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N. 3 / SALUTE E SVILUPPO > IN QUESTO NUMERO > DICHIARAZIONE DI ERICE 2008 >A TRENT’ANNI DA ALMA ATA > TUBERCOLOSI IN ANGOLA SALUTE E SVILUPPO 3/ 07 medici con l’africa cuamm

Salute e sviluppo n. 3 2007

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Rivista quadrimestrale di cooperazione politica e sanitaria internazionale

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SVILUPPO

> IN QUESTO NUMERO> DICHIARAZIONE DI ERICE 2008> A TRENT’ANNI DA ALMA ATA> TUBERCOLOSI IN ANGOLA

SALUTE E SVILUPPO 3/07medici con l’africa cuamm

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Fotografie tratte dal reportage di Enrico Bossan in Angola e Uganda (2000)

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SALUTE E SVILUPPO N. 3/07IN QUESTO NUMERO p. 3

DIALOGOLa loro fame, la nostra sicurezza p. 7G. PutotoGlobalizzazione e diseguaglianze nella salute p. 8Dichiarazione di Erice 2008

POLITICA SANITARIALe politiche sanitarie globali a trent’anni da Alma Ata p. 17A. Cattaneo

COOPERAZIONE SANITARIA Tubercolosi, Angola, Fondo globale p. 29S. SantiniDell’ospedale cardiochirurgico di Emergency a Khartoum p. 41E. Materia

AFRINEWSAgenda: Burundi, Eritrea, Kenya, Sudafrica, Uganda, Zimbabwe p. 47Focus: Sudan p. 53M. Murru

OSSERVATORIODinamiche demografiche nelle regioni italiane p. 56M. Pacchin e S. Geraci

RASSEGNAIl rapporto tra il medico di base e il paziente immigrato p. 64V. MarinFarmaci antiretrovirali (Arvs) in Brasile p. 67L. Fgueiredo, R. A. Mendoza-Sassi, J. Silveira, G. Baruffa

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IN QUESTO NUMERO«Bambini e donne stanno morendo perché coloro che hanno il potere di prevenire quellemorti hanno scelto di non agire. Questa indifferenza – da parte di politici, amministratori,donatori, finanziatori della ricerca, da parte della stessa società civile – è il tradimento dellanostra speranza collettiva per una società più forte e più giusta; per una società che dàvalore a ogni vita, indipendentemente da quanto giovane o nascosta agli occhi del pubblicoquesta vita possa essere. Quello che abbiamo di fronte è un mondo squilibrato in cui solocoloro che hanno soldi, forza militare e influenza politica stabiliscono cosa conta e chi conta.Come professionisti sanitari noi non dobbiamo accettare questa pervasiva mancanza dirispetto della vita umana».

Con questa dura, amara affermazione si chiude un editoriale firmato dal direttore di Lancet,Richard Horton. Editoriale di apertura di una serie di articoli dedicati a “Countdown”, un’ini-ziativa indipendente (sponsorizzata dalle Nazioni Unite e da altre agenzie internazionali) por-tata avanti da un gruppo di qualificati ricercatori ed esperti del settore materno infantile, conlo scopo di monitorare periodicamente lo stato di salute delle donne e dei bambini fino al2015, anno conclusivo dei Millennium Development Goals (Mdgs).

Con questo passo si apre la Dichiarazione di Erice 2008, che riportiamo interamente inapertura della rivista. Nella sezione Dialogo ospitiamo un editoriale di Giovanni Putoto de-dicato all’emergenza fame. Le domande finali sono: «perché tanta irresponsabilità delleistituzioni? Perché la voce della profezia cristiana è così debole?»

La sezione Politica sanitaria è dedicata a richiamare alla memoria un importante anniver-sario: i trent’anni della Dichiarazione di Alma Ata. Nella sezione Cooperazione sanitaria è riportata l’esperienza di un progetto a sostegno delprogramma nazionale di controllo della tubercolosi finanziato dal Fondo Globale in Angolae realizzato da Medici con l’Africa Cuamm.Afrinews ci consegna un’accurata analisi degli eventi accaduti in vari paesi del continenteafricano: Burundi, Eritrea, Kenya, Sudafrica, Uganda, Zimbabwe. Il Focus propone un appro-fondimento sul Sudan.Osservatorio è dedicato alle dinamiche demografiche nelle regioni italiane.Rassegna ospita due saggi: il primo dedicato al rapporto tra il medico di base e il pazienteimmigrato; il secondo al tema: Farmaci antiretrovirali (Arvs) in Brasile: una revisione sullapolitica, tipi di Arvs e ripercussioni sull’epidemia.

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DIALOGO

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La loro famela nostra sicurezza di Giovanni Putoto*

* Responsabile Programmazione Medici con l’Africa Cuamm

100 milioni di nuovi affamati. Uno “tsunami silenzioso”si sta abbattendo sui paesi poveri: l’inflazione. Madri incrisi guidano le “rivolte del pane”. Centinaia di migliaiadi famiglie che spendono in alimenti l’80% del loro red-dito striminzito scivolano disperate nella miseria. Ci ri-siamo: è ancora emergenza fame. Stavolta, però, lecorrenti inflattive che alimentano lo tsunami dei prezzisono micidiali, riguardano: cibo, energia, finanza spe-culativa e militare.Tecnicamente, lo definiscono uno “shock esogeno”.I paesi più industrializzati usano grano e mais comebiocarburanti per le auto. Riducono le superfici colti-vabili per produrre cibo per l’uomo e blindano i loroprodotti agricoli con tariffe e sussidi pubblici. India eCina intraprendono una strada di crescita che nonvogliono abbandonare. Consumano più carne e pe-trolio e fanno impennare la domanda di beni primari. Ipaesi africani reclamano l’apertura dei mercati deipaesi ricchi ai loro prodotti agricoli che già soffrono dicarestie e deforestazione mentre i paesi produttori dipetrolio e gas, favoriti dall’aumento dei prezzi ener-getici, accumulano ricchezze senza precedenti.Nei templi del denaro gigantesche bolle finanziarielegate ai fondi speculativi – gli hedge fund – scoppia-no, inceneriscono vertiginose quantità di risorse e ri-versano i debiti al di fuori dei confini nazionali.Intanto, il bilancio finanziario militare è sempre piùflorido: «sono ormai 1.200 i miliardi di dollari di spesaall’anno destinati allo sviluppo militare contro i 70 de-stinati allo sviluppo umano». Socialmente, l’onda d’urto si abbatte su tutti, ma con

esiti asimmetrici. Le popolazioni del sud del mondo,quelle più deboli, sostengono il prezzo più alto: quasiun miliardo di persone è ora assediato dai crampidella fame. Più di dieci anni fa. I bambini, i più vulne-rabili, pagano con la “malnutrizione e la cattiva salu-te” questa corsa dei prezzi definita dagli economisti“una tassa sul futuro”.Politicamente, tutti sono d’accordo sulla diagnosi etutti rigorosamente in disaccordo sui rimedi. Nessunorinuncia ai propri interessi nazionali. Vai! Libero mercato all’esterno e difesa a denti strettidelle lobby all’interno. Il vertice della Fao tenutosi aRoma è terminato con un fallimento. L’occidente ric-co – quello che ha le responsabilità maggiori – ha ri-sposto con afasia e disinteresse alle “rivolte del pa-ne”. Tra “stomaco e serbatoio” il confronto è statoscontato e impari. Male che vada la colpa può essere fatta ricadere sul-le agenzie internazionali, l’Onu, un carrozzone incon-cludente e costoso. Perché preoccuparsi della man-canza di un governo globale? In fin dei conti, questaè la mentalità prevalente, gli Stati non possono venirmeno al problema della sicurezza e delle paure deiloro cittadini.In tutto questo, però, c’è qualcosa che non torna. C’è un diritto allo sviluppo della persona e dei popolida rispettare. La “loro fame” è una questione di dirittiviolati. I prezzi inaccessibili del cibo di ingiustizia so-ciale. Il pane di principi non negoziabili. C’è anche un ragionamento da fare. Finché questisquilibri continueranno e magari peggioreranno, è in-

Se la loro fame è la nostra insicurezza, allora lo sviluppo glo-bale – “il progresso dei popoli” – dovrebbe essere la rispostaalle paure di casa nostra. Ma se questa è la sfida, perchétanta ignoranza nella gente? Perché tanta irresponsabilitàdelle istituzioni? Perché la voce della profezia cristiana è cosìdebole?

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sensato parlare della “nostra sicurezza”. Gli tsunamidella storia ce lo insegnano: popolazioni abbandona-te nell’indigenza non rimangono inerti, si muovono,reclamano ascolto e, talvolta, impongono attenzione.Se la loro fame è la nostra insicurezza, allora lo svi-

luppo globale – “il progresso dei popoli” – dovrebbeessere la risposta alle paure di casa nostra. Ma sequesta è la sfida, perché tanta ignoranza nella gen-te? Perché tanta irresponsabilità delle istituzioni?Perché la voce della profezia cristiana è così debole?

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«Bambini e donne stanno morendo perché coloro chehanno il potere di prevenire quelle morti hanno sceltodi non agire. Questa indifferenza – da parte di politici,amministratori, donatori, finanziatori della ricerca, daparte della stessa società civile – è il tradimento dellanostra speranza collettiva per una società più forte epiù giusta; per una società che dà valore a ogni vita,indipendentemente da quanto giovane o nascosta agliocchi del pubblico questa vita possa essere. Quelloche abbiamo di fronte è un mondo squilibrato in cui so-lo coloro che hanno soldi, forza militare e influenzapolitica stabiliscono cosa conta e chi conta. Come pro-fessionisti sanitari noi non dobbiamo accettare questapervasiva mancanza di rispetto della vita umana».Richard Horton, direttore di Lancet (Countdown to2015: a report card on maternal, newborn and childsurvival. Lancet, Vol. 371, April 12, 2008, p. 1219).

Nel marzo 2001 i partecipanti del corso “Flussi migra-tori e politiche per la salute” sottoscrissero un docu-mento – “La Dichiarazione di Erice” – in cui si affron-tavano i temi del diritto alla salute, dell’equità, dellosviluppo sostenibile, della difesa della dignità e dellavita degli uomini e delle donne.Queste le conclusioni di quel documento:«Le profonde disuguaglianze evidenziate sono il frut-to di un “egoismo sconsiderato” che non tiene contoné dei più deboli, né delle generazioni future, ricchi opoveri che siano. Non è difficile immaginare infatti

che questo tipo di egoismo possa trascinare verso lacatastrofe l’intero genere umano. Vogliamo fare ap-pello a un “egoismo intelligente” che prenda in consi-derazione i principi di sostenibilità del pianeta, chepratichi forme generose e costruttive di solidarietà in-ternazionale che garantiscano a tutti l’accesso e lafruibilità dei servizi sanitari ed educativi, che contrastiogni forma di discriminazione anche verso chi è stra-niero. Noi riteniamo che la sinergia di queste tre com-ponenti – la presa di coscienza dei cittadini, l’impe-gno della cultura e della scienza, le decisioni deigoverni sulla base delle necessità dei popoli e nonsotto la pressione di lobbies e di interessi – potrà por-tare a un’inversione di tendenza rispetto agli attualiscenari, ad assicurare la pace e a risvegliare la spe-ranza e la fiducia nel futuro.»A distanza di sette anni si è tenuto sempre a Erice,dal 14 al 18 aprile 2008, un corso intorno a temi ana-loghi, dal titolo “Globalizzazione e diseguaglianze nel-la salute”, a cui hanno partecipato, come nel 2001,operatori sanitari, ricercatori, docenti universitari erappresentanti del volontariato. E come nel 2001, essi hanno ritenuto opportunoesprimere in un documento le loro riflessioni.

1. UN MONDO PIÙ INSICURO E DISEGUALE 2001-2008: sette anni di guerre e di fondamentalismici consegnano un mondo più insicuro. Terrorismo,guerre, violazioni dei diritti umani hanno in questi an-

Nell’aprile 2008 si è tenuto a Erice un corso di formazionedal titolo “Globalizzazione e diseguaglianze nella salute”, cuihanno partecipato operatori sanitari, ricercatori, docenti uni-versitari e rappresentanti del volontariato. Questo il docu-mento conclusivo che volentieri pubblichiamo.

Globalizzazione e diseguaglianze nella saluteDICHIARAZIONE DI ERICE 2008

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ni dominato lo scenario internazionale, seminandomorte, distruzione e immense sofferenze, e consu-mando enormi quantità di risorse. La sola guerra inIraq, oltre a provocare un terribile carico di morte (ol-tre 650.000 decessi), è costata – secondo le stime diJoseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia – circa3.000 miliardi di dollari. 3.000 miliardi di dollari sono una cifra immensa separagonata con altre cifre. > 254 miliardi di dollari rappresentano lo 0,7% del Pil

dei paesi industrializzati che, secondo gli impegnipresi nel lontano 1970, questi dovrebbero trasferireai paesi più poveri per favorirne lo sviluppo.Attualmente il livello di impegno è molto più basso, lo0,28%, pari a 103 miliardi di dollari (l’Italia lo 0,19%).

> 50-60 miliardi di dollari rappresentano la quantitàdi risorse annue necessarie, secondo la Bancamondiale, per raggiungere nel 2015 gli Obiettivi delMillennio, tra cui l’eradicazione della povertà estre-ma, l’istruzione primaria universale, la drastica ri-duzione della mortalità infantile e materna. Com’ènoto nell’Africa sub-Sahariana questi obiettivi nonsolo non saranno raggiunti, ma alcuni indicatori(vedi mortalità materna) in molti paesi sono in peg-gioramento.

> 28 miliardi di dollari rappresentano il contributoannuo che i paesi più ricchi dovrebbero versare aipaesi più poveri del pianeta per garantire – attra-verso una spesa sanitaria pubblica di 40 dollari procapite – l’erogazione gratuita dei servizi essenziali.I fondi attualmente destinati alla cooperazione sa-nitaria internazionale assommano a soli 12 miliardidi dollari, erogati soprattutto per finanziare inter-venti su singole malattie (programmi verticali).

Un mondo più vulnerabile sul piano economico a causadelle speculazioni finanziarie internazionali e dell’au-mento del prezzo dei beni essenziali (energia e cibo). Un mondo sempre più insostenibile a causa del pro-gressivo degrado dell’ambiente – che colpisce i paesipiù poveri del pianeta – con la prospettiva di unprofondo dissesto dell’ecosistema terrestre e di unavvenire incerto per le future generazioni. Un mondo sempre più “asimmetrico” a causa dei pro-cessi di “globalizzazione” che nei rischi e nei beneficifunzionano bene per alcuni e molto peggio per altri. Funzionano bene per i paesi ricchi, per le compagniemultinazionali, per i gruppi più ricchi della popolazio-ne: a) perché questi hanno le risorse finanziarie, fisi-che e umane per sfruttare tutte le opportunità offerte;b) perché hanno la possibilità di influenzare il quadrodelle regole. Inutile aggiungere che funziona malissi-

mo per i paesi più poveri e per i gruppi più svantag-giati della popolazione. E infatti il principale effetto diquesta asimmetria è stata l’incessante crescita dellediseguaglianze nel reddito (e non solo nel reddito) trapaesi e tra gruppi di popolazione all’interno di unpaese a partire dagli inizi degli anni Ottanta.

2. LE DISEGUAGLIANZE NELLA SALUTEViviamo in un mondo sempre più diseguale. In so-cietà sempre più stratificate, dove le persone più pri-vilegiate stanno meglio, si ammalano di meno e vivo-no più a lungo. Queste differenze sono socialmentedeterminate, sono ingiuste e sono modificabili; per-tanto sono disparità evitabili. Sono molte le cause e i meccanismi che fanno nasce-re e consolidare queste disparità nella salute. Ma lascienza è concorde nel dire che sono le condizioni so-ciali che influenzano la salute piuttosto che il contra-rio. In particolare sono le disparità nella distribuzionedelle risorse materiali, di status, in quelle etniche e inquelle di aiuto da parte degli altri che fanno nasceredisparità nei principali fattori di rischio per la salute equindi nella probabilità di ammalarsi e di guarirne.Certo la responsabilità e l’influenza che ogni indivi-duo ha verso la propria salute non va trascurata.Tuttavia l’autonomia di un individuo è limitata da fat-tori che rimangono fuori dalla sua capacità di control-lo; perfino le scelte relative ai principali stili di vita, adesempio fumo, alcol, esercizio fisico e alimentazione,sono influenzate dalle circostanze socio-economichedi vita che ne limitano la libertà di scelta.Anche l’assistenza sanitaria ha la sua responsabilità,perché si osservano diseguaglianze significative nel-l’accesso a cure appropriate e sicure e nei loro risul-tati anche in sistemi sanitari a impronta universalisti-ca come quello italiano. Nella misura in cui le disparità sistematiche di salutesono influenzate dalle diseguaglianze nel modo con cuila società distribuisce le risorse, allora è responsabilitàdella comunità e dell’amministrazione mettere in operaazioni per rendere questa distribuzione più giusta.Una più giusta distribuzione delle risorse è una buo-na politica di sanità pubblica, perché consente di au-mentare i benefici di salute in una popolazione agen-do sulla salute di quei gruppi sociali e di quellepersone che soffrono di maggiori svantaggi di salute. Una sanità pubblica che riduca le disparità socialinella salute è anche una politica che promuove le ca-pacità dello sviluppo. Ci sono molte prove che docu-mentano come il livello di salute e, soprattutto, il livel-lo di equità nella salute di una comunità sia correlato

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con la sua capacità di produrre ricchezza e di miglio-rare la qualità della vita. Inoltre le politiche di contra-sto delle diseguaglianze di salute sanno moderareanche l’impatto sfavorevole della malattia sull’impo-verimento delle persone e delle famiglie. Dunque unapolitica di sanità pubblica di contrasto delle disparitàsociali nella salute è anche conveniente dal punto divista degli obiettivi di sviluppo della società.Questo argomento è tanto più convincente se si pen-sa al futuro. Nei prossimi decenni l’invecchiamentodella popolazione farà aumentare di molto la quota dianziani nella popolazione; ci sarà bisogno di una“compressione” significativa della morbosità della po-polazione se si vuole rendere sostenibile il peso delfabbisogno di assistenza di questi nuovi anziani. Solouna riduzione delle diseguaglianze sociali nella mor-bosità e, quindi, nella disabilità, è in grado di compri-mere significativamente questo peso. Questa prioritàè data anche dalla concomitante spinta, da un latodella globalizzazione culturale, che pervade le nostresocietà con ambienti che promuovono obesità estress invece che salute; e dall’altro della medicaliz-zazione della salute che porta a trascurare gli argo-menti della promozione della salute a favore del po-tere miracoloso delle pillole e dei test; per entrambiquesti fenomeni i gruppi sociali più poveri di risorsemateriali e di credenziali culturali risultano più vulne-rabili ai nuovi fattori di rischio.

3. LE DISEGUAGLIANZE DI GENERELe donne del sud, del nord e le migranti condividonocondizioni di discriminazione, esclusione, violenza eimpoverimento legate al loro genere, ma le vivonosecondo modalità diverse in quanto hanno accessiasimmetrici a indipendenza economica, educazione,partecipazione alla sfera pubblica, potere politico; so-no parte di un esercito di manodopera a basso costoe contribuiscono in maniera sostanziale, anche attra-verso le rimesse delle donne migranti, al funziona-mento dell’economia globale.Questa situazione espone le donne a maggiori rischiper la loro salute: hanno infatti pari diritti ma bisognidifferenziati rispetto agli uomini e un accesso più limi-tato a risorse, informazioni, servizi e potere. Tutti gliinterventi a favore della salute devono dunque esse-re accompagnati da un’analisi delle diseguaglianzetra generi, e dati disaggregati per genere devono es-sere raccolti sistematicamente e in una prospettivaintersettoriale. Il coinvolgimento attivo di donne e ragazze è elemen-to chiave di empowerment, in assenza del quale es-

se sono a rischio di ulteriore discriminazione, impo-verimento e malattie, come testimoniato dalla persi-stente elevatissima mortalità materna nei paesi abasso reddito.Centrale è la promozione dei servizi di salute sessua-le e riproduttiva, che devono assicurare non solo unapproccio olistico ai bisogni di salute della donna, maanche assistenza psicologica, sociale e legale (inclu-sa la prevenzione della violenza di genere).

4. PAESI POVERI IN TRAPPOLA Le diseguaglianze nella salute si stanno dilatando intutto il mondo anche perché solo in una piccola mino-ranza di nazioni (prevalentemente europee) vieneuniversalmente tutelato il diritto all’accesso ai servizisanitari. I sette paesi più popolosi del mondo che ol-trepassano il 50% della popolazione mondiale (Cina,India, Usa, Indonesia, Brasile, Pakistan e Russia) regi-strano elevate – in certi casi elevatissime – percentualidi popolazione priva di ogni forma di assicurazione sa-nitaria. E non mancano nel mondo diseguaglianze tra-giche nella salute. Sono quelle che riguardano ungruppo di 43 paesi a bassissimo reddito (appartenentiquasi tutti all’Africa sub-Sahariana) – corrispondenti acirca 900 milioni di abitanti – che condividono alcunecaratteristiche: sono i paesi più poveri della terra ehanno subito il trattamento della Banca mondiale (pri-vatizzazioni, drastici tagli della spesa pubblica persanità e istruzione, etc.) e dei loro stessi governanti(corruzione, fuga dei capitali, etc.), che ha comporta-to, tra l’altro, il progressivo disfacimento dei servizisanitari pubblici (inevitabile con una spesa sanitariapubblica generalmente inferiore a 10 dollari america-ni pro capite l’anno) e la migrazione massiccia di per-sonale sanitario qualificato verso i paesi più ricchi.Da queste popolazioni, intrappolate nel circolo per-verso di povertà e malattia, originano in larghissimaparte i 10 milioni di morti tra i bambini al di sotto dei 5 anni, i 550 mila decessi tra le donne a causa dellagravidanza e del parto, i 3 milioni di morti per Aids.Per non parlare di malaria, di tubercolosi e altre ma-lattie – tra cui alcune completamente trascurate, co-me le patologie del cavo orale – che solo in quei pae-si raggiungono così alti livelli di morbilità e letalità.Nei confronti di questi paesi ci vorrebbe un vasto in-tervento di solidarietà internazionale per garantire al-le popolazioni l’accesso senza barriere economicheai servizi sanitari essenziali e insieme non esaspera-re l’esodo del personale qualificato. Servirebbero alloscopo: a) la volontà dei governanti locali e – abbiamogià visto – b) l’indispensabile contributo della comu-

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nità internazionale pari a 28 miliardi di dollari all’annoper rafforzare, in certi casi ricostruire dalle fondamen-ta, i sistemi sanitari locali, privilegiando i servizi di cu-re primarie.

5. POVERTÀ E MIGRAZIONIIntervenire efficacemente nei confronti dei low incomefragile states con l’obiettivo di raggiungere gli Obiettividel Millennio avrebbe più di una conseguenza positiva.Produrrebbe non solo il miglioramento delle condizionidi vita di circa 900 milioni di persone (con la stima dicirca 6 milioni di vite salvate all’anno), ma attenuerebbeda una parte i rischi ben presenti oggi dei conflitti internie di guerre locali e dall’altra la spinta inarrestabile versola migrazione in direzione dei paesi più ricchi. Il fenomeno dell’immigrazione rappresenta un fisiolo-gico tentativo di reazione di chi è discriminato nell’ac-cesso alle risorse che possono consentire una vitadignitosa.Pur ricoprendo un ruolo significativo nella crescita eco-nomica e culturale dei paesi di approdo, i migranti con-tinuano a soffrire discriminazioni nell’esercizio dei dirittifondamentali e di profonde diseguaglianze nella salute.La salute delle persone straniere, vantaggiosa per il si-stema produttivo nazionale, è una variabile fortementedipendente dal perseguimento di politiche intersettoria-li in grado di agire sui determinanti socioeconomici(istruzione, occupazione, alloggio, inclusione sociale,etc.). La precarietà e l’instabilità del lavoro rendono lafamiglia migrante socialmente fragile; la diffusione diatteggiamenti di pregiudizio e di paura della diversitàostacolano un’effettiva inclusione dei migranti, laddovenon determino veri e propri fenomeni di ingiustizia so-ciale; leggi improntate sul sospetto e sulla difesa nonaiutano ad avviare percorsi di salute. A pagarne ilprezzo sono soprattutto bambini, donne, lavoratori.Un’area particolarmente critica è quella dei richieden-ti asilo e dei rifugiati (tra cui vi è una considerevoleproporzione di vittime di tortura), che ha bisogno diun’adeguata tutela giuridica e sociale, oltre che di unapproccio professionalmente competente.

6. A TRENT’ANNI DALLA DICHIARAZIONE DI ALMA ATA Per ridurre le diseguaglianze nella salute e per farcrescere la salute complessiva della popolazione, ènecessario usare soprattutto la leva delle “politichemultisettoriali”: l’istruzione e la cultura, il lavoro, la ca-sa, l’ambiente, il reddito, l’equa distribuzione del red-dito, come raccomandava già dal 1978 l’Organizza-zione mondiale della sanità nella Dichiarazione diAlma Ata.

«La salute è un fondamentale diritto umano e il rag-giungimento del più alto livello possibile di salute èuno dei più importanti obiettivi sociali nel mondo, lacui realizzazione richiede l’azione di molti altri settorisociali ed economici oltre al settore sanitario». La buona notizia è che recentemente l’Organizzazionemondiale della sanità è tornata a occuparsi di disegua-glianze nella salute e di diritto alla salute, con l’istitu-zione della Commissione sui determinanti sociali dellasalute, presieduta da Michael Marmot.«L’azione sui determinanti sociali della salute – affer-mava Marmot al momento dell’insediamento dellaCommissione nel 2005 – è necessaria non solo permigliorare la salute, ma anche perché quei migliora-menti indicheranno che la società si è mossa per an-dare incontro ai bisogni delle persone. Oggi si discu-te molto – spesso dogmaticamente – su cosa ègiusto o sbagliato nelle politiche economiche e socia-li. La Commissione avrà un solo dogma: le politicheche danneggiano la salute umana vanno identificatee, dove possibile, cambiate. In questa prospettiva laglobalizzazione e il mercato sono buoni o cattivi nellamisura in cui – nel bene o nel male – influenzano lasalute. Le diseguaglianze nella salute tra e all’internodei paesi sono evitabili. Non esiste alcuna ragionebiologica perché la speranza di vita debba essere di48 anni più lunga in Giappone rispetto alla SierraLeone o 20 anni più corta tra gli aborigeni rispettoagli altri australiani. Ridurre queste diseguaglianzesociali nella salute, venendo così incontro ai bisognidelle persone, è un problema di giustizia sociale».

LA DICHIARAZIONE DI ERICE 2008I partecipanti al corso di Erice “Globalizzazione e di-seguaglianze nella salute” condividendo quanto con-tenuto nei punti precedenti (argomenti che sono statioggetto delle relazioni, degli approfondimenti e dellediscussioni del corso), e facendo propria la denunciadel direttore editoriale di Lancet, riportata in epigrafe,si rivolgono alla società civile e alla comunità scienti-fica per affermare quanto segue:1. La comunità scientifica – in particolare coloro che

hanno il compito di produrre cultura, formazione ericerca – ha il dovere di affrontare in modo diffusoe sistematico i temi dell’equità, della difesa della di-gnità e della vita degli uomini, e di denunciareapertamente i terribili e crescenti squilibri che af-fliggono il nostro pianeta, anche e soprattutto nelcampo della salute.

2. Le Facoltà di Medicina e le altre strutture universi-tarie, sanitarie e di ricerca che si occupano di for-

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mazione nell’ambito socio-sanitario hanno il doveredi aprirsi maggiormente ai temi della “salute globa-le” per migliorare la qualità dell’offerta formativa,per rafforzare le competenze degli operatori sanita-ri e stimolare il loro ruolo di difensori e promotoridel diritto alla salute.

3. La realizzazione del diritto alla salute richiede l’a-zione di molteplici settori sociali ed economici.Richiede, tra l’altro, che l’accesso ai servizi sanitariessenziali sia garantito a tutti, senza barriere eco-nomiche: il mancato rispetto di questo principioproduce ogni anno milioni di morti, soprattutto trale fasce più vulnerabili della popolazione, e trasci-na nella miseria milioni di famiglie. Il prezzo più al-to di questa ingiustizia è pagato dalle popolazionidei paesi più poveri del pianeta, dove si concentrail massimo del carico di malattia e di morte.

4. La lotta alle diseguaglianze nella salute deve essereconsiderata come una fondamentale strategia permigliorare lo stato di salute della popolazione. Le ini-quità sociali nella salute indicano infatti la dimensio-ne dei miglioramenti possibili perché dimostranoquali gruppi hanno raggiunto i più alti standard di sa-lute possibili e inoltre indicano la possibilità da partedegli altri gruppi di sviluppare il proprio potenziale disalute in quel determinato tempo.

5. Il perseguimento di politiche intersettoriali e di con-trasto delle diseguaglianze è fondamentale ancheper tutelare il diritto alla salute delle persone stra-niere troppo spesso esposte a interventi discrimi-natori o volti all’esclusione.

6. Le iniquità sociali nella salute colpiscono particolar-mente le donne che hanno pari diritti ma bisognidifferenziati rispetto agli uomini e un accesso più li-mitato a risorse, informazioni, servizi e potere; perquesto tutti gli interventi a favore della salute devo-no essere accompagnati da un’analisi delle dise-guaglianze tra generi.

7. La cooperazione sanitaria internazionale non puòsottrarsi al dovere di intervenire, non può – comeha scritto R. Horton – “scegliere di non agire”. Lodeve fare da una parte aumentando in maniera rile-vante la quantità di risorse disponibili, dall’altra mo-dificando radicalmente le attuali strategie al fine di:a) garantire l’universalità di accesso alle prestazio-

ni, dando priorità assoluta alle fasce più vulne-rabili della popolazione, i bambini e le donne;

b) rafforzare i sistemi sanitari nel loro complesso,in alternativa o quanto meno in associazione al-le strategie basate sui programmi verticali;

c) investire, soprattutto, in risorse umane all’inter-

no del settore pubblico: formare, motivare, re-munerare degnamente il personale sanitario,per migliorare la qualità delle prestazioni e pernon esasperare il suo esodo verso il settore pri-vato o verso l’estero.

