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KONA Il mondiale di Ironman raccontato da Cleto La Triplice

Se volessi essere disturbato - Edizioni del Farobici da corsa, cominciando a frequentare la piscina, “Sai, d’inverno è un buon diversivo”, e poi a fare qualche corset‑ ta,

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KONAIl mondiale di Ironman raccontato da

Cleto La Triplice

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Cleto La Triplice, KonaCopyright© 2018 Edizioni del Faro

Gruppo Editoriale Tangram SrlVia Verdi, 9/A – 38122 Trento

www.edizionidelfaro.it – [email protected]

Prima edizione: maggio 2018 – Printed in EUISBN 978‑88‑6537‑657‑7

Copertina di Chiara Bentini

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A tutti quelli che si sono ritirati almeno una volta,che hanno tagliato il traguardo oltre il tempo limite,che dopo mesi e mesi di allenamento non sono riusciti a gareggiare per uno stupido infortunio,che si ritrovano sempre nelle ultime due pagine della classifica,che nelle foto sembrano invecchiati di dieci anni,ma che, nonostante tutto, amano davvero questo splendido sport,questo splendido ambiente e gareggiano sempre con il sorriso

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KONAIl mondiale di Ironman raccontato da

Cleto La Triplice

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Prefazione di Martina Dogana

Ci tengo a precisare che Cleto la Triplice non è un mio amico. L’ho conosciuto per fama dopo che aveva scritto il suo primo libro e di persona all’Expo dell’Ironman Au‑stria qualche anno fa, sempre per via di quel libricino, “Il mio ex faceva l’Ironman”.

Secondo voi, potrebbe essere mio amico uno che osa mettere a nudo l’intoccabile mondo dei triatleti? Uno che insinua che siamo dei maniaci di tabelle, cronometri, in‑tegrazione, nutrizione, alimentazione, classifiche, slot e roll‑down, materiali super tecnici all’avanguardia, noi che semplicemente non mettiamo piede in zona cambio se il body non si abbina perfettamente alla nostra bici e se le unghie e l’elastico per i capelli non sono dello stesso colo‑re della divisa (uhm, sì questa sono io!)?

Mi viene in mente uno sfrontato che mi presentarono nella primavera del 2005 che, appena saputo che stavo pre‑parando un Ironman, mi chiese se non fosse più semplice andare da un buon psicologo. Questo svitato, di cui per ra‑gioni personali non posso fare il nome, alla fine a quell’I‑ronman mi ci accompagnò di persona… e non solo. Negli

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ultimi dieci anni se ne è sorbiti altri quindici o sedici (ho perso il conto), in tutti i continenti, con ogni condizione meteo, sopportandomi, non tanto nelle singole trasferte, ma durante ogni singolo giorno della preparazione, il che è, credetemi, ben peggiore che entrare in un girone dantesco.

Il triathlon, infatti, è una malattia infettiva altamente contagiosa. La riprova è che quel poveretto, oltre a non credere alle mie parole pronunciate dopo ogni singolo Ironman, e cioè che quello sarebbe stato l’ultimo perché non ce l’avrei fatta a sopportare un’altra preparazione per una gara così massacrante, alla fine la malattia se l’è bec‑cata pure lui. Ha iniziato a trascurare il suo vero amore, la bici da corsa, cominciando a frequentare la piscina, “Sai, d’inverno è un buon diversivo”, e poi a fare qualche corset‑ta, “almeno mi posso allenare anche se piove”. E poi, ebbene sì, si è comprato la bici da crono!

Alla fine, il triathlon colpisce sempre, non c’è scampo!Forse Cleto ha trovato l’antidoto per questo veleno, op‑

pure ne è immune, perché riesce a vedere il nostro mondo con occhi diversi. Oppure è nella fase ancora più acuta, in cui crede di non essere ammalato, cioè non lo vuole pro‑prio ammettere, ma ci è dentro fino al collo.

Pensate che è convinto di aver scritto un romanzo i cui protagonisti sono dei triatleti…

***

Martina Dogana è una delle migliori triatlete italiane! Nata nel 1979 a Valdagno (VI), nel tempo si è specializ‑

