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Massimo Vianello SENSO E TIPO Modi di comprendere la crisi tra passato e futuro: la Casa dei Bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino 4 / 4 INTERPRETAZIONE DEL TEMPO

SENSO E TIPO 4 di 4 Interpretazione Del Tempo

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Massimo Vianello

SENSO E TIPO Modi di comprendere la crisi tra passato e futuro: la Casa dei Bambini di Amsterdam e la Libera Università di Berlino

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INTERPRETAZIONE DEL TEMPO

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INTERPRETAZIONE DEL TEMPO

3.01 Aldo van Eyck e “gli incontri con Ogotemmeli”

3.02 Shadrach Woods e il ritorno al mito della

quarta dimensione 3.03 Tipo e senso 3.03 L’archeologo del futuro

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ALDO VAN EYCK E “GLI INCONTRI CON OGOTEMMELI”

3.01

Si proverà ora ad allargare il campo di osservazione per un‟indagine supplementare degli „stati mentali‟ che trainano le scelte progettuali degli autori. L‟ipotesi di lavoro consiste nel seguire scoperte o fratture che, comportando una discontinuità, come uno spartiacque tra due valli, segnano la linea lungo la quale si modifica il fluire del pensiero. Per quanto si è scritto sinora sulla concezione-costruzione della Casa dei Bambini di Amsterdam (Orphanage) e della Libera Università di Berlino (BFU), si cercano due origini distinte, desunte oltre che dagli scritti dei progettisti, dal modo in cui il tempo penetra all‟interno degli spazi-luoghi sinora descritti. La ricerca di un‟origine seguendo tracce che si incrociano, in quanto i Grandi Problemi che sostengono le due costruzioni partecipano con differente intensità alle intenzioni di entrambe le opere; al tempo stesso offrono una netta divaricazione culturale degli obiettivi proiettati nella trasformazione del loro presente.

Un divaricazione che rappresentiamo tramite nuove conoscenze simbolizzate nella teoria della relatività di Einstein e una scoperta, le rivelazioni di una cosmogonia arcaica nel dialogo tra Ogotommelli e Marcel Griaule1. Tramite questi sguardi sul mondo si promuove un ambito di pensiero in cui si coglie il punctum dei sistemi di riferimento culturale dei

progettisti, dove si manifesta con le parole e con le azioni (scelte progettuali) il senso profondo del loro agire riflesso nella continuità e/o discontinuità, tra percezione e concezione (o meglio nei termini invertiti concezione e percezione) del rapporto tra uomo e spazio.

Lo spazio-tempo in cui Woods proietta le esigenze degli utenti della

BFU è conseguente a una „frattura epistemologica‟ che, consente d i cogliere l‟obiettivo dell‟architetto. Se poi tale obiettivo si è allontanato, o

1 A proposito della reazione del mondo occidentale alle rivelazione ricevute da Griaule vi sono da considerare le reazioni degli etnologi ma soprattutto l‟attenzione del pubblico più vasto per questa esperienza. “L‟esperienza che vi è narrata, eccezionale perché fino ad allora inedita, dell‟iniziazione di un occidentale alle conoscenze esoteriche di una cultura africana, ha infatti richiamato su di sé un‟attenzione eccezionale…”, Barbara Fiore, Scenografie di un mito, in Dio d’acqua, op.cit., pagg. 9-25)

forse verrà solo considerato un miraggio2, questo apre un problema di posizionamento dei traguardi futuri più che delle mete allora identificabili. La verifica della costruzione di Woods continua a rinviarci a un futuro prossimo, anche ora che sono sempre più evidenti i limiti di quell‟approccio rispetto le nostre esigenze di „uomini del futuro‟. L‟inattualità odierna della posizione di Woods si può retrocedere ad un caso di testimonianza, vista la rapidità con cui le proiezioni sul futuro ruotano più velocemente attorno alla spirale degli interessi degli architetti che non quelle sedimentate dalla tradizione.

Avendo acquisito nei capitoli precedenti l‟ipotesi di un‟opposizione

costruttiva tra la concezione della BFU e dell‟Orphanage si potrebbe dedurre dall‟inattualità del primo una validità dell‟approccio opposto, come operabilità dei principi progettuali che lo sostengono. Pure nel caso della „disciplina configurativa‟ sostenuta nelle esperienze progettuali di van Eyck è possibile, per ora, riconoscere il limite temporale in cui concluderne l‟influenza. L‟interesse nell‟analisi di queste esperienze non si vuole portare all‟attenzione per sollecitare, in un verso o nell‟altro, un modo per indovinare un possibile futuro anche se, il trascinamento „nella deriva dell‟inattuale‟ sta già avendo i suoi primi effetti di risacca.

