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 LE DUE ANIME

Tutte le Opere - versione italiana > Polemici >

Le due anime

LE DUE ANIME

I Manichei ammettono due anime, ma escludono che una provengada Dio. Agostino replica che tutte le anime sono state create daDio.

1. 1. Con l’aiuto della misericordia divina, spezzati e abbandonati ilacci dei Manichei e finalmente restituito al grembo della Chiesacattolica, ora posso considerare quella mia miseria e deplorarla.Erano molte le cose che avrei dovuto fare per evitare che tantofacilmente e in così poco tempo fossero estirpati dal mio cuore, conl’inganno o la frode di uomini ipocriti o fallaci, i semi della verissima

religione innestati salutarmente in me fin dalla fanciullezza. Inprimo luogo infatti avrei dovuto riflettere in modo misurato ediligente, con la mente supplichevole e pia verso Dio, su quei duegeneri di anime ai quali essi hanno attribuito nature così distinte eparticolari per cui, secondo loro, l’uno doveva essere consideratoproveniente dalla sostanza stessa di Dio e l’altro invece tale chenon poteva avere Dio neppure come autore. Con questo esameforse mi sarebbe apparso manifesto che non esiste alcuna vita, diqualsiasi genere, la quale, per il fatto stesso di essere vita e in

quanto è veramente tale, non si riferisca alla sorgente e al principiosommo della vita, che, lo dobbiamo ammettere, altro non è che ilsommo e unico vero Dio. Pertanto mi sarei reso conto che quelleanime, che i Manichei chiamano malvagie, o sono prive di vita equindi non sono anime, né possono volere o non volere, desiderareo fuggire alcunché, oppure hanno la vita, così che possono essereanime e compiere atti come quelli che essi immaginano. Ma in talcaso esse possono vivere solo in virtù della vita. E se avessi avutola certezza, che ora ho, che Cristo ha detto Io sono la vita 1, non ci

sarebbe stato nessun motivo per non ammettere che tutte le

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anime, che possono essere tali solo perché vivono, sono statecreate e istituite mediante il Cristo, cioè per mezzo della vita.

Se ha per autore Dio la luce che partecipiamo con i sensi, a

maggior ragione lo ha l’anima che percepiamo con il solo intelletto.2. 2. A quell’epoca il mio pensiero non poteva affrontare esostenere la questione relativa alla vita stessa e alla partecipazionealla vita, questione indubbiamente difficile e che richiede unadiscussione molto serena tra persone assai dotte. Forse sareiriuscito a scoprire ciò che appare del tutto chiaro ad ogni uomo cheriflette bene e in modo imparziale, cioè che tutto ciò che chiamiamosapere e conoscenza l’abbiamo appreso o mediante i sensi del

corpo o mediante l’intelligenza. Anche a livello comune siannoverano cinque sensi del corpo: la vista, l’udito, l’odorato, ilgusto e il tatto. Ma chi non concederebbe, a meno che non siaingrato ed empio, che l’intelligenza li supera e li sovrasta tutti perampiezza e profondità? Ciò stabilito e confermato, ne segue chetutto ciò che è percepito con il tatto e con la vista o con qualsiasialtro senso corporeo è di tanto inferiore a ciò che attingiamo conl’intelligenza di quanto vediamo che i sensi stessi sono inferioriall’intelligenza. Tutta la vita perciò e, di conseguenza, tutta l’anima

non può essere percepita da alcun senso corporeo, ma dal solointelletto : gli stessi Manichei, d’altra parte, dicono che il sole e laluna e ogni luce che si percepisce con questi occhi mortali devonoessere attribuiti al Dio vero e buono. È quindi il colmo dellademenza, da un lato, dichiarare che si riferisce a Dio ciò cheintuiamo attraverso il corpo e, dall’altro, negare ed escludere cheEgli sia il creatore di ciò che in verità possiamo afferrare nonsemplicemente con l’animo ma con la sua parte più alta, ossia conla mente e l’intelligenza, cioè della vita, comunque la si intenda,perché è pur sempre vita. Infatti, se interrogassi me stesso, dopoaver invocato Dio, non potrei forse rispondere cosa sia vivere, perquanto ciò sia inaccessibile ad ogni senso del corpo eassolutamente incorporeo? O non riconoscono anche essi che leanime, che detestano, non solo vivono, ma vivono una vitaimmortale? E quando Cristo ha detto: Lascia i morti seppellire i loromorti 2, non lo ha detto delle persone assolutamente prive di vita,ma dei peccatori, poiché il peccato è l’unica morte dell’anima

immortale. Ne è testimone Paolo, il quale scrive: Morta è la vedovache si dà ai piaceri 3; a suo avviso, infatti, essa è nello stessotempo morta e vivente. Io perciò, da parte mia, non presterei

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attenzione a quanto corrotta sia la vita dell’anima peccatrice, masemplicemente al fatto stesso che vive. E se ciò non potessipercepirlo che tramite l’intelligenza, mi renderei conto, credo, chequalunque anima di tanto debba essere preferita alla luce che

percepiamo con questi occhi di quanto preferiamo l’intelligenza agliocchi stessi.

Anche l’anima, che i Manichei dicono malvagia, è migliore della lucecorporea.

3. 2. Siccome poi essi confermano anche che questa luce terrenaproviene dal Padre di Cristo, avrei allora potuto dubitare chequalunque anima viene da lui? Per inesperto e giovane che fossi,

neppure allora in verità avrei potuto affatto dubitare che non solol’anima, ma anche qualsiasi corpo proviene da Dio, se avessipensato con spirito pio e prudente che cosa è la forma e che cosal’essere formato, che cosa la bellezza e che cosa l’essere rivestito dibellezza, infine quale di queste cose è causa e di chi.

3. 3. Ma per ora taccio del corpo. È dell’anima che mi rammarico,del suo movimento spontaneo e pieno di vita, della sua attività,della sua vita, della sua immortalità. Mi rammarico infine di aver

creduto, me misero, che una cosa potesse possedere tutte questequalità senza doverle alla bontà di Dio; di aver prestato pocaattenzione alla loro grandezza. Di questo penso di dovermirammaricare, di questo penso di dover piangere. Avrei dovutomeditare su queste cose, riflettervi sopra, sottoporle a loro: avreifatto vedere quale sia la potenza dell’intelligenza, mostrando chenon c’è niente nell’uomo che possiamo avvicinare alla suaeccellenza. Una volta che questi uomini, se pure erano tali, miavessero concesso ciò, avrei domandato loro se vedere con questi

occhi equivale a comprendere. Qualora l’avessero escluso, ne avreitratta la conclusione, in primo luogo, che l’intelligenza della menteè di gran lunga da anteporre alla vista; poi avrei aggiunto che ciòche percepiamo con un’attività migliore deve necessariamenteessere giudicato migliore. Chi non lo concederebbe? Quindi avreicontinuato a domandare: quest’anima, che dicono malvagia, lapercepiamo con questi occhi, oppure la comprendiamo con lamente? Con la mente, avrebbero ammesso. Tutto ciò convenuto estabilito tra noi, avrei mostrato quale conclusione ne avrei tratta:naturalmente che l’anima che esecravano era migliore della luceche veneravano, dal momento che l’una è conosciuta con l’intelletto

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della mente, l’altra con il senso del corpo. Ma a questo punto forseessi si sarebbero trovati in imbarazzo e si sarebbero rifiutati diseguire la ragione come guida, tanto grande è la forza delle opinioniinveterate e della falsità a lungo difesa e creduta. Ma io li avrei

incalzati ancora se si fossero trovati in imbarazzo, però non inmodo accanito, puerile, pervicace; avrei ripreso ciò che era statoconcesso e mostrato quanto fosse inevitabile far così. Li avreiesortati a consultarsi tra loro, in modo da vedere con certezza checosa avremmo dovuto negare, se ritenessero falso che l’intelletto èda preferirsi a queste luci carnali o che quanto si conosce con laparte più alta dell’animo è più eccellente di quanto si conosce conun vile senso corporeo; oppure se rifiutassero di ammettere che leanime da loro ritenute estranee a Dio possano essere conosciute

soltanto con l’intelligenza, cioè con ciò che c’è di più altonell’animo; oppure se non volessero convenire che il sole e la lunapossono essere conosciuti soltanto con questi occhi. Se si fosseroresi conto che niente di tutto ciò si può negare a meno di noncadere nell’assurdità e nell’impudenza, li avrei persuasi che questaluce, che ritengono degna di venerazione, è indubitabilmente menonobile di quell’anima che invitano a fuggire.

