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Beckett Inverno 30.11 > 13.12.2015

Sempre d'inverno

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Beckett Inverno

30.11 > 13.12.2015

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BeckettINVERNO LECTURES index

(L0) 1. DANTE … BRUNO . VICO .. JOYCE – LETTERA DEL AD AXEL KAUN … (teoria) (R) 2. RESPIRO (registrazione audio-video) (L1) 3. IMAGINE SI CECI (letture-intro) (L2) 4. IMMAGINAZIONE MORTA IMMAGINATE (letture) (L3) 5. BING (letture) (L4) 6. SENZA / SANS / LESSNESS (letture) (L5) 7. NÉ L’UNO NÉ L’ALTRO (letture) (L6) 8. NON IO (letture)

…………………………………………………………….!! «sempre d’inverno

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«sempre d’inverno, nel bianco». Brevi riflessioni dall’opera di Beckett (note di Alfredo Riponi)

«Il vero problema del soggetto, non è quello di identificare colui che parla, o si muove, o si agita da isterico o rumina ossessivamente, non è cioè l’emergenza di un ch i riconoscibile ma del che cosa si muove nel profondo indirettamente, forse impersonalmente facendo apparire come a l t ro l’aspetto demonico della nostra stessa coscienza» (Enzo Melandri, Contro il simbolico) «Non ci sono simboli, dove non c’è l’intenzione» (Beckett)

1. MEGLIO ESSERE IN DUE Beckett non ha mai detto molto sulla propria opera, ma le poche righe che ha scritto dicono molto, anche sulle sue coppie che, all’apparenza, potrebbero apparire solo come un artificio letterario. C’è nella biografia (Deirdre Bair), ad esempio, un episodio in cui lui è arrabbiato con uno dei suoi collaboratori (Beckett si arrabbiava spesso) e lui si trova nella necessità di far capire chi è la coppia di Finale di partita; dice allora che è la stessa di Aspettando Godot, ma in un’altra epoca e aggiunge: “e in fondo siamo io e Suzanne”. Poi se ne va. Come se avesse detto una cosa, una verità, che non doveva dire, ma a cui è stato costretto. E allora è giusto quel che scrive Gabriele Frasca, che due personaggi in uno spazio angusto finiranno inevitabilmente per confliggere, anche comicamente e inutilmente. E questo era il necessario conflitto che c’era anche tra lui e Suzanne nella casa di Ussy. Proviamo a immaginare lo spartano Beckett con i libri ammucchiati, da una parte, e dall’altra la moglie che accumula mobili. E anche il loro tardivo matrimonio fu, in fondo, qualcosa di necessario e di comico insieme. C’è forse questo da dire, che il comico è quasi sempre involontario, non deve essere cercato. A volte, secondo le istruzioni di Beckett, non doveva venire nemmeno fuori. Nella biografia di Deirdre l’incontro di Beckett con Keaton è già in sé comico. Ci sarebbe da dire infine che Beckett è spesso entrato in conflitto con i suoi attori, perché aveva del teatro un’idea che andava verso la soppressione del personaggio (dell’attore) e dell’autore. La parola doveva muovere tutto… «Le possibili interpretazioni (delle pseudo-coppie beckettiane) devono tutte essere completate alla luce dei versetti dell’Ecclesiaste» (Renato Oliva). «È dunque meglio essere due insieme che star soli, perché due han dei vantaggi dalla loro società. Se uno cade, l’altro lo rialzerà. Guai a chi è solo. Perché se cade non ha chi lo rialzi. E se dormiranno due insieme, si riscalderanno a vicenda. Ma uno solo come farà a riscaldarsi?» (Qohèlet 4, 9).

«In “Basta” la posizione maschile è specificata da un desiderio costante di separazione…: “Ci eravamo scissi se è questo che lui desiderava”. In Giorni felici vediamo chiaramente come sia Willie a tenersi a distanza, a essere invisibile e assente, laddove Winnie proclama, statuisce e legittima, giorno dopo giorno, l’eternità della coppia. La posizione maschile custodisce in sé un desiderio di scissione… Il desiderio maschile è affetto e infettato dal vuoto che separa le posizioni sessuate nell’unità stessa del processo amoroso. L’uomo desidera il nulla del Due, a differenza della donna, custode errante e narrante dell’unità originaria e della purezza dell’incontro, la quale non desidera altro che il Due, nell’ostinazione infinita di un Due che perdura» (Alain Badiou, Beckett. L’inestinguibile desiderio, il melangolo 2008).

«In giorni felici di Samuel Beckett, Winnie è un essere immobile e perlopiù monologante. L’eccesso di parola è sicuramente l’unica consolazione a cui aggrapparsi per affrontare la paura del deserto e uno stato di completa fissità. Questa costrizione del corpo dà sfogo all’eloquio che scivola quasi sempre e inevitabilmente nel soliloquio essendo Willie, la controparte, lontano e strisciante sotto un sole d’inferno ormai esausto e di pochissime parole. Una solitudine strana quella di Winnie; una realtà talmente temuta da finirci dentro fino al collo, come forse ci suggerisce la scena nel secondo atto in cui il suo corpo è interamente affondato nella terra, rimanendo fuori solo di testa. Nella bulimia verbale e in un vortice senza fine il personaggio si identifica allora con la sua parola, la carne è annientata ridotta a un tizzone nero Parola sfinita già morta dove non c’è nessun senso da rianimare se non quello meno battuto e dibattuto del linguaggio come possibilità di gioco. Nell’eterno rilancio dei dadi ogni combinazione è buona per ripartire e ricominciare perché no, dal/ col teatro anche se fisso a terra… e da tempo immobile» (Silvia Magnani).

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2. PLASMARE LA MATERIA Il tentativo che Beckett mette in opera negli ultimi testi in prosa è quello di plasmare la materia verbale; è il tentativo estremo di far sparire il soggetto parlante. «Distruggere insieme forma e contenuto, ridurli a puro suono» (Renato Oliva). Le parole, dal canto loro, ci saranno sempre “sono loro il mio unico grande amore”. Ma come dire ancora ciò che è impossibile dire, come non dirlo. Con l’estrema messa in scena di “Respiro” ad esempio. Estremo tentativo di resistenza contro il “Grande Oggetto Esteriore”. «Durante il giorno ognuno può opporre un’utile resistenza contro il Grande Oggetto Esteriore» (Lautréamont). Così Beckett tenta di annullare ogni oggettività, dell’oggetto esteriore restano detriti, residui di una coscienza, visibili come rifiuti, macerie, rottami.

Disfarsi del corpo, sottrarre il corpo, sempre più corpo, alla parola. Ma come, se il rumore del corpo non si spegne mai: vagiti, respiri, grida. Si può tentare allora di rinchiudere i corpi in una forma geometrica, la rotonda di “Immaginazione morta immaginate” o il cilindro de “Lo spopolatore”, o lo spazio chiuso e claustrofobico di “Bing”, per arrivare al “bianco su bianco” o al nero senza un rumore. Ma niente, le grida risuonano nella testa. Si deve di nuovo uscire alla luce, ritornare ad assaporare «la pioggia come nei giorni benedetti dall’azzurro» (Senza). «E quel presagio di pioggia, come in passato, segna il rinascere alla realtà fenomenica, quelle grida nella testa denunciano il risorgere del pensiero, dell’immaginazione morta» (Renato Oliva). Quell’insieme di frammenti, di sintagmi, ripetuti ossessivamente insinua che il limbo dei corpi non ha mai fine, a costo di esaurirsi nel ripetere gli stessi gesti e le stesse parole. Passando dai “segni senza senso” al «peut-être un sens (forse un senso)» (Bing).

Per una lettura di testi di Beckett (MacGowran), la figura concepita fu quella dell’intellettuale diseredato. “Iniziai con le parole di Molloy: «Presto sarò completamente morto, finalmente»… è sbagliato parlare di disperazione, più spesso si tratta dell’inquietudine umana. […]. C’è più speranza che disperazione nell’opera di Beckett”. (Deirdre Bair) Inquietudine nel tentativo di dare un senso a ciò che è solo forma. «Una volta che ero in ospedale, avevo vicino, in un’altra camerata, un uomo che stava morendo per un tumore alla gola, e nel silenzio potevo udire in continuazione i suoi gemiti. Ecco, questo è l’unico tipo di forma che ha la mia opera» (Beckett). Se nulla può fondarsi fermamente su un senso, il molteplice e la frammentazione non sono limitabili in una forma. Inquietudine, impotenza e stanchezza, quando la realtà non è che illusione e tentativo di dare un senso a ciò che non ne ha. «Eccolo, questo vecchio senso che mi darò, che non potrò darmi…». Come il concetto di redenzione, così il dubbio teologico - esistenziale, l’inferno schizofrenico, il tempo circolare e l’al di là metafisico, non appartengono al sentire di Beckett. Le coppie di Beckett (Pim e Bom) sono molto concrete “appiccicati uno all’altro a fare un solo corpo nel buio nel fango” (Come è), attratte da questo mondo, “nessun altro mondo per me” (Come è), anche se sconsolate. La linea retta è il simbolo della nostra condizione opposta allo spazio smisurato lassù nella luce “abbandono qui effetto della speranza causato dall’eterna linea retta effetto del retto desiderio di non morire prima del tempo nel nero nel fango senza parlare di altre cause” (Come è). 3. NON VOLERE « Je me sens qui vibre, je suis le tympan, d’un côté c’est le crâne, de l’autre le monde, je ne suis ni de l’un ni de l’autre» (L’innommable). Beckett accantona il mondo, le cose, per contare le centinaia di passi nella direzione del vuoto, registrare i battiti di un cuore, catturare un indizio di luce. Non che i personaggi di Beckett siano incapaci di azione, di movimento, sono semplicemente divisi tra andare e restare, presenza e assenza, buio e luce. «Il movimento dei corpi non ha, per sé e sua propria forza, alcuna adeguatezza a suscitare in me, che sono mente, un pensiero o un qualche modo di pensare» (Geulincx). «Non è il corpo la causa delle sensazioni né la volontà la causa dei movimenti corporei» (Geulincx). I mutamenti di anima e corpo sono sempre “occasionali”, perché c’è una causa ulteriore: Dio. Per Geulincx, le cose non si possono conoscere in sé stesse. Le cose fanno resistenza alla conoscenza dell’uomo. «Una cosa che mi fa resistenza, anche se per il mio bene, non mi resiste a lungo» (Molloy). Cosa incontra Molloy nel suo viaggio? cose, uomini, spettri, che gli impediscono di tornare a casa, fanno resistenza. Beckett fa sua la massima di Geulincx: “Ubi nihil vales, ibi nihil velis”, “Dove a niente vali, niente devi volere”. «Da Geulincx apprese che la passività può essere uno strumento per far prevalere la propria volontà…; l’uomo pensante consegue la propria indipendenza soltanto nello spirito, l’unica cosa in grado di controllare è la sua condizione mentale. Non deve sprecare energie nel tentativo di controllare il mondo esterno che comprende anche il suo corpo fisico, perché il corpo rifiuta d’essere controllato dallo spirito» (Deirdre Bair). La res

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extensa non ricade sotto il controllo della res cogitans; come il ginocchio di Molloy: «Il ginocchio, tenuto conto dell’assuefazione, mi faceva soffrire né più né meno del primo giorno». «Il mio corpo è una parte di questo mondo; io invece non sono affatto parte di questo mondo, sono del tutto privo di ogni senso, e non posso né vedermi, né udirmi, né toccarmi. Tutto ciò si ferma al mio corpo, e non giunge fino a me; io sono fuori da ogni forma, senza colore, senza figura, senza dimensione, non lungo, non largo: tutte queste cose appartengono al mio corpo. Io mi definisco con la sola cognizione e volontà». (Geulincx). 4. VOX INANIS A proposito di «Come è» Beckett scrive: «Come mettere in scena questa assenza di corpo? Questa vox inanis (voce senza anima) che esita? » (14 marzo 1981). «Egli ha ridotto così la vita stessa a una serie di storie narrate prima da una persona, poi da un’altra, e forse tutte dalla stessa voce» (Deirdre Bair). «caduti nel fango dalle nostre bocche senza numero salgono là dove c’è un orecchio uno spirito per capire la possibilità di annotare il pensiero di noi il desiderio di annotare la curiosità di capire un orecchio per sentire anche male questi frammenti altri frammenti d’un antico guazzabuglio» (Samuel Beckett, Come è). «Da tanto tempo vivevo lontano dalle parole capite, … Allo stesso modo il senso della mia persona s'avvolgeva in un anonimato spesso difficile da penetrare, come abbiamo appena visto, mi sembra. E così via per le altre cose che si fanno beffe dei miei sensi. Sì, anche a quell’epoca, in cui tutto già si sfumava, onde e particelle, la condizione dell'oggetto era quella d'esser senza nome e viceversa. Dico questo adesso, ma in fondo adesso che ne so io di quell’epoca, adesso che grandinano su di me le parole dal senso congelato e che anche il mondo muore, vilmente, pesantemente nominato?» (Molloy). Beckett utilizza l'analogia tra la coppia luce-particella e la coppia nome-oggetto.

«Come, in queste condizioni, riesco a scrivere, a non considerare di quest’amara follia che l’aspetto manuale? Non lo so. Potrei saperlo. Ma non lo saprò. Non questa volta. Sono io che scrivo, io che non posso sollevare la mano dal mio ginocchio. Sono io che penso, quel poco che basta per scrivere, io la cui testa è lontana. Sono Matteo e sono l’angelo, io venuto prima della croce, prima della colpa, venuto al mondo, venuto qui» (L’innominabile). Matteo è lo scrivente per antonomasia tra gli apostoli. Caravaggio è ancora sicuramente il riferimento di Beckett.

