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NOESIS – BERGAMO ROCCO RONCHI 2009 2010INCONTRI DI FILOSOFIA QUALE TEOLOGIA PER 2 febbraio 2010
LA SCIENZA MODERNA?
1 ROCCO RONCHI – QUALE TEOLOGIA PER LA SCIENZA MODERNA?
Rocco Ronchi1 è docente di Filosofia Teoretica presso l’Università degli studi dell’Aquila
Conferenza tenuta martedì 2 febbraio 2010
1.1 RELAZIONELa domanda del titolo (quale teologia per la scienza moderna?) produce un grappolo di altre domande:
− Perché la scienza dovrebbe avere bisogno di Dio?− L’ipotesi di Dio non è una zavorra per la scienza?− La teologia, storicamente, non ha ostacolato la scienza?− Perché un Dio diverso per la scienza moderna (rispetto all’antica)? − Come definiamo la scienza moderna?
La scienza normalmente considerata moderna (= galileiana) si è costituita come scienza affrancandosi dalla teologia. Cita da Galileo: “la scienza si occupa di come va il cielo, la teologia di come ci si va”2. Con questo Galileo dichiara una spartizione dei campi di competenza di scienza e teologia.
Ma la scienza ha bisogno di Dio come di una luce che la illumina dall’esterno, una morale, una guida. Dio è custode delle invisibili leggi che la scienza va scoprendo.
Per il pensiero cattolico Dio è fuori dalla scienza, che a sua volta è strumentale, neutra rispetto all’etica, e spetta alla teologia indicare i limiti della competenza della scienza. Il Ronchi dichiara di non condividere questa vecchia posizione che vede la fede come elemento di giudizio per validare la scienza.
Ci si propone di definire un criterio per distinguere la scienza moderna da quella antica. Il criterio è più metafisico che storiografico. Approfondendo tale criterio scopriamo che molta scienza di oggi è di tipo antico (e viceversa). E’ più moderno Lucrezio di Newton. Il discrimine riguarda la visione del tempo. Si tratta di un percorso concettuale accidentato che si è chiarito solo all’inizio del secolo scorso. Il tempo moderno diventa assoluto, mentre Platone lo definiva “immagine mobile dell’eternità immobile”, cioè imitazione difettosa di un modello in sé fuori dal tempo. Nella scienza moderna invece il tempo viene elevato ad assoluto, se ne decreta l’irreversibilità (nella termodinamica, nella biologia evolutiva, ecc.). Le qualità attribuite al tempo moderno sono irreversibilità e creatività. Il tempo crea in un processo di differenziazione evolutiva (evoluzione differenziale) e struttura il fenomeno nel suo evolversi. Accettato questo criterio (peraltro definito arbitrariamente) sappiamo se la scienza di cui parliamo sia moderna oppure no.
1 Vedi note biografiche al capitolo dei riferimenti.2 precisamente: “dalla Bibbia non potete ricavare come va il cielo perché la Bibbia insegna un’altra cosa, essa insegna come si va in cielo ma non come va il cielo, ossia non come gira il cielo”.
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LA SCIENZA MODERNA?
La vecchia scienza meccanicistica e deterministica (da Cartesio ad Heisenberg3) si basava sulla nota affermazione di Laplace4: “una intelligenza perfetta che conoscesse in un determinato istante lo stato di tutto l’universo sarebbe in grado di dedurre passato e futuro con precisione.”. Questa frase sottende il grande sogno metafisico della fisica classica, che non è moderna perché toglie al tempo la sua autonomia. Non c’è un vero futuro (tutto è già determinato), e quello che ci appare futuro è solo frutto delle nostre limitazioni intellettuali e conoscitive. L’intelligenza ideale che vede passato presente e futuro, in realtà vede tutto contemporaneamente, come in un grande quadro sinottico. Per tale intelligenza non c’è più tempo, essa è fuori dal tempo, nell’eternità. Il tempo sembra esistere solo a causa della deficienza conoscitiva e ragionativa dell’uomo. Passato e futuro sono tali solo dal nostro punto di vista.
La fisica classica, essendo deterministica, pone a proprio fondamento il perfetto ragionatore e conoscitore (cioè Dio). Pertanto Dio non è un’ipotesi marginale o dannosa, ma è elemento fondante di questa scienza.
Analogamente anche ciò che attribuisce modernità alla scienza moderna va ricercato nel campo della metafisica. Questo argomento è stato capito ed approfondito specialmente da un gruppo di filosofi erroneamente giudicati antiscientifici dalla critica: Nietsche, Bergson5, Whitehead6, Gentile7, Heidegger, tutti collocati tra la fine dell’800 ed il 1930. Sono molto eterogenei tra di loro, ma hanno in comune la visione moderna del tempo. Tutti pensano il tempo come assoluto, soggetto del divenire. Essere come durata creatrice (Bergson). Essere come volontà di potenza (=volontà di evoluzione, Nietsche). Il processo è la realtà (quindi implica Dio, Whitehead). L’essere è atto, cioè azione, divenire, atto in corso di evoluzione, farsi non fatto (Gentile). Per l’Esistenzialismo l’essenza coincide con l’esistenza, l’essere non è riconducibile alla cosa, ma è il suo stesso divenire.
Questi filosofi nei manuali di filosofia sono spesso trattati da antiscientisti. Pongono l’irreversibilità come struttura dell’ente, mentre per Laplace la reversibilità era fondamento della natura. Le scienze, specialmente la termodinamica e la biologia evolutiva, avevano mostrato al metafisico che la natura non scorre nella cornice del tempo ma è temporale nella sua essenza. Non essere nel tempo come si può essere in un cassetto, ma essere fatto di tempo, di evoluzione. Ne nasce una metafisica del tempo visto come assoluto. La pratica scientifica fa emergere il tempo come sostanza della realtà. Si consideri il divenire dell’embrione. Ne l’Evoluzione Creatrice Bergson dice “il tempo del vivente è esitazione”. C’è di mezzo una sorta di continuo lancio di dadi, un elemento imprevedibile anche per l’intelligenza infinita (demone o Dio) di Laplace. Anche tale onnisciente perfetto ragionatore sarebbe impotente come noi di fronte ad un sistema instabile. Quando la fisica quantistica introduce la statistica è perché la descrizione del fenomeno non si può più gestire in termini deterministici.