Hanno partecipato al corso in qualità di direttori mo-deratori, docenti e discenti, partecipando alla stesuradel documento finale e sottoscrivendone il contenuto:Affronti Mario, Università degli studi di Palermo;Anzaldi Maria Luisa, Asl Enna; Asaro Vincenzo,Azienda ospedaliera S. Giovanni di Dio - Agrigento;Bais Daniela, Azienda per i Servizi sanitari triestina;Barsanti Sara, Scuola superiore Sant’Anna - Pisa;Bassetti Andrea, Università degli studi di Firenze;Bertini Alessandro, Azienda sanitaria di Firenze;Biggeri Annibale, Università degli studi di Firenze;Blangiardi Francesco, Ausl Ragusa; BonaccorsiGuglielmo, Università degli studi di Firenze; BoncianiManila, Istituto superiore di sanità - Roma; CaldésPinilla Maria José, Ospedale pediatrico Meyer -Firenze; Casotto Claudio, Università degli studi diPadova; Cattaneo Adriano, Irccs Burlo GarofoloTrieste; Ciriminna Saverio, Dipartimento ispettoratosanitario regione Sicilia; Colussi Paola, Ulss Vicenza;Comodo Nicola, Università degli studi di Firenze;Costa Giuseppe, Università di Torino; Costagli Tiziana,Ausl Empoli; De Ponte Giulia, Amref Italia; Di CaccamoPatrizia, Roma; Fara Gaetano Maria, Università “LaSapienza” di Roma; Ferrera Giuseppe, Ausl Ragusa;Foresi Serena, Medici con l’Africa Cuamm, GeraciSalvatore, Caritas di Roma; Giammanco Giuseppe,Università di Catania; Giuliani Erica, Roma; IaboliLuca, Ausl Reggio Emilia; Levi Miriam, Università de-gli studi di Firenze; Lo Curzio Lavinia, Ausl Siracusa;Maciocco Gavino, Università degli studi di Firenze;Manfrè Cataldi Eliana, Ausl Ragusa; MarcecaMaurizio, Università “La Sapienza” di Roma; MeteRosario, Asl Roma; Miceli Giuseppe, Ausl Ragusa;Mislej Maila, Azienda per i Servizi sanitari triestina;Mogliani Elisa, Università degli studi di Padova;Olivani Pierfranco Maria, Irccs Milano; PalazziBarbara, Università degli studi di Padova; PanizzutDaniela, Ausl Milano; Panzera Angela, Università deglistudi di Udine; Paoletti Flavio, Azienda per i Servizisanitari triestina; Peraino Antonina, Ausl Trapani;Perillo Giuseppina, Università degli studi di Firenze;Perremuto Vito, Ausl Ragusa; Perucci Carlo A., AslRoma; Quintero Romero Sofia, Trieste; RapisardiAndrea, Firenze; Resti Carlo, Azienda ospedaliera SanCamillo Forlanini - Roma; Rivela Giuseppe, Ausl

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Ragusa; Rogialli Sandra, Azienda sanitaria di Firenze;Romanelli Marco, Università degli studi di Firenze;Rossitto Gina, Ausl Siracusa; Salvioni Anna, Aziendasanitaria di Firenze; Sanfilippo Emiliana, Azienda ospe-daliera S. Giovanni di Dio - Agrigento; SantomauroFrancesca, Università degli studi di Firenze; SciumèGerlando, Azienda ospedaliera S. Giovanni di Dio -Agrigento; Sicuro Anna, Azienda per i Servizi sanitari

triestina; Sironi Patrizia, Azienda ospedaliera diCremona; Spinelli Maria Elena, Università degli studidi Padova; Stefanini Angelo, Università di Bologna;Strohmenger Laura, Università degli studi di Milano;Tamburini Ludovica, Ausl Empoli; Trabona Rosolino,Azienda per i Servizi sanitari triestina; Trentin MariaLuisa, Ausl Vicenza; Trillò Maria Edoarda, Asl Roma;Turco Cristina, Azienda per i Servizi sanitari triestina.

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POLITICA SANITARIA

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In Messico fin dal 1997, ma più tardi anche inBrasile, in Nicaragua e in altri paesi sono statiattuati programmi per il trasferimento di denaroalle famiglie povere condizionato a mandare ifigli a scuola, migliorare l’alimentazione e usaredi più i servizi di salute preventivi. I primi risul-tati sono incoraggianti e mostrano miglioramentidello stato di salute, tanto che i primi programmipilota si stanno rapidamente estendendo.Anche in questo caso siamo dalle parti di AlmaAta.

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INTRODUZIONESi potrebbe affermare che l’idea che la medicina cu-rativa non sia l’unico determinante dello stato di salu-te di una popolazione è vecchia come il mondo.Senza risalire a Ippocrate, agli albori della medicinamoderna il medico e patologo tedesco Rudolf Virchow(1821-1902), considerato da molti come il fondatoredella medicina sociale, scriveva che «il miglioramentodella medicina potrà alla fine prolungare la vita uma-na, ma il miglioramento delle condizioni sociali puòraggiungere questo risultato più in fretta e con mag-giore successo»1. E all’inizio del secolo scorso, dall’al-tra parte dell’Atlantico, Charles-Edward Amory Winslow,fondatore della prima scuola di salute pubblica all’u-niversità di Yale, affermava che «la sanità pubblica èla scienza e l’arte di prevenire le malattie, prolungarela vita, promuovere la salute e l’efficienza fisica attra-verso l’impegno organizzato della comunità per lasalubrità dell’ambiente, il controllo delle infezioni co-munitarie, l’educazione degli individui sui principi d’i-giene personale, l’organizzazione di servizi medici einfermieristici per la diagnosi precoce e il tempestivotrattamento delle malattie, e lo sviluppo di un’organiz-zazione sociale che possa assicurare a ogni indivi-duo nella comunità uno standard di vita adeguato almantenimento della salute»2. La necessità di andareoltre la medicina e la salute pubblica per interagire«con gli Stati membri e con altre agenzie dell’Onu

per promuovere il miglioramento della nutrizione, del-l’abitazione, delle condizioni sanitarie, economiche,lavorative e ricreative e delle altre condizioni d’igieneambientale» è riaffermata nell’atto costitutivo del-l’Oms 3, ed è definitivamente sancita nella Dichia-razione universale dei diritti umani: «Ogni persona hadiritto a un adeguato livello di vita che assicuri a lui ealla sua famiglia la salute e il benessere, inclusi il ci-bo, il vestiario, l’abitazione, l’assistenza medica e iservizi sociali necessari e il diritto alla sicurezza incaso di disoccupazione, malattia, disabilità, vedovan-za e vecchiaia»4. Come sono stati applicati questiprincipi nella pratica? Come hanno influenzato lo svi-luppo dei sistemi sociali e sanitari nazionali e le politi-che globali? Restano validi e applicabili oggi?

DAL DOPOGUERRA AD ALMA ATACon poche eccezioni, non si può certo dire che, dopoil 1948, le politiche di salute nazionali e globali si sia-no adeguate alle grandi dichiarazioni di principio bre-vemente ricordate nell’introduzione. Le ragioni sonoprobabilmente molteplici e potrebbero essere rias-sunte nelle seguenti:> l’associazione tra salute e condizioni sociali era

messa in evidenza soprattutto dai paesi del bloccosocialista. Con la guerra fredda e il conseguentemaggior peso assunto dai paesi capitalisti nelleagenzie Onu, quest’associazione tendeva a essere

Alma Ata ha segnato una svolta per le politiche sanitarieglobali e nazionali. Era prevedibile che la sua applicazione si scontrasse con resistenze e ostacoli di vario tipo. Non era prevedibile che ciò succedesse così presto.Ma è veramente morta la Phc? Non del tutto. Vi sono segnali di risveglio e di recupero che fanno sperare, con cauto ottimismo, al risorgere e al rinnovarsi dei principiche l’hanno ispirata.

>

di Adriano Cattaneo*

* Irccs Burlo Garofolo, Trieste

Le politiche sanitarie globalia trent’anni da Alma Ata

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messa da parte a favore di politiche sanitarie basa-te sul modello medico.

> Molti paesi a basso reddito erano ancora colonie ei loro sistemi sanitari erano copie di quelli dei paesidominanti, dove tra l’altro si formavano i medici e ipolitici incaricati di gestire i servizi e di formare glioperatori sanitari locali.

> Sono anni d’impetuoso sviluppo tecnologico, contendenza a credere che farmaci, vaccini e altre tec-nologie diagnostiche e terapeutiche avrebbero rag-giunto un livello di perfezione tale da sconfiggere legrandi piaghe che affettavano l’umanità.

> Cresce di pari passo la potenza economica e diconseguenza la capacità di lobby dell’industriamultinazionale di queste tecnologie sanitarie, ov-viamente interessata a mettere in risalto l’efficaciadei suoi prodotti per sconfiggere le malattie e mi-gliorare la salute.

> I sistemi sanitari nazionali e locali sono dominati daimedici, che oppongono una quasi naturale resisten-za all’idea che la salute possa migliorare con inter-venti sociali e tendono perciò a far pressione affin-ché gli investimenti per la salute restino alla sanità.

> Infine, l’Oms punta soprattutto su programmi verti-cali per il controllo o l’eradicazione di vaiolo, malaria,tubercolosi, framboesia e altre malattie, rafforzandol’idea che gli interventi medici e di salute pubblicasiano prioritari rispetto agli interventi sociali o per ilrafforzamento “orizzontale” dei sistemi sanitari.

Dalla metà degli anni Sessanta, tuttavia, si ricominciaa parlare di politiche sanitarie e sociali. A questa svol-ta contribuiscono numerosi fattori, tra i quali vale lapena ricordare:> la maggiore influenza che vanno acquisendo a li-

vello globale i paesi socialisti e il gruppo dei paesinon allineati, creato nel 1955 dopo la conferenza diBandung, con i loro successi, presunti e reali, incampo sociale e sanitario.

> La fine del colonialismo e il raggiungimento dell’indi-pendenza da parte di molti dei paesi chiamati alloradel Terzo mondo, con il conseguente affrancamentoanche in tema di sviluppo di politiche della salute.

> La delusione per i magri risultati raggiunti dai pro-grammi verticali dell’Oms, tutti progressivamenteabbandonati, con l’eccezione di quello per l’eradi-cazione del vaiolo che proseguirà fino al successofinale nel 1980.

> I successi riportati da molte politiche sociali e sani-tarie in vari paesi, compresi alcuni non appartenen-ti al blocco socialista come il Costarica, lo SriLanka e lo stato indiano del Kerala5.

> La crescente influenza della società civile, rappre-sentata da ong, comunità ecclesiastiche, movimen-ti popolari e altre associazioni (ci stiamo avvicinan-do al 1968), rispetto alla lobby sanitaria.

A queste tendenze globali bisogna aggiungere alcuniepisodi specifici che segnano un punto di svolta. Nel1973 l’Assemblea mondiale della sanità elegge comedirettore generale dell’Oms il danese Halfdan Mahler.Avendo lavorato per dieci anni nel subcontinente in-diano nel programma per il controllo della tubercolo-si, Mahler conosceva dall’interno i limiti dell’approccioverticale. Inoltre, per formazione politica e religiosa,era figlio di un predicatore battista, tendeva a vederenello sviluppo dei sistemi sanitari un mezzo per rag-giungere la giustizia sociale 6. Mahler istituisce subitodopo la sua elezione una Divisione per il rafforza-mento dei servizi sanitari e nomina come responsabi-le Kenneth W. Newell, un membro della ChristianMedical Commission che già lavorava all’Oms comeepidemiologo. A Newell affida l’incarico di proporreidee innovative per lo sviluppo dei sistemi sanitari. Irisultati di questo lavoro furono pubblicati nel 1975,con un richiamo ad andare oltre il settore salute:«Abbiamo studi che dimostrano come molte delle cau-se dei problemi sanitari derivino dalla società e comeun approccio sanitario settoriale sia inefficace»7. La fi-ne per l’approccio medico alla salute basato sui pro-grammi verticali sembra materializzarsi in quellostesso anno, quando l’Oms e l’Unicef, in un docu-mento congiunto, enfatizzano il ruolo della povertà edi altri fattori sociali nell’origine delle malattie e pro-pongono approcci alternativi per andare incontro aibisogni di salute delle popolazioni dei Paesi in via disviluppo 8, e diventa ufficiale nel 1976 quando Mahlerlancia all’Assemblea mondiale della salute l’idea del-la “salute per tutti” nel 2000, idea che «implica la ri-mozione degli ostacoli alla salute, e cioè l’eliminazio-ne della malnutrizione, dell’ignoranza, dell’acquacontaminata e delle abitazioni inadeguate, nella stes-sa misura in cui implica la soluzione puramente me-dica dei problemi di salute».

ALMA ATATutto ciò si concretizza ad Alma Ata, in Unione Sovie-tica, dove l’Oms e l’Unicef organizzano assieme, dal6 al 12 settembre 1978, una Conferenza internazio-nale sulla Primary Health Care. Alla conferenza par-tecipano oltre 3.000 delegati in rappresentanza di134 governi e 67 tra organismi internazionali e orga-nizzazioni non governative (Figura).La conferenza si conclude con l’approvazione della

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FIGURA / La conferenza di Alma Ata e i delegati durante una pausa di lavoro

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Dichiarazione di Alma Ata, della quale vale la penacitare alcune frasi 9:> «La salute, come stato di benessere fisico, menta-

le e sociale e non solo come assenza di malattia oinfermità, è un diritto fondamentale dell’uomo el’accesso a un livello più alto di salute è un obietti-vo sociale estremamente importante, d’interessemondiale, e presuppone la partecipazione di nu-merosi settori socio-economici oltre che di quellisanitari».

> «Le profonde diseguaglianze nello stato di salutetra i paesi più industrializzati e quelli in via di svi-luppo, così come all’interno dei paesi stessi, sonopoliticamente, socialmente ed economicamenteinaccettabili e costituiscono motivo di preoccupa-zione comune per tutti i paesi».

> «Un livello accettabile di salute per tutti i popoli delmondo nell’anno 2000 può essere raggiunto me-diante un uso pieno e migliore delle risorse globali,una parte considerevole delle quali è attualmentespesa in armi e conflitti militari».

La strategia indicata dalla Dichiarazione di Alma Ataper raggiungere gli obiettivi della “salute per tutti nel2000” è la Primary Health Care (Phc), basata suiprincipi dell’equità, della volontà politica, della parte-cipazione della comunità, dell’intersettorialità, dellapromozione della salute e dell’uso di tecnologie ap-propriate. La cosiddetta comprehensive Phc è defini-ta come «assistenza sanitaria essenziale basata sumetodi praticabili, scientificamente validi e social-mente accettabili e su tecnologie rese universalmen-te accessibili a individui e famiglie nella comunità at-traverso la loro piena partecipazione e a costi che lacomunità e il paese possano permettersi di abborda-re a ogni stadio del loro sviluppo in uno spirito di au-tonomia e autodeterminazione». Essa comprende:> educazione sui problemi di salute più importanti e

sui metodi per prevenirli e controllarli;> promozione di un’adeguata alimentazione e del

rifornimento di cibo;> adeguato rifornimento di acqua pulita e adeguata

eliminazione degli escreti;> assistenza materno-infantile, compresa la pianifi-

cazione familiare;> immunizzazione contro le più importanti malattie

infettive;> prevenzione e controllo delle malattie endemiche

locali;> trattamento appropriato delle malattie e dei traumi

più frequenti;> rifornimento di farmaci essenziali.

DOPO ALMA ATACome si evince da questo breve riassunto, Alma Atasegnava una svolta per le politiche sanitarie globali enazionali. Era prevedibile che la sua applicazione siscontrasse con resistenze e ostacoli di vario tipo.Non era prevedibile che ciò succedesse così presto.Poco più di un anno dopo, il 1° novembre 1979, laprestigiosa rivista medica New England Journal ofMedicine pubblica un articolo sulla selective Phc 10.Gli autori, associati all’università di Harvard, lavora-vano per la Rockefeller Foundation. Partendo dallaconstatazione che le risorse sono limitate, che il tem-po stringe e che non si può far tutto, e dopo averesposto il risultato di alcuni discutibili calcoli del rap-porto costo/efficacia di vari interventi medici, essigiungono alla conclusione che la Phc debba essereselettiva e concentrarsi sulle vaccinazioni contro mor-billo, difterite, pertosse e tetano, sul trattamento dellamalaria e della diarrea, e sulla promozione dell’allat-tamento al seno. Più o meno allo stesso tempo, ilComitato esecutivo dell’Unicef nomina come suo di-rettore James P. Grant, un medico statunitense, figliodi missionari protestanti in Cina e con esperienza di la-voro nello stesso paese. Sostituisce Henry Labouisse,che aveva promosso iniziative di comunità per salute,nutrizione, educazione formale e informale, acqua eigiene; che aveva, soprattutto, firmato con Mahler laDichiarazione di Alma Ata. James Grant è utopista ecarismatico, come Mahler, ma anche pragmatico. Nel-l’assumere il ruolo di direttore esecutivo dell’Unicef il1° gennaio 1980, sposa immediatamente la causadella selective Phc. Con il suo entusiasmo convincerapidamente governi e donatori, ma anche la stessaOms, a lanciare nuovi programmi verticali. Il primo èispirato direttamente dall’articolo del New EnglandJournal of Medicine e sarà conosciuto in tutto il mondocon l’acronimo Gobi (Growth monitoring, Oral rehydra-tion, Breastfeeding, Immunization). Sarà il progenitoredi una lunga serie di iniziative simili; il nipote attual-mente più famoso del Gobi si chiama Gf-Atm (GlobalFund against Aids, Tuberculosis and Malaria).La selective Phc è debole dal punto di vista teorico:> le analisi costo/efficacia sono difficili, inaccurate sia

per il calcolo dei costi sia per la stima dell’efficacia,non universali in quanto costo ed efficacia varianoal variare delle situazioni e, soprattutto, tendono aescludere attività costose ma con effetti positiviche vanno ben oltre la salute, come l’approvvigio-namento di acqua, la nutrizione, l’educazione.

> L’approccio di rischio, sia per i gruppi di popolazio-ne sia per i problemi sanitari da affrontare, non

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sempre assicura la maggiore efficacia; a volte siottiene una maggiore riduzione del carico di malat-tia applicando un intervento efficace a tutta una po-polazione piuttosto che a un sottogruppo 11.

> L’enfasi sugli interventi medici efficaci fa dimentica-re o mettere in secondo piano i determinanti socialidi salute e malattia, la disponibilità e l’accessibilitàdi risorse, le condizioni di vita e di lavoro, l’educa-zione, la cultura; eradicare la poliomielite senzacambiare le condizioni di igiene, ignoranza e po-vertà elimina sì una malattia, ma lascia inalterate lecondizioni per tutte le altre.

> È ormai dimostrata la tendenza dell’approccio selet-tivo a non rafforzare, anzi a indebolire il sistema sa-nitario e il suo funzionamento, togliendogli risorse12.

Ma può avere degli indubbi vantaggi, soprattutto secomparati agli speculari svantaggi della comprehen-sive Phc (Tabella).

ALTRI ATTORIMentre Oms e Unicef firmano la Dichiarazione di AlmaAta e si dibattono nel dubbio tra comprehensive eselective Phc, scegliendo però di mettere in praticaquest’ultima, un altro attore decide di inserirsi nel gio-co e lo fa a gamba tesa, minando alla radice politichee sistemi sanitari. Con un documento pubblicato nel1987, la Banca mondiale afferma, senza presentareprove, che «l’approccio più comune all’assistenza sa-nitaria nei paesi in via di sviluppo è stato quello ditrattarla come un diritto di cittadinanza e di tentare difornire a tutti servizi gratuiti. Questo approccio di soli-

to non funziona»13. Qualche anno dopo, nel 1993, civa giù ancora più dura: «I paesi a reddito medio/bas-so non possono offrire a tutta la popolazione tutte leprestazioni sanitarie, ma solo pacchetti di prestazionidi provata efficacia e di costo compatibile col redditoper abitante; gli abitanti con reddito più elevato po-tranno acquistare i servizi non compresi in questipacchetti nel libero mercato della merce salute» 14.Sono due operazioni allo stesso tempo: da un lato siavalla l’approccio della selective Phc, dall’altro si ap-plicano le politiche neoliberiste che proprio negli anniOttanta, con Reagan e Thatcher, iniziavano a preva-lere su quelle socialdemocratiche e liberali che leavevano precedute. Secondo il credo neoliberistadella Banca mondiale il mercato, libero da interferen-ze governative, è il migliore e più efficiente distributo-re di risorse, ed è pertanto il meccanismo più efficaceper promuovere il bene pubblico, compresa la salute.Si devono perciò concentrare gli sforzi sulla crescitaeconomica, senza badare alle conseguenze a brevetermine: il resto, salute compresa, verrà da sé, anchese a costo di qualche dolore iniziale.Alla Banca mondiale si affianca il Fondo monetariointernazionale, alloggiato del resto nelle vicinanzedella banca, a Washington. Assieme le due istituzioninate a Bretton Woods promuovono, meglio sarebbedire impongono, i cosiddetti Piani di aggiustamentostrutturale. Per il settore salute questi comportano lariduzione della spesa pubblica, l’incoraggiamento delsettore privato, la separazione delle funzioni di acqui-sto da quelle di offerta dei servizi sanitari, e l’enfasi

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TABELLA / Vantaggi della selective e svantaggi della comprehensive Phc

Selective Phc

Cicli di programmazione brevi, spesso coincidenti con i ciclifinanziari dei donatori (e con i cicli elettorali, in caso di dona-tori governativi)

Raccolta di fondi (pubblici e privati) relativamente facile

Rendicontazione relativamente facile (pur se diversa da do-natore a donatore)

Controllo affidato ad agenzie e organizzazioni specifiche, oal ministero della Salute

Possibilità di successi “raccontabili” a breve termine

Grande visibilità attraverso rapporti annuali o specifici e usoaccorto dei media

Comprehensive Phc

Nessun ciclo di programmazione, o cicli di programmazionelunghi, vaghi e flessibili, in ogni caso non coincidenti con i ciclifinanziari dei donatori

Non è facile stimare quanti soldi servono e per quanto tem-po, donatori poco interessati

Non si sa dove vadano a finire esattamente i soldi, spese di-stribuite nel “sistema”

Non esiste un ministero di controllo (intersettoriale per defi-nizione)

Nessun risultato a breve termine, necessità di investimentisul lungo periodo

Scarsa o nessuna visibilità

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sull’efficienza rispetto all’equità. Uno dei risultati piùmalefici sulla salute delle politiche congiunte di Ban-ca mondiale e Fondo monetario internazionale è l’in-troduzione quasi universale delle user fees, cioè delpagamento totale o parziale delle prestazioni sanita-rie da parte dell’utente. Le user fees hanno reso co-stosi e inaccessibili, per ampi strati di popolazione ditutti i paesi a basso e medio reddito, ma anche pergruppi di popolazione dei paesi ad alto reddito, anchei più semplici interventi medici. Questa politica, chedifferenzia l’accessibilità ai servizi, è intrinsecamenteiniqua, e cioè contraria a uno dei principi fondamen-tali della Phc. Le user fees sono ormai passate dimoda, ma ci vorranno ancora molti anni per eliminar-ne gli effetti.

MACROECONOMIA E SALUTEL’Unicef, pur restando fedele all’approccio selettivoalla Phc, si rende conto dei danni causati dai Piani diaggiustamento strutturale e tenta di porvi rimediopromuovendo le cosiddette reti di sicurezza: sussididistribuiti in vario modo, sotto forma di servizi, a pro-tezione delle fasce più deboli della popolazione.Come usare un cerotto per trattare il cancro. L’Omsinvece non reagisce, e quando lo fa è già troppo tar-di. E il modo in cui lo fa è per lo meno discutibile, senon sbagliato. Mentre continua a rivisitare i suoi pro-grammi verticali (vaccinazioni, malaria, tabacco, Aids,etc.), chiede a un famoso economista dello sviluppo,professore ad Harvard, di redigere un rapporto sumacroeconomia e salute 15. Le conclusioni di questorapporto possono essere così riassunte:> i servizi sanitari non sono un diritto, ma un bene di

consumo, e sono quindi soggetti alla legge delladomanda e dell’offerta, alle leggi del libero merca-to, alle regole dell’Organizzazione mondiale per ilcommercio (come gli accordi Gats e Trips).

> Maggiore e migliore salute porta a sviluppo e cre-scita economica. Il rapporto cerca di dimostrare,senza riuscirci, questo rapporto di causa ed effetto,dimenticando che la relazione tra salute e povertàè a doppia via, ma non è simmetrica: la povertà è ilpiù importante singolo determinante di una cattivasalute, ma la cattiva salute è lungi dall’essere il piùimportante singolo determinante della povertà 16.

> Investire in salute (34 dollari per persona/anno nel2015) è quindi essenziale per far aumentare il Pil(94 miliardi di dollari darebbero un ritorno di 186miliardi di dollari).

> Questi investimenti dovrebbero essere diretti apacchetti essenziali di interventi efficaci (ancora

una volta una raccomandazione in linea con la se-lective Phc e dimentica dello sviluppo dei sistemisanitari).

> Gli investimenti dovrebbero essere prodotti e con-trollati da partnership pubblico/privato, cioè daFondi globali con la partecipazione di agenziedell’Onu, della Banca mondiale, di rappresentantidei governi dei paesi ricchi, di delegati delle impre-se multinazionali.

In conclusione, il rapporto suggerisce una soluzionetecnica per complessi problemi politici, facendo fintadi non vedere che manca sia la volontà di risolverequesti ultimi sia quella di mettere in atto con decisio-ne le soluzioni tecniche. Perché l’economista Sachssi inerpica su una rischiosa teoria di “salute come de-terminante di sviluppo e di crescita economica” e nonpropone di ridurre la povertà con misure a lui più fa-miliari? Perché non invoca, ad esempio, la cancella-zione del debito, o la riduzione del protezionismo, ol’eliminazione dei sussidi alle produzioni agricole e in-dustriali dei paesi ricchi, o l’istituzione della Tobin taxo di altre tasse di settore? Perché non invoca unmaggior intervento dello stato, non solo nell’erogazio-ne di servizi, ma anche nella redistribuzione del red-dito e nella modificazione degli assetti di proprietà(riforma agraria, politica fiscale, etc.)?

IL PRESENTE E IL FUTURO DELLA PHCLa Phc nasce dall’evidente inadeguatezza dell’ap-proccio puramente medico e sanitario ai problemi disalute. Questa inadeguatezza permane ed è tuttoraevidente; la Phc si mantiene perciò attuale. Ma met-terla in pratica comporta un difficile cambiamento diparadigma, se non di ideologia: si deve mentalmentepassare dalla sanità alla salute, dai determinanti bio-logici a quelli sociali, dalla cura alla promozione e allaprevenzione, dall’ospedale alla comunità e alla salutepubblica, dal centro alla periferia, dall’operatore sani-tario al cittadino (empowerment). Non è facile: mancala volontà politica e resiste chi detiene il potere, le ri-sorse e le competenze tecniche sono scarse, si ten-de sempre più, in tutto il mondo, a considerare la sa-lute una merce e non un diritto. Il rischio è che, pernon stravolgere i paradigmi a cui siamo abituati, si ri-duca la Phc al primo contatto tra l’utente e i servizisanitari, alla fornitura di servizi sanitari alle popolazio-ni meno privilegiate, ai servizi offerti da operatori dibasso livello (non medici), ai servizi offerti nei dispen-sari e nei posti di salute, ai servizi che costano poco,considerati adatti per i poveri che non possono per-mettersi la “vera” medicina, a un pacchetto di servizi

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essenziali. Inoltre, i ministeri coinvolti nella Phc diffi-cilmente comunicano e si coordinano (con quello del-la salute che fa spesso da cenerentola), l’integrazio-ne delle attività è spesso vista come una minaccia aibudget di settore, non vi sono incentivi economici aun approccio integrato e intersettoriale, le priorità deigoverni sono spesso decise dal contingente più cheda un’analisi razionale e da una strategia di lungo pe-riodo, ed è difficile raccogliere e fornire prove dell’effi-cacia sulla salute di interventi non sanitari (abitazio-ne, acqua, trasporti, politiche agricole ed alimentari,istruzione, educazione, etc.). Con queste difficoltà, econ gli attuali rapporti di forza, non c’è da stupirsi sela Phc non è quasi citata nella Millennium Declaratione nei Millennium Development Goals.Ma è veramente morta la Phc? Non del tutto. Vi sonosegnali di risveglio e di recupero che fanno sperare,con cauto ottimismo, al risorgere e al rinnovarsi deiprincipi che l’hanno ispirata:> l’Oms ha costituito nel marzo 2005 una Commissio-

ne sui determinanti sociali della salute. Il rapporto fi-nale della Commissione è atteso tra poco. Nel frat-tempo sono stati pubblicati i rapporti specifici deivari gruppi di lavoro: sviluppo del bambino, donneed equità di genere, condizioni di lavoro, ambientiurbani, esclusione sociale, globalizzazione, sistemisanitari, priorità per la salute pubblica, sistemi di mi-sura ed evidenze scientifichea. Leggendo questi rap-porti è evidente che si sta tornando ad Alma Ata.

> Vi sono iniziative di singoli paesi per l’elaborazionedi politiche di rafforzamento dei sistemi sanitari eper affrontare i determinanti sociali di salute. Sitratta in generale di paesi ad alto o medio redditocome il Canada, la Nuova Zelanda, la Svezia, laGran Bretagna, il Messico, il Brasile, il Venezuela, ilSudafrica. Ma sono iniziative che fanno ben sperare.

> In Svezia, per esempio, la strategia di salute pub-blica approvata nel 2003 punta su partecipazione einfluenza nella società, sicurezza economica e so-ciale, condizioni sicure e favorevoli nell’infanzia el’adolescenza, vita lavorativa più sana, ambiente eprodotti sicuri e salutari, servizi sanitari che pro-muovono la salute, protezione efficace contro lemalattie infettive, sessualità sicura e buona saluteriproduttiva, aumento dell’attività fisica, buona ali-mentazione e cibi sicuri, ridotto uso di alcool e ta-bacco, niente droghe e gioco d’azzardo 17. Non sia-mo lontani da Alma Ata.

> In Messico fin dal 1997, ma più tardi anche in Bra-sile, in Nicaragua e in altri paesi sono stati attuatiprogrammi per il trasferimento di denaro alle fami-

glie povere condizionato a mandare i figli a scuola,migliorare l’alimentazione e usare di più i servizi disalute preventivi 18,19. I primi risultati sono incorag-gianti e mostrano miglioramenti dello stato di salu-te, tanto che i primi programmi pilota si stanno rapi-damente estendendo. Anche in questo caso siamodalle parti di Alma Ata.