«Certo, non è facile fare un’immagine. Non basta pensare a qualcosa o a qualcuno. La voce dice: “Quando pensavo a lei…, No… non è vero…”. Ci vuole un’oscura tensione spirituale, una intensio seconda o terza, come dicevano gli autori medievali, un’evocazione silenziosa che sia anche invocazione e perfino convocazione, dato che solleva la cosa o la persona alla condizione indeterminata: una donna… “Richiamo all’occhio della mente” esclama Winnie» (G. Deleuze, L’esausto). «L’immagine sonora, la musica, prende il posto dell’immagine visiva e apre il vuoto o il silenzio della fine ultima». (G. Deleuze, L’esausto)

«Ora, è finita da tempo; da tempo non rivolgo la parola a nessuno. O voi, chiunque siate, quando sarete accanto a me, che le corde della vostra glottide non si lascino sfuggire intonazione alcuna…» (Lautréamont).

5. «SUONA COME NELL’IMMAGINAZIONE L’OSSO SUONA» «Lasciare fluire quel suono d’ossa una volta che si è spenta la luce. Ascoltare e respirare. Ascoltare ancora. Forse che io non ho ascoltato abbastanza? La lampada è ancora accesa sul comò eppure avevo spento ogni luce…forse solo nel cervello. Non ha importanza non è questo in realtà che volevo dire. Ancora qualcosa s’aggira nella mia testa anche se non so bene che cosa. La mia bocca vuole sgorgare di parole ma un suono s’insinua piano piano e le copre. Ora sto parlando quel suono. Io parlo il suono mentre la mia mano davanti a me mi dirige, ora in alto con gli acuti, ora in basso..i più gravi. Non aspetto nessuno eppure sono sempre ad aspettare. Forse è per questo motivo che non riesco a fermarmi col cervello e ho sempre qualcosa di nuovo che vuole uscire ed emettere il suo primo vagito. Ogni volta è ricominciare daccapo una nuova sinfonia di cui però conosco già tutte le note. Nessuno me le ha dette ma io le ho imparate. Da sola. Da infante muto quale ero, da infanta muta forse, quale ero, ma non prima del mio tempo.

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Una volta pensavo che le gambe delle donne se messe tutte in fila a fianco a quelle degli uomini, anch’esse tutte in fila, avrebbero brillato di più per via della loro pelle più liscia. Poi mi accorgevo che era solo un pensiero. Che non sarebbe stato possibile fare un simile paragone perché ‘tutte le gambe delle donne’ vorrebbe dire metterle in fila proprio tutte quelle che sono sulla terra e lo stesso quelle degli uomini il che sarebbe una cosa impossibile da realizzare…forse è possibile per un po’, per un quarto di terra o poco più ma poi sei costretto a immaginartele, tutte quelle gambe e sinceramente mi sembrerebbe un inferno, resti di corpi inanimati. Faccio questi pensieri e la sveglia non suona mai. Così la notte mi sembra eterna. Un teatrino pieno zeppo di figure. Quelle che vivono solo nella mia testa e che si staccano dalla pagina. Titoli di giornale fanno da ritornello. Poi mi accorgo di leggere sempre la stessa cosa, il copione è sempre lo stesso. I suoi personaggi sono talmente tragici che talvolta scoppio in una sonora risata liberatoria, fragorosi suoni vocalici e gutturali. E io parlo prima con loro ma solo nella mia testa e poi con quelli che mi appaiono tra le righe scritte ma da impazienti vorrebbero trovare subito un posto, un ruolo nella messinscena. Non sopporto le accelerazioni. Di essere sottoposta allo stress di un tempo altrui, per cui al momento li lascio disperare nel loro lamento infernale e li tengo sigillati sottovuoto in quello spazio di apnea tra il cervello e l’anticamera della bocca all’altezza - tra faringe e laringe-. Questo però mi costringe a emettere dei mugugni, piccole convulsioni della lingua mi impongono nuovi percorsi sonori e così tutto comincia, lo spettacolo di sempre nella variante muta, dalle modali basse alternate alle fricative leggere, primi segni brevi tracciati sul solco dal bassocollo alla fine del mento stimolando tutto il primo apparato fonico. Ah sì proprio una brava cantante! Altro che attrice …dover cantare prima ancora di recitare solo così si conoscono le voci da vicino. Non so nemmeno quanto ci ho messo a eseguire questo primo canto ma sono esausta forse è durato troppo, non lo so. Quando scivolo in queste cose la realtà non è più la stessa e perdo le coordinate kantiane per entrare in un’altra dimensione, che non so spiegare a nessuno perché nessuno la conosce, è forse Non-Io?» (Silvia Magnani) « ... nell'Innominabile la parola disincarnata dalla pagina diventa voce dell'autore insieme col lettore... e questo è interessante, a mio avviso, perché ti porta alla lettura a voce alta che è poi la prima tecnica di drammatizzazione. E torniamo alla voce-suono- e il congegno fonografico non è solo la macchina o l'oggetto meccanico, ma attraverso questa tecnica anche chi legge rientra nel progetto beckettiano di 'dare voce' all'inanimato» (Silvia Magnani)

Alcune prose di Beckett sono appunto nate non solo per essere lette, ma anche per la voce… o come scrive Renato Oliva, che ha analizzato le prose dell’ultimo Beckett, quelle raccolte in “Teste-morte” (Bing, immaginazione morta immaginate, Senza): “scritte sia per una lettura mentale che per voce recitante”… una lingua rarefatta e sempre più astratta, con una sintassi che sembra procedere per strappi…

CI FU UN PERIODO IN CUI LEI NON APPARIVA SULLA PIETRAIA. UN LUNGHISSIMO PERIODO. NON SI LASCIAVA DUNQUE VEDER USCIRE NÉ RIENTRARE. IN CUI COMPARIVA SOLO NEI CAMPI. NON SI LASCIAVA DUNQUE VEDERE MENTRE SE NE ANDAVA. SE NON COME PER INCANTO. MA PIAN PIANO INCOMINCIÒ A COMPARIRIVI. SULLA PIETRAIA. ALL’INIZIO INDISTINTAMENTE. POI SEMPRE PIÚ CHIARAMENTE. FINO A LASCIARSI POI VEDERE BEN BENE VARCARE LA SOGLIA NEI DUE SENSI E TIRARSI LA PORTA DIETRO. POI UN PERIODO IN CUI TRA LE SUE MURA LEI NON COMPARIVA. UN LUNGHISSIMO PERIODO. MA PIAN PIANO

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INCOMINCIÒ A COMPARIRVI. INDISTINTAMENTE. ANZI QUEL PERIODO DURA ANCORA. NONOSTANTE LEI NON CI SIA PIÚ. DA TANTO TEMPO.

(S. Beckett, Mal visto mal detto)

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(L0) DANTE … BRUNO . VICO .. JOYCE - LETTERA DEL 1937 AD AXEL KAUN …

Nel libro di Deleuze su Beckett (“L’esausto”), una citazione, dalla lettera di Beckett del 37, pone chi scrive di fronte al dubbio estremo sulla parola “c’è qualche motivo per cui la terribile materialità della superficie verbale non sia in grado di dissolversi…?”.

DANTE … BRUNO . VICO .. JOYCE (estratti)

Il n'y a pas de différence, dit Bruno, entre l'arc le plus petit possible d'un cercle et la corde correspondante, également la plus petite possible; pas de différence entre le cercle infini et la ligne droite. Les maxima et les minima de contraires particuliers sont uns et semblables. Le chaud minimal est égal au froid minimal. En conséquence, les transmutations s’opèrent de manière circulaire. Le principe (minimum) d'un contraire tire sa capacité de mouvement du principe (maximum) de l'autre contraire. Ainsi, non seulement les minima coïncident avec les minima, les maxima avec les maxima, mais aussi les minima avec les maxima dans la succession des transmutations. La vitesse maximale est un état de l’immobilité. Le maximum d’un procès de corruption et le minimum d’un procès d’engendrement sont identiques: par principe, la corruption est un engendrement. Et toutes les choses du monde sont en fin de compte identifiées à Dieu, la monade universelle, la monade de toutes les monades. C'est à partir de ces considérations que Vico a élaboré une science et une philosophie de l'histoire. Ce qu'il écrit (Joyce) n'est pas à propos de quelque chose: c'est ce quelque chose lui-même. (C'est là un fait qui a été reconnu par un éminent romancier anglais, qui est aussi historien, et dont l’œuvre est en complète opposition avec celle de M. Joyce). Quand le sens est au sommeil, les mots vont dormir (voyez la fin de «Anna Livia »). Quand le sens est à la danse, les mots dansent d’eux- mêmes. La langue est ivre. Les mots eux-mêmes titubent, ils sont en effervescence. Comment pourrait-on définir cet effort d'attention esthétique générale, sans lequel nous ne pouvons espérer capter le sens qui à jamais monte à la surface de la forme et devient la forme elle-même? Saint Augustin nous met sur la voie d'un mot, avec son «intendere» ; Dante, lui, a son «Donne ch'avete intelletto d'amore», et aussi «oi che, intendendo, il terzo ciel movete» ; mais son «intendere» suggère une opération strictement intellectuelle. Quand un Italien dit aujourd'hui «Ho inteso», il veut dire quelque chose qui se situe entre «Ho udito» et «Ho capito», une sorte d'intellection sensuelle, souple et légère. Peut-être «apprehension» est-il le mot le plus satisfaisant en anglais. M. Joyce a désophistiqué la langue. Et ce n'est pas peu dire que de remarquer qu'aucune langue n'est aussi sophistiquée que l'anglais. Cette langue est abstraite à en crever. Prenez le mot «doubt» : il ne suggère que très difficilement cette impression sensuelle d'hésitation, de la nécessité où l'on se trouve de choisir, d’irrésolution statique. Tandis que l'allemand «Zweifel» la donne, et à moindre degré, l'italien «dubitare». M. Joyce reconnaît combien le mot «doubt» est impropre à exprimer un état d'extrême incertitude, et il le remplace par «twosome twiminds». Et il n'est certes pas le premier à reconnaître l’importance de la pratique qui consiste à traiter les mots comme quelque chose d’irréductible à de simples symboles utilisés pour leur seule commodité sociale. Nous avons tendance à oublier que le public littéraire de Dante était latin, que la forme de son poème avait à être jugée par des yeux et des oreilles latines, par une esthétique latine hostile à toute innovation, et que ne pouvait manquer d'irriter la substitution du «Nel mezzo dei cammin di nostra vita», avec sa simplicité toute «barbare», à la suave élégance du «Ultirila regna canam, fluido contermina mundo»; de la même façon que des yeux et des oreilles anglaises préfèrent «Smoking his favourite pipe in the sacred presence of ladies», à «Rauking his flavourite turfco in the smukking precincts of lydias» Je trouve dans le Convivio deux traits bien acérés; l’un vise l'imbécile collectif des arcadiens monolingues […]. Et l'autre en l'honneur de M. Joyce, biologiste des mots: «Questo (l'innovation formelle) sarà luce nuova, sole nuovo, il quale sorgerà ove l'usato tramonterà e darà luce a coloro che sono in tenebre e in oscurità per lo usato sole che a loro non luce». Et de peur que M. Joyce ne s'abrite derrière sa main pour mieux en rire sous cape, je traduirai «in tenebre e in oscurità» par «qui s'ennuient à mourir». (Parlant de l'origine du langage, Dante fait une curieuse erreur, quand il rejette l'autorité de la Genèse qui veut que Eve ait été la première à parler en s'adressant au Serpent. Son incrédulité est amusante: «inconvenienter putatur tam egregium humani

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generis actum, vel prius quam a viro, foemina profluisse.» Mais avant même la naissance d'Eve, «les animaux avaient reçu leurs noms de la bouche d'Adam, le premier homme à «avoir dit goo to a goose». D’ailleurs, il est explicitement écrit que le choix de ces noms revient entièrement à Adam, de telle sorte que le texte de la Bible n’accorde pas la moindre parcelle d'autorité à l’idée que la langue aurait été un don direct de Dieu). Le Paradis Terrestre de Dante marque l'entrée dans un Paradis qui n'est pas terrestre; le Paradis Terrestre de M. Joyce, c'est l'arrivée, sur un rivage marin, de gens qui viennent faire du commerce. Le péché constitue un obstacle à l'ascension du cône, et il est la condition du mouvement autour de la sphère. Dans quel sens, alors, l'œuvre de M. Joyce a-t-elle un aspect «Purgatoire» ? Dans le sens que l'Absolu y est absolument absent. L'Enfer, c’est l'immobilité sans vie d'une méchanceté monotone. Le Paradis, l’immobilité sans vie d'une pureté immaculée tout aussi monotone. Dans le Purgatoire, nous avons toute la mobilité, toute la vitalité d’un déluge résultant de la conjonction de ces deux éléments contraires.