Qui il Ronchi pone la domanda: “Quale Dio per questa scienza ?” (cioè, che descrizione di Dio può adattarsi ad un ambito in cui il tempo sia stato eletto ad assoluto?). Ci si potrebbe domandare perché non fare tranquillamente a meno dell’ipotesi di Dio, almeno in ambito scientifico. La
3 Heisenberg, fisico tedesco, premio Nobel (19011976), enunciando il principio di indeterminazione, mette in crisi il determinismo in fisica. Vedi al paragrafo riferimenti.4 1814, saggio sulla probabilità, vedi note bibliografiche5 Henri Bergson, filosofo francese (18591941). Vedi note bibliografiche.6 Alfred NorthWhitehead, (18611947), filosofo e matematico inglese. Vedi note bibliografiche.7 Giovanni Gentile, (18751944), filosofo Italiano, vedi note bibliografiche.
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LA SCIENZA MODERNA?
risposta del Ronchi è che il rapporto tra scienza e Dio è strutturale. Ricorda che per Aristotele la scienza è scienza di Dio (Dio che sa sé stesso), tesi che poi sarà di Hegel.
Il rapporto è strutturale: perché ci possa essere conoscenza della verità (= scienza) ci deve essere confidenza che la verità ci sia e non sia radicalmente nascosta. Se Dio fosse invidioso, separato, nessuna conoscenza della verità sarebbe possibile. Devo supporre che Dio sia buono, se fosse cattivo avrebbe ragione il sofista secondo cui l’indagine conoscitiva si risolve in un confronto di opinioni e quindi, in ultima analisi, nel prevalere dell’opinione del più forte. Nessuno scienziato può essere relativista, per operare nella scienza si deve presumere un vero che ci sia e che sia conoscibile. Cita da Cartesio: “Se Dio è cattivo la scienza non è possibile”. La scienza antica postula una verità statica e nascosta che va svelata mediante un processo di ricerca essenzialmente analitico. Questa visione si accompagna ad una metafisica che sostanzialmente non va oltre Platone ed Aristotele. Il fondamento della scienza antica è stato messo in evidenza dagli studi di Bergson, Gentile e Whitehead, che hanno tentato di elaborare una metafisica ed una teologia congruenti con le scoperte ed i metodi delle scienze moderne. Vi è una nota di Darwin che, nel 1838, scriveva: “Origine dell’uomo ora dimostrata, la metafisica deve fiorire. Chi comprendesse il babbuino farebbe per la metafisica più di quanto abbia fatto Locke.”8 Si pone il problema di sviluppare una teologia ed una metafisica capaci di pensare ciò che la scienza ha dimostrato.
Gentile sostiene che la scienza degli antichi presupponesse la trascendenza (a cui contrappone l’immanenza della scienza moderna). Il metodo della trascendenza suppone che da qualche parte ci sia la verità, già dispiegata e definita, a cui ci si deve adeguare. Qui sta il senso, anche etimologico, di scoperta scientifica. La conoscenza è intesa come analisi, adeguazione ad una realtà preesistente. Si tratta di trovare la via nel labirinto. Se penso così, non solo ipotizzo l’esistenza di una realtà, ma devo anche ipotizzare che ci sia uno spettatore che la vede già dispiegata in una realtà senza tempo. Se non suppongo questo spettatore non posso ammettere la possibilità di una scienza.
Bergson dice che fondamento della scienza antica è che tutto sia dato, il che pone la teologia a fondamento di tale scienza. Il tempo è solo un indice della nostra ignoranza. Il tempo non fa nulla, tutto è già dato, le leggi della fisica sono leggi eterne.
La meccanica quantistica e la biologia evolutiva mettono in crisi questa visione della scienza. Perfino Einstein era così intriso del vecchio da arretrare di fronte alle sue stesse scoperte (la frase “Dio non gioca a dadi con l’universo”, detta in polemica con Bohr, esprime il disagio ad accettare la visione probabilistica della fisica indotta dalla meccanica quantistica).
Ma la constatazione che il tempo esplica una attività ribalta tutto, la scienza moderna ha un nuovo assioma: il tutto non è dato, è aperto e in divenire, è processo.
Il tempo non è ignoranza o cornice, è stoffa e struttura della realtà. E’ soggetto e non spettatore. Il tempo è l’essere del fenomeno. Soggetto ed oggetto non sono più nettamente distinti. L’osservatore influisce sul fenomeno, diventa parte del fenomeno.
8 In realtà il riferimento a Locke, esponente fondamentale dell’empirismo, non è chiarissimo. Comunque Locke si espresse per evitare conflitti tra scienza e teologia (Ragionevolezza del Cristianesimo, 1695). Si veda il sito http://www.linguaggioglobale.com/filosofia/txt/Locke.htm. Per curiosità, il citato appunto di Darwin prosegue così: “E la metafisica del babbuino ci insegna che l’origine della nostra specie è la causa delle nostre passioni malvagie. Il diavolo sotto forma di babbuino è nostro nonno”.
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LA SCIENZA MODERNA?
Allora, quale Dio? Anche questa scienza deve confidare nella rivelabilità del vero, confidare in un vero che si manifesta. Tornando a Bergson, Whitehead e Gentile, le loro opere, se lette con occhio spregiudicato, sono autentiche teologie, offrono una immagine del divino adatta alla scienza moderna. Sono Teogonie9 e Cosmogonie10 oltre che Teologie. Ci presentano un assoluto che non è trascendente sovrano, o giudice, ma un assoluto che si fa nel corso del suo processo.
Il Dio è il suo proprio processo di divenire.
Secondo Whitehead il soggetto del divenire è il superoggetto del divenire.