2 Sulla questione della quarta dimensione qui si sono indicati alcuni autori che hanno operato sulla scia di questo entusiasmo, che possono essere divisi in tre categorie: la prima viene direttamente alimentata dalle teorie della fisica e un secondo gruppo che subisce il fascino riflesso tramite le opere del cubismo e del futurismo e ovviamente il gruppo più nutrito e motivato che vede nella presenza del medesimo pensiero da due direzioni diverse dalla scienza e dall‟arte come la ragione più consistente del loro interesse. Se per esempio si leggono le considerazioni di Walter Gropius in Esiste una scienza della composizione? (Design, Topics, in “Magazine of Arts”, dicembre 1947, poi in, Architettura integrata, Il Saggiatore, Milano 1963, pagg. 39-57), si riconosce nella convergenza di scienza e arte uno dei segnali che porta a vedere questa nuova cornice dello spazio-tempo come una possibile „chiave ottica‟ per un „controllo dell‟atto creativo‟ del comporre. Se per esempio si paragona una prolusione di Gropius a Princeton “L‟universo in espansione era divenuto, e il tempo, la nuova quarta dimensione, s‟era fatto più ponderabile di ciascuna delle altre tre. Anche l‟uomo era mutato, Ma non abbastanza …” (in “Architettura integrata”, op.cit., pag. 53), si può registrare (da Princeton!) come la nuova dimensione interveniva nella percezione dello spazio.

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La posizione di van Eyck, espressa nel saggio di presentazione delle sue ricerche sul popolo Dogon, offre un punto fermo di riflessione: “Gli architetti di oggigiorno sono patologicamente legati al mutamento, inteso come qualcosa che si ostacola o si insegue, o anche, nel migliore dei casi qualcosa con cui si tenta di stare al passo. Ciò, ritengo, è dovuto al fatto che essi tendono a separare il passato dal futuro, col risultato che il presente diventa emotivamente inaccessibile, appare senza dimensione temporale”3. L‟espressione del tempo e della distanza che ci separa dall‟inizio degli anni sessanta, che ci fa cogliere la differenza, appartiene al mondo propenso a dare valore alla sperimentazione come risulta evidente nella BFU, un edificio in cui ritroviamo il senso di sfida di cui il Movimento Moderno aveva fondato la tradizione, mentre le parole di van Eyck contengono di contro un‟attualità intangibile. Il trovarsi troppo avanti rispetto al presente che si avvicenda, in un atteggiamento progettuale che scorre sulla linea orizzontale del tempo, è una condizione delle esigenze di trasformazione espresse in modo emblematico nella flessibilità funzionale della BFU. Il movimento verticale che van Eyck ci propone, lo scorrere su una linea che contiene il passato e il futuro apre altri territori di conquista verso l‟uomo, che gli studi antropologici maturati negli ultimi decenni consentivano di percorrere. Il problema non si risolve nella scelta tra passato e futuro, né evidentemente per van Eyck e neanche per Woods: entrambi riconoscono nel presente l‟ordine delle priorità a cui un architetto deve rispondere. La variazione delle condizioni di vita, l‟individuazione dei punti di criticità compresi tra il „grande numero‟ e „identità‟ dell‟individuo è il patrimonio di conoscenze condivise, poi in merito alle aspettative le posizioni divergono. Il nodo su cui le tensioni convergono, che esprime dal punto di vista ideologico il terreno comune da cui crescono le motivazioni di entrambe le opere, è l‟umanizzazione dell‟ambiente4. La tensione tra passato e futuro

3 Aldo van Eyck, L’interiorità del tempo, op.cit. pag. 205. Pubblicato precedentemente in “VIA” 1 Ecology in design, The student pubblication of the Graduate School of Fine Arts, University of Pennsilvanya 1968. Si nota che il resoconto di viaggio in New Mexico è stato scritto e pubblicato pochi mesi dopo il rientro dal viaggio; per quanto riguarda l‟esperienza in Mali del 1960 bisognerà aspettare quasi otto anni perché venga pubblicato il saggio sopra citato. 4 “Our best chance at the moment, seems to lie in the creation of „seeds‟ of future action.” Un saggio pubblicato da Arthur Glikson dal titolo Humanisation du milieu in “Le Carré bleu”,

