del suo direttore: caratteristiche per certi aspetti accostabili aquelle delle proposte formulate nel tempo da Bazlen. Al di là di que-sta generica somiglianza, si possono inoltre rilevare alcuni elementi diconsonanza fra i gusti di Giacomo Debenedetti, così come emergonodalle sue scelte editoriali, e quelli del suo amico, il quale in effetti inpassato li aveva, per alcuni aspetti, indirizzati201: la seconda pubblicazio-ne della «Biblioteca delle Silerchie», ovvero Storia di un romanzo diThomas Wolfe, era infatti, come si è visto, un titolo che Bazlen avevaproposto a Bocca, nonché presumibilmente alle Nuove Edizioni Ivreae alla stessa casa editrice Einaudi. Allo stesso modo, coerente con isuoi gusti e le sue proposte editoriali erano titoli, «all’avanguardia nelpanorama editoriale italiano»202, come la Lettera al padre e Preparativi dinozze in campagna di Kafka, Romanzo e mitologia di Thomas Mann e dellostudioso di Storia delle religioni Kéreny, ma soprattutto Dèmoni e visio-ni notturne di Alfred Kubin, come si è visto un autore dal quale Bazlenera particolarmente affascinato. Debenedetti, inoltre, oltre ad occupar-si della scelta dei titoli e della cura delle edizioni, esercitava, attraversola scrittura delle note editoriali che accompagnavano titoli come quel-li che si sono appena citati, «un vero e proprio intervento militante sul-l’idea di letteratura e di critica»203: un ruolo che Bazlen, anche di fronte

all’eventuale attribuzione della direzione di una collana, avrebbe presu-mibilmente avuto difficoltà ad esercitare, vista la sua ritrosia di frontealla scrittura ed al dialogo diretto con il pubblico dei lettori. Ad ognimodo, la sua proposta, che avrebbe dovuto “rispondere” appunto allacollana de Il Saggiatore, presumibilmente non convinceva del tuttoEinaudi: il quale infatti, come risulta dalla lettera del 22 novembre1959, chiedeva a Calvino una «controproposta»204, che potesse integra-re quanto delineato dal consulente triestino. Ad essa, peraltro, lo scrit-tore rispondeva solo in parte, rimarcando preliminarmente le difficol-tà nell’elaborare una propria proposta, «stando qui [a New York] iso-lato, fuori da quella possibilità di verifica continua delle proprie ideeche è data dal lavoro in comune»205, secondo un’idea dell’attività edito-riale molto diversa da quella di Bazlen, il quale lavorava lontano dallacasa editrice e cercava prevalentemente il dialogo con la sola personadi Foà. Posta questa puntualizzazione, che si univa alla difficoltà diesprimere un parere circa un progetto non ancora puntualmente for-mulato, lo scrittore esprimeva comunque un giudizio, il quale tuttaviasembra riguardare più la propria personale idea che non quanto Bazlendoveva avere in mente, soprattutto sul piano dei contenuti che la pro-gettata collana «antisilerchie» avrebbe dovuto veicolare. Accanto a taleaspetto, comunque, a segnare la distanza di vedute rispetto a Calvino èanche la differenza dei presupposti commerciali ed editoriali da cuiquest’ultimo muove. Per fare un primo esempio, l’esordio del parere dello scrittore consiste,come si può leggere, nella messa in evidenza dell’estrema rilevanza, dalsuo punto di vista, della delineazione di un pubblico ben determinatoe della sua conseguente “fidelizzazione”: cosa che Bazlen non potevafino in fondo condividere, visto il suo metodo consistente nella pre-sentazione quasi parallela di collane fra loro molto simili, se non ugua-li, a diversi editori. Al di là di questa osservazione, che probabilmenteCalvino sollevava solo sulla base di proprie idee personali, è comunqueimportante sottolineare che egli dichiari esplicitamente di non averepienamente inteso il senso della proposta di Bazlen all’interno del cata-

La profonda diversità traItalo Calvino e RobertoBazlen.

203 Alberto Cadioli, Letterati editori, Milano, Il Saggiatore, 1995, p. 145. 204 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (New York, 22 novembre 1959) in ItaloCalvino, Lettere 1940-1985 cit., p. 617. 205 Ibidem.

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206 Ibidem. 207 Ibidem.

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logo einaudiano. Rispetto alla «Collezione grande», che evidentementecontava già qualche titolo, se Calvino la indica come «collanaBeauvoir»206, egli infatti scrive:

Quanto alla collana Beauvoir la interpreto come necessità di sgan-ciare dai «Saggi» i volumi più letterari, al confine con la narrativae nello stesso tempo incrementarne un po’ la produzione, datoche i «Saggi» sono sovraccarichi. Ho capito il punto? Neanche cosìl’iniziativa mi riesce chiara, anche perché non ne vedo le caratteri-stiche editoriali: saranno libri più agili, che costino meno? [...]. Osaranno libri rilegati che vogliono porsi su un piano di eleganzaancora maggiore dei «Supercoralli»? In questo caso dovrebbeessere una scelta molto ristretta, ma insomma sarebbero dei«Saggi» strenna un po’ diversi dagli altri207.

Ad essere evidenziate, infatti, sono le fumose «caratteristiche editoria-li» della «Collezione grande», ma presumibilmente anche di quella «pic-cola», rispetto alle quali, in effetti, Bazlen non farà alcuna menzionenemmeno al momento di una più precisa descrizione di quanto avevain mente: nella sua lettera del 19 dicembre 1959, nella quale sonoriportati gli elenchi di opere che avrebbero dovuto comporre le duecollane, le uniche informazioni che si possono leggere in propositoriguardano infatti la distinzione tra le dimensioni dei volumi che sisarebbero dovuti pubblicare, dunque risultano sostanzialmente incom-plete. La considerazione di quanto egli aveva pensato per Bocca, tutta-via, permette di inferire che, delle due ipotesi considerate da Calvino,la seconda, relativa cioè alla presentazione dei volumi su un piano di«eleganza», fosse quella corretta. Oltre a questi aspetti, appare anchechiaro che Calvino sembra percepire, al di là della propria comprensio-ne del progetto, il fatto che l’idea originaria relativa alla «Collezionegrande» sia diversa da quanto lui stesso evidentemente auspica, essen-do secondo lui volta alla pubblicazione di testi «letterari, al confine conla narrativa»: una connotazione che a Bazlen in realtà non doveva risul-tare gradita, viste le sue opinioni circa la letteratura e le sue capacità divera rappresentazione della vita, che lo conducevano in una direzionein buona parte estranea alla narrativa.

Al di là della più o meno corretta interpretazione del progetto da partedi Calvino, comunque, è possibile rilevare come quella che egli inter-preta come una collana legata alla presentazione di testi letterari nonrisponda alla propria volontà di varare una collana che prima di tuttosi caratterizzi per il suo carattere «antisilerchie»: tale ruolo, secondoCalvino, sarebbe al contrario assolto da «una collana (o un’antologia)di morale dell’uomo moderno, di testi che esemplifichino nella vita enella morale pratica tutto ciò che serve all’uomo moderno per dirsicompleto e che l’ideologia o l’organizzazione non gli dà o gli nega»208.Tale definizione, tuttavia, è annoverata dallo scrittore fra quelle che luidefinisce le «linee generali»209 che egli sta «maturando da tempo»210,puntualizzando comunque di non essere «ancora al punto di sfornareun piano editoriale orientato in questo senso»211. Per quanto dunquel’idea da lui presentata sia per sua stessa ammissione tanto vaga quan-to quella di Bazlen, appare con una certa evidenza il fatto che la con-cezione di Calvino della collana «antisilerchie» che si andava progettan-do sia improntata ad un’impostazione presumibilmente saggistica, ocomunque lontana da quelli che lui definisce come «sconfinamenti spi-ritualistici», dai quali l’editore si sarebbe dovuto guardare. Il pensierodi Bazlen, che comunque muoveva da una simile constatazione diun’incompletezza e di un disorientamento dell’uomo moderno, nonpoteva tuttavia che distanziarsi da quanto Calvino espone nella sua let-tera. Il suo progetto relativo alla costituzione di una «Collezione picco-la» e di una «grande», infatti, era il frutto di un percorso personale, por-tato avanti indipendentemente attraverso la collaborazione con diversieditori: un progetto che sin da una lettera non datata, ma risalente almaggio del 1959, egli aveva definito, parlando di Edward Dahlberg,dunque uno degli autori che entrerà a fare parte della «Collezione pic-cola», come «quella collezione di esperienze dirette che non si faràmai»212, nel quale egli avrebbe incluso lo scrittore «senza esitazioni»213.Bazlen, dunque, sembra marcare le distanze tanto dal campo letterario,

208 Ibidem. 209 Ibidem. 210 Ibidem. 211 Ibidem. 212 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, s.d. 213 Ibidem.

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214 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (New York, 22 novembre 1959) in ItaloCalvino, Lettere 1940-1985 cit., p. 617.215 Si veda a questo proposito: Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamen-to Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà, 29 dicembre 1959. 216 Il parere relativo a The blind owl, già citato in questa sede, si trova pubblicato nella raccolta degli

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quanto da quello di una trattazione teorica di un problema che Calvinodefinisce come «morale». Questa differenza, apparentemente solo ter-minologica, ma in realtà sostanziale anche solo in sede dell’abbozzoteorico del progetto, costituì forse un elemento non irrilevante rispet-to al suo accantonamento: anche se è bene sottolineare che Calvino, aldi là delle diffidenze che segnano il suo parere, si mostra decisamenteaperto alla discussione del progetto, nel momento in cui chiede all’edi-tore: «perché non mi fai mandare un primo abbozzo di piano di Bobi?Io faccio le mie osservazioni e questo mi permette di formulare dellecontroproposte»214. Questa disponibilità, tuttavia, non troverà inBazlen una risposta del tutto adeguata, ulteriore elemento che proba-bilmente favorì il fallimento del progetto. Da quanto si può leggere nel carteggio con Foà, infatti, nelle settima-ne immediatamente successive alla lettera di Calvino, Bazlen non pre-senterà quel piano organico che lo scrittore aveva richiesto, inviando alcontrario nient’altro che un elenco di opere, privo di un commento edi un’esposizione dei presupposti teorici e commerciali che avrebberopotuto chiarire i suoi dubbi. Nella lettera del 19 dicembre 1959, nellaquale come si è visto egli presenta i titoli che dovrebbero costituire la«Collezione grande» e la «Collezione piccola», non si trova alcuna allu-sione ai pareri di Calvino, né alcun inquadramento del proprio proget-to all’interno del catalogo einaudiano. È comunque bene puntualizza-re il fatto che probabilmente il parere che Calvino aveva inviato daNew York non era stato sottoposto a Bazlen, il quale in effetti, sia inoccasione della presentazione dei titoli, sia nelle settimane successive,sembra proseguire il proprio lavoro prescindendo completamente daquanto Calvino aveva osservato da New York: a dimostrarlo è adesempio la proposta, dieci giorno dopo l’invio degli elenchi dei titoliper le due collezioni, di pubblicare nella «Collezione piccola» The blindOwl215, romanzo dello scrittore iraniano Sadègh Hedayàt che Bazlen,come si è visto, apprezzava molto per la sua naturalezza e paragonavaall’opera di Kafka: il parere che nel marzo del 1960216 egli invierà adEinaudi a proposito di quest’opera, tuttavia, non contiene alcuna for-

mulazione più articolata del progetto, né tantomeno alcuna allusionealle ragioni per cui essa dovrebbe esservi inclusa. Tuttavia è bene rile-vare anche il fatto che, se Bazlen non mostra di avere recepito gli sti-moli a una migliore delineazione del progetto che gli arrivavano daCalvino, quest’ultimo porta avanti il proprio tentativo di costruire undibattito in proposito, in seguito anche all’aver potuto, nel frattempo,vedere l’insieme di testi che Bazlen aveva presentato all’editore: cosache lo porta, il 18 gennaio 1960, a rivolgersi nuovamente a GiulioEinaudi, in una lettera che espone più approfonditamente le sue osser-vazioni. In questo caso, inoltre, la lettera di Calvino viene mostrata aBazlen, come quella che Foà gli scrive il 12 febbraio 1960 dimostrachiaramente:

intanto ti mando il «responso» di Calvino a Einaudi che gli avevachiesto cosa pensava della collana autobiografica. A parte l’inizio,che troverai sconcertante, mi pare che ci sia dentro tutto e che,anzi, costituisca una fusione tra la collana piccola e quella grande217.

Le parole di Luciano Foà che si sono appena citate permettono diosservare preliminarmente come all’interno della casa editrice, siaattraverso il pensiero di Calvino, sia attraverso quello di GiulioEinaudi, si stesse tentando una «fusione» delle due collane che Bazlenaveva pensato, collocandole nel loro insieme sotto la definizione di«collana autobiografica»: una proposta che in sé e per sé, si può imma-ginare, il consulente triestino non avrebbe avuto ragioni per disappro-vare, ma che, forse nascendo da una non del tutto corretta interpreta-zione della sua idea, lo porterà sostanzialmente a disapprovare il pare-re di Calvino, come si avrà modo di vedere. Quest’aspetto, comunque,non toglie che, alla luce di quanto si è osservato in questa sede, alcunielementi dei pareri espressi dallo scrittore appaiano pienamente giusti-ficati. Egli infatti così si pronuncia, in primo luogo, circa la «Collezionepiccola»:

Mi è difficile fare una critica argomentata all’elenco di Bazlen, dato che molti

Scritti di Bazlen. Si veda Roberto Bazlen, Scritti cit., pp. 290-292. 217 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 12 febbraio 1960.

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218 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (Chicago, 18 gennaio 1960) in Italo Calvino,Lettere 1940-1985, a cura di Luca Baranelli, introduzione di Claudio Milanini, Milano, ArnoldoMondadori, 2000, p. 636. 219 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, maggio 1959. 220 In una lettera risalente al 9 marzo 1960, che si è già citata in questa sede, Bazlen infatti chiari-sce esplicitamente, a proposito di una lunga serie di libri sui quali si accinge ad esprimere un pare-re, che “la mia norma e il mio argomento più valido sono il gusto e la compartecipazione con iquali li ho letti” Cfr. Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen,lettera di Roberto Bazlen a Luciano Foà, 9 marzo 1960.

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di quei titoli non li conosco neanche di nome. Il mio parere è cheè troppo letteraria, che ci vedrei anche testi d’interesse storico,memorie tipo Venturi che lì troverebbero il loro esito: ma insom-ma quello che mi interesserebbe è vedere una linea di ricerca,mentre qui siamo su un terreno di gusto, così come sempre agusto e a caso si sono fatte le collane di questo genere218.

Calvino, dunque, torna a rilevare, all’interno della proposta di Bazlen,quella componente letteraria che in realtà egli per molti aspetti rigetta-va, sia attraverso la propria scelta di non scrivere, sia per quanto riguar-da la formulazione dei criteri che lo guidavano nella scelta dei titoli daproporre in quanto consulente editoriale: criteri che, come si è visto,rispetto alla collana che stava progettando già nel maggio del 1959 loavevano portato a parlare di testi che presentassero al lettore non rie-laborazioni letterarie, ma «esperienze dirette»219. Accanto a questo,Calvino tuttavia tocca un punto che innegabilmente, nel bene e nelmale, caratterizza l’operato editoriale di Bazlen, ovvero il tendenzialeossequio prima di tutto alle ragioni del proprio gusto personale.Questo aspetto, che egli stesso comunque si attribuiva220, comportavain effetti, come si è più volte rilevato in questa sede, il rendersi vago diquella «linea di ricerca» che Bazlen sicuramente aveva presente, ma cheappunto non di rado tendeva sostanzialmente a smentire. A quest’ulti-mo proposito, si è ad esempio considerato come i titoli che compon-gono la «Collezione piccola» spesso non risultino del tutto coerenti fraloro, presentando come si è visto racconti e alcuni romanzi (dunquequel versante «letterario» che Calvino rilevava), nonché una serie diopere saggistiche alle quali è difficile attribuire l’etichetta di «esperienzedirette». Di fronte a questa, comunque parziale, incoerenza di Bazlen, ècomunque rilevante il fatto che la mancata conoscenza di alcuni titoli

da parte di Calvino poteva in effetti impedirgli di cogliere l’aspettoanche storico che caratterizzava alcune delle proposte per la«Collezione piccola», come nel caso, per fare un solo esempio, di La fine.Amburgo 1943, di Hans Erich Nossack, le cui caratteristiche di memo-ria di un preciso fatto storico si sono già analizzate in questa sede. Oltre agli aspetti visti fino ad ora, che da soli formano una critica nonirrilevante alla proposta di Bazlen, Calvino sembra poi individuarediversi altri punti che a suo parere indeboliscono il progetto relativoalla «Collezione piccola». In primo luogo, infatti, egli pone l’accentosulla godibilità che deve caratterizzare il testo, sia nel caso del proget-to di Bazlen, sia nel caso di quelle «idee generali» riguardo a «come iovedrei la coll. piccola»221, che lo scrittore allegherà alla propria lettera aGiulio Einaudi. Rispetto a entrambe le proposte, infatti, egli scrive

ben mi rendevo conto [...] che una collana così dev’essere fattatutta di titoli, titoli attraenti, libri subito da leggere: e io primo nonho una valanga di titoli da contrapporre o amalgamare a quella diBB [Bobi Bazlen], secondo c’è il problema di fare una collanadivertente, tutta di titoli vivi, il che partendo da criteri generali èpiù difficile222.

La volontà di presentare «titoli vivi» aveva sicuramente caratterizzatoanche la proposta di Bazlen, nel momento in cui in calce all’elenco diopere per la «Collezione piccola» specificava la possibilità di includer-vi «testi da pubblicarsi presto per ragioni di attualità, [...] nuovi libriscoperti»223. Nel caso di Calvino, tuttavia, essa sembra trovare unaragione anche commerciale, che nello sviluppo del proprio discorso loscrittore chiama apertamente in causa. Egli, infatti, puntualizza che «inAmerica [...] c’è un criterio di mercato che guida, e ogni titolo dev’es-sere capace di vendere [...], quindi anche se è una cosa preziosa deveessere o di un autore classico o rispondere a un interesse vivo»224: un’af-fermazione che mostra l’implicita convinzione, in qualche modo ricol-

221 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (Chicago, 18 gennaio 1960) in Italo Calvino,Lettere 1940-1985 cit., p. 636.222 Ibidem. 223 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 224 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (Chicago, 18 gennaio 1960) in Italo Calvino,Lettere 1940-1985 cit., p. 636.

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La complessità delle proposte di Bazlen.

225 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (New York, 22 novembre 1959) in Ivi, p. 617. 226 Pierluigi Battista, Meglio soli che in poltiglia. Intervista con Roberto Calasso, in “Panorama”, 19 dicem-bre 1996, p. 193. 227 Ibidem. 228 Ibidem. Alla luce di quanto si è visto fino ad ora, non appare improprio vedere in una propo-sta come la “Biblioteca orientale” un’ulteriore traccia dell’eredità lasciata da Bazlen ad Adelphi. 229 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (New York, 22 novembre 1959), in Ivi, p. 617. 230 Lettera di Italo Calvino a Giulio e Renata Einaudi (New York, 22 novembre 1959) in Ivi, p. 621. 231 Ivi, p. 636.

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legabile alla prospettiva «antisilerchie»225 che aveva caratterizzato leprime mosse della sua critica, che la «Collezione piccola», così comeera stata formulata, non avrebbe incontrato successo di pubblico, dun-que nemmeno buoni risultati commerciali. I testi che Bazlen avevaproposto, in effetti, si caratterizzavano in molti casi per una ricercatez-za e una probabile complessità che appaiono difficilmente apprezzabi-li dal grande pubblico. Si può, tuttavia, anche riflettere sul fatto chemolte di quelle stesse opere, insieme a numerose altre di quelle amateda Bazlen, saranno accolte dagli anni Sessanta nel catalogo di casaAdelphi: la sua proposta, spesso considerata appunto «snob e ultraso-fisticata»226, come lo stesso Roberto Calasso mette in evidenza in un’in-tervista, d’altro canto riuscirà a realizzare proprio quel successo com-merciale che Calvino auspicava, ma che non vedeva realizzabile trami-te i titoli della «Collezione piccola». È invece «grazie al successo com-merciale»227, come osserva ancora Calasso, «che [noi di Adelphi] abbia-mo potuto fare scelte a cui altrimenti avremmo dovuto rinunciare,come per esempio la creazione della Biblioteca orientale»228. Resta da osservare che Calvino, una volta mosse a Bazlen le critichefino ad ora considerate, allega alla propria lettera quelle «contropropo-ste»229 che aveva promesso a Giulio Einaudi già nel novembre del 1959,presentate con il titolo di Appunti e idee generali per una piccola collezione ditesti di ricerca morale per l’uomo moderno230. Rispetto ad esse, Calvino nellapropria lettera afferma che si tratta di «qualche idea di come vedrei iola coll. piccola»231: una presentazione che permette di vedere come coni suoi Appunti egli di fatto supplisca a quanto era mancato da parte diBazlen, ovvero appunto un testo che tracciasse i lineamenti teoricidella collana e chiarisse il criterio in base al quale i titoli erano stati scel-ti. Criteri che, per quanto egli li definisca come semplici «idee genera-li», mostrano in realtà un alto livello di «lucidità» e sistematizzazione:

La caratteristica della collana dovrebbe essere nel far scaturire lelinee d’una morale dall’attività pratica, dal fare tecnico ed econo-mico, dalla produzione, dal lavoro insomma (e nel lavoro rientral’organizzazione del lavoro). Ma esistono, dei libri di questo tipo?Io credo che basti riesaminare con questo occhio i testi minoridelle varie letterature e se ne possono trovare di bellissimi232.

Il passo che si è appena citato costituisce l’apertura dell’appunto diCalvino, definita da Foà, nel momento in cui presenta il testo a Bazlen,come «sconcertante»233: lo stesso aggettivo, peraltro, è utilizzato dalconsulente triestino nel momento in cui, in una lettera di qualche gior-no successiva, egli commenta quanto gli è stato sottoposto. «Ho datouna rapida occhiata al promemoria di Calvino. Per me un po’ sconcer-tante, considerando che, se dovessi formulare «lo scopo» delle due col-lezioni, direi che è quello di abolire il termine di “morale”»234. Come siè accennato, con queste parole, per la verità, Bazlen rimarca la propriadistanza dallo scritto di Calvino non solo relativamente al suo incipit,ma da un punto di vista molto più generale, ovvero riguardante l’im-postazione teorica che nella sua idea sarebbe dovuta sottostare alle«due collezioni». Alla luce di quanto si è visto fino ad ora, non è diffi-cile comprendere come a Bazlen potesse risultare estranea, se nonsgradita, qualsiasi formulazione di valori condivisi da un’ampia comu-nità di persone: cosa che lo portava ad essere «disincantato, libero daogni remora»235, e ad elaborare valori, letterari ma non solo, collocatisul confine del completo disimpegno, «che non avevano riscontrinell’Italia di allora»236, e tanto meno in un intellettuale come Calvino.Anche solo dalla «sconcertante» apertura dei suoi Appunti, infatti,emerge con una certa chiarezza il fatto che quest’ultimo intendesseattribuire alla collana un’accezione anche politica, se così la si può defi-nire, ravvisabile nella volontà di parlare di «organizzazione del lavo-

232 Italo Calvino, Saggi, a cura di Luca Baranelli, introduzione di Claudio Milanini, Milano,Arnoldo Mondadori, 2000, p. 1705. 233 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 12 febbraio 1960. 234 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 15 febbraio 1960. 235 Rolando Damiani, Roberto Bazlen scrittore di nessun libro cit., p. 73. 236 Ibidem.

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237 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1705.238 Ibidem. 239 Ibidem. 240 Giulio Bollati, Calvino editore in Calvino & l’editoria, a cura di Luca Clerici e Bruno Falcetto,Milano, Marcos y Marcos, 1993, p. 8. 241 Ivi, p. 5. 242 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Italo Calvino, 21 febbraio 1960. 243 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.244 Ibidem.245 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 15 febbraio 1960.

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ro»237 e di proporre, ad esempio, «memorie di testimonianza economi-ca»238, ovvero legate ai mestieri, per poi «arrivare all’industria moderna,magari per concludere che non c’è niente, e già questo sarebbe unrisultato, l’indicazione d’una lacuna»239. La prospettiva di Calvino appa-re dunque per molti aspetti quella di un «intellettuale impegnato»240,come Giulio Bollati afferma in un intervento appunto sul suo lavoroeditoriale, e come non è difficile affermare anche solo sulla base del-l’ideazione di una collana esplicitamente indicata come «di ricerca mora-le»: una definizione, quest’ultima, che tradisce quella «passione di rin-novamento»241 che Bollati sottolinea a proposito della sua figura. Atutto questo fa da riscontro in Bazlen un atteggiamento spessoimprontato alla diffidenza, se non addirittura all’aperta avversione: oancora, nel caso specifico del suo rapporto con lo scrittore, a un vela-to sarcasmo. È difficile, ad esempio, vedere come del tutto casuale ilfatto che, nel suo parere, indirizzato proprio all’autore de Il sentiero deinidi di ragno, circa il romanzo dello scrittore indiano V.S. Naipaul Ahouse for Mr Biswas, Bazlen scriva che «non è un caso neorealisticamen-te pietoso»242. La distanza ideologica che allontanava Bazlen da Calvino, o in genera-le da molte figure interne alla casa editrice, è d’altronde rilevata aper-tamente da Foà, che in un’intervista già citata in questa sede affermache i pareri del consulente triestino «erano sempre visti in [una] tem-perie diciamo marx-sociologica»243 e conseguentemente, spesso, «bloc-cati»244. È però importante osservare che se da un lato il tipo di orien-tamento che guidava i due intellettuali nella stesura dei loro progettiera molto diverso, dall’altro i problemi che essi affrontavano erano alcontrario affini: il che determina il fatto che sia comunque possibilerilevare alcuni punti di contatto del «promemoria»245 di Calvino con il

pensiero di Bazlen. Nella «ripugnanza per l’invivibilità del presente»246,una formula che Giulio Bollati cita da un saggio di Calvino per rileva-re appunto un problematico rapporto con la realtà, non è forse impro-prio ravvisare, infatti, quel disagio che in Bazlen si traduceva nelleaffermazioni circa l’impossibilità di scrivere libri, e di costruire unaproficua corrispondenza, per così dire, fra lo scrivere e il vivere. Laconstatazione di una problematicità profonda nel rapporto con il pre-sente, poi, nel caso di Calvino si congiungeva alla vita della casa editri-ce cui egli era strettamente legato: vale a dire che, di fronte alla consta-tazione del fatto che «la società va verso la complessità»247, e nel diffi-cile tentativo di fornire al lettore gli strumenti adeguati per affrontarla,l’intera casa Einaudi vive

un periodo di opacità tra i secondi anni cinquanta e i primi sessan-ta, mentre case editrici milanesi che hanno radici in una cultura piùpragmatica si aprono più facilmente alle nuove scienze (IlSaggiatore) o alla sperimentazione spregiudicata dei limiti(Feltrinelli)248.

Il varo da parte de Il Saggiatore della «Biblioteca delle Silerchie», dun-que, è indicato anche da Bollati come un aspetto di problematicità perla casa editrice Einaudi: ed è appunto a questa iniziativa editoriale cheCalvino aveva originariamente risposto nella sua ideazione della colla-na di «ricerca morale»249, presentata poi in alcuni Appunti organizzati inbase a una strutturazione e ad una concettualizzazione molto precisa.Dopo la proposta di considerare «testi minori delle varie letterature»250,che presumibilmente incontrava il pieno consenso di Bazlen, Calvinoinfatti delinea una serie di temi generali che vorrebbe vedere trattati neilibri della collana, e che in alcuni casi corrispondono precisamente alleopere che Bazlen aveva annoverato negli elenchi relativi alla«Collezione grande» e quella «piccola»: è questo il caso delle già citate

246 Giulio Bollati, Calvino editore in Calvino & l’editoria cit., p. 12. La citazione di Calvino è tratta daBollati da La letteratura come proiezione del desiderio (Per l’Anatomia della critica di Northrop Frye) inItalo Calvino, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980. 247 Giulio Bollati, Calvino editore cit., p. 11. 248 Ibidem. 249 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1705. 250 Ibidem.

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251 Ibidem. 252 Ibidem. 253 Ibidem. 254 Giulio Bollati, Calvino editore cit., p. 8. 255 Ibidem.256 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1705. 257 Ibidem.258 Ibidem.259 Ibidem.260 Italo Calvino, Lettere 1940 - 1985 cit., p. 617. 261 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959.262 Giulio Bollati, Calvino editore cit., p. 9. 263 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1706.