> Per il rafforzamento dei sistemi sanitari, compresala collaborazione intersettoriale, nei paesi a bassoreddito si sono recentemente mossi i governi diNorvegia e Gran Bretagna. Il primo ministro norve-gese Jens Stoltenberg, che mostra il suo interesseper la salute pubblicando anche degli editoriali sulLancet 20,21, ha lanciato nel settembre 2006 un’ini-ziativa tendente ad accelerare il raggiungimentodegli Obiettivi del Millennio relativi a donne e bam-bini. Contrariamente a precedenti iniziative, quellanorvegese non propone un approccio verticale, mamira a far convergere su attività comuni per raffor-zare i sistemi sanitari e i piani nazionali dei paesibeneficiari i fondi provenienti da vari donatori 22. Il 5settembre 2007 il primo ministro britannico GordonBrown ha lanciato una nuova partnership sulla sa-lute internazionale che si propone di «mettere l’ac-cento sul miglioramento dei sistemi sanitari nel loroinsieme e non solo su interventi per singole malat-tie, mediante un migliore coordinamento tra dona-tori e nel rispetto dei piani di salute dei paesi bene-ficiari» b. Questa iniziativa segue la pubblicazione diun documento tecnico che ne spiega la base razio-nale 23, ed è stata già condivisa dai governi di nu-merosi paesi, compresa l’Italia.

> L’Italia che in un documento prodotto nel maggio2007 per gli Stati generali della Solidarietà e coo-perazione sanitaria convocati dall’allora vicemini-stro con delega alla cooperazione Patrizia Sen-tinelli ribadisce la necessità di attenersi ai principidi Alma Ata c. Se ciò porterà a modificare le strate-gie di cooperazione verso interventi e programmi acarattere intersettoriale e con enfasi sul rafforza-mento dei sistemi sanitari, resta da vedere.

> Ma anche associazioni professionali e non gover-native si muovono nella stessa direzione e hannorecentemente promosso un’iniziativa chiamata 15by 2015 d, una campagna che invita tutti i donatoriad assegnare per lo meno il 15% dei fondi per lacooperazione al rafforzamento dei sistemi sanitarie al miglioramento della qualità delle cure primarieentro il 2015.

> Infine, una rete di associazioni presenti in molti paesiha creato nel 2000 il People’s Health Movement e,

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un movimento della società civile che si propone dirivitalizzare la Phc e che ha già organizzato dueassemblee mondiali per la salute dei popoli, aDacca, Bangladesh, nel 2000 e a Cuenca, Ecua-dor, nel 2005. Il movimento ha prodotto anche unaCarta per la salute dei popoli che invita i popoli del-la terra a chiedere ai loro governi:- trasformazioni radicali nel funzionamento di Ban-

ca mondiale, Fondo monetario internazionale eOrganizzazione mondiale per il commercio;

- la cancellazione del debito dei paesi poveri;- regole efficaci per controllare il potere delle multi-

nazionali;- pace e protezione per l’ambiente;- politiche agricole per la gente, non per il mercato;- il controllo e la tassazione dei capitali speculativi;- la verifica dell’impatto sulla salute delle politiche

economiche;- priorità per istruzione e salute, con uno stop alla

privatizzazione e un aumento dell’investimentopubblico ad almeno il 70% del bilancio sanitario esociale;

- accesso universale a servizi integrati di salute, inbase ai bisogni, non alla capacità di pagare;

- enfasi sulla promozione, la prevenzione e la par-tecipazione;

- rafforzamento, anche dal punto di vista legale,del lavoro intersettoriale e interdisciplinare.

Se son rose, fioriranno.

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COOPERAZIONE SANITARIA

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Il progetto ha permesso, nell’arco di temporelativamente breve della prima fase, di avviarela ricostituzione del Programma angolanocontro la tubercolosi. Sono stati riattivati moltiservizi, definite le norme e le procedure diintervento, formato il personale ai vari livelli,introdotta e strutturata la pratica dellesupervisioni e della valutazione di performance.Al tempo stesso non devono essere ignoratialcuni aspetti critici che, se non risolti nel corsodella seconda fase, rischiano di vanificareo quantomeno ridimensionare sensibilmente i risultati fino a oggi conseguiti.

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INTRODUZIONEDa anni obiettivi e strategie di intervento dei pro-grammi nazionali di controllo della tubercolosi sonostati definiti e standardizzati a livello internazionalesotto l’egida dell’Oms. Per tutti gli aspetti operativi(modalità diagnostiche, schemi terapeutici, procedureper il controllo di qualità, sistemi e flussi informativi,formazione del personale, modalità di coinvolgimentodelle comunità) sono disponibili collaudate proceduree linee guida, con particolare focus per i contesti e leesigenze dei Paesi in via di sviluppo.A fronte di tutto questo, tuttavia, i progressi registratirisultano ancora insufficienti e, molto spesso, fragili.La distanza tra la realtà e le mete da raggiungere re-sta grande e pone interrogativi sulla natura degli in-terventi in atto, sugli approcci adottati e le modalità diimplementazione.

L’ANGOLA E IL PROGRAMMA NAZIONALE DI CONTROLLO DELLA TUBERCOLOSIL’Angola è un paese grande quattro volte l’Italia, conuna popolazione stimata di circa 18 milioni di abitanti.È uscita nel 2002 da un interminabile tunnel di guerre

che l’hanno devastata per quasi un quarantennio: pri-ma la guerra liberazione dal giogo coloniale e poi laferoce guerra civile. Il paese è dotato di immense ri-sorse naturali (petrolio in primo luogo) e presenta unPil pro capite tra i più elevati dell’Africa sub-Saha-riana (2.235 dollari americani ppp nel 2005). Tuttaviail suo Indice di sviluppo umano si mantiene a livelliestremamente bassi (162º posto su 177 nel 2005). Èdunque un paese di gravi, paradossali contrasti, mi-nato da una pervasiva corruzione (il Transparency In-ternational Corruption Perception Index 2006 collocal’Angola tra i paesi più corrotti del mondo), animatoda grandi ambizioni di sviluppo, ma carente di risorseumane qualificate necessarie ad assicurare processidi crescita equilibrati ed efficaci.In questo contesto di povertà, di arretratezza, di gran-dissime sperequazioni sociali e di dinamiche economi-che proprie dei paesi “poveri” produttori di petrolio, latubercolosi non è il maggiore problema, ma rappre-senta certamente una grave emergenza sanitaria.Sono circa 60.000 i nuovi casi attesi ogni anno.Il Programma nazionale di controllo della tubercolosi(Pnct) fu istituito in Angola nel 1981 presso il Dipar-

I programmi finanziati dal Fondo globale contro Aids, tuber-colosi e malaria (Fg-Atm), attualmente la maggiore agenziadi finanziamento per interventi di controllo di queste malattie,costituiscono importanti casi-studio sull’impatto e l’efficaciadei meccanismi “globali” di cooperazione nel sostegno ai sistemi sanitari dei Paesi in via di sviluppo e ai programmi di controllo della tubercolosi in particolare.Questo articolo presenta una sintesi dell’esperienza del progetto “Support to the National TB Control Program”finanziato dal Fg-Atm a sostegno del Programma nazionaledi controllo della tubercolosi (Pnct) in Angola.

>

di Stefano Santini*

Tubercolosi, Angola, Fondo globaleL’ESPERIENZA DI UN PROGETTO A SOSTEGNO DEL PROGRAMMA NAZIONALE DI CONTROLLO DELLA TUBERCOLOSI FINANZIATO DAL FONDO GLOBALE IN ANGOLA

* Medici con l’Africa Cuamm

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timento di sanità pubblica del ministero della Sanità.Fu sottoposto a una importante revisione nel 1996,quando fu adottata la strategia del Trattamento di-rettamente osservato (Dot) e furono definiti nuovischemi di trattamento in coerenza con le raccoman-dazioni dall’Oms. Quegli aggiornamenti, tuttavia, fu-rono introdotti in una realtà profondamente arretra-ta, ancora incentrata in maniera verticale sulla retedei sanatori provinciali ereditati dall’epoca coloniale,con limitatissima integrazione nei servizi sanitari dibase, senza sufficienti finanziamenti e in un conte-sto ancora gravemente condizionato dalla persi-stente guerra civile. Di fatto nel 2002, al momentodella conseguita pacificazione, la situazione delPnct si caratterizzava per:> vaste porzioni del paese (e della popolazione)

escluse da qualsiasi accesso a servizi di diagnosie trattamento;

> gravi carenze di equipaggiamento (inclusi mezzi ditrasporto);

> disponibilità di farmaci e altri materiali di consumoirregolare e con prolungati periodi di rottura distock;

> assenza di efficaci programmi di supervisione emonitoraggio delle attività e di formazione/aggior-namento del personale;

> scarso rispetto delle norme e gestione anarchicadelle attività;

> grave sottofinanziamento e dipendenza dai dona-tori internazionali e dai progetti di svariate ong.

È in questo contesto che matura l’opportunità di be-neficiare dei finanziamenti del Fg-Atm.

IL PROGETTO DEL FONDO GLOBALE Il progetto “Support to the National TuberculosisControl Program” (Progetto Fg) ha iniziato le sue atti-vità nell’agosto del 2005 con l’obiettivo di riorganizza-re la rete dei servizi antitubercolari e assicurare l’ap-plicazione della strategia Oms del trattamentodirettamente osservato in 11 delle 18 province delpaese (circa l’85% della popolazione), con un finan-ziamento complessivo di 11.163.763 dollari americaniper cinque anni. In conformità con le norme del Fg il gestore respon-sabile del progetto, Principal Recipient (Pr), è sceltoin ogni paese dal “Meccanismo di coordinamento na-zionale”, organo in cui sono rappresentati il governo,le Agenzie della cooperazione internazionale e rap-presentanti della società civile. In Angola, per questoprogetto la funzione di Pr è stata affidata all’Undp,come pure la gestione degli acquisti di equipaggia-

mento e la realizzazione di un programma di capacitybuilding istituzionale a favore del ministero dellaSanità.La realizzazione della maggior parte delle attività pre-viste dal progetto, nonché la fornitura di assistenzatecnica alla Direzione del Pnct presso il ministero dellaSanità sono state affidate all’ong Medici con l’AfricaCuamm, con un finanziamento per la prima fase bien-nale del progetto di 4.662.725 dollari americani.Il monitoraggio e valutazione delle attività realizzate ela verifica della gestione contabile del finanziamentosono oggetto di regolari controlli affidati rispettiva-mente a un “Local Fund Agent” e a una agenzia in-ternazionale di auditing.

GLI OBIETTIVI SPECIFICI E LE ATTIVITÀ DEL PROGETTOIl progetto Fg fornisce risorse finanziarie per la realiz-zazione di un ampio ventaglio di attività e la copertu-ra di gran parte dei costi di gestione corrente delPnct. In pratica nessun aspetto è escluso, con l’ecce-zione dell’acquisto dei farmaci antitubercolari, per iquali altre fonti di approvvigionamento sono state ga-rantite (governo angolano e agenzie internazionali).Le principali attività previste per il primo biennio pos-sono essere riassunte nelle seguenti voci:> estendere la rete dei centri diagnostici e di tratta-

mento;> realizzare interventi di riabilitazione fisica dei centri

di diagnosi e trattamento e fornire equipaggiamen-to e materiali di consumo (reagenti di laboratorio,modulistica, cancelleria);

> fornire mezzi di trasporto (un auto per ciascun su-pervisore provinciale e un motociclo per ciascunsupervisore a livello municipale) e assicurare il fi-nanziamento dei costi di gestione;

> realizzare seminari di formazione del personale(supervisori, infermieri, tecnici di laboratorio);

> attivare programmi di supervisione, di incontri pe-riodici dei supervisori provinciali e municipali;

> realizzare sessioni di teatro comunitario di sensibi-lizzazione sulla tubercolosi.

Al termine della prima fase i target specifici definitidal progetto Fg sono stati sostanzialmente conseguitie in alcuni casi sono stati ottenuti risultati superiori al-le attese (vedi Tabella 1). Tuttavia una valutazionebasata esclusivamente su questi indicatori offre unalettura molto superficiale e formale dell’intervento enon permette di riconoscere l’impatto effettivo delprogetto sul Pnct angolano e sulla sua organizzazio-ne e gestione. A questo fine è opportuno valutare illavoro svolto sotto altre angolature.

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LE AREE PRIORITARIE DI INTERVENTO, I RISULTATI E LE LEZIONI APPRESEPartendo dalla constatazione dell’estrema debolezzadi tutte le funzioni di gestione e di coordinamento del-le attività del Pnct, la direzione del progetto Fg ha in-teso orientare l’intervento della prima fase soprattuttoin un’ottica di riattivazione delle procedure fondamen-tali di gestione del programma, a tutti i livelli del siste-ma (direzione nazionale, direzioni provinciali, centridiagnostici e di trattamento). A questo fine sono statericonosciute quattro aree prioritarie di intervento, perciascuna delle quali riportiamo le condizioni incontra-te all’inizio del progetto, gli interventi realizzati, i risul-tati conseguiti e le sfide ancora aperte.

1) Riqualificazione del Sistema informativoLa qualità del sistema informativo del Pnct si è pre-sentata all’inizio dell’intervento particolarmente bassa:le statistiche correnti disponibili a livello centrale offri-vano dati spesso incompleti e di dubbia accuratezza.A livello provinciale solo in due province esistevanoarchivi storici con i dati di attività degli ultimi due anni.L’analisi dei dati disponibili, disaggregati per provinciao per municipio, mostravano livelli di variabilità deiprincipali parametri di proporzioni non giustificabili condifferenze epidemiologiche, ma molto più verosimil-mente frutto di procedure di gestione del programmaprofondamente disomogenee e, non raramente, di ar-tefatti del sistema informativo. In ogni caso l’attendibi-lità dei dati risultava quantomeno discutibile. Nel 2004 le forme di tubercolosi extrapolmonare costi-tuivano a livello nazionale circa l’8% di tutti i casi nuovidiagnosticati, ma nelle singole province venivano noti-ficate in percentuali comprese tra lo 0,3% e il 41,7%.Nel 2005 le forme polmonari Bk+ costituivano a livel-

lo nazionale il 60% di tutti i casi nuovi notificati, manelle singole province mostravano valori compresi trail 28% e il 95%. La detection rate dei casi Bk+ pre-sentava, analogamente, un ampio ventaglio di valori,compresi tra il 33 e il 224/100.000 abitanti (contro unatteso stimato tra 150 e 180 casi per 100.000 abitan-ti). In questo caso, tuttavia, oltre a possibili errori nel-le procedure di notifica, esistevano e tuttora esistonoproblemi di stima della popolazione che rendono diincerta interpretazione qualsiasi elaborazione basatasu un denominatore popolazionale.Alla base di queste incongruenze e bassa qualità delsistema informativo stavano certamente la limitataformazione degli operatori e prassi inveterate erro-nee e non controllate. Non si deve tuttavia sottovalu-tare l’influenza che gli obiettivi di risultato, le mete daraggiungere, esercitano sulla raccolta, compilazionee elaborazione dei dati. In contesti poco sensibili allaveridicità e controllo di qualità dell’informazione nonsono infrequenti le distorsioni tese ad assecondare ilraggiungimento delle mete.Per questi motivi la Direzione del progetto Fg ha po-sto particolare attenzione a non correlare il processodi riqualificazione del sistema informativo agli indica-tori e ai target di risultato definiti dal progetto stesso(numero delle diagnosi, delle conversioni della bacil-loscopia al secondo mese e dei trattamenti completa-ti), al fine di evitare o quantomeno minimizzare il ri-schio, sempre presente in questi contesti, di vederincrementare gli artefatti e l’inaffidabilità dei flussiinformativi a opera di operatori disattenti o interessatia mostrare una buona performance fittizia.L’enfasi è stata posta sulle procedure e le qualità in-trinseche del sistema informativo (completezza, ac-curatezza dei dati, tempestività e regolarità del loro

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TABELLA 1 / Indicatori del progetto: obiettivi e risultati conseguiti nella prima fase

Indicatore Risultato conseguito Obiettivo % di successo

Casi totali diagnosticati (nuovi e ritrattamento) 61.390

Casi nuovi totali diagnosticati (Bk+, Bk-, Ep) 56.745

Casi nuovi Bk+ diagnosticati 32.130 33.000 97%

Pazienti Bk+ la cui bacilloscopia al 2º mese vira negativa 18.618 19.650 95%

Pazienti Bk+ che hanno completato il trattamento Dot 23.234 17.400 133%

Centri Dot creati o rinnovati 35 34 103%

Staff formati (infermieri, logisti, supervisori) 482 377 128%

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invio) e sul rispetto delle norme di gestione degli ar-chivi. In effetti al termine dei due anni della prima fa-se i risultati conseguiti su questo fronte mostrano se-gnali positivi e sono riassumibili nei seguenti punti: > maggiore completezza dei dati. Le statistiche inol-

trate dalle province raccolgono dati dalla quasi to-talità dei centri (raramente ne mancano alcuni al-l’appello) e i vari debiti informativi sono rispettati inmisura superiore al 90%.

> Maggiore accuratezza dei dati. Le incongruenzeosservate in passato si stanno progressivamenteriducendo e le visite di supervisione permettono diconfermare che, nonostante non sia stato ancoraraggiunto un livello ottimale, i dati risultano fotogra-fare in maniera più corretta la realtà.

> Invio puntuale dei rapporti di attività. I rapporti tri-mestrali di attività sono inviati alla Direzione delPnct entro i primi 60 giorni di ogni nuovo trimestre,permettendo l’aggiornamento delle statistiche na-zionali in tempi ragionevolmente rapidi.

> Documentazione archiviata e disponibile. Negli ar-chivi provinciali i rapporti di attività di tutti i centriattivi sono conservati ordinatamente e sono dispo-nibili per le ispezioni di verifica.

Il progetto, oltre a dedicare ampie sessioni formative alsistema informativo nei corsi e negli incontri organizzatia tutti i livelli, ha introdotto un set di parametri di valuta-zione del sistema informativo che con cadenza trime-strale ne ha verificato la qualità. Sono stati così attribuitipunteggi e calcolate le percentuali di rispetto di stan-dard minimi di qualità. Il monitoraggio trimestrale deiparametri ha evidenziato un incremento progressivodella qualità del sistema informativo (vedi Figura 1).

2) SupervisioneIn Angola non è mai esistita una prassi consolidata estrutturata di supervisione delle attività dei centri didiagnosi e trattamento della tubercolosi. In alcuneprovince alcuni progetti di cooperazione promossi daong internazionali hanno sviluppato programmi di su-pervisione, ma si è trattato per lo più di esperienzeisolate, limitate nel tempo e incapaci di incidere a livel-lo nazionale. Per anni sono state sporadiche le visiteeffettuate dai membri della Direzione del Pnct alle sediprovinciali e altrettanto episodiche le supervisioni ef-fettuate dai supervisori provinciali ai centri municipali.In realtà, oltre alla carenza di mezzi di trasporto e difinanziamenti dedicati, questa attività è stata negati-vamente condizionata dall’assenza di linee guida e diprecisi orientamenti e modelli metodologici. In questecondizioni le poche supervisioni occasionalmente ef-

fettuate non sono mai riuscite a incidere sulla gestio-ne del programma né ad apportare correzioni ove ne-cessario. L’obiettivo del Progetto Fg è stato pertanto duplice:da una parte introdurre la prassi di supervisione pe-riodica con calendari trimestrali rigorosamente rispet-tati e, dall’altro, sviluppare la metodologia e gli stru-menti di valutazione della performance.Sono stati definiti due livelli esecutivi: quello dellaDirezione nazionale a favore del personale e degli uf-fici provinciali, e quello degli uffici provinciali a favoredei centri municipali di diagnosi e trattamento. Perciascuno di questi livelli sono state elaborate e utiliz-zate check-list di supervisione e, nell’ottica di unacoerenza interna di tutte le azioni e interventi del pro-getto, l’attenzione è stata focalizzata in questa primafase sul sistema informativo (raccolta dati, elabora-zione dei rapporti trimestrali, gestione archivi) e lagestione dei farmaci (soprattutto la gestione deglistock e l’applicazione degli schemi terapeutici). Sonostati sviluppati criteri di valutazione quantitativa dellaperformance (utilizzando varie scale di punteggi) perconsentire confronti tra le diverse province e monito-rare l’andamento nel tempo. Dal punto di vista metodologico è stato adottato unapproccio incrementale e partecipativo nella defini-zione dei criteri e degli standard di qualità. In praticaquesti strumenti (incluse le check-list ) sono stati ag-giornati più volte, aggiustando e innalzando gli stan-dard richiesti, previa presentazione, discussione eapprovazione con il personale coinvolto (soprattutto isupervisori provinciali).I principali risultati conseguiti, seppur ancora fragili eda consolidare, possono sintetizzarsi nei seguentipunti:> regolare effettuazione delle visite di supervisione

alle province. A partire dal 2º trimestre del progettol’équipe nazionale ha effettuato sistematicamentevisite con cadenza trimestrale in tutte le 11 provin-ce. Ciò ha permesso di mantenere un dialogo co-stante con i supervisori provinciali e una verificadelle attività e dei progressi nel processo di riorga-nizzazione.

> Utilizzo sistematico delle check-list di supervisionee di procedure di reporting standardizzate da partedell’équipe nazionale. È stato costituito presso laDirezione del Pnct un archivio dove le check-list e irapporti di missione sono conservati e disponibiliper ulteriori analisi e valutazioni.

> Progressivo incremento delle supervisioni effettua-te ai centri periferici. La copertura di visite di super-

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FIGURA 1 / Qualità del sistema informativo TB nelle 11 province del Progetto FG

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2° trimestre 071° trimestre 074° trimestre 063° trimestre 062° trimestre 061° trimestre 064° trimestre 053° trimestre 05

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FIGURA 2 / Conversione della bacilloscopia al 2° mese di trattamento dei casi nuovi polmonari BK+

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4° trimestre 063° trimestre 062° trimestre 061° trimestre 064° trimestre 053° trimestre 052° trimestre 051° trimestre 05

27,6

49,1

37,0

73,8 72,7 71,8

63,7

72,4

%

trimestre

% dei casi notificati negativizzati per trimestre

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visione ai centri Tb municipali è andata progressi-vamente aumentando dal 19% al 64%. Di pari pas-so si è affermato l’uso delle check-list da parte deisupervisori provinciali e la relativa documentazio-ne, per quanto di qualità ancora modesta, è archi-viata e disponibile per qualsiasi revisione negli uffi-ci dei supervisori provinciali.

> Introduzione di una prassi di retro-informazione. Laretro-informazione associata a specifiche racco-mandazioni si realizza in primo luogo attraversouna discussione immediata al termine della visita.Le stesse osservazioni sono tuttavia elaborate epresentate negli incontri periodici con i supervisoriprovinciali e nei corsi di formazione e aggiorna-mento del personale.

Si avverte inoltre che l’adozione di strumenti di valu-tazione quantitativa, con punteggi di performance pe-riodicamente comunicati, ha introdotto un salutarespirito di competizione e ha suscitato in molti opera-tori un maggior impegno per raggiungere gli standarddi qualità richiesti. Questi risultati, ancora da consoli-dare, rappresentano il presupposto necessario perqualsiasi ulteriore azione tesa a promuovere il miglio-ramento della qualità dei servizi offerti.

3) Gestione farmaciPer molti anni in Angola l’approvvigionamento di far-maci antitubercolari è stato irregolare e insufficiente,con ricorrenti e prolungate rotture di stock. Solo apartire dalla fine del 2004, anche grazie all’inclusionedel paese nel programma di rifornimento farmaci an-titubercolari del Global Drug Facility (Gdf), è stato ga-rantito un approvvigionamento sufficiente. Ciò nono-stante all’inizio del progetto Fg il Pnct non avevaancora sviluppato strumenti di gestione efficiente econtrollata dei farmaci. Le richieste provenienti dalleprovince erano nella maggior parte dei casi svincola-te dalle statistiche trimestrali e troppo spesso ingiusti-ficate per quantità e tipologia. Anche l’invio dei farma-ci da parte della Direzione del Pnct veniva effettuatocon cadenze molto irregolari (talora semestrali o an-cora più dilazionate) e senza un controllo e monito-raggio degli stock, sia a livello nazionale sia provin-ciale. La presenza di un mosaico di organizzazioniumanitarie che con relativa autonomia avevano rea-lizzato progetti di controllo della Tb in selezionatearee del paese, con procedure e schemi terapeuticinon perfettamente allineati al programma nazionale econ canali di approvvigionamento indipendenti, nonaiutava l’affermarsi di procedure uniformi. A questo si deve infine aggiungere la scarsa forma-

zione del personale impegnato nel programma Tb elo scarso rispetto delle norme a tutti i livelli.L’impegno del progetto Fg si è concentrato nell’intro-durre e assicurare il rispetto di procedure corrette digestione e utilizzo dei farmaci, in linea con le indica-zioni dell’Oms. Al tempo stesso, è stata posta parti-colare attenzione a garantire la regolare disponibilitàdei farmaci con l’obiettivo di evitare o ridurre gli epi-sodi di rottura di stock e far guadagnare progressiva-mente autorevolezza e affidabilità al Pnct.In effetti al termine della prima fase sono stati conse-guiti alcuni significativi risultati:> rispetto delle procedure per la richiesta, la distribu-

zione e lo stoccaggio dei farmaci. Attualmente ladistribuzione dei farmaci viene effettuata sistemati-camente su base trimestrale ed è basata sulle ri-chieste trimestrali inviate contestualmente alle sta-tistiche di attività. Gli errori e le incongruenze tranecessità e richieste sono ridotti a livelli pressochétrascurabili e, comunque, il sistema consente unagevole controllo e correzione. I depositi provincialie municipali sono sottoposti a controlli durante levisite di supervisione e l’esistenza e la corretta uti-lizzazione dei registri di stock sono puntualmenteverificate.

> Introduzione di schemi di trattamento più semplicie più efficaci. Sono stati uniformati gli schemi ditrattamento per tutti i casi nuovi di tubercolosi (for-me polmonari sputo-positive e sputo-negative eforme extra-polmonari). Il provvedimento ha ridottoil numero di formulazioni farmacologiche in usosemplificando la gestione degli stock e ha migliora-to la qualità del trattamento per le forme di Tb pol-monare sputo-negative ed extra-polmonari.

> Assenza di rotture di stock. Nel periodo considera-to non si sono registrate rotture di stock, se nonbrevi e sporadici episodi segnalati in alcuni centridi trattamento.

Quest’ultimo risultato, di per sé positivo e senza pre-cedenti nella ventennale esperienza del Pnct, è statotuttavia conseguito attraverso la distribuzione diquantità apparentemente superiori alle necessità(quali risultavano documentate dalle notificazioni deicasi). Alla base di questa incongruità stanno diversifattori: le inesattezze del sistema informativo (non tut-ti i pazienti posti in trattamento risultavano notificatinelle statistiche ufficiali), errori di utilizzo degli schemiterapeutici (con accresciuto consumo di alcuni farma-ci senza che ne apparisse una giustificazione nellacasistica notificata), ricostituzione degli stock di riser-va provinciali e municipali realizzata senza un effettivo

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FIGURA 3 / Percentuale di copertura di visite di supervisione ai centri TB

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FIGURA 4 / Invio di farmaci alle province: scostamenti percentuali rispetto alle necessità teoriche

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monitoraggio (con possibilità che, in assenza di stru-menti di verifica, siano stati ricostituiti stock superiorialle effettive necessità). La possibilità di sottrazioni edirottamenti illegali non è esclusa, ma non rappre-senta probabilmente il nodo del problema che risiedesostanzialmente nel mancato rispetto delle proceduree nell’assenza di strumenti di controllo. A conferma di questa lettura sta l’osservazione chenel corso del biennio in esame l’azione correttiva av-viata dal progetto Fg sul fronte delle procedure di ri-chiesta e di distribuzione dei farmaci tra il livello na-zionale e quello provinciale ha consentito di ridurre inmisura ragguardevole le anomalie del sistema. A tito-lo di esempio si osserva come per il “Rhze” (la com-binazione a dosi fisse utilizzata nelle fasi iniziali deitrattamenti), l’eccessivo invio apparentemente ingiu-stificato sia passato dal 64% nel 2005 al 32% nel2006, in pratica una riduzione dello “spreco” del 50%.Permangono comunque in questa area alcune diffi-coltà con problemi legati soprattutto a due aspetti inti-mamente interconnessi.1. Nel maggio 2007 è venuto meno il sostegno di

Gdf nell’approvvigionamento dei farmaci antitu-bercolari a livello nazionale. Il disimpegno è sca-turito da una valutazione negativa dei meccanismidi controllo e di gestione degli stock verificati du-rante una missione di monitoraggio nel dicembre2006. Indubbiamente sono stati individuati e sot-tolineati aspetti critici e di grave inadempienza daparte del Pnct ma, va sottolineato, è mancato daparte dei consulenti che hanno effettuato la mis-sione il riconoscimento del processo in atto di mi-glioramento e di graduale “moralizzazione” del si-stema. Ovvio che il venir meno di una fonte diapprovvigionamento importante come quella delGdf ha creato immediate difficoltà al Pnct e staimponendo una più rapida e efficiente assunzionedi responsabilità da parte del ministero dellaSanità.

2. Il ministero della Sanità, a sua volta, presenta unagrave inerzia ad affrontare la propria riorganizza-zione nei meccanismi di acquisto dei farmaci. Ladirezione del progetto Fg ha in più occasioni sug-gerito la costituzione di un gruppo di lavoro o dicoordinamento che si facesse carico di definireprocedure e responsabilità, ma tutt’oggi non si so-no compiuti passi significativi. Si tratta, tuttavia, diun nodo centrale che rimane nell’agenda degli im-pegni del progetto Fg nella sua seconda fase, an-che se le soluzioni dipenderanno soprattutto dallavolontà politica all’interno del ministero.

4) Formazione del personaleFino a un recente passato le attività formative sonostate organizzate quasi esclusivamente attraverso gliinterventi delle varie agenzie e ong della cooperazio-ne internazionale. Si è trattato prevalentemente di in-terventi focali, limitati ad alcune province che solo inrari casi si coordinavano con il ministero della Sanitàe con il Pnct. D’altra parte non esistevano strategie,risorse dedicate e competenze professionali a livellodella Direzione del Pnct per impostare un programmaformativo coerente e sistematico per tutto il paese. Inpratica la formazione dei quadri era effettuata al difuori di un disegno nazionale.L’intervento del progetto Fg in questo settore si è arti-colato su tre linee di attività:1. realizzazione di seminari di formazione e di aggior-

namento: per supervisori provinciali, infermieri Dot,tecnici di laboratorio, infermieri generici (impegnatiin servizi non direttamente correlati con la Tb).