Anche l’anima della mosca è superiore alla luce corporea.

4. 4. E se, sconcertati, a questo punto mi avessero domandato seio stimassi che anche l’anima di una mosca è superiore a questaluce, io avrei risposto: certamente. E non mi avrebbe trattenuto laconstatazione che la mosca è piccola: lo avrei confermato per ilfatto che vive. Ci si domanda infatti che cosa dia la vita a questemembra così esigue, che cosa conduca qua e là, secondo l’appetitonaturale, un corpo così minuscolo, che cosa muova in modoarmonico i suoi piedi quando corre, che cosa regoli e faccia vibrarele sue piccole ali quando vola: quale che sia questo principio, a chiconsidera rettamente in così piccolo essere si manifesta una cosatanto grande preferibile a qualsiasi splendore che offusca i nostriocchi.

Perfino le anime malvagie sono superiori alla luce corporea, chepure è buona in se stessa.

5. 4. Di certo nessuno dubita che tale principio, quale che sia, èintelligibile. Per le leggi divine, esso perciò è superiore ad ognirealtà sensibile e quindi anche a questa luce. Di grazia, infatti, che

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cosa percepiamo con il pensiero se non che altro è comprenderecon la mente, altro sentire mediante il corpo, e che l’uno distadall’altro che gli è inferiore per un’incomparabile sublimità?Pertanto è impossibile non preferire le realtà intelligibili a quelle

sensibili, dal momento che l’intelletto stesso è altrettanto preferibileai sensi.

5. 5. Da quanto detto forse avrei compreso anche questo, comesua conseguenza inevitabile: siccome l’ingiustizia, l’intemperanza egli altri vizi dell’animo non li percepiamo con i sensi, ma licomprendiamo con l’intelligenza, allora anche queste realtà chedetestiamo e giudichiamo da condannare, poiché sono intelligibili,possono precedere questa luce, anche se, nel suo genere, essa sia

da lodare. All’animo che si sottomette perfettamente a Dio sisuggerisce in primo luogo che non tutto ciò che lodiamo deveessere anteposto a tutto ciò che disprezziamo: non è perchéapprezzo il piombo purissimo che io lo stimo di più dell’oro chemerita di essere disprezzato. Ciascuna cosa infatti deve essereconsiderata nel suo genere. Riprovo il giureconsulto che ignoramolte leggi, ma tuttavia lo preferisco al più esperto dei calzolai alpunto da escludere di metterlo a confronto con lui. Quest’ultimocomunque lo lodo, perché è espertissimo nel suo mestiere;quell’altro invece a buon diritto lo riprovo, perché non soddisfa asufficienza la sua professione. Da ciò avrei dovuto scoprire chequesta luce, in quanto è perfetta nel suo genere, a buon diritto èlodata: tuttavia, poiché rientra nel numero delle realtà sensibili - ungenere che necessariamente è inferiore al genere delle realtàintelligibili - deve essere ritenuta inferiore alle anime ingiuste eintemperanti, poiché sono intelligibili. Eppure noi a buon dirittogiudichiamo queste anime sommamente meritevoli di essere

condannate; in esse infatti cerchiamo ciò che le avvicina a Dio, nonciò che le fa preferire a quello splendore. Pertanto, chiunqueobiettasse che questa luce proviene da Dio, non lo contraddirei, masosterrei piuttosto la necessità che le anime, anche quelle viziose,non in quanto tali ma in quanto anime, abbiano Dio per creatore.

Anche i vizi, in quanto intellegibili, vanno preferiti alla luce corporeae hanno Dio per autore?

6. 6. A questo punto supponiamo che qualcuno di loro, prudente edattento, ma anche più sollecito ad apprendere che ostinato, miammonisca che la questione deve riguardare non già le anime

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viziose, ma i vizi stessi. E questi, poiché non li conosciamo con ilsenso corporeo e tuttavia li conosciamo, non possono essereconcepiti che come intellegibili. Ora se essi sono superiori a tutte lecose sensibili, come potremo convenire che Dio è il creatore della

luce, dal momento che nessuno, a meno che non sia sacrilego, puòdire Dio autore dei vizi? Gli avrei risposto, sia che la soluzione aquesto problema, per grazia di Dio, si fosse manifestata all’istante edel tutto imprevista, come suole capitare ai buoni amici di Dio, siache fosse stata preparata in precedenza. Ma se non avessi meritatoné l’una né l’altra possibilità e perciò non fossi riuscito a darenessuna delle due risposte, avrei rimandato la discussioneintrapresa, confessando che l’argomento proposto era molto difficileed arduo da discernere. Sarei ritornato in me stesso, mi sarei

prostrato davanti a Dio, avrei emesso profondi gemiti, chiedendoglidi non permettere che mi arrestassi nel mezzo del cammino in cuiavevo compiuto progressi con solide ragioni, e che non fossicostretto per una questione non ancora risolta o a subordinare esottomettere le realtà intelligibili a quelle sensibili o a dire che Diostesso è autore dei vizi, poiché ciascuna delle soluzioni è ricolma difalsità e di empietà. Non avrei potuto ritenere in nessun modo cheegli mi avesse abbandonato in una tale difficoltà; mi avrebbepiuttosto ammonito, con i suoi mezzi ineffabili, a considerare più epiù volte se i vizi dell’anima, per i quali ero agitato, dovevanoessere annoverati tra le cose intelligibili. Per trovare la soluzione, acausa della debolezza del mio occhio interiore, giusta conseguenzadei miei peccati, mi sarei costruito una sorta di scala nelle stesserealtà visibili per scorgere le realtà invisibili. Così non avrei avutoassolutamente una conoscenza più certa, ma una consuetudinedotata di maggiore fiducia. Avrei dunque cercato subito che cosa siriferisce propriamente al senso della vista: avrei trovato i colori, sui

quali questa luce avrebbe avuto la preminenza. Essi appartengonoalle realtà che nessun altro senso percepisce; infatti il movimentodei corpi, le grandezze, gli spazi, le figure, sebbene possono esserepercepiti con gli occhi, tuttavia non lo sono in senso proprio, poichépossono esserlo anche con il tatto. Da ciò avrei concluso che la lucedi tanto è superiore alle altre realtà corporee e sensibili di quanto lavista è più eccellente degli altri sensi. Una volta dunque scelta, tratutte le cose accessibili ai sensi del corpo, questa luce, dalla qualeio sia illuminato e nella quale io possa collocare quella scala

necessaria alla mia ricerca, a questo punto mi sarei rivolto adosservare che cosa avrei dovuto fare e così avrei ragionato tra me e