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«memorie», ampiamente rappresentate nel programma di Bazlen,anche se ad esse Calvino attribuisce la connotazione più specifica di«testimonianza economica»251, scritte da «chiunque abbia fatto unmestiere con passione e competenza»252. Le memorie proposte dalloscrittore, infatti, sono da lui collocate sotto il primo dei temi generaliche egli elenca, ovvero la «morale del fare»253: in essa, peraltro, non èimproprio vedere quella che Bollati definisce una «religione del lavoro,inteso come razionalità costruttiva e come dovere»254, che appunto nona caso costituisce «la base più sicura dell’impegno di Calvino»255. Allostesso modo, alla categoria della «morale del fare» è ascritta anche la pro-posta di «trattati»256 che «si fondino su una ragione poetica e morale»257,fra i quali Calvino annovera «quei libri orientali (giapponesi) che tra-mandano le regole di qualsiasi arte elementare»258: l’interesse perl’Oriente, dunque, è condiviso anche dallo scrittore, il quale però espli-citamente dichiara di voler valorizzare i testi da esso provenienti per il«loro giusto carattere di etica immanentistica»259, dunque in chiaraopposizione agli «sconfinamenti spiritualistici»260 che egli aveva sin dasubito dichiarato di volere evitare. Se la prospettiva di Calvino era con-divisa dall’intera casa editrice, non è peraltro improbabile che in pro-poste di Bazlen quali «Ramakrishna, Prophet of New India (appunti diun discepolo sul R. [Ramakrishna]»261 fosse visto appunto uno «spiri-tualismo» eccessivo, d’altronde a suo tempo in qualche modo anticipa-to dalle «accuse di irrazionalismo mosse al Pavese etnologo e indaga-tore del mito»262. Trattando del «confronto con la natura»263, riportato subito di seguito alla«morale del fare», Calvino riesce invece (è difficile dire quanto consa-

pevolmente) a fornire un valido puntello teorico ai vari resoconti diviaggi ed esplorazioni, che come si è visto Bazlen aveva incluso nellecollane proposte tanto ad Einaudi quanto agli editori con i quali avevaprecedentemente collaborato. Secondo Calvino, infatti, il rapporto conla natura è «la situazione da cui prende le mosse il fare umano»264, dimodo che diviene per lui opportuna la messa in rilievo, attraverso laloro pubblicazione nella collana, della «ricchezza poetica e morale cheavranno sempre le testimonianze degli esploratori, di chiunque si trova a lot-tare con la natura»265; tale ricchezza, indirettamente rilevata anche daBazlen con proposte quali Au pays des Tarahumeras di Artaud e Kablounadi Gontrand de Poncins, è peraltro tale da costituire un insieme di testivivi, «da leggere subito, non da conservare tra i classici»266.Un’osservazione, quest’ultima, che sembra essere in accordo con laprecedenza che Bazlen tendeva a dare a testi «nuovi», non rientranti nelcanone dei classici: fermo restando il fatto che la «vitalità» che Calvinoriscontrava nei resoconti degli esploratori poggiava sempre su unpiano valoriale ben preciso, nel momento in cui egli osservava che «ilcriterio dev’essere fisso all’attualità della morale del limite umano»267. Lamedesima ottica lo guidava poi nell’esposizione circa due nuove com-ponenti della collana da lui immaginata, ovvero «la morale della ricerca(libri di scienziati)»268 e quella «dell’agire storico»269, rispetto alle quali, pre-sumibilmente, Bazlen percepiva una minore affinità: se infatti è indub-bio l’interesse che egli dedicò, sia sul piano delle traduzioni sia su quel-lo delle proposte editoriali, ad ambiti scientifici nuovi come la psicolo-gia analitica e la psicoanalisi (che lo stesso Calvino prendeva in consi-derazione proponendo «qualche operetta esemplare di Freud»270) èaltamente improbabile che vedesse in essi una «via di conoscenza tota-le, [una] reintegrazione di un umanesimo completo»271, vista la suasostanziale diffidenza verso qualsiasi chiave di lettura della realtà che sipretendesse completa272. Allo stesso modo, si può immaginare che

264 Ibidem. 265 Ibidem. 266 Ibidem. 267 Ibidem. 268 Ibidem. 269 Ivi, p. 1707. 270 Ibidem. 271 Ibidem. 272 A questo proposito, si può ricordare l’aforisma delle Note senza testo, che si è citato nel primo

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capitolo del presente lavoro, nel quale Bazlen denunciava il fatto che “l’àncora dell’umanesimo èaffondata”. Cfr. Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 220. 273 Calvino, La psiche e la pancia, in “La Repubblica”, 1 giugno 1983, p. 20. 274 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1707. 275 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 200. 276 Ibidem. 277 Ibidem. 278 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1708.

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Bazlen non sentisse con particolare urgenza il tema della «morale del-l’agire storico»: è lo stesso Calvino a rilevarlo, nel momento in cui, in unarticolo dedicato appunto alla figura del suo collega triestino, ricordafra i suoi interessi «tutto ciò che non erano lo storicismo, lo hegelismo,l’etico politico dominanti nella cultura italiana (in quella ufficiale comein quella di opposizione)»273. In effetti, al di là delle categorie cheCalvino elenca nel suo articolo, non è difficile vedere la distanza cheseparava la sua concezione circa il fatto che «l’uomo non passivo versola storia è quello più idoneo oggi a esprimere un’etica legata al fare»274

e la visione di Bazlen: il quale, nelle Note senza testo, definisce la «partestorica in noi»275 come «la più caduca, la più ctonia, la meno cristalliz-zata»276, in quella che appare quasi come una contrapposizione fra larealizzazione personale di un individuo e la sua partecipazione allosvolgersi della storia: «più ci realizziamo in pieno, meno disponibilitàabbiamo per la “storia”»277. Tale visione, molto più individualistica edisimpegnata di quella che guidava Calvino, non toglieva comunque ilfatto che anche Bazlen potesse vedere un aspetto di interesse, almenoa livello di proposta editoriale, in quelle che lo scrittore definisce come«testimonianze di rivoluzionari» (rappresentate nel programma della«Collezione grande» dalle memorie di Vera Figner) e «testimonianze sul-l’etica del potere» (nelle quali non è improprio vedere proposte quali labiografia di Lincoln, sempre nella «Collezione grande»). Del resto, lostesso Calvino mostrava di voler immettere nella «collana di ricercamorale» una serie di testi maggiormente legati al singolo ed alla vitapersonale, rappresentati dalle tematiche della «morale dell’eros e dell’amo-re» (che nel suo proporre «testi di varia esemplificazione del rapportoamoroso»278 non sembra trovare riscontri in quanto Bazlen aveva pro-posto per le sue collane) e la molto vaga «persona umana», ovvero unasezione della collana che avrebbe dovuto includere testi che potesseroproporre risposte alla domanda così formulata da Calvino:

si può esprimere un valore umano esemplare non in rapporto aparticolari cose che si fanno, a partcl. stuaz. [particolari situazioni]in cui ci si trova, ma solo per un particolare modo di vivere la pro-pria vita, di usare l’esperienza stessa come mezzo di espressione?279

Nelle parole che si sono appena citate, si può vedere uno dei punti dimaggiore vicinanza fra gli «Appunti» di Calvino e le collezioni pensa-te da Bazlen in base a precise posizioni teoriche: quanto egli intende-va sotto l’indicazione della «primavoltità»280 come «unico valore»281,infatti, consisteva appunto tanto in una «minuscola invenzione, ungesto rapido»282, quanto nel più ampio significato che l’intera esperien-za di una persona, fosse essa un personaggio storico, uno scrittore, oanche semplicemente se stesso, poteva veicolare. Si sono già indicati,in questa sede, diversi esempi di tale primato dell’esperienza persona-le nel sistema di valori e nelle scelte editoriali di Bazlen: è però oppor-tuno, a questo punto, sottolineare come esso trovasse un riscontroanche nella riflessione di un intellettuale in realtà profondamentedistante da molte delle sue posizioni, cosa che però non impediva unaparziale convergenza in sede di scelte editoriali. Anche Calvino, infat-ti, indica l’«esperienza religiosa della propria interiorità»283 come fonda-mentale nella «persona umana», cosa che lo porta a proporre «la lettera-tura dell’interiorità laica e moderna»284: un aspetto che, certo con alcu-ne differenze d’impostazione, si trova comunque rappresentato nelleproposte di Bazlen per le sue collezioni, come ad esempio il casodell’«autobiografia di un pellegrino russo»285, e molti dei titoli propostiper la collana «Mondi e destini» e la «Collana letteraria» delle NuoveEdizioni Ivrea, possono dimostrare. Allo stesso modo, se Calvino pro-pone, sempre nel generale ambito della «persona umana», testi che neraccontino «l’educazione»286, intesa come «memorie di educatori o digiovinezza o racconti che possano valere a dare un’idea moderna di

279 Ibidem. 280 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 230. 281 Ibidem. 282 Roberto Calasso, Da un punto vuoto in Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 20. 283 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1708.284 Ibidem.285 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 286 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1708

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287 Ibidem. 288 Per fare un ultimo esempio, si può presupporre che la proposta da parte di Calvino, avanzatasubito di seguito a quella relativa alla “persona umana”, di una sezione relativa alla “morale pra-tica del filosofo”, per la quale lo scrittore pensava agli “scritti di morale o vita pratica di Croce”,non incontrasse l’approvazione di Bazlen. 289 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1708.290 Ibidem.291 Ibidem.

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pedagogia in senso lato»287, dal canto suo Bazlen indica, nel program-ma presentato il 19 dicembre 1959, titoli come Father and son diEdmund Gosse, Mine haha, ovvero dell’educazione fisica delle fanciulle diFrank Wedekind ed infine The education of Henry Adams. Titoli che, nelloro insieme, indicano la volontà, sebbene non esplicitata chiaramentecome nel caso di Calvino, di fornire stimoli di riflessione circa la gio-ventù e l’educazione della persona. Pur nella sostanziale differenza di vedute circa il varo di una collanaesplicitamente connotata in senso morale, che si manifestava poi nelladivergenza su singoli punti288, non è dunque infrequente il caso di unosviluppo ed un approfondimento teorico, da parte di Calvino, di quan-to Bazlen aveva in un certo senso solo accennato, tramite l’immissionedi determinati titoli nelle sue proposte per l’editore Einaudi. Ne conse-gue la parziale sovrapponibilità di alcune posizioni dei due intellettuali,rilevabile chiaramente nell’ultimo punto del programma stilato daCalvino, che appunto nel suo insieme racchiude alcune di quelle che sisono viste essere le idee fondamentali di Bazlen. Lo scrittore, infatti,chiude il proprio catalogo «morale» chiamando in causa un tema moltoampio, indicato come «Poesia e arte»289, rispetto al quale, con la preci-sione che si è già posta in evidenza, egli preliminarmente puntualizzache «lo metto all’ultimo perché naturalmente è il polmone della collanae tende a sovrastare tutto, se non si tengono delle rigide proporzioni»290:le sue affermazioni, peraltro, ottengono anche il risultato di dare mag-giore organicità alle posizioni di Bazlen, come risulta evidente dallapuntualizzazione circa il fatto di voler «fare una collana orientata e nonuna delle solite universali, decisa su criteri di puro gusto»291.

a) la conoscenza poetica di se stessi, cioè i testi diaristici, psicologici, intimi,moralistici di scrittori o poeti nonché gli epistolari.

b) la morale del fare poetico: e qui c’è la miniera degli scritti degli scrittorie artisti sul proprio mestiere [...];

c) la poesia è morale di per sé: e così possiamo far entrare nella collanaanche opere creative minori, trouvailles preziose ecc.; basta salvareil senso delle proporzioni;

d) la poesia come prima voce umana: e lì ci mettiamo tutte le testimonianzedi persone del popolo, fiabe popolari, la poesia primitiva ecc. ecc. làdove poesia religione morale sono ancora tutt’uno292.

Non è difficile percepire come diversi elementi dei punti sviluppati daCalvino tocchino da vicino il personale sentire di Bazlen. Si è infatticercato di mostrare nei precedenti capitoli come la frequentissima pro-posta, da parte sua, di autobiografie, epistolari, scritti memorialistici, discrittori ma non solo, fosse il risultato della constatazione della perdi-ta di una felice corrispondenza fra la “poesia” e la “vita”: tale consta-tazione lo conduceva appunto alla valorizzazione estrema del secondopolo, per esempio attraverso la ricerca, in ambito letterario, di «valoriintrinseci di autenticità e verità, tralasciando ben più vaste problemati-che di ambito critico-culturale»293. La scelta di Bazlen, tuttavia, si trovaespressa frammentariamente nelle Note senza testo e metaforicamentene Il capitano di lungo corso, ma comunque mai tramite una sistematicatrattazione teorica, cosa che spesso impedisce di vederne le ragioni e leconnessioni più profonde. È per questo motivo che Calvino, indican-do testi quali «testimonianze di persone del popolo, fiabe popolari, lapoesia primitiva»294 come rappresentativi della condizione «dove poesiareligione morale sono ancora tutt’uno»295, riesce ad illuminare un’altrapossibile ragione di interesse, da parte di Bazlen, appunto verso queltipo di opere. Se si considera infatti come, almeno rispetto alla proget-tata collana einaudiana, lo scrittore privilegiasse una condizione dellamorale «pratica», dunque concreta e fattiva, si può comprendere comeegli nella poesia primitiva vedesse appunto la corrispondenza fra “vita”e “poesia” che Bazlen non trovava più nella letteratura dell’età contem-poranea: in tal modo scelte presenti e passate, come la «vita della con-tadina raccontata a Tolstoj»296 e la Poesia dei popoli primitivi di Eckart von

292 Ivi, p. 1709. 293 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 22. 294 Italo Calvino, Saggi cit., p. 1709. 295 Ibidem. 296 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959.

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Calvino vede una possibilefusione tra le due collezionipensate da Bazlen.

297 La proposta da parte di Bazlen relativa alla pubblicazione di quest’opera, seguita alla cura delvolume, è stata trattata nel secondo capitolo del presente lavoro. 298 Italo Calvino, Lettere 1940 - 1985 cit., p. 621. 299 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 12 febbraio 1960. 300 Italo Calvino, Lettere 1940 - 1985 cit., p. 636.301 Ibidem. 302 Giacomo Debenedetti, Preludi. Le note editoriali alla “Biblioteca delle Silerchie” cit., p. 22. 303 Italo Calvino, Lettere 1940 - 1985 cit., p. 636.

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Sydow297, pubblicata nella «Fenice» di Guanda nel 1951, si possonospiegare anche con gli «appunti» di Calvino, oltre le già rilevate «spin-te» che la psicologia analitica junghiana e l’antropologia avevano eser-citato in direzione di quel tipo di opere. Alla luce di quanto si è fino ad ora osservato circa gli «Appunti e ideegenerali per una piccola collezione di testi di ricerca morale per l’uomo moderno»298,non è difficile comprendere perché Luciano Foà, nel presentarli aBazlen, osservi come essi costituiscano «una fusione fra la collana pic-cola e quella grande»299: le osservazioni dello scrittore, infatti, per lasistematicità con cui sono esposte, ma soprattutto per il fatto di inte-grare allusivamente testi che facevano parte sia della «Collezione gran-de», sia di quella «piccola», paiono smentire le sue precisazioni, espo-ste nel titolo del proprio appunto e nelle lettere a Giulio Einaudi, circail fatto di riferirsi unicamente alla seconda. L’assenza di particolari cri-tiche rispetto alla «Collezione grande», d’altra parte, è da Calvino stes-so spiegata con il fatto che quest’ultima sia «più solida, almeno per ititoli che conosco»300, della sua omologa: cosa che lo porta a conclude-re che «qui ci sono meno problemi perché si tratta di fare una buonacollana di letteratura non narrativa con quanto di meglio c’è in giro»301.Presumibilmente, dunque, il progetto dello scrittore, per quanto nondel tutto esplicitato, consisteva nella presentazione di una collana chefondesse in maniera organica le due collezioni pensate da Bazlen, man-tenendo però le ridotte dimensioni dei volumi, che nel progetto diBazlen avrebbero dovuto caratterizzare una sola delle collane: in talmodo, il carattere della collezione di concorrente alla «Biblioteca delleSilerchie», la quale anche puntava sulla pubblicazione di «volumetti»302,sarebbe emerso con evidenza, mentre la densità concettuale risultantedalla fusione delle due collezioni sarebbe risultata accresciuta. È tuttavia bene sottolineare che tanto rispetto al «problema [...] edito-riale, di che tipo di libro vogliamo fare»303, quanto rispetto a quello teo-

rico, Calvino sottolinei di voler «creare una dialettica [delle proprieidee] con quelle di Bazlen»304. L’esigenza da lui espressa, peraltro, è evi-dentemente condivisa da Foà, come si può vedere da quanto egli scri-ve all’amico nel presentargli il giudizio dello scrittore chiedendogli «untuo parere più particolareggiato che è possibile»305. La ricchezza delleposizioni espresse da Calvino, dunque, rendeva necessario che ancheBazlen si «compromettesse», formulando cioè un piano teorico checonvincesse Giulio Einaudi ad investire sul progetto. Di fronte alle sol-lecitazioni di Foà in tal senso, nella lettera del 15 febbraio 1960, nellaquale Bazlen commenta il «promemoria» di Calvino definendolo«sconcertante» per via della sua forte accezione morale, egli prometteche «presto ricomincerò a scrivere, e ti scriverò finalmente anche delledue collezioni»306. Come si è già avuto modo di accennare, tuttavia, larisposta del consulente triestino non verrà mai inviata, forse anche perla consapevolezza dello scarso peso che le proprie posizioni potevanoavere in confronto a quelle dello scrittore: certamente, inoltre, a causadel suo essere «inabile per temperamento e per scelta al rigore forma-le di una scrittura critico-giornalistica, cui era stato più volte sollecita-to»307, per esempio, in questo caso, da Foà ed indirettamente daCalvino. L’atteggiamento di Bazlen, dunque, sembra piuttosto volto afingere che quanto egli aveva pensato non fosse stato sottoposto a unacritica ed un arricchimento puntuale ed organico da parte dello scrit-tore, così che, nei mesi successivi, egli continuerà ad avanzare propo-ste all’editore, in quella che sembra una costante oscillazione fra ideediverse, o comunque una ferma decisione di non pronunciarsi circa icriteri generali che ad esse sottostavano. Tale atteggiamento di certonon poteva accordarsi con quanto Giulio Einaudi esplicitamente chia-risce in un’intervista, nel momento in cui afferma che «senza progettonon si fa nulla, bisogna avere le idee di quello che si vuole fare»308,soprattutto in seguito al fatto che «le situazioni mutevoli nella nostra

Le resistenze di Bazlen.

304 Ivi, p. 637. 305 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 12 febbraio 1960. 306 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 15 febbraio 1960. 307 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 3308 Giulio Einaudi, Tutti i nostri mercoledì, interviste di Paolo Di Stefano, Bellinzona, EdizioniCasagrande, 2001, p. 57.

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309 Ivi, pp. 57-58. 310 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 9 marzo 1960.311 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959. 312 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 9 marzo 1960.

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società ti obbligano a dei mutamenti, [...], a degli avanzamenti improv-visi»309: affermazioni, queste, che tradiscono appunto la grande impor-tanza attribuita, non a torto, all’aspetto della progettualità ai fini dellariuscita del ruolo culturale assolto da una casa editrice. Bazlen al con-trario, nonostante le sollecitazioni non sembra avere una posizioneferma nemmeno su quanto aveva precedentemente proposto, nelmomento in cui, tornando su Marie Thurn und Taxis, inclusa nel pro-gramma di dicembre nella «Collezione piccola», egli scrive:

MARIE THURN UND TAXIS: MEMOIRS OF A PRINCESS:dipende se farle rientrare nella collezione grande o in quella pic-cola. Decideremo quando vi avrò scritto delle collezioni. In ognicaso, mi sembrano molto belle, sia come materiale, sia comeEchtleit [autenticità] di scrittura310.

Alla vaghezza dei criteri editoriali, dal momento che quanto era statopensato per la «Collezione piccola» ora ha perso la propria collocazio-ne, supplisce comunque, almeno relativamente al titolo proposto, laconsapevolezza circa le ragioni del suo meritare la pubblicazione, rile-vabili nell’autenticità della scrittura che Bazlen spesso indica comevalore primo in un libro: un elemento che, per quanto vago, può esse-re indicato come uno di quelli fondanti la collana. L’indecisione circala collocazione delle memorie di Marie Thurn und Taxis nell’una o nel-l’altra collana tradisce, comunque, anche il fatto che egli non avesserinunciato alla distinzione fra due diverse collezioni, per quanto fraloro collegate: cosa che trova ulteriore conferma nel fatto che nellastessa lettera, a proposito dello scrittore ungherese Tibor Dery, delquale era stata pensata una «novella lunga»311 per la «Collezione picco-la», ora Bazlen osservi che «nella collezione piccola, un gruppo di que-ste novelle, come pensavo, non lo metterei troppo volentieri. Dery ètroppo ricco, troppo vasto per esaurirsi in piccoli destini»312. La diffe-renziazione fra le due collane, dunque, per quanto ancora non concet-

tualizzata ma al contrario indicata sempre con connotazioni differenti,sembra essere rimasta prioritaria per Bazlen: cosa che, se si legge quan-to Foà risponde alle sue proposte di quei mesi, presumibilmente anome anche di Giulio Einaudi, permette di vedere un certo distaccofra quanto il consulente e l’editore progettavano. L’1 aprile del 1960, infatti, Foà scrive all’amico rimproverandogli lamancata risposta a quanto Giulio Einaudi gli aveva richiesto, e incorag-giandolo a impegnarsi in questo senso. Di una certa rilevanza è poi ilfatto che, riferendosi al nebuloso complesso di progetti formulato daBazlen e rivisto da Calvino, Foà ne parli come della «collana dell’io»313:

La collana dell’“io” è rimasta fluttuante nell’aria. Einaudi avrebbedesiderato avere una tua presa di posizione di fronte alle idee espo-ste da Calvino. Intanto la De Beauvoir esce nei “Supercoralli” (cioèla collana di narrativa) e tutto il resto (Gosse ecc.) è accantonatoall’anno prossimo. Io insisto perché preferirei che la collana inizias-se su una buona base di convinzione di Einaudi e degli altri, in par-ticolar modo di Calvino che, mi sembra, ha dimostrato un interes-se più vivo di qualsiasi altra persona qui per questa iniziativa314.

La prima citazione della «collana dell’“io”», in altri casi indicata come«collezione», risulta dunque non essere attribuibile a Bazlen, bensì aFoà in quanto tramite delle decisioni del comitato editoriale einaudia-no: il fatto che a proposito di essa il segretario generale di Einaudi citile opere di Simone de Beauvoir ed Edmund Gosse, originariamentepensate per la «Collezione grande», permette poi di immaginare checorrispondesse appunto al progetto di Bazlen, rispetto al quale l’edito-re sceglieva di marcare, attraverso il nome, il carattere autobiograficodei testi proposti. Più difficile è indicare se in questa formulazione, daparte della casa editrice, del progetto del consulente triestino, fosseanche prevista la creazione parallela della «Collezione piccola»: anchese questo appare improbabile, vista la lettura che era stata data delparere di Calvino circa quest’ultima come una «fusione»315 delle due evisto soprattutto il fatto che essa, nelle lettere che a Bazlen arriveran-

La «collezione dell’io», sinte-si del confronto fra Calvinoe Bazlen.

313 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 1 aprile 1960. 314 Ibidem. 315 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 12 febbraio 1960.

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316 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953. 317 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 9 maggio 1960. 318 Ibidem.

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no da Torino, non verrà più nominata. Resta comunque il fatto che,come nel caso della proposta avanzata nel 1953 circa la pubblicazionedi «testi mitologici, religiosi, iniziatici, folkloristici»316, Foà prospetta lapubblicazione, in questo caso di un solo titolo, in collane già esistenti,e rimanda il vero e proprio varo della collana: alla quale d’altrondeBazlen, nei suoi successivi pareri, continua ostinatamente a riferirsicome a un versante di un progetto che per lui doveva svilupparsi sudue binari. In una lettera di un mese successiva a quella di Foà, infatti,Bazlen da un lato mostra di avere accettato le proposte che gli prove-nivano dalla casa editrice, nel momento in cui egli stesso propone Lemeurtre rituel di Paul Sèrant «per la collezione dell’Io, ma non soltantoper questa»317, e dall’altro non manca di indicare un titolo, Le château dudessous di Louis Pauwels, «come riempitivo della piccola»318. Ad ulteriore testimonianza dell’oscillazione fra l’accettazione e lamessa in discussione della parziale modifica ai propri progetti che l’edi-tore Einaudi aveva attuato, si possono infine citare brevemente altridue pareri editoriali. Il primo, relativo a La defaite di Pierre Minet, sitrova in una scheda datata sempre 9 maggio 1960, ed inclusa nella rac-colta degli Scritti di Bazlen. In essa fra l’altro si legge: «se, come spero,la collezione dell’io si fa, va fatto senza discussione - ma anche se nonsi fa, vi direi di farlo in ogni caso». Con queste parole, dunque, Bazlensembra mostrare non solo di avere accettato le modifiche che eranostate apportate al suo progetto, ma anche di sperare che esso, in unaforma o nell’altra, trovasse finalmente realizzazione. Il coinvolgimentoche sembra mostrare nella questione relativa alla «Collezione dell’io»,peraltro, trova un’ulteriore dimostrazione nel fatto che con la propostadi La defaite Bazlen voglia «nutrire» la collana con un testo che gli staparticolarmente a cuore. Il romanzo autobiografico di Pierre Minet,infatti, descrive l’abdicazione del suo autore al ruolo di scrittore, unaspetto che come si è visto riguardava molto da vicino il suo persona-le vissuto, portandolo a descrivere il sentimento che la lettura gli hasuscitato come segue:

Non ho mai letto un libro dove l’insofferenza sia così istintiva, ecosì echt [auntentica], e così lontana da ogni possibilità di com-promesso - e ci sono pagine, particolarmente nei capitoli centrali,sull’esaltazione e l’euforia della libertà che vanno nelle ossa, e chemi hanno veramente portato a vergognarmi della vita che faccia-mo tutti319.

Resta però anche il fatto che accanto a quella che pare una più decisaadesione al progetto relativo alla «Collezione dell’io» si possa citarequanto un mese dopo Bazlen scrive a proposito di un libro, La leggen-da del Santo bevitore di Joseph Roth, il quale, forse non a caso, verrà pro-posto nel 1975 nella «Piccola Biblioteca Adelphi»320. Nel breve parereche egli fornisce a proposito dell’opera di uno degli autori di punta dellacasa editrice che sarebbe nata a Milano di lì a poco, infatti, Bazlenmostra di non avere affatto rinunciato all’idea della «Collezione picco-la», della quale, sebbene di scorcio, egli accenna una veloce definizione.

ROTH: DIE LEGENDE DES HEILIGEN TRINKERS [Laleggenda del Santo bevitore]: [...] te la mando perché è JosephRoth at his best, perché non si poteva raccontarla meglio, perchéquanto mondo abbia messo in poche pagine non sovraccariche èun miracolo, e perché è un caso tipico che giustifica la piccola col-lezione (di piccoli outsider di autori di libri grossi ce ne sono fintroppi)321.

Il libro di Roth, dunque, costituisce un «miracolo» all’interno di quelloche Bazlen delinea come il campo dal quale attingere titoli per la sua«Collezione piccola»: in tale breve definizione, peraltro, si può vedereuna dimostrazione del fatto che l’idea che la «Collezione dell’io» sia daconsiderarsi «una collana di carattere autobiografico che egli avevasuggerito, nel 1960, all’Einaudi»322 vada in parte ridimensionata. Inprimo luogo, infatti, la prima citazione del progetto in questa formanon proviene da Bazlen, bensì da Foà, nonché appunto l’intento pro-

319 Ivi, pp. 296-297. 320 Joseph Roth, La leggenda del Santo bevitore. Racconto, traduzione di Chiara Colli Staude, Milano,Adelphi, 1975. 321 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 2 giugno 1960. 322 Manuela La Ferla, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen cit., p. 66.

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Il giudizio di Bazlen sul fallimento del progetto.

323 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di LucianoFoà a Roberto Bazlen, 13 luglio 1960. 324 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Daniele Ponchiroli, 3 dicembre 1961. 325 Ibidem.326 Ibidem.

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gettuale del consulente triestino sembra essere dedicato maggiormen-te a quei «libretti» di cui, sebbene molto fumosamente, egli parlava daanni. Che d’altronde i pareri editoriali che si sono appena citati nonsiano stati ritenuti sufficienti come presa di posizione da parte diBazlen rispetto alla «collezione dell’io» è ulteriormente dimostrato daquanto Foà gli scrive, con quella che sembra una certa preoccupazio-ne, il 13 luglio 1960, nell’ultima lettera che da Torino verrà inviata circail dibattuto progetto: «ti prego, in ogni caso, mandami quella presenta-zione della grammatica della collana perché mi sembra ormai urgentedecidere per il sì o per il no. (tra l’altro Feltrinelli vuole fare una colla-na di epistolari)»323. Con queste parole, peraltro, Foà attribuisce alla col-lezione il ruolo di concorrente al catalogo di un’altra casa editrice,oltre, come si è visto, Il Saggiatore: il progetto relativo al varo della«Collezione dell’io» appare dunque per certi aspetti più il frutto dellestrategie editoriali della casa editrice Einaudi che non delle aspirazionidi Bazlen. Il quale infatti, rivolgendosi ormai a Daniele Ponchiroli,dunque ad un passo dalla creazione di Adelphi, mostrerà il propriodispiacere per il fallimento della «Collezione piccola» come «cornice»324

editoriale. Al nuovo destinatario delle proprie lettere, dopo il ritorno diFoà a Milano, Bazlen infatti scriverà, a proposito dell’«autobiografiasimpatica, delicatissima e banale di un pittore cinese del ‘600»325:

è un residuo del momento in cui mi sembrava avreste fatto quellacollezione di testi brevi di cui s’era parlato, e in quella avrebbepotuto rientrare benissimo. Ma così, isolato, troppo breve, senzauna cornice, meglio lasciar perdere326.

Le scissioni da Einaudi.

1 Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Roma, Edizioni Theoria, 1991, p. 205. 2 Francesco M. Cataluccio, Cinquant’anni di libri e buone idee, in Catalogo storico delle edizioni BollatiBoringhieri 1957/1987/2007, a cura di Irene Amodei e Valentina Parlato, Torino, BollatiBoringhieri, 2007, p. X.

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5. La collaborazione con Boringhieri e la nascita di Adelphi.

5. 1 La casa editrice Boringhieri.

«Dunque dalla Einaudi o meglio dai suoi guai finanziari nascono moltecose buone. Boringhieri, poi un po’ di Saggiatore, un po’ di “Oscar”....Dimenticavamo l’Adelphi»1: con queste parole l’editor Severino Cesari,in un volume di interviste a Giulio Einaudi, invita l’editore a descriverequel frammento di storia della casa editrice, relativo agli anni Cinquantae Sessanta, che appunto condurrà alla nascita di esperienze editorialinuove e quanto mai fertili. Le difficoltà di natura economica che Cesariaddita a unica ragione delle diverse «scissioni» da Einaudi, tuttavia,vanno forse considerate accanto ad altre di natura diversa, relative cioèalle scelte e all’evoluzione interna della grande casa torinese. Il caso dellanascita della realtà editoriale che dalla fine degli anni Ottanta prenderà ilnome di Bollati Boringhieri è a questo proposito indicativo.Nell’introduzione al catalogo della casa editrice, infatti, FrancescoCataluccio evidenzia come ad esempio l’einaudiana Piccola bibliotecascientifico-letteraria, collana economica che dal 1949 univa la divulgazio-ne scientifica a testi letterari a destinazione popolare, fosse avvertitacome «un corpo estraneo»2 all’interno del catalogo di Einaudi. In effet-ti, anche lo studio di Luisa Mangoni indica, relativamente all’anno 1951,

una «crisi aperta nella casa editrice»3: essa è appunto ricondotta dalla stu-diosa anche alla scarsa caratterizzazione della serie grigia, vale a direquella letteraria, in conseguenza della «mancanza di un orientamento difondo che ispirasse le scelte»4. Accanto a questa problematica, di per séassai rilevante, si verificò inoltre, all’interno della stessa collana, l’assun-zione, da parte dei consulenti scientifici, di una «sempre maggiore auto-nomia»5, che li portò progressivamente a trovarsi in riunioni separaterispetto a quelle del mercoledì. La consapevolezza del cambiamento inatto, unita indubbiamente alle ragioni economiche di cui parla Cesari,conduceva l’editore a creare, nel 1951, una «società separata»6, dedicataalle pubblicazioni di natura scientifica e appunto chiamata Edizioniscientifiche Einaudi. La sua direzione veniva affidata a PaoloBoringhieri, già consulente per la Piccola biblioteca scientifico-lettera-ria, il quale di fatto diede progressivamente vita a un progetto editorialedistinto rispetto a quello di Einaudi: uno sviluppo, quest’ultimo, che sipuò spiegare ad esempio con la peculiare idea di Boringhieri «che lamodernizzazione della società italiana passasse attraverso la divulgazio-ne della scienza»7, ma anche con il suo interesse per specifici ambiti disci-plinari. Tutto questo induceva Einaudi, in seguito a una crisi finanziaria,a procedere nel 1956 ad una «amputazione [...] molto dolorosa»8, consi-stente nella cessione alla nuova sigla editoriale creata nel frattempo daBoringhieri di una serie di collane, appunto coerenti con le iniziative delnuovo editore. Si tratta infatti della Biblioteca di cultura scientifica, quel-la di cultura economica, la «collana viola», i Manuali Einaudi e i Testi perdirigenti, tecnici e operai, ambiti dei quali, peraltro, fin dal 1951 Einaudiaveva garantito «di non occupar[si] più per alcuni anni»9. «Paolo Boringhieri, che era stato redattore Einaudi, all’inizio ha pub-blicato come Edizioni scientifiche Einaudi. Poi è rimasto solo con ilsuo cielo stellato»10: così Giulio Einaudi descrive, sembra anche con un

L’inizio di Boringhieri come“Edizioni scientificheEinaudi”.