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LETTERA DEL 1937 AD AXEL KAUN LETTERA TEDESCA DEL 9/7/1937 6 Clare Street - Dublino - Stato Libero d’ Irlanda Caro Axel Kaun, […] Per me sta diventando sempre più difficile, perfino insensato, scrivere in un inglese ufficiale. E la mia lingua mi sembra sempre più un velo che occorre strappare per pervenire alle cose (o al Nulla) celate oltre di esso. Grammatica e stile. A me sembrano diventati inattuali come un costume da bagno vittoriano o l’ imperturbabilità di un vero gentiluomo. Una maschera. Speriamo che venga il tempo, grazie a Dio già giunto in alcune cerchie, in cui il linguaggio sarà usato al meglio laddove sarà maltrattato con la massima efficienza. Siccome non possiamo eliminare d’ un colpo solo il linguaggio, dovremmo almeno non tralasciare nulla che possa contribuire a farlo cadere in discredito. Farvi un foro dopo l’ altro finché incominci a filtrare ciò che si cela oltre di esso, si tratti di qualcosa o di nulla; per uno scrittore non posso immaginare, oggi, una meta più alta. Oppure la letteratura deve attardarsi nelle vecchie indolenti pratiche che sono già state abbandonate tanto tempo fa dalla musica e dalla poesia ? Nella natura perversa della parola c’è qualcosa di paralizzantemente sacro che non sia rintracciabile tra gli elementi propri delle altre arti ? C’è qualche motivo per cui la terribile materialità della superficie verbale non sia in grado di dissolversi, come per esempio la superficie sonora, spezzata da enormi pause, della settima sinfonia di Beethoven, cosicché per intere pagine non possiamo percepire se non un sentiero di suoni sospesi ad altezze vertiginose, colleganti insondabili abissi di silenzio ? Mi aspetto una risposta. So che esistono persone, persone sensibili e intelligenti, per le quali il silenzio non scarseggia: posso solo desumerne che sono duri d’udito. Perché nella foresta dei simboli, che non ci sono, gli uccelletti dell’interpretazione, che non c’è, non stanno mai zitti. Naturalmente, per il momento dobbiamo accontentarci di poco. Da principio può trattarsi solo di trovare in qualche modo un metodo mediante il quale possiamo rappresentare questo atteggiamento derisorio nei confronti della parola, attraverso le parole. In questa dissonanza tra i mezzi e il loro uso forse diventerà possibile sentire un sussurro di quella musica finale, o di quel silenzio, che costituisce il fondamento di tutto. A mio giudizio l’ultima opera di Joyce non ha assolutamente niente a che vedere con questo programma. Là sembra piuttosto trattarsi di una apoteosi della parola. A meno che, forse, l’Ascensione al Cielo e la Discesa in Inferno siano, in qualche modo, una cosa sola. Quanto sarebbe bello poter credere che le cose stiano davvero così. Ma per il momento vogliamo limitarci alla mera intenzione. Forse i logografi di Gertrude Stein sono più vicini a quanto ho in mente. Almeno la tessitura del linguaggio è diventata porosa, anche se, purtroppo, solo per caso, e in conseguenza di una tecnica simile a quella di Feininger. La sfortunata signora (è ancora viva?) certamente è ancora innamorata del suo veicolo, quantunque solo nel modo in cui un matematico è innamorato delle sue cifre; un matematico per il quale la soluzione del problema costituisce un fatto di interesse del tutto secondario, al quale invero la morte delle sue cifre deve sembrare assolutamente spaventosa. Stabilire un rapporto tra questo metodo e quello di Joyce, come è di moda, mi sembra tanto insensato quanto il tentativo, del quale per il momento non so nulla, di confrontare il nominalismo (nel senso scolastico) col realismo. Sulla via che porta a questa Letteratura della non parola, per me tanto desiderabile, qualche forma di ironia nominalistica può costituire una fase necessaria, ma non basta perché il gioco perda parte della sua sacra gravità. Esso dovrebbe cessare. Agiamo dunque come quel matematico pazzo (?) che usava un criterio di misura diverso ad ogni passo del suo calcolo. Un assalto contro le parole in nome della bellezza. Nel frattempo non faccio nulla. Ho solo la consolazione di tanto in tanto, di peccare, nolente o volente, contro una lingua straniera, come mi piacerebbe fare – e farò – con piena consapevolezza e intenzione contro la mia, Deo juvante.

Samuel Beckett («Disjecta», London 1983, tr. it. Aldo Tagliaferri)

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(R) RESPIRO

breath group (gruppi di respiro/soffio) Beckett su Respiro (Knowlson, 714, ed. fr.): «Nient’altro che un fascio di luce che s’intensifica poi diminuisce per rischiarare una scena cosparsa di rifiuti disparati ma identificabili, sincronizzato con il rumore di un respiro (inspirazione, espirazione). Il tutto comincia e finisce con lo stesso rantolo vagito (râle vagi). Era troppo tardi per pentirmene, quando mi sono reso conto del rapporto con: On entre, on crie Et c’est la vie. On crie, on sort Et c’est la mort. ……… » «Luce fioca sul palcoscenico cosparso di rottami vari. Durata circa cinque secondi» (Beckett, in Bair, p. 672) Unica certezza di Beckett «è nato / e morirà». Unica certezza legata a quel rantolo/vagito. Knowlson fa notare che questo breve sketch doveva essere trattato, nelle intenzioni di Beckett, come un esergo ironico allo spettacolo (erotico) per il quale era stato concepito. Ovvero doveva essere qualcosa che il pubblico non si aspettava. Malauguratamente chi lo mise in scena ebbe la sciagurata idea di aggiungere dei corpi nudi ai detriti… Respiro : durata 35 secondi. Teatro senza personaggi e senza testo All’inizio: luce e rifiuti. Luce e grido. Luce e respiro Non è una descrizione statica Soffio universale. Rifiuti cosmici Luce …………………………………………………….

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RESPIRO SIPARIO

1. Luce fioca sulla scena cosparsa di rifiuti eterogenei. Tenere circa 5 secondi. 2. Piccolo grido fioco e immediatamente inspirazione e insieme lento crescere della luce fino a raggiungere insieme il massimo in circa 10 secondi. Silenzio e tenere circa 5 secondi. 3. Espirazione e insieme lento decrescere della luce fino a raggiungere il minimo (luce come al n. I) in circa 10 secondi e immediatamente il grido come prima. Silenzio e tenere circa 5 secondi.

SIPARIO

Rifiuti.

Nessun oggetto verticale, tutti giacenti e sparsi.

Grido. Attimo di vagito registrato. Importante che i due gridi siano identici, e inseriscano e interrompano luce e respiro esattamente sincronizzati. Luce. Mai intensa. Se 0 = buio e 10 = massimo di luminosità, la luce dovrebbe crescere da 3 a 6 e tornare a 3.

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(L1) IMAGINE SI CECI

imagine si ceci un jour ceci un beau jour imagine si un jour un beau jour ceci cessait imagine pensa se questo un giorno questo un bel giorno pensa se un giorno un bel giorno questo finisse pensa

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imagine si ceci

un jour ceci

un beau jour

imagine

si un jour

un beau jour ceci

cessait

imagine

[Samuel Beckett, extrait de Mirlitonnades, Les éditions de Minuit, 1978]

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(L2) IMMAGINAZIONE MORTA IMMAGINATE

Nel 1966 Beckett registrò Immaginazione morta immaginate negli studi della BBC.

Riprendendo con Deleuze il tema del fuori, dello spazio, del movimento, dell’immagine e della sua dissoluzione: «Questo fuori del linguaggio non è solo l’immagine, ma la vastità, lo spazio. […]. Se l’immagine si presenta a chi la fa come un ritornello visivo o sonoro, lo spazio si presenta a chi lo percorre come un ritornello motorio, posture, posizioni e andamenti. «L’immagine rimane inseparabile dal movimento in cui si dissolve da sola: il viso si china, si volta, si cancella o si disfa come una nuvola o un fumo. L’immagine visiva è trasportata dalla musica, immagine sonora che corre verso la propria abolizione. «L’immagine è un soffio, un fiato, ma spirante, in via d’estinzione. L’immagine è quel che si spegne, si consuma, è una caduta. «L’immagine sonora, la musica, prende il posto dell’immagine visiva e apre il vuoto o il silenzio della fine ultima». (G. Deleuze, L’esausto) Su questa strada Deleuze ritrova anche Winnie (Giorni felici): «… se l’immagine ha per sua natura una durata brevissima, lo spazio ha forse un luogo molto esiguo, esiguo quanto quello che stringe Winnie, nel senso in cui Winnie dirà: “la terra mi sta giusta”». Deleuze dice di un “tempo buono per le immagini”… «Questa breve prosa, scritta e riscritta da Beckett, riprende uno dei temi di “Quel che è strano, via”, quello della rotonda bianca a forma di cranio all’interno della quale due corpi bianchi sono posti schiena contro schiena (evocazione dei dannati di Dante…). Calore e freddo, nero e bianco – con un grigio fuggevole – calma e silenzio… dove l’immaginazione non è ancora disposta a perire. Testo estremamente condensato, formale, ma che contiene ancora frammenti del nostro mondo quotidiano. La rotonda come un mausoleo in miniatura. Questo luogo tombale è ispirato, dice Avigdor Arikha, dalla cupola della chiesa di Val-de-Grâce, che Beckett vede dalla finestra del suo studio… spostata dal reale all’immaginazione. Come il cranio umano, questo “caveau” è cinto d’ossa. Ciascuno dei due corpi apre a turno l’occhio sinistro “azzurro pallido acuto” che resta fisso, senza un battito di palpebre. Corpi dotati di piedi, ginocchia, culo, capelli, occhi, respirano e rassomigliano ai nostri. Ma per la loro immobilità sembrano inanimati. All’interno di questo piccolo mondo creato dall’immaginazione, le due creature evocherebbero degli embrioni che stanno per nascere o morire» (J. Knowlson, Beckett, pp. 673-674) ……………………………………………………………………………….

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IMMAGINAZIONE MORTA IMMAGINATE Da ogni parte non una traccia di vita, voi dite, bah, e con questo, immaginazione mai morta, ma sì, appunto, immaginazione morta immaginate. Isole, acque, azzurro, verzura, attenzione, pfff, via tutto, un’eternità, zitti ora. Finché tutta bianca dentro il bianco la rotonda. Non c’è entrata, entrate, misurate. Diametro 80 centimetri, stessa distanza dal suolo alla sommità della volta. Due diametri ad angolo retto AB CD dividono in semicerchi ACB BDA il suolo bianco. A terra due corpi bianchi, ciascuno nel suo semicerchio. Bianchi anche la volta e il muro circolare su cui poggia alto 40 centimetri. Uscite, una rotonda disadorna, tutta bianca dentro il bianco, rientrate, picchiate, pieno in ogni punto, suona come nell’immaginazione l’osso suona. Alla luce che fa tanto bianco nessuna sorgente visibile, tutto splende di un bagliore bianco eguale, suolo, muro, volta, corpi, non un’ombra. Calore intenso, superfici calde al tatto, non scottanti però, corpi sudati. Tornate a uscire, indietreggiate, scompare, sorvolate, scompare, tutta bianca dentro il bianco, scendete, tornate a entrare. Vuoto, silenzio, calore, bianco, aspettate, la luce si abbassa, tutto si oscura di conserva, suolo, muro, volta, corpi, 20 secondi circa, tutti i grigi, la luce si spegne, scompare ogni cosa. Si abbassa al tempo stesso la temperatura, per raggiungere il minimo, zero circa, nell’istante in cui viene il buio, questo può sembrare strano. Aspettate, più o meno a lungo, luce e calore ritornano, suolo, muro, volta e corpi imbiancano e si riscaldano di conserva, 20 secondi circa, tutti i grigi, raggiungono il livello di prima, dal quale aveva preso inizio la caduta. Più o meno a lungo, perché possono intercorrere, l'esperienza l’insegna, tra la fine della caduta e l’inizio della ripresa durate molto diverse, da una frazione di secondo a qualcosa che sarebbe potuto sembrare, in altri tempi e luoghi, un’eternità. Identica osservazione per l’altra pausa, tra la fine del crescendo e l’inizio della caduta. Gli estremi, quel tanto che durano, sono di una stabilità perfetta, questo dal lato calore può sembrare strano, nei primi tempi. Succede anche, l’esperienza l’insegna, che caduta e crescendo si interrompano, a un livello qualsiasi, e segnino una pausa più o meno lunga, prima di riprendere, o di invertirsi, l’una in crescendo, l’altro in caduta, con la possibilità a loro volta sia di arrivare in fondo, sia di interrompersi prima, per poi riprendere, o di nuovo rovesciarsi, trascorso un tempo più o meno lungo, e così via, prima di arrivare all’uno o all’altro estremo. Attraverso questi alti e bassi, riprese e ricadute, che si susseguono secondo ritmi innumerevoli, non è raro che il passaggio si compia, dal bianco al nero e dal caldo al freddo, e viceversa. Solo gli estremi sono stabili, come è confermato dalla pulsazione che si manifesta in corrispondenza delle pause a uno stadio intermedio, quali che siano la loro durata e il livello. Fremono allora suolo, muro, volta e corpi, di un grigio bianco o fumo o una via di mezzo a seconda. Ma è piuttosto raro, l’esperienza l’insegna, che il passaggio si compia così. E il più delle volte, quando la luce comincia a abbassarsi, e con essa il calore, il movimento continua senza scosse fino al buio completo e al grado zero all’incirca, raggiunti simultaneamente l’uno e l'altro in capo a una ventina di secondi. Lo stesso per il movimento contrario, verso il calore e il bianco. Segue in ordine di frequenza la caduta o il crescendo con pausa più o meno lunga in quei grigi febbricitanti, senza che il movimento venga invertito in alcun istante. Resta che una volta spezzato l’equilibrio, quello in alto come quello in basso, il passaggio al successivo è variabile all’infinito. Ma quali che siano le eventualità, il ritorno prima o poi alla quiete temporanea pare immancabile, per il momento, nelle tenebre o nel bianco assoluto, con corrispondente temperatura, mondo ancora alla prova della convulsione incessante. Ritrovato per miracolo dopo quale assenza in deserti perfetti non è già più lo stesso, da questo punto di vista, eppure non ce n’è un altro. All’esterno tutto resta immutato e il piccolo edificio sempre di difficile reperimento, di un bianco che si confonde in quello circostante. Ma entrate ed è la quiete più breve e mai due volte lo stesso tumulto. Luce e calore rimangono collegati come se forniti da una sola e stessa sorgente di cui sempre nessuna traccia. Sempre a terra, piegato in tre, con la testa contro il muro in B, il culo contro il muro in A, i ginocchi contro il muro tra B e C, i piedi contro il muro tra C e A, vale a dire inscritto nel semicerchio ACB, non distinguibile dal suolo se non fosse per la lunga chioma di un bianco incerto, un corpo bianco di donna insomma. Compreso similarmente nell’altro semicerchio, contro il muro la testa in A, il culo in B, i ginocchi tra A e D, i piedi tra D e B, bianco anche lui come il suolo, il compagno. Sul fianco destro tutti e due e in senso contrario schiena a schiena. Accostate uno specchio alle labbra, si appanna. Con la mano sinistra ciascuno si tiene la gamba sinistra un po’ al di sotto del ginocchio, con la destra il braccio sinistro un po’ più su del gomito. In quella luce movimentata, con la grande quiete bianca ormai così rara e breve, l’osservazione è difficoltosa. Nonostante lo specchio potrebbero sembrare inanimati senza gli occhi sinistri che a intervalli incalcolabili a un tratto si sgranano e restano spalancati molto oltre le possibilità umane. Azzurro pallido acuto un effetto impressionante, nei primi tempi. Mai i due sguardi insieme salvo una sola volta una decina di secondi, l'inizio dell’uno sovrapponendosi alla fine dell’altro. Né grassi né magri né grandi né piccoli, i corpi appaiono integri e abbastanza in buono stato, a giudicare dalle parti esposte allo sguardo. Anche ai volti, per poco che i due versanti si corrispondano, non sembra mancare niente di essenziale. Tra la loro immobilità assoluta e la luce scatenata il contrasto è sorprendente, nei primi tempi, per chi si ricorda ancora di essere stato sensibile al contrario. È chiaro tuttavia da mille piccoli segni che sarebbe troppo lungo immaginare, che non stanno dormendo. Fate appena ah soltanto, in quel silenzio, e all’istante stesso per l’occhio di preda l’infimo trasalimento subito represso. Lasciateli là, nel sudore e ghiacciati, c’è di meglio altrove. Ma no, la vita finisce e non finisce, non c’è niente altrove, impensabile ritrovare quel punto