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zata nelle lunghe distanze, vincendo sei titoli italiani di triathlon lungo (2005, 2006, 2008, 2009, 2014, 2016), ol‑tre a medaglie individuali e a squadre ai Campionati Eu‑ropei e Mondiali e gare di livello mondiale come l’Iron‑man di Nizza del 2008, il “70.3 Italy” del 2011 e il “Chal‑lenge Vichy” del 2012. Una delle poche atlete al mondo a essersi imposta in tutti i principali circuiti di triathlon sulla lunga distanza: Ironman, Ironman 70.3, Challenge, TriStar. Ha difeso in più occasioni i colori della Nazio‑nale italiana gareggiando in tutti i continenti. Continua a competere sia in Italia che all’estero, principalmente negli eventi di lunga distanza, ma non disdegna di partecipare alle manifestazioni di triathlon più corte o quelle a squa‑dre e addirittura nelle podistiche su strada. Laureata nel 2003 in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Verona con il massimo dei voti, oggi lavora come istrut‑trice FITri e FIN seguendo bambini, ragazzi e adulti, cer‑cando di trasmettere loro la passione per lo sport e il ri‑spetto delle regole. Perché per lei, il triathlon, come o for‑se più delle altre discipline di endurance, non è semplice‑mente uno sport o un hobby, ma diventa un vero stile di vita improntato all’attività all’aria aperta, a un’alimenta‑zione sana e variata, a stringere legami di amicizia carat‑terizzati dal rispetto e dalla complicità che solo uno sport di fatica e sudore riesce creare.

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Prefazione di Alessandro Fabian

Duro, stronzo, bastardo. Tre parole con cui potresti de‑scrivere Cleto, con la sua ironia e il suo sarcasmo, ma alla fine con un grande cuore nascosto tra le viscere delle espe‑rienze.

Ricercatore maniacale della leggerezza e della felici‑tà e al contempo un mago eccezionale nel nascondere ciò che non vuole farti vedere e toccare, ho potuto conosce‑re Cleto di persona, logicamente, in un campo gara. La sua fama lo precede e, così anche nelle gare, il suo fisico in continuo inseguimento.

Finita la gara ad Abu Dhabi mi si presenta il personag‑gio parlando in italiano. E chi è? Quando mi dice Cleto La Triplice, non si può sbagliare.

Le sue letture filanti, simpatiche e talvolta taglienti, con una sfumatura di stronzaggine, sanno dare un sapore e un aspetto diverso al mondo del triathlon (secondo me allo sport in generale), soprattutto perché l’ironia la fa da padrona.

Nonostante la sua corazza, la descrizione con il famo‑so slogan del “kinder tronky”, “fuori croccantissimo dentro morbidissimo”, è un qualcosa che calza a pennello.

Il viaggio intrapreso nella trilogia che lo vede protago‑nista ti guida in una montagna russa di emozioni contra‑

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stanti, anche se con tanti muscoli e tanto pelo; poi alla fine non può mancare il finale alla “Avengers”, dove il bene trionfa sul male, con il cuore straripante di felicità e la vo‑glia di continuare a essere uno stressato, esaurito e mania‑cale triatleta.

Muovi il culo Cleto, che il tuo fisico ne deve fare di stra‑da per raggiungere la tua fama e il tuo cuore!

***

Classe 1988, Alessandro Fabian vive in provincia di Pa‑dova. Nuota dall’età di quattro anni e ha iniziato a fare agonismo a dieci. È poi gradualmente passato all’aquath‑lon (disciplina sportiva che comprende nuoto e corsa), al duathlon (dove ha vinto un titolo continentale e un tito‑lo mondiale) e al triathlon, disciplina che lo ha visto vin‑cere diversi titoli italiani assoluti dal 2006 in poi. Nel 2009 Fabian si afferma anche in campo internazionale con la conquista del titolo mondiale “under 23” di duath‑lon. Entrato ormai stabilmente nell’élite del triathlon in‑ternazionale (ha chiuso il 2012 al dodicesimo posto nel ranking mondiale), Alessandro ha continuato a misurar‑si con i più forti triatleti del mondo con un solo obietti‑vo: il sogno olimpico! A Londra il sogno è diventato real‑tà. Un decimo posto che, oltre a rendere splendida l’e‑sperienza londinese, ripaga Alessandro di tutti i sacrifi‑ci fatti e lo ha proiettato direttamente verso l’Olimpiade 2016 di Rio de Janeiro (quattordicesimo). “Tokio 2020 is coming…”

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Premessa

Impossibile riuscire a scrivere un terzo, benché esile, li‑bro sul triathlon con la flebile speranza di far sorride‑

re ancora. Impossibile. Ho pensato di continuare a nar‑rare i disturbi comportamentali dei colleghi triatleti. Ri‑dondante. Ho pensato di vendicare lui scrivendo ironica‑mente delle splendide triatlete. Non sta in piedi (son più forti di noi…).

Disperato, infine, ho pensato di creare un romanzo a sfondo triathlon.

Il rischio è di risultare troppo noioso, in quanto il triat‑leta non ha una vita interessante o raccontabile.

Ma non voglio arrendermi. Ci provo.La storia che segue è realmente accaduta o accadrà.In qualche parte del mondo.