3 Luisa Mangoni, Pensare i libri: la casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta cit., p. 655. 4 Ivi, p. 654. 5 Ivi, p. 650. 6 Ibidem. 7 Francesco M. Cataluccio, Cinquant’anni di libri e buone idee, in Catalogo storico delle edizioni BollatiBoringhieri 1957/1987/2007 cit., p. XI. 8 Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi cit., p. 205. 9 Ivi, p. 142. 10 Ivi, p. 205. Il riferimento di Einaudi è evidentemente al marchio scelto da Boringhieri, costitui-to da un’incisione quattrocentesca accompagnata appunto dalla scritta “celum stellatum”.

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Nel 1952 Bazlen inizia lacollaborazione conBoringhieri.

11 Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi cit., p. 205.

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poco di amarezza, il processo che si è appena cercato di delineare. Inquesta sede, quello che importa maggiormente rilevare è il fatto che al«cielo stellato» di Boringhieri si sia avvicinato, sin dal 1952, ancheRoberto Bazlen. La natura di questa collaborazione può essere vista, aparere di chi scrive, in connessione con quella intrattenuta negli anniSessanta con la milanese Adelphi. Non è infatti improbabile l’ipotesiche il coinvolgimento di Bazlen in nuove esperienze editoriali nate«dalla Einaudi»11, dunque in seguito a una differenza di vedute su cosafosse necessario pubblicare nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta,si trovi giustificato anche dalla sua difficoltà a costruire un dialogoproficuo con l’editore, come si è avuto modo di rilevare nei capitoliprecedenti. Nei cataloghi editoriali di Boringhieri ed Adelphi, dunque,Bazlen poteva evidentemente trovare maggiore spazio per quei proget-ti che, come si è visto, egli portava avanti da anni: gli ambiti della pro-posta dell’editore torinese che vedranno la sua collaborazione, in effet-ti, risultano pienamente rispondenti ai suoi interessi (si pensi solo alla«collana viola»), o comunque sempre in qualche modo legati al lavorosvolto in passato per altri editori.

5.2.1 Le opere psicologiche e psicanalitiche presso Boringhieri.

La collaborazione di Roberto Bazlen con la casa editrice Boringhiericostituisce un aspetto dell’operato del consulente triestino per la veritàpoco studiato, del quale tuttavia rimane interessante testimonianza nelbreve carteggio conservato presso la casa editrice. Le lettere che si sonoconsultate sono datate dall’ottobre del 1952 ai primi anni Sessanta edunque permettono di indicare gli estremi cronologici della sua collabo-razione con l’editore torinese: il lavoro svolto da Bazlen in questo ampioarco di tempo, dunque, corre parallelo all’evoluzione che dalla creazionedi una «società separata» dell’Einaudi conduce a una sigla editoriale daessa completamente distinta. Di essa nel carteggio rimane traccia nelmutamento dei destinatari delle lettere del consulente: infatti solo dal1959 le lettere di Bazlen sono chiaramente indirizzate a PaoloBoringhieri, con il quale comunque il rapporto, per quanto cordiale, non

sembra essere di particolare amicizia personale come con Luciano Foàed Erich Linder. Ad ogni modo, la collaborazione di Bazlen con la casaeditrice di Boringhieri si realizza per buona parte contestualmente aquella intrattenuta con Einaudi: diventa così possibile vedere in questoulteriore passo della sua carriera di consulente editoriale una via di pos-sibile realizzazione di progetti e idee che presso Einaudi trovavano scar-so spazio di sviluppo, come si avrà modo di rilevare. La prima lettera, datata 9 ottobre 1952, del carteggio con la neonatacasa editrice riguarda un testo di psicologia, evidentemente ritenuto daBazlen oggetto di interesse specifico da parte di Boringhieri. Si trattadel Trattato di psicologia di David Katz, la cui vicenda Bazlen seguirà davicino fino al 1960, anno della pubblicazione12: di sua competenza,infatti, risulta la cura dell’edizione italiana, che consiste nella scelta deisaggi da tradurre e in quella di eventuali saggi aggiuntivi rispettoall’edizione originale. Un aspetto che, ancora una volta, testimonia laprofonda conoscenza da parte di Bazlen della disciplina psicologica: èinfatti interessante considerare che forse proprio questa conoscenza loportava a compiere personalmente alcune traduzioni per il Trattato,sebbene come sempre non firmate, o forse in questo caso nemmenopubblicate: l’indicazione nel catalogo di Bruno Callieri come tradutto-re dell’opera, infatti, non permette in questo caso di definire i nomi deitraduttori per i singoli saggi. È comunque da sottolineare il fatto chein una lettera del 14 gennaio 1956 Bazlen scriva a Boringhieri che «ildottor Callieri ha discusso con me tutti i punti che gli sembravanodubbi»13, a ulteriore testimonianza della sua attiva, ed evidentementemolto consapevole, partecipazione al progetto. A quanto risulta dallalettura del carteggio con la casa editrice Einaudi, d’altronde, fu sempreBazlen a curare, relativamente alla pubblicazione dell’opera di Katz,alcuni aspetti dei rapporti fra Einaudi e la «società separata» facentecapo a Boringhieri. In una lettera del giugno 1957, infatti, è Bazlen arivolgersi a Foà, in quanto segretario generale di casa Einaudi, per inti-margli: «vedi per favore che le Scientifiche paghino il Callieri»14.

la prima proposta di Bazlen:il Trattato di psicologia diDavid Katz.

12 Cfr. Catalogo Boringhieri: David Katz (a cura di), Trattato di psicologia, prefazione di AlbertoMarzi, traduzione di Bruno Callieri, Torino, Paolo Boringhieri, 1960. 13 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 14 gennaio 1956. 14 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 17 giugno 1957.

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15 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 25 maggio 1959. 16 Ibidem. 17 Si veda a questo proposito Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo ErichLinder, Serie annuale 1947, b. 1, fasc. 25 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Foà, Roma,14 dicembre 1947. In tale lettera, infatti, Bazlen chiede a Foà di procurargli appunto l’Atlante dipsicologia di Katz per “completare il programma della seconda serie” della neonata collana “Psichee coscienza”.

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Accanto a questi aspetti è interessante inoltre sottolineare che, al di làdell’avvenuta o meno pubblicazione delle traduzioni svolte specifica-mente da Bazlen, a proposito di esse sia possibile rilevare quello stes-so atteggiamento spesso auto denigratorio che si è già visto a proposi-to dei lavori di traduzione svolti per Einaudi in quegli stessi anni: con-segnando il proprio lavoro il 25 maggio 1959, infatti, Bazlen avverteche «bisognerà che qualcuno ci appiccichi un po’ di grammatica, unpo’ di stile, un po’ di bellezza»15, sottolineando però anche che «il sem-plicismo veramente disarmante della dizione, e tutta la banalità e lasuperficialità del contenuto, e l’inesattezza dei termini, sono origina-li»16. Anche le opere sulle quali Bazlen in un modo o nell’altro lavora perconto di Boringhieri, dunque, possono servire a esemplificare quell’at-teggiamento quasi paradossale di impegno e sfiducia, verso il lavoro pro-prio ed altrui, che si è più volte riscontrato in questa sede: un aspetto cherisulta in questo caso a maggior ragione singolare. A Boringhieri, infat-ti, Bazlen aveva raccomandato sin dal 1952 un Atlante di psicologia, sem-pre ad opera di David Katz, del quale egli stesso cinque anni prima, nel1947, aveva parlato a Foà in quanto rappresentante dell’AgenziaLetteraria Internazionale, prospettandone la pubblicazione pressoAstrolabio17. L’atteggiamento oscillante rispetto all’opera di David Katz,comunque, non toglie l’impegno e il coinvolgimento di Bazlen per lapubblicazione di opere di psicologia, un ambito che indipendentementeda lui trova ampio spazio nel catalogo di Boringhieri, e che nel suo par-ticolare percorso editoriale, come si è visto, aveva rivestito un ruolo nonsecondario, se si considera la collaborazione con Astrolabio che nel 1952era formalmente ancora in corso. Secondo un metodo di lavoro piùvolte considerato in questa sede, infatti, Bazlen in diversi casi cercherà di«spostare» opere, da lui proposte o comunque considerate positivamen-te, da un editore all’altro. È questo il caso, ad esempio, di The psychology ofwomen di Helene Deutsch, della quale il 21 giugno 1953 Bazlen scrive alle

Edizioni scientifiche Einaudi che «Astrolabio [...] ha già la traduzionepronta, mi pare buona»18. L’editore romano, infatti, «da quando il pro-prietario ha comprato una zincografia non stampa più [...] e cede tutti idiritti e tutte le traduzioni che ha»19: di queste, in particolare il lavoro diHelene Deutsch è da lui promosso «perché ha avuto molto successo,[...], e potrebbe essere commercialmente buono. Come libro è esaurien-te, chiaro, decoroso, e non eccessivamente irritante»20. Effettivamente,come altre opere di psicologia, il libro verrà pubblicato da Boringhierinella Biblioteca di cultura scientifica21, cosa che permette di segnalare,per quanto riguarda le opere di psicologia, una buona riuscita della col-laborazione fra editore e consulente. Il riferimento ad Astrolabio fatto da Bazlen nel momento in cui propo-ne l’opera di Helene Deutsch, peraltro, permette di porre in evidenza unaltro rilevante aspetto della natura della collaborazione con il neonatoeditore torinese: come Giulia de Savorgnani sottolinea, infatti,Boringhieri «acquistò, fra l’altro, i diritti delle opere di Freud e di Jungche Bazlen aveva curato per Astrolabio, comprese le sue traduzioni»22.Di questo passaggio di titoli da un editore all’altro si trova testimonian-za sia nel catalogo di Boringhieri, sia nel carteggio con la casa editrice: letraduzioni delle opere di Jung Psicologia ed alchimia23 e Psicologia ed educazio-ne24 figurano infatti nel catalogo di Boringhieri con la firma di Bazlen,con l’aggiunta di un’opera, Lo sviluppo della personalità25, che in effetti inuna lettera dell’11 giugno 1961 egli annuncia di stare traducendo. Perquanto riguarda le opere di Freud, invece, si è già visto nel secondo capi-tolo del presente lavoro come Boringhieri abbia pubblicato una tradu-zione diversa da quella di Bazlen, della quale comunque l’editore speci-

L’acquisizione da parte diBoringhieri delle opere diFreud e Jung.

18 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 21 giugno 1953. 19 Ibidem. 20 Ibidem. 21 Helene Deutsch, Psicologia della donna. Studio psicanalitico, prefazione di Emilio Servadio, tradu-zione di Isabella Daninos-Lorenzini, Torino, Paolo Boringhieri, 1957. 22 Giulia De Savorgnani, Bobi Bazlen, sotto il segno di Mercurio cit., pp. 80-81. 23 Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia, traduzione di Roberto Bazlen, interamente riveduta daLisa Baruffi, cura editoriale di Maria Anna Massimello, Torino, Bollati Boringhieri, 1992. 24 Carl Gustav Jung, Psicologia e educazione, avvertenza di Antonio Vitolo, traduzione di RobertoBazlen, con una cronologia, Torino, Paolo Boringhieri, 1979. 25 Carl Gustav Jung, Lo sviluppo della personalità, traduzioni di Roberto Bazlen e Rossana Leporati,cura editoriale di Anna Maria Massimello, Torino, Bollati Boringhieri, 1991. 26 Sigmund Freud, Opere 1899. L’interpretazione dei sogni, cit., p. XXII.27 Ibidem.

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La mediazione di Bazlen conAstrolabio

28 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Roberto Bazlen, 4 giugno 1959. 29 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 6 giugno 1959. 30 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 14 giugno 1959.

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fica in nota di avere «tenuto conto»26, definendola «talvolta illuminante»27.Più in particolare, dalle lettere che Boringhieri e Bazlen si scambiaronoemerge come quest’ultimo abbia svolto anche in questo caso il ruolo dimediatore fra diversi editori. Il 4 giugno 1959, infatti, Paolo Boringhierigli fa presente di volere pubblicare Tipi psicologici di Jung, scrivendogliquanto segue: «può aiutarmi a prendere contatto con Astrolabio [...]?Potrebbe forse fare una telefonata per “raccomandarmi”, dato chetemo che Alberto Mondadori sia anche lui in lizza per opere di questogenere?»28. Da un frammento come quello che si è appena citato emer-ge dunque con una certa chiarezza che le case editrici le cui pubblicazio-ni potevano entrare in concorrenza con quelle di Einaudi, per esempioBoringhieri e ancora di più il Saggiatore di Alberto Mondadori, si trova-vano a loro volta in conflitto per l’acquisizione di opere fondamentali,come quelle di Freud e Jung. In questo contesto, Bazlen da un lato, comesi è visto, aveva tentato con Einaudi la creazione di una collana che cor-rispondesse alla proposta del Saggiatore, mentre dall’altro si curava chela pubblicazione di quelle che di fatto erano le opere principali della col-lana «Psiche e coscienza» di Astrolabio trovassero la collocazione miglio-re possibile nel panorama editoriale italiano. Dopo avere specificato che«il pericolo non è Mondadori: non so chi»29, infatti, qualche giorno dopoBazlen torna a rivolgersi a Boringhieri per tracciargli un quadro precisodella situazione delle opere di Jung, con parole che mettono in evidenzail ruolo di Bernhard in quanto «padre» della collezione: «il Dott.Bernhard avrebbe preferito che tutta la sua collezione (Psiche e coscien-za) finisse nelle stesse mani. Effettivamente ha un suo diritto di esisten-za anche come organismo»30. Quel che più conta, dal seguito della lette-ra che si sta citando appare evidente il ruolo centrale, nella gestione deidiritti delle opere di Freud e Jung, ricoperto da Bazlen, al qualeBernhard, anni dopo la realizzazione del progetto di «Psiche e coscien-za», affida di fatto la responsabilità della gestione delle opere compresenella collana. Bazlen infatti così scrive a Boringhieri: «ho parlato conBernhard (che non ha alcun diritto legale, ma è persona che non si meri-

ta carognate) e [...] per quel che lo riguarda, mi ha permesso di farne quelche meglio credo»31. Il ruolo affidato dallo psicanalista junghiano aBazlen, comunque, non impedirà la nascita di un aperto contrasto fraAstrolabio e Boringhieri, che sfocerà in una causa legale. Quel che, tut-tavia, conta porre in evidenza in questa sede è il ruolo di Bazlen in rap-porto a questi testi: dopo avere scoperto con anticipo e contribuito a dif-fondere in Italia (anche mediante le sue traduzioni) le opere fondamen-tali del pensiero freudiano e junghiano, infatti, ancora alla fine degli anniCinquanta egli è coinvolto in prima persona nel tentativo di renderlefruibili al pubblico32. Oltre a questo, in alcune delle altre proposte diopere psicologiche da parte di Bazlen si può vedere la scelta, così comeavviene per le opere letterarie presentate ad Einaudi, di optare per lapubblicazione di testi che in qualche modo si chiariscano ed arricchisca-no vicendevolmente. È questo il caso della proposta di un’opera,Complesso Archetipo Simbolo nella psicologia di C. G. Jung di Jolande Jacobi,che Bazlen promuove con le seguenti ragioni: «la critica è stata ottima; elo ritiene un libro utilissimo (anch’io: fa veramente ordine tra tutta laconfusione che regna tra la gente che legge Jung non sistematicamen-te)»33. Il caso dell’opera di Jolande Jacobi, peraltro, permette di vederecome ormai all’inizio degli anni Sessanta Einaudi e Boringhieri fosserodue entità completamente distinte, e peculiarmente caratterizzate nelleloro proposte editoriali. Quando infatti Bazlen viene informato che èancora Einaudi a detenere un’opzione di pubblicazione per quel testo,così egli motiva la richiesta a Luciano Foà di rinunciare ad essa: «moltopiù che in Einaudi rientra in Boringhieri (sia perché in qualche modocontinua il libro della Jacobi che ha Boringhieri, sia perché siamo in psi-

31 Ibidem. 32 Resta comunque fermo il fatto che, accanto al ruolo decisivo rivestito da Bazlen rispetto al pas-saggio delle opere di Freud e Jung, si possa riscontrare, rispetto a quelle stesse opere, il suo carat-teristico atteggiamento, verrebbe da dire sfuggente e lunatico. Nel pieno delle lettere cheBoringhieri gli invia a proposito del conflitto con Astrolabio, ad esempio, Bazlen arriva a rispon-dergli quanto segue: “All’Ubaldini non ho detto nulla della tua lettera, e non gli dirò nulla. Nonho voglia (mai, e particolarmente in questi giorni in cui sono assorbito da altro) di passare ore altelefono per sorbirmi le sue contro ragioni. Scusa”. Cfr. Archivio della casa editrice BollatiBoringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a Paolo Boringhieri, 3 otto-bre 1962. 33 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 6 gennaio 1961. 34 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 20 marzo 1961.

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La consulenza per testi dipsicologia scientifica

35 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 4 giugno 1961. 36 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 11 giugno 1961. 37 Ibidem. 38 Erich Neumann, Il mondo archetipico di Henry Moore, traduzione di Renato Rho, Torino, PaoloBoringhieri, 1962. 39 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Roberto Bazlen, 16 giugno 1961.

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cologia quasi tecnica)»34. Bazlen dunque è ben cosciente delle differenzetra le offerte dei due editori torinesi e in questo specifico frangentemostra di avere una certa cura a proposito di quelle pubblicazioni di«psicologia quasi tecnica» sulle quali si era concentrato Boringhieri. Aconfermarlo ulteriormente è l’insistenza con la quale il consulente trie-stino torna a rivolgersi a Foà, qualche mese dopo, per sollecitare la suarinuncia all’opzione sul titolo della Deutsch. Il 4 giugno 1961, infatti,Bazlen scrive all’amico: «se non l’hai ancora fatto, per favore fallo pre-sto: ho molto interesse che il libro venga tradotto e pubblicato»35. Le competenze che Bazlen doveva avere circa gli aspetti più tecnicidella psicologia (ravvisabili anche nel gran numero di psicanalisti e psi-chiatri segnalati come possibili collaboratori) si trovano inoltre coniu-gate alla volontà di divulgazione, o quantomeno di vantaggiosa, dalpunto di vista commerciale, diffusione delle opere pubblicate daBoringhieri: è questo il caso di un testo che unisce psicologia analiticae storia dell’arte, come è facilmente deducibile dal titolo Il mondo arche-tipico di Henry Moore. L’analisi di impostazione junghiana dell’operadello scultore britannico viene infatti proposta da Bazlen a Boringhiericon la giustificazione che «mi pare, potrebbe servire a far entrare i tuoilibri in ambienti dove, altrimenti, penetrano difficilmente»36. Una carat-terizzazione più precisa dei contesti dove i libri di Boringhieri fatiche-rebbero maggiormente ad entrare si trova subito di seguito al passoappena riportato, dove Bazlen delinea un abbozzo di strategia editoria-le indicativo dell’intento di collaborare attivamente al successo dell’edi-tore: «con un cataloghetto dei tuoi libri psicologici e letterari (non quel-li scientifici) messo in ogni esemplare, cominceresti forse a penetrarein quel mondo che, se vede solo scienza e classici, prende paura»37. Edè forse anche l’atteggiamento propositivo che Bazlen mostra in questofrangente a favorire la scelta di pubblicazione da parte dell’editore38,che qualche giorno dopo scrive senza mezzi termini: «sono anch’ioentusiasta all’idea di pubblicarlo»39.

5.1.2 Il contributo alla «collana viola».

Alla luce di quanto si è osservato fino ad ora, la collaborazione di Bazlencon Boringhieri, e lo stesso potrebbe dirsi di Adelphi, ebbe proporzio-nalmente maggiori risultati positivi rispetto a quella con Einaudi. Ècomunque opportuno tenere presente che anche presso Boringhieri iconsigli di Bazlen trovarono realizzazione solo per quegli ambiti che giàprecedentemente caratterizzavano il catalogo dell’editore; egli dunque,come in altri casi già considerati, non permise una maggiore caratteriz-zazione delle proprie proposte in base ai progetti editoriali del consulen-te. Come per le opere di psicologia, infatti, l’editore accolse le propostedi Bazlen relativamente ai testi componenti la «collana viola», storica ini-ziativa di Pavese e De Martino che come si è visto nel 1956 era stataceduta a Boringhieri, per la verità ormai da anni coinvolto nel progetto.Stando a quanto si può leggere nell’introduzione al catalogo diBoringhieri, infatti, già nel 1952 De Martino aveva confessato al collega:

Io credo di dover concludere che non siamo riusciti a inserire pie-namente la collana nel vivo degli interessi della cultura nazionale.Persino Calvino mi diceva celiando (ma era poi una celia?) che lacollana viola era per lui la collana dei negretti. La verità è che la col-lana non è riuscita a vincere il nostro provincialismo culturale e, pas-sata la prima ondata di moda e curiosità, i nostri lettori hanno tuttal’aria di voler ripiegare sulle posizioni tradizionali40.

Il «provincialismo» era un carattere della cultura italiana, come si è vistopiù volte, amaramente rilevato anche da Bazlen: è però anche vero cheforse non avevano giovato al successo della «collana viola» anche ledivergenze verificatesi tra i suoi due creatori, alle quali si è precedente-mente fatto cenno in questa sede. Si è infatti visto come De Martinoavesse abbastanza presto iniziato a manifestare il proprio disaccordocirca un’eccessiva connotazione della collana in senso junghiano, lineaquest’ultima che invece era appoggiata da Pavese. Presumibilmente,Paolo Boringhieri assumeva la gestione della «collana viola» consapevo-le della problematica relativa alla scelta dei titoli e all’impostazione gene-rale, che in effetti sotto la nuova sigla editoriale assunse una fisionomia

La “collana viola” di Pavesee De Martino ceduta nel1956 a Boringhieri.

40 Francesco M. Cataluccio, Cinquant’anni di libri e buone idee, in Catalogo storico delle edizioni BollatiBoringhieri 1957/1987/2007 cit., p. XI.

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L’accantonamento dei testipsicologici nella CollanaViola presso Boringhieri.

41 Cesare Pavese, Ernesto De Martino, La collana viola: lettere 1945-50 cit., p. 42. 42 Ibidem. 43 Cfr. Catalogo Boringhieri: Carl Gustav Jung, La realtà dell’anima, traduzione di PaoloSantarcangeli, Torino, Boringhieri, 1963.

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parzialmente nuova: in primo luogo, infatti, veniva seguito il «nuovocorso»41 impresso da De Martino alla collana dopo la morte di Pavese,consistente nell’estromissione «dei testi di psicologia e [nell’] innesto ditematiche folkloriche»42, mediante il semplice cambiamento del nome.Dopo diversi passaggi, infatti, dalla denominazione completa della«collana viola», ovvero «Collezione di studi religiosi, etnologici e psico-logici», era venuto a cadere «psicologici», vale a dire l’aggettivo in uncerto senso più discusso. La scelta di connotare, negli anni fra il 1960e il 1962, la collana di Pavese e De Martino come «Biblioteca di cultu-ra etnologica e religiosa» si spiega molto probabilmente anche con ilfatto che nel catalogo del nuovo editore diversi fossero gli spazi speci-ficamente deputati alla presentazione di opere di psicologia: la «colla-na viola», dunque, poteva essere maggiormente caratterizzata nelladirezione dei testi riguardanti il folklore e la religione. Accanto a quan-to si è osservato, tuttavia, è interessante notare che il contributo diBazlen ad essa si muova anche sul terreno della psicologia analiticajunghiana, dunque in quella che appare un’evidente ripresa delle posi-zioni di Pavese, come si è visto da lui condivise. In una lettera del 29 marzo 1961, una delle prime relative a opere pro-poste per la «collana viola» o comunque in quella sede infine pubblica-te, Bazlen infatti segnala un’opera di Jung, La realtà dell’anima, dellaquale si occuperà, rivedendola fino alla pubblicazione43, insieme ad altritesti dello stesso autore che sarebbero dovuti confluire nella collezio-ne delle sue Opere. Quel che importa rilevare in questa sede è la collo-cazione di un’opera di Jung, grazie anche alla spinta esercitata in que-sto senso da Bazlen, in una collana che si era da poco svincolata, attra-verso un semplice cambiamento di denominazione, dalla presentazio-ne di opere di argomento psicologico. Almeno per quanto riguardaquesto titolo, dunque, Boringhieri aveva evidentemente dato ascoltoalle suggestioni che gli venivano da Bazlen, il quale d’altronde mostracon una certa convinzione di voler dare il proprio contributo alla col-lezione: cosa che, come si è visto, non era avvenuta allo stesso modoper quelle collane einaudiane che avrebbero dovuto essere affidate alla

sua personale direzione. Nella lettera in cui aveva proposto la pubbli-cazione della junghiana Realtà dell’anima, infatti, il consulente triestinosi esprime come segue: «più ci penso, più mi sembra giusto che tu nonlasci cadere la viola. So che non ti è simpatica, ma ha avuto e può avere(sempre più) una sua funzione. Pensaci, e se sei d’accordo, la viola tela posso nutrire bene»44. Stando a quanto si legge nel frammento appe-na citato, in effetti la collocazione e l’organizzazione della «collanaviola» all’interno del catalogo di Boringhieri doveva avere comportatonon pochi problemi, tanto più se, come Bazlen sottolinea, l’editorestesso non era particolarmente convinto del progetto. A ulteriore conferma di quella che spesso appare una predilezione perle opere di saggistica di argomento antropologico, piuttosto che per leopere letterarie, Bazlen dunque insiste con l’editore perché la«Biblioteca di cultura etnologica e religiosa» non venga per così diretrascurata: e proprio per dare nuovo stimolo ad essa, nella lettera chesi è appena citata egli propone un’opera, L’Egitto magico-religioso di Borisde Rachewitz, che in quello stesso anno Boringhieri deciderà di pub-blicare45. Il breve scambio di lettere che editore e consulente si scam-biano a proposito della pubblicazione di questo libro contiene diversielementi di interesse. Boringhieri, infatti, «legato ideologicamente alleposizioni cattolico-comuniste dell’amico e collega Felice Balbo»46 erada poco uscito da una redazione, quella einaudiana, che come si è vistosi caratterizzava per un’identità politica tendenzialmente militante: unaspetto che non è improprio pensare abbia compromesso il rapportocon «un uomo [...] istituzionalmente anti-ideologico»47 quale RobertoBazlen era. Resta il fatto, però, che se nella collaborazione con Einaudii suoi consigli, stando alle testimonianze di amici e colleghi, erano incerti casi stati ostacolati per questa ragione, nel rapporto con Boringhierila divergenza ideologica conduce al contrario a un dialogo, e soprattuttonon porta l’editore a lasciare cadere la sua proposta. Ricevuta la lettera

44 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 29 marzo 1961. 45 Boris de Rachewitz, Egitto magico-religioso, Torino, Boringhieri, 1961. 46 Francesco M. Cataluccio, Cinquant’anni di libri e buone idee, in Catalogo storico delle edizioni BollatiBoringhieri 1957/1987/2007 cit., p. XI. 47 Intervento di Luciano Foà al convegno su Roberto Bazlen tenutosi a Trieste il 16 aprile 1993.Ora in Giorgio Dedenaro (a cura di), Per Roberto Bazlen. Materiali della giornata organizzata dalGruppo ’85 cit., p. 17.

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L’egitto magico - religioso di deRachewiltz.

L’attacco agli intellettualiantifascisti.

48 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Roberto Bazlen, 31 marzo 1961. 49 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 7 aprile 1961. Le citazioni che seguono sono tratte dalla stessa lettera.

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circa l’Egitto magico-religioso, infatti, Boringhieri così si rivolge a Bazlen,facendo probabilmente anche affidamento sull’amicizia che, come si èvisto precedentemente, legava il consulente alla figlia di Ezra Pound,Mary de Rachewiltz, e a suo marito:

vorrei che tu mi dicessi fino a che punto l’autore è fascista. Nonche nel libro non ci siano cose in questo senso, e io d’altra partenon sono disposto a dare peso a queste cose più del dovuto, matuttavia non vorrei esporre [...] la casa, la collana, a critiche chepossano avere fondamento. E siccome pare proprio che, fascista,Boris lo sia, tu dovresti dirmi amichevolmente il tuo parere suquesto punto48.