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bianco perduto dentro il bianco, vedere se sono rimasti fermi nel culmine di questa bufera, o di una peggiore, o al buio completo davvero, o nel grande bianco immutabile, e che cosa fanno se no.

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(L3) BING

«Bing immagine

appena quasi mai un secondo tempo siderale azzurro e bianco nel vento.»

«Bing image

à peine presque jamais une seconde temps sidéral bleu et blanc au vent.»

Bing s’intitolò provvisoriamente “Blanc”. Lentamente il testo si ridusse a mille parole : «mesi di lavoro ridotti a mille parole» scriverà Beckett. «Tutti i verbi sono periti». Dalla fiducia totale scolpita nelle prime parole «Tutto noto tutto bianco» al crollo di ogni fiducia nelle parole poche righe dopo: «Tracce intrico segni senza senso grigio pallido quasi bianco». (Knowlson). Il testo interamente descrittivo di un solo corpo in un cubo bianco. Estrema rarefazione grammaticale e lessicale per arrivare il più vicino possibile alla percezione dell’immagine. Se le figure che popolavano il cilindro de “Lo spopolatore” si muovevano e s’incontravano con difficoltà, qui tutto sembra fissato per sempre nel bianco. Mormorii e calore sono le ultime tracce di vita. Senza e Bing, un limbo più che un mondo, «un mondo di limbi» (J. Knowlson, p. 192). «Imagination morte imaginez e Bing… tra uno stupore da science-fiction e una traccia precaria di allusioni vitali; pulsazione aritmica di embrioni, larve o riflessi, dentro un cranio, un utero o un polmone, o sulla pura modulazione del bianco; silenzioso crepitio fotoelettrico, oscillazione combinatoria, in una materia verbale che sembra mimare una densità subatomica; contorni ipotetici, a filtrare l’esaurirsi delle immagini». (Guido Neri)

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BING

Tout su tout blanc corps nu blanc un mètre jambes collées comme cousues. Lumière chaleur sol blanc un mètre carré jamais vu. Murs blancs un mètre sur deux plafond blanc un mètre carré jamais vu. Corps nu blanc fixe seuls les yeux à peine. Traces fouillis gris pâle presque blanc sur blanc. Mains pendues ouvertes creux face pieds blancs talons joints angle droit. Lumière chaleur faces blanches rayonnantes. Corps nu blanc fixe hop fixe ailleurs. Traces fouillis signes sans sens gris pâle presque blanc. Corps nu blanc fixe invisible blanc sur blanc. Seuls les yeux à peine bleu pâle presque blanc. Tête boule bien haute yeux bleu pâle presque blanc fixe face silence dedans. Brefs murmures à peine presque jamais tous sus. Traces fouillis signes sans sens gris pâle presque blanc sur blanc. Jambes collées comme cousues talons joints angle droit. Traces seules inachevées données noires gris pâle presque blanc sur blanc. Lumière chaleur murs blancs rayonnants un mètre sur deux. Corps nu blanc fixe un mètre hop fixe ailleurs. Traces fouillis signes sans sens gris pâle presque blanc. Pieds blancs invisibles talons joints angle droit. Yeux seuls inachevés donnés bleus bleu pâle presque blanc. Murmure à peine presque jamais une seconde peut-être pas seul. Donné rose à peine corps nu blanc fixe un mètre blanc sur blanc invisible. Lumière chaleur murmures à peine presque jamais toujours les mêmes tous sus. Mains blanches invisibles pendues ouvertes creux face. Corps nu blanc fixe un mètre hop fixe ailleurs. Seuls les yeux à peine bleu pâle presque blanc fixe face. Murmure à peine presque jamais une seconde peut-être une issue. Tête boule bien haute yeux bleu pâle presque blanc bing murmure bing silence. Bouche comme cousue fil blanc invisible. Bing peut-être une nature une seconde presque jamais ça de mémoire presque jamais. Murs blancs chacun sa trace fouillis signes sans sens gris pâle presque blanc. Lumière chaleur tout su tout blanc invisibles rencontres des faces. Bing murmure à peine presque jamais une seconde peut-être un sens ça de mémoire presque jamais. Pieds blancs invisibles talons joints angle droit hop ailleurs sans son. Mains pendues ouvertes creux face jambes collées comme cousues. Tête boule bien haute yeux bleu pâle presque blanc fixe face silence dedans. Hop ailleurs où de tout temps sinon su que non. Seuls les yeux seuls inachevés donnés bleus trous bleu pâle presque blanc seule couleur fixe face. Tout su tout blanc faces blanches rayonnantes bing murmure à peine presque jamais une seconde temps sidéral ça de mémoire presque jamais. Corps nu blanc fixe un mètre hop fixe ailleurs blanc sur blanc invisible cœur souffle sans son. Seuls les yeux donnés bleus bleu pâle presque blanc fixe face seule couleur seuls inachevés. Invisibles rencontres des faces une seule rayonnante blanche à l’infini sinon su que non. Nez oreilles trous blancs bouche fil blanc comme cousue invisible. Bing murmures à peine presque jamais une seconde toujours les mêmes tous sus. Donné rose à peine corps nu blanc fixe invisible tout su dehors dedans. Bing peut-être une nature une seconde avec image même temps un peu moins bleu et blanc au vent. Plafond blanc rayonnant un mètre carré jamais vu bing peut-être par là une issue une seconde bing silence. Traces seules inachevées données noires fouillis gris signes sans sens gris pâle presque blanc toujours les mêmes. Bing peut-être pas seul une seconde avec image toujours la même même temps un peu moins ça de mémoire presque jamais bing silence. Tombés roses à peine ongles blancs achevés. Longs cheveux tombés blancs invisibles achevés. Invisibles cicatrices même blanc que les chairs blessées roses à peine jadis. Bing image à peine presque jamais une seconde temps sidéral bleu et blanc au vent. Tête boule bien haute nez oreilles trous blancs bouche fil blanc comme cousue invisible achevée. Seuls les yeux donnés bleus fixe face bleu pâle presque blanc seule couleur seuls inachevés. Lumière chaleur faces blanches rayonnantes une seule rayonnante blanche à l’infini sinon su que non. Bing une nature à peine presque jamais une seconde avec image même temps un peu moins toujours la même bleu et blanc au vent. Traces fouillis gris pâle yeux trous bleu pâle presque blanc fixe face bing peut-être un sens presque jamais bing silence. Blanc nu un mètre fixe hop fixe ailleurs sans son jambes collées comme cousues talons joints angle droit mains pendues ouvertes creux face. Tête boule bien haute yeux trous bleu pâle presque blanc fixe face silence dedans hop ailleurs où de tout temps sinon su que non. Bing peut-être pas seul une seconde avec image même temps un peu moins œil noir et blanc mi-clos longs cils suppliant ça de mémoire presque jamais. Au loin temps éclair tout blanc achevé tout jadis hop éclair murs blancs rayonnants sans traces yeux couleur dernière hop blancs achevés. Hop fixe dernier ailleurs jambes collées comme cousues talons joints angle droit mains pendues ouvertes creux face tête boule bien haute yeux blancs invisibles fixe face achevés. Donné rose à peine un mètre invisible nu blanc tout su dehors dedans achevé. Plafond blanc jamais vu bing jadis à peine presque jamais une seconde sol blanc jamais vu peut-être par là. Bing jadis à peine peut-être un sens une nature une seconde presque jamais bleu et blanc au vent ça de mémoire plus jamais. Faces blanches sans traces une seule rayonnante blanche à l’infini sinon su que non. Lumière chaleur tout su tout blanc cœur souffle sans son. Tête boule bien haute yeux blancs fixe face vieux bing murmure dernier peut-être pas seul une seconde œil embu noir et blanc mi-clos longs cils suppliant bing silence hop achevé. (Samuel Beckett, « Bing », 1966 - © Les éditions de Minuit)