non conduce inerzialmente nessuno dei due progettisti alla ricerca di una soluzione vacua, scollegata dal loro presente: la differenza non consiste nella proiezione dei loro artefatti in un altro tempo, ma nel comprendere l‟intensità del tempo, del modo in cui il tempo agisce sulla costruzione e come questa risponde alle modificazioni della società. L‟aiuto che possiamo ricevere da questi modi di guardare alla realtà del presente non considerava la dimensione delle trasformazioni delle metropoli che oggi si presentano sulla scena. Le modalità di relazione tra gli individui che il progresso tecnologico propone nelle interrelazioni, nello scambio delle informazioni, così come i nuovi assetti economici stanno modificando radicalmente gli equilibri geo-politici, eppure le differenze tra due diversi modi di abitare condotti nel medesimo momento, ancora rendono conto di una differenza strutturale, di un bivio che le modificazioni degli ultimi cinquant‟anni non hanno superato. È significativo nella valutazione delle posizioni disciplinari che, sebbene vi siano state delle rilevanti variazioni nella società, di fatto la capacità di considerare il rapporto tra spazio e tempo che il confronto tra Orphanage e BFU esprimono sono ancora sostanzialmente rappresentative del limite con cui la disciplina si misura Iniziamo a considerare il punto di vista più radicato nella tradizione disciplinare: l‟omologia casa-città individua il principio che con evidenza sostiene la realizzazione dell‟Orphanage. Come questo principio si definisce e diviene la „cifra‟, attorno cui van Eyck sostiene la necessità di abolire la separazione tra architettura e urbanistica, non sarà descritto come un percorso lineare. Può essere piuttosto interpretato come un fulcro su cui convergono molte linee che partono da posizioni diverse. Abbiamo già messo in evidenza quanto la realizzazione dell‟Orphanage abbia consolidato tali posizioni e quanto la maturazione di tali convincimenti sia l‟esito di questa verifica sperimentale5. La reciprocità tra grande casa e piccola città, per trovare la giusta misura, è l‟esito della ricerca progettuale e non una norma dettata. Al tempo stesso l‟esigenza di superare il „plan

n. 4, 1963, il numero della rivista compreso tra la presentazione della città dei bambini di Blom e la successiva pubblicazione del progetto di concorso della BFU, cerca di definire le caratteristiche di questi „semi‟. “The designed environment should speak a „language‟ expressive of contact among men and nature, of the ‟breath‟ of coming and going and of the continuous interrelatedness of enviroment‟s complex human and physical components.” 5 Si è già riconosciuta in ciò una discendenza dalle posizioni di van Doesburg espresse nell‟editoriale del primo numero della rivista “De Stijl”.

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masse‟ come strumento di mediazione tra progettazione urbanistica e architettonica, viene dichiarata da Woods come la dicotomia da oltrepassare per sostenere le istanze di mutamento che pone la società. Il rapporto casa-città verrà affrontato da due punti di vista diversi compresi tra le esigenze della società verso urgenti trasformazioni e dalla necessaria resistenza dei caratteri dell‟ambiente in una società in continuo divenire. La risoluzione o meglio la diagnosi è la stessa, la ricerca di un‟unità tra architettura e urbanistica, anche se i rimedi individuati saranno diversi. Ecco allora, se da un lato Woods ridefinisce gli strumenti disciplinari, rinunciando alla fissità della composizione, van Eyck di contro ricerca gli strumenti più radicati nella definizione da parte dell‟uomo nel proprio ambiente e ritrova nei popoli arcaici le regole dell‟abitare secondo un disegno inalterabile. Prima di compiere il vertiginoso salto nel mondo arcaico in cui van Eyck ritroverà un intreccio di coincidenza con gli argomenti progettuali su cui si era sino allora impegnato, si deve motivare il perché non si è ancorata l‟omologia casa-città al testo inaugurale della trattatistica architettonica. Il prolungamento dell‟attesa nell‟affrontare questo passaggio ineludibile dipende, in primo luogo, dal fatto di non aver riscontrato rimandi diretti6, e ciò ha rafforzato il dubbio che lo statuto di assioma che assume nel trattato sull‟Architettura di Leonbatista Alberti recasse uno sbilanciamento nell‟equilibrio „relativistico‟ così assiduamente difeso da van Eyck. Il coinvolgimento, da subito, del De re aedificatoria avrebbe poi

comportato un‟inclinazione nella lettura delle vicende che avrebbe marcato un‟attitudine attuale a considerare il rapporto tra storia e progetto, probabilmente allora estranea nel ritenere utile considerare, in modo diretto, i contenuti di un testo così distante nel tempo. Non estranea comunque nel caso di van Eyck, la cui posizione in rapporto alla storia, manifestata emblematicamente nei cerchi di Otterlo, era rivolta al „sincretismo‟7 tra la tradizione classica, moderna e arcaica. Il rapporto con la storia dell‟architettura, in particolare con l‟architettura classica, non veniva identificato come primato, ma traslato nel riconoscimento dell‟immutabilità che l‟architettura classica tratteneva come valore

6 O meglio van Eyck escludeva il suo interesse nella trattatistica del 400-500 in particolare riferita ad Alberti e Palladio. 7 Aldo van Eyck – Humanist Rebel, op.cit., pag 10.

immanente8. Per quanto vi fosse in van Eyck un modo di operare basato sull‟intreccio tra le tradizioni, tra le influenze delle epoche, questo era rivolto in prima istanza9 a eliminare la tentazione di definire una contrapposizione tra moderno e antico, aprendo la ricerca a un terreno allora ancora inesplorato. Per mappare gli itinerari di lettura che ritroviamo negli scritti e negli argomenti dei dibattiti, prima e dopo la realizzazione dell‟Orphanage, l‟influenza degli studi di antropologia è prevalente, particolarmente in van Eyck, e il ricorso alla nozione di “reciprocità" ne è la bandiera e la dichiarazione di alleanza. È interessante vedere come il principio albertiano della casa-città che ora andiamo a rileggere abbia inaugurato questa riflessione nella teoria architettonica e sia poi un cardine nella tradizione arcaica a cui van Eyck si rivolgerà. Il medesimo principio su una scala che non riguarda il solo segmento dell‟ambiente vissuto dall‟uomo, ma viene incluso in una figurazione che tiene assieme l‟uomo e il cosmo.