Un passo come quello che si è appena citato permette di rilevare, inol-tre, le incertezze con le quali Boringhieri si apprestava ad assumere ilcontrollo completo della «collana viola», temendo appunto le criticheche ad essa potevano essere mosse, ed al contempo volendosi garantireuna certa libertà nelle scelte editoriali: di fronte a questo, egli si rivolge aBazlen considerandolo un amico, o quantomeno una figura «complice»nel progetto relativo alla collana fondata da Pavese e De Martino. In effetti, la risposta che Boringhieri potrà leggere pochi giorni dopomostra chiaramente la volontà di Bazlen di rispondere esaurientemente,fornendo una serie di informazioni di interesse e soprattutto permetten-do di riflettere ancora una volta sulla sua particolare posizione rispettoalla politica e alla cultura italiane in toto. La difesa di Rachewiltz dall’ac-cusa di fascismo, con la quale egli apre la sua lettera dicendo che l’auto-re del libro «non è (probabilmente!) fascista»49, rivela d’altro canto un’ani-mosità non indifferente nei confronti di un’ampia porzione di unmondo intellettuale nel quale Bazlen, pur sempre con il paradossaleatteggiamento di distacco che lo contraddistingueva, era pienamenteinserito: a proposito degli «antifascisti», infatti, egli parla senza mezzi ter-mini di «disumana ottusità e [...] meschina Phantasielosigkeit [mancanzadi immaginazione]», aspetti questi che rendono «comprensibile» il fattoche Rachewiltz risulti loro «sospetto». Affermazioni di questo genere

sono corredate dalla discutibile osservazione che «ogni fascismo ha l’an-tifascismo che si merita - vecchio proverbio cinese fatto in questomomento e che ti dedico [...] ma subire la loro dittatura non mi par giu-sto. Del resto l’anti - antifascismo l’ho inventato già nel ’40 o ’41». L’astioche Bazlen, citando se stesso50, mostra nei confronti di ambienti checomunque non vengono indicati con precisione può forse essere spie-gato con la diffidenza che all’interno di casa Einaudi egli aveva in qual-che circostanza riscontrato nei propri confronti. Nel passo citato, tutta-via, non è dato di leggere un’esposizione argomentata di ragioni che inquesta sede si possono quindi solo supporre: senza contare il fatto chel’affermazione secondo cui «ogni fascismo ha l’antifascismo che si meri-ta» contiene in sé una non indifferente dose di paradosso. D’altro canto,è comunque opportuno rilevare che, entrando nello specifico merito dellibro di Boris de Rachewitz, Bazlen sia maggiormente in grado di svilup-pare un ragionamento che non sia unicamente idiosincratico. L’autoredel libro, infatti, «sguazza in zone della coscienza pericolose proprio per-ché i lettori di Croce le considerano tabù»: ragione per la quale «è logicoche chi scrive un libro sull’Egitto magico facendo i conti con la magia,non può avere la hélas trasparenza dei lettori di Croce». La specificamateria del libro di Boris de Rachelwitz, dunque, è addotta a non impro-babile ragione della diffidenza nei suoi confronti: sono, queste, parole incui si trovano riecheggiate posizioni anticrociane che, come si è visto,Bazlen aveva sempre sostenuto. Nel corso della lettera, peraltro, egli learricchisce con ulteriori argomentazioni51, le quali valgono forse anche aspiegare parte del suo stesso operato e gusto editoriale: «le mitologievisionarie in cui naviga hanno sicuramente poco in comune con ogniforma di razionalismo illuminista, ma si agitano molto al di là del livellopolitico e della posizione fascista - antifascista». Iniziata la propria rispo-sta sulla base di osservazioni di ordine politico, per quanto, come si è

50 Si è infatti già osservato nel secondo capitolo del presente lavoro come Bazlen, già nel 1945,avesse parlato all’amica Lucia di quella “brava gente che ha aspettato ventidue anni per fare car-riera” (Lettera di Roberto Bazlen a Lucia Rodocanachi, Roma, 9 settembre 1945. In GiuseppeMarcenaro, Una amica di Montale: vita di Lucia Rodocanachi cit., p. 190). Si vedano inoltre, a questoproposito, le già citate posizioni espresse da Bazlen nelle Note senza testo (cfr. Roberto Bazlen,Scritti cit., pp. 322-323). 51 Resta comunque il fatto che appena di seguito alle parole appena citate si legge un passo comequello che segue, nel quale emerge nuovamente il forte e astioso sarcasmo del quale si è già par-lato: “ha inoltre l’aggravante di non aver avuto bisogno di Danilo Dolci per imparare a leggere ea scrivere - di abitare in un castello vicino a Merano anziché nella periferia di Milano - di aver [...]sposato la figlia di un mostro più interessante di Parri”.

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52 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 17 novembre 1960.

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visto, in realtà tendenzialmente autoreferenziali, Bazlen dunque cerca diattirare l’attenzione di Boringhieri su una valutazione apolitica dell’ope-ra di Boris de Rachewitz: una valutazione che forse egli avrebbe auspi-cato da parte di Einaudi circa le proprie stesse proposte. Un aspetto della lunga risposta fornita da Bazlen a Boringhieri cheimporta infine rilevare è il riferimento, in chiusura della lettera, al rappor-to fra il nuovo editore ed Einaudi: rispetto alla grande casa torinese,infatti, il consulente triestino in primo luogo sottolinea la progettatapubblicazione (poi non avvenuta) di traduzioni e opere a cura dei coniu-gi de Rachelwitz, come a voler indicare l’opportunità di seguire una scel-ta che era già stata dell’editore «maggiore». Soprattutto, Bazlen fa espli-cito riferimento a quanto si è precedentemente osservato circa gli accor-di iniziali fra Einaudi e Boringhieri, così che il tentativo di ricostruire illavoro editoriale di una singola personalità permette di illuminare par-zialmente anche alcuni aspetti delle più ampie dinamiche del panoramaeditoriale italiano. Nella sua lettera, infatti, Bazlen chiarisce che

se ti ho fatto mandare questo manoscritto, è stato perché, per mioimpegno l’avevo prima segnalato a Einaudi, ma Luciano [Foà] mi harisposto che per un anno o non so quanto, non potevano farlo peril loro impegno con te (concorrenza con la viola) e allora sono statoio a chiedergli il permesso di segnalarlo a te, e lui me l’ha dato.

A quanto si può leggere nel passo appena citato, dunque, le consulenzeche Bazlen forniva a Boringhieri dovevano tenere presente degli accor-di, per così dire, di non concorrenza intrattenuti da Einaudi con que-st’ultimo: il lavoro svolto per il nuovo editore, dunque, non era del tuttolibero da condizionamenti, tanto più se si considera che sin dalle sueprime battute l’esistenza stessa della consulenza di Bazlen relativamentealla «collana viola» di Boringhieri aveva richiesto l’approvazione diEinaudi, fornita tramite la mediazione di Foà. Prima di presentare i con-sigli editoriali di cui si è discusso nel presente paragrafo, infatti, Bazlenaveva esplicitamente scritto a Paolo Boringhieri: «spero di poterti fareanche una proposta di programma decente per la “viola”. Ho parlatocon Luciano [Foà] e forse potrò essere più elastico»52. Un accenno un

po’ più dettagliato a questo programma, poi, sebbene ancora sprovvistodell’indicazione precisa di titoli, si può leggere nella lettera successiva aquella citata, nella quale Bazlen scrive: «per la viola, i più attuali sarebbe-ro quelli di cui ti ho parlato (storia della parapsicologia - studi sulleforme inferiori della mistica). Li ha Einaudi, e continua a non decidersi.Ma darò un ultimatum a Luciano»53. Il ruolo di mediazione che Bazlen svolgeva fra Einaudi e Boringhieripermette peraltro di collegarsi al terzo ed ultimo titolo consigliato per la«collana viola»: si tratta di L’Alchimia di Titus Burckhardt, rispetto alquale appunto la risposta dell’editore viene sollecitata con una certaurgenza. In una lettera datata 16 febbraio 1961, infatti, Bazlen esordisceparlando di una «questione super urgente»54, che viene così spiegata:«Linder vuol togliermi i diritti della Alchemie di Titus Burckhardt, senon gli rispondo entro... domani. Con Linder non si scherza! Avrà certoavuto una richiesta da altri. Ti prego quindi di dirmi a volta di corrierequalcosa»55. La forte sollecitazione da parte di Bazlen, dunque, ebbe l’ef-fetto desiderato, se si considera che il libro verrà pubblicato nello stessoanno 1961 appunto all’interno della «Biblioteca di cultura etnologica ereligiosa»56. Negli anni dal 1961 al 1963, dunque, dei sette titoli uscitinella «collana viola» tre sono da ricondursi senza dubbi alla figura diBazlen: il quale dunque in questo caso apporta un contributo che si puòdefinire quantomeno non indifferente. È interessante considerare, poi,come la linea lungo la quale queste proposte si collocano riprenda il pen-siero junghiano vero e proprio, come avviene nel caso di Realtà dell’ani-ma, ma anche testi il cui interesse era certo accresciuto proprio dalla psi-cologia analitica. La scelta di proporre L’Alchimia di Burckhardt, infatti,è dal consulente così motivata: «l’argomento va, il libro è serio, è fatto da

Bazlen mediatore fraEinaudi e Boringhieri.

53 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 1 dicembre 1960. È da segnalare, peraltro, che riguardo alle stesse operealla quali aveva fatto riferimento nella lettera dell’1 dicembre 1960, Bazlen fornirà un aggiornamen-to l’anno successivo, il 15 giugno 1961, scrivendo a Boringhieri: “forse, per la viola e per altro, tipotrò aiutare più sistematicamente, anzi vedo che quel libro sulla storia della parapsicologia, e quel-li sulle forme inferiori della mistica, che ti interessavano, quasi sicuramente saranno liberi”. Cfr.Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 15 giugno 1961. Di queste opere, tuttavia, forse solo per la vaghezzacon le quali Bazlen le indica, non è rimasta traccia nel catalogo della “collana viola”.54 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 16 febbraio 1961. 55 Ibidem. 56 Titus Burckhardt, L’Alchimia, traduzione di Angela Staude, Torino, Boringhieri, 1961.

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un qualcuno (cioè non è la solita compilazione erudita ma è pensato dauna vera testa) e completa abbastanza il libro di Jung»57. È dunqueBazlen stesso a rendere esplicito il legame del libro che sta proponendocon le teorie junghiane, a dispetto dell’apparente pretesa dell’editore dinon pubblicare più, nella «collana viola», libri afferenti alla psicologia ealla psicanalisi. Accanto all’aspetto appena considerato, infine, in questofrangente Bazlen introduce un’ulteriore questione, che permette di vede-re come anche nel caso di Boringhieri egli abbia cercato di portare avan-ti un progetto formulato negli anni, e che di fatto con ogni editore ten-tava di riaprire: il libro di Burckhardt è infatti «consigliabile anche perun’altra ragione»58, che Bazlen descrive dicendo che

la successione, in Italia, dei Fratelli Bocca (cioè della vera Bocca,come avrebbe potuto essere [...], e non com’è stata macellata dallamisteriosofia della piccola provincia) è sempre ancora libera, eforse, lentamente (Jung, Freud, ecc. c’entrano) potresti assumerla -per tastar terreno, tenta di cominciare con questo59.

5.1.3 La ripresa dei progetti di collane.

La lettera che si è citata in chiusura del precedente paragrafo è datata 16febbraio 1961, e si riferisce alla possibilità che Boringhieri possa acqui-stare il catalogo della Fratelli Bocca Editori: un’operazione in questofrangente apertamente motivata con il legame sussistente fra le operepubblicate dalla Fratelli Bocca Editori e quelle di Freud e Jung, due auto-ri «seguiti» da Bazlen nel suo lavoro per Astrolabio. Solo questo aspetto,che parzialmente si è già evidenziato, permette di rilevare, da un puntodi vista generale, la profonda reciproca connessione fra i diversi ambitidel lavoro editoriale di Bazlen. Il fatto poi che egli proponga aBoringhieri in particolare l’acquisizione delle opere di Bocca costituisceun’esemplificazione evidente della tendenza a portare avanti, nelle colla-borazioni con diversi editori, quello che appare come lo stesso progettoeditoriale. Come si è osservato nel precedente capitolo, infatti, sin dal

La possibilità di acquisto delcatalogo dei Fratelli BoccaEditori da parte diBoringhieri.

57 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 16 febbraio 1961. 58 Ibidem. 59 Ibidem.

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1953 Bazlen aveva formulato diversi progetti, per quanto ampi e mute-voli, relativi alla creazione di una collana, presso Einaudi o Bocca: la let-tura del carteggio con Boringhieri permette di vedere come sostanzial-mente la stessa operazione sia svolta presso questo editore, dal momen-to che in esso si trovano citati sia titoli già compresi nei progetti edito-riali descritti nel capitolo precedente, sia titoli «nuovi», ma facilmenteriferibili allo stesso ambito. Già dal 1959, infatti, nelle sue lettere aBoringhieri si trovano citati alcuni dei testi che si sono già considerati inquesta sede, in quanto facenti parte, appunto, di varie sue precedentiproposte. A provarlo è la prima opera segnalata nelle lettere inviateall’editore che sembrano essere riferibili alla vasta e, per molti aspetti,confusa tematica delle proposte di collane da parte di Bazlen: si trattainfatti di quel Father and son di Edmund Gosse che, come si è visto, egliaveva proposto ad ogni editore con il quale si era trovato a collaborare,compresi i Fratelli Bocca. La lettera in cui questo titolo viene nominato,peraltro, è datata 19 maggio 1959, dunque si colloca solo qualche meseprima dell’invio ad Einaudi dell’elenco dei titoli che sarebbero dovutirientrare nella «Collezione Grande»60: un elemento, questo, che porta aipotizzare il fatto, prevedibile se si considera il modo di operare diBazlen nel panorama editoriale italiano, che egli stesse cercando di rea-lizzare il proprio progetto, o una parte di esso, anche presso Boringhieri. Si può infatti notare che nella stessa lettera in cui viene fatto il nome diEdmund Gosse (rispetto al quale l’editore viene sollecitato con insisten-za se non altro a restituire il volume, in quanto «non ho altri esemplari,e farmeli dare dalla Bocca significa perdere giorni di vita»61), diversi sianoi titoli collegabili appunto al modello della «Collezione Grande», comel’atipicità rispetto alle opere presentate di consueto a Boringhieri da solaporta a rilevare. Per quanto, come si è visto, le proposte fatte negli annia Bocca ed Einaudi siano sostanzialmente diverse fra loro, sebbene reci-procamente collegabili, un titolo come The power within us. Cabeza deVaca’s relation of his journey from Florida to the Pacific, 1528-1536 è quasi cer-

60 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 19 dicembre 1959.61 Come si è detto nel quarto capitolo, infatti, tramite la mediazione di Linder nel 1954 Bazlenaveva cercato di ottenere da parte di Bocca la pubblicazione di Father and son di Edmund Gosse.Del piccolo editore, scrivendo a Boringhieri, Bazlen dice ora che “c’è solo un impiegato, che nonsi pesca mai”. Cfr., anche per la citazione nel testo, Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri,Torino, incartamento Bazlen, lettera di Roberto Bazlen a Paolo Boringhieri, 19 maggio 1959.

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tamente riconducibile a quel gruppo di testi a sfondo autobiografico,spesso consistenti in resoconti di viaggio, che Bazlen aveva sempre com-preso nelle sue proposte di collane per altri editori. In questo caso, infat-ti, si tratta della trasposizione, in forma di poema, del racconto di unviaggiatore nel Nord America del sedicesimo secolo, ad opera di HanielLong, poeta americano vissuto all’inizio del Novecento: un titolo in real-tà nuovo rispetto a quelli solitamente nominati da Bazlen, ma appuntofacilmente riconducibile alle sue predilezioni, come può forse ulterior-mente indicare una semplice notazione bibliografica che egli fornisce.L’edizione del libro di Haniel Long indicata da Bazlen, infatti, compren-de una prefazione di Henry Miller, il cui libro The books in my life Bazlenproporrà in dicembre per la «Collezione Grande»: la scelta sarà motiva-ta anche con il fatto che a Miller «piacciono gli stessi libri che piaccionoa me»62, dunque forse il fatto che lo scrittore americano si sia personal-mente occupato del libro di Long incoraggia la scelta da parte di Bazlen. Al di là di questo aspetto minore, le altre proposte contenute nella lette-ra per Boringhieri del 19 maggio 1959 sono tali da permettere di parla-re, a proposito di essa, di un certo grado di progettualità, dunque di con-fermare lo stretto legame sussistente fra i progetti presentati a Bocca,Einaudi e Boringhieri. Subito di seguito alla proposta di Haniel Long,infatti, Bazlen continua come segue:

Le manderò i due volumetti con i quali la Bocca ha attentato allavita di quella mia piccola collezione (TUTUOLA, KAKUZO). Nonbadi alla presentazione; io non c’entro, come non c’entro nella pre-fazione e traduzione di Kakuzo. I libretti non sono quasi stati distri-buiti, e può considerarli quasi inediti. L’edizione si potrebbe prele-vare quasi a prezzi di bancarella63.

Il passo appena citato di fatto costituisce un’anticipazione di quantoBazlen farà presente a Boringhieri il 16 febbraio 1961 in merito, come siè visto, alla possibile acquisizione in toto del catalogo di Bocca: i libriproposti nel maggio del 1959, ovvero Il bevitore del vino di palma di AmosTutuola e Il libro del tè di Kakuzo Okakura, vengono infatti chiaramente

62 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 12 marzo 1959.63 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 19 maggio 1959.

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presentati come edizioni, pubblicate ma poi non distribuite, ad operadell’editore Bocca, dunque presumibilmente facenti parte del progettoad esso presentato, con il tramite di Erich Linder, nel 1954. Quello chestupisce è che dei testi sopra citati si è in questa sede parlato a proposi-to della collaborazione non con Bocca, bensì con Einaudi, dal momen-to che entrambi figurano nell’elenco di titoli della «Collezione Piccola»presentato all’editore nel dicembre 1959: Bazlen, dunque, non soloaveva tentato di proporre i titoli che si stanno citando in questa sedeprima a Bocca e poi a Einaudi, ma fra questi due momenti aveva tenta-to la realizzazione del progetto anche presso Boringhieri. Lo stessodiscorso, infine, vale per un testo indicato come «il libretto su zen e tiroall’arco»64, pubblicato «da quella piccola casa editrice misteriosofizzantedi Torino, di cui non ricordo più il nome»65, in quella che appare comeun’ironica allusione alla Fratelli Bocca Editori: il riferimento è a Lo zen eil tiro all’arco di Eugen Herrigel, ovvero il racconto di un professore difilosofia tedesco circa la propria esperienza a Sendai negli anni fra il 1924e il 1929. Anche in questo caso, il libro figura nel progetto relativo alla«Collezione Piccola» presentato ad Einaudi il 19 dicembre 1959. La citazione, nella stessa lettera, dei testi che si sono fino ad ora consi-derati non permetterebbe di per sé di parlare di una vera e propria pro-posta di collana da parte di Bazlen: resta però il fatto che la risposta for-nita da Boringhieri sia in questo senso inequivocabile. L’1 giugno 1959,infatti, l’editore scrive al consulente: «la sua collaborazione mi sarebbemolto gradita; debbo però dirle che sono ora impegnato in uno sforzoper far prosperare le tre nuove collane che ho iniziato l’anno scorso enon posso iniziare una nuova collana»66: i titoli presentati quasi disordi-natamente da Bazlen nella lettera del 19 maggio, dunque, sono visti dal-l’editore come componenti di una collezione unitaria, cosa che d’altron-de avverrà nel momento in cui essi verranno presentati ad Einaudi,pochi mesi dopo. Resta il fatto che dei libri di Tutuola, di Kakuzo, diLong ed infine di Herrigel, nessuno troverà posto nel catalogo diBoringhieri: tuttavia tre di questi titoli, ovvero tutti eccettuato Kakuzo,secondo un percorso quasi scontato appariranno sotto la sigla editoria-

64 Ibidem. 65 Ibidem. 66 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Roberto Bazlen, 1 giugno 1959.

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le di Adelphi, nelle collane «Biblioteca» e «Piccola Biblioteca». La collo-cazione nell’una o nell’altra collana adelphiana ricalca poi, in alcuni casi,quanto Bazlen aveva pensato includendo i titoli nella collezione grandeo piccola67. Si deve comunque puntualizzare che la pubblicazione daparte di Adelphi del libro di Haniel Long nel 2006 impedisce di ipotiz-zare un’influenza diretta di Bazlen: nondimeno, essa non esclude forse ilfatto che anche le più recenti pubblicazioni di Adelphi vadano conside-rate anche come il frutto di uno stile peculiare, nella scelta dei libri, chea lui può essere ricondotto. Il seguito della lettera in cui Boringhieri declina le offerte di Bazlen per-mette comunque di fare alcune ulteriori osservazioni. L’editore, infatti,una volta specificato di non potersi impegnare nella creazione di unanuova collana, assume un atteggiamento del tutto assimilabile a quelloche, come si è visto, era stato anche di Foà e di casa Einaudi. Boringhieri,infatti, accetta di

pubblicare nell’Enciclopedia di autori classici i classici da Lei even-tualmente proposti (Moro ecc.) [...] e in più vorrei fare, ad esempio,il Libro del Tè fuori collana come libro raffinato anche dal punto divista grafico. La può interessare un tipo di collaborazione di questogenere? A me farebbe molto piacere68.

Dal passo che si è appena riportato, dunque, emerge la volontà diBoringhieri di collocare singolarmente alcuni dei libri proposti da Bazlenall’interno di collane preesistenti, ad esempio l’Enciclopedia di autoriclassici a cura del filosofo Giorgio Colli. La controproposta dell’editoreviene fra l’altro modellata su un testo, le Lettere dal carcere di TommasoMoro, del quale non si trova traccia nelle lettere anteriori a quella che siè appena citata: le risposte di Bazlen a questo proposito, comunque,

67 Si veda infatti, a questo proposito, il catalogo di Adelphi: Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’ar-co, traduzione di Gabriella Bemporad, introduzione di Daisetz T. Suzuki, Milano, Adelphi, 1975.Amos Tutola, La mia vita nel bosco degli spiriti - Il bevitore del vino di palma, traduzione di Adriana Motti,con una nota di Itala Vivan, Milano, Adelphi, 1983. Haniel Long, La meravigliosa avventura di Cabezade Vaca, traduzione di Hélène Benazzo Boesch, Milano, Adelphi, 2006. Il libro di Herrigel passadalla “Collezione piccola” alla “Piccola Biblioteca Adelphi”, così come quello di Long. Diverso è ilcaso de Il bevitore del vino di palma che, forse perché pubblicato dall’editore milanese insieme a un altrotitolo, viene “spostato” dalla “Collezione piccola” alla “Biblioteca Adelphi”. 68 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Roberto Bazlen, 1 giugno 1959.

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risultano del tutto chiarificatrici. Di fronte a quella che in ogni caso sipuò definire come una grande disponibilità al dialogo da parte dell’edi-tore, infatti, il consulente risponde in un primo momento per sollecita-re una risposta sul libro che gli sta più a cuore, del quale il 2 luglio 1959scrive: «mi sappia dire, in modo assolutamente non impegnativo, seGosse, Father and son, più sì o più no. È l’unico libro di cui le ho parlatoper il quale dovrò forse (forse) prendere una decisione piuttosto pre-sto»69. Posta questa sollecitazione, Bazlen torna a rivolgersi all’editore il27 luglio, riferendosi in effetti alle Lettere di Moro come a un libro che sitrova sotto la sua responsabilità: da questo momento in poi, infatti, eglisi curerà di mediare i rapporti fra Boringhieri e la traduttrice del libro,Maria Teresa Pieraccini Pintacuda. Interessa maggiormente rilevare, tuttavia, quanto emerge dal passo chesegue la citazione: esso, infatti, mostra chiaramente come Bazlen abbiaaccettato l’integrazione della sua proposta nella strategia editoriale del-l’editore cui si sta rivolgendo, e si mostri dunque più concreto e dispo-nibile nel seguire le sue direttive. Se, come si è visto, nel caso di EinaudiFoà deve a più riprese sollecitare l’amico affinché fornisca programmiteorici delle collane presentate all’editore, nel caso di Boringhieri Bazlenprovvede con una certa tempestività a svolgere quanto egli gli ha indica-to: un aspetto che si può forse spiegare con il fatto che il lavoro perPaolo Boringhieri era più circostanziato rispetto a quello svolto perEinaudi, e presentato, senza necessità di mediazioni, direttamente all’edi-tore. Sempre nella lettera del 27 luglio, infatti, Bazlen scrive:«Enciclopedia di autori classici: non ho fatto in tempo a farle un elencosistematico dei libri ex collezione piccola che potrebbero rientrare neiclassici. Le accludo una lista, fatta in fretta e alla rinfusa, di idee che sipotrebbero considerare»70. Per quanto della lista a cui Bazlen si riferiscenon ci sia traccia all’interno del suo carteggio con Boringhieri, apparecon una certa evidenza che l’integrazione dei testi proposti a Boccanell’Enciclopedia di autori classici fosse da lui accolta non problematica-mente, ma anzi con la volontà di collaborare al progetto. La citazione da

69 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 2 luglio 1959.70 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 27 luglio 1959.

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parte di Boringhieri, circa un mese dopo, del libro di Jefferies The story ofmy heart, insieme alla promessa che «dei suoi consigli qualcosa mature-rà»71, permette di isolare un altro possibile titolo pensato per Boringhieri,ma anche, in quegli stessi mesi, per Einaudi. Nell’elenco di testi scoper-ti da Bazlen grazie alla lettura di The books in my life di Henry Miller, infat-ti, quello di Jefferies verrà segnalato ad Einaudi anche perché ha dei passi«che mi sono andati nelle ossa»72. Il legame di The story of my heart conquanto Bazlen a questo punto stava pensando per l’Enciclopedia diautori classici può essere confermato con il fatto che anche per questolibro, così come per le Lettere dal carcere, la traduttrice indicata sia MariaTeresa Pieraccini Pintacuda, come emerge dal passo che segue:«Pieraccini d’accordo con trad. lettere [...] di Moro. Mi mandi presto iltesto. E possibilmente subito la “Story of my heart” che vorrei passarleimmediatamente. Più in là, vorrei bloccarla per certi lavori Einaudi»73.Un’allusione, quest’ultima, che in effetti può essere documentata conquanto scritto da Bazlen due anni dopo a Foà, nel tentativo di procura-re alla traduttrice un lavoro stabile: «non so se hai già mandato il libro daesperimento traduzione [...] alla Pintacuda. Vedi per favore se trovi qual-cosa [...] - ha finito proprio adesso la «Story of my heart» [...] e vorreiavesse un lavoro più continuativo»74. A quanto emerge dall’archivio Einaudi, dunque, anche la proposta rela-tiva alle memorie di Richard Jefferies viene accolta da Boringhieri, seBazlen può annunciare a Foà l’avvenuta traduzione del testo da partedella Pieraccini Pintacuda. Non sembra tuttavia di poter chiarire ulterior-mente, tramite il confronto fra il materiale d’archivio delle due case edi-trici, il fatto che in realtà nel catalogo di Boringhieri si possa trovare solola raccolta delle Lettere di Tommaso Moro75, mentre entrambi i titoli sitrovano riportati in una lettera rivolta a Luciano Foà e datata 16 dicem-bre 1959. In essa, nel citare una serie di «traduzioni italiane già esistenti

71 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Roberto Bazlen, 4 settembre 1959. 72 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 12 marzo 1959.73 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Roberto Bazlen, 5 dicembre 1959. 74 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 18 aprile 1961. 75 Tommaso Moro, Lettere dalla prigionia, traduzione di Maria Teresa Pintacuda Pieraccini, Torino,Boringhieri, 1961.

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(edite e inedite) che si possono (ri)pubblicare»76, Bazlen scrive fra l’altro:«per eventuali cambi con Boringhieri (ma soltanto se potete farlo conmolta delicatezza): le lettere dal carcere di Moro, e Jefferies: Story of myheart»77. Il passo che si è appena citato, contenuto in una lettera di pochigiorni anteriore a quella in cui Bazlen espone le proposte circa la«Collezione grande» e quella «piccola», permette di vedere come egli, difronte alla possibilità che un editore potesse decidere di non realizzare isuoi progetti, non esitasse a proporli subito ad un altro, anteponendo lacircolazione dei libri che gli erano cari alla loro pubblicazione sottoun’unica etichetta editoriale. D’altronde, a conferma di ciò si possonocitare i diversi titoli e passi di lettere in cui la volontà di influire quasicontemporaneamente su editori diversi appare evidente, senza contareche è egli stesso, in diverse circostanze, a manifestarla. Poco dopo aver concluso la questione relativa alla traduzione di The storyof my heart e Le lettere dal carcere di Moro, infatti, Bazlen torna a fare pre-sente che «mi pare che i libri della Bocca si possano avere per un pezzodi pane»78, nell’evidente tentativo di convincere Boringhieri ad acquistar-li per inserirli poi nelle preesistenti collane: per argomentare ulterior-mente la propria proposta, egli continua affermando che «c’è un saccodi roba da buttare via subito, ma anche molti libri di filosofia ecc. checontinuano ad avere un certo valore e che, nelle mani di chi abbia un’or-ganizzazione vendita, potrebbero forse fruttare parecchio (forse!)»79. Leragioni addotte in questo passo, dunque, appaiono di natura prevalente-mente commerciale: ovvero un progetto editoriale per la verità già rea-lizzato potrebbe, secondo Bazlen, essere acquisito da un editore chedisponga di mezzi più efficaci, in modo da poter ottenere da quest’ulti-mo anche un vantaggio di natura economica. Accanto a questo aspetto,tuttavia, rimane che Bazlen non dimentichi affatto il versante culturaledell’operazione che sta tentando di compiere, così che, oltre a mostrarsiattento nell’esposizione delle ragioni culturali che lo guidano nella suainiziativa, proprio in nome di esse egli arricchisce i titoli già proposti conaltri recentemente scoperti.

La “resilienza” di Bazlen.

76 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 16 dicembre 1959. 77 Ibidem.78 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 21 gennaio 1960. 79 Ibidem.

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ma in genere, ti ripeto ancora una volta quello che ti ho detto spes-so: che la casa editrice che manca veramente in Italia e della qualemi sentirei di rispondere è una Fratelli Bocca fatta bene, non pro-vinciale e di livello garantito80.