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BING

Tutto noto tutto bianco corpo nudo bianco un metro gambe aderenti come cucite. Luce calore suolo bianco un metro quadrato mai visto. Muri bianchi un metro per due soffitto bianco un metro quadrato mai visto. Corpo nudo bianco fisso solo gli occhi appena. Tracce intrico grigio pallido quasi bianco su bianco. Mani pendenti aperte palmo avanti piedi bianchi talloni uniti angolo retto. Luce calore facce bianche radianti. Corpo nudo bianco fisso hop fisso altrove. Tracce intrico segni senza senso grigio pallido quasi bianco. Corpo nudo bianco fisso invisibile bianco su bianco. Solo gli occhi appena azzurro pallido quasi bianco. Testa globo in alto occhi azzurro pallido quasi bianco fisso avanti silenzio dentro. Brevi mormorii appena quasi mai tutti noti. Tracce intrico segni senza senso grigio pallido quasi bianco su bianco. Gambe aderenti come cucite talloni uniti angolo retto. Solo tracce irrisolte date nere grigio pallido quasi bianco su bianco. Luce calore muri bianchi radianti un metro su due. Corpo nudo bianco fisso un metro hop fisso altrove. Tracce intrico segni senza senso grigio pallido quasi bianco. Piedi bianchi invisibili talloni uniti angolo retto. Solo gli occhi irrisolti dati azzurri azzurro pallido quasi bianco. Mormorio appena quasi mai un secondo forse non il solo. Dato rosa appena corpo nudo bianco fisso un metro bianco su bianco invisibile. Luce calore mormorii appena quasi mai sempre uguali tutti noti. Mani bianche invisibili pendenti aperte palmo avanti. Corpo nudo bianco fisso un metro hop fisso altrove. Solo gli occhi appena azzurro pallido quasi bianco fisso avanti. Mormorio appena quasi mai un secondo forse un esito. Testa globo in alto occhi azzurro pallido quasi bianco bing mormorio bing silenzio. Bocca come cucita filo bianco invisibile. Bing forse una natura un secondo quasi mai questo nel ricordo quasi mai. Muri bianchi ciascuno una traccia intrico segni senza senso grigio pallido quasi bianco. Luce calore tutto noto tutto bianco invisibili intersezioni delle facce. Bing mormorio appena quasi mai un secondo forse un senso questo nel ricordo quasi mai. Piedi bianchi invisibili talloni uniti angolo retto hop altrove non un suono. Mani pendenti aperte palmo avanti gambe aderenti come cucite. Testa globo in alto occhi azzurro pallido quasi bianco fisso avanti silenzio dentro. Hop altrove dove da sempre se no si saprebbe. Solo gli occhi soli irrisolti dati azzurro fori azzurro pallido quasi bianco solo colore fisso avanti. Tutto noto tutto bianco facce bianche radianti bing mormorio appena quasi mai un secondo tempo siderale questo nel ricordo quasi mai. Corpo nudo bianco fisso un metro hop fisso altrove bianco su bianco invisibile cuore respiro non un suono. Solo gli occhi dati azzurri azzurro pallido quasi bianco fisso avanti solo colore soli irrisolti. Invisibili intersezioni delle facce una sola radiante bianca all’infinito se no si saprebbe. Naso orecchi fori bianchi bocca filo bianco come cucita invisibile. Bing mormorii appena quasi mai un secondo sempre uguali tutti noti. Dato rosa appena corpo nudo bianco fisso invisibile tutto noto fuori dentro. Bing forse una natura un secondo con immagine stesso tempo un po’ meno azzurro e bianco nel vento. Soffitto bianco radiante un metro quadrato mai visto forse bing forse qui un esito un secondo bing silenzio. Solo tracce irrisolte date nere intrico grigio segni senza senso grigio pallido quasi bianco sempre uguali. Bing forse non solo un secondo con immagine sempre uguale stesso tempo un po’ meno questo nel ricordo quasi mai bing silenzio. Cadute rosee appena unghie bianche risolte. Lunghi capelli caduti bianchi invisibili risolti. Invisibili cicatrici stesso bianco delle carni ferite rosee appena in passato. Bing immagine appena quasi mai un secondo tempo siderale azzurro e bianco nel vento. Testa globo in alto naso orecchi fori bianchi bocca filo bianco come cucita invisibile risolta. Solo gli occhi dati azzurri fisso avanti azzurro pallido quasi bianco solo colore soli irrisolti. Luce calore facce bianche radianti una sola radiante bianca all’infinito se no si saprebbe. Bing una natura appena quasi mai un secondo con immagine stesso tempo un po’ meno sempre uguale azzurro e bianco nel vento. Tracce intrico grigio pallido occhi fori azzurro pallido quasi bianco fisso avanti bing forse un senso appena quasi mai bing silenzio. Bianco nudo un metro fisso hop fisso altrove non un suono gambe aderenti come cucite talloni uniti angolo retto mani pendenti aperte palmo avanti. Testa globo in alto occhi fori azzurro pallido quasi bianco fisso avanti silenzio dentro hop altrove dove da sempre se no si saprebbe. Bing forse non solo un secondo con immagine stesso tempo un po’ meno occhio nero e bianco socchiuso lunghe ciglia supplichevole questo a memoria quasi mai. In lontananza tempo lampo tutto bianco risolto tutto in passato hop lampo muri bianchi radianti senza tracce occhi colore ultimo hop bianchi risolti. Hop fisso ultimo altrove gambe aderenti come cucite talloni uniti angolo retto mani pendenti aperte palmo avanti testa globo in alto occhi bianchi invisibili fisso avanti risolti. Dato rosa appena un metro invisibile nudo bianco tutto noto fuori dentro risolto. Soffitto bianco mai visto bing in passato appena quasi mai un secondo suolo bianco mai visto forse così. Bing in passato appena forse un senso una natura un secondo quasi mai azzurro e bianco nel vento questo nel ricordo mai più. Facce bianche senza tracce una sola radiante bianca all’infinito se no si saprebbe. Luce calore tutto noto tutto bianco cuore respiro non un suono. Testa globo in alto occhi bianchi fisso avanti vecchio bing mormorio ultimo forse non il solo un secondo occhio appannato nero e bianco socchiuso lunghe ciglia supplichevole bing silenzio hop risolto.

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(L4) SENZA / SANS / LESSNESS

Lessness prende origine da Bing (Beckett). «attraverso scarni frammenti verbali dentro una sorta di inesplicabile “rifugio”» (Renato Oliva) Nel 1969 (aggiunto nel 1972 alla raccolta «Teste morte») Beckett pubblica «lessness» (« sans »). Niente più frasi, combinatoria di parole. Qualcosa sembra mutare, il senso, pur restando uguale la materia verbale. Sessanta frasi per due. La parola poetica è un corpo in movimento, all’infinito. Il punto non è interruzione, piuttosto scansione temporale. Le parole sembrano fluttuare sulla pagina, un’onda che non si ferma mai e dà la vertigine. Le parole “gocce di silenzio attraverso il silenzio”, come si dice di esse nell’innominabile. “Simboli della fragilità trasmutati in fondamenta indistruttibili”. “Le molecole sono i nuclei verbali che si muovono combinandosi in modi diversi, componendosi e ricomponendosi, con un effetto di piani in prospettiva che si perdono all’infinito come in due specchi posti l’uno di fronte all’altro: nuclei in equilibrio precario che si sfa e si rifà mentre si legge. Piani che scivolano: sono i polisensi creati dalla possibilità di cesure diverse per mancanza di punteggiatura ed economia di nessi sintattici: polisensi limitati, è vero, che non mutano il senso fondamentalmente univoco dell’opera, ma generano, nella fissità, un senso di instabilità dei significati, di laboriosa aggregazione di particelle sottratte faticosamente al nulla indifferenziato, a uno stato di disgregazione.” (Renato Oliva, Appunti per una lettura dell’ultimo Beckett)

«Ici tout bouge, nage, fuit, revient, se défait, se refait. Tout cesse, sans cesse. On dirait l’insurrection des molécules, l’intérieur d’une pierre un millième de seconde avant qu’elle ne se désagrège». (Samuel Beckett, Le Monde et le pantalon, Minuit, 1989)

Scrive Beckett di Sans : «L’effondrement d’un refuge et de la situation qui s’ensuit pour le réfugié. La ruine, l’abandon, le désert, l’oubli, le passé et le futur niés, affirmés : telles sont les catégories formellement identifiables au travers desquelles l’écriture s’insinue, dans un désordre d’abord, puis dans l’autre». (Knowlson, p.713). Knowlson scrive che non è difficile immaginare Beckett nella sua casa di Ussy davanti all’immenso cielo grigio. “lointains sans fin terre ciel confondus pas un bruit rien qui bouge”. L’universo grigio cenere di Beckett, di cui Lessness è la variante perfetta nelle sue possibili, infinite, varianti. “Chimera la luce sempre e soltanto aria grigia senza tempo nessun rumore. Spazi senza fine terra cielo confusi tutto immobile non un rumore. Lo bagnerà la pioggia come nei giorni benedetti dell’azzurro la nuvola passeggera. Cielo grigio nessuna nuvola nessun rumore tutto immobile terra sabbia grigio cenere”. L’assenza, controparte dell’attesa, si tinge di grigio o di un bianco che si accumula, intorno alla pupilla, o sulla luna. Bianco è il colore del tempo che non finisce mai di passare, o che non è mai passato del tutto; tracce del tempo che vanno ad accumularsi sui volti, fino al giorno che marcherà la loro assenza definitiva, il volto pietrificato dell’immagine. “Ci si può chiedere, in confidenza, perché il tempo non passa, non ci lascia, perché si ammucchia tutto intorno a noi, istante su istante, da ogni parte…” (Beckett, L’innominabile) «Il testo francese Sans si intitola in inglese Lessness, vocabolo forgiato da Beckett… dissi una sera a Beckett che non sarei andato a dormire prima di averne trovato in francese un equivalente degno… Avevamo prospettato insieme tutte le forme possibili suggerite da sans e da moindre. Nessuna ci era parsa avvicinarsi all’inesauribile Lessness, mescolanza di privazione e d’infinito, vacuità sinonimo di apoteosi… Fummo d’accordo che si doveva abbandonare la ricerca, che non c’era sostantivo francese capace di esprimere l’assenza in sé, l’assenza allo stato puro, e che bisognava rassegnarsi alla miseria metafisica di una preposizione. È sempre loro malgrado che gli spiriti segreti tradiscono il fondo della propria natura. Quella di Beckett è così impregnata di poesia da confondersi con essa». (Cioran, Beckett. Alcuni incontri).

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SENZA / SANS / LESSNESS

Rovine vero rifugio finalmente verso cui da tanto lontano dopo tanti falsi. Spazi senza fine terra cielo confusi non un rumore tutto immobile. Faccia grigia due azzurro pallido corpo minuto cuore che batte solo in piedi. Spento aperto quattro pareti cadute all’indietro vero rifugio senza uscita. Rovine sparse confuse con la sabbia grigio cenere vero rifugio. Cubo tutto luce bianco assoluto facce senza tracce nessun ricordo. Sempre e soltanto aria grigia senza tempo chimera la luce che passa. Grigio cenere cielo riflesso della terra riflesso del cielo. Sempre e soltanto questa fissità immutabile sogno l’ora che passa. Maledirà Dio come in quei giorni benedetti faccia verso il cielo aperto l’acquazzone passeggero. Corpo minuto faccia grigia lineamenti fessura e buchetti due azzurro pallido. Facce senza tracce bianco assoluto occhio calmo finalmente nessun ricordo. Chimera la luce sempre e soltanto aria grigia senza tempo non un rumore. Facce senza tracce quasi raggiunte bianco assoluto nessun ricordo. Corpo minuto saldato grigio cenere cuore che batte faccia fissa lontano. Lo bagnerà la pioggia come nei giorni benedetti dell'azzurro la nuvola passeggera. Cubo vero rifugio finalmente quattro pareti all'indietro nessun rumore. Cielo grigio nessuna nuvola non un rumore tutto immobile terra sabbia grigio cenere. Corpo minuto come la terra il cielo le rovine solo in piedi. Grigio cenere tutt'intorno terra cielo confusi spazi senza fine. Si muoverà nelle sabbie movimento in cielo nell’aria le sabbie. Sempre e soltanto in sogno bel sogno non avere che un tempo da scontare. Piccolo corpo piccolo blocco cuore che batte grigio cenere solo in piedi. Terra cielo confusi infinito nessun rilievo corpo minuto solo in piedi. Nelle sabbie nessun appiglio ancora un passo verso spazi senza fine lo farà. Silenzio non un alito stesso grigio dappertutto terra cielo corpo rovine. Nero lento con rovina vero rifugio quattro pareti all'indietro nessun rumore. Gambe blocco unico braccia incollate ai fianchi corpo minuto faccia fissa lontano. Sempre e soltanto in sogno svanito il passare dell'ora lunga breve. Solo in piedi corpo minuto grigio liscio niente di più di qualche buco. Un passo tra le rovine le sabbie sulla schiena verso spazi senza fine lo farà. Sempre e soltanto sogno notti e giorni fatti di sogni di altri giorni notti migliori. Rivivrà il tempo di un passo albeggerà di nuovo cadrà la notte su di lui gli spazi. Spaccato in quattro all'indietro vero rifugio senza uscita rovine sparse. Piccolo corpo piccolo blocco genitali invasi culo blocco unico solco grigio invaso. Vero rifugio finalmente senza uscita in pezzi sparsi quattro pareti all'indietro nessun rumore. Spazi senza fine terra cielo confusi tutto immobile non un alito. Facce bianche senza tracce occhio calmo testa ragionante nessun ricordo. Rovine sparse grigio cenere tutt'intorno vero rifugio finalmente senza uscita. Grigio cenere corpo minuto solo in piedi cuore che batte faccia fissa lontano. Tutto bello tutto nuovo come in quei giorni benedetti regnerà l’infelicità. Terra sabbia grigia come l'aria il cielo il corpo le rovine sabbia fine grigio cenere. Luce rifugio bianco assoluto facce senza tracce nessun ricordo. Infinito nessun rilievo corpo minuto solo in piedi stesso grigio dappertutto tema cielo corpo rovine. Faccia verso bianca calma quasi raggiunta occhio calmo finalmente nessun ricordo. Ancora un passo uno solo da solo nelle sabbie nessun appiglio lo farà. Spento aperto vero rifugio senza uscita verso cui da tanto lontano dopo tanti falsi. Sempre e soltanto silenzio così grande che in immaginazione quelle risate da pazza quelle grida. Testa attraverso l'occhio calmo tutta luce bianca calma nessun ricordo. Chimera la luce l'aurora che dissipa le chimere e l'altra chiamata crepuscolo. Andrà sulla schiena faccia verso il cielo riaperto su di lui le rovine le sabbie gli spazi. Aria grigia senza tempo terra e cielo confusi grigi come le rovine spazi senza fine. Albeggerà di nuovo cadrà la notte su di lui gli spazi l'aria cuore batterà di nuovo. Vero rifugio finalmente rovine sparse grigie come le sabbie. Faccia verso occhio calmo quasi raggiunto tutto bianco tutto calmo nessun ricordo. Sempre e soltanto immaginato l'azzurro chiamato ceruleo in poesia soltanto folle immaginazione. Piccolo vuoto grande luce cubo tutto bianco facce senza tracce nessun ricordo. Sempre e soltanto aria grigia senza tempo tutto immobile non un alito. Cuore che batte solo in piedi corpo minuto faccia grigia lineamenti invasi due azzurro pallido. Luce bianco quasi raggiunto testa attraverso l’occhio calmo ben ragionante nessun ricordo.