2. Realizzazione di incontri periodici di coordinazionee formazione con il personale del Pnct a livello pro-vinciale e a livello nazionale.

3. Formazione on the job realizzata dall’équipe di pro-getto durante le visite di supervisione nelle province.

Nel realizzare tutte le attività formative è stata postaparticolare attenzione a promuovere la percezione chel’efficace gestione del programma di controllo della tu-bercolosi richiede l’attuazione disciplinata di procedureuniformi e un costante monitoraggio, sottolineando leragioni logiche che sottendono ogni norma. Può appa-rire sorprendente ma nel contesto sociale e culturaleangolano, formato per decenni a una esecuzione acri-tica di ordini (ora dei colonizzatori bianchi, ora dei su-periori militari), l’idea che una norma debba essere se-guita perché logica e funzionale per conseguire undeterminato scopo sfugge ancora all’attenzione comu-ne. Una norma si rispetta se e quando imposta conautorità da un livello gerarchico superiore. Altrimenti vi-ge la più disinvolta anarchia e indifferenza. Rimuoverequesta diffusa mentalità deresponsabilizzante è proba-bilmente una delle sfide più impegnative e importantiche il progetto Fg si è trovato ad affrontare.Dal punto di vista metodologico è stato evitato perquanto possibile un approccio “accademico-teorico”ma, al contrario, la formazione ha preso le mossedalla presentazione dei dati di attività: le statistichefornite dal sistema informativo e i rapporti delle visitedi supervisione. Ciò ha permesso di discutere sullaperformance del programma ai suoi vari livelli, facen-done emergere i problemi e le contraddizioni, e haagevolato la presentazione delle norme e delle pro-

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cedure da adottare. L’analisi comparata dei dati tra levarie province e tra i vari centri municipali ha permes-so di introdurre in qualche misura un salutare spiritodi competizione tra i vari operatori finalizzato al mi-glioramento della performance, alla rimozione degliostacoli e alla soluzione dei problemi.A parte questi aspetti metodologici sono stati conse-guiti i seguenti risultati:> produzione di manuali e dispense per la formazio-

ne di infermieri Dot e infermieri generici. Il progettoFg ha gradualmente sviluppato materiali formativiche, in prospettiva, costituiranno il materiale forma-tivo di riferimento del Pnct.

> Le mete delle attività formative previste dal proget-to sono state raggiunte o sorpassate. Com-plessivamente sono stati organizzati 26 seminari(con 482 partecipanti, contro una meta di 377) esono stati organizzati 19 incontri (17 provinciali conun totale di 122 partecipanti e 2 nazionali con 33partecipanti).

A fronte di questi risultati positivi restano alcunepreoccupazioni. La metodologia e gli strumenti for-mativi introdotti dal progetto Fg sono stati sviluppaticon la partecipazione del personale locale (dellaDirezione nazionale e delle sedi provinciali) attraver-so la condivisione dell’esperienza formativa. Ciò tut-tavia non ha ancora realizzato una effettiva e robustacapacitazione di questo personale tale da garantirneun’attività autonoma ed efficace. In realtà il trasferi-mento di competenze trova un sostanziale ostacolonella carente qualità delle risorse umane disponibili.Si tratta di un aspetto preoccupante che può vanifica-re il lavoro svolto e non permettere di raggiungereuna sostenibilità futura del Pnct.

LIMITI E PUNTI DI FORZA DEL PROGETTO FGNel corso della realizzazione della 1ª fase sonoemersi alcuni limiti e carenze del progetto e della suaimpostazione originaria ma al tempo stesso alcuni si-gnificativi punti di forza.

La copertura geograficaLa copertura geografica del progetto è stata limitata a11 province del paese, lasciando escluse dal pro-gramma di riorganizzazione ben sette province.Questa scelta, dettata dalla convinzione che in unafase iniziale non sussistessero condizioni per rendereoperativamente fattibile un intervento su tutto il pae-se, si è rivelata, col senno di poi, una scelta miopeche ha diviso il paese in due aree distinte e ha inne-scato due diverse velocità di sviluppo del programmanazionale: da una parte le 13 province sostenute dalprogetto Fg e dall’approvvigionamento di farmaci delGdf e dall’altra le sette province prive di tale supportoe praticamente escluse dai processi di riorganizza-zione. Due anni di vita del progetto Gf sono stati suf-ficienti a creare un divario ingiustificabile tra le duearee del paese. Purtroppo il finanziamento disponibi-le per la seconda fase del progetto Gf non permet-terà l’estensione delle sue attività alle altre sette pro-vince e anche nella seconda fase si limiterà aintervenire nelle stesse 11 province iniziali.

L’assistenza tecnica alle attività di laboratorioLa composizione del personale espatriato del progettoFg non ha incluso nessuna figura con competenze eformazione di laboratorio in quanto è stato ritenuto, infase di progettazione, che le attività formative e di su-pervisione dei laboratori avrebbero avuto adeguato so-stegno da parte del personale tecnico dell’InstitutoNacional de Saúde Pública di Luanda. La realtà hasmentito queste previsioni e, al contrario, ha eviden-ziato gravi lacune e impreparazione gestionale e orga-nizzativa nel personale di questa istituzione. Di fatto èmancata un’efficace assistenza tecnica sul fronte dellagestione dei laboratori. Aspetti quali il controllo di qua-lità sulle diagnosi di laboratorio non sono stati affrontatise non in maniera marginale. Di qui la decisione con-cordata con la Direzione del Pnct di aggiungere al per-sonale espatriato una nuova unità esperta in gestionedi laboratorio nella seconda fase del progetto.

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TABELLA 2 / Partecipanti ai seminari di formazione

Supervisori Supervisori Logistici Tecnici di Infermieri Infermieri Totaleprovinciali provinciali di provinciali laboratorio Dot generici

laboratorio

N° partecipanti 11 11 11 93 156 200 482

Obiettivo del progetto 11 11 11 90 154 100 377

% di realizzazione 100 100 100 103 101 200 128

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Qualità del percorso assistenzialeLa qualità dell’assistenza dovrebbe costituire il verocuore di un programma di controllo della tubercolosi.Ma è anche l’area che più difficilmente si presta auna valutazione dopo appena 24 mesi di vita del pro-getto Fg. Indubbiamente sono state realizzate in lar-ga misura le condizioni operative indispensabili peroffrire un livello minimo accettabile di servizio, in ter-mini di infrastrutture, equipaggiamento, disponibilitàdi farmaci, procedure uniformi di diagnosi e tratta-mento, formazione e supervisione del personale.Tuttavia non ci possiamo illudere che tutto questo ga-rantisca l’automatico miglioramento della qualità del-l’assistenza.Si osserva, per inciso, che il progetto non ha fornitoindicatori e mete qualitative e che, a tutt’oggi, non so-no stati introdotti strumenti efficaci di valutazione e dimisurazione della qualità dell’assistenza (è stata solodiscussa in termini preliminari l’ipotesi di avviare unsistema di accreditamento che includa criteri di qua-lità). In effetti il progetto Fg ha inteso realizzare nellasua prima fase le condizioni operative per il funziona-mento del programma Tb, rinviando alla seconda fa-se un impegno più specifico sugli aspetti qualitatividei servizi.

L’approccio verticale del progettoIl progetto Fg è un tipico esempio di progetto “vertica-le”. Questo approccio offre alcuni evidenti vantaggi:permette di escludere dal proprio campo di osserva-zione e di interesse tutto quello che non è stretta-mente collegato al progetto e al suo obiettivo. Inoltrele risorse disponibili sono solitamente cospicue perrealizzare interventi ad alta intensità, funzionali a rag-giungere obiettivi impegnativi in un breve arco di tem-po. La verticalità del progetto Fg ne ha certamentereso più agile l’implementazione, ma ha fatto emer-gere anche alcuni limiti e una serie di difficoltà chetrovano la loro radice proprio nell’approccio verticale.Il progetto è stato visto, soprattutto a livello provincia-le, come un intervento autosufficiente che liberava leautorità sanitarie locali dalle responsabilità di gestireil programma Tb e di integrarlo nei servizi sanitari dibase. L’impegno con cui sono stati ricercati il dialogoe la partecipazione delle Direzioni sanitarie provincia-li si è frequentemente scontrato con questa mentalitàdominante. Tuttavia l’integrazione dei servizi di con-trollo della Tb e il loro armonico sviluppo all’internodei servizi sanitari di base dovrebbero costituire unobiettivo centrale, non solo in termini di efficienza(l’eccessiva verticalizzazione dei programmi inesora-

bilmente accresce i costi di gestione), ma anche intermini di efficacia. È dubbio che si possano raggiun-gere obiettivi stabili di qualità dell’assistenza con in-terventi esclusivamente verticali, non coordinati e in-tegrati nella rete sanitaria di base.È auspicabile che queste tematiche siano tenute inconto nella implementazione della seconda fase delprogetto anche se, purtroppo, la “macchina” delFondo globale non rappresenta il migliore strumentoper una gestione efficacemente integrata e “orizzon-tale” degli interventi.

Il valore aggiunto del progetto “targato” Fondo globaleNonostante le osservazioni critiche e i limiti fin quidescritti il progetto Fg ha svolto una funzione insosti-tuibile in questa fase e, oltre alle mete specifiche rag-giunte e già descritte, annovera alcuni punti di forza.In particolare ogni intervento è stato realizzato in no-me e attraverso la Direzione nazionale del Pnct, evi-tando una identificazione eccessiva con l’ong imple-mentatrice. Questo ha permesso di promuovere iprocessi di riorganizzazione con sufficiente credibilitàe autorevolezza e, contestualmente, ha rafforzato ilruolo e la visibilità del programma nazionale all’inter-no del ministero della Sanità, nei confronti delleDirezioni sanitarie provinciali, nonché con le ong e ivari partners impegnati nel paese in attività di control-lo della Tb. Le direttive e le norme del Pnct, scarsa-mente seguite o rispettate negli anni passati, comin-ciano a essere riconosciute da tutti (sia attori localisia internazionali, pubblici o privati) come il modello acui conformarsi.A livello periferico, soprattutto nelle province e nei cen-tri municipali, il personale impegnato nel programma(supervisori, infermieri, laboratoristi) ha avvertito lacrescente funzione di guida che il Pnct stava eserci-tando attraverso il progetto Fg e si è dimostrato pro-gressivamente più ricettivo alle iniziative e ai processidi cambiamento e, nota da non sottovalutare, ha mani-festato in più occasioni il desiderio di una leadershipautorevole, competente e impegnata.

CONCLUSIONIIl progetto Fg ha permesso, nell’arco di tempo relati-vamente breve della prima fase, di avviare la ricosti-tuzione del Pnct angolano. Sono stati riattivati moltiservizi, definite le norme e le procedure d’intervento,formato il personale ai vari livelli, introdotta e struttu-rata la pratica delle supervisioni e della valutazione diperformance. Tutto questo, se pur ancora fragile eimperfetto, rappresenta un importante traguardo, co-

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stituisce un punto di forza dell’approccio verticaleadottato e ne giustifica la continuazione nella secon-da fase triennale.Al tempo stesso non devono essere ignorati alcuniaspetti critici che, se non risolti nel corso della secon-da fase, rischiano di vanificare o quantomeno ridi-mensionare sensibilmente i risultati fino ad oggi con-seguiti.Un primo aspetto critico, riscontrato a livello centrale(ministero della Sanità e Direzione del Pnct), è la len-tezza, quasi refrattarietà, con cui sono state recepitele dinamiche innovative promosse dal progetto Fg(specialmente nel settore controverso dei sistemi diapprovvigionamento dei farmaci antitubercolari) e loscarso impegno dimostrato ad assicurare le risorseumane qualificate necessarie alla gestione efficientee competente del programma nazionale. In altri ter-mini esiste il pericolo che l’azione di capacity buildingpromossa dal progetto non consegua i risultati attesi

per la grave carenza di personale ricettivo a livellodella Direzione nazionale del Pnct.Un secondo aspetto riguarda, come già accennato,l’integrazione delle attività del Pnct nella rete dei ser-vizi sanitari di base. Anche in questo caso si tratta divincere numerose inerzie e resistenze culturali, radi-cate soprattutto nella classe medica angolana, anco-ra portata a perseverare nella gestione verticale dellatubercolosi con netta separazione dagli altri servizi dibase.Risolvere queste difficoltà costituisce la vera sfidaancora aperta. In questo senso nella sua seconda fa-se il progetto Fg può svolgere un ruolo importante distimolo e di rinnovamento, ma è chiaro che solo unavolontà politica e scelte e azioni coerenti della contro-parte locale potranno garantire risultati stabili e so-stenibili. In assenza di questo impegno, il rischio diveder naufragare l’intervento del progetto Fg è tutt’al-tro che aleatorio.

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Se si voleva dimostrare che è possibile faremedicina d’alta specialità anche nelle zone piùdifficili del mondo, Gino Strada – chapeau – c’èriuscito con l’impegno e la dedizione dei suoivalenti collaboratori. Resta il fatto che i costicapitali e quelli ricorrenti per la gestionedell’ospedale offrivano l’opportunità di attrezzaree gestire numerosi centri e ospedali rurali per contrastare la silenziosa e raccapricciantestrage determinata dalle comuni malattieinfettive e dalle gravidanze non assistite dapersonale addestrato. E che Emergency hafinito per imporre la propria agenda al Sudan, e poi farsela finanziare.Non vi sono dubbi, come sostiene Emergency,che anche le popolazioni povere hanno diritto a servizi sanitari di qualità. Ma chi ne pagheràil prezzo negli anni a venire?

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KHARTOUM, SUDANSe non soffia l’aboub, il vento che scatena le tempe-ste di sabbia nel deserto, Khartoum è una città caldae tranquilla. Il torpore della capitale non risveglia leimmagini della guerra civile che ha imperversato ne-gli ultimi decenni tra il nord di cultura nilotica, araba eislamica, e il sud di tradizione africana, animistica ecristiana, ricco di risorse naturali da sempre espolia-te. Almeno se non giri negli slums dove un milione dirifugiati per i disastri naturali o prodotti dall’uomo vivemescolato alla popolazione stanziale più povera.La guerra tuttora incombe sul Darfur e strascica la suacoda nelle zone di confine tra nord e sud. L’accordo dipace, siglato nel 2005 e sorvegliato dalle Nazioni Unite,dovrebbe portare alle elezioni nel 2009 e al referendumper l’autodeterminazione del Sud Sudan nel 2011. Il Sudan è un paese della fascia saheliana, il piùesteso del continente africano, abitato da circa 35 mi-lioni di persone: un paese fragile, con povertà ende-mica, a basso indice di sviluppo umano, non ancoraentrato nella fase di transizione demografica ed epi-demiologica. Il profilo epidemiologico è ancora domi-

nato dalle comuni malattie infettive, che generano,specie durante la stagione delle piogge, epidemie ri-correnti di malaria, colera e malattie diarroiche, me-ningite, morbillo e febbri emorragiche.Le malattie infettive, l’incidenza elevata di malnutri-zione e la scarsa accessibilità ai servizi sanitari con-tribuiscono a determinare livelli molto elevati di mor-talità evitabile, in particolare per donne e bambini,soprattutto nel Sud Sudan: le principali cause di mor-talità e di anni di vita persi sono rappresentate damalaria, diarrea, morbillo, Aids, tubercolosi e dallecondizioni perinatali 1. Gli Obiettivi di sviluppo delMillennio di competenza sanitaria appaiono ben lonta-ni dal poter essere raggiunti. La mortalità 0-5 anni èpari a 117 per 1.000 nell’intero paese e a 134 nel SudSudan; la mortalità materna a 1.107 (per 100.000 nativivi) nel Sudan e a 2.054 nel Sud Sudan: il valore piùalto dell’intero pianeta 2. Con un tale rapporto di mor-talità materna (pari al 2%), e un tasso di fertilità supe-riore al 5%, il rischio che ogni donna ha nel SudSudan di morire a seguito delle gravidanze nel corsodella vita è maggiore del 10%. Per ogni morte mater-

Nelle vicinanze di Khartoum e delle rive del Nilo Blu,Emergency ha costruito un nuovo ospedale: “The Salamcentre for cardiac surgery”, specializzato in cardiochirurgia,attivo dall’aprile 2007, che fornisce assistenza gratuita alla popolazione, secondo principi dichiarati di equità, qualità e responsabilità sociale. L’ospedale è dotato di tre sale operatorie (di cui solo due attualmente utilizzate), un reparto di terapia intensiva e una sala di emodinamica,oltre ai servizi di diagnostica per immagini, ecocardiografia,laboratorio e banca del sangue. Dispone complessivamentedi 63 posti letto (di cui 15 nel reparto di terapia intensiva e16 in sub-intensiva).

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di Enrico Materia*

Dell’ospedale cardiochirurgicodi Emergency a Khartoum

* Agenzia di Sanità pubblica, Lazio

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na si stima inoltre che almeno 30 donne sviluppinogravi complicanze della gravidanza e del parto, so-prattutto le invalidanti fistole vescico-vaginali 3.Solo il 20-25% della popolazione ha accesso ai servi-zi sanitari di base 4, 5; nel Sud Sudan il loro utilizzo èpari a solo 0,2 contatti per persona per anno 3.La situazione fatiscente di molti centri sanitari, la lorodifficile accessibilità durante la stagione delle piogge,la carenza di personale addestrato (nel Sud si fa ri-corso a personale espatriato dal Kenya e dall’Ugan-da anche attraverso programmi di cooperazione“sud-sud”) contribuiscono a porre il sistema sanitariosudanese su uno stretto crinale tra emergenza conti-nua e ricostruzione/sviluppo. Nel Sud Sudan, la gestione dei servizi sanitari di ba-se è ancora affidata quasi per intero alle ong nell’am-bito di contratti di servizio finanziati dalla comunità in-ternazionale. I programmi verticali si occupano delleloro attività, ignorando per lo più le istanze di raffor-zamento del sistema sanitario e la necessaria inte-grazione delle varie componenti dell’assistenza sani-taria di base (Primary Health Care, Phc).Nel Sudan il sistema sanitario è inoltre giudicato es-sere complessivamente squilibrato verso gli ospedalie le cure di terzo livello 6. Nel corso dell’ultimo decen-nio, il numero degli ospedali è aumentato da 253 a351 e il tasso di posti letto ha raggiunto lo 0,72 ogni1.000 abitanti 4 (contro 0,3 in Etiopia e 0,9 in Uganda).Questa progressione appare associata con l’espan-sione del settore privato nella sanità, incoraggiatodalle politiche governative e dalle riforme macroeco-nomiche promosse dalla Banca mondiale nel corsodegli anni ’90.

L’OSPEDALE CARDIOCHIRURGICO DI EMERGENCY Proprio nelle vicinanze di Khartoum e delle rive delNilo Blu, Emergency ha costruito un nuovo ospedale:“The Salam centre for cardiac surgery”, specializzatoin cardiochirurgia, attivo dall’aprile 2007, che fornisceassistenza gratuita alla popolazione, secondo principidichiarati di equità, qualità e responsabilità sociale 7.L’ospedale è dotato di tre sale operatorie (di cui solodue attualmente utilizzate), un reparto di terapia in-tensiva e una sala di emodinamica, oltre ai servizi didiagnostica per immagini, ecocardiografia, laborato-rio e banca del sangue. Dispone complessivamentedi 63 posti letto (di cui 15 nel reparto di terapia inten-siva e 16 in sub-intensiva).Se non fosse per i disegni tradizionali sulle lunghetende di vimini che proteggono dal sole gli esternidella struttura bassa e sobriamente elegante, sem-

brerebbe di stare altrove. Certamente inusuali per unpaese povero come il Sudan sono le tecnologie usa-te per l’impiantistica (pannelli solari per l’accumula-zione di energia termica, trattamento dell’aria immes-sa negli ambienti interni attraverso un sistema diabbattimento delle polveri e della sabbia, pareti peri-metrali di circa 60 cm a elevata efficienza termica, at-te a ridurre il fenomeno di irraggiamento e mantenereun microclima interno ideale); la massima attenzionealle finiture e ai particolari architettonici; gli standarddi qualità che caratterizzano le attrezzature e l’orga-nizzazione dei reparti (in particolare quello di terapiaintensiva) e delle sale operatorie dove si opera acuore aperto con l’ausilio delle macchine cuore-pol-moni; l’attenzione rigorosa all’igiene per la prevenzio-ne delle infezioni ospedaliere. L’ospedale è stato concepito nella prospettiva di ser-vire anche le popolazioni dei nove paesi confinanti(Egitto, Libia, Chad, Repubblica Centro-Africana,Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Kenya,Etiopia, Eritrea). Con alcuni di questi sono già stati si-glati, o stanno per esserlo, accordi tecnici di collabo-razione. Emergency provvede al trasporto gratuitodei pazienti stranieri, anche se il progetto di utilizzareun aereo per prelevare in loco i pazienti da ricoverarenell’ospedale Salam non è poi entrato a regime. Su904 pazienti ricoverati nel periodo aprile 2007-giugno2008, 842 (93%) erano comunque sudanesi 7.I pazienti sono reclutati prevalentemente presso ilcentro pediatrico che Emergency gestisce a Mayo,nei sobborghi di Khartoum. Altri centri pediatrici per loscreening delle cardiopatie e il monitoraggio postope-ratorio dovrebbero essere realizzati sia in Sudan chenei paesi confinanti 7.Priorità viena data a pazienti giovani-adulti affetti davalvulopatie (usualmente di origine reumatica), a cuisono impiantate protesi valvolari meccaniche (che ri-chiedono trattamento anticoagulante permanente), obiologiche (che richiedono di regola sostituzione do-po 8-15 anni). La casistica con cardiopatie congeniteviene concentrata nei periodi in cui l’ospedale dispo-ne di un cardiochirurgo pediatrico. Gli interventi di ri-vascolarizzazione coronarica non sono consideratiprioritari a causa dell’età usualmente più avanzatadei pazienti. Non vengono ammessi pazienti di etàsuperiore a 65 anni. Non vengono eseguiti trapianti dicuore. Nei primi 15 mesi di attività, su 633 pazienti sottopo-sti a intervento chirurgico, il 78% era affetto da valvu-lopatia, il 14% da cardiopatia congenita e l’8% dacardiopatia ischemica 7.

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Il personale medico specializzato è composto intera-mente da espatriati. Infermieri e tecnici locali vengo-no formati in ospedale on the job. Il basso tasso dioccupazione dei posti letto (approssimativamente in-feriore al 50% al momento della visita) viene attribui-to alla difficoltà di disporre di personale addestrato inmisura adeguata.I coordinatori di Emergency hanno riferito che i costiannuali di gestione dell’ospedale ammontano a circa10 milioni di euro e che dal 2008 il governo sudanesefinanzierà il 50% di questo importo.

DILEMMI ETICI: SOSTENIBILITÀ, COSTO-OPPORTUNITÀ, EQUITÀ Nell’autunno del 2006, quando Emergency annunciòl’apertura dell’ospedale di Khartoum, agli interrogativiposti da Angelo Stefanini 8 sulle implicazioni di politicasanitaria del progetto in termini di coerenza, efficaciaed equità, seguì una replica tranciante di Gino Strada9

e un vivace dibattito tra bloggers.Di fatto, i dilemmi che l’iniziativa ha sollevato restanoineludibili e meritano di essere approfonditi sulla ba-se delle informazioni oggi disponibili. Più in generale,questi temi possono essere ricondotti al dibattito incorso sull’impatto degli Aiuti allo sviluppo 10, sulle criti-che crescenti ai programmi verticali 11, e alla neces-sità di rafforzare i sistemi sanitari dei paesi fragili 12.Non si vuole qui discutere sull’efficienza operativadell’ospedale. Benché questa non appaia ancorasoddisfacente in termini di utilizzo dei posti letto edelle dotazioni esistenti, bisogna considerare che l’o-spedale è aperto solo da pochi mesi e che i program-mi di formazione del personale potranno dare i lorofrutti nel medio periodo.Né è possibile esprimere valutazioni conclusive sull’ef-ficacia dei trattamenti, anche se la mortalità postopera-toria a 30 giorni, riportata pari al 2,2%7, appare confor-tante. A questo proposito, merita però interrogarsi sulledifficoltà che incontreranno i pazienti che dovranno es-sere sottoposti a terapia anticoagulante con monito-raggio dei parametri coagulativi, e/o a un futuro inter-vento di sostituzione valvolare in caso di impianto diprotesi biologica. Quanto sarà fattibile assicurare lacontinuità assistenziale ai pazienti operati, soprattuttose provenienti da fuori Khartoum o da altri paesi?I dilemmi stringenti in termini di sanità pubblica e poli-tica sanitaria riguardano piuttosto la sostenibilità, ilcosto-opportunità e l’equità di accesso ai servizi dicardiochirurgia. Emergency sostiene che parlare di sostenibilità nelcontesto africano non abbia molto senso. Nel pianeta

in crisi della post-globalizzazione, dove le 50 principaliistituzioni finanziarie controllano un terzo della ric-chezza globale 13, e dove la concentrazione delle ric-chezze e i modelli di sviluppo economico neoliberistiappaiono tanto insostenibili quanto inarrestabili, rinun-ciare a salvare vite umane in nome della sostenibilitàsarebbe come parlare del sesso degli angeli mentrepiovono rane. Si è portati a credere che Emergencynon abbia tutti i torti: ma solo se si dimentica che so-stenibilità significa poter contare su servizi di tecnolo-gia appropriata rispetto al livello di costi e di tecnolo-gie che uno Stato può permettersi senza dipenderedall’aiuto esterno, e senza perdere fiducia nelle pro-prie capacità di sviluppo e di autodeterminazione.Sostenibilità, nel caso in esame, vuol dire reperire 10milioni di euro l’anno necessari per la gestione cor-rente dell’ospedale. Il fatto che metà dell’importoverrà finanziato dal Governo sudanese implica che icosti della gestione dell’ospedale saranno accollatialla spesa sanitaria pubblica governativa, che inSudan ammonta solo all’1,5% del prodotto internolordo, o a 13 dollari americani pro capite in terminiassoluti (dati 2007) 4. Ciò comporta che il progetto fi-nirà per sottrarre fondi al rafforzamento del sistemasanitario pubblico e ai programmi di Phc, consideratiassi portanti dello sviluppo sanitario del paese 4, 5.Si allocheranno dunque risorse (non aggiuntive, ben-sì sostitutive – come avviene per molti altri program-mi verticali, di cui quello di Emergency rappresentaun’originale declinazione) per interventi che potrannosalvare vite a un costo almeno 100 volte superioredei programmi di riduzione della mortalità materna oinfantile. Se si obietta che ragionare in termini di va-lutazione economica sia riduzionista, come maiEmergency stabilisce le priorità per l’accesso al trat-tamento in base a criteri di costo-efficacia (preferen-za ai pazienti più giovani affetti da valvulopatie, e ac-cesso negato a quelli di età superiore a 65 anni)? E poi l’equità: un principio guida della Phc, promulgatonella storica conferenza di Alma Ata di cui ricorre que-st’anno il trentennale – un’occasione per ribadirne vali-dità e attualità14. Va considerato che la maggioranzadella popolazione rurale e pastoralizia del Sudan utiliz-za scarsamente i servizi sanitari di base, ed è quindiprobabile che l’accesso ai servizi cardiochirurgici del-l’ospedale Salam avvenga e avverrà con maggiore fa-cilità per i gruppi più benestanti della popolazione ur-bana. Vengono in mente i sistemi coloniali, quando gliospedali erano ubicati solo nelle grandi città e agli abi-tanti nelle zone rurali prive di servizi sanitari non resta-va che ricorrere alla medicina tradizionale e magica.

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Chi oggi vive in promiscuità col bestiame nei campitransumanti (c.d. cattle camps), o nel vasto e remotobush del Sud Sudan, difficilmente riuscirà a raggiunge-re le eleganti tende che filtrano la luce dell’interno delcentro Salam, anche se portatore di una cardiopatiasuscettibile di riparazione chirurgica. Emergency intende aprire in Sudan e nei paesi confi-nanti dei centri pediatrici per individuare i pazienticardiochirurgici e ridurre le barriere socioeconomicheall’accesso. Ma una rete di servizi finalizzata alloscreening delle cardiopatie – che non rappresentanouna priorità nella lotta alla riduzione della mortalitàevitabile – trascurerà i bisogni di armonizzazione e diallineamento alle strategie governative affermate nel-la dichiarazione di Parigi 10 e la ricerca di opportunesinergie tra sistemi sanitari e programmi verticali 15.Vi è viceversa prova che il rafforzamento dei sistemisanitari con espansione della copertura degli inter-venti essenziali a favore della salute materno-infanti-le è in grado di dimezzare la mortalità dei bambini,come avvenuto in Tanzania nell’arco di un lustro 16.Se si voleva dimostrare che è possibile fare medicinad’alta specialità anche nelle zone più difficili del mon-do, Gino Strada – chapeau – c’è riuscito con l’impe-gno e la dedizione dei suoi valenti collaboratori.Resta il fatto che i costi capitali e quelli ricorrenti perla gestione dell’ospedale offrivano l’opportunità di at-trezzare e gestire numerosi centri e ospedali ruraliper contrastare la silenziosa e raccapricciante stragedeterminata dalle comuni malattie infettive e dallegravidanze non assistite da personale addestrato. Eche Emergency ha finito per imporre la propria agen-da al Sudan, per poi farsela finanziare.Non vi sono dubbi, come sostiene Emergency, cheanche le popolazioni povere hanno diritto a servizisanitari di qualità. Ma chi ne pagherà il prezzo neglianni a venire?

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RingraziamentiQuest’articolo trae spunto da una visita informaleeffettuata all ’ospedale Salam di Emergency aKhartoum il giorno 30 marzo 2008, anniversario delcompleanno di Maometto. Sono grato al personaledi Emergency per il tempo dedicato e la corteseospitalità riservata.

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AFRINEWS di Maurizio Murru

Fonti utilizzate per questo numero (oltre a quelle citate nel testo): all-Africa.com.; British Broadcasting Corporation; The Economist;Integrated Regional Information Network (Irin); International HeraldTribune; New African; Reuters AlertNet.Chiuso il 20 giugno 2008.