Il divino non si intende come costituito, dato una volta per tutte, ma come qualcosa che si fa, non è sostanza ma evento. L’incarnazione è un processo con cui Dio si compromette, rinuncia alla sua separatezza. Il Dio che si crea e si modifica coincide con il Dio incarnato. L’immagine più adeguata si trova paradossalmente in un ambito estraneo ed eterogeneo al discorso scientifico: la mistica speculativa cristiana11. C’è un incontro tra la fonte della morale e quella della religione (peraltro Bergson dialogava con Einstein). Se prolungassimo idealmente la linea evolutiva Darwiniana, al termine di tale linea troveremmo la mistica cristiana. Biologi e mistici dicono la stessa cosa con lingue diverse. Cita Cusano e Giordano Bruno, la filosofia rinascimentale della natura, Meister Eckhart, Dun Scoto, Giovanni il confessore. Il Dio di questa mistica non è un Dio sostanza, eterno, atto puro, immobile, ma è processo.
Nel De divisione Naturae, del 900, Scoto Eriugena propone una fantasiosa etimologia del termine “Dio” in cui trova le radici di correre e di guardare. Per lui è un Dio che si crea nella creatura, si autocrea nel corso della creazione. Dio è tutte le cose: nessuna di esse, ma la totalità di esse. Cita da Spinoza: “Deus sive Natura”. Dio che è l’evento del tempo eleva il tempo ad assoluto.
Cusano, vissuto nel XV secolo, cardinale che partecipò a più di un concilio, usa il termine Deus Transitus.
Solo un Dio evento è adatto alla coscienza moderna, non è atto compiuto né sapere assoluto. Cusano parla di un Dio congetturale, cristiano nella misura in cui è spirito e non sostanza, non penetrabile né giudicabile.
9 Teogonia: mito o insieme di miti che narrano l’origine e la discendenza degli dei10 Narrazione della creazione11 Si vedano le note al capitolo dei riferimenti
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LA SCIENZA MODERNA?
1.2 DIBATTITOIntervento 1 – Ringraziato il Ronchi per l’originalità dei concetti proposti, l’intervenuto contrappone alla visione di scienza come ricerca di una verità comunque perseguibile la dimostrazione kantiana dell’inconoscibilità del noumeno. La scienza, coerentemente con la “spartizione di campo” Galileiana, non si occuperebbe di conoscere l’inconoscibile, ma di elaborare modelli atti ad interpretare e predire i fenomeni. Si occuperebbe insomma del come e non del perché, lasciato ad altre discipline (teologia, misticismo, …). In questa ottica non vi sarebbe alcuna necessità di un adattamento della teologia agli sviluppi della scienza.
Risposta 1 – Il modello congetturale della scienza, in effetti supportato da Kant, compare già ai tempi di Copernico e di Galileo come una sorta di disimpegno dalla verità. Si avrebbe un vantaggio sul piano del disimpegno. Ma la scienza non ha rinunciato alla verità, una scienza congetturale sarebbe performativa, puramente tecnica, e si valuterebbe col parametro dell’efficacia e non con quello della verità. Non si può chiamare scienza una disciplina che non persegue la verità. Gli scienziati ci credono. Cusano che parla di congettura teorizzata, sull’argomento è più interessante di Popper, e tratta le congettura come manifestazioni dell’assoluto, vere e false al contempo, sfaccettature di un Deus absconditus. Cusano usa la congettura. Dopo l’assedio di Costantinopoli da parte dei Turchi ipotizza un mondo in cui le diverse religioni convivano in pace come diverse congetture sul Dio nascosto.
Intervento 2 – L’intervenuto si dichiara in disaccordo. Ritiene che sia stato esposto un modo di vedere che porta al nichilismo. Il tentare di proporre una ridefinizione di Dio è una trappola. La scienza moderna rinuncia alla verità pur nella fede in una verità. L’ipotesi che l’avanzamento scientifico sia progresso va rifiutata. Cita Jaspers. La verità non c’è ma è il nostro fondamento.
Risposta 2 – Si sente accusato di nichilismo, ed ha difficoltà a rispondere. Ha fatto riferimento alla mistica cristiana che presenta, in alternativa al Dio sostanza degli antichi, un Dio al di là dell’essere, un Dio che non è, nel senso che non è riconducibile alla categoria dell’essere. Le stesse proposte si ritrovano in Bergson. La visione di Dio come processo è nichilista solo in un quadro di riferimento che fa coincidere il valore con l’essere. Se usciamo da questo quadro e ci riferiamo al linguaggio dei mistici (Pseudo Dionigi) alla sostanza si sostituisce il discorso di lode, che non può essere attribuito a nomi perché i nomi sono umani, e quindi si va ai nonnomi, ed alla fine si conclude che per rappresentare Dio ci vogliono i vermi, immagine dissimile, perché ogni immagine simile è inadeguata. Se usciamo dalle angustie della vecchia metafisica, qui non c’è alcun elemento di nichilismo.
Intervento 3 – L’intervenuto lamenta di non aver capito il concetto del tempo come assoluto e creativo. Per lui il tempo è associato all’essere che si evolve, uomo o sasso che sia. Il tempo come tale non fa niente, non è altro che l’asse delle ascisse del diagramma che registra i fenomeni. Chiede che differenza ci sia tra il Dio del Ronchi e quello del Mancuso.
Risposta 3 – Al contrario. Il tempo fa nella misura in cui tutto non è dato. Citando Platone, se fossimo perfetti saremmo fuori di qui, nell’iperuranio, fuori dal tempo. La creatività del tempo è l’imprevedibilità del divenire, il trascorrere del tempo introduce elementi di imprevedibilità, l’effetto non è tutto contenuto nelle cause. La partecipazione
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LA SCIENZA MODERNA?
del Ronchi stesso alla conferenza era preparata, ma poi si è evoluta in modo nuovo, non esattamente deducibile dal progetto iniziale. Il buon docente è quello che esce dalla classe diverso da come era entrato (Gentile).
Intervento 4 – Erigere il tempo ad assoluto non significa azzerare il mistero e cancellare la speranza, confondendo essere e divenire (o logico ed escatologico) ?
Risposta 4 – La speranza è giustificata proprio dalla creatività del tempo, che può/deve fare qualcosa per modificare la situazione attuale. Nell’eternità non c’è speranza, la speranza ha bisogno di tempo. Il concetto appartiene al senso comune, esplicitato da frasi come: ci sono dolori che solo il tempo può lenire, ci vuole tempo per elaborare il lutto.