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Corpo minuto grigio come la terra il cielo le rovine solo in piedi. Silenzio non un alito stesso grigio dappertutto terra cielo corpo rovine. Spento aperto quattro pareti all'indietro vero rifugio senza uscita. Grigio cenere cielo riflesso della terra riflesso del cielo. Aria grigia senza tempo terra cielo confusi grigi come le rovine spazi senza fine. Nelle sabbie nessun appiglio ancora un passo verso spazi senza fine lo farà. Albeggerà di nuovo cadrà la notte su di lui gli spazi l'aria cuore batterà di nuovo. Chimera la luce sempre e soltanto aria grigia senza tempo nessun rumore. Spazi senza fine terra cielo confusi tutto immobile non un rumore. Lo bagnerà la pioggia come nei giorni benedetti dell'azzurro la nuvola passeggera. Cielo grigio nessuna nuvola nessun rumore tutto immobile terra sabbia grigio cenere. Piccolo vuoto grande luce cubo tutto bianco facce senza tracce nessun ricordo. Infinito senza rilievo corpo minuto solo in piedi stesso grigio dappertutto terra cielo corpo rovine. Rovine sparse confuse colla sabbia grigio cenere vero rifugio. Cubo vero rifugio finalmente quattro pareti all'indietro nessun rumore. Sempre e soltanto questa fissità immutabile sogno l'ora che passa. Sempre e soltanto aria grigia senza tempo chimera la luce che passa. Spaccato in quattro all'indietro vero rifugio senza uscita rovine sparse. Rivivrà il tempo di un passo albeggerà di nuovo cadrà la notte su di lui gli spazi senza fine. Faccia verso calma luce bianca quasi raggiunta occhio calmo finalmente nessun ricordo. Faccia grigia due azzurro pallido corpo minuto cuore che batte solo in piedi. Andrà sulla schiena faccia verso il cielo riaperto su di lui le rovine le sabbie gli spazi. Terra sabbia grigia come l'aria il cielo il corpo le rovine sabbia fine grigio cenere. Facce senza tracce quasi raggiunte bianco assoluto nessun ricordo. Cuore che batte solo in piedi corpo minuto faccia grigia lineamenti invasi due azzurro pallido. Solo in piedi corpo minuto grigio liscio niente più di qualche buco. Sempre e soltanto sogno notti e giorni fatti di sogni di altre notti giorni migliori. Si muoverà tra le sabbie movimento in cielo nell'aria le sabbie. Un passo tra le rovine le sabbie sulla schiena verso spazi senza fine lo farà. Sempre e soltanto silenzio cosi grande che in immaginazione queste risate da pazza queste grida. Vero rifugio finalmente rovine sparse grigie come le sabbie. Sempre e soltanto aria grigia senza tempo tutto immobile non un alito. Facce bianche senza tracce occhio calmo testa ragionante nessun ricordo. Sempre e soltanto in sogno svanito il passare dell'ora lunga breve. Cubo tutto luce bianco assoluto facce senza tracce nessun ricordo. Spento aperto vero rifugio senza uscita verso cui da tanto lontano dopo tanti falsi. Testa attraverso l'occhio calmo tutto bianco calma luce nessun ricordo. Tutto bello tutto nuovo come in quei giorni benedetti regnerà l'infelicità. Grigio cenere tutt'intorno terra cielo confusi spazi senza fine. Rovine sparse grigio cenere tutt'intorno vero rifugio finalmente senza uscita. Sempre e soltanto in sogno bel sogno non avere che un tempo da scontare. Corpo minuto faccia grigia lineamenti fessura e buchetti due azzurro pallido. Rovine vero rifugio finalmente verso cui da tanto lontano dopo tanti falsi. Sempre e soltanto immaginato l'azzurro chiamato ceruleo in poesia immaginazione folle. Luce bianco quasi raggiunto testa attraverso l'occhio calmo ragionante nessun ricordo. Nero lento con rovina vero rifugio quattro pareti all'indietro senza rumore. Terra cielo confusi infinito senza rilievo corpo minuto solo in piedi. Ancora un passo uno solo da solo nelle sabbie nessun appiglio lo farà. Grigio cenere corpo minuto solo in piedi cuore che batte faccia fissa lontano. Luce rifugio bianco assoluto facce senza tracce nessun ricordo. Spazi senza fine terra cielo confusi non un rumore tutto immobile. Gambe blocco unico braccia incollate ai fianchi corpo minuto faccia fissa lontano. Vero rifugio finalmente senza uscita in pezzi sparsi quattro pareti cadute all'indietro nessun rumore. Facce senza tracce bianco assoluto occhio calmo finalmente nessun ricordo. Maledirà Dio come in quei giorni benedetti faccia verso il cielo aperto l'acquazzone passeggero, Faccia verso occhio calmo quasi raggiunto tutto bianco tutto calmo nessun ricordo. Piccolo corpo piccolo blocco cuore che batte grigio cenere solo in piedi. Corpo minuto saldato grigio cenere cuore che batte faccia fissa lontano. Piccolo corpo piccolo blocco genitali invasi culo blocco unico solco grigio invaso. Chimera la luce l'aurora che dissipa le chimere e l'altra chiamata crepuscolo.

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(L5) NÉ L’UNO NÉ L’ALTRO

Neither, opera in un atto per soprano ed orchestra, musica di Morton Feldman, 1977. Scrittura di Beckett contro il dis-correre, contro il dire, per poterlo dis-dire. Il linguaggio è solo rappresentato, messo in scena questo ininterrotto ma inutile dire, questo inutile ma interminabile dire. Con il dire entra in scena il tempo: “Avanti e indietro nell'ombra”, tutto è una storia di tempo, tempo che s’accumula, materiale bianco, perché è detto, sfibrato fino all’ultima sillaba, nell’agonia ripetuta del giorno, lo stesso giorno, ‘luce che non declina’, luce imperitura. Impenetrabile non è solo l’altro (non-sé), ma anche l’io (sé) è impenetrabile, il sé e il non-sé schivano la conoscenza nonostante il tentativo di farlo che si svolge andando avanti ed indietro tra l’uno e l’altro. Fino a che, abbandonato lo sforzo di osservare ci si trova in uno stato di luce imperitura, che non è il giorno ma uno stato interiore. E’ l’inesprimibile rifugio dello stato dove ci si arrende alla non conoscenza e si smette ogni sforzo. Dal suo luogo immutabile, l’io s’interroga sulla presenza impossibile a sé dell’altro: “incurante del cammino”. Allora non ha più da dire ciò che è, ma registrare i piccoli impercettibili mutamenti del reale: “solo rumore i passi che nessuno sente”. “Ma se l’altro esiste come un incubo, contro di me, « come posso essere io? »; se il volto dell’altro non mi riflette più, non è più il ‘luogo’ dove posso riflettere me stesso, ma, all’opposto, si è fatto enigma, l’io stesso non diverrà che il ‘luogo’ del proprio smarrirsi. « Sì, ricordo. Che fui io. Fui io allora ». L’io fu. Ora non restano che la voce che giunge a qualcuno nel buio.” (M. Cacciari, Dopo l’ultimo giorno) Si tratta di una prosa breve nelle intenzioni di Beckett (Beckett si oppose all’inserimento tra le poesie). Ma, dopo Mallarmé, la prosa è il “luogo” della poesia. È detto giustamente: la frattura irricomponibile nell’io. L’impossibilità di fuga dall’altro e dall’io (R. Castellucci). Proprio perché il dire, l’enunciazione, presuppone l’Io e l’Altro, forse è proprio nel momento in cui tutto viene ricondotto alla pura voce, “voce sola”, e sembra perdersi la dualità e la dimensione visiva che gli oggetti ritrovano il loro significato. Due rifugi, due porte, la strada, una casa. Due rifugi: due bagliori, che diventano “home” (inesprimibile, indicibile) nella luce che non declina. Uno spazio-dis-detto dove l’unica parola che può risuonare non produce senso, ma si staglia nera nella luce, senza possibilità di dissolversi – nel discorso – dall’uno all’altro. “fino al punto in cui l'immagine si fa pasta psichica. La questione di fondo è come "rappresentare" questo spazio dis-detto e questa declinazione di una soggettività irricomponibile, spinta sulla soglia di una indecidibilità fondamentale” (Piersandra di Matteo)

Gabriele Frasca, partendo da “La materia della mente” di Edelman, rende davvero l’idea dell’immagine come “pasta psichica”. La “voce che fa l’immagine” che fa emergere l’oggetto nella luce abbagliante del reale: «Ma c'è del buio, in verità, un buio da immaginare risuonare di un suo appena distinguibile continuo mormorio, e dunque […] un «vuoto fosco», anche nei più involontari procedimenti di attenzione di ciascuno di noi, quando (direbbe Gerald M. Edelman) una sorta di anestesia profonda parrebbe precludere la percezione di tutti gli aspetti di un'immagine, di una scena o di un pensiero che non siano quelli su cui, in quel preciso momento, con tutta la materia della mente ripieghiamo. Essere attenti, o semplicemente coscienti, lo sappiamo, vuol dire disattendere intere porzioni di mondo, farle sprofondare nell'oscurità per restare in ascolto di una voce con cui fare l'immagine. Non esiste insomma in ciascuno di noi processo percettivo che non oscilli, nella continua costruzione della coscienza, «su e giù nell'ombra da quell’interna all’esterna» (Né l'uno né l'altro) … per consentire che risuoni, finalmente sentita, e per un attimo compresa, una parola, o una frase, capace di farci sussultare.» (Gabriele Frasca, prefazione a “In nessun modo ancora”, Einaudi 2008). Ma già in un testo del 1957, “d’un ouvrage abandonné” contenuto in “Teste morte”, Beckett aveva intravisto questo arresto del tempo, “tempo incorrotto” come “luce imperitura” o lux aeterna. Fine dell’alternarsi di prima e dopo, di luce e buio, delle cose in fuga. Tutto ricondotto a una sola voce… «Ma proseguiamo e abbandoniamo le vecchie scene e veniamo a queste nuove e alla mia ricompensa. Allora non sarà come ora, giorni dopo giorni, fuori, via, in giro, indietro, dentro, come foglie turbinanti, strappate e lanciate lontano accartocciate, ma un lungo incorrotto tempo senza un prima né un dopo, luce o buio, da,

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verso o a, la vecchia mezza conoscenza del quando e del dove andata, e di come, ma altre cose ancora, tutte insieme, tutte in fuga, fino al nulla, non c'è mai stato nulla; né ci può essere, vita e morte tutto un nulla, quel genere di cose, solo una voce sognante che continuamente ti bisbiglia tutto attorno, è già qualcosa, la voce che una volta era sulle tue labbra» (Beckett, Da un’opera abbandonata, SE 2003) «Un linguaggio che non è parlato da nessuno: ogni soggetto non vi disegna che una piega grammaticale. Linguaggio che non si risolve in alcun silenzio: ogni interruzione forma soltanto una macchia bianca su questo drappo senza cuciture» (M. Foucault). Il fondersi di musica e parola è essenziale nella drammaturgia contemporanea... la parola-suono... «Con Romeo Castellucci, per la regia dell'opera o anti-opera, sto seguendo una traiettoria diversa da quelle più classica che lavorano sul movimento dialettico luce/ombra, self/unself per inseguire una trama narrativa (noir) continuamente sdrucita, incapace di farsi racconto, disseminata di oggetti parziali incapaci di parlare, di produrre pronuncia, sostituti di una bocca-(voce) che è la protagonista dell’Opera di Feldman. La dimensione noir (e il continuo depistaggio dei topoi delle spy-story - ambientazione anni ‘30) segue la punta tracciata dalla pista musicale… fino al punto in cui l'immagine si fa pasta psichica. La questione di fondo è come “rappresentare” questo spazio dis-detto e questa declinazione di una soggettività irricomponibile, spinta sulla soglia di una indecidibilità fondamentale». (Piersandra di Matteo).

«Tentare di nuovo. Fallire di nuovo. O meglio peggio. Fallire peggio di nuovo. Ancora peggio di nuovo. Finché stanco per sempre. Rinunciare per sempre. Andare per sempre. Dove né l’uno né l’altro per sempre» (Worstward Ho, Jaca Book 1986, trad. R. Mussapi). Avanti e indietro nell’ombra dall'ombra interiore a quella esteriore (Né l’uno né l’altro). Georges Didi-Huberman, a proposito di un disegno che accompagna le note di Warburg su un’escursione nella Mesa Verde, annota : «Il ressemblerait presque à un labyrinthe, ou à un réseau de bronches, comme un parcours obligé dans l’angoisse d’un espace extérieur ou la phobie d’un espace intérieur». Erosioni, episodi sismici : durata immensa del lavoro geologico. Soste, bivacchi, pasti : tempo microscopico del proprio cammino. «Tempo personale, quasi aneddotico, di un’escursione su piccola scala, e tempo impersonale, gigantesco di un’erosione su larga scala». (G. Didi-Huberman, L’image survivante, pp. 134-135) ……………………………………

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NÉ L’UNO NÉ L’ALTRO NEITHER

To and fro in shadow from inner to outershadow from impenetrable self to impenetrable unself by way of neither as between two lit refugees whose doors once neared gently close, once turned away from gently part again beckoned back and forth and turned away heedless of the way, intent on the one gleam or the other unheard footfalls only sound till at last halt for good, absent for good from self and other then no sound then gently light unfading on that unheeded neither unspeakable home (Samuel Beckett, "The Complete Short Prose", Grove Press, New York, 1995)

NI L’UN NI L’AUTRE

va-et-vient dans l’ombre de l’ombre intérieure à l’ombre extérieure du soi impénétrable au non-soi impénétrable en passant par ni l’un ni l’autre comme entre deux refuges éclairés dont les portes sitôt qu’on approche se ferment doucement, sitôt qu’on se détourne s’entrouvrent doucement encore revenir et repartir appelé et repoussé sans percevoir le lieu de passage, obnubilé par cette lueur ou par l’autre seul bruit les pas que nul n’entend jusqu’à s’arrêter pour de bon enfin, pour de bon absent de soi et d’autre alors nul bruit alors doucement lumière sans déclin sur ce ni l’un ni l’autre non perçu cette demeure indicible