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me come segue: se codesto sole che si contraddistingue per cosìgrande luminosità ed è sufficiente al giorno per la sua luce siaffievolisse a poco a poco fino a rassomigliare, per la nostra vista,alla luna, con gli occhi non percepiremmo alcunché di altro rispetto

alla luce, sempre che risplenda. Tuttavia cercheremo invano la luceprecedente senza vederla; vedendola, invece, ne percepiremo ciòche sussisterà. Non vedremo dunque quella deficienza, ma la luceche sopravviverà alla deficienza. E siccome non vedremo, nonavremo la sensazione; infatti tutto ciò che è percepito con losguardo si vede necessariamente. Pertanto, se quella deficienzanon è percepita né dalla vista né da un altro senso, non può essereannoverata tra le realtà sensibili. Niente infatti è sensibile di ciò chenon può essere percepito. Rivolgiamo ora la nostra considerazione

alla virtù, della cui luce intellegibile diciamo moltoappropriatamente che l’animo risplende. D’altra parte, si chiamavizio una certa deficienza di questa luce della virtù che nondistrugge l’anima, ma la oscura. In nessun modo dunque si puògiustamente annoverare tra le realtà intelligibili il vizio dell’anima,come altrettanto giustamente non si può annoverare nel numerodelle realtà sensibili quella deficienza di luce. Tuttavia ciò che restaall’anima, cioè il fatto stesso che vive e che è un’anima, è tantointelligibile quanto è sensibile ciò che risplende in questa lucevisibile dopo il venir meno del sole, per grande che esso sia. Epertanto giustamente si dice che l’anima, in quanto è anima epartecipa della vita, senza la quale in nessun modo può essereanima, va anteposta a tutte le realtà sensibili. È un errore capitaledunque dire che nessuna anima proviene da Dio, dal quale siproclama che provengono il sole e la luna.

L’anima in quanto vive, è intellegibile, anche se viziosa.

6. 7. Pensereste ormai di chiamare sensibili tutte le cose, non soloquelle che percepiamo con i sensi, ma anche quelle che, senzapercepirle con i sensi, tuttavia le giudichiamo per mezzo dei nostrisensi corporei, come le tenebre mediante gli occhi e il silenziomediante le orecchie, - le tenebre infatti le conosciamo senzavederle e il silenzio senza percepirlo - e, d’altra parte, pensereste dichiamare intelligibili non solo quelle che vediamo con l’illuminazionedella mente, come avviene per la stessa sapienza, ma anche quelle

dalle quali distogliamo lo sguardo in assenza della stessailluminazione, come è il caso della stoltezza, che io ho chiamatocongruamente tenebre dell’anima? Io non discuterei sulle parole,

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ma risolverei l’intera questione con una semplice distinzione: fareisubito vedere agli spiriti bene attenti che le sostanze intelligibili, enon le loro deficienze, sono anteposte dalla divina e incorrotta leggedella verità alle sostanze sensibili, sebbene queste deficienze noi le

dobbiamo chiamare le une intelligibili e le altre sensibili. Perciò,chiunque riconoscerà che sia queste luci visibili sia quelle animeintelligibili sono sostanze, dovrà necessariamente concedere eattribuire alle anime una posizione preminente. Quanto alledeficienze dell’uno e dell’altro genere, non è possibile anteporre leune alle altre perché esse, in quanto sono soltanto privazioni,designano il non essere, per cui hanno la medesima forzadappertutto, come le stesse negazioni. Quando infatti diciamo " nonè oro " e " non è virtù ", sebbene tra l’oro e la virtù vi sia una

grandissima differenza, tuttavia non ve ne è nessuna tra lenegazioni che noi aggiungiamo loro. Senza dubbio si dirà che lamancanza di virtù è peggiore della mancanza dell’oro, e in veritànessuna persona sensata lo contesterà. Ma chi non comprende checiò avviene non a causa delle negazioni di per se stesse, ma acausa delle cose a cui esse si aggiungono? La virtù infatti èsuperiore all’oro tanto quanto la mancanza di virtù è un male piùgrande della mancanza di oro. A buon diritto perciò, dal momentoche le realtà intelligibili superano le realtà sensibili, noi sopportiamopiù difficilmente la deficienza nelle realtà intelligibili che in quellesensibili: non sono le deficienze che noi stimiamo più eccellenti opiù vili, ma le cose che ne sono affette. Da ciò appare ormai chiaroche la mancanza di vita, che è intelligibile, è un male molto piùdeplorevole di quello della mancanza della luce sensibile; enaturalmente la vita percepita con l’intelletto è molto più preziosadella luce che scorgiamo con gli occhi.

6.

8. Stando così le cose, chi oserà, mentre attribuisce a Dio il solee la luna e tutto ciò che nelle stelle e, infine, in questo nostro fuocoterreno risplende di luce visibile, rifiutare di concedere che leanime, quali che siano (e di certo non sono anime se non in quantovivono, dal momento che di tanto la vita supera questa luce),provengono da Dio? E se dice il vero chi dice: " Tutto ciò cherisplende, in quanto risplende, proviene da Dio ", mentirò dunqueio, grande Dio, dicendo: " Tutto ciò che vive, in quanto vive, vieneda Dio "? Mi auguro che l’offuscamento della mente e le sofferenze

non aumentino fino a tal punto che gli uomini non comprendanoqueste cose. Ma quale che sia il loro errore e la loro ostinazione,credo che se, forte di queste ragioni e di esse armato, avessi

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presentato loro la questione così attentamente considerata eosservata e ne avessi discusso con loro serenamente, avrei temutodi sembrare che fosse per me di qualche importanza se qualcuno diloro avesse tentato di preferire al senso o almeno di paragonarlo al

sensibile o alle cose che ugualmente appartiene ai sensi conoscereo l’intellegibile o tutto ciò che si percepisce con l’intelletto ma nonmediante la negazione. Ciò stabilito, quest’uomo o qualcun altrocome oserà negare che le anime, malvagie per quanto si voglia,tuttavia, poiché sono anime, fanno parte del numero delle coseintelligibili, e che non si comprendono mediante una deficienza? Inrealtà esse non sono anime se non per il fatto che hanno la vita.Senza dubbio è per una deficienza che si comprendono quelleviziose, perché sono tali per mancanza di virtù; non è tuttavia per

una privazione di anima, perché sono anime per il fatto che vivono.Non è possibile che la presenza della vita sia la causa della lorodeficienza, perché una cosa è deficiente nella misura in cui la vita laabbandona.

6. 9. Essendo dunque manifesto in ogni modo che nessuna animapuò essere separata da quel creatore da cui questa luce non èseparata, non avrei potuto accogliere nessuno dei loro argomenti: liavrei piuttosto ammoniti a preferire di seguire insieme a me coloroche sostengono che tutto ciò che è, poiché è e nella misura in cui è,procede da un solo Dio.

Gli argomenti, tratti dalle Scritture, che usano i Manichei.