Nel passo appena citato si può leggere il criterio che guida Bazlen inquella che progressivamente si è configurata come la sua consulenza perl’Enciclopedia di autori classici, e che corrisponde al tentativo di propor-re, presso un nuovo editore, un gruppo di titoli corrispondenti a un pas-sato progetto editoriale. È necessario comunque tenere presente da unlato come egli non abbia esitato a proporre anche titoli recentementescoperti, dunque citati per la prima volta nel carteggio con Boringhieri,dall’altro come gli ambiti del proprio lavoro dai quali egli trae spunto perle proposte all’editore siano diversificati. Accanto alla «riscoperta» dititoli pensati per Bocca o per le proposte einaudiane del 1959, infatti,devono essere considerate lettere come quella del 14 maggio 1961, nellaquale Bazlen suggerisce, senza peraltro fornire specifiche motivazioni, lapubblicazione di autori come Pausania ed Orapollo: ovvero, rispettiva-mente, Pausania il Periegeta, che operò sotto la dinastia romana degliAntonini, e l’autore di un trattato sui geroglifici, risalente a circa il IVsecolo d.C.. Quello che interessa sottolineare in questa sede è che, tra-mite la proposta del Viaggio in Grecia di Pausania e dei Geroglifici diOrapollo, Bazlen riprenda sostanzialmente un frammento delle opereche aveva proposto, il 3 luglio 1953, ad Einaudi, presentandoli come«testi mitologici, religiosi, iniziatici, folkloristici»81 che potevano fungereda supporto antologico ai libri proposti all’interno della «collana viola».Lo stesso discorso può essere fatto per il Physiologus, un testo didatti-co di autore ignoto risalente al II secolo d.C. e riguardante la descri-zione di piante e animali: nel 1953, Bazlen lo aveva presentato comeesempio di quelle «cose più correnti e più note»82 fra le quali Einaudiavrebbe potuto scegliere se avesse deciso di dare realizzazione al suoprogetto circa i «testi mitologici, religiosi, iniziatici, folkloristici»83.

Il progetto dell’Enciclopediadi autori classici.

80 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 15 giugno 1961. 81 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953. 82 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 10 ottobre 1953. 83 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di Roberto

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Tutti e tre i testi che si sono fino ad ora citati, peraltro, sono da Bazlenindicati come proposte «per i classici»84, così che diventa facile offrireesempi diversificati di come dal 1959 in avanti alcuni dei titoli compresiin progetti passati vengano «riutilizzati» per l’Enciclopedia di autori clas-sici. Accanto ad essi, come si è accennato, Bazlen non esita a presentaretesti nuovi, come nel caso di Eureka di Edgar Allan Poe, indicato daBazlen, l’1 dicembre 1960, come un libro «su misura per i tuoi classici»85,che egli offre con la prefazione dello scrittore Giovanni Cavicchioli (i cuilibri e le cui consulenze editoriali, peraltro, Bazlen aveva offerto anche aFoà e a Linder): la decisione da parte di Boringhieri circa la pubblicazio-ne del libro è motivata appunto con il fatto che «se non ti decidi presto,[Cavicchioli] la fa per Guanda»86. Si tratta, in questo caso, di un poema in prosa, come Poe stesso lo defi-nisce, tratto da una conferenza tenuta a New York nel 1848 sul temadella «Cosmogonia dell’Universo», al quale Boringhieri riserva in unprimo momento una buona accoglienza (a differenza dei testi diPausania, Orapollo e del Physiologus, sul quale l’editore non si pronuncia).Presto, infatti, la pubblicazione dell’Eureka con la traduzione di MariaTeresa Pieraccini Pintacuda e la prefazione di Giovanni Cavicchioliappare un dato certo, ma nel luglio del 1961 Bazlen riceve, evidentemen-te, la richiesta di fermare il procedere del lavoro, se così scrive aBoringhieri: «caro Paolo, nulla in contrario di scrivere io alla Pintacuda -ma poiché non conosco le ragioni per cui vuoi che lei sospenda (s’è fattovivo Cavicchioli? Eureka pubblicato da altri?) è meglio se scrivi tu»87. Larichiesta viene accolta, come si può leggere dalla risposta che Boringhieriscrive, annunciando di avere «messo tutto a posto con la Pintacuda»88: leparole usate dall’editore in questa circostanza permettono di indicare leragioni per cui la pubblicazione di un testo proposto da Bazlen, per laverità comunque con non troppo entusiasmo, venga poi nel corso deltempo scartata.

Il caso di Eureka di EdgarAllan Poe.

Bazlen a Luciano Foà, 3 luglio 1953. 84 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 14 giugno 1961. 85 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 1 dicembre 1960. 86 Ibidem. 87 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 18 luglio 1961. 88 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di Paolo

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Finora nessuno aveva letto il saggio di Poe e ci eravamo fidati delnome ma avendo finalmente avuto l’opportunità di leggerlo (in unvolume scovato da Giorgio Colli [...]) è stata una delusione. InfattiColli lo trova un tentativo di filosofia così fallito che non vuole pub-blicarlo nella collana89.

Un passo come quello appena citato è di particolare interesse, in quan-to permette di vedere come, in maniera non dissimile rispetto a quantoavveniva presso Einaudi, Bazlen dovesse comunque occasionalmenteaffrontare un aperto disaccordo circa le proprie proposte editoriali. Inquesto caso, a esprimere dissenso è Giorgio Colli, il filosofo direttoredell’Enciclopedia degli autori classici, il quale si oppone con decisioneall’immissione del saggio di Poe nella sua collana, proprio in quanto ditratta di una raccolta di testi «di cultura filosofica»90: a lui Bazlen cerca dirispondere con diversi brevi appunti inseriti nelle proprie lettere, trami-te i quali cerca di fornire a Colli e Boringhieri gli strumenti a suo parerenecessari per un’adeguata lettura del libro, che consistono nella correttavalutazione del suo campo disciplinare. «Ho dato soltanto un’occhiata (èdifficile, e non ho tempo) all’“Eureka” di Poe, che per Dio non va con-siderata un testo filosofico, e quindi non la si può giudicare sub speciephilosophiae»91. Accanto a questa semplice considerazione, Bazlen fapresente all’editore le recensioni positive che il libro ha ottenuto, e chevengono in qualche modo presentate come più rilevanti rispetto al pro-prio parere, nella consueta presa di distanza da quanto proposto o fatto:«Eureka (di cui non conosco che qualche brano), non va pubblicato cer-tamente come opera filosofica. In ogni caso, oltre all’avallo (per meabbastanza valido) di Cavicchioli, ha anche l’avallo di Valéry»92. I brevi passi citati in questa sede, i quali comunque non ebbero l’effettodi determinare la pubblicazione del libro, non permettono certo di par-lare di un dibattito particolarmente profondo circa la natura e l’imposta-zione dell’Enciclopedia di autori classici: tuttavia, è interessante notare la

Il rifiuto di Giorgio Colli peril saggio di Poe.

Boringhieri a Roberto Bazlen, 5 settembre 1961. 89 Ibidem. 90 Francesco M. Cataluccio, Cinquant’anni di libri e buone idee, in Catalogo storico delle edizioni BollatiBoringhieri 1957/1987/2007 cit., p. XII. 91 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 23 ottobre 1961.92 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 12 settembre 1961.

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presenza, in questo caso, almeno di un tentativo di creare una maggiorecomunicazione fra il consulente e la casa editrice, se ad esempio qualchemese dopo Bazlen scriverà a Boringhieri che «oggi invece ho parlato conGiorgio Colli (molto bene)»93, facendo tra l’altro presente che il filoso-fo «ha verso tutte e tre le opere, una posizione che mi pare equa eragionevole»94. In questo caso, il dibattito fra Colli e Bazlen non vertepiù sul poema in prosa di Poe, bensì su altre tre opere, come quelledello scrittore americano apparentemente nuove nel panorama delleconsuete proposte di Bazlen: esse sono nondimeno facilmente ricon-ducibili al gusto e agli ambiti culturali che costituivano alcuni fra i mag-giori interessi dell’intellettuale triestino. Si tratta, in primo luogo, de IlGospel di Ramakrishna ad opera di Swami Nikhilananda, che Bazlencosì, qualche tempo prima, aveva descritto:

il Gospel di Ramakrishna, quel bellissimo diario del monaco vis-suto nella comunità di R. [Ramakrishna], l’unico diario a questomondo che noti, giorno per giorno, la vita quotidiana di un santo(se l’introduzione dell’edizione che ti mando ti sembra troppopesante, ce ne sarebbe quella, di un’altra edizione, brevissima, diAldous Huxley - ed esiste anche un articolo di Thomas Mann)95.

Il campo che questa proposta, da sola, permette di delineare è quellodella mistica indiana: alla luce di quanto considerato, non è difficilevedere le ragioni di interesse che questo genere di libri doveva avereper Bazlen, tanto da portarlo ad arricchire la propria proposta con altredue indicazioni: la prima, relativa ai «quattro volumetti sullo yoga, diVivakananda [...] che a suo tempo sono stati pubblicati, male, daBocca»96. La proposta del testo di un altro mistico indiano, della qualenon si trova traccia nei carteggi letti, derivava in questo caso da unaprecedente pubblicazione (rispetto alla quale, come di consueto,Bazlen non risparmia una nota di critica) da parte della Fratelli BoccaEditori: e sempre dall’ambito in cui la piccola casa editrice operava,che quindi per molti aspetti corrisponde ai gusti e alle scelte editoriali

93 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 18 novembre 1961. 94 Ibidem. 95 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 15 giugno 1961. 96 Ibidem.

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di Bazlen, sembra tratta l’ultima proposta contenuta nella lettera del 15giugno 1961, ovvero «i tre volumetti (non meravigliarti; leggili, sonoinaspettatamente belli) di Romain Rolland su R. [Ramakrishna] e V.[Vivekananda]»97. Nei passi appena citati, dunque, il consulente pro-spetta per l’editore tre pubblicazioni tra loro strettamente correlate, ecome si è detto facilmente collegabili a quanto egli aveva svolto in pas-sato per altri editori. Resta il fatto, tuttavia, che nel catalogo diBoringhieri non rimanga alcuna traccia di esse, sebbene Bazlen cerchidi illustrare chiaramente l’opportunità della pubblicazione, sia per laloro facile integrazione nell’Enciclopedia di autori classici, sia per sem-plici ragioni di convenienza commerciale.

Ora, per il Gospel, se ti interessa, è facile: rientra benissimonell’enciclopedia degli autori classici. Per gli altri è un po’ piùcomplicato. Ma ti consiglierei in ogni caso di leggerli, e dipensarci ([...] non escluderei che il Rolland - in un volumesolo, se credi - possa diventare un affare abbastanzabuono)98.

Dal punto di vista della concreta realizzazione dei progetti editoriali diBazlen all’interno dell’Enciclopedia di autori classici, anche in questacircostanza, come era stato nel caso di altri editori, non si può parlaredi una completa riuscita della collaborazione. Di tutti i titoli che si sonoconsiderati in questo paragrafo, infatti, le sole Lettere dalla prigionia diTommaso Moro trovarono spazio nella collana gestita da Giorgio Colli,unitamente all’opera di Paracelso, Paragrano99, anch’essa compresa nel-l’elenco presentato ad Einaudi nel 1953, della quale si è avuto modo diparlare nel corso del terzo capitolo del presente lavoro. L’influenzacomplessiva della figura di Bazlen all’interno della neonata casa editriceBoringhieri appare dunque proporzionalmente più consistente nell’am-bito della «collana viola» che non in quello dell’Enciclopedia di autoriclassici. Invita tuttavia a riflettere quanto si può leggere nell’introduzio-ne al Catalogo Bollati Boringhieri a riguardo:

97 Ibidem. 98 Ibidem. 99 Paracelso, Paragrano, introduzione, traduzione e note di Ferruccio Masini, Torino, PaoloBoringhieri Editore, 1961.

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anche se non ebbe grande successo commerciale, questa collanaha segnato la storia della cultura italiana del dopoguerra rappre-sentando, con i suoi testi, proprio quel ponte tra le due compo-nenti della proposta della casa editrice: la scienza e la mitologia.Molti di questi titoli (e la loro filosofia eterogenea) costituirannola base dell’altra casa editrice sorta dall’Einaudi: l’Adelphi, che siavvarrà del lavoro di Colli nell’edizione delle Opere di Nietzschee della Sapienza greca100.

La stessa Bollati Boringhieri, dunque, presenta al pubblico la propriastoria e il proprio catalogo ponendo parte di essi in connessione conAdelphi, nata nel 1962: tale aspetto può valere, in questa sede, comeintroduzione al discorso che si svolgerà circa la casa editrice milanese,ultimo e più rilevante frutto del lavoro editoriale di Roberto Bazlen. Ilpasso appena letto, infatti, invita a riflettere sul fatto che, accanto alconcreto passaggio di alcuni intellettuali (per esempio, appunto,Giorgio Colli) dall’una all’altra casa editrice, il rapporto conBoringhieri vada visto come ulteriore passaggio intermedio del percor-so che conduce alla creazione di Adelphi. Diventa così a maggiorragione possibile vedere come per certi aspetti il dialogo con uno spe-cifico editore sia da Bazlen posto in secondo piano rispetto a quellocon il pubblico, al quale egli voleva sottoporre testi ritenuti di valore.Che il suo lavoro presso un editore vada sempre visto parallelamentea quello svolto per un altro è d’altronde infine dimostrato da un brevee telegrafico passaggio di una lettera inviata a Boringhieri il 24 giugno1960, dalla quale appare evidente come, accanto alla collaborazione conEinaudi e a quella con Boringhieri, nel 1960 Bazlen stesse già vaglian-do l’opportunità di apportare dei cambiamenti nelle proprie collabora-zioni, un aspetto che prelude all’iniziativa adelphiana: «Ho vistoLuciano [Foà] a Roma. Dobbiamo decidere se ancora necessaria miapresenza Torino»101.

Da Boringhieri alla nascita diAdelphi.

100 Francesco M. Cataluccio, Cinquant’anni di libri e buone idee, in Catalogo storico delle edizioni BollatiBoringhieri 1957/1987/2007 cit., p. XIII. 101 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 24 giugno 1960.

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5. 2 Adelphi.

5.2.1 La nascita di Adelphi e i rapporti con Einaudi.

In una lettera del 1964 indirizzata a Paolo Boringhieri, dai toni più per-sonali di quelli utilizzati di consueto, è possibile rintracciare uno deiprimi riferimenti diretti, da parte di Bazlen, all’esperienza di Adelphi.Una volta raccontato con il caratteristico tono ironico e pungente diessere «ritornato molto malinconico dal Veneto (per le nebbie del Po),per cui ho passato un idillico Natale a letto, digiunando»102, egli infatticonclude con una formula insieme brusca ed allusiva: «il resto è Adelphi,e poco più»103. Sulla base di parole come quelle appena citate, è oppor-tuno riflettere su come la nascita della casa editrice milanese sia stata unatappa fondamentale del percorso culturale, ma anche umano, di Bazlen:a confermarlo sono posizioni come quella di Gian Carlo Ferretti, il qualeafferma che «alle origini di Adelphi c’è il forte legame umano e intellet-tuale di Luciano Foà e Roberto [...] Bazlen»104. Come si è già avuto modo di accennare, la fondazione della casa editri-ce nel 1962 trova nondimeno una causa scatenante nell’evoluzione dellastoria di casa Einaudi e dunque coinvolge anche altri intellettuali che inessa a quel tempo operavano. È questo il caso del già citato GiorgioColli, il quale dalla fine degli anni Cinquanta riveste il ruolo di direttoredell’Enciclopedia di Autori Classici per Boringhieri, ma anche di «diret-tore de facto della collana einaudiana dei Classici della Filosofia»105: pro-prio all’interno di essa nascono dissensi con il resto della casa editrice, iquali determinano il fatto che «ben presto il segretario generale Foà[diventi] il suo interlocutore privilegiato»106. In questa situazione, già diper sé significativa, matura il caso relativo alla pubblicazione dell’operaomnia di Nietzsche: ricevuta l’approvazione dell’editore a tale proposi-to, il filosofo inizia a lavorarvi insieme al collega Mazzino Montinari,lasciando in un primo momento in sospeso il problema dell’opportuni-

Adelphi approdo del percorso culturale, ma ancheumano, di Bazlen.

102 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Paolo Boringhieri, 2 giugno 1964. 103 Ibidem. 104 Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia, 1945-2003 cit., p. 195. 105 Stefano Guerriero, Adelphi al paragone, in «Belfagor», a. LVII, n. 3, 31 maggio 2002, p. 347. 106 Ivi, p. 348.

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tà dell’elaborazione di un’edizione critica completamente nuova. Unproblema che viene risollevato prepotentemente dalle scoperte fatteappunto da Montinari presso il Nietzsche-Archiv di Weimar, che com-prendono «una messe di scritti tale da rendere ineludibile il problemadella definizione di un testo critico»107. Si configura dunque un’impresaeditoriale di grande portata, circa un filosofo che peraltro rischia dicaratterizzare l’offerta di Einaudi in una direzione che non è quella gene-ralmente assunta dalla casa editrice. La reazione al suo interno fu dun-que quella di un progressivo abbandono del progetto, descrivibile comesegue:

ormai la rottura è nell’aria: Montinari è a Weimar nella primavera del‘61, nel giugno dello stesso anno Foà lascia casa Einaudi, nel giugno‘62 nasce la Adelphi, che [...] permette a Colli di iniziare la monu-mentale opera di edizione critica108.

Alla luce di quanto osservato anche nel precedente paragrafo, dunque,l’insoddisfazione di Colli trova una risposta in quella di Foà, ragione perla quale il filosofo verrà pienamente integrato all’interno del progettoadelphiano. Al di là di questo, è interessante approfondire, attraverso leparole dirette di Foà, il percorso che conduce alla creazione di Adelphi.Nell’intervista rilasciata a Domenico Porzio, infatti, egli in primo luogochiarisce le ragioni dell’abbandono del proprio lavoro presso Einaudi:tuttavia, citata la questione relativa alla pubblicazione degli scritti diNietzsche, Foà aggiunge che «non è che per me questa sia stata una cosadecisiva, era una delle tante, io volevo tornare a Milano, ero ancora incer-to se tornare a lavorare all’agenzia, però avevo già in mente di fare un’at-tività editoriale»109. A spingere Foà ad abbandonare il proprio lavoropresso Einaudi, dunque, è un insieme di ragioni personali e non, allequali egli aggiunge infine un aspetto presumibilmente percepito ancheda Bazlen, o meglio forse direttamente riferito alla sua attività presso lostesso editore. Si tratta cioè di «una certa scontentezza, perché io sugge-rivo certe cose, di fare una certa collana in un certo modo»: queste pro-

Foà lascia Einaudi.

107 Ibidem. 108 Ibidem. 109 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d. Le citazioni che seguono sono tratte dalla stes-sa fonte.

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poste, come si è visto, spesso venivano lasciate cadere. A tale proposito,il seguito delle parole di Foà permette di evidenziare il legame, al qualesi è già fatto cenno, fra le esperienze editoriali di Boringhieri ed Adelphi.Foà, infatti, ricorda che «c’era una vaga consulenza tra Bazlen eBoringhieri, molto vaga, perché consulente per Boringhieri su quelpiano [...] di cose non scientifiche era Colli»: quest’ultimo aspetto indu-ceva Foà (il quale in effetti ammette: «mi spaventava l’idea di fare unacasa editrice nuova») a pensare, presumibilmente insieme a Bazlen, a«una specie di succursale di Boringhieri a Milano per le cose non scien-tifiche, che andavano dalla letteratura alla filosofia». Il nucleo originario del progetto che in seguito avrebbe portato alla crea-zione di Adelphi, dunque, nasce in realtà anche dal rapporto che Bazlenintratteneva con Boringhieri: ulteriore testimonianza del ruolo insiemenascosto e decisivo da lui ricoperto in questo frangente. Per finanziare ilprogetto che si è fino ad ora descritto, del quale tuttavia non si trovatestimonianza nel carteggio intrattenuto con lo stesso Paolo Boringhieri,Foà entrò in contatto con Roberto Olivetti, figlio di Adriano e dunqueforse memore del rapporto che aveva legato il padre, nei primi anniQuaranta, sia a lui sia a Bazlen. L’idea di creare una casa editrice chedesse maggiore respiro alla sezione letteraria dell’offerta di Boringhieri,dunque in sostanza a molte delle proposte che si sono analizzate nelparagrafo precedente, dovette tuttavia fallire in breve tempo, se Foàsemplicemente afferma nella sua intervista che Boringhieri e RobertoOlivetti «non si sono messi d’accordo, perché ognuno voleva avere lamaggioranza, per cui Olivetti ha detto “facciamo una casa editrice noi”.E così è nata l’Adelphi». Poco dopo l’atto di fondazione, datato giugno1962, venne tuttavia a cadere il sostegno economico da parte dello stes-so Olivetti, impegnato contemporaneamente nelle Edizioni diComunità: diverrà così necessario, accanto ai capitali di Foà e dell’indu-striale Alberto Zevi, l’apporto fornito oltre che da Roberto Calasso, dasoci amici come Giulia Devoto-Falck, Anne Devoto e Alberto Falck,nonché da Dominique de Menil e dall’antropologo Francesco Pellizzi. L’apporto di Bazlen alla fondazione di Adelphi, com’è prevedibile, nonsi colloca dunque sul piano economico, bensì evidentemente su quellodell’ideazione e della progettazione dei primi passi della casa editrice, di

Roberto Olivetti viene coin-volto per un finanziamentoalla casa editrice.

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modo che «la sua impronta continuerà ad essere determinante ben oltrequesta data»110. L’esatta entità di questa «impronta» all’interno dell’impre-sa adelphiana non è di immediata definizione, anche in conseguenza delloscarso materiale consultabile in proposito: resta comunque il fatto chemolte siano le tracce, già in parte prese in considerazione in questa sede,della presenza e dell’ascendente di Bazlen nel catalogo di quella che, neltempo, è diventata una casa editrice di grande rilevanza nazionale. Risultainfatti in primo luogo significativo che, nel descrivere la storia di Adelphi«dal punto di vista genetico puro»111, Foà affermi: «io avevo già fatto unpo’ di programma, nel ’61, molto generico, di libri che Einaudi non vole-va fare: moltissimi venivano da Bobi»112. Questa frase, dunque, costituiscesolo una delle tante prove della rilevanza, non sempre posta in evidenza,della figura di Bazlen nella storia e nell’identità di Adelphi: un aspetto chesi può dedurre facilmente, almeno nelle sue cause e nelle sue origini,anche dalla lettura del carteggio con la casa editrice Einaudi. Iniziatainfatti nell’agosto 1961 la corrispondenza con il sostituto di Foà, DanielePonchiroli, le lettere e le proposte di Bazlen si fanno progressivamentepiù scarse, e spesso tradiscono un insieme di stanchezza e, verrebbe dadire, amarezza: un sentimento che riguarda tanto la propria collaborazio-ne con l’editore torinese, quanto anche in generale il panorama letterarioitaliano e non. A testimoniarlo sono le ragioni, spesso tendenzialmentevacue, addotte per promuovere la pubblicazione di un libro («con la mise-ria che c’è, farlo!»113), che spesso si traducono in giudizi generici ed impie-tosi. Rispetto al romanzo dell’autore vietnamita Pham Van Ki, ad esem-pio, si può leggere, in una lettera a Ponchiroli, quanto segue:

ma io direi di farlo. Con la misera di romanzi che c’è (oggi, per caso,ti scrivo di libri decenti - ma non dimenticare che ho, qui a casa,dozzine e dozzine di romanzi che mi avete mandato e che non simeritano nemmeno lo sforzo - che dovrò fare - di rispedirli aTorino), questo almeno ha un ambiente interessante114.

110 Stefano Guerriero, Adelphi al paragone cit., p. 347. 111 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d.112 Ibidem. 113 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Daniele Ponchiroli, 16 aprile 1962. 114 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Daniele Ponchiroli, 12 aprile 1962.

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Bazlen, dunque, appare progressivamente sempre più stanco e demoti-vato rispetto al proprio operato presso Einaudi, e forse anche in buonaparte deluso da esso. In effetti, riguardo a The desperate people di FarleyMowat, ovvero un’opera accostabile al già citato resoconto di viaggioKablouna di Gontrand de Poncins, egli fa esplicito riferimento alla diffi-denza incontrata presso Einaudi nei confronti di uno dei suo generi pre-diletti, ovvero appunto l’autobiografia: «“Kablouna” non vi è stato pos-sibile perché tirate le somme era un libro di esperienze personali - que-sto è più facile contrabbandarlo come sociologia, antropologia o che soio»115. La consapevolezza del mancato accordo con l’editore circa la pro-posta di opere di genere in vario modo autobiografico, inoltre, portanelle ultime battute del carteggio con Einaudi ad un completo e diso-rientante rinnegamento delle iniziative che egli stesso aveva tentato diintrodurre presso l’editore, e forse anche in qualche modo della propriaprofessionalità: tutti aspetti particolarmente testimoniati nella lunga let-tera del 16 giugno 1962, forse non a caso in buona parte riportata nellaraccolta degli Scritti. In essa, infatti, la lunga catena di progetti di collaneampiamente dedicate all’autobiografia e al resoconto di esperienze per-sonali che, come si è visto, era confluita nell’idea della «Collezione del-l’io» viene bruscamente liquidata, in occasione della proposta diMythologies di Yeats. Dopo avere fornito un breve parere circa il libro,infatti, Bazlen scrive a Ponchiroli: «È rimasto da me dall’epoca in cuiLuciano pensava di fare con voi quella collezione di scritti autobiografi-ci che poi è andata in niente. Ma per voi, ora - non so»116. Un atteggia-mento, questo, che si trova ulteriormente confermato da quanto si leggenel parere immediatamente successivo a quello citato, relativo ancorauna volta ad una raccolta di memorie: «un documento onestissimo. Maper voi...?»117. Accanto alla lucida consapevolezza della differenza divedute che lo separa dall’editore, inoltre, Bazlen non risparmia nemme-no se stesso e il proprio lavoro, nel momento in cui dichiara: «finirà chesarò costretto a dichiarare il mio fallimento come lettore di romanzi»118.

115 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Daniele Ponchiroli, 4 ottobre 1961. 116 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Daniele Ponchiroli, 16 giugno 1962. 117 Ibidem. 118 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 319.

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5.2.2 Il lavoro di Bazlen presso Adelphi.

I caratteri delle ultime fasi della collaborazione con Einaudi, apparente-mente privi di particolare interesse ai fini del discorso che si sta facendo,aiutano, a parere di chi scrive, a chiarire la posizione di Bazlen rispettoalla neonata iniziativa editoriale intrapresa da Luciano Foà: stanco di unadecennale, e non sempre proficua, collaborazione con Einaudi, infatti,egli doveva accogliere positivamente la nascita di una casa editrice checon molta probabilità si sarebbe mostrata più aperta alle sue proposte.Più di tutto, i brevi passi che si sono riportati dalla fase conclusiva delcarteggio di Bazlen con Einaudi rivelano con sufficiente chiarezza gliaspetti della propria proposta che egli percepiva come maggiormenteproblematici. Non doveva dunque risultargli difficile formulare con luci-dità e precisione le proprie aspettative circa l’identità di Adelphi ed ilproprio lavoro per la neonata casa editrice: il quale dunque si configuracome il lascito più organico e definito delle sue idee e suggestioni cultu-rali. Si può, a questo proposito, facilmente osservare come in effetti lelettere editoriali indirizzate ad Adelphi che si possono leggere nel volu-me degli Scritti, per quanto di numero infinitamente inferiore rispetto aquelle conservate presso l’Archivio Einaudi, rivelino un maggiore gradodi progettualità e consapevolezza circa il lavoro svolto: a questo aspetto,poi, si deve senza dubbio aggiungere il fatto che i documenti di cui sidispone circa il lavoro presso Adelphi, essendo selezionati dalla stessacasa editrice per la raccolta degli Scritti, favoriscono appunto la sensazio-ne di trovarsi di fronte a un progetto di gran lunga più organico rispet-to a quanto era stato svolto in passato. Al di là di queste puntualizzazioni, è forse opportuno considerare alcu-ni aspetti delle lettere inviate alla nuova casa editrice, con lo specificodestinatario dell’amico Luciano Foà, dal momento che appunto rivelanoun atteggiamento per molti aspetti rinnovato circa il nuovo lavoro, e inalcuni casi volto a quella teorizzazione e chiarificazione dei propri inten-ti che molte volte era mancata nella collaborazione con Einaudi. Al finedi porlo più chiaramente in evidenza, si inizia con il riportare un ultimoframmento del carteggio einaudiano, tratto dalla già citata lettera aDaniele Ponchiroli del 16 giugno 1962:

Adelphi si configura come illascito più organico e defini-to delle idee e suggestioniculturali di Bazlen.

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È un libro che racconta un’esperienza e so che in genere non vole-te farli. Ma poiché avete fatto varie eccezioni quando si tratta diguerra, resistenza e cattivi tedeschi, ti consiglierei di non scartarlosenza avergli dato un’occhiata molto attenta119.

Le parole di Bazlen, caratterizzate da un forte sarcasmo nei confrontidelle scelte e dell’impegno di casa Einaudi, si riferiscono alle memorie diChristopher Burney dal titolo Solitary confinement, incentrate sull’esperien-za dell’autore nel carcere francese di Fresnes, durante l’occupazionenazista. In effetti, quello che Bazlen pone in maggiore evidenza nella sualettera è proprio la natura memoriale dell’opera che sta consigliando adEinaudi: il tutto nella piena consapevolezza, tuttavia, che sarà proprioquesto aspetto a determinare la mancata pubblicazione da parte dell’edi-tore torinese. Ai fini del discorso che si sta facendo circa la collaborazio-ne con Adelphi, tuttavia, è interessante notare ciò che nondimenoBazlen segnala come dote del libro, vale a dire, in conformità con quan-to si è più volte rilevato, l’autenticità e, dunque, l’immediatezza e l’unici-tà della scrittura:

non c’è il prima, non c’è quel dopo di cui tutti gli altri avrebberofatto il piatto forte (deportazione in un campo di concentramen-to in Germania). [...] non c’è Anna Frank, non ci sono i terroridella fucilazione incombente. Non c’è che solitudine accompagna-ta da molta fame, e intramezzata da qualche interrogatorio [...]. Mai conti con la solitudine sono fatti (e raccontati) con una purezza,con una profondità, da farne - per me - l’unico libro determinatodalla seconda guerra mondiale che conosca, di cui mi senta dirispondere in pieno120.

Le caratteristiche del libro, per quanto presentate con parole dagli accen-ti discutibili, dal momento che tendono a banalizzare eventi storici diportata epocale, sono tali da indurre Bazlen a promuoverlo con convin-zione, nonostante la già considerata diffidenza che egli prevede di incon-trare presso Einaudi. In effetti, come risulta prevedibile, l’opera diChristopher Burney non sarà pubblicata dall’editore torinese, bensì da

119 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 319. 120 Ibidem.