(traduit de l’anglais par Edith Fournier)

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NÉ L’UNO NÉ L'ALTRO Avanti e indietro nell’ombra dall'ombra interiore a quella esteriore dall’impenetrabile sé all’impenetrabile non-sé passando per né l'uno né l'altro come tra due rifugi illuminati le cui porte non appena ci si avvicina lentamente si chiudono, non appena girata la testa si socchiudono lentamente ancora fatto un cenno avanti e indietro e voltata la testa incurante del cammino, attento all’uno o all’altro barlume solo rumore i passi non uditi fino a fermarsi per davvero infine, assente per davvero da sé e dall’altro allora nessun rumore allora dolcemente luce imperitura su quell'inosservato né l’uno né l’altro inesprimibile rifugio

(traduzione A. Riponi) NÉ L’UNO NÉ L'ALTRO Su e giù nell'ombra, da quella interna all’esterna dall’impenetrabile sé all’impenetrabile non-sé di modo che né l'uno né l'altro come due rifugi illuminati le cui porte non appena raggiunte impercettibilmente si chiudano, non appena volte le spalle impercettibilmente di nuovo si schiudano si accenni l’avanti e l’indietro e si volga le spalle noncuranti della strada, compresi dell’uno e dell’altro barlume unico suono passi inascoltati finché finalmente arrestarsi una volta per tutte, disattenti una volta per tutte all’uno e all’altro allora nessun suono allora impercettibilmente indissolvendosi la luce su tale inosservato né l’uno né l’altro l’inesprimibile meta

(tr. G. Frasca)

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(L6) NON IO

Durata di Non io secondo le indicazioni di Beckett : 15-17 minuti Negli ultimi testi teatrali di Beckett il personaggio ormai non esiste più. In Non-Io c’è una voce fuori scena e un organo (la bocca) a rappresentare la figura femminile monologante. La figura maschile presente sulla scena è quasi muta, ha la funzione di essere all’ascolto. Il soggetto esiliato dal mondo è solo una voce rammemorante. Ispirazione duplice per Non-Io, da una parte il quadro di Caravaggio: la decollazione di San Giovanni Battista e dall’altra i movimenti di una donna che Beckett vede davvero nella vita reale durante una vacanza in Marocco, lei vestita di una lunga djellaba nell’atto di alzare e abbassare le braccia, come se stesse ascoltando... Solo alla fine Beckett si rende conto che non stava facendo altro che aspettare il suo bambino, che tornava da scuola, alla fermata dell’autobus. Sulla scena l’uditore è invece maschile e la voce femminile… Ma c’è anche una donna conosciuta in Irlanda… La bocca, in alto, a sinistra della scena, nell’oscurità, pronuncia a una cadenza “siderante/siderale” (strabiliante) parole che vengono da una voce femminile per dire tutta una vita di solitudine, tristezza e silenzio. Mentre un uditore muto vestito con una lunga djeballa e posto a destra della scena, dal lato opposto, gli occhi fissi su di lei, alza le braccia ad intermittenza “in un movimento fatto di blâme (lamento) e di impotente pietà”. (J. Knowlson) Beckett ha visto la Decollazione di San Giovanni Battista a Malta (La Valletta). Quello che colpisce è ciò che dice Beckett della Bocca di Non io, il non controllo della parola… Chi non ha mai avuto la parola, nel momento in cui sente arrivare la voce non può più controllarla… Ma il discorso sulla scissione dell’io, schizofrenica, fa vedere soltanto il lato patologico. L’essere catturati dalla voce, invasi, è, invece, anche e soprattutto una rivincita sul corpo, su un corpo in decadimento, che ora però è capace di emettere dei suoni che colpiscono allo stomaco l’ascoltatore, non l’intelligenza (sottolinea Beckett). «L’ “anima smarrita” di Non-Io, a lungo muta, è ora nell’impotenza di fermare le parole che la sommergono» (Renato Oliva, Appunti per una lettura dell’ultimo Beckett). «Scrisse Non io di corsa, in dodici giorni, al ritorno a Parigi, dal 20 marzo al 1 aprile. Era nell'aria da numerosi anni che alla fine Beckett avrebbe scritto un lavoro teatrale in cui l'attore si sarebbe limitato a far da portavoce alla sua visione artistica. Perfino in occasione della prima di Aspettando Godot Beckett aveva dichiarato che tutto quel che voleva sulla scena erano «un paio di labbra tumide». A Malta aveva visto la Decapitazione di san Giovanni del Caravaggio, confessando che lo aveva colpito come «una voce che grida nel deserto». Il quadro, decisamente cupo e solenne, violento e macabro, fu un'immagine che gli fu familiare anche una volta lasciata Malta. In Marocco, un pomeriggio, seduto in un assolato caffè ad osservare distrattamente l'andirivieni della gente nella strada di fronte, ebbe la visione che costituì la seconda parte dell'ispirazione per Non io. Un'araba, avvolta in un djellaba, se ne stava accovacciata sul ciglio del marciapiede — nel linguaggio beckettiano, «accoccolata in un atteggiamento di vigile attesa». Di tanto in tanto, si drizzava in piedi scrutando attentamente in lontananza, per poi lasciar cadere senza motivo le braccia sui fianchi e tornare ad accovacciarsi. Beckett fu sconcertato dall'ansia e dall'eccitazione della donna. Finalmente, un veicolo che aveva tutta l'aria di essere uno scuolabus s'accostò depositando un bimbo, che la donna si strinse al petto e coprì di carezze prima di scomparire tra la folla. Beckett combinò la tenebrosità e drammaticità del quadro caravaggesco con l'intensità dell'attesa della donna, creando una bocca, una fessura rosso vivo, l'unico oggetto visibile al centro di un palcoscenico completamente scuro. Di lato, discosta, pose una figura che descrisse come un qualcosa a mezza strada tra «un'enorme, taciturna figura druidica» e «una figura monacale, grottescamente alta». La bocca appartiene a una donna irlandese di circa settant'anni, che fa rivivere una vita di nascita prematura, sopravvivenza meccanica e fuga da sé. Cinque volte la voce prorompe, soffocando lo straziante urlo «SHE!» mentre tenta disperatamente di aggrapparsi al pronome personale. L'auditore, come si chiama la figura maschile nel testo beckettiano, risponde varie volte in un tono sempre decrescente, battendosi impotente i fianchi in quello che le didascalie definiscono un atteggiamento di «inerme pietà» «Conobbi quella donna in Irlanda», disse Beckett, «sapevo chi fosse — non "lei" in particolare, un'unica donna, ce n'erano tante di queste vegliarde, che camminavano incespicando lungo i viottoli, nei fossati, accanto alle siepi. L'Irlanda ne è piena. Ed io “la” sentii dire quel che scrissi in Non io. L'ho proprio sentito coi miei orecchi». Scrisse Non io in inglese, spiegando quasi a mo’ di scusa, «Non so, non so mai in anticipo in quale

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lingua scriverò», ma nella fattispecie, gli sembrò semplicemente ovvio comunicare l'angoscia di una donna irlandese in inglese e non in francese. Il monologo, la logorrea che si riversa fuori dalla fessura rosso sangue di una bocca ad una velocità tale da risultare talvolta inintelligibile al pubblico, deve esaurirsi in 15-17 minuti. Alla fine, di solito, il pubblico è senza fiato per la sollecitazione uditiva e stremato da un'esperienza che sembra averlo avviluppato nella lunghissima vita del recitante settantenne. (Con raccapriccio di Beckett, in Germania il lavoro fu rappresentato in una versione dilatata ad oltre 45 minuti. Gli sembrò, come parecchi altri che vi assistettero, che fosse diventato un semplice e noioso sproloquio, privo della magia del tempo estremamente conciso di recitazione da lui specificato nelle didascalie)» (Deirdre Bair, Samuel Beckett, pp. 692-693). …………………………………………………………….!

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NON IO Buio sul palcoscenico. Si vede soltanto Bocca - a destra del pubblico – in fondo al palcoscenico (circa due metri e mezzo dalla ribalta), debolmente illuminata da vicino e da sotto. Il resto del viso è al buio. Microfono invisibile. L'Auditore, a sinistra del pubblico, vicino alla ribalta. Figura alta, in piedi, sesso indeterminabile avvolto dalla testa ai piedi in una djellaba nera, con cappuccio. Totalmente ma debolmente illuminata, sta su un podio invisibile, a circa 1,35 di altezza. Dal suo atteggiamento si capisce che guarda diagonalmente attraverso il palcoscenico, in direzione di Bocca. Assolutamente immobile durante tutta l'azione salvo i 4 movimenti finali come indicato nel testo. Mentre si spengono le luci di sala, si sente la voce di Bocca, incomprensibile, da dietro il sipario. Via le luci di sala. La voce, sempre incomprensibile, continua da dietro il sipario per dieci secondi. Mentre si alza il sipario, si improvvisano parole (magari dal testo stesso), finché il sipario non sia alzato completamente e l'attenzione non si sia fissata su:

BOCCA ...fuori... dentro a questo mondo... questo mondo... piccola minuscola cosa... prima del tempo... in una

dann... - ... Cosa?... bambina?... Sii... piccola minuscola bambina... dentro a questa… fuori dentro a questa... prima del suo tempo... a questa. dannazione di buco che si chiama... si chiama... non importa... genitori ignoti... mai sentiti... lui sparito... come fumo... appena riabbottonate le brache... anche lei spariva... otto mesi dopo... quasi spaccando il minuto... cosi niente affetto... risparmiata... si... niente affetto... di quello normalmente riversato su... un infante muto... in casa... no... quanto a questo niente... nessun affetto di nessun genere... nemmeno in seguito... caso tipico... mente di notevole fin quasi ai sessant'anni quando - ... Cosa?... Settanta?... Dio mio!... fin quasi ai settanta... quando vagando per un campo... cercando a caso delle primule... per farne una piccola palla... qualche passo poi fermarsi... fissare il vuoto… poi avanti... qualche passo ancora... fermarsi e fissare ancora... e cosi avanti... vagolando qua e là... quando improvvisamente... gradualmente... tutto si spense... tutta quella luce mattutina di Aprile... e lei si trovò al - ... Cosa?... chi?... no!... lei!... (pausa e movimento i)... si trovò al buio... e se non proprio... insensibilizzata... insensibilizzata... perché poteva ancora sentire il ronzio... chiamiamolo così... nelle orecchie... e un raggio di luce andava e veniva. .. andava e veniva... come se venisse dalla luna... vagolando... fra una nuvola e l'altra... fuori e dentro... ma cosi spenta... sentendosi... sentendosi cosi spenta... che non sapeva... in che posizione si trovava... figurarsi!... in che posizione si trovava!... se in piedi... o seduta... ma il cervello - ... Cosa?... inginocchio?... si... se in piedi... o seduta... o in ginocchio... ma il cervello - ... Cosa?... sdraiata?... sì... se in piedi... o seduta... o in ginocchio... o sdraiata... ma il cervello ancora... ancora... in un certo senso... perché la sua prima idea fu... oh molto tempo dopo!... lampo improvviso... essendole sempre stato insegnato a credere... con le altre orfanelle... nella misericordia... (breve risata)… di Dio (risatona)… la prima idea fu... oh molto tempo dopo!... lampo improvviso... che si trattasse di un castigo... per i suoi peccati... alcuni dei quali in quel momento... prova ulteriore se ce ne fosse bisogno... lampeggiarono nella sua mente... uno dopo l'altro... poi via perché sciocca... oh molto tempo dopo... via questa idea... mentre improvvisamente si rendeva conto,.. gradualmente si rendeva conto... che non stava soffrendo... figurarsi!... non soffriva !... anzi non poteva ricordare... li per li... quando aveva sofferto di meno... a meno che naturalmente non fosse... inteso che lei dovesse soffrire... ha!... pensato che lei dovesse soffrire... come qualche volta... nella sua vita... quando chiaramente avrebbe dovuto provare piacere... lei in verità... non ne aveva provato nessuno... neanche il più piccolo... in tal caso naturalmente... quel concetto di castigo... per un qualche peccato... o magari per tutti... o per nessun motivo particolare... ma per la cosa in sé... cosa che lei capiva perfettamente... quel concetto di castigo al quale aveva pensato in un primo momento... essendole sempre stato insegnato a credere. .. con le altre orfanelle... nella misericordia... (breve risata)... di Dio... (risatona)... aveva avuto in un primo momento l'idea... poi buttata via... perché sciocca... e forse non era cosi sciocca... dopotutto... e cosi avanti... tutto l'insieme... vani ragionamenti... finché un'altra idea... oh molto tempo dopo!... lampo improvviso... davvero molto sciocca ma - ... Cosa?... il ronzio?... sì… sempre il ronzio... chiamiamolo così... nelle orecchie... anche se ad essere sinceri non proprio... nelle orecchie... ma nel cranio... un sordo ruggito nel cranio... e sempre questo raggio o bagliore... come un bagliore di luna... ma probabilmente no... anzi certamente no… sempre lo stesso punto... ora splendente... ora opaco... ma sempre lo stesso punto... come nessuna luna potrebbe... no... nessuna luna... soltanto lo stesso desiderio di... tormentarsi... quando invece per essere precisi... niente affatto... nemmeno uno spasimo... fino ad ora... ha!... fino ad ora... quest'altra idea allora... oh molto tempo dopo !... lampo improvviso... molto sciocca veramente ma proprio degna di lei... in un certo senso... che farebbe bene a... gemere... ogni tanto... torcersi non poteva... come se davvero un atroce dolore... ma non poteva... non ci riusciva.,. un'incrinatura nel suo carattere... incapace di simulazione... oppure il meccanismo... più probabilmente il meccanismo.,. così sconnesso... non aveva ricevuto il messaggio... oppure era incapace di rispondere... come intorpidito... non poteva emettere il suono... nessun suono... nessun suono di nessun tipo... non gridare aiuto per esempio... se ne avesse avuto bisogno... gridare... (grida)... poi ascoltare... (silenzio)... gridare ancora... (grida ancora)... poi ascoltare ancora... (silenzio) No... risparmiata... tutto silenzio come in una tomba... niente di lei -