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Défense de la Démocratie - Forcespour la Défense de la Démocratie).L’ultimo gruppo di ribelli ancora attivo,quello degli irriducibili, l’Fln (Front deLibération Nationale) fa capo al pri-mo movimento Hutu politicamenteorganizzato, il Palipehutu (Parti pourla Libération du Peuple Hutu).L’Fln ha firmato un accordo di pacecon il governo il 7 settembre del2006. Poi, ha ripreso le ostilità. Nei primi mesi di quest’anno ha lan-ciato numerosi attacchi alla capitale.Più di 100 persone hanno perso lavita fra marzo e aprile. Almeno 20.000 persone hanno in-grossato le già nutrite file dei rifugiatie degli sfollati. Si contano, ancora,circa 350.000 dei primi, specialmen-te in Tanzania e Rwanda e circa110.000 dei secondi. Assieme agli scontri armati, si sonointensificate anche le attività diplo-matiche. Queste hanno portato auna nuova tregua con l’Fln firmata il25 maggio. Secondo Human RightsWatch, fra marzo e maggio, 300 per-sone sono state arbitrariamente ar-restate perché sospettate di “simpa-tizzare” per l’Fln. Tre giorni dopol’accordo del 25 maggio, 102 di que-sti prigionieri sono stati rilasciati inquello che il governo ha definito un“gesto di buona volontà”. Anche se la diffidenza è d’obbligo,qualche cosa sembra muoversi nelladirezione giusta. Il leader del Palipehutu, AgathonRwasa, dopo anni di esilio in Tanza-nia, è rientrato in Burundi il 15 mag-gio scorso. Chiede, per sé e per isuoi, la totale impunità e un ruolonel governo. E chiede l’integrazione,nell’esercito regolare, dei suoi com-battenti. L’Fln dichiara di avere15.000 uomini. Il governo afferma

che le truppe dell’Fln non superano i3.000 uomini, molti dei quali sareb-bero bambini. Il 19 giugno il governoha reso noto di avere arrestato uncentinaio di persone, per lo più bam-bini, che stavano per essere reclutatidall’Fln. Pare che il reclutamentonon avesse lo scopo di iniziare nuovicombattimenti ma quello di ingrossa-re le file e avere un peso maggiorenei negoziati e nell’esercito. Il canto-namento degli ex-ribelli è iniziato il17 giugno e, alla cerimonia inaugu-rale, Rwasa ha enfaticamente affer-mato che «…la guerra è finita».L’ultima richiesta avanzata dall’Fln èche il Palipehutu venga riconosciutocome partito politico. Secondo la Co-stituzione vigente, questo non puòaccadere: nessun partito può aperta-mente rifarsi all’appartenenza etnica.Secondo Rwasa, la Costituzione do-vrà essere cambiata. A parte la discutibilità della proposta,modificare la Costituzione richiedeuna maggioranza di due terzi delParlamento. Ma il Parlamento attuale è profonda-mente diviso dopo la caduta in di-sgrazia dell’ex potentissimo capo delCndd-Fdd, Hussein Radjabu. Questiè stato arrestato nell’aprile del 2006e, nell’aprile scorso, è stato condan-nato a 13 anni di carcere. Le accusesono di avere complottato contro ilgoverno e di avere insultato il presi-dente. Molti parlamentari sono, tutto-ra, sostenitori di Radjabu che, fral’altro, è un esponente di spicco dellacomunità islamica burundese, checostituisce circa il 10% della popola-zione totale (i cristiani sono il 67%mentre il 23% segue religioni tradi-zionali). Anche il cammino di questoultimo accordo di pace si annunciatravagliato. L’ex ministro degli Esteri,

AGENDA

La storia del Burundi ruota attorno acolpi di Stato, delitti politici, massacriinteretnici. Dal 1993, dopo l’uccisio-ne di Melchior Ndadaye, primo presi-dente eletto e primo di etnia Hutu, ilpaese è precipitato in un baratro diviolenza che non sembra voler finire.Quando un conflitto si prolunga, ine-vitabilmente, si complica. I movimenti ribelli, prevalentementecomposti da Hutu, che combatteva-no l’esercito regolare, prevalente-mente composto da Tutsi, si sonoframmentati e hanno iniziato a com-battersi fra di loro, oltre che control’esercito regolare. A uno a uno, faticosamente, questigruppi sono stati attratti in un lungo elaborioso processo di pace. Molti deiloro combattenti sono stati integratinell’esercito e molti dei loro dirigentisono stati associati al governo. Nel 2005 si sono tenute elezioni pre-sidenziali e parlamentari. Un altropresidente Hutu, Pierre Nkurunziza,è stato eletto con un’ampia maggio-ranza parlamentare per il suo partito,il Cndd-Fdd (Comité National pour la

BurundiUn ennesimo, “decisivo” accordodi pace con gli irriducibili dell’Fln

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Jean Marie Ngendahayo, di etniaTutsi ma esponente del Cndd-Fdd,ha affermato che, volenti o nolenti,governo e ribelli sono costretti allapace perché non hanno più né imezzi né la forza per combattere.Una pace raggiunta per sfinimento.Non sarebbe il primo caso.

EritreaUn’altra contesa di confine. Questa volta con Gibuti

Il 6 maggio scorso il governo diGibuti ha accusato quello eritreo diavere militarmente invaso il suo terri-torio. Il presidente Ismail Omar Guelleh hadichiarato che «i due eserciti sonoschierati l’uno di fronte all’altro e lasituazione è esplosiva». Fra i due paesi esiste una vecchiadisputa di confine che ha già portatoa scontri armati nel corso degli anni’90. Nelle ultime settimane si è ag-giunto un nuovo motivo di discordia.Riguarda un gruppo di disertori eri-trei che si sarebbero rifugiati a Gi-buti. Il governo dell’Asmara ne pre-tende l’estradizione. Quello di Gibutine nega la stessa esistenza e parladi motivazioni pretestuose. L’Eritrea,dopo più di trent’anni di guerra con-tro diversi governi etiopi, ha conqui-stato l’indipendenza nel 1993. Da al-lora ha combattuto guerre territorialisia contro lo Yemen sia control’Etiopia. La guerra contro lo Yemenriguardava il possesso delle isoleHanish, strategicamente situate al-l’imboccatura del Mar Rosso. Nel1998 un arbitrato internazionale haassegnato la maggiore delle isole

Hanish allo Yemen e ha spartito leisole minori fra i due paesi. Questa contesa non era ancorachiusa che l’Eritrea entrò in guerracon l’Etiopia per il possesso dellacittà di Badme e altre zone limitrofedi confine, tutte aride e improduttive.All’epoca, l’Economist descrissequesta guerra come quella di «duecalvi che combattono per un petti-ne». La guerra si concluse due annie circa 100.000 morti più tardi. Ma lacontesa non è ancora chiusa, nono-stante una apposita Commissioneinternazionale, la Eebc (Ethiopia -Eritrea Boundary Commission) abbiaassegnato Badme all’Eritrea.L’Unmee (United Nations Mission inEthiopia and Eritrea), una forza dipace delle Nazioni Unite, è stanziataal confine dal 2001. Inizialmente, ave-va 4.200 uomini. Questi sono stati ri-dotti a 1.700. Mentre l’Etiopia ha respinto il verdet-to della Eebc, il governo di Asmaralo ha applicato unilateralmente. Invari modi, ha costretto l’Unmee a la-sciare il campo. Nel dicembre del2007 ha tagliato i rifornimenti di car-burante ai caschi blu. Attualmente nesono rimasti circa 470 nella zona diconfine. Il mandato dell’Unmee, sca-duto nel gennaio di quest’anno, èstato prolungato di sei mesi. Il segre-tario generale delle Nazioni Unite, ri-prendendo una preoccupazione mol-to diffusa, ha affermato che un ritirodei caschi blu potrebbe essere se-guito, a tempi brevi, da una novaguerra fra i due paesi. L’Eritrea conti-nua a esigere l’incondizionato ritirodell’Unmee. Da quando l’Etiopia ha inviato truppein Somalia, l’Eritrea offre sostegno fi-nanziario e militare alle milizie isla-miche somale. Tanto che gli StatiUniti hanno considerato l’eventualitàdi inserirla nella lista dei paesi chesostengono il terrorismo. Il “fattore Somalia”, probabilmente, èuna delle ragioni per le quali la co-munità internazionale non ha fattopressioni particolari sul governo etio-pe affinché accettasse il verdettodella Eebc. La lotta dell’Etiopia contro le milizieislamiche in Somalia, infatti, vieneconsiderata importante nell’ambito

della cosiddetta “guerra al terrori-smo”. La tensione fra Etiopia edEritrea si aggrava col passare deltempo. Per ragioni interne, fa como-do a entrambi i regimi: la “minaccia”esterna fornisce una buona scusaper usare il pugno di ferro controogni tipo di opposizione.Probabilmente, nessuno dei duepaesi vuole la guerra. Non adesso,almeno. Ma un incidente al confine,o un “errore di calcolo”, potrebbeportare a conseguenze gravi e im-previste. Il sostegno alle milizie islamiche so-male, in chiave anti-etiope, ha porta-to a un certo riavvicinamento fra Eri-trea e Sudan che, per anni, si sonocombattuti per interposti gruppi ribel-li. Ma, anche con questo potente vi-cino, i rapporti non sono idilliaci. L’ultimo anello di questa catena di di-scordie è quello riapertosi conGibuti. Il 12 giugno un portavoce delgoverno degli Stati Uniti ha condan-nato “l’aggressione militare eritrea”.Nei giorni seguenti, il governo fran-cese ha espresso “grande preoccu-pazione” per la situazione. Sia gli Stati Uniti sia la Francia han-no una importante base militare aGibuti. Questo piccolo paese, con una su-perficie di poco più di 23.000 chilo-metri quadrati e poco più di 800.000abitanti, è privo di risorse naturali, haun territorio per lo più arido e pocofertile. La fonte principale dei suoiproventi è costituita dal suo porto edalle basi militari americana e fran-cese. Il porto è divenuto ancor piùimportante dopo che l’Etiopia ha per-so ogni sbocco al mare con l’indi-pendenza dell’Eritrea. Dopo la guerra del 1998-2000, tuttele importazioni etiopi passano perGibuti. L’importanza strategica diquesto paese rende difficile da capi-re l’atteggiamento aggressivo del-l’Eritrea. Un giornalista della Bbc, nelcorso di un’intervista al ministro degliEsteri di Gibuti, gli ha chiesto chesperanze avesse il suo governo di ri-cevere protezione militare da france-si e statunitensi. Il ministro ha rispo-sto laconicamente «… ci stanno giàproteggendo». L’Eritrea dovrebbeprenderne nota.

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KenyaMassacri e abusi alle pendici del Monte Elgon.Interessa a qualcuno?

Nell’ultimo resoconto sul Kenya ap-parso nell’ambito di questa rubrica,abbiamo parlato della vera e propriaguerra in corso, alle pendici delMonte Elgon, fra l’esercito regolare ela “Sabaot Land Defence Force”(Sldf). I Sabaot sono uno dei nume-rosi sottogruppi dei Kalenjin e si divi-dono, a loro volta, nei sottogruppi deiSoy e degli Ndorobo. L’Sldf è attivadall’agosto del 2006, ma ha aumen-tato la frequenza e la ferocia dei suoiattacchi favorita, forse “ispirata”, dalclima di violenza e impunità che hafatto seguito alle elezioni del dicem-bre scorso. Come il nome del grupposuggerisce, anche qui, come altrove,è il possesso delle terre l’annosonocciolo della questione. L’Sldf hapreso le armi dopo che il governo havarato uno schema per la distribuzio-ne della terra nel distretto occidenta-le del Monte Elgon, schema che iKalenjin giudicano ingiusto e discri-minatorio. La situazione è divenutatalmente grave che, agli inizi di mar-zo, dopo ulteriori uccisioni di civiliinermi, stupri e mutilazioni, il gover-no ha inviato l’esercito a combatterecontro l’Sldf. L’esercito è arrivato nel-la zona con camion, elicotteri e arti-glieria pesante. L’Sldf agisce conbrutale efferatezza contro la popola-zione locale appartenente ai gruppietnici “sbagliati”. L’esercito rispondecon il pugno di ferro, con arresti indi-scriminati e numerosi atti di tortura. Il17 giugno scorso Médécins SansFrontières ha pubblicato un rapporto

intitolato “Mount Elgon, Kenya: a ter-rorised population in desperate needof assistance”. In esso, si denuncia-no non solo gli abusi compiuti da en-trambe le parti ma, anche, la totaleindifferenza dei mezzi di comunica-zione di massa, sia di quelli locali siadi quelli internazionali. Nemmeno ilpur lodevole rapporto di Msf ha fattonotizia.

SudafricaUn’ondata di violenza xenofoba nel paese arcobaleno

L’economia sudafricana è la più fortedel continente. Il Sudafrica è il paeseafricano con il più alto Prodotto inter-no lordo (Pil) pro capite (4.960 dollariper persona all’anno) e quello più in-dustrializzato del continente. Il suoPil è un terzo di quello dell’interaAfrica sub-Sahariana (48 paesi). Ne-gli ultimi tre anni, l’economia è cre-sciuta, in media, del 5% all’anno; ildebito pubblico è stato dimezzato frail 1999 e il 2007; il governo ha stan-ziato 285 miliardi di dollari da spen-dere in tre anni per espandere e mi-gliorare i servizi sociali. Nonostante tutto ciò, enormi proble-mi restano da risolvere. E non pos-sono essere risolti in tempi brevi. Iltasso di disoccupazione è stimato at-torno al 30% della forza lavoro (at-torno al 40% secondo altre stime).Secondo uno studio del SouthAfrica’s Institute for Race Relations,il numero di sudafricani che vive conmeno di un dollaro al giorno è piùche raddoppiato negli ultimi dieci an-ni, da 1,9 milioni nel 1996 a 4,2 mi-lioni nel 2005: circa l’8,6% della po-

polazione totale (circa 49 milioni).Nonostante questi problemi, agli oc-chi di milioni di africani diseredati, ilSudafrica appare come una terra diopportunità. Immigrati provenienti daMozambico, Malawi, Lesotho, hannolavorato nelle miniere sudafricaneper decenni. Il baratro in cui lo Zim-babwe è precipitato ha spinto centi-naia di migliaia (c’è chi parla di tremilioni) di zimbabweani a riversarsiin Sudafrica. Anche se non esistonostatistiche ufficiali, dal momento chemolti sono illegali, il South Africa’sInstitute for Race Relations parla diun numero di immigrati africani, spe-cialmente dai paesi vicini, che oscillafra i tre e i cinque milioni. Nel corso del mese di maggio, èesplosa un’ondata di violenza xe-nofobica che ha preso di sorpresa leautorità. Anche se imputare alla pre-senza degli immigrati la disoccupa-zione, la mancanza di case e l’eleva-to tasso di criminalità non è cosanuova. Episodi di violenza si sonoverificati in sette delle nove provinciedel paese, ma sono stati particolar-mente gravi a Johannesburg e aCittà del Capo. Il 21 maggio il presi-dente, Thabo Mbeki, ha ordinato al-l’esercito di pattugliare le strade. È laprima volta che succede dalla finedell’apartheid, 14 anni fa. Mbeki haduramente condannato la violenzaxenofobica. Altrettanto hanno fatto ipiù rispettati e amati leader sudafri-cani, da Desmond Tutu allo stessoNelson Mandela. Non pare sia servi-to. Almeno 60 persone sono stateuccise, più di 600 ferite gravemente,alcune decine di migliaia derubate,percosse e costrette a fuggire dalleloro case. Attualmente, vivono incampi per sfollati. Più di 1.300 suda-fricani sono stati arrestati. Circa40.000 mozambicani sono tornati nelloro paese, dove il governo è statocostretto a dichiarare lo stato diemergenza per far fronte a questoimprovviso flusso di persone. Nume-rosi zimbabweani, riluttanti a tornarenel loro paese in un momento di ele-vata tensione come quello attuale,sono andati in Botswana o nelloZambia. Anche in questo paese, nel-le ultime settimane, si sono verificatiatti di violenza contro immigrati dallo

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Zimbabwe. Il governo sudafricano,dopo avere dichiarato di non volerlofare, ha allestito una dozzina di cam-pi per sfollati dove sono state raccol-te circa 80.000 persone. Questa èun’esperienza nuova per le autoritàsudafricane e i campi non funziona-no sempre al meglio. L’attuale posi-zione ufficiale è che gli sfollati reste-ranno nei campi non più di due mesi.Entro questo periodo, o avranno ri-preso la loro vita normale in Sudafrica(anche con l’aiuto del governo) o do-vranno tornare nel loro paese. Unaposizione molto netta. E ben pocorealistica. Circa un anno fa, ben pri-ma, quindi, dell’esplosione xenofobi-ca del maggio scorso, Thabo Mbeki,in un discorso alla nazione, lamenta-va la mancanza di una visione condi-visa per il futuro del paese. L’ex arci-vescovo di Città del Capo e premioNobel per la pace, Desmond Tutu,due anni fa, lamentava la perdita, daparte del popolo sudafricano, diquella tensione morale che avevacaratterizzato gli anni della lotta con-tro l’apartheid. Quella sudafricana èuna società frammentata da profon-de divisioni razziali, economiche,culturali. L’anno prossimo scadrà ilsecondo mandato presidenziale diThabo Mbeki che, secondo la Co-stituzione, non potrà ricandidarsi.Chiunque gli succeda, avrà un com-pito difficile.

UgandaQuella militare resterà l’unicasoluzione?

Il 6 giugno scorso, in una località ru-rale del Sud Sudan, uomini armati,

appartenenti all’Lra (Lord’s Resi-stance Army) hanno attaccato undrappello dell’esercito locale (Spla:Sudan People’s Liberation Army ) uc-cidendo sette civili e 13 militari. Dal1986, l’Lra ha condotto una guerri-glia sanguinosa e devastante inun’ampia area del nord dell’Uganda,prevalentemente abitata dall’etniadegli Acholi. Numerosi tentativi di ri-portare la pace nella regione sonofalliti, uno dopo l’altro. L’ultima torna-ta di colloqui fra governo ugandese eLra è iniziata nel giugno del 2006 esi è svolta a Juba, capitale del SudSudan, esso stesso uscito (per ora)da più di 20 anni di guerra. I colloquihanno vent’anni. Non sono mancati iproblemi. Governo e ribelli hanno piùvolte minacciato di riprendere le osti-lità. I vecchi rancori sono riaffioratipiù di una volta. L’Lra è parso, spes-so, diviso al suo interno. Fino al pun-to che una delle sue personalità piùimportanti, Vincent Otti, è stato dap-prima imprigionato poi fatto uccidereda Joseph Kony, capo indiscussodell’Lra. Nel 2005 la Corte criminaleinternazionale (Cci) ha emesso man-dati di cattura per Kony e per quattrodei suoi luogotenenti (due sarebberomorti: Lukwiya e, come detto, Otti).Questo ha rappresentato, e rappre-senta, un ostacolo al conseguimentodella pace. Il governo ugandese, do-po avere chiesto alla Cci di pronun-ciarsi sull’Lra, ha fatto retromarcia di-chiarando di essere in grado dirisolvere la questione creando unaSezione speciale nell’ambito dellapropria Corte suprema, per i capidella guerriglia, e utilizzando le mo-dalità della “giustizia tradizionale”degli Acholi per gli altri componentidell’Lra. Questo era, anche, il succodi un accordo firmato il 18 febbraioscorso, a Kampala, da esponenti delgoverno ugandese e dell’Lra. Il pun-to è che il governo ugandese non hail potere di “annullare” i mandatiemessi dalla Cci. Lo potrebbe fare,in circostanze considerate “eccezio-nali”, il Procuratore capo della Cci. Ilquale, finora, non sembra avernel’intenzione. A rendere più confusa ecomplessa la situazione, contribui-sce il fatto che il governo ugandese,da parte sua, non ha chiesto alla Cci

di ritirare i mandati emessi contro ivertici dell’Lra.Quella degli Acholi è la comunità piùcolpita dalla pluriventennale guerri-glia. Kony appartiene a questa co-munità e lo stesso vale per la quasitotalità dei membri dell’Lra. La questione è complessa. Chi scri-ve ha più volte constatato come moltiAcholi desiderino che l’Lra vengasconfitto ma, allo stesso tempo, cheil governo non abbia la meglio. Dif-ficile. Potrebbe la giustizia tradizio-nale essere una risposta? La cosid-detta cerimonia del Mato Oputconsiste nella confessione dei propricrimini da parte dei colpevoli, di fron-te ai parenti delle vittime, poi nellalibagione di una tisana piuttosto a-mara e nel consumare un pasto as-sieme. Agli antropologi queste cosepiacciono. Pare che piacciano menoa molti Acholi che hanno avuto le fa-miglie massacrate dalla guerriglia.Norbert Mao, prominente uomo politi-co Acholi e acceso oppositore del go-verno, sostiene che il Mato Oput nonpuò risolvere gli orrendi crimini dimassa che sono stati perpetrati perun ventennio dall’Lra. Più di 20.000bambini sono stati rapiti, violentati,reclutati come combattenti, costrettia commettere atrocità indicibil i.Migliaia di persone sono state ucci-se. Altre migliaia sono morte per glieffetti indiretti della guerra. Il 95%della popolazione dei distretti diGulu, Kitgum e Pader (circa due mi-lioni di persone) è stato costretto peranni a vivere in campi per sfollati, di-pendendo in tutto e per tutto dagliaiuti esterni. Il tessuto sociale di unacomunità intera è stato distrutto. Ilfuturo di almeno due generazioni èstato ipotecato se non definitivamen-te compromesso. Difficile che tuttoquesto possa essere risolto bevendouna tisana un po’ amara. Difficile an-che che possa essere risolto da untribunale. O, anche, da un accordo dipace. Occorreranno generazioni dilavoro e di lungimiranza politica.Impossibile, comunque, fino a quan-do la pace non sarà raggiunta in mo-do duraturo, cosa che gli eventi diqueste ultime settimane sembranoallontanare. Un accordo di pace defi-nitivo era pronto per la firma il 10

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aprile scorso. Sembrava che doves-se succedere: Kony avrebbe firmatonel campo di Ri-kwanga, in SudSudan, e il presidente ugandeseMuseveni avrebbe firmato, il giornodopo, a Juba. Il ministro degli Interniugandese, Ruhakana Rukunda, si èrecato nella foresta per incontrareKony. Quest’ultimo non si è fatto vi-vo. E tutto è saltato. Di nuovo. Pre-vedibilmente. Kony teme di essereconsegnato alla Cci qualora esca daisuoi nascondigli. Attualmente, pareche si nasconda in una foresta nellaRepubblica Democratica del Congo(Rdc) al confine con il Sud Sudan. Il presidente Museveni, il 7 giugnoscorso, ha lanciato uno dei suoi fre-quenti attacchi al vetriolo controKony, promettendo di “distruggerlo”.Una promessa che ha fatto molte al-tre volte, senza mai riuscire a mante-nerla. Questa volta, però, le magliedella rete potrebbero stringersi attor-no a Kony e ai suoi. Non solo il governo ugandese, maanche quelli del Sud Sudan e dellaRdc sembrano stanchi della continuaminaccia dell’Lra, dei suoi attacchi acivili e militari, della sua imprevedibi-lità e della sua inaffidabilità. Un ac-cordo militare vero, fra i tre paesi,potrebbe, effettivamente, portare allafine dell’Lra. Questo pare uno di quei casi in cui leostilità potranno aver termine sola-mente con la sconfitta (o la morte) diuno dei contendenti. La morte, o la cattura, di Kony, sem-bra essere l’unico elemento che pos-sa portare la pace nel Nord Uganda. Da 22 anni questo ex chierichettocomanda un esercito sui cui compo-nenti ha diritto di vita e di morte; hauna schiera di almeno 50 concubinee non si sa quanti figli. Non è difficilecomprendere la sua riluttanza a fir-mare un accordo di pace che, incambio di quello che ha, gli promettauna cella all’Aia o, peggio ancora,una a Kampala. La sua cattura, o la sua morte, sono,forse, l’unico evento che possa por-tare all’inizio di una sia pur difficile ri-costruzione morale, civile e struttura-le del Nord dell’Uganda. Forse succederà. Forse succederàpresto.

ZimbabweUna vergognosa tragedia che si fa,di giorno in giorno, più grave e pericolosa

Il 29 marzo scorso, circa 5.900.000elettori zimbabweani sono stati chia-mati alle urne per scegliere il presi-dente, i membri del Parlamento equelli dei Consigli locali. Il clima era (ed è tuttora) rovente.L’attuale presidente, Robert Mugabe(84 anni compiuti il 23 febbraio scor-so), e il suo partito, lo Zanu-Pf (Zim-babwe African National Union-Pa-triotic Front) detengono il poteredall’indipendenza, ottenuta 28 annifa. Un tempo fra i paesi più ricchi delcontinente, lo Zimbabwe è, oggi, allabancarotta. Il denaro non ha più va-lore. L’inflazione ha toccato e supe-rato il 100.000% all’anno (ammessoche questo significhi qualche cosa).La Banca centrale ha emesso unabanconota da dieci milioni di dollaridello Zimbabwe che valeva due dol-lari statunitensi quando è stataemessa, in gennaio, e ne vale circamezzo mentre scriviamo (varrà mol-to di meno quando queste righe ver-ranno pubblicate). La produzioneagricola è ai minimi storici e circaquattro milioni di zimbabweani han-no bisogno di aiuti alimentari. Il tassodi disoccupazione viene stimato at-torno all’80%. Circa tre milioni sonocoloro che hanno lasciato il paeseper il Sudafrica, lo Zambia e altripaesi della sub-regione. L’opposizione si è presentata alleelezioni divisa. L’Mdc (Movement forDemocratic Change) si è spezzato indue tronconi nel 2005, ognuno deiquali ha presentato un proprio candi-

dato presidenziale e propri candidatiparlamentari. Il candidato presiden-ziale dell’Mdc era il suo capo storico,l’ex sindacalista Morgan Tsvangirai.I l candidato dell ’ala dissidentedell’Mdc era Arthur Mutambara. Erain lizza anche un rispettato ex mini-stro delle Finanze, Simba Makoni,che ha abbandonato lo Zanu-Pf infebbraio e si è presentato come indi-pendente. Le operazioni di voto sisono svolte in modo relativamentepacifico, anche se non sono manca-te irregolarità. Soprattutto, la fre-quente assenza dalle liste elettoralidei nomi di elettori giovani, presumi-bilmente ostili al regime. I risultatidelle elezioni parlamentari sono statiresi noti il 2 aprile e hanno suscitatoun certo clamore: lo Zanu-Pf, per laprima volta in 28 anni, ha perso lasua maggioranza parlamentare: otte-nendo 97 seggi contro i 99 dell’Mdcdi Tsvangirai. La fazione dell’Mdc diMutambara ha ottenuto 10 seggi. Lasorpresa non è costituita dalla scon-fitta, sia pure di misura, dello Zanu-Pf: è costituita dal fatto che questanon sia stata mascherata dai brogliche, presumibilmente, l’hanno ma-scherata in precedenti elezioni. I risultati delle presidenziali sono sta-ti resi noti dopo più di un mese.Questo lungo ritardo ha provocatogrande tensione e dato adito a nu-merose e giustificate speculazioni.Tsvangirai ha più volte dichiarato diaver ottenuto più del 50% dei voti eche questa era l’unica ragione dellaritardata pubblicazione dei risultati.Quando questi sono arrivati, Tsvan-girai si è visto attribuire il 47,9% deivoti espressi contro il 43,2% attribuitia Mugabe. Ha gridato allo scandalo,ha dichiarato di essere stato palese-mente truffato, si è detto contrario aun secondo turno (necessario per-ché nessun candidato ha, ufficial-mente, superato la soglia del 50%).Nonostante questo, la Commissioneelettorale ha fissato il secondo turnodelle elezioni presidenziali al 27 giu-gno. E, alla fine, almeno in un primotempo, Tsvangirai ha accettato. In-tanto, la situazione nel paese si èfatta incandescente. E si aggravacon il passare del tempo. Numerosiatti di violenza vengono perpetrati

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contro simpatizzanti dell’opposizioneo presunti tali. Almeno 70 seguacidell’Mdc sono stati uccisi fra aprile egiugno. Intere aree sono state sotto-poste a quella che è stata definita“pulizia elettorale”, analoga, in tutto eper tutto, alla “pulizia etnica”. Si sti-ma che siano almeno 25.000 le per-sone costrette a fuggire dalle lorocase e a vivere da sfollati. Per votarenel secondo turno delle presidenzia-li, dovrebbero tornare nelle loro areedi residenza. Per farlo, avrebbero bi-sogno della protezione della polizia.Ma la polizia è dalla parte di chi li hafatti fuggire. Nel suo delirio paranoi-co, il regime ha accusato le Orga-nizzazioni non governative stranieredi sostenere l’opposizione e ha vie-tato tutte le loro attività. Violenza eintimidazioni fanno parte di un pianopreciso per mantenere al potere nontanto e non solo Mugabe ma, anche,forse soprattutto, il nutrito gruppo dicorrotti figuri che lo circonda e chedal suo potere dipende. L’organoprincipale dietro questo piano è ilJoc (Joint Operations Command),responsabile della sicurezza e gui-dato da un duro del regime, Emer-son Mnangagwa, da alcuni indicatoanche come possibile successore diMugabe designato dai vertici delloZanu-Pf. Il suo nome fa parte di unalista, stilata da varie Organizzazionidella società civile, che conta alme-no 200 persone che, se e quando ilregime cambierà, saranno accusatedi crimini contro l’umanità. Lo stessoMugabe fa parte di questa lista, so-

prattutto per la feroce repressioneche ordinò nel Matabelelnd agli inizidegli anni ’80. A quell’epoca, la fami-gerata “Quinta Brigata”, addestratanella Corea dl Nord, fu inviata a re-primere il dissenso degli Ndebeleche, dopo la lotta per l’indipendenza,si vedevano emarginati a favore deimaggioritari Shona (il gruppo etnicodi Mugabe). Fu una vera e propriaguerra che fece circa 20.000 morti.Comprensibile, quindi, che un cambiodi regime sia “vigorosamente” osteg-giato da chi, se tale cambio avvenis-se, baratterebbe potere e ricchezzacon pubblico ludibrio e la galera. Inquesto senso vanno interpretate le di-chiarazioni rese alla vigilia delle ele-zioni dal capo di stato maggiore del-l’esercito, dal capo della polizia e dalcapo dei servizi carcerari: i tre hannoapertamente dichiarato di esserepronti a servire Mugabe, ma non una“marionetta”. Tutti gli oppositori del regime sonodefiniti “marionette” dell’ex potenzacoloniale e dei paesi “occidentali” ingenerale. La più importante e fastidio-sa di queste “marionette”, MorganTsvangirai, a metà giugno ha dichia-rato che lo Zimbabwe «…è governatoda una giunta militare». Una afferma-zione grave che pare confermata dal-l’ondata di violenza organizzata, dagliarresti di numerosi oppositori, inclu-so lo stesso Tsvangirai, arrestato erilasciato una mezza dozzina di voltenelle ultime settimane. Anche TendaiBiti, segretario generale dell’Mdc, èstato arrestato con l’accusa di tradi-

mento. Se giudicato colpevole, rischial’ergastolo o la pena di morte. La vergognosa e violenta farsa cheavrebbe dovuto portare al secondoturno delle presidenziali ha preso unadirezione clamorosa, anche se noninaspettata, domenica 22 giugno. Per questa data era previsto un comi-zio di Morgan Tsvangirai nello stadioprincipale della capitale, Harare.Alcune ore prima del comizio, nume-rosi sostenitori di Mugabe hanno oc-cupato lo stadio e, per le strade dellacapitale, hanno aggredito e percossochiunque potesse essere sospettatodi sostenere l’Mdc. A questo punto,Tsvangirai ha dichiarato di ritirarsi dal-la competizione: «Non possiamochiedere ai nostri sostenitori di anda-re a votare se questo può costare lo-ro la vita». Una frase sensata. Ed elo-quente. A questo punto, Mugabe èvincitore d’ufficio. Resta da vederecome la cosiddetta “comunità interna-zionale” reagirà. Ancor più importan-te, sarà vedere come i politici africanireagiranno. Nelle ultime settimane sisono levate voci insolitamente critichenei confronti di Mugabe dal Botswana,dalla Tanzania, dallo Zambia. La far-sa elettorale sembra conclusa, ma lapartita non lo è. Tsvangirai ha fattoappello alla “comunità internazionale”perché intervenga per «…evitare ungenocidio in Zimbabwe». Sorvolandosul suo disinvolto uso dei termini,Tsvangirai esprime l’angoscia di unpaese allo sfascio nelle mani di unpresidente paranoico e dei suoi sico-fanti.