7. 9. Ma mi avrebbero opposto quelle parole del Vangelo: Voi per questo non le ascoltate, perché non siete da Dio 4; Voi avete per 

 padre il diavolo 5. Da parte mia però avrei replicato con questotesto: Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è

stato fatto 6 e con quello dell’Apostolo: C’è un solo Dio, dal qualetutto proviene e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del qualeesistono tutte le cose 7, e di nuovo con quello del medesimoApostolo: Da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui lagloria 8. Io avrei esortato questi uomini (se avessi avuto a che farecon uomini a non presumere, per così dire, di avere già trovatoqualcosa, ma a cercare piuttosto dei maestri capaci di mostrarcicome concordano e si armonizzano tra loro queste sentenze che cisembrano in contrasto. Infatti, poiché non è giusto condannaresconsideratamente i testi della Scrittura che in luogo dicono: Tutto

 proviene da Dio 9 e in un altro: Voi non siete da Dio 10, con una sola

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e identica autorità delle Scritture, chi non vedrebbe chebisognerebbe aver trovato un maestro esperto a cui è nota lasoluzione di questa questione? Senza dubbio tale maestro, se fosseuno che comprende bene e, come dice lo scrittore ispirato, un uomo

spirituale11

, necessariamente sarebbe favorevole alle vere ragioni,che, per quanto ho potuto, ho esposto e discusso in merito allanatura intelligibile e a quella sensibile, e che anzi egli stesso neproporrebbe di migliori e di più adatte ad insegnare. Intorno a talequestione da lui sentiremo soltanto come sia possibile che nonesista nessun genere di anime che non provenga da Dio e chetuttavia a buon diritto si dica ai peccatori e agli infedeli: Voi nonsiete da Dio. Anche noi infatti, implorato l’aiuto di Dio, forsepotremo facilmente vedere che altro è vivere e altro peccare e,

benché la vita di peccato, in confronto alla vita giusta, sia chiamatamorte 12, tuttavia l’una e l’altra si possono trovare entrambe in unsolo ed identico uomo, purché sia nello stesso tempo vivente epeccatore. In quanto vivente, proviene da Dio; in quanto peccatore,non proviene da Dio. In questa distinzione ci serviamo di quellaparte delle due che concorda con il nostro punto di vista: così,quando vogliamo sottolineare l’onnipotenza di Dio creatore, diciamoai peccatori che anche essi provengono da Dio. Lo diciamo infatti diquelli che fanno parte di una specie qualsiasi, degli esseri animati,degli esseri razionali, infine, e ciò riguarda in modo particolare ilnostro argomento, dei viventi, che per se stessi sono tutti doni diDio. Quando invece ci siamo proposti di incolpare i cattivi, a buondiritto diciamo: Voi non siete da Dio. Lo diciamo infatti di coloro chesi allontanano dalla verità, degli infedeli, dei perversi, dei dissolutie, per dirla con un solo nome che tutto comprende, dei peccatori.Ancora una volta chi dubiterà che tutte queste cose nonprovengono da Dio? Pertanto che c’è di sorprendente se Cristo ai

peccatori, rimproverandoli proprio perché erano peccatori e noncredevano in lui, dice: Voi non siete da Dio, senza che, con ciò, siamessa in questione la sentenza secondo la quale Tutto è stato fatto

 per mezzo di lui e Tutte le cose sono da Dio? Infatti se non credereal Cristo, rifiutare l’avvento di Cristo, non ricevere il Cristo fosseroindizi certi delle anime che non sono di Dio ed è perciò che è statodetto: Voi per questo non le ascoltate, perché non siete da Dio,come potrebbe essere vero quel testo dell’Apostolo, posto all’iniziodel suo memorabile vangelo, nel quale è detto: Venne fra la sua

gente, ma i suoi non l’hanno accolto 13? In effetti, come erano suoi,se non l’hanno accolto? Oppure, come non erano più suoi, dal

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momento che non lo hanno accolto? Sono in rapporto con Dio nonin quanto sono uomini peccatori, ma in quanto sono uomini; alloraè per il fatto che sono peccatori che sono in rapporto con il diavolo?Dunque, colui che dice: I suoi non l’hanno accolto, si pone dal

punto di vista della natura; invece colui che dice Voi non siete daDio si pone dal punto di vista della volontà. L’evangelista infattifaceva vedere le opere di Dio, il Cristo censurava i peccati degliuomini.

In merito all’origine del male, i Manichei sappiano che niente puòvivere senza lui e che il sommo non si può conoscere senzaconoscere il sommo bene, che è Dio.

8. 10. A questo punto forse qualcuno mi dirà: " Da dove vengono ipeccati stessi, e da dove in generale il male? Se viene dall’uomo, dadove viene l’uomo? Se viene dall’angelo, da dove viene l’angelo? "Quando si dice che vengono da Dio, sebbene lo si dica in modogiusto e vero, tuttavia a quelli meno esperti e meno capaci diguardare fino in fondo le cose nascoste sembra che i mali e ipeccati li tengano uniti a Dio come mediante una catena. In talequestione essi ritengono di essere sovrani, come se porre domandeequivalga a sapere. Voglia il cielo che fosse così: non si troverebbe

nessuno più sapiente di me. Ma non so come spesso, nel discutere,colui che pone una questione difficile ostenta la figura di un grandedottore, mentre per lo più egli stesso, sull’argomento su cuiintimorisce, è meno sapiente di colui che intimorisce. Pertantocostoro ritengono di dover essere preferiti a un gran numero dipersone, perché sono i primi a chiedere ciò che ignorano insieme aloro. Ma se a quell’epoca in cui mi pento di non aver agito con lorocome ormai da lungo tempo faccio, mi avessero fatto questaobiezione quando proponevo queste ragioni, avrei risposto: " Viprego, intanto riconoscete con me ciò che è facilissimo, cioè che, seniente può risplendere senza Dio, ancor meno qualcosa può viveresenza Dio. Non rimaniamo in così mostruose opinioni per cuiaffermiamo che ci sarebbero non so quali anime che avrebbero lavita senza Dio ". E così forse può capitare che finalmente, o insiemeo in qualche successione, impariamo ciò che voi ignorate come me,cioè da dove viene il male. E che dunque, se l’uomo non puòraggiungere la conoscenza del sommo male senza la conoscenza

del sommo bene? Non conosceremmo infatti le tenebre se fossimosempre nelle tenebre; e, d’altro canto, la conoscenza della luce nonpermette che il suo contrario resti sconosciuto. Il sommo bene è ciò

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rispetto a cui non vi può essere nulla di superiore. Ora il bene è Dioe non può esserci niente di superiore a Dio. Dio dunque è il sommobene. Perciò cerchiamo di conoscere Dio e così ciò che noicerchiamo con avidità non ci resterà più nascosto. Da ultimo,

pensate che sia una cosa di poco valore e di poco merito laconoscenza di Dio? Quale altra ricompensa infatti ci è promessaall’infuori della vita eterna, che è la conoscenza di Dio? Dice infatti ildivino Maestro: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unicovero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo 14. In riferimentoall’anima infatti, sebbene sia immortale, tuttavia, poiché la suamorte è giustamente detto che consiste nell’allontanarsi dallaconoscenza di Dio, quando si converte a Dio, merita di ottenere lavita eterna, poiché la vita eterna, come è stato detto, è la stessa

conoscenza di Dio. Ora, nessuno si può convertire a Dio se non sidistacca da questo mondo. Questo io lo sento per me arduo edifficile: se per voi è facile, lo vedrà Dio stesso. Io vorrei crederlo,se non mi rendesse esitante il fatto che questo mondo, dal quale cisi ordina di distaccarci, è il mondo visibile e l’Apostolo ha detto: Lerealtà visibili sono di un momento, invece quelle invisibili sonoeterne 15. Voi attribuite maggiore importanza al giudizio dei vostriocchi che a quello della mente, voi che sostenete e credete che nonci sia nessuna penna che risplende la quale non tragga il suosplendore da Dio e che non ci sia anima vivente che non tragga lasua vita da Dio. Sono queste le cose e altre simili che o avrei dettoloro o avrei considerato con me stesso. Infatti, pregando Dio contutte le viscere, come si dice, e intento, per quanto mi eraconsentito, alle Scritture, forse anche allora avrei potuto o direqueste cose o pensarle, e questo era sufficiente per la mia salvezza.