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Adelphi121, come diciottesimo titolo della «Biblioteca»: ulteriore testimo-nianza, questa, del peso considerevole che la figura di Bazlen rivestìrispetto alle pubblicazioni dell’editore. Rilevante, poi, è il fatto che inalcune espressioni utilizzate nel risvolto di copertina non sia difficilescorgere i segni di una diretta influenza della lettera, per quanto in origi-ne indirizzata ad Einaudi; la casa editrice milanese, dunque, ha fatto pro-prie le parole e le concezioni di Bazlen, nonostante al momento del-l’uscita del libro, nel 1968, egli sia morto già da tre anni. In primo luogo,infatti, anche il risvolto di copertina dell’edizione adelphiana pone in evi-denza la «discrezione» e la «trasparenza» di un autore che compie un«“esercizio di libertà” nella solitudine», per continuare come segue:

Un’altra conferma del carattere inconfondibile di questo libro diguerra, dove non troviamo una parola che possa fomentare il vitti-mismo dei buoni perseguitati, ci è dato dal taglio del racconto, tuttoconcentrato sui fatti e pensieri essenziali alla comunicazione di unaesperienza ben determinata, da una misura anche formale persona-lissima, che ubbidisce a quella disciplina impervia, serena, alla qualel’autore deve, forse, di essere riuscito a sopravvivere alle sue vicen-de e, soprattutto, di averle sapute vivere.

Una volta lette queste parole, non risulta difficile rintracciare il tono e lemodalità espressive proprie delle lettere di Bazlen, sia nel momento incui provocatoriamente si fa riferimento al «vittimismo dei buoni perse-guitati», sia quando con forza si veicola l’attenzione del lettore sull’uni-cità dell’esperienza vissuta dall’autore, che gli ha permesso di raggiunge-re un risultato «inconfondibile». Resta comunque da osservare, a proposito di Cella d’isolamento, un aspet-to solo apparentemente irrilevante: nel presentare il libro ad Einaudi, nel1962, Bazlen come si è visto lo definisce esplicitamente come «un libroche racconta un’esperienza»122, aggiungendo tuttavia di sapere «che ingenere non volete farli»123. Il rifiuto nei confronti di Cella d’isolamento,dunque, non è previsto da parte del pubblico, bensì da parte dell’edito-re, che appunto non «vuole fare» un certo tipo di opere: un aspetto che

121 Christopher Burney, Cella d’isolamento, Milano, Adelphi, 1968. Le citazioni che seguono sonotratte dal risvolto di copertina della presente edizione. 122 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 319.123 Ibidem.

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permette di osservare come scarsa sia la consapevolezza, o forse più chealtro l’attenzione, mostrata da Bazlen nei confronti di un pubblico dicerto non scarsamente identificato, come quello einaudiano. A questoatteggiamento, riscontrabile nell’intero carteggio con la casa editriceEinaudi, fa da controcanto, nel rapporto con Adelphi, uno per moltiaspetti assai diverso: il confronto è in questo senso facilitato dal fatto cheil libro oggetto della prima lettera editoriale rivolta al nuovo editore, Theinformed heart di Bruno Bettelheim, è legato a una riflessione sullaSeconda Guerra Mondiale come quello di Burney. Nel caso della letterarivolta ad Adelphi è infatti evidente una forte consapevolezza, da partedi Bazlen, del pubblico cui egli desidera rivolgersi e degli autori che pre-ferisce, sulla base di una riflessione evidentemente maturata negli anni e,per alcuni aspetti, in conseguenza del rapporto intrattenuto con Einaudi.Nel consigliare il libro Bazlen specifica in primo luogo che, secondo lui,si tratta di «due libri; l’uno dei Bettelheim (plurale) fino a pag. 107; l’altro,di Bettelheim (singolare), le altre duecento pagine»124: rispetto ad esse,egli senza mezzi termini afferma che «tutto il mio astio e la mia reazio-ne sono diretti verso i Bettelheim (plurale) delle prime cento [...] pagi-ne»125, vale a dire, semplificando126, gli autori e forse, in genere, gli opera-tori culturali, che si servono di parole inflazionate e «di massa»127 per par-lare al pubblico. È Bazlen stesso a farne un problema, appunto, di cul-tura di massa, nel momento in cui scrive a Foà:

che nessuno venga a raccontarmi che tu o io viviamo [...] la pres-sione della cultura di massa. Ciò che succede veramente è cheviviamo in un mondo nostro e in un’epoca nostra, e che più omeno raramente ci troviamo alle prese con seccature provocate da

L’avversione verso la culturadi massa.

124 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 321. 125 Ibidem. 126 La lettera circa The informed heart è infatti molto lunga, e soprattutto ricca di quelle metafore efigurazioni che, come si è osservato, caratterizzano fortemente lo stile della scrittura di Bazlen.Se ne cita solo una, particolarmente interessante perché, come d’altronde tutta la lettera che si staanalizzando, costituisce una lucida esposizione delle ragioni che lo hanno guidato nel suo lavoroeditoriale. “In altri termini: nessuno di noi vuole che alla gente cada una tegola sulla testa. Perquesto siamo anche disposti a pubblicare un libro che dica alla gente di stare attenta quando vaper strada [...]. Ma pubblicarlo dando la sensazione [...] che tutta la fisica [...] si risolva nella leggedi gravità, e ora che l’abbiamo capito possiamo metterci a dormire, è un altro paio di maniche.Sarebbe un libro pericoloso. In questo caso cosa si fa? Due cose: 1) Un’azione pratica [...] pereducare la gente a non camminare lungo i muri. 2) stampare libri difficili che trattino di fisicamoderna ed ultra. Sperando che i lettori vadano più ultra ancora”. Cfr. Ivi, pp. 324-325. 127 Ivi, p. 322.

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gente che [...] subisce la pressione della cultura di massa, dallaquale seccatura ci difendiamo con risultati più o meno brillanti.[...]. Del resto, che quella gente ci sfiori e ci possa rappresentareun problema, parla contro di noi128.

È abbastanza singolare trovare da parte di Bazlen una formulazioneorganica, per quanto discutibile, della propria visione della società e dellacultura contemporanea. E ancora più singolare è il fatto che, per quan-to da una prospettiva fortemente elitaria, e per certi aspetti forse pocorealistica, le sue osservazioni lo portino a chiarire l’atteggiamento chel’editore dovrebbe tenere, in un discorso che dunque tocca anche, sep-pur velatamente, i toni dell’autocritica. Preliminarmente, infatti, Bazlenapplica in un certo senso il principio della «primavoltità» al lavoro cultu-rale, nel momento in cui afferma che «i primi che hanno capito il peri-colo della massa e per denunciarlo hanno trovato le prime parole, cheerano loro, e le hanno dette con un tono loro e con un accento loro, nonsono stati banali, è ovvio»129. Un’osservazione, questa, dai tratti generalie vaghi, dal momento che non è facile capire a quale tipo di iniziativa cul-turale Bazlen si stia qui positivamente riferendo. Resta comunque che daquesto momento egli entra nel merito della proposta adelphiana, perdefinirla in conseguenza delle idee appena considerate. A essere scartati per una possibile pubblicazione, infatti, sono quelli chesono stati definiti, per le ragioni viste sopra, come «i Bettelheim», per viadell’utilizzo, da parte loro, «di certe parole che spererei che l’Adelphi nonpubblichi mai (a meno che non sia per prendere una posizione con-tro)»130. È solo una volta esposte tutte le considerazioni in questa sedeesaminate e riguardanti in qualche modo il composito insieme di autori,editori e lettori, che Bazlen definisce chiaramente quella che secondo luidovrebbe essere la posizione di The informed heart di Bruno Bettelheimall’interno del catalogo adelphiano, o più precisamente nella collana dei«Saggi», nata nel 1965. «Pubblicarlo ora, tra i primi libri (tra cinque annisarebbe uno dei tanti, dei moltissimi, e verrebbe neutralizzato dagli altri)mi sembra troppo un programma, una presa di posizione»131. Se si con-sidera la frase appena citata come una testimonianza del metodo di lavo-

128 Ibidem. 129 Ibidem. 130 Ivi, p. 324. 131 Ibidem.

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ro della redazione adelphiana, non è difficile rilevare come la voce diBazlen dovesse avere un grande rilievo non solo rispetto a collane comela «Biblioteca», ma anche, ad esempio, nel meno noto caso dei «Saggi»:la precisione e la determinazione nel definire l’impostazione generaledella collana nascente è senza dubbio di gran lunga maggiore in con-fronto a quanto si è visto nel caso della collaborazione con Einaudi. Aquest’ultimo proposito, si può inoltre rilevare un ulteriore aspetto deter-minato da Bazlen e fortemente caratterizzante l’immagine della casa edi-trice, vale a dire la forte presenza della discutibile tendenza al distacconei confronti di un’amplissima porzione dei potenziali lettori italiani,soprattutto quelli dei primi anni Sessanta. Dopo avere annoverato, fra ledoti di Bettelheim, la capacità di fornire una riflessione incentrata sullareazione interiore dell’individuo di fronte a esperienze come quelle neicampi di concentramento nazisti piuttosto che sulla descrizione deicampi in sé, Bazlen infatti così conclude il suo parere editoriale:

capisco benissimo che esiste della gente che non ci è ancora arri-vata e che va educata. Ma dobbiamo metterci d’accordo sul limiteda cui cominciare l’educazione. In caso contrario conviene molla-re la casa editrice e dare i soldi alla società per la lotta contro l’anal-fabetismo o pubblicare libri di lettura per la prima. Per la genteche crede all’ambiente, e non vede la psiche [...] direi che non hascopo perdere tempo132.

Alla luce di quanto osservato fino ad ora, risulta molto interessante ilnetto cambiamento che si verifica fra la lettera inviata ad Einaudi aproposito di Cella d’isolamento di Burney e quella per Adelphi relativa aThe informed heart di Bettelheim, tanto più se si considera che fra le dueintercorre solo un mese e mezzo, essendo la seconda datata 31 agosto1962: a cambiare, evidentemente, è nient’altro che la convinzione conla quale Bazlen si accostava ad un progetto, quello adelphiano, delquale non a caso è ritenuto il «punto di riferimento ideale»133. È inoltre importante tenere presente che il saggio di Bettelheim com-parirà tra le prime uscite della collana per la quale Bazlen l’aveva pen-

La formazione del lettoresecondo Bazlen.

132 Ivi, p. 325. 133 Stefano Guerriero, Adelphi al paragone, in «Belfagor», a. LVII, n. 3, 31 maggio 2002, p. 348.

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sato134, configurandosi come il solo titolo, fra quelli consigliati diretta-mente ad Adelphi, che sia stato effettivamente pubblicato dall’editore.Degli altri quattordici pareri editoriali rivolti alla casa editrice milaneseche si trovano nella raccolta degli Scritti, invece, nessuno risulta avere tro-vato la via della pubblicazione: su questo aspetto si avrà modo di soffer-marsi in seguito, ma per il momento è importante sottolineare il fattoche le caratteristiche delle lettere ad Adelphi alle quali si è finora fattocenno risultano tendenzialmente costanti in tutto il carteggio.Quest’ultimo comunque, è bene sottolinearlo, è caratterizzato da dimen-sioni molto ridotte, in ragione da un lato del fatto che la collaborazionecon Adelphi durò solo dal 1962 al 1965, dal momento che in quell’annoBazlen morì, dall’altro che di questo triennale carteggio la casa editrice,molto probabilmente nella persona di Roberto Calasso, ha antologizza-to solo le lettere ritenute più interessanti ai fini della composizione delvolume degli Scritti. Poste queste riserve, ciò che emerge con forza echiarezza è l’aspetto della lucida consapevolezza del proprio pubblico,che evidentemente nasce da un’altrettanto lucida autoconsapevolezza. Ilnome Adelphi, infatti, secondo quanto Calasso dichiara nell’intervistarilasciata a Domenico Porzio, «significa fratelli»135, definizione arricchitada quanto afferma Foà, il quale parla di «una casa editrice che cercavadegli affini»136, dunque anche nel tentativo di costituire «un modo inter-no, un rapporto interno fra le persone che ci lavoravano»137. Il progettodi Foà e del suo amico Bazlen ha dunque «due facce»138: quella dellamessa in atto, in conseguenza appunto di una particolare affinità di scel-te fra i componenti della redazione, di progetti rimasti irrealizzati neglianni e quella della ricerca di una fascia di pubblico che ad essi venga len-tamente introdotta ad interessarsi. Lo dimostra in primo luogo il parereimmediatamente successivo a quello circa il saggio di Bruno Bettelheim,datato 16 settembre 1962, nel quale il nucleo della «gente che vorresti far

Adelphi e la ricerca di affini.

134 Bruno Bettelheim, Il cuore vigile. Autonomia individuale e società di massa, traduzione di PieroBertolucci, Milano, Adelphi, 1965. 135 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d. Una testimonianza come quella che si è appe-na citata trova peraltro un significativo riscontro in un’intervista a Roberto Calasso, nella qualeegli parla esplicitamente, a proposito della redazione adelphiana “degli inizi”, di un “comune sen-tire”. Cfr. Massimo Fini, Piccoli editori crescono in “Europeo”, 19 luglio 1986, p. 113. 136 Ibidem. 137 Ibidem. 138 Ibidem.

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pensare»139 è esplicitamente nominato: ad esso l’autore del saggio cheBazlen sta considerando, ovvero lo psicanalista Erich Neumann, ha ilpregio di porre «grandi interrogativi molto fertili»140. Quel che più contaè che subito di seguito alla breve definizione che si è ora citata, Bazlencontestualizzi il libro di Neumann in quella che egli vorrebbe essere lacollana dei Saggi: «ti ripeto, non dice molto ma mi pare che al “molto”,a idee nuove, ci conviene rinunciare a priori»141. Un primo aspetto che,dunque, emerge chiaramente dal carteggio intrattenuto con Adelphi, è lagenerale insoddisfazione circa le proposte editoriali di quel periodo, cheBazlen, come si è visto, manifestava già nelle sue lettere a DanielePonchiroli: nel caso della collaborazione con Adelphi, tuttavia, questainsoddisfazione è in un certo modo invertita di segno, dal momentoche porta in primo luogo a formulare, seppur indirettamente, il propo-sito di stimolare quantomeno la «gente che vorresti far pensare». Oltrea questo, Bazlen arriva nel tempo a isolare con maggiore precisionel’ambito tematico che secondo lui, almeno nella saggistica, potrebbeassolvere a questo ruolo. «Se i “saggi” devono servire a portare qualcosa di nuovo, non ci restache la parapsicologia: il nuovo nella matematica e nella fisica sono for-mule, che non potremo mai pubblicare; nelle altre scienze, risulta soltan-to da lavori specializzati»142. Il parere appena citato si riferisce a due saggiappunto di parapsicologia, vale a dire The sixth sense e The infinite hive diRosalind Heywood. Sebbene con un certo ritardo, dal momento che lalettera citata fu inviata a Foà solo il 25 luglio 1964, Bazlen è dunque giun-to a formulare una proposta circa una disciplina che egli percepiscecome nuova e, nel caso specifico della Heywood, «di un’onestà lampan-te, di un’oggettività feroce, di un buon senso incrollabile, di una diffiden-za esemplare di ogni misticismo»143: è comunque opportuno tenere pre-sente che, nel carteggio con Boringhieri, la parapsicologia era stata con-sigliata sin dal 1960144, dunque forse la proposta non immediata adAdelphi potrebbe essere motivata da riserve circa la pubblicazione pres-

La parapsicologia comenuova scienza.

139 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 326. 140 Ibidem.141 Ibidem. 142 Ivi, pp. 346-347. 143 Ivi, p. 346. 144 Cfr. Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera diRoberto Bazlen a Paolo Boringhieri, 15 giugno 1961.

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so questo specifico editore. Resta comunque il fatto che la predominan-za di opere di saggistica nelle proposte apertamente avanzate ad Adelphiè rilevabile con facilità, dunque permette di rilevare una parziale evolu-zione nelle scelte di Bazlen e, soprattutto, che il profilo del nuovo edito-re, almeno dal punto di vista delle ipotesi di pubblicazione, si andava neltempo definendo con chiarezza. In quest’ottica, il fatto che i libri propo-sti di cui si è appena parlato non siano stati effettivamente pubblicatinon ha forse eccessivo rilievo, dal momento che importa maggiormen-te in questa sede tracciare i contorni di un progetto editoriale pensatoabbastanza organicamente da Bazlen. È ad esempio interessante rileva-re il netto rifiuto che egli oppone a un libro, La struttura delle rivoluzioniscientifiche di Thomas S. Kuhn, che presto avrebbe ottenuto grande noto-rietà, grazie alla pubblicazione einaudiana del 1969145. Rispetto ad esso, ilgiudizio di Bazlen è impietoso, dal momento che a proposito dell’auto-re egli parla preliminarmente della «pretesa quasi arrogante di insegnarequalcosa a qualcuno che non sia morto prima del ’14»146. A questa osser-vazione fa da seguito la segnalazione precisa di pagine

dove troverai considerazioni di un superfluo e di una banalità grot-tesche, quasi come in ogni pagina (dico quasi perché - nel senso piùbassamente corrente - il Kuhn non è uno stupido, e su 50 riflessio-ni una deve andargli bene per forza) che aprirai a caso147.

Al di là della forte disapprovazione a proposito del libro di Kuhn, risul-ta interessante evidenziare che, con il consueto peculiare stile, Bazlenponga il suo rifiuto in diretta relazione con le caratteristiche, o meglio laqualità, delle pubblicazioni adelphiane: «dimmi se Adelphi può pubbli-care una simile lavatura di piatti! (Anzi di pentole - la prima cosa che miaveva messo a disagio, era lo stridio di latta!)»148. D’altronde, il seguitodella lettera rivela con ancora maggiore evidenza la consapevolezza deiconfini, per così dire, fra le pubblicazioni dei diversi editori. Proponendoil confronto fra La struttura delle rivoluzioni scientifiche e un non meglio spe-cificato «libro sul pensiero europeo»149 del filosofo Léon Brunschvigc,

145 Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, traduzione di Adriano Carugo, Torino,Einaudi, 1969. 146 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 344. 147 Ibidem. 148 Ibidem. 149 Ivi, p. 345.

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Bazlen in primo luogo definisce quest’ultimo come «una testimonianzasconvolgentemente autentica e convincente del miracolo del pensieroeuropeo»150, per poi, significativamente, concludere: «non ti dico di farlosenz’altro: [...] anche perché sconfina troppo nei saggi di Einaudi, o in“Comunità”. Ma usalo almeno, per favore, come pietra di paragone peril Kuhn»151. Bazlen sembra insomma avere un’idea abbastanza chiaradel tipo di pubblicazioni che egli vuole vedere realizzate pressoAdelphi, soprattutto riguardo ai Saggi: un aspetto, questo, che come siè già accennato deve essere visto in stretta connessione con la progres-siva individuazione di quegli «affini»152 ai quali, come si è visto, Adelphicercava di parlare. A esemplificare questo tipo di atteggiamento puòessere utile la citazione della lettera del 18 febbraio 1963, relativa aSilence, raccolta di saggi e interventi di John Cage: Bazlen infatti pro-muove la pubblicazione di questo libro, specificando tuttavia di esseregiunto a questa conclusione attraverso «una via poco usuale»153.L’opera, infatti, può essere pubblicata «unicamente come saggi di unmusicista; dunque a condizione [...] che Cage abbia una vera importan-za, non soltanto sintomatica, ma come inventiva»154. In sostanza, lacondizione posta per la pubblicazione risiede nella capacità del libro, edunque del suo autore, di sapere parlare al lettore in termini non ecces-sivamente specialistici: a chiarirlo ulteriormente è ciò che Bazlen scri-ve di seguito, nominando esplicitamente i «lettori di “Adelphi”»155 eindicando per loro una precisa cura dell’edizione:

gran parte dei lettori di «Adelphi» dovrebbero trovarsi nelle miecondizioni, anzi aggravate dal fatto di avere maggiori pregiudizicontra e pro [...] di quanti ne abbia io, e dunque mi pare indispen-sabile un’introduzione molto concreta, storica e analitica, e moltochiara e senza parole iniziatiche di cui si presuppone la conoscenza,che situi la figura di Cage in un complesso di problemi spiegati inmodo che io possa capirli156.

Silence di John Cage.

150 Ibidem. 151 Ibidem. 152 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d. 153 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 330.154 Ibidem. 155 Ibidem. 156 Ibidem.

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La convinzione circa l’opportunità di pubblicare il saggio di Cage, dun-que, si trova strettamente connessa alla consapevolezza che il pubbli-co debba esserle avvicinato con gli strumenti ritenuti opportuni, ovve-ro un testo introduttivo che nel seguito della lettera viene indicatocome necessariamente firmato da uno specialista. Solo così l’«inventi-va» e la novità che sempre vengono elevate a ragioni di pubblicazionedi un’opera possono realmente raggiungere i lettori: fermo restando ilfatto che il tentativo della casa editrice, come si sta vedendo in buonaparte determinato da Bazlen, di porsi come «un amico colto, curioso,sensibile, che sa consigliare libri non sempre (anzi quasi mai) di facilelettura ma [...] coinvolgenti e stimolanti»157 non toglie anche considera-zioni di ordine più ampio. In questo senso, appare significativo che unlibro divenuto poi di grande rilevanza come Galassia Gutenberg diMarshall McLuhan sia liquidato, in una lettera del 5 dicembre 1962,come segue: «mi ha piuttosto irritato, e per conto mio vorrei farla fini-ta con la Geistesgeschichte [storia del pensiero] causale; un libro, ancheconfuso e pessimo, di astrologia fa vedere più di quanto facciano pen-sare centinaia di queste piccole prospettive monomani»158. Il saggio diMcLuhan non incontra evidentemente i favori di Bazlen: è però signi-ficativo che, in una prospettiva più ampia, vale a dire quella di «unacasa editrice che pubblichi per lettori di un’Europa del ’63»159, la deci-sione finale circa la pubblicazione del libro cambi significativamente esi faccia in un certo senso più complessa e ragionata. «D’altra parte, ilmodo di come ha impostato il problema, per gran parte degli italianipuò significare un passo avanti; [...]. Dunque: hélas sì»160. Lo svolgersi di un ragionamento come quello appena visto permette diporre in luce che, accanto alla valutazione dei «lettori Adelphi» come«affini», ci sia, da parte di Bazlen, il proposito anche solo accennato diallargarne il numero, e non solo per ragioni di mera convenienza com-merciale. L’obiettivo, vale a dire, sembra in alcuni casi essere la progres-siva creazione di una «comunità di lettori»161, definibile come «un insie-

Il rifiuto di GalassiaGutemberg di McLuhan.

157 Maddalena Camera, Adelphi - Grandi scoperte, con eleganza, in «Il Giorno», 16 marzo 1986, p. 31. 158 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 329. 159 Ivi, p. 331. La definizione citata è tratta dalla lettera editoriale, della quale si è appena parlato,relativa a Silence di John Cage, datata 18 febbraio 1963. 160 Ivi, p. 330. 161 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 8.

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me di individui accomunati non dall’atto dell’acquisto, ma dal fatto dileggere gli stessi libri, e che utilizzano (almeno per via ipotetica) le stes-se modalità per accostarsi ad essi»162. In ultima istanza, comunque, lavolontà di parlare a un pubblico composto per lo più da lettori forti sem-bra predominante e, in alcuni passaggi, accompagnata da quella notadi astio e rivalità politico-sociale che si è già più volte rilevata. Questoatteggiamento nei confronti di una grossa parte, se non tutta, la socie-tà italiana del tempo è lampante in una delle poche lettere relative adun’opera narrativa che si trovino raccolte nel volume degli Scritti. Sitratta infatti di Journal à quatre mains delle due sorelle Benoîte e FloraGroult, del quale Bazlen, dopo avere affermato di considerarlo comeun vero e proprio diario, nonostante «in copertina, sotto il titolo [ci sia]scritto “roman”»163, afferma che si tratta di «un veramente straordina-rio e affascinante “documento di civiltà”»164, caratterizzato fra l’altro da«vitalità scatenata e scanzonata e [...] responsabilità, [...] eleganza intel-ligenza riflessività leggerezza, e [...] vera e profonda umanità»165. Tuttiquesti aspetti, che peraltro in sostanza sono quelli quasi sempre mag-giormente apprezzati da Bazlen sul piano letterario, lo portano a pro-muovere il testo e a dichiararsene «innamorato»166, ponendo tuttaviauna riserva molto interessante:

Non voglio convincerti, perché ho ancora la lucidità di sapere chesono innamorato, e che assumermi la responsabilità della pubblica-zione significherebbe anche la responsabilità del tuo martirio.Perché «Adelphi» andrebbe incontro al martirio, accuse di frivolez-za, di snobismo, squalifica implicita, e peggio: Montenapoleone. InItalia, tutto quello che non è miseria neorealista, provinciale o uni-versitaria è Montenapoleone167.

Nel momento in cui propone con convinzione la pubblicazione di unlibro, Bazlen evidentemente è del tutto consapevole, almeno in conse-guenza di una personale visione delle cose sviluppata negli anni, circa la

162 Ibidem. 163 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 334. 164 Ibidem. 165 Ivi, p. 335.166 Ivi, p. 336. 167 Ibidem.

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reazione che, di fronte ad essa, avrà una parte del pubblico e degli intel-lettuali italiani. Non è evidentemente questa la sede per entrare nel meri-to di quello che non è nemmeno un dibattito, bensì la riflessione, vieneinfine da dire, di un intellettuale per lo più diffidente rispetto ad unimpegno in qualche misura politico, nonostante la passata collaborazio-ne a un’iniziativa come quella delle Nuove Edizioni Ivrea. È però impor-tante sottolineare il fatto, assai significativo, che con le parole appenariportate Bazlen in sostanza realizzi una previsione decisamente prossi-ma al vero circa quelle che saranno le critiche mosse a casa Adelphi: senon le critiche, comunque, l’immagine che nel tempo sarà associata allacasa editrice, con diverse accezioni. Sembra insomma che la percezionecomune di casa Adelphi sia in buona parte stata determinata, appunto,dal lascito intellettuale di Bazlen, dall’influenza della sua figura. Diversigiornalisti delle più disparate testate, infatti, parlano del fatto che «l’esse-re selettivi [appartenga] alla storia dell’Adelphi»168, la quale dunque damolti è considerata la casa editrice «forse [...] più intelligente e [...] piùelegante e raffinata d’Italia»169. Allo stesso modo, non è difficile leggereosservazioni circa il fatto che «la sua [di Adelphi] fortuna è coincisa conun periodo di profondo mutamento»170, interpretato da Franco Fortinicome segue:

[Adelphi] ha adempiuto in modo splendido il proposito di porre adisposizione di una parte dei nuovi intellettuali del ceto medio-altouna tradizione culturale evitata dalla cultura dell’idealismo italiano e,in vari modi e istanze, combattuta o ignorata dalla cultura della sini-stra rivolta all’hegelo-marxismo o a Gramsci171.

In sostanza, dunque, Fortini vede nell’offerta della casa editrice la rispo-sta a una domanda culturale maturata in quegli anni almeno in alcunistrati della società: un punto di vista che si può forse arricchire con l’os-servare che il messaggio di uno «straordinario editore»172 come Adelphipossa in effetti finire con l’essere inteso come un implicito invito «all’im-

La diffidenza di Bazlen perl’impegno politico.

168 Antonio Gnoli, Da Roth a Walcott ecco l’Adelphi mittelcaraibica, in «La Repubblica», 18 ottobre1992, p. 26. 169 Maddalena Camera, Adelphi - Grandi scoperte, con eleganza cit., p. 31. 170 [s.n.], L’oracolo di Adelphi. Vita e gesta di un editore di qualità, in «Europeo», 14 ottobre 1988, p. 42. 171 Franco Fortini, C’era una volta la Mitteleuropa, in «L’Espresso», 2 maggio 1993, p. 103. 172 Edmondo Berselli, Sublime, si stampi, in «L’Espresso», 18 luglio 2002, p. 101.

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politico come unica chance intellettuale per i contemporanei»173.Secondo altri osservatori, invece, il lavoro di Adelphi non corrisponde,come per Fortini, a quello di un’«intelligente industria culturale»174, dalmomento che «mai Foà e Calasso hanno pubblicato un libro che nonamavano, pensando che lettori più stupidi di loro lo avrebbero forse gra-dito»175: un giudizio in qualche modo condiviso anche da Gian CarloFerretti, che nella sua Storia dell’editoria letteraria parla di «una triangolazio-ne editore-opera-lettore fondata su un’affinità elettiva, esclusiva ed esclu-dente»176. Ancora, con forte accento polemico, secondo alcuni alla basedelle molteplici proposte editoriali adelphiane si troverebbe «una certaambiguità di fondo»177, in virtù della quale l’editore «imbonitore» offri-rebbe ai lettori «creduloni» nient’altro che un libro «bello, [...] facile, [...]di moda»: in una parola, fintamente «culturale». Con le brevi citazioniappena riportate si è voluto mostrare come, nella diversità delle impo-stazioni e dei punti di vista, a proposito di Adelphi sia costante la messain evidenza di quella che si può variamente definire come originalità,ricercatezza, snobismo, o comunque fortissima distinzione rispetto allealtre maggiori case editrici italiane. Non è difficile a questo punto con-statare il fatto che, parlando appunto di «martirio, accuse di frivolezza,[...] snobismo»178, Bazlen mostri di avere piena coscienza della propriaposizione culturale, e di come essa sarebbe stata percepita e collocata,sebbene a suo parere solo in senso negativo, nell’ambito della cultura ita-liana degli anni Sessanta e seguenti.

5.2.3 La Biblioteca Adelphi e l’«eredità» delle precedenti collaborazioni.

Nel corso del paragrafo precedente si è già avuto modo di rilevare comedei sedici titoli per lo più di saggistica che, stando alla documentazionecostituita dagli Scritti, Bazlen aveva consigliato direttamente ad Adelphi,solo uno, vale a dire le memorie di Bettelheim, ha trovato effettiva pub-blicazione: un aspetto che porterebbe a smentire l’ipotesi di una sua pro-

173 Ibidem. 174 Franco Fortini, C’era una volta la Mitteleuropa cit., p. 103. 175 Giovanni Mariotti, L’oracolo di Adelphi, in «L’Espresso», 7 dicembre 1980, p. 153. 176 Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia, 1945 - 2003, Torino, Einaudi, 2004, p. 199.177 Fabrizio Rondolino, A me non piacciono i libri Adelphi. È grave?, in «Panorama», 8 marzo 2001, p.87. Dallo stesso articolo sono tratte le citazioni che seguono. 178 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 336.