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I POZZI DI PETROLIO DI ABYEYRISCHIANO DI FAR SCOPPIARE UNANUOVA GUERRA FRA NORD E SUDL’8 giugno scorso è stato annunciatoche il governo di Khartoum e quellodel Sud Sudan avevano concordatouna tregua per porre fine ai combat-timenti scoppiati un paio di settimaneprima ad Abyey. Un accordo di pacefirmato nel 2005, il “ComprehensivePeace Agreement” (Cpa) ha messofine (teoricamente) a più di vent’annidi guerra fra il governo di Khartoume i ribelli del Sud. Questo accordoprevede, nei suoi punti salienti, unalto grado di autonomia per il SudSudan, dotato di un suo parlamentoe un suo governo; una divisione al50% dei proventi petroliferi (anchese circa l’80% dei pozzi si trova nelSud); il ritiro di tutte le truppe del go-verno di Khartoum dai territori delSud; la formazione di forze militaricongiunte che sorveglino i confini fraNord e Sud; l’organizzazione, nel2011, di un referendum nel quale lapopolazione del Sud potrà sceglierefra l’indipendenza o la permanenzaall’interno di uno stato sudanese fe-derale. Molti dei punti più importantidel Cpa non sono stati attuati dal go-verno di Khartoum. Molte delle sue

truppe si trovano ancora nei territoridel Sud; la spartizione dei proventidel petrolio non è trasparente; i tra-sferimenti di fondi da Khartoum aJuba (la capitale del Sud) sono incostante e grave ritardo; i confini del-le aree contese non sono ancorastati definiti. La città di Abyey, e l’a-rea circostante, ricche di petrolio, sitrovano al confine fra Nord e Sud efanno parte delle aree la cui attribu-zione (al Nord o al Sud) non è anco-ra stata determinata. Alla fine dimaggio vi sono scoppiati violentiscontri fra l’esercito di Khartoum equello del Sud Sudan. Non è la pri-ma volta che succede. Decine dipersone sono state uccise. La città èstata quasi completamente distrutta.Più di 90.000 persone sono state co-strette a fuggire e vivono in campiper sfollati. Circa 400 caschi bludell’Unmis (United Nations Missionin Sudan) sono stanziati nella zonadi Abyey. Non hanno potuto evitare omitigare i combattimenti. Ora stannosoccorrendo gli sfollati. Ricordiamoche l’Unmis conta 10.000 uomini, èschierata nel Sud Sudan dal 2005 enon ha niente a che fare con l’Unamid,schierata in Darfur, cui accenniamooltre. Sono stati in molti a temere che que-sta nuova esplosione di violenza, adAbyey, potesse compromettere lapace così faticosamente raggiuntatre anni fa e tuttora molto fragile.Pare che il buon senso abbia preval-so e che lo spettro di una nuovaguerra, agitato da entrambe le parti,sia stato allontanato. Ma i problemidi fondo sono rimasti. Il 2 giugno èstato annunciato che Nord e Sud sisono accordati per chiedere un arbi-trato alla Corte Internazionale del-l’Aia. Sembra un passo positivo.

Resta da vedere quanto tempo sarànecessario alla Corte per pronun-ciarsi. Soprattutto, resta da vederese il suo verdetto verrà accettato daentrambe le parti.

NESSUN MIGLIORAMENTO NEL DARFURMentre la crisi fra Nord e Sud sem-bra, almeno per il momento, rientra-ta, quella del Darfur sembra aggravar-si. Nel 2006, uno studio, coordinatodall’Organizzazione mondiale dellasanità, ha stimato che il conflitto nelDarfur avesse causato la morte dicirca 200.000 persone. Dopo di allo-ra, nei discorsi ufficiali e nei media,si è parlato di «… più di 200.000morti». Il 23 aprile scorso, il direttoredelle attività di Assistenza umanitariadelle Nazioni Unite, John Holmes, haalzato il tiro parlando di un numero divittime oscillante fra le 300.000 e le500.000. Non è chiaro su che cosaqueste stime si basino. È chiaro chehanno irritato il governo sudaneseche, con un certo grado di spudora-tezza, parla di “appena” 10.000 vitti-me. Le stime indicano, inoltre, checirca 2.700.000 persone sono statecostrette a fuggire dalle loro case. Diqueste, circa 250.000 hanno supera-to il confine e vivono in 12 campi perrifugiati nel Ciad. La situazione dei tre Stati del Nord,Sud e West Darfur, è tesa da decen-ni. È peggiorata a cominciare dalfebbraio 2003, quando due movi-menti ribelli, l’Sla (Sudan LiberationArmy) e il Jem (Justice and EqualityMovement) hanno ripreso le armicontro l’esercito di Khartoum. Questo,oltre a combattere direttamente i ri-belli, è ricorso a una vecchia strategiala cui efficacia è stata ampiamentesperimentata nella lunga guerra con il

FOCUS SudanUna bolgia di petrolio, armi, ribelli, rinnegati, crimini di guerra, rifugiati, sfollati

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Sud. Si tratta di armare, organizzaree scatenare milizie armate contro i ri-belli e contro la popolazione civile.Le milizie in questione, i cosiddettiJanjaweed, hanno interpretato il lororuolo con meticoloso impegno, co-stringendo alla fuga centinaia di mi-gliaia di civili e continuando ad attac-carli e terrorizzarli anche nei campiper rifugiati e sfollati. Intanto, il falli-mento dei numerosi tentativi di ripor-tare la pace, la firma di accordi limi-tati e parziali, hanno portato allaframmentazione dei gruppi ribelli.Attualmente se ne contano almenouna quindicina. Inoltre, il conflitto si èallargato oltre le frontiere, coinvol-gendo la Repubblica Centrafricanae, soprattutto, il Ciad. I gruppi etnicimaggiormente colpiti dalla guerrasono Fur, Zaghawa e Massalit.Questi costituiscono anche la diso-mogenea ossatura dei gruppi ribelli.Il territorio che occupano travalica iconfini nazionali. Il presidente ciadia-no, Idriss Déby, appartiene all’etniadegli Zaghawa, così come il capo delJem, Khalil Ibrahim. Anche MinniMinawi appartiene all’etnia Zaghawa.Minawi, capo dell’Sla, ha firmato unaccordo di pace con il governo diKhartoum nel maggio 2006. Un’aladell’Sla, contraria all’accordo, si èstaccata dal movimento originale e,in seguito, si è ulteriormente fram-mentata. Le truppe fedeli a Minawi,da allora, si sono distinte per la dili-genza con cui hanno compiuto atro-cità di ogni genere in diverse areedel Darfur. Minawi, dal canto suo, èdivenuto consigliere del presidente,capo della “Transitional Darfur Re-gional Authority”, ed è stato ricevutoda George Bush alla Casa Biancanel luglio 2006. Per lui, l’accordo dipace è stato un affare.

CIAD E SUDAN: DA UNA GUERRAPER INTERPOSTI GRUPPI RIBELLIAD UNA GUERRA APERTADa anni, i governi di Ciad e Sudan siaccusano, vicendevolmente, di so-stenere l’uno i gruppi ribelli che com-battono l’altro. Ed entrambi dicono ilvero. Il 10 maggio i ribelli del Jemhanno sferrato un clamoroso attaccoalla periferia di Khartoum. Hanno at-taccato Omdurman, amministrativa-

mente parte della capitale. Il gover-no, preso di sorpresa, ha impiegatoun paio di giorni a respingere l’attac-co. Ha fatto numerosi prigionieri e haaccusato il Ciad di avere aiutato i ri-belli. Secondo Khartoum, molti deiprigionieri sarebbero, in realtà, milita-ri ciadiani e molte delle armi sottratteai ribelli apparterrebbero all’esercitociadiano. Le motivazioni di questo attacco delJem non sono chiare. L’impresa haottenuto un enorme effetto propagan-distico. Niente di più. E, sotto il profilomilitare, si è trattato di una sconfitta.Una sconfitta che, peraltro, era facil-mente prevedibile. Un risultato sicuro è quello di averevanificato ogni speranza residua (siapure tenue) di negoziare un accordodi pace nel futuro prevedibile. Il go-verno di Khartoum ha dichiarato dinon voler più intavolare alcun nego-ziato con il Jem. All’attacco ha fattoseguito un’ondata di arresti di so-spetti sostenitori del Jem, soprattuttodi etnia Zaghawa. Mentre scriviamo (22 giugno), unacolonna di ribelli ciadiani è direttaverso la capitale N’Djamena. Era giàsuccesso alcuni anni fa ed è succes-so nel febbraio scorso. In entrambele occasioni il presidente ciadianoDéby si è salvato grazie all’interven-to dei militari francesi che hanno unabase permanente in Ciad. Il 16 mag-gio scorso, di fronte all’avanzata ap-parentemente incontrastata dei ribelliverso la capitale, Déby ha accusatodi inefficacia l’Eufor, la forza di paceinviata dell’Unione Europea. L’Euforè costituita da 3.700 uomini schieratiin parte nel Ciad e in parte nellaRepubblica Centrafricana. Ha il diffi-cile compito di mantenere una paceche non c’è. Ed è costretta a fare datestimone impotente alla guerra fraCiad e Sudan. Pare, in effetti, che ci si stia avvian-do da una guerra combattuta tramitegruppi ribelli a una guerra aperta fra idue paesi. Il 17 giugno il governociadiano ha dichiarato che la città diAde, a pochi chilometri dal confinecol Sudan, è stata attaccata non da«ribelli sostenuti da forze sudanesi»ma da «truppe sudanesi sostenuteda elicotteri militari sudanesi». Il mi-

nistro delle Comunicazioni ciadiano,Mahamat Hissène, ha minacciatouna «reazione proporzionata all’im-pudenza sudanese».

L’UNAMID: UN’ALTRA DEBOLE FORZA DI PACEL’Unamid, l’operazione “ibrida” mes-sa in piedi dalle Nazioni Unite edall’Unione Africana in Darfur, è sta-ta approvata dal Consiglio di sicurez-za il 31 luglio del 2007. A tutt’oggi,poco più di 9.200, dei previsti 26.000uomini, sono schierati su di un terri-torio di circa 540.000 chilometri qua-drati. A detta del suo comandante, ilgenerale Martin Luther Agway, com-pletarne lo schieramento potrebbe ri-chiedere più di un anno. E, visto ilcomplicarsi della situazione, sia al-l’interno sia all’esterno del Sudan, lasua presenza potrebbe essere ne-cessaria per più di dieci anni.Sull’efficacia che questa presenza po-trà avere, il generale non si è pronun-ciato. Sembra lecito nutrire qualchedubbio. Il governo di Khartoum neostacola l’operato in ogni modo: vie-tandone voli notturni, assegnandoleterreno insufficiente per la logistica eper lo stanziamento delle truppe, pro-lungando all’inverosimile le operazioniper sdoganarne l’equipaggiamento. Ilterritorio è vastissimo, il mandato èdebole e il numero degli uomini è in-sufficiente, nonostante si tratti dellapiù ingente forza per il mantenimentodella pace messa in campo dalleNazioni Unite. Questo, ovviamente,quando tutti i suoi effettivi saranno sulcampo. Se mai accadrà.

I MANDATI DI CATTURA DELLACORTE CRIMINALE INTERNAZIONALEL’impotenza della “comunità interna-zionale” di fronte a quanto sa acca-dendo è evidente. Forse, il segno più eloquente è im-personato da Ahmad Harun. In qua-lità di ministro degli Interni, ha orga-nizzato le milizie Janjaweed. Inseguito, probabilmente per i meritiacquisiti, ha ricevuto un incarico di-verso: è stato nominato ministro pergli Affari umanitari. Nel febbraio del2007, la Corte criminale internazio-nale (Cci) ha emesso un mandato dicattura nei suoi confronti per crimini

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di guerra. Il governo di Khartoum hadefinito le accuse “infondate”. Per so-vrappiù, ha incluso Harun in un comi-tato incaricato di supervisionare il di-spiego dell’Unamid. Ma l’arroganzatragicamente ironica del governo su-danese ha raggiunto l’apice quandoha incluso Harun in un altro comitato,incaricato di indagare su “possibili”

violazioni dei diritti umani “eventual-mente” verificatesi in Darfur. Nel di-cembre 2007 Luis Moreno Ocampo,procuratore generale della Cci, par-lando di fronte al Consiglio di sicu-rezza delle Nazioni Unite, ha affer-mato, fra l ’altro, che «…fino aquando Harun rimarrà libero in Khar-toum, non potrà esserci una soluzione

per il Darfur». Assieme a quello ri-guardante Harun, la Cci ha emessoun mandato di cattura, con accuse so-vrapponibili, anche per Ali Kushayb,uno di capi dei Janjaweed, conosciutocome “il colonnello dei colonnelli”.Secondo Khartoum, Kushayb sarebbegià in carcere, ma non sarà conse-gnato alla Cci. Niente di nuovo.

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INTRODUZIONEUna rapida disamina dei dati genera-li della popolazione mondiale con-sente di individuare le cause struttu-rali dei fenomeni migratori e didelinearne le dinamiche: sono infattii crescenti squilibri demografici, l’au-mento delle diseguaglianze nello svi-luppo economico, tecnologico e nellivello di vita tra paesi e aree delmondo i fattori primari della elevatapressione migratoria prevista nei de-cenni prossimi.Nel 2020 la popolazione mondialesarà circa 7 miliardi, concentrata perl’85% nei Paesi in via di sviluppo.Nei paesi ad alto sviluppo umano lacrescita sarà del 6% e in quelli abasso sviluppo del 31%.Sulla base di tali dati appare fondatoprevedere che i flussi migratori dai pae-si poveri verso le aree sviluppate delmondo saranno sempre più intensi. Si stima attualmente in 190 milioni lapopolazione migrante, il 3% di quellamondiale e, per il 2050, la previsioneè di almeno 230 milioni di individui.Questi dati vanno integrati con quelli

dei migranti irregolari (stimati il 15-20% dei regolari), anch’essi in au-mento secondo gli ultimi rilevamentidi cui si dispone 1.In questo processo di dimensioni glo-bali, la migrazione da paesi non ap-partenenti all’Unione europea è un fe-nomeno che condizionerà in misurasempre più marcata gli equilibri e gliassetti socio-economici dell’Europa.Per quanto riguarda l’Italia, in pocopiù di 20 anni essa è diventata metadefinitiva di cittadini stranieri il cuinumero è in costante aumento. È dadire che l’Italia è al tempo stessopaese di emigrazione (sono quasi 4milioni gli emigrati italiani nel mon-do: oltre 60 milioni i cittadini di origi-ne italiana), e di immigrazione (sonooltre 3,5 milioni gli immigrati regolarie irregolari).La popolazione italiana assume cosìuna caratterizzazione assai composi-ta per l’apporto di gruppi etnici censitiin numero maggiore anche rispetto apaesi come la Germania che acco-glie più di sette milioni di stranieri.Altra caratteristica che riguarda l’im-

migrazione in Italia, come in Spagna(3,3 milioni di stranieri), è l’accentua-ta progressione di crescita, dovuta al-l’intreccio tra declino demografico ecarenza di forze lavoro soprattutto indeterminati settori. Se gli immigratinel mondo raddoppiano ogni 35 anni,una crescita di analoga valenza per-centuale in Italia avviene ogni diecianni e secondo un trend anch’essocrescente.Se nel 1992 il numero di immigratiregolari stimato in Ital ia era di925.000, nel 2004 gli immigrati era-no 2.400.000, con una crescita me-dia annua più evidente nell’ultimoperiodo (da 4,9% tra il 1992 e il 2001a 32% tra il 2001 e il 2004).Secondo gli ultimi rilevamenti 3 il 70%degli immigrati regolari ha età com-presa tra 19 e 40 anni e il 49% sonodonne. Oltre il 96% dei permessi disoggiorno è di carattere stabile (permotivi di lavoro il 62%, il 30% per ri-congiungimento familiare e il 4% peraltri motivi: religiosi, residenza eletti-va, adozioni), dato che definisce ilfenomeno migratorio non come prov-

Dinamiche demografichenelle regioni italianePROIEZIONI 2003/2023 IN RELAZIONE AI FLUSSI MIGRATORI

OSSERVATORIO

* Ufficio di Valutazione Epidemiologica. Azienda Ulss 6 Vicenza** Presidente della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni

La società italiana è caratterizzata da debole demografia: labassa natalità, l’alto indice di vecchiaia, la diminuzione dellapopolazione adulta più giovane sono indicatori di potenzialedestabilizzazione dell’economia e di diminuzione della produttività. I dati riportati evidenziano come l’immigrazionepossa contribuire ad attenuare gli effetti negativi indotti dalle tendenze demografiche attuali, ma non sarà in grado di incidere significativamente sul processo di invecchiamentoe sulla bassa natalità.

di Marisa Pacchin* e Salvatore Geraci**

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visorio ed estemporaneo, ma comecomponente strutturale del tessutosocio-economico e culturale del no-stro paese. La presenza di famigliericongiunte favorisce l’evoluzione dauna condizione di tendenziale invisi-bilità sociale a una relazione piùstretta e diffusa con il paese di acco-glienza, dando vita a un dialogo piùravvicinato tra le culture. Alto è il numero di nazionalità ed et-nie con grande diversificazione di lin-gue, culture, tradizioni, religioni. Il40% proviene dai paesi europei extraUe, il 23% dall’Africa (oltre il 16%dall’Africa settentrionale), il 17%dall’Asia, il 10% dall’America (il 9%dall’America Latina). Le comunità piùrappresentate sono la rumena(271.000), l’albanese (257.000) e lamarocchina (240.000); seguono gliucraini (115.000 con una presenzafemminile di oltre l’83%) e i cinesi(114.000). Complessivamente sono190 le nazionalità censite; la religionecristiana è la più rappresentata (49%)seguita dalla musulmana (33%)2.Aumentano le persone coniugate, il52% nel 2006, e aumentano i minori.Erano 284.000 nel 2001, 353.000nel 2003, 503.000 nel 2004 e oltre600.000 nel 2006; il dato è sottosti-mato dal momento che i minori sonoregistrati dal ministero solo in caso diricongiungimento familiare o dopo ilcompimento del 14° anno di età.Il 54% degli stranieri è in Italia dacinque anni, il 26% da dieci anni e il10% da più di 15 anni; si riscontrainoltre una progressiva stabilizzazio-ne della loro presenza sul mercatodel lavoro: il 15% delle assunzioninel 2005 riguarda gli immigrati 2.Se l’immigrazione va vista soprattut-to come una necessità economica eproduttiva, sociale e demografica, èutile valutare con la necessaria aper-tura culturale un’altra opportunitàche induce a considerare positiva-mente l’arrivo e la stabilizzazione dicittadini di altri paesi: l’opportunità diimmettere nella nostra cultura stimo-li, concezioni e progetti di vita, tradi-zioni, valori e aspettative provenientida altri contesti storico-sociali.L’immigrazione in Italia non è fenome-no definibile solo in numeri, dati e sta-tistiche: è soprattutto l’incontro di cul-

ture che si fecondano in un rapportodialettico complesso, dando vita a unmeticciato culturale che le successivegenerazioni sapranno vivere in modimeno traumatici e più proficui, favo-rendo il progresso umano non solo intermini quantitativi ed economici.Sottolineare l’aspetto culturale è pre-messa necessaria alla previsione sucome evolverà, nei prossimi 20 anni,la situazione demografica nelle regio-ni italiane in relazione ai flussi migra-tori. Gli immigrati non sono la soluzio-ne dei problemi demografici attuali efuturi, ma certamente ci sarà bisognodi loro, ci sarà bisogno che i loro figlisiano i “nuovi italiani”; ci sarà bisognodella loro presenza per motivi econo-mici e sociali, ma soprattutto per gliapporti umani e culturali alla soluzio-ne di problemi che una realtà semprepiù complessa ci pone.

METODOLOGIA DI LAVOROÈ stata calcolata una stima della po-polazione residente nel 2023, suddi-visa per regione, età e cittadinanza.Per la popolazione residente nel2003 si è fatto riferimento all’Istat 4.Si sono valutati i soggetti ancora in vi-ta alla fine dell’arco temporale consi-derato, i nuovi nati e i flussi migratori.La stima della mortalità nel 2023 èstata calcolata con le tavole di morta-lità regionali 5, che riportano le proba-bilità di sopravvivenza, per sesso eper età; per gli stranieri si sono utiliz-zate le stesse tavole, assumendoche, per un soggetto residente inItalia, la probabilità di sopravvivenzasia la stessa della popolazione italia-na. Per calcolare il numero dei nati, siè tenuto conto del numero di donne inetà feconda (15-49 anni) e della pro-pensione ad avere figli. Il tasso di fecondità totale (Tft) delledonne italiane è quello previstodall’Istat per il 2030, per regione 6:Valle d’Aosta 1,27; Trentino AltoAdige 1,47; Piemonte 1,27; Lombar-dia 1,28; Veneto 1,28; Friuli VeneziaGiulia 1,2; Liguria 1,12; Emilia Roma-gna 1,16; Toscana 1,17; Marche 1,32;Umbria 1,3; Lazio 1,38; Campania1,76; Abruzzo 1.51; Molise 1,49;Puglia 1,62; Basilicata 1,65; Sicilia1,74; Sardegna 1,23; Italia 1,41; perle straniere, è stato considerato un

tasso di fecondità pari a 2,5, censen-do le prime 20 cittadinanze.Per la previsione dei movimenti migra-tori si è stimato un numero di ingressi,regolari e irregolari, sulla base dei flus-si nel periodo 1999-2003 (7, 8, 9, 10,11, 12). L’ipotesi formulata è di consi-derare, per il prossimo ventennio, unflusso migratorio annuale costante.Ogni anno è previsto l’arrivo in Italia di343.400 nuovi stranieri, di cui il 58%(200.900) al Nord: 82.000 inLombardia, 38.000 in Veneto, 33.000in Emilia Romagna, 9.000 in Liguria,6.000 in Friuli Venezia Giulia, 4.500 inTrentino e 400 in Valle d’Aosta; il 27%(95.500) al Centro: 50.000 nel Lazio,28.000 in Toscana, 10.000 nelleMarche, e 7.500 in Umbria; il 12%(37.000) al Sud: 23.000 in Campania,7.500 in Puglia, 6.000 in Calabria5.000 in Abruzzo, 1.000 in Basilicata e500 in Molise; il 3% (10.000) nelleIsole: 9.000 in Sicilia e 1.000 inSardegna.La proiezione 2003-2023, intesa co-me estensione al futuro della dinami-ca attuale, ha riguardato la popolazio-ne italiana, straniera e complessivaper regione, area geografica e fasced’età (0-14, 15-64 e >– 65 anni). Sonostate calcolate le variazioni percen-tuali e assolute della popolazioneper età, cittadinanza e regione e levariazioni di incidenza degli stranieri.Un’analisi specifica ha riguardato ledonne in età fertile.

RISULTATINella Tabella 1 sono descritte le va-riazioni della popolazione italiana,straniera e complessiva per regione earea geografica nel periodo 2003-2023; nelle Tabelle 2, 3, 4, 5 sono in-dicate le variazioni per fasce di età enella Tabella 6 le variazioni delle don-ne in età fertile italiane e straniere.Considerando un numero di ingressiper anno pari a 343.400, si prevedenel 2023 un aumento della popolazio-ne complessiva del 6% (+3.536.028);gli italiani presentano un trend negati-vo dell’8,3% (-4.561.728), gli stranieripositivo (+8.097.756; da 2.514.940 a10.612.696) e l’incidenza sulla popo-lazione aumenterà da 4,4% a 17%: alNord da 5% a 22%; al Sud da 2% a8%. Si prevede tra il 2003 e il 2023

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TABELLA 1 / Popolazione italiana, straniera e complessiva per regione e area geografica. Anni 2003/2023.Variazioni % e in valore assoluto

Regione 2003 2023 Variazioni 2003-2023

Italiani Stranieri Totale (a) Italiani Stranieri Totale (a) Var. % Var. % Var. % Var. Italiani Stranieri Tot. pop. tot.

val. ass.

Valle d’Aosta 116.679 3.517 120.196 2,9 102.356 13.210 115.566 11,4 -12,3 275,6 -3,9 -4.630Trentino A.A. 906.454 40.109 946.563 4,2 861.693 139.468 1.001.161 13,9 -4,9 247,7 5,8 54.598Piemonte 4.063.055 192.214 4.255.269 4,5 3.450.608 864.428 4.315.036 20 -15,1 349,7 1,4 59.767Lombardia 8.518.521 584.149 9.102.670 6,4 7.534.918 2.503.348 10.038.266 24,9 -11,5 328,5 10,3 935.596Veneto 4.288.024 246.520 4.534.544 5,4 3.836.117 1.158.693 4.994.810 23,2 -10,5 370 10,2 460.266Friuli V.G. 1.129.350 49.001 1.178.351 4,2 940.434 181.430 1.121.864 16,2 -16,7 270,3 -4,8 -56.487Liguria 1.530.956 65.648 1.596.604 4,1 1.211.490 252.178 1.463.668 17,2 -20,9 284,1 -8,3 -132.936Emilia Romagna 3.753.650 224.112 3.977.762 5,6 3.125.101 1.029.839 4.154.940 24,8 -16,7 359,5 4,5 177.178Nord 24.306.689 1.405.270 25.711.959 5,5 21.062.717 6.142.594 27.205.311 22,6 -13,3 337,1 5,8 1.493.352

Toscana 3.321.123 194.585 3.515.708 5,5 2.767.750 868.406 3.636.156 23,9 -16,7 346,3 3,4 120.448Marche 1.392.419 68.659 1.461.078 4,7 1.217.468 321.692 1.539.160 20,9 -12,6 368,5 5,3 78.082Umbria 782.702 51.241 833.943 6,1 664.973 237.948 902.921 26,4 -15 364,4 8,3 68.978Lazio 4.895.850 396.236 5.292.086 7,5 4.458.886 1.432.766 5.891.652 24,3 -8,9 261,6 11,3 599.566Centro 10.392.094 710.721 11.102.815 6,4 9.109.077 2.860.812 11.969.889 23,9 -12,3 302,5 7,8 867.074

Campania 5.680.312 136.381 5.816.693 2,3 5.866.334 630.277 6.496.611 9,7 3,3 362,1 11,7 679.918Abruzzo 1.235.856 39.199 1.275.055 3,1 1.138.320 166.200 1.304.520 12,7 -7,9 324 2,3 29.465Molise 321.114 3.849 324.963 1,2 295.774 16.518 312.292 5,3 -7,9 329,2 -3,9 -12.671Puglia 4.042.309 59.515 4.101.824 1,5 4.056.013 232.987 4.289.000 5,4 0,3 291,5 4,6 187.176Basilicata 597.618 6.806 604.424 1,1 584.441 29.859 614.300 4,9 -2,2 338,7 1,6 9.876Calabria 2.005.324 39.414 2.044.738 1,9 2.013.710 175.741 2.189.451 8 0,4 345,9 7,1 144.713Sud 13.882.533 285.164 14.167.697 2 13.954.592 1.251.582 15.206.174 8,2 0,5 338,9 7,3 1.038.477

Sicilia 4.984.710 97.190 5.081.900 1,9 4.983.200 315.891 5.299.091 6 -0,03 225 4,3 217.191Sardegna 1.629.041 16.595 1.645.636 1 1.523.753 41.817 1.565.570 2,7 -6,5 152 -4,9 -80.066Isole 6.613.751 113.785 6.727.536 1,7 6.506.953 357.708 6.864.661 5,2 -1,6 214,4 2 137.125

ITALIA 55.195.067 2.514.940 57.710.007 4,4 50.633.339 10.612.696 61.246.035 17,3 -8,3 322 6,1 3.536.028

(a) percentuale di stranieri sul totale della popolazione

TABELLA 2 / Popolazione italiana, straniera e complessiva per fascia di età e area geografica. Anni 2003/2023.Variazioni % e in valore assoluto

Fasce Area 2003 2023 Variazioni 2003-2023d’età

Italiani Stranieri Totale (a) Italiani Stranieri Totale (a) Var. % Var. % Var. % Var. Italiani Stranieri Tot. pop. tot.

val. ass.