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… Cosa?... il ronzio?... Sì... tutto silenzio, solo il ronzio... chiamiamolo così... niente di lei si muove... che lei possa percepire... soltanto le palpebre... presumibilmente... su'e giù... eliminare la luce... riflesso lo chiamano... nessuna sensazione... solo le palpebre... anche nei momenti i migliori... chi le sente ?... si aprono... si chiudono... tutta quella umidità... ma col cervello ancora... ancora abbastanza... oh, sì! eccome!... a questo punto... controllato... sotto controllo... per dubitare anche di questo... perché quella mattina di Aprile... così ragionava... quella mattina di Aprile... lei con l'occhio fisso... su una campana in distanza... mentre si affrettava in quella direzione... l'occhio fisso… in modo da non perderla di vista... non si era del tutto spenta... tutta quella luce... da sola... senza che... senza che da parte sua... avanti cosi... così ragionava... vani interrogativi... e tutto fermo come la morte... dolce silenzio come una tomba... quando improvvisamente... gradualmente... si rese - ... Cosa?... il ronzio?... sì... sempre tutto fermo come la morte tranne il ronzio.,.. quando improvvisamente si rese conto che le parole stavano - ... Cosa?... chi?... no!... lei!... (pausa e movimento 2)... si rese conto... che le parole stavano... figurarsi !... le parole stavano arrivando... una voce che lei non riconobbe... lì per lì... era tanto tempo che non la sentiva... poi alla fine dovette ammettere... che non poteva essere... che la sua stessa voce... certi suoni vocalici... che non aveva mai sentito... altrove... tanto che la gente guardava.... nelle rare occasioni... una o due volte all'anno... sempre d'inverno per qualche strano motivo... la fissava senza capirla... e ora questo'fiume... fiume continuo... lei che non aveva mai... al contrario... praticamente muta... tutti i suoi giorni... come riuscì a sopravvivere!... anche andando a fare la spesa... uscendo per la spesa... centro commerciale affollato... supermer... si limitava a consegnare la lista della spesa... con la borsa... vecchia sporta nera... poi stava ferma ad aspettare... anche a lungo se necessario... in mezzo alla folla... immobile... fissando il vuoto... a bocca semiaperta come sempre... finché non le tornava in mano... finché la borsa non le tornava in mano... per poi pagare e andare via... senza nemmeno un buongiorno... come riuscì a sopravvivere!... e ora questo fiume... non afferrandone nemmeno la metà... nemmeno un quarto... nessuna idea... di ciò che stava dicendo!... figurarsi!... nessuna idea. di ciò che stava dicendo !... finché non cominciò a tentare. .. di illudersi... che non era affatto la sua... affatto la sua voce... sicuramente avrebbe... era indispensabile riuscirci... stava per... dopo grandi sforzi... quando improvvisamente sentì... gradualmente sentì... le sue labbra muoversi... figurarsi!... le sue labbra che si muovevano!... perché naturalmente fino ad, ora non le aveva sentite... e non solo le labbra... le guance... le mascelle... tutto il viso... tutte quelle - ... Cosa?... la lingua?... si... la lingua nella bocca... tutte quelle contorsioni senza le quali... la parola è impossibile... e che pure normalmente... non si avvertono per niente... uno è così attento… a ciò che dice... con tutto il suo essere... appeso alle proprie parole... sicché lei dovrebbe non solo... alla fine... non solo dovette... rinunciare... ammettere che era soltanto la sua... soltanto la sua voce... ma quest'altra tremenda idea... oh molto tempo dopo... lampo improvviso... ancora più tremendo se possibile... che la sensibilità riaffiorava... figurarsi!... la sensibilità riaffiorava! cominciando dall'alto... poi scendendo giù... tutto il meccanismo... mano… risparmiata... solo la bocca... fino ad ora...ha!... fino ad ora... poi pensando.., oh molto tempo dopo... lampo improvviso... non può andare avanti... tutto questo... tutto quel... fiume continuo, .. sforzandosi di udire... di capirci qualcosa... e i suoi pensieri… farne qualcosa... di tutti - ... Cosa?... il ronzio ?... sì... sempre questo ronzio... chiamiamolo cosi... tutto quanto insieme.., figurarsi !... tutto il corpo andato via... solo la bocca... labbra... guance... mascelle... mai- ... Cosa?... lingua?... sì... labbra... guance... mascelle,.. lingua... mai fermi un istante... bocca infuocata... fiume di parole... nelle orecchie... praticamente nelle sue orecchie... afferrandone nemmeno la metà... nemmeno un quarto... nessuna idea di quello che dice... figurarsi! nessuna idea di quello che dice !... e non si può fermare... non può fermarla... lei che solo un attimo prima... ma solo un attimo !... non poteva emettere un suono... nessun suono di nessun genere... ora non può fermarsi... figurarsi!... non può fermare il fiume... e tutto il cervello implora... qualcosa che implora dentro il cervello.., implora la bocca di fermarsi... di fermarsi un attimo... anche solo per un attimo... ma nessuna risposta... come se non avesse sentito... o non potesse... o non potesse interrompere un attimo... come impazzita... tutto quanto insieme... o sforzo di udire.,. di ricomporre i pezzi... e il cervello... impazzito per conto suo... cercando di capirne il senso... o di fermare tutto... oppure nel passato... tirando fuori il passato... lampi da tutte le parti... per lo più passeggiate... passeggiate ogni suo giorno... giorno dopo giorno... qualche passo poi fermarsi... fissare il vuoto... poi avanti... qualche passo ancora... fermarsi e fissare ancora... e avanti così... vagolando qua e là... giorno dopo giorno... oppure quella volta che ha pianto... l'unica volta che ricordava... da quando era bambina... avrà pur pianto da bambina, o forse no... mica essenziale per vivere... soltanto il vagito per mettersi in cammino... per respirare... poi mai più fino a questo... ormai vecchia decrepita... seduta li a fissare la sua mano... ma dove era ?... vicino all'Ippodromo ... una sera ritornando a casa... casa !... un mucchietto di terra vicino all'Ippodromo... al crepuscolo.. . seduta li a fissare la sua mano... sul grembo... la palma rovesciata... improvvisamente la vide bagnata... la palma... presumibilmente lacrime... le sue, presumibilmente... nessuno in vista per chilometri. .. nessun rumore... soltanto le lacrime... seduta a guardarle mentre si asciugavano, ..tutto finito in un attimo... oppure aggrapparsi a una pagliuzza... il cervello... che guizza via per conto suo... aggrapparsi al volo e avanti... non c'è niente lì… allora al prossimo... confuso come la sua voce... peggio... e ancor meno senso... e tutto in una volta... non si può - ... Cosa ?... il ronzio ?..; sì... sempre il ronzio... sordo ruggito come di cascate... e il bagliore... che si accende e si spegne... incomincia a muoversi... un raggio di luna, ma no... il tutto parte dello stesso... tener d'occhio anche quello... con la coda dell'occhio... tutto in una volta...

Page 35: Sempre d'inverno

non si può continuare... Dio è amore... lei sarà redenta... tornare in quel campo... primo sole del mattino... Aprile.. . sprofondarsi nell'erba con la faccia in giù... e solo allodole... e cosi avanti... aggrapparsi alla pagliuzza. .. sforzarsi di udire... una qualsiasi parola... farne qualche cosa... tutto il corpo andato via... solo la bocca... come: impazzita... e non può fermarsi... non può fermarla... qualcosa lei... qualcosa lei doveva - ... Cosa?... chi... no!... lei!... (pausa e movimento 3)... qualcosa che doveva - ... Cosa ?... il ronzio ?... sì... continuamente il ronzio... sordo ruggito... nel cranio... e il raggio... che fruga tutto intorno... indolore... fino ad ora... ha!... fino ad ora... poi pensare... oh molto tempo dopo... lampo improvviso... che forse qualcosa lei doveva... doveva... dire... poteva essere questo?... qualcosa che doveva... dire... piccola minuscola cosa... prima del tempo... in questa dannazione di buco... niente affetto. .. risparmiata... muta per il resto dei suoi giorni... praticamente muta... come riuscì a sopravvivere!... quella volta in Tribunale... come poteva giustificarsi... colpevole o non colpevole... in piedi donna... su, parla donna... in piedi, là, a fissare il vuoto... a bocca semiaperta come sempre... in attesa di essere portata via... felice per la mano sul suo braccio... ora questo... qualcosa che doveva dire... poteva essere questo?... qualcosa che avrebbe spiegato... come succedeva... come lei - ... Cosa?... era stata?... si... qualcosa che avrebbe potuto spiegare come era successo... come lei aveva vissuto... vissuto giorno per giorno... colpevole o no... giorno per giorno... fino ai sessant'anni... qualcosa che lei - ... Cosa ?... settanta ?... Mio Dio !... giorno per giorno fino ai settant'anni... qualcosa che lei stessa non capiva. .. che non avrebbe capito nemmeno se lo avesse sentito... poi perdonata... Dio è amore... dolci misericordie... diverse ogni mattina... tornare in quel campo... una mattina di Aprile... faccia nell'erba... solo le allodole... ricominciare da lì... ripartire da lì... ancora pochi - ... Cosa?... non quello?... niente a che fare con quello?... niente da poter dire?. .. va bene... niente da dire... tentare qualche altra cosa... pensare qualche altra cosa... oh molto tempo dopo... lampo improvviso... nemmeno quello... va bene... qualcos'altro ancora... e così avanti... alla fine ci è arrivata... pensare a tutto insistendo... poi perdonata... tornare in quel - ... Cosa?... nemmeno quello ?... niente da fare nemmeno con quello ?... niente che lei potrebbe pensare ?... va bene... Niente che lei potrebbe dire... niente che lei potrebbe pensare... niente che lei - ... Cosa?... chi ?... no !... lei !... (pausa e movimento 4)... piccola minuscola cosa... fuori prima del tempo... in questa dannazione di buco... niente affetto... risparmiata... muta per tutti i suoi giorni... praticamente muta... anche con se stessa... mai ad alta voce... ma non completamente... qualche volta un improvviso bisogno. .. una o due volte all'anno... sempre d'inverno per qualche strano motivo... le lunghe sere... ore di buio... improvviso bisogno di... dire... e poi precipitarsi fuori fermare la prima persona... al cesso più vicino... cominciare a sputar fuori... fiume continuo... roba da pazzi... metà delle vocali sbagliate. ., nessuno riusciva a seguire.,. finché lei vide come la fissavano... poi morire di vergogna... trascinarsi dentro... una o due volte all'anno... sempre d'inverno per qualche strano motivo... lunghe ore di buio... ora questo... questo... sempre più veloce... le parole... il cervello... che guizza via follemente... un convulso aggrapparsi e via... non c'è niente... continuare da qualche altra parte... provare da qualche altra parte... e sempre qualche cosa che supplica... qualche cosa in lei che supplica... supplica tutto di fermarsi... senza risposta... preghiera senza risposta... o non sentita... troppo fioca... cosi avanti... continuare... a tentare... non sapendo cosa... che cosa voleva tentare... cosa tentare... tutto il corpo come andato via... solo la bocca... come impazzita... e così avanti... continuare - ... Cosa?... il ronzio?... si... sempre il ronzio... sordo ruggito come di cascate... nel cranio... e il raggio... che fruga tutt'intorno... indolore... fino ad ora... ha!... fino ad ora... tutto tutto... continuare… non sapendo cosa... che cosa lei stava - … Cosa?... chi?... no.!... Lei!... LEI!,.. (pausa)... che cosa lei stava tentando... cosa tentare... non importa... continuare... (sipario comincia ascendere)... alla fine ci è arrivata... e poi ritornare... Dio è amore... dolci misericordie... diverse ogni mattina... tornare in quel campo... una mattina di Aprile... con la faccia nell'erba... solo allodole... ripartire da lì – Sipario è ormai giù. Ancora buio in sala. Voce continua dietro il sipario, incomprensibile, dieci secondi, poi smette mentre le luci di sala si accendono.

Nota I movimenti dell'Auditore consistono semplicemente nell'alzare lateralmente le braccia e poi lasciarle cadere di nuovo ai fianchi in un gesto di impotente compassione. Ogni volta diventa meno accentuato fino quasi, al terzo, di essere quasi impercettibile. C'è appena pausa sufficiente per contenerlo mentre Bocca si riprende dal rifiuto veemente di rinunciare a parlare in terza persona. (Traduzione di John Francis Lane) …………………………………………………………….! ! «sempre d’inverno»

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di e con Silvia Magnani

cura letteraria di Alfredo Riponi e Lucia Amara

in collaborazione con Radio Città del Capo