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fonda influenza sul catalogo adelphiano, ma che parimenti può esserecontraddetto con facilità da un altro ordine di osservazioni. Si è già avutomodo di constatare in diversi passaggi del presente lavoro come unagrande percentuale dei libri presentati via via ai diversi editori sia poi inrealtà confluita nel catalogo adelphiano. A testimoniarlo, è la semplicissi-ma considerazione del fatto che, fra i primi venti titoli presentati dalla«Biblioteca Adelphi», ben nove si sono già citati in questa sede comedocumentate proposte di Bazlen per altri editori, mentre diversi altri sonocon estrema facilità riconducibili al suo gusto e ai suoi interessi179.Al fine di esemplificare un’ultima volta il processo che dalle diverse caseeditrici conduce ad Adelphi, si cita il caso di Pagan mysteries of theReinassance di Edgar Wind, che Bazlen aveva consigliato a Foà, comepossibile pubblicazione per Einaudi, in una lettera del 10 febbraio 1960:un caso particolare per la collocazione che infine il libro troverà, vale adire non nella «Biblioteca Adelphi», bensì nella collana «Il ramo d’oro»180,nonché per le osservazioni che Bazlen espone nel corso della lettera edi-toriale rivolta ad Einaudi. Anche relativamente a un’opera qualificabilesenza dubbi come saggio, infatti, Bazlen pone a criterio fondante la«vitalità» dell’esposizione, ovvero la trattazione della materia come,prima di tutto, parte di una «realtà viva»181: rispetto a questi criteri, vieneconstatata per diversi aspetti la manchevolezza del libro, anche se allafine esso viene consigliato, quantomeno per il suo valore in confrontoalla cultura contemporanea.

Naturalmente, siamo ancora in una motivgeschichte [storia deimotivi], senza il sospetto che quei «motivi» erano (e sono) una real-tà viva, e determinante (lebensbedingend [condizioni di vita)]; ven-gono trattati come se fossero idee astratte e decorative, o formula-zioni morali, hangen in der luft [sospese in aria], indipendenti [...].Ma c’è, almeno, una certa coerenza e una certa organicità nello svi-luppo dei motivi - e già questo, in questa nostra disperata cultura, ègià qualcosa182.

179 Si vedano, ad esempio, testi come Il segreto del teatro No di Zeami Motokiyo, uscito come quin-to titolo e Le nove porte. I segreti del chassidismo di Jirí Langer, numero 12 della Biblioteca. 180 Edgar Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, traduzione di Piero Bertolucci, Milano, Adelphi, 1971. 181 Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen, lettera di RobertoBazlen a Luciano Foà, 10 febbraio 1960. 182 Ibidem.

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Bazlen, insomma, in un saggio che secondo lui ha il solo merito di «[dire]quasi qualcosa»183 all’interno di una cultura «disperata»184, vorrebbe vede-re una maggiore aderenza alla vita, alla realtà dei motivi trattati: se si ècitata questa ulteriore lettera editoriale nella quale emergono con eviden-za i criteri che lo guidano nella valutazione di un libro è per mostrarecome gli stessi criteri, o quantomeno, idee editoriali contigue ad essi,costituiscano la base teorica delle pubblicazioni di Adelphi, soprattuttodella «Biblioteca». Nei primi risvolti di copertina dei libri pubblicati nellacollana a partire dal 1965, infatti, è possibile leggere una sorta di nota,scomparsa in corrispondenza del quarto volume uscito, che fornisce unadefinizione tanto esauriente quanto sintomatica delle idee su cui poggiala realizzazione della collana:

una serie di libri «unici», scelti secondo un unico criterio: la profon-dità dell’esperienza da cui nascono e di cui sono viva testimonian-za. Libri di oggi e di ieri - romanzi, saggi, autobiografie, opere tea-trali - esperienza della realtà o dell’immaginazione, del mondo degliaffetti o del pensiero185.

In un breve testo come quello appena citato si può rintracciare, oltre alla«serie di informazioni o spunti interpretativi utili per il potenziale letto-re»186 che si trova spesso nelle quarte o nei risvolti di copertina, l’eco delleposizioni di Bazlen e delle sue opzioni teoriche: diventa così ancora piùfacile comprendere perché sia diffuso il parere secondo cui egli «ebbe ilmerito di delineare gli orizzonti culturali entro i quali si sarebbe [...]mossa l’esperienza adelphiana che ancora oggi, a distanza di molti anni[...], trova nel suo progetto di partenza un costante motivo d’ispirazio-ne»187. Il risvolto di copertina dei primi libri della «Biblioteca Adelphi»,pertanto, rispecchia per molti aspetti il complesso di idee circa la scrittu-ra, e la sua necessaria vitalità, che Bazlen aveva esposto nelle sue Notesenza testo e che si è cercato di delineare nel primo capitolo del presente

I “libri unici” secondoBazlen.

183 Ibidem. 184 Ibidem. 185 Come si è detto, il passo appena citato si può trovare nel risvolto di copertina delle prime pub-blicazioni della “Biblioteca Adelphi”. 186 Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale cit., p. 173. 187 Domenico Arenella, Un lungo serpente di pagine. “Biblioteca Adelphi”, in Anna Longoni, DomenicoArenella (a cura di), Una collana tira l’altra: dodici esperienze editoriali, Pavia, Santa Caterina, 2009, p.47.

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lavoro. È d’altronde lui stesso a confermarlo, in testi privati e personalicome tutti quelli riportati negli Scritti, vale a dire le lettere all’amico trie-stino Giorgio Voghera. A lui, infatti, Bazlen cerca di procurare lavoriredazionali o di traduzione per il nuovo editore, ma anche chiede di indi-care a sua volta possibili pubblicazioni: aspetti, questi, che determinanola necessità di specificare quali siano i criteri di scelta dei libri per la«Biblioteca», corrispondenti a loro volta con quanto si troverà scritto nelrisvolto di copertina. In una lettera datata 14 agosto 1963, infatti, Bazlenchiede a Voghera di segnalare «autobiografie con vero fondo»188, promet-tendo di affidargli la loro eventuale traduzione. Questa indicazione, giàdi per sé rilevante, è arricchita da un altro conciso prospetto di quelle chedovrebbero essere le caratteristiche della «Biblioteca»:

l’intenzione di questa nostra collezione di autobiografie ecc. (cheperò non verrà presentata come collezione, ma come libri singoli) èdi dare «Erlebnisse» [esperienze] vive, e mostrare forme di vita, nelmodo più spontaneo e meno intimidatorio possibile189.

Già nel 1963, dunque, Bazlen ha chiare in mente quelle che saranno lecaratteristiche principali della «Biblioteca Adelphi», ed è in grado di for-mularle in maniera non troppo dissimile da come esse saranno poi pre-sentate ai lettori. Conta comunque sottolineare, in primo luogo, che ilriferimento esplicito al genere autobiografico rispecchia l’influenza, fral’altro, di progetti elaborati con Einaudi quali ad esempio la «Collezionedell’io»190. In secondo luogo, è molto rilevante che una delle caratteristi-che più spiccate della «Biblioteca» si trovi descritta direttamente dallapenna di Bazlen, che ebbe dunque un ruolo di primo piano nell’idearla:a confermarlo, si possono citare le parole di Calasso, che nell’intervistarilasciata a Domenico Porzio afferma che la collana «è nata da dei libriche erano stati proposti da Bazlen come libri unici»191. Si tratta, vale adire, di quanto è descritto, nel risvolto di copertina dei libri, come il fatto

La Biblioteca Adelphi comecollana di libri unici.

188 Lettera di Roberto Bazlen a Giorgio Voghera, 14 agosto 1963. In Roberto Bazlen, Giorgio Voghera,Le tracce del sapiente, Lettere 1949-1965 cit., p. 61. 189 Ivi, p. 59. È inoltre interessante considerare come la lettera sia fortemente improntata alle sueidee ed idiosincrasie: lo si può vedere dal passo in cui dichiara di volere “evitare per esempio (manon mi riuscirà) che l’Adelphi pubblichi mai la parola etica”. Cfr. Ibidem. 190 Si ricorderà, inoltre, che nel quarto capitolo del presente lavoro si è considerata l’ipotesi cheanche il nome “Biblioteca” e la divisione delle collane in una “Grande” e “Piccola” ha probabil-mente origine nei progetti che Bazlen in passato aveva presentato ad Einaudi e Bocca.

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che la «Biblioteca» non sia presentata «come collezione, ma come librisingoli»: in altre parole, quello che manca è uno «scheletro» teorico, unfilo concettuale che colleghi fra di loro i titoli che vengono presentati alpubblico, come avviene nella maggior parte dei casi. In effetti, la com-mistione di generi e tipologie di testi appare sin dall’inizio come forte-mente caratterizzante le prime pubblicazioni di Adelphi192. Diventa aquesto punto possibile affermare che la «Biblioteca Adelphi» realizza lascelta primaria di Bazlen, ovvero il rifiuto, più volte visto a propositodella collaborazione con Einaudi, di fornire ragioni teoriche per le pro-prie scelte editoriali, che in questo caso viene elevato a criterio e pecu-liarità di una collana. L’unicità dei libri vantata nel risvolto di copertinava dunque intesa anche nel senso che ai propri lettori la casa editriceoffre di volta in volta un’opera che non è assimilabile alle altre, prece-denti e successive. Il «libro unico», dunque, è

un libro irresponsabile nei confronti [...] delle intenzioni ideologicheo pedagogiche. Suoi caratteri sono la novità, l’irregolarità, la capaci-tà di sorprendere. Più vuota che piena, la nozione è evidentementelegata a una certa pratica della lettura, bruscamente convertita,senza mediazioni intellettuali visibili, in programma editoriale193.

Le considerazioni appena riportate permettono di collocare il gusto per-sonale di Bazlen, evidente artefice della «pratica della lettura» asistemati-ca e ossequiente al criterio del solo gusto personale di cui si parla nelbrano, anche all’interno di un contesto più ampio, così che la specificitàdi Adelphi rispetto agli altri editori diventa più facilmente rilevabile. Ilmodello adelphiano, vale a dire, si pone come «una sorta di rovesciodell’Einaudi»194, soprattutto rispetto a quella «impostazione organicista e

La proposta adelphianacome rovescio dei quellaeinaudiana.

191 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d. Alle parole di Calasso che si sono citate, inol-tre, Foà aggiunge un’altra interessante caratterizzazione della collana: “c’era anche questa idea,che ci fosse questa continuità, pensa anche alla numerazione, di una rivista che pubblicava conquesto spirito: come una volta venivano fondate le riviste, non le case editrici, da parte di ungruppo di persone che avevano un’affinità di idee, che si capivano”. Cfr. Ibidem. 192 È bene comunque fare presente che, secondo alcuni, un’altra caratteristica fondamentale della“Biblioteca Adelphi” corrisponde all’essere “focalizzata su una linea fantastica, o comunque nonrealista”, secondo una tendenza impressa da una prima pubblicazione come L’altra parte di AlfredKubin. Cfr. Stefano Guerriero, Adelphi al paragone cit., p. 349. 193 Giovanni Mariotti, L’oracolo di Adelphi, in «L’Espresso», 7 dicembre 1980, p. 155. 194 Domenico Arenella, Un lungo serpente di pagine. “Biblioteca Adelphi” cit., p. 48.

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pedagogica»195 che sempre aveva caratterizzato la casa editrice torinese, eche con molta probabilità aveva trovato la disapprovazione e il disaccor-do di Bazlen: il quale, allontanandosi da questo ambiente, contribuisce esi impegna a creare una casa editrice che rispecchi pienamente la suaposizione. Che nella scelta di privilegiare «l’unicità del titolo piuttostoche la coerenza tematica d’insieme»196 si possa vedere un elemento senon di polemica, quantomeno di decisa differenziazione rispetto adEinaudi, è confermato dalle parole di Roberto Calasso, dunque una per-sonalità molto vicina a quella di Bazlen: in un’intervista, infatti, dopoavere manifestato la propria fiducia nel fatto che gli «affini» di Adelphi,da lui indicati come «i lettori un pochino più svegli»197, abbiano «la per-cezione» che le eclettiche proposte dell’editore «[stiano] insieme perqualche ragione», denuncia con un certo spregio l’«idea tutta einaudianadi essere la coscienza della nazione». Anche un testimone autorevolecome Italo Calvino, il quale, come si è visto, aveva avuto modo di cono-scere Bazlen e lavorare con lui presso Einaudi, ricorda il «suo amore peri libri piccoli e unici, fuori da ogni classificazione di scuola o di tenden-za (in un’epoca prima dei “tascabili”)»198: un’osservazione che, ricollegan-dosi ai libri tascabili, permette di riflettere su un altro possibile collega-mento fra la figura dell’intellettuale triestino e alcuni aspetti della storiaeditoriale italiana. Che il riferimento sia alla «Biblioteca Adelphi», e forseanche alla «Piccola Biblioteca», è poi dimostrato dal fatto che Calvinosubito di seguito specifichi che questa idea «diede l’impostazioneall’Adelphi»199. La paternità di Bazlen sul peculiare criterio di scelta carat-terizzante la «Biblioteca», nonché sui primi titoli che vennero pubblica-ti, è dunque comprovata, tanto più se si considera che lo stesso RobertoCalasso ammette che «in quei primi anni il programma aveva totalmen-te l’impronta di Bazlen»200. La lettura delle interviste e testimonianze circa la nascita di Adelphi per-mette però di mettere in evidenza un ulteriore elemento di netta distin-zione della proposta del nuovo editore rispetto a quella di Einaudi.

195 Ibidem. 196 Ivi, p. 50. 197 Massimo Fini, Piccoli editori crescono cit., p. 113. Le citazioni che seguono sono tratte dallo stes-so articolo. 198 Italo Calvino, La psiche e la pancia cit., p. 20. 199 Ibidem. 200 Massimo Fini, Piccoli editori crescono cit., p. 113.

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Rispetto ad essa, tuttavia, l’ideazione sembra più che altro da ricondursinon a Bazlen, ma alle figure a lui vicine, quali appunto Luciano Foà eRoberto Calasso: è quest’ultimo a raccontare, in una lunga ricostruzionedella nascita della casa editrice, che al momento di scegliere lo stile dellecopertine della «Biblioteca» l’opzione primaria fu quella di evitare l’uti-lizzo del bianco «perché era il punto di forza della grafica Einaudi, la piùbella allora in circolazione»201. Quello che all’interno della casa milaneseera avvertito come un «obbligo [...] di differenziarci al massimo»202 si tra-dusse nella scelta dei colori pastello, fino ad allora estranei alle copertineitaliane, e soprattutto nell’utilizzo della grafica ideata dall’illustratoreAubrey Beardsley: nel 1895, infatti, egli aveva creato le copertine per lacollana «Keynotes» dell’editore inglese John Lane, che in effetti sonopressoché pienamente assimilabili a quelle della «Biblioteca Adelphi».Tramite l’adozione della stessa grafica per ogni uscita della collana, dun-que, la redazione adelphiana sceglieva di collocare i suoi «libri unici» inun contenitore editoriale riconoscibile, se non per il genere dei libri pro-posti, per lo stile delle sue copertine, con la sola differenziazione, di tito-lo in titolo, rispetto al colore. È importante sottolineare, però, che que-sta scelta, particolarmente fortunata in quanto presto rivelatasi in gradodi contraddistinguere fortemente l’immagine adelphiana, fu attuata daFoà: essa infatti è frutto del desiderio di presentare i libri comunqueall’interno di una collana e non «ciascuno con un impianto diverso dellacopertina - e magari con formati diversi»203, secondo un progetto alter-nativo che forse non è improprio ricondurre a Bazlen e alla sua forteresponsabilità nell’ideazione dei «libri unici». Resta a questo punto da mettere in luce un elemento non indifferente aifini di una valutazione quanto più veritiera possibile dell’operato diBazlen presso Adelphi: la sua partecipazione e il suo contributo al pro-getto non escludono infatti la possibilità, o meglio la necessità, di rileva-re come la riuscita della collaborazione non sia stata scontata e priva didifficoltà nemmeno in questo caso. In primo luogo, è opportuno tenerebene a mente quanto Calasso così ricorda:

per più di trent’anni, Foà e io abbiamo vagliato, provando e ripro-

La particolare attenzione perle copertine.

201 Roberto Calasso, In copertina metteremo un Beardsley, in «La Repubblica», 28 dicembre 2006, p. 54. 202 Ibidem.203 Roberto Calasso, Così inventammo i libri unici, in «La Repubblica», 27 dicembre 2006, p. 57.

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vando centinaia e centinai di immagini, formati, colori di fondo.Bazlen non poté partecipare a questo gioco, perché il finito di stam-pare del primo volume della Biblioteca coincise con il mese dellasua morte: luglio 1965204.

La partecipazione di Bazlen ad alcuni aspetti del lavoro di Adelphi, dun-que, non poté per ovvie ragioni essere diretta: nondimeno, rimane chel’ipotesi che si è sollevata poco sopra circa la sua disapprovazione dellecopertine della collana trova conferma in un breve passo di una letteraall’amico Erich Linder. L’occasione è quella dello scambio di opinionicirca i libri del nuovo editore, che l’agente letterario205 in una lettera dipochi giorni prima aveva criticato. A lui Bazlen risponde con una lette-ra per molti aspetti allusiva, ma che non lascia molti dubbi circa il suoparere sulle caratteristiche della «Biblioteca Adelphi»: «A Luciano, per laparte esterna di “Biblioteca”, avevo già l’intenzione di scrivere una lette-ra molto energica per conto mio. Non so se servirà»206. Allo stesso modo,oggetto della disapprovazione tanto di Bazlen quanto di Linder sono lapubblicazione delle Note azzurre di Carlo Dossi, uno dei primi volumiusciti per la collana dei «Classici»207. A questo proposito, sempre in rispo-sta alle aspre critiche mosse dall’amico, Bazlen scrive: «per fortuna, l’edi-zione di lusso del Dossi non l’ho vista. Mi basta, del resto, la vergognadel testo»208. In questo caso, dunque, la disapprovazione di Bazlen sem-bra riguardare maggiormente l’aspetto testuale: una forte critica alla curaformale delle varie edizioni, comunque, si può trovare poche righe sotto,dove a essere stroncati sono i «Saggi». «Per fortuna i classici non sonoandati troppo (dico: troppo) male. [...]. Poi ci sono stati i «Saggi», chenascondo affinché nessuno li veda»209. Anche nel caso di Adelphi, dun-que, Bazlen non rinuncia del tutto al proprio atteggiamento tendente al

204 Roberto Calasso, In copertina metteremo un Beardsley cit., p. 55. 205 Si ricorda che non è improbabile l’ipotesi che Linder, in quanto appunto massima autoritàdell’Agenzia Letteraria Internazionale, abbia avuto un ruolo nella cessione del catalogo diFrassinelli ad Adelphi: se si considera la collaborazione, negli anni Trenta, di Bazlen con l’edito-re torinese, non è difficile ipotizzare che tramite questa operazione un’altra importante porzionedei libri scelti da Bazlen sia confluita nel catalogo di Adelphi. 206 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1964,b. 21, fasc. 20 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 30 dicembre 1964. 207 Carlo Dossi, Note azzurre, testo, prefazione, note e indici analitici a cura di Dante Isella, Milano,Adelphi, 1964. 208 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1964,b. 21, fasc. 20 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 30 dicembre 1964. 209 Ibidem.

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pessimismo e all’insoddisfazione: sentimenti che peraltro si trovanomanifestati anche al di fuori degli scambi con Linder, improntati comun-que alla massima discrezione, se in chiusura della propria lettera l’agen-te letterario scrive: «guai a te se bisbigli una parola a Luciano delle miecritiche»210. Critiche simili a quelle appena viste, infatti, si possono rin-tracciare nel carteggio con Giorgio Voghera, in particolare nella letteradel 18 gennaio 1964, nella quale Bazlen scrive: «bene che Adelphi ti siapiaciuta. Fa’ propaganda e fa’ andare i volumi. [...]. Se vanno, potremofare roba molto più inaspettata e inquietante, in caso contrario dobbia-mo continuare nella forma blanda e piuttosto phantasielos [priva di fan-tasia] che hai visto»211. Risalendo al gennaio del 1964, è difficile che la let-tera che si è appena citata possa riferirsi alla «Biblioteca Adelphi», colla-na varata, come si è visto, l’anno successivo: resta comunque il fatto che,oltre a permettere di vedere come egli stesse lavorando in una prospet-tiva di lungo periodo, dunque con la volontà di disporre le pubblicazio-ni in modo progressivo, essa mostri le critiche, in questo caso pare dinatura contenutistica, che egli muoveva alle produzioni di Adelphi. Le ragioni di disappunto delle quali si è fino ad ora fatto cenno devo-no necessariamente essere completate da un’ulteriore, conclusivariflessione, in verità suscitata non tanto da una testimonianza direttadel pensiero di Bazlen in merito, quanto da osservazioni di diversoordine, vale a dire riferite alla tempestività della messa in atto delle sueproposte. Un solo, ultimo esempio può valere a mostrare con eviden-za quanto in realtà risulta facilmente deducibile dalle osservazioni finoad ora esposte: si tratta dell’ottava opera pubblicata nella «BibliotecaAdelphi», Il libro dell’Es di Georg Groddeck212, vale a dire un «trattatopsicoanalitico sotto forma di romanzo epistolare»213, dunque per moltiaspetti corrispondente al tipo di pubblicazioni caratterizzanti la colla-na. La scelta di quest’opera da parte di Adelphi è senza dubbio daricondursi al consiglio di Bazlen, dal momento che già nel 1961 egli laproponeva ad Einaudi: il caso è sotto questo aspetto simile ai numero-

210 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1964,b. 21, fasc. 20 (corrispondenza Roberto Bazlen), Linder a Bazlen, Milano, 28 dicembre 1964. 211 Lettera di Roberto Bazlen a Giorgio Voghera, Roma, 18 gennaio 1964. In Roberto Bazlen,Giorgio Voghera, Le tracce del sapiente, Lettere 1949-1965 cit., p. 75. 212 Georg Groddeck, Il libro dell’Es. Lettere di psicoanalisi a un’amica, traduzione di Laura Schwarz,prefazione di Lawrence Durrell, Milano, Adelphi, 1966. 213 La citazione è tratta dal risvolto di copertina dell’edizione Adelphi.

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si che si sono visti fino ad ora, ma anche particolarmente rilevante esignificativo, dal momento che quello che sembrerebbe un intervallo dicinque anni fra la lettura del libro da parte di Bazlen e la sua pubblica-zione da parte di Adelphi è in realtà assai più ampio. Nella lettera indi-rizzata a Luciano Foà in quanto segretario generale di Einaudi, infatti,egli fa presente che «a suo tempo, - l’ho letto subito dopo uscito - eraun libro sconvolgente, divertentissimo, non sempre accettabile»214: laprima edizione de Il libro dell’Es, come il risvolto di copertina dell’edi-zione adelphiana contribuisce a rilevare, risale al 1923. Il contesto,dunque, è quello della giovinezza trascorsa a Trieste, dove Bazlenconobbe il libro (pubblicato, infatti, a Vienna) grazie appunto al con-tatto con l’ambiente culturale che si è descritto nel primo capitolo: nelsuo Gli anni della psicanalisi, infatti, Giorgio Voghera ricorda l’«amore»215

di suo padre Guido, autore de Il Segreto, per Il libro dell’Es, «amore cheegli instillò, o per lo meno rafforzò, anche in Bobi»216. Fra la lettura dellibro e la sua pubblicazione, dunque, sono trascorsi ben quarantatréanni e già nel 1961 Bazlen riflette sulla differenza di percezione deltesto molto probabilmente maturata nel frattempo. Subito dopo ilpasso appena citato, infatti, egli scrive: «l’ho riletto (in parte), e non sorendermi conto dell’impressione che possa fare su chi lo avrà in manoora per la prima volta - probabilmente meno sconvolgente e più accet-tabile, abbastanza divertente»217. Con queste parole, insomma, Bazlenrende evidente che con il passare del tempo l’effetto del libro può esse-re, per così dire, scemato. La validità della pubblicazione pressoEinaudi (in realtà poi non verificatasi) vanificherebbe dunque, in quan-to tardiva, la portata del libro: egli stesso considera, in qualche modo,questa ipotesi se, una volta affermato che «a mio parere, va tradotto[...]: è uno dei quattro o cinque classici della psicoterapia moderna»218,nondimeno chiede all’editore di «vedere che impressione fa a chi lolegge ora, molto in ritardo»219.L’aspetto sul quale si vuole in questa sede porre l’accento è che il«ritardo» apertamente denunciato da Bazlen a proposito de Il libro

Il libro dell’Es

214 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 315. 215 Giorgio Voghera, Gli anni della psicanalisi cit., p. 27. 216 Ibidem. 217 Roberto Bazlen, Scritti cit., p. 315.218 Ibidem. 219 Ibidem.

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dell’Es sia in realtà un dato rilevabile a proposito di moltissime altrepubblicazioni di Adelphi, o forse, in realtà, del progetto in sé relativoalla creazione della casa editrice: a sottolinearlo è lo stesso Foà nell’in-tervista rilasciata a Domenico Porzio, nella quale appunto egli ammet-te che «la posizione di Bazlen era che questa casa editrice nasceva inritardo in confronto a tutto quello che lui aveva accumulato»220, comesi è visto, nel corso di un periodo molto lungo e ricco di cambiamen-ti storici e culturali. «Quello che è successo in questi anni», dunque pre-sumibilmente le pubblicazioni di Adelphi, è infatti secondo Calasso,«un rimescolamento di cose esistenti, che non erano state percepiteprima e che lui aveva già percepito»: all’«entusiasmo» rispetto alleNuove Edizioni Ivrea che Foà rileva, dunque, doveva fare da contro-canto un sentimento differente nei confronti della nascita di Adelphi,a proposito della quale, non a caso, Calasso nuovamente puntualizzache «c’erano degli autori per lui essenziali che non voleva tanto pro-porre adesso, perché considerava che dovessero essere parte di qualco-sa di acquisito, e l’Italia non aveva acquisito per nulla». L’atteggiamentopessimistico, o comunque mai del tutto entusiasta che si è visto a pro-posito di diverse iniziative trova in effetti, nel caso di Adelphi, ragioniconcrete e comprensibili, tanto più che, stando sempre alla testimo-nianza fornita a Domenico Porzio da Foà e Calasso, la consapevolez-za del ritardo adelphiano conduceva Bazlen a «cercare un nuovo chefosse nuovo anche per lui», rintracciabile probabilmente in alcuni tito-li del catalogo dell’editore, che tuttavia non è possibile individuare. Chelo spirito fosse quello di volontà di ricerca di novità in conseguenza delritardo, e dunque della perduta vitalità ed interesse, delle pubblicazioniadelphiane è d’altronde dimostrato da un passaggio di una lettera aLinder, significativamente collocata nel gennaio 1965, dunque all’iniziodell’esperienza della «Biblioteca» e pochi mesi prima della sua morte.Per argomentare quello che sembra aperto disprezzo nei confronti del-l’edizione delle Note azzurre di Dossi, infatti, egli infatti così scriveall’amico:

non credo (mai creduto) alla Kulturgeschichte [storia della cultu-

220 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio, Sezione audio,intervista di Domenico Porzio a Luciano Foà, s.d. Le citazioni che seguono sono tratte dalla stes-sa fonte.

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ra], alla Literaturgeschichte [storia della letteratura], ai Blickwinkel[prospettive] e non so che. L’unica misura che conosca è la miaVerwandlung [trasfomazione], cioè la differenza tra il signorBazlen prima d’aver letto un certo libro e il signor Bazlen dopoaverlo letto. E il signor Bazlen dopo aver sfogliato il Dossi perforse un’ora, era un uomo che aveva perso un’ora in cattiva com-pagnia, che ha respirato un’aria che anche senza velleità spaziali èdiventata irrespirabile, e che aveva bisogno di un bagno caldo221.

221 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder, Serie annuale 1965,b. 28, fasc. 33 (corrispondenza Roberto Bazlen), Bazlen a Linder, Roma, 5 gennaio 1965.

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Conclusioni

«L’influenza di Bazlen sull’editoria italiana [...] resta difficile da rico-struire per il suo caratteristico modus operandi di suggeritore nell’ombra,restio a incarichi ufficiali che si possono desumere approssimativa-mente dalle lettere editoriali»222. L’autorevole parere di Gian CarloFerretti risulta, alla luce di quanto si è fino ad ora considerato, piena-mente condivisibile: è proprio a partire da questa considerazione chesi è cercato di portare alla luce, nel corso del presente lavoro, gli ele-menti che possono contribuire a descrivere con maggiore precisione lafigura di Bazlen e la sua influenza nel panorama editoriale italiano. Latendenza ad agire in maniera ufficiosa e velata è in effetti un datoincontrovertibile della personalità di Roberto Bazlen: è opportunoperò considerare come sia possibile cercare di superare la netta sensa-zione di trovarsi di fronte a un personaggio «nell’ombra» e nascosto,descritto unicamente dalla propria personale enigmaticità e dall’aned-dotica che spesso la accompagna. Si vuole cioè porre in evidenza comela ricerca in archivio possa permettere, e in questa sede forse abbiaeffettivamente permesso, di esemplificare ed approfondire quei datiche una ricostruzione unicamente biografica o basata sulle sole testi-monianze pubblicate può senza dubbio mettere in luce, ma appuntonon considerare nella loro completa estensione. Una breve considerazione di quanto la casa editrice Adelphi ha scelto

222 Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia, 1945 - 2003 cit., p. 196.

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di conservare della personalità che più l’ha influenzata può fornire unasignificativa argomentazione rispetto a quanto si sta considerando:quello che in questa sede si è citato come un volume antologico diScritti ha infatti origine in una serie di pubblicazioni separate che fra il1968 ed il 1973 furono presentate come una piccola collezione, dalnome «Quaderni di Roberto Bazlen». Le Lettere editoriali223, le Note senzatesto224 ed Il capitano di lungo corso225 furono dunque presentate al pubbli-co come tre pubblicazioni separate: è evidente dunque una certavolontà di valorizzazione, testimoniata anche da una lettera di PaoloBoringhieri a Luciano Foà, nella quale l’editore torinese scrive, dopo«aver guardato la corrispondenza con Bobi Bazlen»226, di avere l’im-pressione che «non ci sia alcuna lettera che si presti ad essere pubbli-cata, anche se singoli brani qua e là sono ovviamente spiritosissimi einteressanti»227. Resta tuttavia che l’intenzione di raccogliere documen-ti circa il lavoro di Bazlen anche presso editori che non fosseroAdelphi o Einaudi si è concluso, nei fatti, in una selezione netta rispet-to alla grande mole di materiale in realtà disponibile: conseguenza diquesto è che, ad esempio, del migliaio di lettere conservato pressol’Archivio della casa editrice Einaudi a Torino, nella raccolta degli Scrittisi trovi rappresentata una minima percentuale, sulla quale si sono poibasate le pur ricchissime monografie dedicate a Roberto Bazlen. Conil presente studio e con il lavoro di ricerca che lo ha preceduto si è dun-que tentato di aggiungere qualche elemento nella documentazionerelativa al lavoro editoriale di Bazlen e nella sua contestualizzazione.L’assenza di materiali presso l’archivio Olivetti di Ivrea è stata così«aggirata» tramite la ricerca svolta presso la fondazione Arnoldo eAlberto Mondadori di Milano, dove è stato possibile prendere visionedi interessanti documenti circa l’attività delle Nuove Edizioni Ivrea.Allo stesso modo, si è cercato di valorizzare tutto il materiale d’archi-vio inedito che si è potuto analizzare e che, a parere di chi scrive, costi-tuisce una risorsa fondamentale per lo studio della personalità intellet-

223 Roberto Bazlen, Lettere editoriali, a cura di Roberto Calasso e Luciano Foà, Milano, Adelphi,1968. 224 Roberto Bazlen, Note senza testo, a cura di Roberto Calasso, Milano, Adelphi, 1970. 225 Roberto Bazlen, Il capitano di lungo corso, a cura di Roberto Calasso, Milano, Adelphi, 1973. 226 Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, incartamento Bazlen, lettera di PaoloBoringhieri a Luciano Foà, 19 aprile 1968. 227 Ibidem.