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LA SCIENZA MODERNA?
1.3 RIFERIMENTI
1.3.1 ROCCO RONCHIIl brano che segue è tratto da http://www.istitutoirpa.it/docenti/84roccoronchi
Rocco Ronchi è professore ordinario di Filosofia Teoretica all’Università degli studi dell’Aquila e docente di Arti visive presso il Corso di Laurea in Economia dell’Arte della Cultura e della Comunicazione dell’Università “L.Bocconi” di Milano. Ha insegnato all’Università degli Studi di Bologna presso la Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori (sede di Forlì), presso il Politecnico di Milano e presso il Corso di Perfezionamento in Discipline Storiche e Filosofiche dell’Università “L.Bocconi”. Dal 1990 al 1998 è stato codirettore (insieme a Carlo Sini e Gino Zaccaria) delle collane di filosofia dell’Egea. È membro del comitato scientifico di “Sartriana” (Christian Marinotti Editore), che cura la pubblicazione degli inediti di Sartre, membro della Société des amis de Bergson, che cura la pubblicazione degli inediti di Bergson, e del Centro studi Palea – Seminario permanente di Psicanalisi e Scienze Sociali.Dal 1984 organizza e coordina i seminari sui fondamenti della storia della filosofia “Parolechiave” (Forlì) e dal 2004 organizza e coordina le “Conversazioni ravennati sui trascendentali della filosofia” (Ravenna). Ha pubblicato saggi e articoli sulle riviste Aut Aut, Nuova Corrente, L’uomo, un segno, Nuovi Argomenti, Studi di estetica, Lignes, Intersezioni, Poetiche, Una città, Bollettino Studi Sartriani, Itinerari, Humanitas, Riga, La psicanalisi. Collabora con i servizi culturali di RaiRadioTre e con le pagine culturali del quotidiano Il Manifesto.
Bibliografia sintetica
− Bataille Levinas Blanchot. Un sapere passionale, Spirali, Milano 1985, pp. 230 − Bergson filosofo dell’interpretazione, Marietti, Genova 1990, pp. 231 − La scrittura della verità. Per una genealogia della teoria, Jaca Book, Milano 1996, pp. 125 − La verdad en el espero. Les présocraticos y el alba de la philosophia, Akal, Madrid 1996, pp. 63 − Luogo comune. Verso un’etica della scrittura, Egea, Milano 1996, pp.143 − Il pensiero bastardo. Figurazione dell’invisibile e comunicazione indiretta, Christian Marinotti Editore, Milano 2001, pp. 346 − Teoria critica della comunicazione, B.Mondadori, Milano 2003, pp. 170 − Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità, Fandango, Roma 2006, pp. 380 − Filosofia della comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 2008
1.3.2 HEISENBERG, PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONEIl passo che segue è tratto dal sito: http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_indeterminazione_di_Heisenberg
Il principio di indeterminazione viene a volte spiegato erroneamente, sostenendo che la misura della posizione disturba necessariamente il momento lineare della particella e lo stesso Werner Heisenberg diede inizialmente questa interpretazione. In realtà il disturbo non gioca nessun ruolo, in quanto il principio è valido anche quando la posizione viene misurata in un sistema e il momento viene misurato in una copia identica del primo sistema. È più accurato dire che in meccanica quantistica le particelle hanno alcune proprietà tipiche delle onde, non sono quindi oggetti puntiformi, e non possiedono una ben definita coppia posizione e momento.
Si consideri la seguente analogia: supponiamo di avere un segnale che varia nel tempo, come un'onda sonora, e che si vogliano sapere le frequenze esatte che compongono il segnale in un dato momento. Questo risulta essere impossibile: infatti per poter determinare le frequenze accuratamente, è necessario campionare il segnale per un intervallo temporale e si perde quindi la precisione sul tempo. (In altre parole, un suono non può avere sia un tempo preciso, come in un breve impulso, che una frequenza precisa, come in un tono puro continuo). Il tempo e la frequenza dell'onda nel tempo, sono analoghi alla posizione e al momento dell'onda nello spazio. Il principio viene abitualmente reso con la formula
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in cui Δx è l'errore sulla posizione e Δp quello sulla quantità di moto, mentre la h barrata è
la costante di Planck ridotta .
Si noti che le singole grandezze osservabili per le cui coppie esista una relazione di indeterminazione, prese separatamente, possono essere misurate con un errore minimo e precisione assoluta.
Le deviazioni standard utilizzate nel calcolo dell'indeterminazione sono diverse da quelle rilevabili per le stesse grandezze, misurandole singolarmente.
In questo modo, l'errore calcolabile con la relazione di indeterminazione non è derivabile dalle grandezze in sè, né da un problema statistico, una conoscenza imprecisa dell'oggetto della misura, ma dall'atto di misurarle simultaneamente.
In questi termini, il mondo del determinismo causale dovrebbe cedere il passo a quello dell'indeterminismo e del caso. Infatti, l'impossibilità di misurare con precisione simultaneamente due grandezze, salvo che siano compatibili, equivale all'impossibilità di verificare il nesso causale fra due generiche quantità.
1.3.3 LAPLACELe note che seguono sono tratte dal sito: http://www.filosofico.net/laplace.htm, a cui si rimanda per approfondimenti.