Si individuano, oltre al celeberrimo cap. IX del I libro del De re aedificatoria, altri due punti del testo di Alberti dove interviene il principio dell‟analogia della casa come piccola città, entrambi nel V libro Nel quale si tratta degli edifici in particolare; così Alberti apre il quattordicesimo capitolo

che introduce la villa e la differenza con la casa di città. “Io uengo hora a trattare degli edificij priuati. Io ti difsi altroue, che la cafa era una picciola Città. Bisogna adunque confiderare nel farla quafi tutte quelle cofe, che gli bisognano, porga di fe tutte le commoditati, che giouano, a uiuerui con quiete, con tranquillità, & con dilicatura. Quali fieno tutte queste cofe di lor natura, & quali habbiano a effere, & come fatte, mi pare in gran parte hauerne trattato nei paffati libri. Ma in questo luogo prefo il principio d‟altronde, cominceremo la cofa in questa maniera”10. Cinque anni dopo la

8 La distanza tra il Partenone che rappresentava nel primo cerchio di Otterlo e la classicità con l‟opera teorica di Leon Battista Alberti non è in ogni modo assimilabile 9 Si tratta di una valutazione; in van Eyck la motivazione era quella di non rinunciare a nessuna delle tre opere rappresentate. 10 Testo tratto da L’architettura di Leonbatista Alberti - Tradotta in lingua Fiorentina da Cofimo Bartoli, Gentiluomo, & Accademico Fiorentino, In Venetia, Appresso Francefco Francefchi, Sanese 1565, pagg. 146, 147 (ristampa anastatica edita da Arnoldo Forni Editore, Bologna 1985). Avvertenza: si è scelto di riportare il testo trascrivendolo con i caratteri originali in quanto la trascrizione in italiano corrente avrebbe comportato la traduzione di alcuni termini avrebbero perso parte del loro significato; alcune lievi variazioni

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pubblicazione a Venezia della traduzione in italiano (fiorentino) del testo di Alberti, Andrea Palladio descrive le case di città nel secondo del suo I Quattro Libri dell’Architettura. Egli riprende il medesimo principio posto

come congiunzione tra il capitolo che definisce i criteri di organizzazione delle ville che considerava: “Del sito da eleggersi per le fabbriche di Villa. … E finalmente nell‟eleggere il fito per la fabbrica di Villa tutte quelle considerazioni fi deono hauere, che fi hanno nell‟eleggere il fito per le Città: conciofiache la Città non fia altro che una certa cafa grande, e per lo contrario la cafa una città picciola”11. Può essere utile aggiungere alcune considerazioni sul medesimo passaggio dalla casa di città e la villa in Vitruvio poiché senza arrivare a definirne la reciprocità nei modi proposti da Alberti e, “per lo contrario”, ripresi dal Palladio, introduce le potenzialità dell‟analogia prima paragonando le case di città con le ville “Et di quelle cofe non solo ci faranno, nella città le ragioni, ma ancho nella uilla. Eccetto, che nella Città gli Atrij sono vicini alle porte, ma nella uilla, che quali imitano le cittadinefche, subito appreffo le porte sono i Peristili, dapoi gli Atrij …”, poi affronta il rapporto tra la scelta del sito in confronto alle condizioni di salubrità di città “Ora dirò de rufticali edifici, come poffono effer comodi all‟ufo, & con che ragioni fi deono fare. Prima si deue guardare la salubrità dell‟aere come se detto nel primo libro di porre la città”12. Pur non trovando una coincidenza evidente dell‟analogia piccola città-grande casa nel punto in cui si manifesta nei trattati di Palladio e

ortografiche sono risultate necessarie in quanto non sono disponibili tutte le lettere utilizzate nei testi originali. Una seconda ripresa dell‟analogia nel testo si trova nel secondo capitolo a pag. 125. 11 Andrea Palladio, I quattro libri dell’Architettura, Dominico de Franceschi, Venezia 1570, (ristampa anastatica Ulrico Hoepli, Milano 1980), libro secondo, cap. XII, pag. 46. 12 Vitruvio, I dieci libri dell’architettura – Tradotti e commentati da Daniel Barbaro, Francefco de‟ Francefschi editore, Venezia 1567 (ristampa anastatica, Edizioni Librarie Siciliane, Bardi Editore, Palermo-Roma 1993), libro VI, cap. VIII, pag. 296. In questo passaggio potremmo ricavare l‟altro principio progettuale che sostiene l‟Orphanage “the inbetween realm”, “che ne erano in casa ne erano fuori casa”. Per proseguire nella ricerca del rapporto tra casa e città nell‟architettura romana è fondamentale il testo di Joseph Rykwert L’Idea di città, Adelphi, Milano 2002, che verrà pubblicato nella prima (parziale) edizione in “Forum”, n.3, 1963.