0-14 anni Nord 3.019.990 263.513 3.283.503 8 2.354.707 1.227.199 3.581.906 34,3 -22 365,7 9,1 298.403Centro 1.340.107 107.413 1.447.520 7,4 1.061.875 604.565 1.666.440 36,3 -20,8 462,8 15,1 218.920

Sud 2.369.676 40.469 2.410.145 1,7 2.276.746 241.301 2.518.047 9,6 -3,9 496,3 4,5 107.902Isole 1.081.885 19.002 1.100.887 1,7 1.016.843 69.552 1.086.395 6,4 -6 266 -1,3 -14.492

ITALIA 7.811.658 430.397 8.242.055 5,2 6.710.171 2.142.617 8.852.788 24,2 -14,1 397,8 7,4 610.733

15-64 anni Nord 16.158.272 1.088.389 17.246.661 6,3 12.979.163 4.769.353 17.748.516 26,9 -19,7 338,2 2,9 501.855Centro 6.833.632 560.455 7.394.087 7,6 5.606.826 2.174.851 7.781.677 27,9 -18 288,1 5,2 387.590

Sud 9.248.145 235.574 9.483.719 2,5 8.973.029 970.306 9.943.335 9,8 -3 311,9 4,8 459.616Isole 4.421.205 92.523 4.513.728 2 4.171.304 278.240 4.449.544 6,3 -5,7 200,7 -1,4 -64.184

ITALIA 36.661.254 1.976.941 38.638.195 5,1 31.730.322 8.192.750 39.923.072 20,5 -13,4 314,4 3,3 1.284.877

>65 anni Nord 5.128.427 53.368 5.181.795 1 5.728.847 146.042 5.874.889 2,5 11,7 173,7 13,4 693.094Centro 2.218.355 42.853 2.261.208 1,9 2.440.376 81.396 2.521.772 3,2 10 89,9 11,5 260.564

Sud 2.264.712 9.121 2.273.833 0,4 2.704.817 39.975 2.744.792 1,5 19,4 338,3 20,7 470.959Isole 1.110.661 2.260 1.112.921 0,2 1.318.806 9.916 1.328.722 0,7 18,7 338,8 19,4 215.801

ITALIA 10.722.155 107.602 10.829.757 1 12.192.846 277.329 12.470.175 2,2 13,7 157,7 15,1 1.640.418

(a) percentuale di stranieri sul totale della popolazione

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TABELLA 3 / Età 0-14 anni. Popolazione italiana, straniera e complessiva per regione e area geografica. Anni 2003/2023. Variazioni % e in valore assoluto

Regione 2003 2023 Variazioni 2003-2023

Italiani Stranieri Totale (a) Italiani Stranieri Totale (a) Var. % Var. % Var. % Var. Italiani Stranieri Tot. pop. tot.

val. ass.

Valle d’Aosta 15.123 646 15.769 4,1 11.614 2.764 14.378 19,2 -23,2 327,9 -8,8 -1.391Trentino A.A. 145.359 7.336 152.695 4,8 117.148 27.308 144.456 18,9 -19,4 272,2 -5,4 -8.239Piemonte 481.956 35.778 517.734 6,9 384.636 175.767 560.403 31,4 -20,2 391,3 8,2 42.669Lombardia 1.099.862 109.021 1.208.883 9 865.852 498.423 1.364.275 36,5 -21,3 357,2 12,9 155.392Veneto 564.791 50.436 615.227 8,2 446.080 226.196 672.276 33,6 -21 348,5 9,3 57.049Friuli V.G. 128.293 7.504 135.797 5,5 98.920 39.515 138.435 28,5 -22,9 426,6 1,9 2.638Liguria 160.011 9.592 169.603 5,7 115.836 52.248 168.084 31,1 -27,6 444,7 -0,9 -1.519Emilia Romagna 424.595 43.200 467.795 9,2 314.621 204.978 519.599 39,4 -25,9 374,5 11,1 51.804Nord 3.019.990 263.513 3.283.503 8 2.354.707 1.227.199 3.581.906 34,3 -22 365,7 9,1 298.403

Toscana 379.279 34.014 413.293 8,2 282.502 185.059 467.561 39,6 -25,5 444,1 13,1 54.268Marche 174.485 13.758 188.243 7,3 142.079 67.828 209.907 32,3 -18,6 393 11,5 21.664Umbria 92.816 9.086 101.902 8,9 75.014 52.076 127.090 41 -19,2 473,1 24,7 25.188Lazio 693.527 50.555 744.082 6,8 562.280 299.602 861.882 34,8 -18,9 492,6 15,8 117.800Centro 1.340.107 107.413 1.447.520 7,4 1.061.875 604.565 1.666.440 36,3 -20,8 462,8 15,1 218.920

Campania 1.063.697 16.666 1.080.363 1,5 1.021.368 120.593 1.141.961 10,6 -4 623,6 5,7 61.598Abruzzo 169.750 6.614 176.364 3,8 157.337 35.858 193.195 18,6 -7,3 442,2 9,5 16.831Molise 44.803 580 45.383 1,3 41.109 3.738 44.847 8,3 -8,2 544,5 -1,2 -536Puglia 670.199 9.726 679.925 1,4 635.961 44.284 680.245 6,5 -5,1 355,3 0,05 320Basilicata 92.158 1.046 93.204 1,1 91.084 5.321 96.405 5,5 -1,2 408,7 3,4 3.201Calabria 329.069 5.837 334.906 1,7 329.887 31.507 361.394 8,7 0,2 439,8 7,9 26.488Sud 2.369.676 40.469 2.410.145 1,7 2.276.746 241.301 2.518.047 9,6 -3,9 496,3 4,5 107.902

Sicilia 858.552 16.855 875.407 1,9 834.237 60.560 894.797 6,8 -2,8 259,3 2,2 19.390Sardegna 223.333 2.147 225.480 1 182.606 8.992 191.598 4,7 -18,2 318,8 -15 -33.882Isole 1.081.885 19.002 1.100.887 1,7 1.016.843 69.552 1.086.395 6,4 -6 266 -1,3 -14.492

Italia 7.811.658 430.397 8.242.055 5,2 6.710.171 2.142.617 8.852.788 24,2 -14,1 397,8 7,4 610.733

(a) percentuale di stranieri sul totale della popolazione

Il fenomeno immigrazione assume funzione decisiva nella ridefinizione delle dinamiche demografiche. È il principalefattore di crescita e di stabilizzazione della popolazione, coneffetti economici e sociali significativi nel lungo periodo.

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TABELLA 4 / Età 15-64 anni. Popolazione italiana, straniera e complessiva per regione e area geografica. Anni 2003/2023. Variazioni % e in valore assoluto

Regione 2003 2023 Variazioni 2003-2023

Italiani Stranieri Totale (a) Italiani Stranieri Totale (a) Var. % Var. % Var. % Var. Italiani Stranieri Tot. pop. tot.

val. ass.

Valle d’Aosta 78.396 2.710 81.106 3,3 64.214 10.208 74.422 13,7 -18,1 276,7 -8,2 -6.684Trentino A.A. 601.886 29.907 631.793 4,7 547.542 108.725 656.267 16,6 -9 263,5 3,9 24.474Piemonte 2.678.262 150.115 2.828.377 5,3 2.101.170 669.876 2.771.046 24,2 -21,5 346,2 -2 -57.331Lombardia 5.763.410 450.387 6.213.797 7,2 4.679.589 1.945.295 6.624.884 29,4 -18,8 331,9 6,6 411.087Veneto 2.889.095 190.644 3.079.739 6,2 2.399.560 906.858 3.306.418 27,4 -16,9 375,7 7,4 226.679Friuli V.G. 746.430 39.006 785.436 5 575.243 134.938 710.181 19 -22,9 245,9 -9,6 -75.255Liguria 968.074 50.035 1.018.109 4,9 722.809 191.158 913.967 20,9 -25,3 282 -10,2 -104.142Emilia Romagna 2.432.719 175.585 2.608.304 6,7 1.889.036 802.295 2.691.331 29,8 -22,3 356,9 3,2 83.027Nord 16.158.272 1.088.389 17.246.661 6,3 12.979.163 4.769.353 17.748.516 26,9 -19,7 338,2 2,9 501.855

Toscana 2.154.240 153.828 2.308.068 6,7 1.677.471 661.036 2.338.507 28,3 -22,1 329,7 1,3 30.439Marche 896.316 53.377 949.693 5,6 741.000 247.499 988.499 25 -17,3 363,7 4,1 38.806Umbria 500.624 40.615 541.239 7,5 400.587 180.270 580.857 31 -20 343,9 7,3 39.618Lazio 3.282.452 312.635 3.595.087 8,7 2.787.768 1.086.046 3.873.814 28 -15,1 247,4 7,8 278.727Centro 6.833.632 560.455 7.394.087 7,6 5.606.826 2.174.851 7.781.677 27,9 -18 288,1 5,2 387.590

Campania 3.795.801 114.032 3.909.833 2,9 3.826.211 487.396 4.313.607 11,3 0,8 327,4 10,3 403.774Abruzzo 805.177 31.654 836.831 3,8 707.713 126.958 834.671 15,2 -12,1 301,1 -0,3 -2.160Molise 207.213 3.190 210.403 1,5 185.998 12.357 198.355 6,2 -10,2 287,4 -5,7 -12.048Puglia 2.720.790 48.228 2.769.018 1,7 2.599.383 182.047 2.781.430 6,5 -4,5 277,5 0,4 12.412Basilicata 392.294 5.638 397.932 1,4 371.290 23.554 394.844 6 -5,4 317,8 -0,8 -3.088Calabria 1.326.870 32.832 1.359.702 2,4 1.282.434 137.994 1.420.428 9,7 -3,3 320,3 4,5 60.726Sud 9.248.145 235.574 9.483.719 2,5 8.973.029 970.306 9.943.335 9,8 -3 311,9 4,8 459.616

Sicilia 3.280.046 78.533 3.358.579 2,3 3.185.643 246.681 3.432.324 7,2 -2,9 214,1 2,2 73.745Sardegna 1.141.159 13.990 1.155.149 1,2 985.661 31.559 1.017.220 3,1 -13,6 125,6 -11,9 -137.929Isole 4.421.205 92.523 4.513.728 2 4.171.304 278.240 4.449.544 6,3 -5,7 200,7 -1,4 -64.184

Italia 36.661.254 1.976.941 38.638.195 5,1 31.730.322 8.192.750 39.923.072 20,5 -13,4 314,4 3,3 1.284.877

(a) percentuale di stranieri sul totale della popolazione

Page 62: Salute e sviluppo n. 3 2007

OSSE

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TABELLA 5 / Età >– 65 anni. Popolazione italiana, straniera e complessiva per regione e area geografica.Anni 2003/2023. Variazioni % e in valore assoluto

Regione 2003 2023 Variazioni 2003-2023

Italiani Stranieri Totale (a) Italiani Stranieri Totale (a) Var. % Var. % Var. % Var. Italiani Stranieri Tot. pop. tot.

val. ass.

Valle d’Aosta 23.160 161 23.321 0,7 26.528 238 26.766 0,9 14,5 47,8 14,8 3.445Trentino A.A. 159.209 2.866 162.075 1,8 197.003 3.435 200.438 1,7 23,7 19,9 23,7 38.363Piemonte 902.837 6.321 909.158 0,7 964.802 18.785 983.587 1,9 6,9 197,2 8,2 74.429Lombardia 1.655.249 24.741 1.679.990 1,5 1.989.477 59.630 2.049.107 2,9 20,2 141 22 369.117Veneto 834.138 5.440 839.578 0,6 990.477 25.639 1.016.116 2,5 18,7 371,3 21 176.538Friuli V.G. 254.627 2.491 257.118 1 266.271 6.977 273.248 2,6 4,6 180,1 6,3 16.130Liguria 402.871 6.021 408.892 1,5 372.845 8.772 381.617 2,3 -7,5 45,7 -6,7 -27.275Emilia Romagna 896.336 5.327 901.663 0,6 921.444 22.566 944.010 2,4 2,8 323,6 4,7 42.347Nord 5.128.427 53.368 5.181.795 1 5.728.847 146.042 5.874.889 2,5 11,7 173,7 13,4 693.094

Toscana 787.604 6.743 794.347 0,8 807.777 22.311 830.088 2,7 2,6 230,9 4,5 35.741Marche 321.618 1.524 323.142 0,5 334.389 6.365 340.754 1,9 4 317,7 5,5 17.612Umbria 189.262 1.540 190.802 0,8 189.372 5.602 194.974 2,9 0,1 263,8 2,2 4.172Lazio 919.871 33.046 952.917 3,5 1.108.838 47.118 1.155.956 4,1 20,5 42,6 21,3 203.039Centro 2.218.355 42.853 2.261.208 1,9 2.440.376 81.396 2.521.772 3,2 10 89,9 11,5 260.564

Campania 820.814 5.683 826.497 0,7 1.018.755 22.288 1.041.043 2,1 24,1 292,2 26 214.546Abruzzo 260.929 931 261.860 0,4 273.270 3.384 276.654 1,2 4,7 263,5 5,6 14.794Molise 69.098 79 69.177 0,1 68.667 423 69.090 0,6 -0,6 435,4 -0,1 -87Puglia 651.320 1.561 652.881 0,2 820.669 6.656 827.325 0,8 26 326,4 26,7 174.444Basilicata 113.166 122 113.288 0,1 122.067 984 123.051 0,8 7,9 706,6 8,6 9.763Calabria 349.385 745 350.130 0,2 401.389 6.240 407.629 1,5 14,9 737,6 16,4 57.499Sud 2.264.712 9.121 2.273.833 0,4 2.704.817 39.975 2.744.792 1,5 19,4 338,3 20,7 470.959

Sicilia 846.112 1.802 847.914 0,2 963.320 8.650 971.970 0,9 13,9 380 14,6 124.056Sardegna 264.549 458 265.007 0,2 355.486 1.266 356.752 0,4 34,4 176,4 34,6 91.745Isole 1.110.661 2.260 1.112.921 0,2 1.318.806 9.916 1.328.722 0,7 18,7 338,8 19,4 215.801

Italia 10.722.155 107.602 10.829.757 1 12.192.846 277.329 12.470.175 2,2 13,7 157,7 15,1 1.640.418

(a) percentuale di stranieri sul totale della popolazione

Page 63: Salute e sviluppo n. 3 2007

OSSE

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TABELLA 6 / Donne italiane e straniere in età feconda (15-49 anni), per regione e area geografica. Anni 2003/2023.Variazioni % e in valore assoluto

Regione 2003 2023 Variazioni 2003-2023

Italiani Stranieri Totale (a) Italiani Stranieri Totale (a) Var. % Var. % Var. % Var. Italiani Stranieri Tot. pop. tot.

val. ass.

Valle d’Aosta 26.636 1.141 27.777 4,1 18.022 2.910 20.932 13,9 -32,3 155,0 -24,6 -6.845Trentino A.A. 214.388 10.564 224.952 4,7 166.592 29.473 196.065 15,0 -22,3 179,0 -12,8 -28.887Piemonte 896.259 61.848 958.107 6,5 600.246 188.041 788.287 23,9 -33,0 204,0 -17,7 -169.820Lombardia 1.965.017 181.034 2.146.051 8,4 1.346.533 528.326 1.874.859 28,2 -31,5 191,8 -12,6 -271.192Veneto 1.005.226 70.636 1.075.862 6,6 693.541 251.821 945.362 26,6 -31,0 256,5 -12,1 -130.500Friuli V.G. 243.872 17.186 261.058 6,6 159.323 40.862 200.185 20,4 -34,7 137,8 -23,3 -60.873Liguria 315.858 21.444 337.302 6,4 197.248 53.042 250.290 21,2 -37,6 147,4 -25,8 -87.012Emilia Romagna 822.304 67.731 890.035 7,6 521.272 228.872 750.144 30,5 -36,6 237,9 -15,7 -139.891Nord 5.489.560 431.584 5.921.144 7,3 3.702.777 1.323.347 5.026.124 26,3 -32,5 206,6 -15,1 -895.020

Toscana 718.214 69.026 787.240 8,8 471.573 199.262 670.835 29,7 -34,3 188,7 -14,8 -116.405Marche 308.938 22.974 331.912 6,9 218.519 76.300 294.819 25,9 -29,3 232,1 -11,2 -37.093Umbria 168.330 18.667 186.997 10,0 116.101 56.815 172.916 32,9 -31,0 204,4 -7,5 -14.081Lazio 1.152.803 138.882 1.291.685 10,8 835.275 293.515 1.128.790 26,0 -27,5 111,3 -12,6 -162.895Centro 2.348.285 249.549 2.597.834 9,6 1.641.468 625.892 2.267.360 27,6 -30,1 150,8 -12,7 -330.474

Campania 1.439.716 48.794 1.488.510 3,3 1.291.752 120.910 1.412.662 8,6 -10,3 147,8 -5,1 -75.848Abruzzo 288.046 14.001 302.047 4,6 217.624 37.995 255.619 14,9 -24,4 171,4 -15,4 -46.428Molise 74.880 1.555 76.435 2,0 58.116 3.855 61.971 6,2 -22,4 147,9 -18,9 -14.464Puglia 1.016.450 18.684 1.035.134 1,8 854.636 46.407 901.043 5,2 -15,9 148,4 -13,0 -134.091Basilicata 146.208 1.964 148.172 1,3 119.075 5.794 124.869 4,6 -18,6 195,0 -15,7 -23.303Calabria 499.438 11.812 511.250 2,3 425.380 32.902 458.282 7,2 -14,8 178,5 -10,4 -52.968Sud 3.464.738 96.810 3.561.548 2,7 2.966.583 247.863 3.214.446 7,7 -14,4 156,0 -9,7 -347.102

Sicilia 1.225.296 30.889 1.256.185 2,5 1.060.434 60.880 1.121.314 5,4 -13,5 97,1 -10,7 -134.871Sardegna 415.258 5.748 421.006 1,4 302.022 8.361 310.383 2,7 -27,3 45,5 -26,3 -110.623Isole 1.640.554 36.637 1.677.191 2,2 1.362.456 69.241 1.431.697 4,8 -17,0 89,0 -14,6 -245.494

Italia 12.943.137 814.580 13.757.717 5,9 9.673.284 2.266.343 11.939.627 19,0 -25,3 178,2 -13,2 -1.818.090

(a) percentuale di straniere sul totale della popolazione

Page 64: Salute e sviluppo n. 3 2007

una crescita media annua comples-siva dello 0,3% (+176.801): -0,4% (-228.080) per gli italiani e +16% (+ 404.888) per gli stranieri. Il rapporto stranieri : italiani che nel2003 è di 1 : 22, sarà nel 2023 di 1 : 5.

Proiezioni demografiche per classidi età > 0-14 anniSi evidenzia un aumento del 7,4% (+ 610.733) per il complesso dei mino-

ri; i bambini italiani subiranno un calodel 14% (-1.100.941), mentre glistranieri aumenteranno di 1.712.220(da 430.397 a 2.142.617) e l’inciden-za sulla popolazione passerà da 5%a 24%: al Nord da 8% a 34%; al Sudda 1,7% a 9,6%. Si prevede una crescita media an-nua dello 0,4% (+30.537): -0,7% (-55.074) per gli italiani e +20%(+85.611) per gli stranieri.Il rapporto stranieri : italiani che nel2003 è 1:18, sarà nel 2023 1: 3.> 15-64 anniI soggetti in età lavorativa aumente-ranno del 3% (+1.284.877); la popo-lazione italiana diminuirà del 13% (-4.930.932), mentre quella stranie-ra aumenterà di 6.215.809 (da1.976.941 a 8.192.750) e l’incidenzapasserà da 5% a 20%: al Nord da6,3% a 27%; al Sud da 2,5% a 9,8%. Si prevede una crescita media an-nua dello 0,2% (+64.244): -0,7% (-246.547) per gli italiani e +15,7%(+310.790) per gli stranieri.Il rapporto stranieri : italiani che nel2003 è 1:19, sarà nel 2023 1: 4.> >_ 65 anniGli anziani aumenteranno del 15%(+1.640.418): per gli italiani si prevedeuna crescita del 14% (+1.470.691; da10.772.155 a 12.192.846), per gli stra-nieri si passerà da 107.602 a 277.329(+169.727). L’incidenza degli stranierisarà del 2,2%.Si prevede una crescita media peranno dello 0,8% (82.021): +0,7%(73.535) per gli italiani e +7,9%(8.486) per gli stranieri.

Il rapporto stranieri : italiani che nel2003 è 1 : 100, nel 2023 sarà 1 : 44.> Indice di vecchiaia L’indice di vecchiaia (IV = pop65-ol-tre/pop0-14*100) da 131 passerà a141; senza flussi migratori l’indicenel 2023 sarebbe più elevato: 182.> Proiezioni demografiche delle

donne in età fertileLe donne in età fertile subiranno uncalo del 13% (-1.808.090). La dimi-nuzione si rileva in tutte le regioni

(range -26% in Sardegna, -7% inUmbria). Il calo delle italiane sarà del25% (-3.269.853) mentre le stranie-re aumenteranno di 1.451.763 (da814.580 a 2.226.343) e l’incidenzasulla popolazione passerà dal 6% al19%: al Nord da 7,3% a 26%; al Sudda 2,7% a 7,7%. Si prevede una diminuzione mediaper anno dell’1,2% (-90.904): -0,7%(163.493) per le ital iane e +9% (+72.588) per le straniere.Il rapporto straniere : italiane che nel2003 è 1:16, nel 2023 sarà 1: 4.

CONCLUSIONIIl fenomeno immigrazione assumefunzione decisiva nella ridefinizionedelle dinamiche demografiche. È ilprincipale fattore di crescita e di sta-bilizzazione della popolazione, coneffetti economici e sociali significativinel lungo periodo.Con i flussi migratori la popolazioneaumenterà nelle fasce di età più gio-vani e in età lavorativa, mentre la cre-scita degli anziani sarà più contenuta.La società italiana è caratterizzatada debole demografia: la bassa na-talità, l’alto indice di vecchiaia, la di-minuzione della popolazione adultapiù giovane sono indicatori di poten-ziale destabilizzazione dell’econo-mia e di diminuzione della produt-tività. I dati riportati evidenziano co-me l’immigrazione possa contribuiread attenuare gli effetti negativi indot-ti dalle tendenze demografiche at-tuali, ma non sarà in grado di incide-re significativamente sul processo di

invecchiamento e sulla bassa nata-lità. L’aumento degli anziani e la bassa na-talità saranno perciò sempre più emer-genze a cui il sistema socio-economi-co dovrà rispondere con programmiadeguati e con politiche attive nel so-stegno alla famiglia (flessibilità neitempi di lavoro, servizi per la prima in-fanzia, misure di conciliazione tra lavo-ro e famiglia) e con interventi mirati epiù attenti al fenomeno immigrazione

che dovrà essere considerata una ri-sorsa.

BIBLIOGRAFIA1. Marceca M., Geraci S., Martino A.:Esperienza migratoria, salute e disug-uaglianze. In Atti del Convegno“Fragilità sociale e tutela della salute:dalle disuguaglianze alla correspons-abilità”. Edito dall’Istituto superiore disanità - Rapporti IstiSan, 07/14, Roma,2007; 19:24.2. Caritas, Immigrazione. Dossier sta-tistico 2006. Edizione Nuova Anterem,Roma.3. Istat, La popolazione straniera inItalia al 1° gennaio 2006.4. Istat, La popolazione residente inItalia per età, sesso al 1° gennaio2003, http://www.demo.istat.it 5. Istat, Tavole di mortalità delle regioniitaliane, 1999, http://www.demo.istat.it 6. Istat, Previsioni della popolazioneresidente per sesso, età e regione,base 1.1.2001, http://www.istat.it7. Istat, Permessi di soggiorno perclasse d’età, regione e sesso, 1999,http://www.istat.it. 8. Istat, La presenza straniera legale,1999, http://www.demo.istat.it 9. Istat, La popolazione straniera inItalia al 1° gennaio 2000.10. Istat, La popolazione straniera inItalia al 1° gennaio 2001.11. Ministero dell’Interno, Domande diregolarizzazione al 18 dicembre 2002,http://www.interno.it 12. M. Livi Bacci, Introduzione alla de-mografia, Ed. Loescher, 1999; 308-333.

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RVAT

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Con i flussi migratori la popolazione aumenterà nelle fasce dietà più giovani e in età lavorativa, mentre la crescita deglianziani sarà più contenuta.

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L’Italia è stata, per circa un secolo,uno dei maggiori paesi d’emigrazio-ne nel mondo. È solo dalla secondametà degli anni ’70 che il suo ruolonel sistema delle migrazioni interna-zionali muta radicalmente diventan-do, più che di partenza, meta di pas-saggio o di arrivo. Oggi, a quasitrent’anni dal primo saldo migratoriopositivo, l’Italia conta sul suo territo-rio circa 2,5 milioni di persone prove-nienti da altri Stati. Queste stime (ilnumero dei migranti regolarmenteregistrati è meno della metà) fannodell’Italia il terzo paese europeo co-me consistenza del fenomeno migra-torio alla pari della Gran Bretagna ealle spalle di Germania e Francia(Dati Istat, Rapporto annuale. La si-tuazione del paese nel 2004, Roma,2005; Caritas di Roma, Migrantes:immigrazione - Dossier Statistico,Roma, 2004).Il Veneto è la terza regione italianaper consistenza del fenomeno immi-gratorio. Gli immigrati presenti sulterritorio regionale sono, secondo lestime, circa 275/280.000, il 10% deltotale nazionale. La popolazionestraniera è in continuo aumento e inparticolare, dagli inizi degli anni ’90,si registra un incremento della per-centuale di donne e minori (rispetti-vamente il 46% e il 23% del totaledegli stranieri). Il fenomeno dell’im-migrazione interessa tutte le provin-ce venete anche se in maniera nonuniforme. Il 70% degli immigrati pre-senti in Veneto si concentra nelleprovince di Vicenza, Verona e Tre-viso. La provincia di Padova accoglieil 15% degli stranieri: di questi un ter-zo risiede regolarmente nel comunedi Padova (Dati Istat, Rapporto an-nuale. La situazione del paese nel2004, Roma, 2005; Regione del Ve-

neto, Il Veneto si racconta: dossierstatistico 2005, Venezia, 2005).In questo scenario demografico è or-mai comune per la maggioranza deimedici di medicina generale (Mmg) eper i pediatri di libera scelta (Pls) an-noverare fra i propri assistiti numerisempre più consistenti di stranieri. L’indagine, svolta nel territorio del-l’Ulss 16 di Padova, è volta ad analiz-zare la percezione e le eventuali diffi-coltà che il Mmg e il Pls hanno dellarelazione con il proprio paziente immi-grato.Non si è cercato pertanto di dimo-strare se il paziente immigrato siarealmente portatore di malattie “eso-tiche” o di indagare quali siano gliaspetti socio-sanitari che l’immigratoritiene problematici bensì valutare:> con quali e quanti pazienti immi-

grati si relaziona oggi un medico aPadova;

> quali le difficoltà che si incontranonella pratica medica quotidiana;

> quali i suggerimenti e le idee peraffrontare questi problemi.

MATERIALI E METODIL’indagine è stata effettuata tra la fi-ne del 2005 e inizio 2006 nell’Ulss 16di Padova, tramite somministrazionedi un questionario. La distribuzione èavvenuta grazie alla mediazione deidirettori di distretto e di un responsa-bile dell’unità operativa Cure prima-rie che hanno diffuso i questionari frai medici di medicina generale (Mmg)e i pediatri di libera scelta (Pls).La scelta delle domande da porre èstata fatta a partire da studi prece-denti effettuati in altre province italia-ne inerenti agli aspetti sanitari dell’im-migrazione con particolare attenzionealle ricerche che hanno indagato ledifficoltà percepite dagli stranieri nel

rapportarsi al proprio medico di basee nell’accedere ai servizi (AA.VV., Ilpaziente immigrato, Cuamm PadovaEditeam, 1994; T. Esposito, Relazio-ne medico - paziente e ruolo del me-dico di famiglia in W. Pasini (a curadi), Il medico e il paziente immigrato;Regione del Veneto, Relazione So-cio-Sanitaria della Regione Veneto,Venezia, 2005).Il questionario utilizzato, validato, ècostituito da 16 domande, a sceltasingola, a scelta multipla ed aperte,suddivise in tre sezioni:1. dati anagrafici dei medici;2. dati riguardanti la gestione del la-

voro (numero di assistiti, cono-scenza di lingue straniere, uso delcomputer, presenza di un/a segre-tario/a, etc.);

3. percezione del rapporto medico-paziente immigrato (eventuali disa-gi o difficoltà, suggerimenti praticiper migliorare la situazione, etc.).