Pierre Simon de Laplace (17491827) in Esposizione del sistema del mondo (1796) elaborò, parallelamente a Kant, l’ipotesi dell’origine del sistema solare a partire da una nebulosa primitiva; alla base della sua cosmologia, basata sulla nonnecessità di ricorrere all’ipotesi di un Dio che intervenga nel mondo, vi è una concezione rigidamente meccanicistica, secondo la quale ogni stato o evento dell’universo è conseguenza di stati ed eventi precedenti e, a sua volta, causa di quelli successivi; sicchè, se si conoscesse lo stato di materia nell’universo in un dato momento, si potrebbero ricostruire meccanicamente tutti i momenti successivi e precedenti della materia. Ma Laplace è anche stato il fondatore moderno del calcolo probabilistico, il che sembrerebbe una contraddizione: come è possibile che, dopo aver sostenuto che tutto procede secondo il più rigido meccanicismo, egli ripieghi (in Teoria analitica delle probabilità , del 1812) su un calcolo basato non sulla certezza ma sulla probabilità? Tutto si spiega se teniamo presente che il meccanicismo e la conoscenza impeccabile che ne dovrebbe derivare funzionerebbe solo se fossimo dotati di una mente
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superpotente in grado di raccogliere e contenere tutti i dati possibili sullo stato della materia; ed è in assenza di questo strumento che bisogna accontentarsi non di verità inconfutabili, ma di probabilità. In altri termini, la necessità di formulare previsioni probabili dipende esclusivamente dall’ignoranza dei dati necessari per una previsione certa. Molto diverso sarà l’atteggiamento che assumerà su queste questioni il fisico novecentesco Heisenberg, il quale elaborò il “principio di indeterminazione”: esso prescrive che non si può calcolare contemporaneamente con precisione sia la posizione sia lo stato di movimento di una data particella. Ne consegue che se per Laplace tutto avviene in maniera rigorosamente meccanicistica ma si deve ricorrere al calcolo probabilistico perché non si hanno a disposizione strumenti adatti, per Heisenberg, invece, è assolutamente impossibile determinare insieme i due stati (posizione e movimento), indipendentemente dalle nostre facoltà. E Laplace, con la sua esasperata fiducia nel determinismo e nella scienza, rappresenta il modello positivistico e la formulazione più compiuta del meccanicismo come forma di conoscenza certa; è da queste considerazioni di carattere scientifico che muove i suoi passi il Positivismo, così battezzato da Comte (anche se il termine fu per la prima volta impiegato da SaintSimon nel Catechismo degli industriali, del 1822).
1.3.4 HENRI BERGSONLa nota che segue è tratta dal sito: http://lafrusta.homestead.com/pro_bergson.html
Henri Bergson Filosofo francese (Parigi, 1859 idem, 1941).
Nato nel 1859 a Parigi, di religione ebraica, Bergson compie studi brillanti che lo conducono ad una carriera universitaria esemplare. Nel 1878 arriva terzo al concorso della Scuola Normale superiore (il primo è Jean Jaurès), e vi viene ammesso nel 1881, laureato e abilitato nel 1889, professore al College de France nel 1900. Qui, benché aspramente criticato dai professori della Sorbona, acquista un successo considerevole non soltanto presso gli intellettuali (Gabriel Marcel, Charles Péguy, Charles Blondel), ma anche presso un pubblico mondano e colto. Membro dell’Accademia delle scienze morali e politiche nel 1901, dell’ Académie Française nel 1914, dottore in scienze a Oxford nel 1909, fin dal 1916, si vede affidare da parte del governo della IIIª Repubblica delle missioni diplomatiche, dapprima in Spagna, indi, nel 1917, negli Stati Uniti, entrati in guerra, si dice, al seguito del suo intervento presso Wilson, e dove tornerà nel 1918 per ottenere la costituzione di un fronte dell’Est. Così, il filosofo, insignito della Legione d’onore (1902), non disprezzava l’azione al servizio del suo paese. Il premio Nobel di letteratura che gli venne attribuito nel 1927 contribuisce a renderlo universalmente famoso. Ma, soffrendo per reumatismi paralizzanti a partire dal 1925, deve abbandonare gradualmente le sue varie funzioni ed è lottando contro la malattia che redige le «Deux Sources de la morale et de la religion» (1932) la «Pensée et le mouvant» (1934). Nel suo testamento, redatto nel 1937, al momento dell’ascesa del nazismo, il filosofo scrive:
«Le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo dove vedo l’inveramento completo del giudaismo. Mi sarei convertito se non avessi visto prepararsi da anni l’immane ondata d’antisemitismo che s’infrangerà sul mondo. Ho voluto restare fra quelli che saranno domani perseguitati». Precisa anche di «aver pubblicato tutto ciò che voleva venisse pubblicato», e proibisce ogni pubblicazione postuma. È dunque un’opera definitiva e completa quella che egli lascia in punto di morte, in una Parigi occupata dai nazisti, il 3 gennaio del 1941.
Una filosofia della durata
Si dimentica troppo spesso che Bergson ebbe degli inizi di studioso della matematica. Quindi il suo interesse per la filosofia si nutre di una riflessione sulla matematica moderna e sulla fisica, come testimonia la sua concezione della “durata” ancorata sull’analisi scientifica della nozione di tempo.
Nella sua tesi di dottorato, «Essai sur les données immédiates de la conscience» (1889), Bergson si oppone alla corrente positivista per la quale i fenomeni umani e sociali sono sottoposti ad un determinismo così assoluto come quello che disciplina i fatti del mondo fisico. La vita psichica, lungi dal potere essere sottoposta alle leggi della fisica o ad un trattamento solo quantitativo, è di un altro ordine, quello dello spirito e non del corporeo, della qualità e non della quantità, della durata vissuta, del dato immediato della coscienza, che rivela l’«intuizione» interna. Il tempo della fisica è un tempo astratto che possiede tutti i caratteri dello spazio: giustapposizione, divisibilità, reversibilità, e assenza di durata. Al contrario, il tempo concreto, reale, è la durata, continua, indivisibile e non misurabile. È un tempo qualitativo, di essenza dello spirito.
“Materia e memoria”
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LA SCIENZA MODERNA?
La filosofia di Bergson è profondamente dualista, come ne è testimone il titolo di un suo lavoro «Matière et mémoire» (1896), che rifiuta il monismo materialista ed oppone l’ interiorità della coscienza all’esteriorità della scienza, lo spirito alla materia. Ne consegue che la coscienza è libertà, il suo tempo interiore è imprevedibile, tempo dell’ “io profondo”, opposto all’“io superficiale” sottoposto agli automatismi della pratica e delle convenzioni. “Noi siamo liberi, dice Bergson, quando i nostri atti emanano dalla nostra personalità intera, quando la esprimono.”