Agostino confessa di essere stato tratto in inganno dalla sua

amicizia con i Manichei e dalle vittorie che riportava nelle dispute.9. 11. Ma due cose soprattutto, che attraggono facilmente l’età incui mi trovavo, mi hanno trascinato per sorprendenti percorsi: unadi esse è l’amicizia, che si è insinuata improvvisamente in me nonso come con una certa apparenza di bontà, avviluppandosi intornoal mio collo in molte maniere come una corda sinuosa; l’altra è unacerta nociva vittoria che riportavo quasi sempre nelle discussionicon cristiani inesperti, ma che tuttavia si affannavano a difendere a

gara la loro fede, ciascuno secondo le sue forze. Con questisuccessi molto frequenti l’ardore giovanile si rafforzava e con il suoimpeto si inclinava inavvertitamente verso il grande male

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dell’ostinazione. Poiché avevo intrapreso questo genere di disputedopo averli uditi, attribuivo loro assai di buon grado soltanto tuttociò che potevo trarre o dal mio ingegno, quale che fosse, o dalleletture di altri. Così di giorno in giorno, grazie ai loro discorsi, si

rinnovava il mio ardore nei combattimenti; in virtù dell’esito felicedei combattimenti si rinnovava il mio amore per loro. A ciò siaggiungeva che, per una sorta di strana malattia, qualunque cosadicessero lo ritenevo per vero, non perché lo sapessi tale, maperché desideravo che lo fosse. Così avvenne che, sebbene a pocoa poco e con prudenza, tuttavia ho seguito a lungo uomini chepreferivano un bel gambo di grano ad un’anima vivente.

9. 12. In verità, ne convengo, a quell’epoca non potevo distinguere

e separare le cose sensibili da quelle intelligibili, cioè le cose carnalida quelle spirituali. Non era capacità propria né dell’età, né delladottrina, né di qualche consuetudine, né infine di alcun merito,perché comporta una grande gioia ed una grande felicità. Così,dunque, non potevo afferrare neppure ciò che la natura stessa hafissato nel giudizio di tutti gli uomini, in virtù delle leggi di Dio?.

Non c’è peccato se non c’è volontà.

10. 12. In effetti, quali che siano gli uomini, purché nessunademenza li abbia privati del senso comune proprio del genereumano, quale la disposizione con cui essi si accingono a giudicare,quale la loro incompetenza e anche la loro lentezza intellettuale,vorrei vedere che cosa risponderebbero a questa mia richiesta: visembra che un uomo abbia peccato se un altro, mentre egli dorme,con la sua mano ha scritto qualche cosa di turpe? Tutti, chipotrebbe dubitare, escluderebbero che si tratti di un peccato eprotesterebbero al punto forse di sdegnarsi che li abbia ritenuti

degni di tale domanda. Dopo averli in qualche modo calmati eriportati a riflettere, chiederei loro di sopportare volentieri che io liinterroghi su una cosa tanto manifesta e a tutti nota. Allorarivolgerei loro questa domanda: supponiamo che con la mano diuno che non dorme, ma che è cosciente di quello che fa, il qualetuttavia ha tutte le altre membra legate e incatenate, un altro uomopiù forte abbia fatto di nuovo qualche cosa di male: l’atto è daricondurre sotto il nome di qualche peccato, poiché ne avevaconoscenza, anche se non lo aveva affatto voluto? A questo puntotutti meravigliati con me perché pongo tali questioni, senzaesitazione risponderebbero che neanche quest’uomo ha affatto

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peccato. E perché mai? Perché in nessun modo si può condannare agiusto titolo uno al quale qualcuno abbia fatto fare qualche cosa dimale di cui era all’oscuro e rispetto a cui non era in condizione diresistere. E se, per conoscerne la ragione, in quegli uomini

interrogassi la stessa natura umana, otterrei facilmente ciò chedesideravo ponendo questa domanda: supponiamo che queldormiente sappia già ciò che l’altro farà con la sua mano e che siabbandoni di proposito al sonno, bevendo più del solito anche pernon svegliarsi, al fine di ingannare qualcuno con un giuramento: ilsonno potrebbe essergli di qualche aiuto per la sua innocenza? Chealtro essi sentenzierebbero, se non che l’uomo non è innocente?Che se quest’uomo si fa legare di proposito per ingannare in modosimile qualcuno adducendo a difesa questo suo stato, infine quei

legami gli avranno giovato per esentarlo dal peccato? Così legato,in verità non era in grado di resistere, come l’altro, poiché dormiva,non sapeva affatto che cosa stesse accadendo. Dunque, c’è qualcheesitazione a giudicare che nessuno dei due ha peccato? Concessequeste cose, ne concluderei che il peccato non è in nessun luogo senon nella volontà, potendomi aiutare anche il fatto che la giustiziaconsidera gli uomini peccatori per la sola cattiva volontà, nel casoin cui non hanno potuto realizzare ciò che avrebbero voluto.

10. 13. Qualcuno non potrebbe dirmi, occupandomi di queste cose,che affronto questioni oscure e difficili, dove di solito nasce ilsospetto di inganno o di ostentazione, a causa del piccolo numerodi coloro che le comprendono? Ebbene, accantoniamo per un po’, ladistinzione tra realtà intelligibili e realtà sensibili; così non mi sirimprovererà più di tormentare la anime lente stimolandole condispute sottili. Mi sia consentito di sapere che vivo, mi siaconsentito di sapere che voglio vivere: se il genere umano è

d’accordo su queste cose, la nostra volontà ci è nota tanto quantola vita. Né, quando dichiariamo di sapere queste cose, c’è datemere che qualcuno ci convinca che potremmo sbagliarci, giacchéin proposito nessuno può sbagliarsi se o non vive o non vuoleniente. Penso di non aver esposto niente di oscuro; temo piuttostodi sembrare a qualcuno che debba essere biasimato per il fatto chepropongo cose troppo evidenti. Ma consideriamo verso qualedirezione tali cose ci portano.

Definizione della volontà.

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10. 14. Non si pecca dunque se non mediante la volontà. Ora a noila nostra volontà è ben nota: io infatti non saprei che io voglio senon sapessi che cosa è la volontà stessa. Pertanto si definisce così:la volontà è un movimento dell’anima, senza che nessuno la

costringa, che tende o a non perdere una cosa o ad acquisirla.Perché dunque ora non potrei definirla così? Sarebbe difficile vedereche il costretto è il contrario del volontario, però nel senso in cuidiciamo che la sinistra è il contrario della destra e non nel senso incui diciamo che il nero è il contrario del bianco? Infatti, mentre lastessa cosa non può essere nello stesso tempo e nera e bianca,invece un uomo, posto in mezzo a due, è alla sinistra dell’uno e alladestra dell’altro. Un solo uomo dunque occupa simultaneamentel’una e l’altra posizione, ma in nessun modo le occupa

simultaneamente in rapporto ad un solo identico uomo. Così, unsolo animo può essere contemporaneamente costretto e volontario,ma non può nello stesso tempo non volere e volere una sola edidentica cosa. Quando infatti un uomo fa qualcosa costretto, se glidomandassi se vuole farla, egli direbbe di non volerla fare; allostesso modo, se gli domandassi se vuole non farla, risponderebbedi si. Così lo troverai costretto a fare senza voler fare, cioè troveraiun solo animo che dispone nello stesso tempo di entrambe lepossibilità, che però si riferiscono ciascuna ad un oggetto diverso.Perché dico queste cose? Perché, se chiediamo di nuovo per qualecausa faccia ciò suo malgrado, dirà che è stato costretto. Infatti,chiunque agisce suo malgrado, è costretto e chiunque è costretto,se agisce, non lo fa se non suo malgrado. Resta da esaminare comecolui che vuole sia libero da costrizione, anche se qualcuno pensa diessere costretto. In questo caso infatti ognuno che agiscevolontariamente, non è costretto, e ognuno che non è costretto, oagisce volontariamente o si astiene dall’agire. Queste cose la natura

stessa le proclama in tutti gli uomini che possiamo interrogare inmodo sensato: dal bambino al vecchio, da colui che frequenta lascuola elementare fino a colui che ricopre la cattedra del sapiente.Perché allora io non dovrei vedere che la definizione della volontàdeve includere l’assenza di costrizione, come appunto ora, in modoassai prudente, ho provveduto a precisare a motivo, per così dire,di una maggiore esperienza? Ma se ciò è manifesto ovunque ed èvisibile a tutti non per istruzione ma per natura, che cosa rimaneancora di oscuro se non che per caso a qualcuno è ignoto che

quando vogliamo qualche cosa, e verso tale cosa è mosso il nostroanimo tale cosa o l’abbiamo o non l’abbiamo, e, se l’abbiamo,

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vogliamo conservarla mentre, se non l’abbiamo, vogliamoacquisirla? Perciò chiunque vuole, o non vuole perdere qualche cosao vuole acquisire qualche cosa. Se dunque tutto ciò è più chiaro diquesta luce, come lo è, e, per la liberalità della stessa verità, non è

stato affidato alla mia conoscenza soltanto ma a quella del genereumano, perché mai a quell’epoca non avrei potuto dire: la volontà èun movimento dell’animo senza che nessuno la costringa in vista odi non perdere una cosa o di acquisirla?