RISULTATIDai dati ottenuti emerge che il cam-pione dei 103 medici (65 uomini e 38donne) è risultato essere compostoda medici di 53,4 anni in media (conun netto picco se considerati i medicinati tra il ’51 e il ’60), che svolgonoper più dell’83% la loro attività da piùdi dieci anni. Analizzando i dati prettamente lavo-rativi l’85% ha più di 750 assistiti,l’89% dichiara di usare il computernel lavoro, il 35% ha una segretaria(per sé o in comune con altri colle-ghi). Il contatto medico-paziente av-viene direttamente nel 67% dei casie previa accettazione dal segreta-rio/a o prenotazione telefonica nelrestante 33%. Il 92% degli intervistatidichiara di conoscere almeno unalingua straniera (soprattutto inglese

Il rapporto tra il medico di basee il paziente immigratoDifficoltà di relazione e comunicazione

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di Valeria Marin*RASSEGNA

* Medico chirurgo, direttore della Scuola di specializzazione in igiene e medicina preventiva, dipartimento di Medicina ambientale e Sanità pubblica, Università di Padova

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e francese) mentre riferiscono che aconoscere altre lingue oltre l’italianosia il 50% dei segretari/e.Per quanto concerne il numero di as-sistiti stranieri, il 23% dichiara un nu-mero che va da 0 a 20, 30% circa unnumero tra 21 e 50, il 30% tra 51 e100. Quelli che dichiarano più dicento stranieri tra gli assistiti sono il17%. Per quanto riguarda i paesid’origine le comunità più presenti ne-gli ambulatori dei Mmg e Pls sonoquelle dell’Est Europa (37%), del-l’Africa settentrionale (30%) e dell’A-sia (15%). I dati riferiti dai medici so-no in linea con i dati Istat relativi allepresenze straniere nel 2004, questosuggerisce come vi sia una ideamolto precisa dei Mmg e Pls su quel-le che sono le zone di provenienzadei loro assistiti (Dati Istat, Rapportoannuale. La situazione del paese nel2004, Roma, 2005; Regione delVeneto, Il Veneto si racconta: dos-sier statistico 2005, Venezia, 2005).In merito alla relazione con l’assistitoimmigrato è stato chiesto al medicodi indicare, in una scala di valori da 1(per niente/pochissimo) a 5 (moltissi-mo), il grado di disagio provocato daalcune situazioni che studi prece-denti (T. Esposito, Relazione medico- paziente e ruolo del medico di fa-miglia in W. Pasini (a cura di): Il medi-co e il paziente immigrato; R. Mala-testa, Aspetti sanitaridell’immigra-zione extracomunitaria. II° convegno,Treviso - 21 maggio 1992) hanno indi-cato come ostacoli all’instaurarsi diuna buona relazione tra il medico el’assistito immigrato. In Figura 1 ven-gono riportate le medie dei valori at-tribuiti dai medici ai motivi di disagioconsiderati: disagio generato da diffi-coltà di comprensione linguistica, dadifficoltà di espressione linguistica,da differenze culturali, da differenzenelle tradizioni mediche oppure disa-gio generico. I risultati raccolti evi-denziano come le difficoltà maggior-mente sentite dai medici siano quellelinguistiche mentre i problemi cultu-rali e sociali, molto sentiti dai pazien-ti immigrati, abbiano poca rilevanza. Ai medici è stato quindi chiesto diesprimere un giudizio, in una scaladi valori, in merito all’atteggiamentoe al vissuto del paziente straniero. I

risultati ottenuti sono riportati nellaFigura 2.Il rapporto di fiducia tra il medico e ilpaziente è ritenuto per lo più valido epresente (media 3,24). La complian-ce del paziente viene giudicata nelcomplesso adeguata dalla maggiorparte dei medici (media 3,04); noncompletamente valida è tuttavia la

compliance nei confronti di tratta-menti a lungo termine e delle misuredi prevenzione (media 2,6), dato checonferma quanto riportato in lettera-tura (L. Frighi, Approccio medico aiproblemi di salute mentale degliimmigrati in W. Pasini (a cura di): Il medico e il paziente immigrato; R. Colasanti, S. Geraci, Argomenti di

1

2

3

4

5

altri tipi di medicina

differenze culturali

espressione in lingua straniera

comprensionelingua

generico

FIGURA 1 / Valutazioni possibili cause di disagio nel rapporto medico-paziente immigrato

Disagio a causa di:

1

2

3

4

5

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FIGURA 2 / Valutazione rapporto medico-paziente immigrato

Come il medico valuta nell’immigrato:

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Medicina delle Migrazioni, Ed. PeriTecnes - Busseto (Pr), 1995).Analizzando la media dei valori dellerisposte (ponendo “per niente/pochis-simo” = 1 e “moltissimo” = 5) si notacome la maggior parte del campione(media 3,3) ritenga che il sentirsi po-co assistito non rappresenti un vissu-to comune tra gli assistiti stranieri. Laconoscenza dei diritti sanitari da par-te degli stranieri, con una media di3,08, risulta sufficiente. I medici delcampione ritengono che il pazienteimmigrato per lo più (media 2,9) nonconosca perfettamente le corretteprocedure per fruire dei servizi sani-tari. Condivisa è l’idea che il pazientein Italia da più tempo conosca e si re-lazioni meglio con il sistema sanitario(media 3,8). Nel complesso si può af-fermare che il medico rilevi la presen-za di tutte le componenti di un buonrapporto con il paziente. Da sottoli-neare come i giudizi espressi dai me-dici siano risultati molto discordanticon tante riposte sui valori 1 o 5 piut-tosto che distribuiti in maniera gaus-siana intorno al valore 3.Il 41% dei medici intervistati non ritie-ne che il paziente straniero sia fontedi particolari disagi o fastidi. Del re-stante 59% il problema che si verifi-ca più di frequente (indicato da più diun quarto degli intervistati) è la for-mulazione di richieste improprie, se-guito dall’atteggiamento di pretesa,segnalato dal 16% dei medici. Moltimedici tuttavia specificano che que-

ste tipologie di problemi si rilevano tragli italiani così come tra gli immigrati.Grande varietà di risposte è statadata per quanto riguarda possibili in-terventi in grado di migliorare la co-municazione e la relazione tra Mmge Pls e immigrati. Grazie alle indica-zioni derivanti dal confronto con imedici nella fase di validazione delquestionario, sono stati individuaticinque possibili interventi ed è statochiesto di esprimere un giudizio inmerito alla loro utilità in una scala da1 (non utile) a 5 (utilissimo).Valutando sia la percentuale di medi-ci che ha risposto in maniera favore-vole alle varie proposte (risposte“abbastanza utile”, “molto utile” e“utilissimo”) sia la media ottenuta uti-lizzando la scala di valori, è statopossibile evidenziare quali le propo-ste ritenute quantitativamente e qualiqualitativamente più interessanti. I corsi di lingue per medici sono perlo più ritenuti una possibilità utile dal63% dei medici con una media delpunteggio dato pari a 3,1. L’organiz-zazione di corsi antropologici vienegiudicata il meno utile, solo il 50% logiudica di un qualche interesse (me-dia di 2,5). La possibilità di averemediatori culturali o interpreti facil-mente contattabili all’occorrenza so-no eventualità ritenute più o menoutili dal 61% e 59% degli intervistati(entrambe con media 2,8). Solo il53% ritiene utile l’istituzione di am-bulatori dedicati agli stranieri (media

2,8). Come evidenziato dalla Figura 3le opinioni espresse dai medici sonomolto eterogenee e nessuna dellesoluzioni proposte vede favorevoliuna larga maggioranza degli inter-pellati (in grigio sono evidenziate lerisposte che ottengono più del 20%delle preferenze).

CONCLUSIONIIn conclusione, dall’indagine effettua-ta, emerge come il principale proble-ma che i medici di medicina generalee i pediatri di libera scelta devono af-frontare nel rapportarsi alle personestraniere riguardi la difficoltà di com-prensione linguistica, nonostante imedici intervistati siano risultati perpiù del 92% in grado di parlare e ca-pire almeno una lingua straniera,prevalentemente inglese e francese.Ciò è probabilmente dettato dal fattoche l’immigrazione oggi riguarda po-polazioni provenienti da aree geogra-fiche in cui la conoscenza di questelingue è scarsa. Fra le soluzioni pro-poste l’istituzione di corsi di lingueper i medici risulta quella giudicatapiù utile, seguita dalla possibilità per imedici di avvalersi del supporto dimediatori culturali o interpreti. Va sot-tolineato come molti medici sottolinei-no l’utilità ancora maggiore di incre-mentare il numero e l’accessibilità dicorsi di italiano per stranieri.A differenza di quanto risulti da studisimili fatti ponendo il paziente immigra-to e non il medico al centro dell’analisi,il rapporto medico-paziente è giudicatonel complesso buono; le principali diffi-coltà riguardano la compliance nelleterapie a lungo temine e nelle azioni diprevenzione. Atteggiamenti negativiquali formulare richieste improprie oassumere atteggiamenti di pretesasono presenti in una minoranza deicasi, senza differenze rispetto algruppo di assistiti italiani. Evidente è infine come vi sia grandedifferenza individuale nel giudizio sulrapporto col paziente immigrato e sueventuali soluzioni volte a renderlopiù semplice.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA1. AA.VV., I l paziente immigrato ,Cuamm Padova Editeam - 1994.

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FIGURA 3 / Valutazioni sull’utilità di possibili interventi (evidenziati i risultati con più del 20% delle preferenze)

Vuote Nessuna Poco Abbastanza Molto Utilissimiutilità utili utili utili

Corsi 1,3% 20% 16% 20% 16% 26,6%di lingue

Corsi 2,6% 24% 22,6% 29,3% 12% 9,3%antropologici

Mediatori 2,6% 25,3% 10,6% 29,3% 13,3% 18,6%culturali

Interpreti 2,6% 28% 10,6% 28% 12% 18,6%

Ambulatori 1,3% 32% 13,3% 18,6% 12% 22,6%dedicati

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* Fundaçao Universidade Federal do Rio Grande (Furg) - RS-Brasile

RIASSUNTOLa Sindrome della immunodeficienzaacquisita (Aids) è una malattia che simanifesta in seguito all’infezione del-l’organismo umano da parte del virusdella Immunodeficienza umana (Hiv).In Brasile sono già stati registrati circa371.000 casi di Aids (notificazioni fattea partire dall’identificazione del primocaso del 1980 fino al giugno del2005). Nel novembre del 1996 è statapromulgata, da parte del “Sistema uni-co di salute” (Sus), la Legge 9313 chedispone l’obbligo della somministra-zione gratuita di farmaci antiretrovirali(Arvs) a coloro che ne hanno neces-sità. Circa 165.000 pazienti sono in te-rapia con i 17 Arvs distribuiti dal Sus. Il presente lavoro, di tipo descrittivo,è stato sviluppato a partire da unarevisione bibliografica sistematicasulla politica dei farmaci Arvs in Bra-sile. Le ricerche bibliografiche sono

state eseguite per mezzo della ricercadi articoli presso la Biblioteca virtualedi sanità (Bireme), la letteratura latino-americana e dei Caraibi in Scienzedella salute (Lilacs), la National Libraryof Medicine (Pubmed), il ministerodella Sanità del Brasile-Programmanazionale di Dst e Aids, l’Organiz-zazione Pan-Americana di sanità(Opas), l’Organizzazione mondiale disanità (Oms), e i Centers for DiseaseControl and Prevention (Cdc). Par-tendo da questa revisione e dalla let-tura degli articoli selezionati, si è de-scritto la storia dell’Aids e l’evoluzionedella malattia, e la politica dei farmaciArvs istituita dal ministero della Sa-nità. A questo fine è stata realizzataun’analisi critica degli Arvs impiegati,la loro descrizione, l’anno di introdu-zione e le spese sostenute. Incro-ciando i dati sui diversi tipi di agentiArvs introdotti negli anni, in particolare

con l’introduzione della Terapia antire-trovirale altamente attiva (Haart) e idati circa la mortalità si è valutato l’im-patto che questo tipo di trattamentoha avuto sull’epidemia. È stato cosìpossibile apprezzare meglio la ten-denza di questi indicatori d’accordocon l’espansione e modificazione dellapolitica terapeutica attraverso l’introdu-zione di farmaci nuovi e più efficaci. Parole-chiave: politica sanitaria, po-litiche pubbliche, epidemiologia, anti-retrovirali, Aids.

INTRODUZIONEDati mondiali della United NationsProgramme on Hiv/Aids (UnAids)del giugno 2006, mostrano che il nu-mero di persone con Hiv nel 2005era circa 38,6 milioni; 4,1 milioni era-no i nuovi infettati con Hiv nello stes-so anno; i decessi per Aids nel 2005arrivarono a 2,8 milioni.

Farmaci antiretrovirali (Arvs)in Brasile: una revisione sulla politica, tipi di Arvs e ripercussioni sull’epidemia

di Luciana Fgueiredo, Raul Andrès Mendoza-Sassi,

Jussara Silveira, Giovanni Baruffa*

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Si calcola che circa 1,6 milioni di per-sone viva con Hiv/Aids in AmericaLatina, incluse 610.000 donne (36%del totale). In America Latina nel 2004sono morte per cause correlate all’in-fezione da Hiv 95.000 persone e ci so-no state 240.000 nuove infezioni. Tra igiovani da 15 a 24 anni, si calcola chelo 0,5% delle donne e lo 0,8% degliuomini vivano con Hiv/Aids. In duepaesi dell’America Latina – Guatemalae Honduras – la prevalenza nazionaledell’infezione da Hiv supera l’1%.Tuttavia la ridotta prevalenza in altrearee maschera il fatto che si stannoverificando gravi epidemie localizzatein altri paesi, ivi incluso il Brasile, doverisiede oltre un terzo delle personecon Hiv/Aids (3rd Ias, 2004).Si calcola che circa 593.000 personevivano con Hiv o Aids in Brasile. Dal-l’identificazione del primo caso di Aids,nel 1980, fino al giugno del 2006, so-no stati diagnosticati 433.000 casidella malattia (ministero della Sanità,2006).Nel 2004 una ricerca in ambito nazio-nale ha stimato che in Brasile circa593.000 persone tra i 15 e i 49 annivivevano con Hiv o Aids (0,61%). Diqueste, 208.000 donne (0,42%) e385.000 uomini (0,80%).Fino a dicembre 2005 vi sono staticirca 183.000 decessi per Aids. Finoal 1995 la curva di mortalità accom-pagnava quella di incidenza di Aids,quando ha raggiunto il tasso di 9,7decessi per 100.000 abitanti.Il governo brasiliano ha cominciato aoffrire accesso gratuito e universalealla terapia antiretrovirale nel 1996.Attualmente, circa 160 mila personericevono questa terapia attraverso ilsistema pubblico di sanità. Il Brasiledistribuisce gratuitamente 17 farmaciper l’Aids. Nel 2004 il governo brasi-liano, in associazione con organizza-zioni non governative (ong) di tutto ilpaese, ha promosso la distribuzionedi oltre 150 milioni di preservativi. Ilpaese è alla ricerca di nuovi vaccinie, a questo proposito, ha sviluppatoil Piano nazionale di vaccini perl’Aids. Si è provveduto a creare unComitato nazionale di vaccini perl’Aids, composto da scienziati, rap-presentanti della società civile e delgoverno, per accompagnare questo

importante progetto (ministero dellaSanità, 2002).Nel Rio Grande do Sul, fino a giugno2004, si sono registrati 29.970 casi diAids (Bollettino Epidemiologico, 2004).Dati del Sistema nazionale di vigilanzasanitaria (Sinan) del 2005 mostranoche i municipi che presentavano ilmaggior numero di casi di Aids nel2003, erano: Porto Alegre (1164), RioGrande (172) e Santa Maria (160). Iltasso di mortalità per Aids nello Statoera di 10,6 per 1.000 abitanti e 12 per1.000 abitanti rispettivamente negli an-ni 1996 e 2002. Si sono registrati circa1.101 casi di trasmissione verticaledell’Hiv nello Stato fino al 2003 (mini-stero della Sanità, 2005a).La città di Rio Grande si colloca al61° posto nella classifica dei munici-pi brasiliani con il maggior numero dicasi di Aids notificati, d’accordo conl’anno della diagnosi. Con riferimen-to all’incidenza di Aids nei municipibrasiliani, d’accordo con l’anno didiagnosi tra 1980 e 2003, Rio Gran-de si situa alla 37° posto (ministerodella Sanità, 2003b).Si è realizzato uno studio sulla dis-seminazione del sub-tipo C nel suddel Brasile da parte di Martinez ecollaboratori nel 2002 per descrivereil profilo molecolare ed epidemiologi-co di Hiv-1 nei pazienti dell’ospedaleuniversitario della città di Rio Grande(Soares, 2005).Con riferimento al sub-tipo B si sonoriscontrati i seguenti dati: sul totale di85 pazienti con Aids studiati, 36 pre-sentavano il sub-tipo B essendo il67% uomini e il 33% donne; gli ete-rosessuali erano il 52% e il 14%quelli che usavano droghe iniettabili(Udi) (Soares, 2005).Con riferimento al sub-tipo C si sonoregistrati i seguenti dati: sul totale di85 pazienti, 38 presentavano il sub-tipo C essendo il 42% uomini e il58% donne; gli eterosessuali sonouna maggioranza, con il 71% e il16% pazienti Udi (Soares, 2005). Rio Grande è un posto appropriatoper questo tipo di studio per le suecaratteristiche: ha un porto, il chesuggerisce una grande diversità deisub-tipi di Hiv-1 in forza della au-mentata probabilità di differenti intro-duzioni virali indipendenti nella regio-

ne; è vicina a tre paesi diversi, sug-gerendo di nuovo un’opportunità diaumento della diversità virale; con-frontato coi dati brasiliani, Rio Gran-de è la città con la più elevata preva-lenza del sub-tipo C; l’ospedaleuniversitario della Fondazione uni-versità federale di Rio Grande (Furg)è referenza nella regione sud delloStato per la terapia dei pazienti Hivpositivi e con Aids (Soares, 2005). Lo studio conclude che, nonostanteil sub-tipo C sia apparso più di re-cente nel sud del Brasile, predominaa Rio Grande sul sub-tipo B. Questofatto potrebbe accadere in altre re-gioni del Brasile o anche del SudAmerica, dove il sub-tipo C domina.L’universalizzazione dell’accesso aiservizi di sanità pubblica è cominciatocon la Costituzione del 1988. LaLegge organica di Sanità (19/09/1990),includendo il Sistema unico di salute,ha avuto di mira la decentralizzazionee democratizzazione della gestione,provocando profondi cambiamentinella Sanità pubblica brasiliana cheha richiesto, per essere impiantata efunzionare, un miglioramento del si-stema di informazione in sanità(Ferreira, 2002).Il Sus si situa tra i maggiori sistemipubblici di sanità del mondo, essen-do l’unico che garantisce assistenzaintegrale e totalmente gratuita pertutta la popolazione, inclusi i pazientiportatori dell’Hiv, sintomatici o no(Ferreira, 2002).La risposta brasiliana all’epidemia diAids è iniziata a partire dalla fine deglianni ’80, con la costruzione di una po-litica nazionale per affrontare le malat-tie trasmissibili sessualmente (Dst) el’Aids, avendo come principali attori lasocietà civile e l’organizzazione dellepersone che vivevano con Hiv/Aids,ottenendo un progresso significativonella seconda metà della decade ’90.La politica attuale, basata sulla pre-messa che la prevenzione dell’Aids el’assistenza alle persone che vivonocon Hiv/Aids non possono andare dis-sociate, è il risultato di questo progettocollettivo, le cui basi sociali e politichehanno dato forma alla struttura e allaorganizzazione del Programma brasi-liano di Aids. Nel novembre del 1996 è stata pro-

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mulgata dal Sus del Brasile la Legge9.313 che dispone circa l’obbligodell’accesso gratuito a tutti quelli chehanno bisogno di farmaci antiretrovi-rali. Circa 165.000 pazienti erano interapia con i 17 Arvs distribuiti dalSus nel 2004. Il governo brasilianospese 260 milioni di dollari in farmaciArvs. Del totale, l’80% fu speso peracquistare 8 farmaci importati. Alla fi-ne del 2005, il numero dei pazienti interapia arrivò a 170.000, con unaspesa di 500 milioni di dollari. Nel 2008 questo numero arriverà a215.000 persone, che equivarrà a 525milioni di dollari spesi con farmaci im-portati (ministero della Sanità, 2006).

La rottura del brevetto sui farmaci per-metterà che i laboratori brasiliani pos-sano produrre i medicinali a prezzi mi-nori, con diminuzione dei costi. Il governo federale sta sviluppandouna serie di azioni, come campagneeducative, servizi di assistenza alter-nativi, promozione di politiche sicure,acquisti e distribuzione di preservati-vi ed esami di laboratorio, sviluppo distudi e formazione di professionistispecializzati. Il risultato di questeazioni è il riconoscimento internazio-nale del successo del Brasile nellalotta all’Aids (Ferreira, 2002).Il ministero della Sanità è riuscito a ot-tenere prezzi più bassi per i farmaci

antiretrovirali rispetto a quelli praticatidalla industria farmaceutica in altripaesi. I prezzi più bassi sono una con-seguenza degli acquisti in larga scalae dell’entrata dei laboratori stataliFarmanguinhos – Istituto di tecnologiain farmaci (laboratorio produttore dimedicinali legato direttamente al mini-stero della Sanità che ha una posizio-ne di primo piano nella ricerca, svilup-po e produzione di medicinali per ilSus), Lafepe (Laboratorio farmaceuti-co dello Stato di Pernambuco), Iquego(Industria chimica dello Stato di Goiàs)e Furp (Fondazione per il farmaco po-polare, istituita dal governo dello Statodi S. Paulo) – nel mercato dei farmaciantiretrovirali, fornendoli ad un prezzopiù basso. Inoltre l’esistenza di un“Consenso brasiliano per la terapiaantiretrovirale” ha permesso una piani-ficazione migliore per l’acquisto di me-dicinali e l’uso razionale degli stessi daparte dei medici della rete pubblica. Laterapia antiretrovirale combinata ga-rantisce all’individuo con infezione daHiv una sopravvivenza maggiore e unmiglioramento della qualità di vita edella condizione fisica ed emotiva.Così questi individui che in maggioran-za si trovano in età economicamenteattiva, possono continuare produttivisenza consumare risorse della Sicu-rezza sociale per il pagamento di be-nefici quali l’aiuto malattia e la pensio-ne per invalidità (Chequer, 2006).

MATERIALI E METODIIl lavoro di tipo descrittivo è stato svi-luppato partendo da una revisionebibliografica riguardante la politicadei farmaci Arvs in Brasile. Partendoda questa revisione e dalla lettura diarticoli selezionati, è stata realizzataun’analisi critica degli Arvs impiegati,descrizioni degli stessi, anno di intro-duzione e spese sostenute. Si sonocostruite tabelle di consolidazionedei dati per la sistematizzazione del-le informazioni ottenute.Attraverso la consultazione delSistema di informazioni sulla morta-lità (Sim-DataSus) e del Bollettinoepidemiologico Aids (anno XVII,2003), si sono ottenute informazionisulla mortalità per Aids. Nei grafici diRio Grande do Sul e Rio Grande, so-no stati utilizzati dati di mortalità del

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FIGURA 2 / Tasso di letalità per Aids nelle regioni Sud, Sud Est, Centro-Ovest,Nord, Nord Est del Brasile negli anni dal 1983 al 2002

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DataSus; dal 1984 al 1995 è statoutilizzato il Cid-9 (Codice internazio-nale delle malattie) per la ricerca deidati e dal 1996 al 2004 è stato usatoil Cid-10. I numeri dei casi di Aids,per tutti i grafici, è stato ottenuto nelsistema di informazioni DataSus.Incrociando i dati relativi ai diversi tipidi antiretrovirali introdotti lungo gli an-ni, soprattutto dopo l’introduzione del-la Haart, e i dati relativi alla mortalità èstato possibile valutare l’impatto chequesto tipo di trattamento ha avutonella riduzione dell’epidemia.

RISULTATI E DISCUSSIONE Analizzando il grafico della Figura 1,possiamo notare il crescente aumen-to del tasso di mortalità correlato adAids dall’inizio della epidemia, nel1983, alla metà del 1995.Nel 1995, il tasso di letalità (numerodi decessi diviso per il numero di casi)è arrivato al massimo, arrivando aquasi all’85%. A partire dal 1996, si èverificata una brusca caduta in coinci-denza dell’inizio della Haart e l’intro-duzione di un nuovo gruppo di farma-ci, fino all’anno 1998, riducendo in piùdella metà la letalità. Dal 1999 si hauna piccola elevazione seguita dallastabilizzazione del tasso.La spiegazione di questo comporta-mento dell’epidemia può essere trova-ta nell’accesso sempre più intensodella popolazione ai farmaci Arvs for-niti dal Sus, con conseguente aumen-to dell’aspettativa di vita del pazientee relativa qualità della stessa, evitan-dosi così molti ricoveri in ospedalecorrelati alla malattia, le cosiddette in-fezioni opportunistiche, che potrebbe-ro risultare nella morte del paziente.Nella Figura 2 abbiamo i dati di leta-lità per Aids di tutte le regioni delBrasile tra gli anni 1983 e 2002.Come si vede nel grafico, tutte le re-gioni presentano praticamente un’e-voluzione simile in relazione al tassodi letalità. La regione Sud-Est è quellache presenta un tasso di letalità unpoco superiore alle altre arrivando almassimo nel 1995, con il 90%, conconseguente caduta e stabilizzandosinegli anni seguenti. Del totale dei casidi Aids, circa l’80% si concentra nellaregione Sud-Est e Sud. Il Sud-Est è laregione più colpita fin dall’inizio dell’e-

pidemia e, nonostante l’elevato tassodi incidenza, si mantiene in un pro-cesso di stabilizzazione.Dal punto di vista epidemiologico,l’Aids è una malattia che al suo inizionon ha obbedito ai modelli normalidelle epidemie. Comparve inizialmen-te negli strati con migliori condizioni socio-economiche. Queste personeviaggiando all’estero contraevano lamalattia. Ritornando in Brasile, la tra-smettevano all’interno della propriacerchia sociale. Solo in seguito l’Aidssi è disseminata tra la popolazione,non essendo più riconosciuta comemalattia limitata ad alcuni ceti sociali.Sarebbe questa una spiegazione pos-sibile per capire perché i tassi di leta-lità nel Sud-Est sono stati un po’ mag-giori di quelli delle altre regioni, in

quanto il Sud-Est concentrava, all’ini-zio dell’epidemia, un numero maggio-re di persone in buone condizioni eco-nomiche che si collocavano nel profilodel malato, particolarmente a SanPaolo. La regione Nord ha presentatonegli ultimi anni un aumento del tassodi letalità abbastanza significativo, ilche probabilmente può essere dovutoalla mancanza di un programma loca-le di assistenza ai portatori della ma-lattia al contrario della regione Sud.Nella Figura 3 abbiamo un grafico coivalori dello Stato del Rio Grande doSul. Tra il 1984 e 1995 si raccolserodati del DataSus, impiegando come ri-ferimento il Cid-9. Tra il 1996 e il 2004si impiegò come riferimento il Cid-10.Dopo l’introduzione della politica di ac-cesso universale alla terapia antiretro-

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FIGURA 4 / Tasso di letalità per Aids nella città di Rio Grande dal 1986al 2004

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virale si è constatata una caduta dellamortalità. A partire dal 2000 è evidentela stabilizzazione con tasso intorno al50%. Inoltre tra il 1993 e il 2003, si èosservato un aumento di circa cinqueanni nell’età mediana dei decessi perAids in entrambi i sessi, riflettendo unaumento nella sopravvivenza dei pa-zienti (ministero della Sanità, 2006a).Nella Figura 4 vi sono i dati della cittàdi Rio Grande-RS. Tra il 1986 e 1995si sono avuti decessi al di sopra delnumero di casi di Aids. Ciò è dovutoalla notificazione basata sul Cd-9 chenon è esclusivo dei decessi per Aids.A partire dal 1996 nota una stabilizza-zione intorno al 50%. Il periodo dal1999 al 2001 è abbastanza confuso,in quanto ci sono due aumenti nel tas-so di letalità, alla metà del 1999 e allametà del 2001, non essendoci nessunmotivo apparente che giustifichi que-sto tipo di variazione. Dal 2002 il tassosi stabilizza nuovamente intorno al30%. Una spiegazione per l’aumentodel 1999 e il 2001 potrebbe essereche il campione, piuttosto ridotto separagonato alla popolazione del RioGrande do Sul o del Brasile, riflettemaggiori variazioni nei tassi. In altreparole, una piccola variazione nel nu-mero dei decessi, si traduce in grandivariazioni dei tassi. Altra ipotesi daprendere in considerazione per spie-gare l’aumento dei tassi va ricercatanel fatto che il servizio di Aids dellacittà di Rio Grande ha acquistato unanotorietà come uno dei migliori centridi trattamento della malattia nella re-gione Sud. Stando così le cose, moltipazienti con Aids possono trovare piùvantaggioso stabilirsi nella città perusufruire della terapia Arv, in quanto lenotificazioni della malattia sono fatted’accordo con la residenza.Infine queste variazioni nei tassi pos-sono spiegarsi col fatto che col passa-re del tempo si è verificato un miglio-ramento nella qualità delle notifiche didecesso. L’Aids fu codificata più ade-guatamente come Cd-10.Non si può negare il successo delProgramma brasiliano sull’Aids. Ilfatto appare chiaro nei grafici, vistoche è stato possibile contenere i li-velli dei tassi di mortalità. L’accessogratuito alla terapia Arv non solo au-menta la sopravvivenza del pazien-

te, ma anche migliora la sua qualitàdi vita, in quanto diminuisce l’occor-renza di infezioni opportuniste.Il Programma Hiv/Aids è un esempioper tutto il mondo in quanto aiuta laprevenzione della malattia, per mez-zo di campagne educative e distribu-zione di preservativi, e promuovel’assistenza al paziente con Aids at-traverso la distribuzione di medicinalie appoggio alla diagnosi di laborato-rio. Però, se da un lato la terapia Arvdiminuisce i l numero di ricoveriospedalieri, comportando una ridu-zione delle spese per i pazienti conAids, tuttavia il costo sanitario puòaumentare. Infatti, se si registra unamaggior sopravvivenza di questi pa-zienti, si avranno anche persone piùanziane con Aids, e questo comportaun maggior numero di casi di iper-tensione, diabete, in altre parole,problemi che si presentano in gene-re nell’età più avanzata.Si è visto che un pilastro importantedella politica è l’accesso gratuito agliArvs. Si è dimostrato pure che i costidei farmaci tendono ad aumentare neiprossimi anni, potendo pregiudicarel’efficacia della politica. È quindi im-portante che si prendano alcune misu-re. Tra queste possiamo citare la con-correnza per ridurre i prezzi praticatidall’industria farmaceutica. Si dovràincentivare la produzione nazionale el’eliminazione dell’esclusività sui far-maci per ridurre i costi elevati dei me-dicinali, considerato che si tratta di unproblema di sanità pubblica. Si po-trebbe porre in atto un sistema di ac-quisto online, diminuendo così il ri-schio di concorrenze fraudolente. Conla nazionalizzazione della produzionedei farmaci Arvs, parte delle sommedestinate al programma Dst/Aids po-trebbero essere destinate ad altri set-tori della sanità ancora abbastanzaprecari. Potrebbe essere istituito inol-tre un consorzio tra i paesi poveri delMercosul, per rendere più facile l’ac-cesso alla terapia, potendo così usu-fruire, in forza di un volume maggioredi acquisti, di un prezzo finale più ac-cessibile.Nonostante le difficoltà nella nego-ziazione dei prezzi e pur trattandosidi un Paese in via di sviluppo, il pro-gramma è efficace e i suoi risultati

sono visibili, diventando così, comeè stato detto precedentemente, unesempio per altri paesi.Si è evidenziata pertanto la neces-sità di un periodico monitoraggio su-gli effetti della politica sull’epidemia.

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MEDICI CON L’AFRICA CUAMMPrima ong in campo sanitario riconosciuta in Italia, è la più grande organizzazione sanitaria italiana per lapromozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Realizza progetti a lungo termine in un’ottica disviluppo, intervenendo con questo approccio anche in situazioni di emergenza, per garantire servizi di qualitàaccessibili a tutti. A tale scopo si impegna nella formazione in Italia e in Africa delle risorse umane dedicate,nella ricerca e divulgazione scientifica in ambito tecnico di cooperazione sanitaria, nell’affermazione del dirittoumano fondamentale alla salute per tutti, anche dei gruppi più marginali, diffondendo nelle istituzioni e nell’o-pinione pubblica i valori della solidarietà e della cooperazione tra i popoli, della giustizia e della pace. Fa partedi Volontari nel mondo - Focsiv, la federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontario. Èmembro del Comité de Liaison delle organizzazioni non governative dell’Unione Europea e di Medicus MundiInternational, la federazione internazionale di organismi di cooperazione in campo sanitario. È corrispondentedell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Unicef. In oltre cinquant’anni, la sua azione si è concentrata su:> la preparazione e la realizzazione di programmi di cooperazione sanitaria> l’invio di medici esperti di cooperazione sanitaria in Africa e in altri paesi del Sud del mondo> lo studio e la ricerca sui problemi della salute e dello sviluppo> le attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

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SALUTE E SVILUPPO / N. 3 2007 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI COOPERAZIONE E POLITICA SANITARIA INTERNAZIONALE