La nostra vita interiore è anche memoria. Bergson ne distingue due tipi: “la memoriaabitudine”, memoria del corpo, fatta di automatismi e di meccanismi, la cui utilità è di adattare le nostre reazioni all’ambiente; la “memoria pura”, spirituale, che è la coscienza stessa, staccata da qualsiasi preoccupazione di agire: il passato sopravvive in essa in una massa indistinta di ricordi.
Intelligenza ed intuizione
Alla individuazione di due distinte memorie corrisponde l’opposizione tra azione e conoscenza, alle quali fanno capo rispettivamente l’intelligenza e l’intuizione.
Incapace a farci conoscere il reale e la continuità del divenire, l’intelligenza è attiva, “facoltà di fabbricare attrezzi che fanno attrezzi” (l’Evoluzione creatrice, 1907), non contemplativa: l’uomo è faber prima di essere sapiens. È propria degli uomini ciò che è l’istinto per gli animali: una forma d’adattamento al reale. Semplicemente, l’uomo ha “attrezzi” più potenti di quelli degli animali: la lingua, che opera classificazioni rigide, essendo le parole soltanto “etichette sulle cose”; la scienza, che permette di prevedere ed organizzare l’azione applicando alla materia metodi di calcolo e di misura. Solo l’intuizione va al cuore del reale e permette di conoscere il tempo vero che è la durata interna. È “la conoscenza diretta dello spirito con lo spirito” che va oltre la mediazione della lingua incapace di afferrare “l’Io fondamentale”.
Lo slancio vitale (élan vital )
L’intuizione è anche la conoscenza della durata dell’universo e del grande soffio della vita. Tale è l’insegnamento dell’Evoluzione creatrice (1907). C’è soltanto la coscienza che dura. L’universo materiale, le cose, hanno anche una durata propria, che si può constatare considerando il tempo che una zolletta di zucchero impiega a fondersi in un bicchier d’acqua: ma tale durata non è soltanto un tempo quantitativo, spazializzato, misurabile, è anche la mia durata interna mentre attendo che lo zucchero fonda. La durata costituisce così la sostanza del nostro essere e di qualsiasi altra cosa.
Il suo tratto spirituale fa sì che attribuirà alla filosofia bergsoniana l’etichetta di “panspiritualismo”. Ma verrà anche detta “vitalista”, nel senso in cui, fondamentalmente, per Bergson è la vita che dura: «Ovunque dove qualcosa vive, essa ha aperto, a fianco, un registro dove il tempo vi è registrato» Ora, la vita non può comprendersi in termini fisicochimici, e Bergson rifiuterà ad un tempo sia il meccanicismo di Darwin che il finalismo di Leibniz per il fatto che essi mettono, ciascuno con modalità proprie, il tempo tra parentesi. Al contrario, l’intuizione coglie lo slancio vitale che spinge la materia all’evoluzione e si esprime nell’energia spirituale dell’uomo. La vita è un movimento creativo ed uno sforzo per risalire la china data dalla materia.
Morale e religione
Ritroviamo il dinamismo biologico dello slancio vitale nelle tesi di Bergson sui fenomeni morali e religiosi. Come c’è nella coscienza individuale uno stato profondo ed uno superficiale e nelle creature viventi uno slancio creatore ed una strutturazione specifica di specie, allo stesso modo ci sono due morali e due religioni. Per descriverle, Bergson ricorre all’opposizione “dinamico/statico” o anche “aperto/chiuso”.
È chiuso o statico ogni sistema chiuso in norme rigide (la morale kantiana, il rispetto puro dei rituali religiosi), abitudini indotte dalla società.
È aperto o dinamico ciò che esprime uno slancio spirituale: la morale aperta del santo o dell’eroe che inventano condotte nuove e spingono in avanti l’umanità, la dinamica religione dei grandi mistici che trasporta il cuore al di là di se stessa ed offre una presa immediata del divino e di Dio.
Antiintellettualistica, la filosofia di Bergson conduce anche al misticismo, tutt’al più lontano, dunque, dalle preoccupazioni contemporanee maggioritarie.
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1.3.5 WHITEHEADLe note che seguono, a cura di Diego Fusaro, sono tratte dal sito: http://www.filosofico.net/whitehead.htm
Alfred North Whitehead (18611947) è l'altro grande protagonista (con Russell e Moore) del rinnovamento logicoepistemologico maturato a Cambridge nei primi decenni del Novecento. Le sue opere più importanti sono Processo e realtà (1929), Il concetto di natura (1920), La scienza e il mondo moderno (1926) e Avventure di idee (1933). Pur avendo come sfondo la cultura scientifica del suo tempo, il realismo di Whitehead non è funzionale ad un'analisi critica della conoscenza e del linguaggio (come invece è in Moore), ma ha come esito la riproposizione di una metafisica ontologica che si richiama per molti versi a Platone (Whitehead fu definito l'ultimo platonico di Cambridge), per alcuni versi a Leibniz e per altri ancora a Hegel. Nella carriera filosofica di Whitehead si è soliti distinguere tre fasi, che non mancano però di apparire connesse da una vena "realistica" sostanzialmente unitaria. Il nucleo della prima fase è di carattere specificamente matematico e logico ed ha il suo momento culminante nella collaborazione con Russell alla stesura dei Principia mathematica. Nella seconda fase, legata all'insegnamento di Whitehead svolto a Londra, prevalgono gli interessi per le scienze naturali e la teoria di Einstein. Nella terza ed ultima fase, connessa ad un soggiorno negli Stati Uniti (presso la Harvard University) viene sviluppata la versione più matura del realismo organico di Whitehead, consegnata alla sua maggiore opera: Processo e realtà (1929). Il presupposto fondamentale del realismo di Whitehead è che l'oggetto