Definizione del peccato.

11. 15. Qualcuno dirà: " E ciò in che cosa ti avrebbe aiutato controi Manichei? " Aspetta, permetti che prima definiamo anche il

peccato, a proposito del quale ogni mente legge dentro di sé,iscritto da Dio, che senza volontà non può esistere. Il peccato èdunque la volontà di conservare o di acquisire ciò che la giustiziavieta e da cui ci si può liberamente astenere. Benché, se non c’èlibertà, non c’è volontà. Ma io ho preferito definirlo in modopiuttosto approssimativo anziché scrupoloso. Avrei dovuto scrutareancora questi oscuri libri per apprendere che non è meritevole dibiasimo o di condanna nessuno che o voglia ciò che la giustizia nonvieta di volere o non faccia ciò che non si può fare? Non sono

queste le verità evidenti che cantano i pastori sui monti, i poeti neiteatri, gli ignoranti nei crocicchi, i dotti nelle biblioteche, i maestrinelle scuole, i sommi sacerdoti nei luoghi sacri e il genere umano intutto l’universo? Che se nessuno è meritevole di biasimo o dicondanna quando non agisce contro il divieto della giustizia oquando si astiene da ciò che non può, e se invece ogni peccatomerita il biasimo o la condanna, chi dubiterà allora che si peccaogni volta che si vuole una cosa ingiusta e si è liberi di non volerla?Di conseguenza, la definizione è vera e molto facile a comprendersi,e non ora soltanto ma anche allora avrei potuto dire che il peccatoè la volontà di conservare o di acquisire ciò che la giustizia vieta eda cui si è liberi di astenersi.

Il genere "anima malvagia" non esiste.

12. 16. Su dunque, vediamo quale aiuto ci sarebbe potuto venireda queste verità. Un aiuto grandissimo al punto da non desiderareniente di più: di certo metterebbero fine all’intera questione. Infattichiunque consulti i segreti della sua coscienza e le leggi divineriposte nel profondo della sua natura, cioè nell’intimità dell’animo,

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dove esse sono più evidenti e più sicure, concederà che queste duedefinizioni della volontà e del peccato sono vere e condanneràsenza alcuna esitazione l’intera eresia dei Manichei con pochissimi esemplicissimi ragionamenti, ma assolutamente inconfutabili. La

questione può essere così esaminata. Dicono che ci sono due generidi anime, l’uno buono, in quanto è venuto da Dio senza che lo sipossa dire creato da qualche materia o tratto dal nulla, ma cheprocede dalla sua stessa sostanza come una parte di essa; l’altroinvece malvagio, e di esso credono e raccomandano di credere chein nessuna parte affatto si ricollega a Dio. Sostengono pertanto chele anime del primo genere sono il sommo bene e quelle del secondogenere il sommo male, e che questi due generi un tempo furonoseparati, ora invece mescolati. In verità non ho ancora udito di

quale genere di mescolanza si tratti e quale ne sia la causa, matuttavia l’avrei potuto cercare se il genere malvagio di animeavesse avuto qualche volontà, prima che fosse mescolato al generebuono. Se infatti ne era privo, era senza peccato e innocente, epertanto in nessun modo malvagio. Supponiamo invece che eramalvagio, perché è possibile che fosse senza volontà; in tal caso,come fuoco, avrebbe violato e corrotto il genere buono, se è purvero che l’abbia toccato. Ma non è una nefandezza molto grandecredere sia che la natura del male è talmente potente da potercambiare qualche parte di Dio, sia che il sommo bene possa esserecorrotto e violato? Se invece aveva la volontà, di certo avevaquesto movimento dell’anima, senza che nessuno la costringesse,in vista o di non perdere qualche cosa o di acquisire qualche cosa.Ora questo qualche cosa o era buono o era ritenuto buono,altrimenti infatti non avrebbe potuto essere desiderato. Ma nelsommo male, prima della mescolanza su cui insistono, non ci fu maialcun bene. Da dove dunque è potuta provenire in questo genere di

anime o la conoscenza o la congettura del bene? Non volevanoniente di ciò che era in esse e desideravano quel vero bene che erafuori di esse? Bisogna dichiarare che è eccellente e degna di grandelode questa volontà con la quale si desidera il sommo e vero bene.Da dove dunque può venire nel sommo male un movimentod’animo pienamente degno di così grande lode? È per desiderio dinuocere che esse aspiravano al bene? In primo luogo, con questaragione si ritorna al medesimo punto. Chi infatti vuole nuocere,vuole privare un altro di qualche bene in vista di qualche bene suo

proprio. C’era dunque in esse o la conoscenza o la congettura delbene, che in nessun modo dovevano essere nel sommo male. In

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secondo luogo, quel bene posto fuori di esse e a cui aspiravano pernuocere, dove avevano appreso che esistesse veramente? Se loavevano colto con l’intelligenza, che cosa di più illustre di talemente? Che cosa sollecita a grandi sforzi ogni aspirazione al bene,

se non il fatto che si conosce il bene sommo e perfetto? Ciò dunqueche ora è appena concesso a pochi uomini buoni e giusti, questopuro male allora lo avrebbe potuto avere senza che nessun bene loaiutasse? Ma se queste anime governavano i corpi e ciò lovedevano con i propri occhi, quali lingue, quali cuori, quali ingegnisono sufficienti per lodare e celebrare questi occhi, ai quali appenapossono essere paragonate le menti dei giusti? Quanti benitroviamo nel sommo male! Se infatti vedere Dio è un male, Dio nonè il bene; ma Dio è il bene, perciò è un bene vedere Dio e io non so

che cosa si possa paragonare a questo bene. Inoltre, poiché vedereè un bene, come è possibile che poter vedere sia un male? Perciò,qualunque cosa ha fatto sì che o questi occhi o queste mentipotessero vedere la divina sostanza, ha fatto un bene grande epienamente degno di ineffabile lode. Se poi ciò non è stato fatto,ma era tale per se stesso ed eternamente, sarà difficile trovarequalcosa di migliore di questo male.

Le anime sono malvagie non per natura, ma per volontà.