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1. RIENTRO A CASA

La giornata era stata impegnativa.Giulia aveva discusso tutto il giorno con i colleghi, la

sorella, la professoressa di latino del figlio, persino con un parcheggiatore aveva litigato, l’ultima cosa di cui aveva bi‑sogno era altro stress.

Entrò in casa e si trovò davanti uno spettacolo che la la‑sciò senza parole.

Una bicicletta. Un’altra.Era al centro del salone, appoggiata a un piedistallo,

nuovo pure lui. Nera, lucida, una scritta bianca e rossa ri‑vettata sul telaio.

Una fiammante e luccicante bicicletta da crono era al centro della sala.

Cercò Aldo in cucina, ma non lo trovò. Era nell’altra stanza al telefono. Probabilmente una telefonata fittizia. Per evitare lo scontro immediato. Il vigliacco. Furbo e vi‑gliacco.

Si tolse la giacca, la appoggiò al divano, prese il telefono e mandò un messaggio a Lele.

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‘Ci sei a cena? ‘‘No, mangio da Filo’.Giulia cominciò a preparare la cena e Aldo, dopo qual‑

che minuto, arrivò.“Allora ti piace?”Il sorriso ebete sul viso invitava a un buon ceffone, inve‑

ce lo fissò sospirando.“In effetti ne avevi bisogno” disse lei annuendo con la te‑

sta.Aprì il frigo, prese una bottiglia di vino bianco. Brut‑

to segno!“L’altra era così vecchia” continuò girata di spalle.Aprì tutti i cassetti cercando il cavatappi.Lo trovò, aprì la bottiglia, prese un calice e si versò un

bicchiere.“Quando l’avevi comprata? L’anno scorso? Hai ragione!

Era ora di cambiarla” concluse sarcastica alzando il bic‑chiere in segno di brindisi.

I loro dialoghi sul tema triathlon avevano sempre una spartizione di ruoli ben precisa. Lei attaccava, lui si di‑fendeva.

Funzionava così.Aveva sempre funzionato così.Lo scemo era lui.Mica lei.Ma questa volta l’impavido passò al contrattacco: “Ma

no, l’altra non l’ho mica ceduta, ho tenuto anche quella!” le disse sorridendo e guardandola negli occhi, un brivido lungo la schiena.

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Lei lo fissò lungamente negli occhi.La aveva appena sfidata.Aveva cambiato schema. Pochi attimi per pensare, stu‑

pita, a come rispondere, poi l’istinto prese il sopravvento e la sua bocca si aprì senza che lei fosse riuscita contene‑re le parole.

Posò il bicchiere sul tavolo.“Quindi hai due bici da crono e due bici da corsa. Aspet‑

ta, aspetta. Una mountain bike, una fat bike e una city bike – disse contando sulle dita della mano – Hai aperto un noleggio? Devo aver perso qualche passaggio!”

Si girò di nuovo, guardò nella dispensa per cercare qualcosa da mangiare, aprì un pacchetto di patatine. Il veleno.

Poi ricominciò: “‘Scusa amore, ma è stata una giorna‑ta dura e per un attimo ho pensato che quell’idiota di mio marito avesse comprato un’altra bici per pura passio‑ne sportiva, non per l’attività di noleggio che ha intrapre‑so… oggi.”

Lui rideva.Forse era idiota davvero, pensò.Stava ridendo.“Lo so, lo so che non avresti capito, ma dimmi la verità,

quant’è bella?”‘Cazzo! – pensò – qui la sfida è diventata aperta. Mi sta

proprio prendendo per il culo. Non cedere Giulia – dis‑se tra sé e sé. ‘

Respirò e riprese: “Due bici da crono? Dici davvero? Hai lasciato il lavoro. È chiaro. Sei diventato pro!”

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Il sarcasmo aiuta ogni tanto a prender tempo. Non fa i danni di un’offesa e non arrossa come un ceffone.

“Avevo voglia di farmi un regalo – concluse infine Aldo, arrendevole – Dimmi dai, sii sincera, ti piace?”

Lo fissò.Tre, quattro, cinque secondi.Uscì dalla stanza in silenzio.

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2. IO

A qualche centinaio di chilometri di distanza, davan‑ti a un bellissimo lago alpino, Cleto, ovvero io, sta‑

vo disquisendo con alcuni triatleti sullo sprint del giorno successivo.

Era inizio stagione, metà aprile. Ero stato invitato dagli organizzatori per caratterizzare maggiormente, dal pun‑to di vista della comunicazione, la splendida gara che si sarebbe svolta all’indomani, che era alla prima edizione.