della percezione (la natura) è qualcosa di diverso dal pensiero; ciò non comporta però un dualismo tra pensiero e mondo naturale. L'originalità della concezione realistica whiteheadiana risiede nel tentativo di costruire, sulla base dei risultati della fisica più recente (in uno studio del 1922 Whitehead interpreta la teoria della relatività di Einstein), una cosmologia sistematica in cui trovino una spiegazione unitaria i processi del mondo organico e le forme della vita umana e della società nella varietà e nella continua integrazione dei loro molteplici aspetti: "l'ufficio della filosofia è quello di sfidare le mezze verità costituenti i princìpi primi delle scienze. La sistemazione della conoscenza non può essere in compartimentistagno. Le verità generali si condizionano l'un l'altra, e i limiti della loro applicazione non possono essere adeguatamente definiti senza la loro correlazione in una generalità più vasta ". Il volume Il concetto di natura , pubblicato nel 1922, è il primo importante tentativo di chiarire i caratteri dinamici e relazionali del mondo naturale e di offrire un'alternativa non solo alle concezioni meccanicistiche della fisica setteottocentesca, ma anche ai modelli statici del materialismo e del "sostanzialismo" contemporanei. Tra gli aspetti più stimolanti dell'opera di Whitehead va annoverata la critica delle false astrattezze in cui sono incorse le metafisiche tradizionali coi loro dualismi irriducibili. Quella che il filosofo inglese definisce la " duplicazione della natura in due sistemi di realtà ", vale a dire la natura quale è ipotizzata dalla fisica e la natura quale è data nell'esperienza sensibile, è responsabile di uno dei più tenaci errori che ha impedito di cogliere il carattere organico della natura. La stessa idea di sostanza, dice Whitehead, è indisgiungibilmente legata al pregiudizio della "localizzazione semplice" che disconosce la natura "processuale" dell'esperienza e i caratteri di creatività e di novità inerenti al mondo della natura e dell'uomo. Alla sostanza Whitehead contrappone l' evento come " elemento concreto primario " della natura, che costituisce un nodo di relazioni non isolato nè isolabile dall'universo in cui è compreso: la realtà in generale è costituita da eventi forniti di prensioni (o percezioni) di tutti gli altri eventi del mondo, proprio come le monadi leibniziane erano un "punto di vista sull'universo". Gli eventi hanno carattere soggettivo oppure oggettivo a seconda che, appunto, siano soggetto o oggetto di percezione, cioè percepiscano gli altri inglobandoli nella propria coscienza, o viceversa siano percepiti e inglobati dalla coscienza degli altri. E gli eventi non sono statici, ma dotati di una vivace dinamicità: ogni evento, infatti, è connesso con il tutto in un "processo" unitario in cui consiste la realtà nel suo insieme. Le singole individualità "concrescono" insieme al tutto di cui fanno parte e che idealmente le precede; ed è per questo che Whitehead, con la sua filosofia organica, fa riferimento ad Hegel, anche se il suo monismo tende a sposarsi con il pluralismo leibniziano. Nella sua summa filosofica del 1929, in cui "processo" e "realtà" non indicano termini antitetici ma intendono configurare aspetti dell'universo reciprocamente integrantisi, Whitehead giunge a formulare appunto una filosofia dell'organismo che, nonostante la vastità e le innegabili suggestioni del disegno speculativo, non appare priva di oscurità e di contraddizioni rispetto alle istanze da cui aveva preso le mosse. La nozione stessa di "processo" implica, ad esempio, che le sue realizzazioni ( gli " enti attuali ", come li designa Whitehead) siano indicati come "oggetti eterni " , fondamenti immutabili che vengono postulati per spiegare il processo stesso. Egualmente, il concetto di Dio , introdotto da Whitehead non nel tradizionale senso trascendentale ma come sistema degli oggetti eterni, sembra assolvere all'interno del "processo" universale lo stesso ruolo che nelle metafisiche sostanzialistiche era stato designato come il fine ultimo e il principio unificatore del divenire. In altri termini, il processo della realtà (oltrechè dagli eventi) è costituito da una pluralità di forme ideali (o oggetti eterni) che si realizzano e si manifestano gradualmente in essi; questi oggetti eterni (che fanno trasparire il platonismo di Whitehead) restano astratti fino a che non abbiano occasione di concretizzarsi e attuarsi in un evento, che per questo motivo è anche detto del occasione attuale ". Poiché nelle loro più elevate espressioni gli oggetti eterni costituiscono il mondo dei valori supremi, la loro progressiva realizzazione nel
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tempo permette a Whitehead di dare un'interpretazione teologica del processo reale, il quale è considerabile sotto due aspetti. Da un lato, esso presuppone una del natura primordiale, che contiene in sé la totalità degli oggetti eterni come presupposto della possibilità del processo stesso; dall'altro, esso si traduce, con le sue graduali realizzazioni concrete delle idee eterne, in del natura conseguente. Le due nature (primordiale + conseguente) esprimono congiuntamente l'essenza di Dio. Come rivela lo stesso uso terminologico relativo alle due nature (che ricalcano la tradizionale distinzione tra "natura naturante" e "natura naturata") la concezione teologica di Whitehead è immanentistica e panteistica: Dio coincide con la natura, ancorchè considerata non solamente nei suoi aspetti oggettivi e descrittivi, ma anche in quelli formali e normativi.