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tuale di Roberto Bazlen. Le osservazioni che diventa possibile svolgere sulla base di un’ampiaserie di documenti permettono infatti di dare maggiore consistenzaall’immagine di Bazlen e soprattutto alla sua particolare posizione neiconfronti del panorama editoriale e culturale italiano: in questo modo,si spera, diventa più facile comprendere tanto l’unicità quanto la rap-presentatività della sua figura. Riconsiderando i passi della carriera chesi è cercato di ricostruire, infatti, viene in prima istanza da osservarel’originalità di un personaggio dagli interessi quanto mai diversificati,che diede il proprio contributo ad un numero non indifferente di caseeditrici italiane ed ebbe modo di confrontarsi con personalità qualiMontale, Saba e Calvino: tutti aspetti, questi, ai quali Bazlen si rappor-tò con un’attitudine peculiare, e non sempre facile da definire. Restatuttavia da considerare che i particolari atteggiamenti che lo distingue-vano da molti intellettuali coevi costituiscono, per così dire, rispostepersonali a circostanze che in un modo o nell’altro tutti gli intellettua-li e i letterati che lavorarono in campo editoriale dovettero fronteggia-re. A suscitare questa conclusiva riflessione è stata la letturadell’Introduzione, ad opera di Vittorio Spinazzola, agli atti del convegnodedicato nel 1990 ad una delle figure più rappresentative della «condi-zione dell’intellettuale umanista che si fa prestatore d’opera pressoun’impresa editoriale»228, vale a dire Italo Calvino: è lo stessoSpinazzola, in effetti, a specificare in apertura del proprio interventocome quanto osservato a proposito dello scrittore sia in realtà «gene-ralizzabile»229, dal momento che «nel corso del Novecento si è infittitasempre di più la schiera degli scrittori, o più latamente degli intellettua-li di formazione umanistica, che hanno esercitato un’attività importan-te nel mondo dell’editoria»230. Per quanto si sia visto in questa sede chela condizione di scrittore sia da Bazlen rifiutata, in seguito ad una scel-ta strettamente saldata a quella di lavorare in editoria, è innegabile chenon pochi degli aspetti chiamati in causa da Spinazzola a proposito diCalvino siano riferibili anche a lui stesso. Le vicende che si sonodescritte in questa sede, dunque, possono forse anche servire per

228 Vittorio Spinazzola, Introduzione, in Calvino e l’editoria cit., p. XI. 229 Ivi, p. XII. 230 Ibidem.

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un’ulteriore considerazione di quella «somma di fenomeni e vicended’indole sia storica sia istituzionale»231, sullo sfondo delle quali, in effet-ti, vanno necessariamente valutate. In questo modo, l’originale rappre-sentazione, depositata ne Il capitano di lungo corso, della scelta di non scri-vere, per lavorare in editoria e valorizzare i libri ritenuti «unici», puòessere forse vista anche come un esempio del fatto che, tra «letteratieditori», nessuno «ha fatto oggetto di discorso le proprie esperienze dilavoro, in sede di saggismo critico o almeno di resoconto testimonia-le: semmai, ha inteso darne una trasposizione metaforica»232. Come siè visto, infine, è facile osservare come lo stile che spesso caratterizza lelettere di Bazlen si allontani significativamente dalla concezione delparere editoriale come uno scritto che «obbedisce non a criteri deter-minati soggettivamente [...] ma improntati a una norma di utilità azien-dale»233: è tuttavia altrettanto immediato rilevare la piena rappresentati-vità di una condizione evidentemente generalizzata, per cui «chi lavo-ra nell’editoria, per l’editoria, si trova a dover conciliare e mediare lasua personale idea di letteratura con gli orientamenti della ditta che lopaga»234. Le modalità dei rapporti che si svilupparono fra Bazlen e glieditori con i quali nel tempo collaborò, dunque, vanno considerateanche in un’ottica più ampia, che permette di seguire l’evoluzione di unsingolo, e certamente originale, intellettuale come il rispecchiamento dimomenti particolari della storia editoriale italiana.

231 Ivi, p. XI. 232 Ivi, p. XIII. 233 Ivi, pp. XV-XVI. 234 Ivi, p. XVI.

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Catalogo: 1963-1993, Milano, Adelphi, 1993.

Catalogo storico delle edizioni Bollati Boringhieri 1957/1987/2007, a cura di Irene Amodei eValentina Parlato, Torino, Bollati Boringhieri, 2007.

Sitografia.

Casa editrice Adelphi, www.adelphi.it

Casa editrice Astrolabio, www.astrolabio-ubaldini.com

Fondazione Adriano Olivetti, www.fondazioneadrianolivetti.it

349

Archivi.

Archivio della casa editrice Bollati Boringhieri, Torino.

Archivio Einaudi, Torino, Fondo Collaboratori italiani, incartamento Bazlen .

Archivio Storico Olivetti, Ivrea.

Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Erich Linder.

Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Domenico Porzio.

Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Rosa e Ballo.

Università degli Studi di Milano - Centro Apice, Archivio Scheiwiller (in corso di riordino).

350

INDICE DEI NOMI

353

Abbegg, Lily 94Adams, Henry 235, 263Aksakov, Sergej 235, 237Alain (Chartier, Émile-Auguste) 82, 86Altenberg, Peter 18Andersen, Hans Christian 108Andrade, Carlos Drummond de 205Angioletti, Giovanni Battista 26Antonicelli, Franco 55-6Apollonio di Tiana 192Ara, Angelo 8, 10, 17, 27Argan, Giulio 167-70Artaud, Antonin 224, 229-30, 260

Balbo, Felice 284Ball, Hugo 82, 85Ballo, Ferdinando 62Barth, Karl 64Bassi, Lorenzo (ps. Roberto Bazlen) 4, 142, 174Bazlen, Georg Eugen 12Beardsley, Aubrey 327Bemporad, Gabriella 81, 84, 168, 185Benco, Silvio Enea 19Berdjaev, Nikolaj Aleksandrovič 66Bergson, Henri 64Bermann, Elsa 66Bernhard, Ernst 3, 84, 90, 94, 279Bettelheim, Bruno 311-4, 321Bin-Gorion, Mikhah Yosef 192Blanchot, Maurice 138-42, 144-6, 153, 213, 233Blixen, Karen 208-9, 213, 236Bloch, Chaim 236, 241Bloch, Marc 14

354

Blumenthal, Ljuba 41, 60, 154Bobbio, Norberto 121Bolaffio, Vittorio 19Bollati, Giulio 171-2, 257-9Bompiani, Valentino 104-5, 209-10Bonaventura, Tecchi 31Borges, Jorge Luis 142Boringhieri, Paolo 75, 274-6, 279, 282-5, 287, 290-1, 294-5, 297-300, 302-3, 305, 315, 334Boswell, James 235Brecht, Bertolt 174, 185-8, 207Broch, Hermann 43, 55, 123, 125, 127-9, 132Brunschvigc, Léon 316Buber, Martin 82, 85Buonaiuti, Ernesto 66Buonarroti, Filippo 65Burckhardt, Carl Jacob 65Burckhardt, Titus 288-9Burney, Christopher 309-11, 313

Cage, John 317-8Calasso, Roberto 33, 41, 80-1, 227, 255, 314, 321, 324, 326-7, 331Callieri, Bruno 276Calvino, Italo 5, 36, 118, 146, 152, 157-8, 184, 245-6, 248-50, 252-4, 256-66, 268, 282, 326, 335Camerino, Aldo 66Campagnolo, Umberto 64-5Campailla, Sergio 11Campana, Dino 20Campo, Cristina 182-3, 234Cankar, Ivan 22Cantimori, Delio 121Cao Xueqin 192, 195-6Carducci, Giosue 21Carmelich, Giorgio 19Carocci, Alberto 28-32, 69Carotenuto, Aldo 90Carter, Frederick 244Cases, Cesare 118, 130-1Cataluccio, Francesco 273Cavicchioli, Giovanni 298-9Cecchi, Emilio 23Čechov, Anton 142Cendrars, Blaise 244Cesari, Severino 273-4

355

Chabod, Federico 191Chartier, Émile-Auguste vedi AlainChiodi, Pietro 64Ciampini, Raffaele 65Claudel, Paul 82, 85Cocteau, Jean 14Colli, Giorgio 293, 299-305Confucio 49, 192Crébillon, Claude-Prosper Jolyot de 21Croce, Benedetto 9, 58, 73, 263, 286

Dahlberg, Edward 224, 233, 250D’Annunzio, Gabriele 20-21, 99Daumal, René 223, 227Dawson, Christopher 66de Beauvoir, Simone 235, 245, 268De la Boétie 65Debenedetti, Giacomo 25, 28, 38, 41, 95, 184, 187, 246-7de Col, Luisa 82de’ Liguori Carino, Beniamino 65Del Re, Bruno 66De Martino, Ernesto 94, 107-8, 110, 165, 192-3, 282-3, 285De Marzio (F.lli Bocca) 198, 205, 210-2, 218Demby, Lucia 209de Poncins, Gontran 235, 242-3, 260, 307De Roberto, Federico 97Déry, Tibor 223, 228, 267De Sica, Vittorio 106Deutsch, Helene 277-8, 281Devoto-Falck, Giulia 305Dewey, John 66Dickinson, Emily 235-6Döblin, Alfred 31, 129Doderer, Heimito von 129-32Dolci, Danilo 286Doriguzzi, Mirto 71Dossi, Carlo 328, 331-2Dostoevskij, Fëdor 138, 142Douglas, Norman 212, 214Dürer, Albrecht 114, 165

Eckermann, Johan Peter 240Eliot, Thomas Stearns 14

356

Einaudi, Giulio 116, 169, 189-90, 196, 201, 245-6, 252, 254-5, 265, 266, 268, 273-4

Facchi, Giorgio 64Falk, Alberto 305Faulkner, William 14Federici, Renzo 169Fenollosa, Ernest 219-20Ferrabino, Aldo 61Ferretti, Gian Carlo 303, 321, 333Figner, Vera 235, 239, 242, 261Filostrato, Lucio Flavio 192, 197Firbank, Ronald 201, 204, 218-21Foà, Augusto 53, 77 Foà, Luciano 3, 4, 41, 53-60, 61, 63-4, 67, 70, 78, 80-1, 87-91, 93, 95-8, 101-2, 106-10,115-9, 121, 124, 127, 135, 141-2, 156, 165, 168-71, 176, 178-9, 185, 187, 189-90, 192-6, 198, 212-3, 215-6, 222-3, 228, 233, 243, 248, 252, 256-7, 265-6, 268-71, 276-7, 280-1, 287-8, 293-5, 298, 302-8, 311, 314-5, 321-2, 327-31, 334Fonzi, Bruno 114-5, 118, 121-2, 165-7, 175, 180, 191Forster, Edward Morgan 171Forti, Alessandro 66Fortini, Franco 124, 185, 320-1Fothergill, John Rowland 235, 241Frank, Anna 309Freud, Sigmund 2, 3, 12, 47, 58-9, 68, 91-3, 96, 103, 115, 136, 174, 260, 278-9, 289Frobenius, Leo 65, 68-9Fruttero, Carlo 118, 186Fukazawa, Schichiro 223, 229

Gabrieli, Vittorio 71Gadda, Carlo Emilio 55Gargiulo, Alfredo 23Garufi, Bianca 229Gide, André 14Ginzburg, Leone 55Giotti, Virgilio 19, 28Gobetti, Piero 19Goethe, Johann Wolfgang von 33, 40, 71, 76-7, 235, 240-1Gombrowicz, Witold 137-8Gosse, Edmund 71, 78-80, 209-10, 213, 235-7, 263, 268, 290, 294Gramsci, Antonio 320Granet, Marcel 66, 68-9Graves, Robert 107-10, 165Grin, Aleksandr 151

357

Groddeck, Georg 329-30Groethuysen, Bernard 66Groult, Benoîte 319Groult, Flora 319Guandalini, Ugo 102Guerrini, Vittoria vedi Campo, CristinaGuidi, Augusto 81Guizot, François 65

Haggard, Henry Rider 244Hamilton, Alexander 65Hamsun, Knut 135-37Hasas, Chajim 133Hedayat, Sadegh 36, 156, 251Heiler, Friedrich 66Hemingway, Ernest 14Herndon, William Henry 235Herrigel, Eugen 223, 292Heywood, Rosalind 315Hofmannsthal, Hugo von 81-5, 141Hogg, James 223Hölderlin, Friedrich 141Hopkins, Gerard Manley 81-2Hudson, William Henry 71, 75Hutchins, Maude 178, 180Huxley, Aldous 21, 300

Invernizio, Carolina 153Ivanov, Vyacheslav Ivanovich 65, 69

Ja’ari, Jehuda 133Jacobi, Jolande 280James, Henry 21Jarry, Alfred 239Jay, John 65Jefferies, Richard 244-5, 295-6Joyce, James 14, 130Jouhandeau, Marcel 204Jouve, Pierre Jean 147-9Jung, Carl Gustav 2-3, 47-8, 66-8, 89, 91, 93-5, 103, 107-8, 115, 174, 176, 191-2, 203,215, 229, 278-80, 283-4, 289

Kafka, Franz 8, 11, 13, 18, 24-5, 36, 43, 46, 48, 55-6, 141, 161-2, 214, 247, 251

358

Kassner, Rudolf 14, 69Katz, David 276-7Keiser, Ernst 125-26Keyserling, Hermann Graf 67, 69, 101Kerényi, Kàroly 65-6, 68, 93, 247Kierkegaard, Søren 82, 86-7, 162, 224, 231-32Klee, Paul 205Klibanski, Raymond 114, 163, 165Konrad, Lorenz 176Kubin, Alfred 213-4, 247Kuhn, Thomas S. 316-7

La Ferla, Manuela 34, 47Lagerlöf, Selma 224, 228, 236, 241Lavelle, Louis 64Lawrence, David Herbert 14, 72, 77-8Le Senne, René 64Levasti, Arrigo 82Levi, Paola 56Levi Minzi, Clotilde 12Lincoln, Abraham 235, 241, 261Linder, Erich 3, 5-6, 80, 84, 88, 104, 107, 113, 119-20, 190, 198-9, 201-2, 204, 206-7,209-11, 214, 217-21, 231, 236, 243, 276, 288, 292, 298, 328-9, 331Long, Haniel 223, 233, 291-3Longanesi, Leo 98

Madison, James 65Magris, Claudio 8, 10, 17, 27, 83Mallea, Eduardo 236Mallet du Pan, Jacques 65Manacorda, Giuliano 28Mandel’štam, Osip 224, 228Mangoni, Luisa 164, 168-9, 191, 196, 273Mann, Heinrich 171, 179Mann, Thomas 31, 126, 130, 161, 247, 300Marcel, Gabriel 64March, William 150Marchi, Giorgio 32Marcori, Angiolo 71Marcuse, Herbert 142, 174-5Mardesteig, Giovanni 206Mattioni, Stelio 4, 13-5, 154-9Maupassant, Guy de 142

359

McLuhan, Marshall 318Meier, Heinrich 77Menasse, Giuseppe 24, 56Meschini Ubaldini, Mario 89-90, 96, 220, 280Metternich, Klemens von 71, 76Miegge, Giovanni 64Milarepa 49, 197, 215Mill, John Stuart 64Miller, Henry 225, 236, 243-5, 291, 295Minet, Pierre 269Mirò, Gabriel 82, 85Mondadori, Alberto 246, 279Money, John 151Montale, Eugenio 1, 2, 18-22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 71, 75, 98, 335Montinari, Mazzino 303-4Moore, Henry 281Morante, Elsa 106Moravia, Alberto 184Moro, Tommaso 293-6, 301Morpurgo, Giulio 18Morra, Umberto 82Motti, Adriana 180, 184, 196, 229Mowat, Farley 307Murdoch, Iris 151Musil, Robert 18, 43, 55, 121-7, 129, 131-2, 161, 223, 232-3Musatti, Cesare 94

Naipaul, V.S. 152, 257Naropa 71, 75Neihardt, John G. 235, 238Németh, László 143-5, 178Neumann, Erich 281, 315Newman, John Henry 67Nietzsche, Friedrich 162, 239, 302-4Nikhilananda, Swami 235, 300Nižinskij, Romola 71, 76Nossack, Hans Erich 223, 227, 254

Okakura, Kakuzo 223, 233, 291-3Oleša, Jurii Karlovič 224, 227Olivetti, Adriano 3, 56-5, 67, 69-71, 74, 85-6, 88-9, 94, 99-102, 170, 202, 232, 305Olivetti, Roberto 305Olsen, Regina 87, 224, 232

360

Onofri, Fabrizio 66, 71, 75Orapollo 192, 297-8Ortega y Gasset, José 65-6, 69, 223, 232-3Otto, Walter Friedrich 65, 68Ouspensky, Peter D. 66Oyono, Ferdinand 153

Panofsky, Erwin 114, 165, 168-9Paracelso 50, 192, 197, 220, 301Parri, Ferruccio 286Pascal, Blaise 162Pascoli, Giovanni 21Passerin d’Entrèves, Alessandro 64-5Pausania 192, 297, 298Pauwels, Louis 269Pavese, Cesare 55, 94, 107-8, 110, 165-6, 191, 259, 282-3, 285Pellegrini, Alessandro 62, 71Pellizzi, Francesco 305Penna, Sandro 82, 85Perse, Saint-John 204-5Peterich, Eckart 31Peterson, Erik 66, 68Pham Van Ky 306 Picamus, Daniela 41Picard, Max 66, 70, 100-1Pieraccini Pintacuda, Maria Teresa 294-5, 298Pignato (poeta) 21Piovene, Guido 247Pirenne, Henri 66Pivano, Fernanda 64Plutarco 192Poe, Edgard Allan 298-300Ponchiroli, Daniele 78, 136, 223, 235, 271, 306-8, 315Porzio, Domenico 53-4, 58, 61, 80-1, 304, 314, 324, 331Potocki, Jan 80Pound, Ezra 173, 220, 285Powys, Llwellyn 204, 207Powys, Theodore Francis 111Prati, Raffaello 71, 82Prevelakis, Pandelis 230Prezzolini, Giuseppe 23Proust, Marcel 142

361

Quarantotti Gambini, Pier Antonio 10, 19, 28, 41, 55, 155

Raby, Frederic James Edward 82Rachewitz, Boris de 173, 284-7Rachewitz, Mary de 173, 285, 287Ramakrishna 235, 241, 259, 301Rathenau, Walther 66Ravà, Marcella 65, 82Rho, Anita 56Rilke, Rainer Maria 33, 34, 71, 76, 81-4, 141, 207, 222, 224, 231-2Rinaldi, Marcella 109Robbe-Grillet, Alain 138Rodker, John 204-5Rodocanachi, Lucia Morpurgo 18, 24, 105-6, 113, 171, 199, 286Rodocanachi, Paolo Stamaty 18Rolland, Romain 301Rosa, Achille 62Rosati, Salvatore 72Rostand, Jean 174, 176-7Roth, Joseph 11, 48, 129, 179, 270Rougemont, Denis de 66Roussel, Raymond 21Ruffini, Francesco 66

Saba, Linuccia 160Saba, Umberto 8, 10-1, 13, 15, 19, 25, 28, 40-1, 160, 183, 335Sachs, Maurice 235, 238-9, 242Saint-Exupery, Antoine de 101Sansom, William 142-3Santiago, Eduardo 244Sauvageot, Marcelle 223, 227Savorgnani, Giulia de 189, 220, 246, 278Saxl, Fritz 115, 165Scalero, Alessandra 65Schär, Hans 191, 200Scheiwiller, Vanni 56, 219-20Schenhar, Jizchak 133Schiller, Friedrich 71, 76, 241Schmitz, Ettore vedi Svevo, ItaloSchubart, Walter 66, 68Schweitzer, Albert 66Sèrant, Paul 269Sereni, Vittorio 181-2, 220

362

Sert, Misia 235Servadio, Emilio 95Shakespeare, William 77Slataper, Scipio 8-10, 16Soavi, Giorgio 59Socrate, Mario 82Solmi, Renato 127, 174, 176Solmi, Sergio 19, 22, 28, 41, 65-6, 74, 82, 147, 223, 231-2, 234Sologub, Fëdor 133-7Solov’ëv, Vladimir Sergeevič 66Spann, Othmar 64Spinazzola, Vittorio 335Spinoza, Baruch 162Stepun, Fyodor 66Stevens, Wallace 181Strindberg, August 235-6, 239-40Stuparich, Giani 10, 14-5, 19, 24, 28, 58, 77, 154-5Svevo, Italo 2, 8, 10-1, 18, 22-28, 29-30, 43, 98, 126, 154-5Swedenborg, Emanuel 192, 194Sydow, Eckart von 102, 265Sykes, Gerald 36Szabo, Magda 131-2

Teresa d’Avila 71, 75-6Thomas, Dylan 171Thurn und Taxis, Marie 222, 224, 232, 267Tolstoj, Lev Nikolaevič 223, 233, 239-40, 264Trakl, Georg 14Traverso, Leone 71, 77, 81, 84Tucci, Giuseppe 71Tutuola, Amos 223, 228-9, 291-2

Ubaldini, Mario vedi Meschini Ubaldini, Mario Unamuno, Miguel de 65

Valéry, Paul 14, 299van Gogh, Vincent 162, 239Veneziani Schmitz, Livia 26Venturi, Adolfo 253Vieuchange, Michel 71, 75Vigolo, Giorgio 141Villa, Emilio 116Vital, Chaijm 241

363

Vittorini, Elio 30, 55, 156-8, 178, 191, 195-6Vivekananda, Swami 300-1Voghera, Giorgio 10, 12, 13, 15, 38, 47, 49-50, 155, 159-60, 162-3, 324, 329-30Voghera, Guido 4, 159-62, 330Voltaire 89

Walmarin, Luciana 99Waln, Nora 71, 75Wassermann, Jakob 31Wedekind, Frank 224, 228, 263Weiss, Edoardo 12, 17, 59, 90-1Wilde, Friedrich 239Wilhelm, Richard 66, 69-70Williams, William Carlos 164, 178-86Wilson, Edmund 149-50Wind, Edgar 322Wolfe, Thomas 201-2, 204, 213, 247Woolf, Virginia 142Worringer, Wilhelm 169-72Wu Ch’êng-ên 195-6

Yeats, William Butler 307

Zampa, Giorgio 19, 23, 214, 240Zevi, Alberto 305Zimmer, Heinrich Robert 66, 68-70, 214Zorzi, Renzo 65Zucconi, Angela 82, 86-7Zveteremich, Pietro Antonio 66

INDICE DEGLI EDITORI, DELLE COLLANE E DELLE RIVISTE

366

Si siglano con asterisco (*) le collane formulate a livello di progetto e mai realizzate.I numeri di pagina in corsivo sono da intendersi come trattazioni specifiche.

Adelphi 1, 6, 33, 50, 53, 57, 60-1, 77-8, 80, 84, 110, 119, 197, 206, 209, 218, 227-8, 230-1, 237-8, 255, 271, 273, 275, 282, 292, 302-6, 308-332, 333-4

Biblioteca Adelphi 80, 197, 213, 227-8, 230-1, 236-8, 240, 292, 313, 321-332Biblioteca orientale 255 Classici 328Il ramo d’oro 322Piccola Biblioteca Adelphi 228, 270, 292, 324, 326Quaderni di Roberto Bazlen 2, 334Saggi 312-3, 315, 317, 328

Agenzia Letteraria Internazionale 3, 53-4, 59, 69, 78, 86-7, 88-111, 117-9, 163, 198,202, 210-1, 217, 232, 277, 304, 328

All’insegna del Pesce d’oro 182, 219-20

Astrolabio 3, 5, 68, 70, 89-96, 107-8, 220, 277-80, 289Civiltà dell’Oriente 94-5Psiche e coscienza 3, 90, 92, 94, 277, 279

Baretti (il) 22, 24

Fratelli Bocca 5, 80, 120, 198-222, 224, 228, 231, 234, 236-7, 247, 289-92, 294, 296-7,300, 324

Bollati Boringhieri 273, 301-2

Bompiani 3, 104-5, 209-10, 236Corona 209-10Grandi ritorni 209

Boringhieri 5, 6, 68, 80, 96, 120, 197, 245, 273-81, 282-302, 303, 305Biblioteca di cultura etnologica e religiosa (Collana viola) 274-5, 282-89, 301Biblioteca di cultura scientifica 274, 278Enciclopedia di autori classici 197, 289-302, 303

368

Cederna 56, 61, 70, 84, 87

Edizioni di Comunità 61, 64-5, 70, 85-6, 89, 99-101, 170, 305, 317

Edizioni scientifiche Einaudi 274, 276, 278

Einaudi 4, 5, 21, 48, 60, 74, 77-8, 84, 88, 94, 102-3, 105-11, 113-271, 273-7, 279-80,282, 284, 286-8, 290-5, 297, 302-4, 306-11, 313, 317, 322, 324, 325-7, 329-30, 334

Biblioteca di cultura economica 274Biblioteca di cultura scientifica 274Classici della Filosofia 303*Collezione dell’io 5, 245-71, 307, 324Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici (Collana viola) 94, 107-8, 110, 165, 190, 192-4, 274-5, 297*Collezione grande 5, 222-45, 249-51, 254, 258, 261, 265, 267-8, 290-1, 293,296*Collezione piccola 5, 222-45, 249-53, 255, 258, 265, 267-71, 292-4, 296I Coralli 125, 138, 153-4, 157I Gettoni 180I Millenni 116, 194-5, 232Manuali Einaudi 274Nuova collana di poeti con testo a fronte 141, 182Nuova Universale Einaudi 194-6Nuovi Coralli 161Piccola Biblioteca Einaudi 173Piccola Biblioteca Scientifico-letteraria 273-4Serie grigia 274Saggi 140, 168, 174, 194, 249, 317Supercoralli 125, 127, 143, 178-9, 185, 227, 232, 245, 249, 268Testi per dirigenti, tecnici e operai 274*Testi mitologici, religiosi, iniziatici, folkloristici 5, 190, 192, 194

Esame (l’) 23

Feltrinelli 208-9, 220, 258, 271I narratori di Feltrinelli 220

Fiera letteraria (la) 25-6

Frassinelli 3, 54-5, 110-1, 328Biblioteca Europea 55, 56

Garzanti 133

369

P. Gobetti 19

Guanda 102-3, 265, 298Collezione Fenice 102-3, 265

Il Saggiatore 246, 248, 258, 271, 273, 279Biblioteca delle Silerchie 246, 247, 258, 265

Insel 198-9, 207, 228Bücherei 198-9, 206-7, 228

Italia Letteraria (l’) 40

John Lane 327Keynotes 327

Laterza 201

Menabò 156-7,

MondadoriOscar 273

Morreale 26

Nuove Edizioni Ivrea 3, 6, 55, 56-87, 89, 91, 93, 99-101, 107-8, 169-70, 201-2, 209,222, 231-2, 236-7, 241, 247, 262, 320, 331, 334

*Collana filosofia 64*Collana Letteraria 71, 79, 81-7, 232, 262*Humana civilitas 64*Mondi e destini 70-81, 83, 202, 209, 222, 237, 262*Saggi 65-8, 70, 75, 93, 232*Storia e critica d’arte 170

Nuovo Politecnico 174

Parnaso 22

Piccolo (il) 54

Prospettive U.S.A. 179, 184Quindicinale (il) 23, 24

370

Ricciardi 56

Rosa e Ballo 3, 61-2, 70

Solaria 2, 26, 28-32, 69, 88, 98, 232

Tempi moderni 75

Times Literary Supplement 54

Treves 201

Voce (la) 9, 73

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La versione finale .pdf di questo libro è stata realizzata nel mese di giugno 2013

isbn 978 88 967 7020 7 www.fondazioneadrianolivetti.it

www.fondazioneadrianolivetti.itISBN 978 88 967 7013 9

Nato a Trieste al tramonto dell’epoca asburgica, RobertoBazlen (1902-1965) costituisce un caso singolare nella storiadell’editoria e della cultura italiana: scrittore mancato, seppu-re per scelta; misterioso amico e dispensatore di consigli perintellettuali come Adriano Olivetti, per cui costruisce il catalo-go delle Nuove Edizioni di Ivrea, Eugenio Montale, ErichLinder; avido lettore e intellettuale egli stesso. Ma soprattutto,consulente editoriale di lungo corso, interlocutore a distanza dieditori di pregio: dal suo piccolo appartamento romano di viaMargutta, moltissime furono le lettere, affollate di proposte,pareri di lettura, impietose stroncature, inviate ad Einaudi, aBoringhieri, all’Agenzia Letteraria Internazionale. Poco resta, ditutto questo, nei cataloghi e nella storia degli editori, con i qualiil rapporto fu costellato di difficoltà e resistenze: troppa era ladistanza da un intellettuale formatosi nella cultura mitteleuro-pea e pioneristico ricettore delle novità d'Oltralpe. La propostaeditoriale da lui pensata resta quindi, per lo più, solo ideale.Velata memoria della sua figura resta ancora, forse, nel catalo-go di Adelphi, tardiva realizzazione del suo progetto culturale.

Valeria Riboli (Milano, 1986) si è laurea-ta con lode, nel dicembre 2011,all'Università degli Studi di Milano conuna tesi dal titolo Roberto Bazlen edito-re nascosto, relatore il Professor AlbertoCadioli. Nel 2009 ha pubblicato pressol’editore Marco del Bucchia (Lucca) ilsaggio Angiò e il mare sul romanzoAngiò uomo d'acqua di Lorenzo Viani.Ha frequentato nel 2012 il Master inEditoria Libraria organizzato daFondazione Arnoldo e AlbertoMondadori, Università degli Studi diMilano e Associazione italiana editori.