La distanza “sprint” (settecentocinquanta metri di nuo‑to, venti chilometri di bici, cinque di corsa) di un triath‑lon ha una duplice funzione. Da un lato mette in condi‑zione i giovani atleti più performanti di ‘tirare’ al massi‑mo; dall’altro si può considerare un entry level di chi non lo ha mai praticato e vuole cimentarsi nella triplice, non‑ché comprendere il significato di nuotare insieme ad altri, la frenesia della zona di transizione e la capacità persona‑le di praticare tre sport in successione.

Avevo da poco compiuto quarantacinque anni e negli ultimi dieci il leitmotiv della mia vita era stato decisamen‑te il triathlon.

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Avevo compreso quasi immediatamente di essere lonta‑no anni luce dai campioni ma, come accade alla maggior parte degli atleti che iniziano a praticare e incrementa‑re gli allenamenti, avevo avuto un costante miglioramen‑to sul cronometro.

Questi miglioramenti cronometrici portano, ahimè, il povero triatleta medio a credere che non vi siano limiti al proprio stato di forma.

Conosco atleti che hanno migliorato anche di un’ora il proprio personale da un anno all’altro su distanza Iron‑man. E sulla base di questo incremento sono convinti di arrivare vicini alle nove ore in tre o quattro anni!

Tuttavia, io amo visceralmente lo sport tutto. E adoro il triathlon. Mi piace l’atmosfera della gara, la tensione del giorno prima e soprattutto adoro gareggiare. Li faccio tutti. Sono iscritto praticamente ovunque. In ogni parte del globo.

Su quasi tutte le distanze. Ironman, 70.3, olimpici, sprint, lunghi.

Semplicemente felice con un pettorale in vita e i nume‑ri sul polpaccio.

La mia valigia da bici ha fatto il giro del mondo insieme a me non si sa quante volte.

Ma sono pigro. E la pigrizia mal si concilia con il triath‑lon.

Un infortunio qualche anno fa mi ha messo al tappeto per qualche mese. A differenza di Aldo, però, invece di ri‑manere in peso forma e allenarmi in altra maniera, ho co‑minciato a scrivere.

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La mia matita non ha grandi qualità. Anzi non ne ha quasi nessuna, se non una discreta capacità nel disegnare momenti con ironia e sarcasmo.

Iniziai a descrivere qualche situazione a me molto fami‑liare. Iniziai a scrivere di triathlon. E quasi senza accor‑germene avevo demolito un’intera categoria di sportivi: la mia, quella dei triatleti.

Pubblicai un paio di libri, quasi per scherzo, ma nell’ar‑co di poco tempo acquisii un discreto seguito. La popola‑rità crebbe anche perché gareggiavo di continuo. Il triatle‑ta lettore poteva quindi spesso incrociarmi mentre arran‑cava verso la Finish Line.

E un triatleta più lento di te ti instilla sempre un senso di speranza e di orgoglio sportivo (come dire, c’è qualcu‑no che va più piano di me).

Le radio e i programmi sportivi iniziarono a invitarmi volentieri in quanto compensavo bene gli altri atleti ospi‑ti. Ero un contraltare perfetto al fanatico della discipli‑na e del rigore. E il microfono in mano non mi spaventa.

Ma tornando allo “sprint”, notai subito che il pettorale assegnatomi era il 47: ‘Morto che parla’.

Ora, l’acqua del lago alpino era intorno ai tredici gradi.Non per esser pignolo, ma chiamai subito l’organizza‑

tore.“Ciao Fabio, l’hai fatto apposta?”“Cosa?” chiese.“Mi hai fatto dare il 47. ‘Morto che parla’.”“No, guarda, fosse stato per me ti avrei dato dello scemo

che parla, ma non so il numero nella cabala napoletana.”

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“Vabbè, si può cambiare?” chiesi.“Ma smettila. Dai che domani ci divertiamo! Poi, Cle‑

to, è uno sprint! Non puoi rompere le scatole anche con uno sprint!”

Mi allontanai lamentandomi che nessuno mi capiva.

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Prefazione di Martina Dogana 9

Prefazione di Alessandro Fabian 13

Premessa 15

1. Rientro a casa 17

2. Io 21

3. La vigilia 25

4. La gara 31

5. La slot 41

6. La telefonata 45

7. Sri Lanka 49

8. Estate. 51

9. Colombo 55

10. Coluichetuttopuò 65

11. Aeroporto 67

12. Vulcano 69

13. In viaggio 73

14. La preghiera 77

15. Lo spot 81

16. Ma ci sono gli squali? 83

17. La quiete prima della tempesta 87

18. L’intervista 93

19. Kona 97

20. Improvvisamente 111

21. The Day After 119

22. Prima dei titoli di coda 121

Ringraziamenti e insulti 123

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Cleto La Triplice è quello con la muta nera e la cuffia gialla