Alberti viene comunque fornito da Vitruvio13 un indizio ad Alberti per applicare l‟analogia14. Riconoscere in Vitruvio questa modalità di traslare le questioni dall‟ambito urbano a fuori della città ha fornito un modello di riflessione teorica nelle epoche successive di cui Alberti e Palladio sono tra i primi testimoni. Questa considerazione attiva un‟ulteriore riflessione sulle condizioni in cui l‟Orphanage e la BFU, posti fuori della città, ma ricercando i valori della città, ancora ripetono la medesima esigenza.

Nei Quattro Libri troviamo il discorso sul rapporto tra città-casa nel

punto in cui Palladio affronta le abitazioni fuori della città, lì dove l‟analogia con la struttura della città poteva venir considerata con maggiore evidenza dal punto di vista progettuale, nelle sue potenzialità espressive e al tempo stesso dove la disciplina dell‟organizzazione del trattato lo richiedeva. Il secolo che separa il testo di Alberti da quello del Palladio non comporta una variazione nel recepimento del principio. La lettura di questo principio è ravvisabile nei Quattro Libri oltre che nello scritto anche nei disegni; per avanzare questa ipotesi si considera il confronto tra la tavola „delle case private dei greci‟15 (secondo libro pag. 44) e „delle piazze dei greci‟ (terzo libro pag. 33)16. Descrivere le differenze tra la piazza e la casa è semplice

13 L‟assenza in questi passi riportati da Vitruvio di commenti del Barbaro che riallaccino l‟analogia tra il testo di Vitruvio e quello di Alberti rendono conto della labilità di questo punto di congiunzione. 14 Considerazioni raccolte con un‟indagine „topologica‟ per punti critici dei tre testi. 15 Cfr. Vitruvio, I dieci libri dell’architettura – Tradotti e commentati da Daniel Barbaro, op. cit., libro VI cap. X, pag. 300. 16 La piazza dei greci è la composizione di due differenti fonti d‟informazione esplicitate nel testo di accompagnamento; la descrizione di Vitruvio ne I Dieci Libri dell’Architettura è l‟esito di un suo viaggio di studio a Pola, città di fondazione romana16 dell‟Istria. Pola è il luogo, con rilevanti presenze archeologiche, visitato da Palladio geograficamente più prossimo alla Grecia, e probabilmente per questa ragione vi riconosce una prossimità anche nel modo di costruire, di cui combina la parte esistente ancora rilevabile dei due templi gemelli del foro di Pola „in un luogo quadrato‟. Il confronto tra l‟interpretazione del „foro principale‟ (il fatto che sia il principale è deducibile dalle destinazioni degli edifici individuata dal Palladio rispetto alla descrizione di Vitruvio) e della casa dei greci, essendo entrambi „invenzioni‟ dove era impegnata una preponderante carica d‟immaginazione, nella loro distanza con gli oggetti che si proponeva di descrivere, ci restituisce la condizione ideale di Palladio che ricostruiva la definizione in rapporti analoghi della condizione di pubblico e privato.

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in quanto si possono usare gli stessi termini, corti, portici, atri; sono entrambe composte con i medesimi elementi architettonici e anche di dimensioni equiparabili, le stesse dimensioni e lo stesso vocabolario. Le differenze sono evidenti nel grado di permeabilità tra interno ed esterno e nell‟organizzazione delle parti, ma sostanzialmente descriviamo la casa e la piazza con le stesse regole e gli stessi elementi architettonici. Il luogo pubblico per eccellenza della città era definito da Vitruvio “I Greci fanno il Foro in luogo quadrato, con ampijfsimi, & dopii portichi, & con spesse colonne, & con architravi di pietra, o di marmo gli adornano, & di sopra nei palchi o taffelli fanno i luoghi in cui paffeggiare”17. Il prototipo di piazza ricostruito dall‟immaginazione di Palladio sulla testimonianza di Vitruvio nulla ci dice delle piazze greche, così come la „chimera‟ descritta nel terzo libro di Sebastiano Serio nulla ci dice dei templi greci, ma molto ci rivela dell‟attitudine di Palladio a considerare la relazione tra casa e città, e di una sua idea della morfologia dei luoghi urbani che possiamo comprendere tramite la sua architettura.