12. 17. Infine, per stabilire che quelle anime non hanno nessuna diqueste cose degne di lode, che, invece, in base ai loro argomenti,dovrebbero avere, io domanderei se Dio ne condanna alcune onessuna. Se nessuna, non c’è nessun giudizio dei meriti e nessunaprovvidenza e il mondo è governato dal caso anziché dalla ragione,o piuttosto non è governato, perché il governo non si può affidareal caso. Ora, se per tutti i fedeli di qualsiasi concezione religiosa èuna nefandezza credere ciò, resta che o alcune anime sonocondannate oppure non c’è alcun peccato. Ma se non c’è alcunpeccato, non c’è neppure alcun male, affermazione questa che, seproferita da costoro, avrebbe distrutto la loro eresia con un solocolpo. Convengo dunque con loro che alcune anime sonocondannate dalla legge e dal giudizio divino. Ma, se sono buone,questa che giustizia è? Se sono malvagie, lo sono per natura o pervolontà? Ma le anime in nessun modo possono essere malvagie pernatura. Da dove lo apprendiamo? Dalle precedenti definizioni di

volontà e di peccato. Perché dire che le anime sono malvagie e chenon hanno commesso alcun peccato è un dire pieno di follia; d’altraparte, dire che hanno peccato senza volontà è una grande

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stravaganza; e, infine, ritenere uno colpevole di peccato perché nonha fatto ciò che non poteva fare è un comportamento sommamenteiniquo e dissennato. Perciò quelle anime qualunque cosa facciano,se la fanno per natura e non per volontà, cioè se sono prive del

libero movimento dell’animo per cui possono sia fare sia non fare, ese, infine, non dispongono affatto del potere di astenersi dal lorooperare, non possiamo sostenere che hanno peccato. Ma tuttiriconoscono che le anime malvagie sono giustamente condannate equelle indenni dal peccato sono ingiustamente condannate. Siammette dunque che quelle che peccano sono malvagie. Invece leanime di cui essi parlano, com’è evidente, non peccano. Non esisteperciò il genere piuttosto strano delle anime malvagie, introdottodai Manichei.

Le anime sono buone per natura.

12. 18. Esaminiamo ora quell’altro genere, quello delle animebuone, che di nuovo essi lodano al punto di dire che sono lasostanza stessa di Dio. Quanto sarebbe meglio invece che ciascunoconosca il proprio ordine e merito, e non si gonfi di sacrilegasuperbia, così che, quando si sente esposto a tanti mutamenti,crede di essere la sostanza di quel sommo bene che la pia ragione

riconosce e insegna come immutabile! Ecco, essendo manifesto chele anime non peccano nei casi in cui non sono tali quali nonpossono essere, da qui appare evidente ormai che quelle anime nonmeglio identificate introdotte dai Manichei in nessun modo peccanoed esse pertanto non esistono affatto. Poiché concedono cheesistono i peccati, resta che essi non trovano a chi imputarli, se nonal genere buono e alla sostanza di Dio. Ma a questo proposito sonoincalzati soprattutto dalla dottrina cristiana; infatti non hanno mainegato che il perdono dei peccati è concesso a chiunque si siaconvertito a Dio; e non hanno mai detto - come in molti altri casi -,che ciò sia stato introdotto nelle Sacre Scritture da qualchefalsificatore. A queste anime dunque i peccati sono rimessi? Quantoa quelle dell’altro genere, quelle malvagie, se possono diventareanche buone, esse possono possedere con Cristo il regno di Dio. Mapoiché questo lo escludono, e non hanno un altro genere di anime,se non quelle che presentano come provenienti dalla sostanzadivina, sono costretti a riconoscere che non solo anche queste

commettono peccato, ma anzi che esse sono le uniche acommetterlo. Io non mi oppongo all’opinione che siano le uniche apeccare; tuttavia peccano. Ma allora vi sono costrette dalla

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mescolanza del male? Se vi sono costrette al punto che non hannoalcun potere di resistere, non peccano. Se invece è in loro potere diresistere e vi acconsentono di propria volontà, perché ci sono tantibeni nel sommo male, perché questo male nel sommo bene?

Questo è quanto dobbiamo trovare nella loro dottrina, a meno chenon esista né quel male che introducono per supposizione, néquesto sommo bene che sconvolgono per superstizione.

La deliberazione esclude la possibilità di ammettere la dottrina delledue anime.

13. 19. Ma se fossi riuscito a mostrare che, intorno a questi duegeneri di anime, essi farneticano ed errano, o di certo io stesso

l’avessi appreso, quale altra ragione avrebbe potuto esserci perchémi sembrasse ancora opportuno ascoltarli o consultarli su qualcheargomento? Forse per apprendere che l’esistenza di due generi dianime è dimostrato dal fatto che, nel deliberare, l’assenso ora siinclina verso la parte malvagia ora verso la parte buona? Ma perchéquesto non è piuttosto il segno che c’è una sola anima, la quale conla sua libera volontà può portarsi di qua e di là, ritirarsi da unaparte e dall’altra? Quando ciò mi capita, infatti, percepisco di essereuno soltanto, io che considero l’una e l’altra cosa, che scelgo l’una o

l’altra cosa. Ma per lo più l’una cosa ci piace, l’altra è conveniente,per cui noi, posti in mezzo, siamo indecisi. Né c’è da meravigliarsi;infatti ora siamo costituiti in modo che possiamo essere, in ragionedel corpo, influenzati dal piacere e, in ragione dello spirito,dall’onestà. Per quale motivo, a questo proposito, non sonocostretto ad ammettere due anime? È perché possiamocomprendere meglio e in modo più spedito che ci sono due generidi cose buone, dei quali tuttavia né l’uno né l’altro è estraneo al Diocreatore, e che solleticano una sola anima da diverse parti, daquella inferiore e da quella superiore o, potendoci esprimere piùcorrettamente, dalla sua parte esteriore e dalla sua parte interiore.Questi sono i due generi che poco fa abbiamo esaminato sotto inomi di realtà sensibili e di realtà intelligibili, e che più volentieri ein modo più familiare noi chiamiamo cose carnali e cose spirituali.Ma ci è divenuto difficile astenerci dalle cose carnali, benché ilnostro vero pane è spirituale. È con fatica infatti che ora mangiamodi questo pane: non è appunto senza alcun tormento che da

immortali siamo diventati mortali in seguito al peccato ditrasgressione. Capita così che, quando ci sforziamo di tendere versole cose migliori, la consuetudine con il corpo e i nostri peccati si

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mettano contro di noi in un modo, per così dire, bellicoso ecomincino a farci difficoltà. Per questo, molti sciocchi con unastupidissima superstizione suppongono che esista un altro genere dianime che non proviene da Dio.

13. 20. Peraltro, anche se si concedesse loro che è per un altrogenere inferiore di anime che noi siamo allettati a fare cose turpi,non ne possono trarre la conseguenza né che le une sono malvagieper natura né che le altre sono il sommo bene. Infatti può accadereche le prime, col desiderare con la propria volontà ciò che non eraconsentito, cioè col peccare, da buone sono diventate malvagie; eche possano ritornare buone, ma che, come di fatto avviene, pertutto il tempo in cui restano nel peccato, esse attirino a se stesse le

altre con qualche segreta influenza. Può accadere inoltre che nonsiano affatto malvagie, ma che esercitino senza alcun peccatol’attività relativa al proprio genere, per inferiore che sia, di modoche le anime superiori, alle quali la somma giustizia che governa lecose del mondo ha conferito un’attività di gran lunga più eccellente,qualora volessero seguire ed imitare quelle inferiori, peccandodiventano malvagie, non perché le imitano in quanto malvagie, maperché è male imitarle. Le une infatti fanno quello che è loroproprio, le altre invece desiderano ciò che non appartiene loro;perciò le prime non vengono meno al loro grado, le altre invece siimmergono nelle cose inferiori, come quando gli uomini seguono icomportamenti delle bestie. Il cavallo infatti ha un bell’incedere conle sue quattro zampe, ma se l’uomo lo imita nelle mani e nei piedi,chi lo giudicherà degno perfino di mangiare la paglia? Giustamentedunque per lo più riproviamo colui che imita, anche quandoapprezziamo colui che è imitato; lo riproviamo poi non perché nonvi è riuscito, ma proprio per il fatto che ha voluto riuscirvi. Infatti

ciò che apprezziamo nel cavallo, lo disprezziamo nell’uomo, cheanteponiamo al cavallo nella stessa misura in cui siamo mortificatiper il fatto che ricerca le cose inferiori. E che ne è tra gli uoministessi? Nel gridare, forse, l’araldo non fa bene ciò che fa? E anchese il senatore lo fa in modo più chiaro e raffinato dell’araldo,quest’ultimo è forse folle? Prendi gli astri: la luna è lodata per il suosplendore, ma piace abbastanza anche per il suo corso e per le suefasi a coloro che la considerano attentamente; tuttavia, se il sole lavolesse imitare (supponiamo infatti che possa avere simile

aspirazione), chi non ne sarebbe sommamente dispiaciuto e a buondiritto? Da queste cose voglio che si comprenda quanto segue:ammesso che ci siano anime dedite alle attività corporee, non per