1.3.6 GIOVANNI GENTILELe seguenti note, dovute a Diego Fusaro, sono tratte dal sito indicato nel seguito, a cui si rimanda per approfondimenti.http://www.filosofico.net/gentile105.htm
Biografia sommaria
Gentile è stato, con Croce, l'esponente principale del neoidealismo italiano, ma la sua posizione filosofica è maturata attraverso esperienze in parte diverse da quelle crociane. Nato a Castelvetrano (Trapani) nel 1875, Giovanni Gentile si formò presso l'università di Pisa, dove ebbe come maestri soprattutto Alessandro D'Ancona e Donato Jaja, che lo avvicinò allo studio di Kant, di Rosmini e Gioberti, di Hegel. Il primo lavoro gentiliano, su Rosmini e Gioberti (1898), si colloca nella prospettiva di ripresa del pensiero criticisticoidealistico tedesco già avviata da Croce, e si ispira a una visione fortemente speculativa (teoreticosistematica) della filosofia. Negli ultimi anni del secolo Gentile approfondisce, da un lato, Spaventa e, dall'altro, Marx, che esamina nel volume La filosofia di Marx (1899). A proposito del marxismo si tratta, per Gentile, di ritrovarne il nucleo speculativo più autentico e di affermarlo come una "filosofia della prassi" che unifica pensiero e azione e che occorre reinterpretare in termini idealistici. Ciò che viene a cadere, del pensiero di Marx, è proprio il materialismo. La realtà come materia viene interpretata come un residuo sensibileoggettivo che limita l'attività creatrice della prassi umana. Ma è anche attraverso la nozione marxiana di prassi liberamente rivisitata (attraverso la lettura di Vico e degli idealisti tedeschi) che Gentile delinea la sua concezione della soggettività trascendentale intesa come " attività creatrice " per cui verum et factum convertuntur , come "sviluppo necessario " che collega soggetto e oggetto in un fare che " è insieme conoscere " e che si manifesta nella storia. In quegli stessi anni di fine secolo Gentile stringe con Croce un'amicizia che durerà fino a quando la differenza tra lo storicismo crociano e l'attualismo gentiliano si farà troppo vistosa. Nel 1903 Gentile, nella prolusione tenuta all'università di Napoli e dedicata a La rinascita dell'idealismo, delinea la propria posizione filosofica che prende il nome di attualismo e ch'egli svilupperà in una serie di saggi teorici fino al 1922. Contemporaneamente si dedica anche alla ricerca storicofilosofica con gli studi: Le origini della filosofia contemporanea in Italia (19031914), Dal Genovesi al Galluppi (1903), Il pensiero italiano del Rinascimento (1920), Studi vichiani (1915), Gino Capponi e la cultura italiana del secolo decimonono (1922). Nello stesso periodo il filosofo affronta anche i problemi della pedagogia (Sommario di pedagogia come scienza filosofica , 191314; La riforma dell'educazione , 1920; Educazione e scuola laica , 1921; Preliminari allo studio del fanciullo , 1924) e poco più tardi quelli estetici in Filosofia dell'arte (1931). E’ soprattutto tra il 1911 e il 1922 che la riflessione gentiliana si articola intorno a temi prevalentemente teoreticosistematici. Nel 1911 esce L'atto del pensare come atto puro , nel 1913 La riforma della dialettica hegeliana , nel 1916 Teoria generale dello Spirito come atto puro e, infine, dal '17 al '22, il Sommario di logica come teoria del conoscere. Nel dopoguerra Gentile affronta i problemi politici in Guerra e fede (1919) e si avvicina sempre più al fascismo, fino a divenirne uno dei principali esponenti in campo intellettuale. Dopo la marcia su Roma viene nominato ministro della Pubblica Istruzione ed elabora, nel '23, un'importante e discussa riforma della scuola. Negli anni successivi si occupa quasi esclusivamente di organizzazione della cultura, è direttore dell'Enciclopedia Italiana e presidente della Accademia d'Italia. Dopo la crisi del 25 luglio 1943 si apre ad un ripensamento in chiave sociale della sua filosofia che prende forma nell'opera Genesi e struttura della società (1946). Nel 1944 muore a Firenze, ucciso barbaramente dai partigiani antifascisti.
Pensiero
Si rimanda alla letteratura, ed in particolare al sito citato, da cui si riporta anche il seguente brano, particolarmente significativo in relazione alla conferenza del Ronchi
" La dialettica del pensato è, si può dire, la dialettica della morte; la dialettica del pensare, invece, la dialettica della vita. Infatti il presupposto fondamentale della prima è la realtà o verità tutta quanta ab aeterno determinata in guisa
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che non sia più concepibile una determinazione nuova, come determinazione attuale della realtà [...]. La dialettica, invece, del pensare non conosce un mondo che già sia, che sarebbe un pensato; non suppone una realtà al di là della conoscenza e di cui toccherebbe a questa d'impossessarsi, perché sa, come ha dimostrato Kant, che tutto ciò che si può pensare della realtà (il pensabile, i concetti dell'esperienza) presuppone l'atto stesso del pensare. E' in questo atto vede perciò la radice di tutto ".
1.3.7 MISTICA SPECULATIVA CRISTIANALa Mistica Speculativa Cristiana è un filone apparentemente poco organico, che si snoda attraverso parecchi secoli, dall’alto medio evo fino al 600700, per quanto non si possa ancora oggi ritenerlo esaurito. Più che attraverso una teoria organica si snoda attraverso un certo numero di mistici, apparentemente slegati l’uno dall’altro (dal punto di vista storico) ma accomunati da un modo di sentire ricorrente.Nel seguito sono riportati i riferimenti di alcuni esponenti di tale corrente di pensiero.L’elenco non vuole essere esaustivo, ma si limita ai nomi citati nella conferenza.Per alcune interessanti notazioni circa le assonanze tra la mistica cristiana ed alcuni mistici orientali si veda il sito http://franic.net/mistica/fn/intro.htm
1.3.7.1 MEISTER ECKHARTPer la vita ed il pensiero di Meister Eckhart si veda il sito:http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/misticacristiana/gerosa.htmNello stesso sito, al seguente indirizzo, si può trovare una raccolta degli scritti di Meister Eckhart, tradotti in Italiano.http://www.gianfrancobertagni.it/Discipline/misticacristiana.htm
1.3.7.2 DUNS SCOTOFilosofo Scozzeso (12661308).Si veda, ad esempio, il sito: http://www.filosofico.net/scoto2.htm
1.3.7.3 CUSANOTeologo tedesco, (14011464), si veda, ad esempio, il sito: http://www.filosofico.net/cusano.htm, oppure il sito: http://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Cusano
1.3.7.4 SCOTO ERIUGENAMonaco, filosofo, teologo (810880), nato in Irlanda (=eriu gena), operantivo in Scozia (Scoto).Si vadeno i siti http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Scoto_Eriugena E http://www.filosofico.net/scoto1.htm
1.3.7.5 PSEUSO DIONIGIAnonimo, fine del V secolo, dai contemporanei identificato con Dionigi L’Aeropagita.Si vedano i siti: http://www.filosofico.net/pseudodionigi.htmE: http://it.wikipedia.org/wiki/PseudoDionigi_l'Areopagita
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