Questa divagazione nel passato, oltre all‟evidenza delle pre-

occupazioni di van Eyck sulle questioni della storia18, consiste nel recepire la lezione di Alberti e l‟enunciazione del principio che tiene assieme le questioni della composizione dell‟edificio. L‟intensità della riflessione „che consuma tutta la forza dell‟ingegno‟ richiesta da Alberti si manifesta nell‟assunzione della proporzione del corpo che, seppur non definito con l‟evidenza conosciuta in Vitruvio verso il corpo umano, costituisce un passaggio fondamentale nell‟intendere il rapporto tra le parti e il tutto e le

17 Vitruvio, I dieci libri dell’architettura – Tradotti e commentati da Daniel Barbaro, op.cit., libro V, cap. 1, pag. 107 18 È emblematica la polemica di van Eyck (L’enigma della dimensione, in “Spazio e Società”, n. 8, dicembre 1979) con Rudolf Wittkower (Principi architettonici nell’età dell’umanesimo, Einaudi, Torino 1994, pagg. 92, 93) e J.S. Ackerman a proposito della facciata della chiesa dell‟isola di San Giorgio a Venezia di Palladio: i conflitti intrinseci descritti dai critici vengono riletti da van Eyck per la loro capacità di risolvere i problemi anziché evitarli. L‟argomento più „sottile‟ e al tempo stesso più forte per comprendere la differenza tra artista e critico si ritrova nel toro del basamento del fronte di San Giorgio che in secondo piano cucisce tutta la facciata, e fa intendere un atteggiamento progettuale di fronte alla storia come un materiale progettuale sempre presente.

leggi che governano l‟armonia19. Francoise Choay nella sua analisi semiotica dei trattati sulla città a partire dal De re aedificatoria ravvisa: “Simile uguaglianza rispetto alla regola implica, da un lato, che per l‟Alberti non c‟è differenza tra il modo di procedere di chi costruisce edifici e quello di chi pianifica città, o in termini attuali, tra l‟architettura e l‟urbanistica”20. Choay organizza la lettura del testo albertiano definendo tre assiomi tra cui il principio dell‟edificio-corpo ci consente di trovare un piano di riflessione comune con la tradizione arcaica che andremo a sovrapporre all‟analogia di Alberti. “L‟assioma dell‟edificio-corpo permette di introdurre una nuova metafora per guidare la divisione: questa potrà organizzarsi intorno a un organo centrale e privilegiato analogo al cuore, l‟atrio per la casa, il foro per la città. Il processo di riduzione allo stesso denominatore strutturale prosegue: non solo l‟omologia città-casa è ripresa e sviluppata parte per parte, ma la flotta è considerata come un campo che si muove, il monastero come il campo del Sacerdote e quello del soldato come un germe di città.”21

La ricerca della Choay individua nel testo instauratore di Alberti una

“matrice a doppia entrata” che contiene al tempo stesso il rigore della regola di definizione dello spazio costruito e l‟imprevedibilità dell‟immaginazione22. Il testo di Alberti è proposto dalla Choay come un limite di separazione, in cui si abbandona la spontaneità del costruire, un atto che era compiuto dagli uomini con la stessa “competenza spontanea dell‟atto di parlare”23. A questo punto ritornare alla definizione dell‟ambiente scoperto da Griaule, cinque secoli dopo lo scritto di Alberti, non può che avere il ruolo di rigenerare la condizione della scoperta di un ordine che coinvolge la costruzione, il corpo e il cosmo, in un disegno unitario che Alberti era riuscito a trasmettere dalla sua posizione di confine tra due epoche. Van Eyck, nell‟esporre la sua posizione, conquistata nel suo lavoro progettuale sulla dimensione della grande casa e della piccola città,

19 L‟omologia città-casa in Alberti suggerisce uno slittamento che avvicina alla lettura dell‟immediatezza riconosciuta da Vitruvio nelle relazioni tra corpo umano e compartimento. 20 Francoise Choay, La regola e il modello, Officina Edizioni, Roma 1986, pag. 113. 21 Ibidem, pag. 122, 123. 22 Ibidem, pag. 352 23 Ibidem, pag. 361: “…l‟inno alla creazione del De re aedificatoria annuncia la fine della spontaneità nel campo dell‟edificazione. Vi fu un tempo in cui l‟atto di costruire era compiuto dagli uomini con la stessa competenza spontanea dell‟atto di parlare”.

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non riconosce la matrice delle sue intenzioni nei trattati rinascimentali su cui abbiamo ora definito tali tracce, ma indica la sua guida in Dommo, un abitante del villaggio Ogol della regione chiamata Bandiagara nel Mali. Le vicende dei viaggi nei luoghi in cui si era insediato il popolo Dogon hanno una letteratura vasta e affascinante.