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peccato ma per natura (cosa che è comunque incerta) e, sebbenesiano inferiori, tuttavia siano in rapporto con noi per qualche affinitàinteriore, non dovremo ritenerle malvagie perché, nel seguirle enell’amare le cose corporali, noi facciamo del male. Nell’amare le

cose corporee, infatti, noi pecchiamo, perché la giustizia ci ordina diamare le cose spirituali e la natura ce ne dà la possibilità. Nelnostro genere pertanto noi possiamo essere perfettamente buoni efelici.

13. 21. Che cosa prova dunque la deliberazione che oscilla versol’una e verso l’altra parte, ora incline al peccato, ora portata albene? Ci obbliga forse ad ammettere due generi di anime, dei qualila natura dell’uno proviene da Dio e quella dell’altro non proviene

da Dio, quando invece è consentito congetturare tante altre causedell’oscillazione del pensiero? Ma chi sa ben stimare le cose, vedeche queste questioni sono oscure e che non è di nessuna utilitàl’essere affrontate da spiriti dallo sguardo malato. Perciò, quanto èstato detto sulla volontà e sul peccato, cioè quanto la sommagiustizia esige che conosca ogni uomo che usa la ragione, se civiene tolto, non resta niente su cui la disciplina della virtù si fondi,niente che ci liberi della morte dei vizi. Se lo si esamina ancora piùa lungo, ci convince abbastanza chiaramente e nettamente chel’eresia dei Manichei è falsa.

Anche la necessità di pentirsi esclude la dottrina delle due anime.

14. 22. Simile a ciò è quanto ora dirò della penitenza. Infatti, comesanno tutti gli uomini di mente sana e gli stessi Manichei non soloriconoscono ma anche insegnano, è utile pentirsi del peccato.Ebbene, su questo argomento dovrei ora raccogliere letestimonianze delle Sacre Scritture che sono ben note ovunque?

Tale è anche la voce della natura. Questa nozione non è venutameno neppure nello stolto: se non fosse profondamente radicata innoi, periremmo. Un uomo può dire che non pecca; ma nessuno, perrozzo che sia, oserà negare che, se ha peccato, si deve pentire.Stando così le cose, chiedo a quale dei due generi di anime spetti dipentirsi del peccato. So infatti che non può spettare né a quello chenon può fare il male né a quello che non può fare il bene. Perciò,per servirmi delle loro parole, se si pente del peccato l’anima delletenebre, essa non proviene dalla sostanza del male supremo; se sipente del peccato l’anima della luce, essa non proviene dallasostanza del sommo bene. Infatti la disposizione a pentirsi efficace

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è quella mediante la quale il penitente dichiara che ha fatto il malee che avrebbe potuto fare il bene. In che modo dunque da me nonproviene niente di male, se ho agito male? O come potrò pentirmigiustamente, se non ho fatto niente di male? E, d’altra parte, in che

modo non proviene niente di bene da me in cui è presente la buonavolontà? O come mi pentirò giustamente, se la buona volontà non èin me presente? Perciò bisogna che costoro o neghino che è grandel’utilità del pentimento, per cui sono rifiutati non solo dalla religionecristiana, ma anche da tutta la ragione umana, perfino da quellabasata su immagini, o smettano ormai di dire e di insegnare queidue generi di anime, dall’uno dei quali non verrebbe niente di malee dall’altro niente di bene. Se lo fanno, i Manichei cessano ormaidefinitivamente di esistere; infatti tutta questa setta si sorregge

sulla distinzione o piuttosto sulla disastrosa diversità delle dueanime.

14. 23. A me quindi è sufficiente sapere che i Manichei sono inerrore, così come so che bisogna pentirsi del peccato. E tuttavia seora, per i diritti dell’amicizia, mettessi alle strette uno dei mieiamici, che tuttora crede di dover ascoltare i Manichei e gli dicessi: "Sai che è utile pentirsi, quando si è peccato? ", senza dubbio egligiurerà che lo sa. " Se dunque ti farò sapere così che è falsa l’eresiadei Manichei, desidererai ancora dell’altro? ". Risponderà: " Checosa potrei desiderare di più in tale questione? ". Bene dunque finqui. Ma quando avrò cominciato a mostrargli le ben salde enecessarie ragioni, che scaturiscono da questa proposizione unitetra loro, come si suol dire, in catene di acciaio, avrò portato l’interaquestione ad una conclusione dalla quale quella setta è annientata;allora potrà forse dire di non conoscere l’utilità del pentimento chenessun uomo, dotto e non dotto, ignora? E ancora, basandosi sul

fatto che esitiamo a deliberare, pretenderà di sapere che le dueanime che sono in noi portano ciascuna il proprio patrocinio aciascun partito? O abitudine del peccato! O pena, compagna delpeccato! Voi allora mi avete distolto dalla considerazione di cosecosì manifeste. Ma voi nuocevate ad uno che non ne avevacoscienza; ora invece che ne ho coscienza mi colpite e mi ferite incoloro che mi sono più intimi e che similmente non ne hannocoscienza.

Preghiera di Agostino per gli amici che ne hanno condiviso gli errori.

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15. 24. Rivolgete l’attenzione a queste cose, ve ne prego, ocarissimi: conosco bene i vostri ingegni. Se voi ora mi accordatel’intelligenza e la ragione di un uomo qualsiasi, sappiate che questecose sono molto più certe di quelle che allora o ci sembrava di

imparare o piuttosto eravamo costretti a credere. Grande Dio,onnipotente Dio, Dio di somma bontà, che è doveroso credere ecomprendere come inviolabile ed immutabile, unità trina che laChiesa cattolica venera, ti prego umilmente, avendo sperimentatoin me la tua misericordia, di non permettere che gli uomini con iquali fin dall’infanzia fui in perfetto accordo in ogni occasione di vitain comune, dissentano da me per quanto attiene al culto a tedovuto. Vedo che in questa sede ci si aspettava soprattutto disapere o come già allora difendevo le Sacre Scritture accusate dai

Manichei (se, come suppongo, fossi stato guardingo), o come oradimostro che possono essere difese. Ma Dio mi aiuterà a realizzarequesto mio proposito in altri scritti; infatti la lunghezza di questo,benché non eccessiva per quanto ritengo, già chiede di essereperdonata.

1 - Gv 14, 6.

2 - Mt 8, 22.

3 - 1 Tm 5, 6.

4 - Gv 8, 47.

5 - Gv 8, 44.

6 - Gv 1, 3.

7 - 1 Cor 8, 6.

8 - Rm 11, 36.

9 - 1 Cor 11, 12.

10 - Gv 8, 47.

11 - Cf. 1 Cor 2, 15.12 - Cf. 1 Tm 5, 6.

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13 - Gv 1, 11.

14 - Gv 17, 3.

15 - 2 Cor 4, 18.