Le esperienze etnografiche degli architetti nel dopoguerra non si

limitavano all‟Africa, ma avevano ulteriori mete di cui una delle più significative si trovava nelle aree del New Mexico abitate dai Pueblo, di cui gli studi di Ruth Benedict24 avevano portato a una notorietà che travalicava l‟ambito degli studi antropologici. Individuare i lineamenti di queste ricerche extra-disciplinari di taluni architetti tramite le osservazioni dei loro viaggi e lo studio delle tematiche sostenute dagli antropologi avvicina alle questioni sociali in cui erano impegnati, anzi ne mettono in evidenza il nucleo. Nel caso dell‟organizzazione sociale dei Pueblo van Eyck provvede alla descrizione delle difficili condizioni materiali di vita e della loro struttura sociale, che ignora la centralità del potere. Van Eyck riporta, nell‟introduzione al suo resoconto di viaggio tra il popolo Pueblo nell‟inverno 1961-6225, una breve storia di quel popolo e le vicende che ne hanno caratterizzato l‟esistenza nel corso di quindici secoli, con una caratteristica di “unequalled perseverance as peace-loving farmers”26 che ci riporta alle condizioni della Golden Age descritta da Geddes27. Si ritrovano in questi viaggi le condizioni che Geddes riteneva precedenti all‟apparizione della storia, e che riportano i visitatori non alla ricerca di una falsa origine, ma a un tempo senza storia, ad analizzare una struttura sociale semplice e nel caso dei Pueblo un sistema insediativo, il villaggio

24 Ruth Benedict con il suo saggio Pattern of Culture, Geroge Routledge & Son LTD, London, 1935, svolse una rilevante influenza in van Eyck; si vedano al proposito le osservazioni di Strauven in AvE the shape of relativity, op.cit., pagg. 450, 451. 25 Strauven riferisce in occasione del periodo in cui van Eyck era visiting professor alla Washington University a St. Louis, quindi tra settembre e gennaio 1962. 26 Aldo van Eyck, the pueblos, in “Forum”, n. 2, febbraio-marzo, 1962, pagg. 95-114. 27 “Indeed we know now wars to be of fairly recent origins; for they were substantially preceded by a long age – a comparatively Golden Age – in which men were quietly cultivating the plants and domesticating the animals, and thus were themselves being cultivated by their plants, and domesticated by their animals. Here in truth is the explanation of the lateness of the appearance of History.” The Valley Plan of Civilization, op.cit., pag. 288

(pueblo nella lingua spagnola), con caratteristiche di unitarietà che fornisce uno specchio delle relazioni sociali, la cornice per capire un sistema insediativo in cui l‟assenza della differenza tra individuale e collettivo è basata su un equilibrio intangibile.

L‟architettura, come controforma (“counterform”) della società,

diviene una realtà nel riconoscere la compatibilità tra spazio privato e pubblico, che si trova negli spazi collettivi dei villaggi (Pueblo) abitati dai popoli Zuni e Hopi nell‟area del Rio Grande in New Mexico. I tetti praticabili divengono i luoghi collettivi, costruiscono un tessuto connettivo continuo dell‟edificato, sovrapposto fino a quattro e cinque livelli con una crescita in verticale, dove le porte d‟accesso agli alloggi tradizionalmente erano aperte a partire dalla copertura del primo livello e la forma compiuta, l‟insieme del villaggio era il segno più evidente della corale attività dei suoi abitanti. Ritrovare in quei luoghi lontani una società comprensibile tramite la forma di aggregazione che si rispecchiava nella struttura sociale non era comunque la scoperta accidentale di un viaggio. La conoscenza diretta sul campo nei due casi più evidenti nel New Mexico e nella regione del Bandiagara (Mali) viene sviluppata tramite i testi di etnologi e antropologi, quindi in van Eyck questo coinvolgimento è dapprima e innanzitutto motivato da un interesse di ordine culturale, e poi rivolto all‟enfatizzazione delle potenzialità progettuali tramite l‟esperienza diretta sul campo. Così le due foto del villaggio Taos con le caratteristiche scale che conducono da un livello all‟altro pubblicate su “Forum” a illustrare il titolo Vers une casbah organisée, di cui abbiamo riferito più volte, documentano un‟intenzione

eminentemente culturale e divengono riferimenti, o quantomeno sorprendenti coincidenze, evidenti nei lavori dei suoi allievi, in particolare Piet Blom. In definitiva l‟esperienza diretta „sul campo‟ sul versante archeologico dei villaggi Pueblo oramai abbandonati dal grande esodo per la siccità del XIII secolo, ma ancor di più i villaggi ancora abitati dalle medesime genti, divengono come una verifica, quasi un „modello abitato‟ in scala reale, delle ipotesi progettuali.

L‟interesse rivolto alle arti „primitive‟28 aveva già conosciuto

dall‟inizio del secolo scorso più flussi di interesse e gli architetti di fatto

28 L‟interesse dell‟arte occidentale verso l‟arte primitiva si modifica da semplice stimolo all‟inizio del secolo scorso fino ad assumere i risvolti propri della problematicità che gli appartiene. Qui ci si limita a riportare il brano conclusivo del saggio di Carola Giedion-

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arrivano successivamente a essere coinvolti in questa nuova dimensione, verso una più ampia concezione della parola „cultura‟. Interessi che non coinvolgono esclusivamente gli aspetti estetici, ma scavano alla radice delle relazioni tra fenomeni sociali e insediativi. Le ragioni che si possono dedurre hanno due diverse direzioni: la prima immediata è che mentre gli artisti erano affascinati dalla testimonianza degli oggetti di quei mondi lontani, e in particolar modo le maschere, gli architetti di contro per prendere consapevolezza della diversità dovevano conoscerne i luoghi, impresa che richiedeva energie e rischi non sottovalutabili. La seconda ragione coinvolge la crescita del valore culturale dei popoli senza scrittura che matura successivamente ai coinvolgimenti artistici.

La diffusione degli studi antropologici e la crescita della

comprensione dei fenomeni culturali della società che tali ricerche promettevano è dichiarata in un saggio di Ruth Benedict del 1935 che ridefinì i criteri di approccio ai popoli senza scrittura, intesi come patrimonio di conoscenza essenziale per la società. Il patrimonio dei „costumi‟ delle altre società non più limitato alla nostra tradizione, ma la legittimità di considerare in termini culturali, reciprocamente, la tradizione occidentale equivalente alle altre tradizioni costituisce, infatti, un passaggio successivo alla fascinazione estetica ricevuta dall‟arte primitiva. La comparazione che attiva la Benedict riguarda la critica del rapporto di unicità della civilizzazione occidentale, che mai come allora (1934) si riteneva avesse definito una condizione di supremazia rispetto alle altre tradizioni

Welcker (Contemporary Sculture – an Evolution in Volume and Space, George Wittenborn, New York 1960, pag. XX) al suo libro sulla scultura contemporanea pubblicato nel 1956 per render conto, vista l‟affinità tra la Welcker e van Eyck, sullo stato delle discussioni attorno al periodo in cui van Eyck progetta l‟Orphanage. “Finally still another remarkable similarity remains to be considered: that between modern and primitive art, whether savage, archaic or prehistoric. This is not inspired by any romantic or modish hankering after the barbaric, or a nostalgia for what is strange and distant. There is an absence of literary influences in both, and a common predilection for a clear structural formation and simple plastic transmutations. It is perhaps not without significance that a century as conscious of highly-develope and complex civilization it has evolve as our own should manifest such a warm sympathy for the unsophisticated emotions and forthright plastic creations of mythical times. The morphological synthesis of these chronologically and culturally opposites poles has resulte in the perfection of sculptural forms which in the simplicity of their line recall the first dawn of plastic art.”

dell‟umanità. Vengono così definiti i presupposti di un relativismo culturale che raccoglie dal laboratorio delle „società primitive‟ una via per conoscere le forme e i processi culturali, anziché limitarsi a riconoscervi, trasfigurata, una generica condizione di origine della civiltà. Il percorso compiuto dall‟esibizione delle diversità razziali nel corso del secolo scorso, nelle esposizioni universali29, passando attraverso gli influssi sulle arti figurative fino alle ricerche di Lévi-Strauss, cambiano radicalmente il punto di vista e si rivela quindi una nuova realtà, che per alcuni architetti conteneva importanti risposte sulle modalità di aggregazione sociale. Il modo in cui questi altri mondi si sono presentati all‟occidente ha trovato nel campo artistico il suo principale veicolo per poi mescolarsi tra diversi campi d‟interesse. Uno dei più interessanti episodi per sollecitare queste conoscenze è dovuto al resoconto del viaggio dell‟equipe guidata da Marcel Griaule attraverso il cuore dell‟Africa pubblicato nel 1933 sulla rivista d‟arte “Minotaure”30.

Le coincidenze tra l‟elaborazione progettuale dell‟Orphanage con i

suoi contenuti teorici, e l‟esperienza sul campo di van Eyck presso i Dogon nel febbraio 1960, sono ancora più rilevanti tenendo conto del fatto che le fonti letterarie a disposizione di van Eyck sull‟argomento Dogon erano limitate31. In particolare la „scoperta‟ da parte di van Eyck del testo di

29 Per una ricostruzione del primitivismo e l‟influenza nell‟arte contemporanea e i canali in cui si è presentata nella civiltà occidentale si veda il catalogo della mostra tenuta al Museum of Modern Art di New York; AA.VV. (a cura di William Rubin), ‘Primitivism’ in the 20th Century Art: Affinity of the Tribal and the Modern, Museum of Modern Art, New York 1984. 30 Marcel Griaule e altri, Missione Dakar-Djibouti, 1931-33, in “Minotaure – Revue artistique et littéraire”, n. 2, giugno 1933. Van Eyck entra in contatto con i Dogon dalle pagine di questa rivista d‟arte. 31 Van Eyck riferisce (L’Interiorità del Tempo, op cit., pag. 207) di aver svolto ricerche bibliografiche sull‟argomento a Parigi ma non menziona il testo di Griaule che invece risulta un testo diffuso e discusso. “Leurs entretiens sont publiés en 1948 sous le titre Dieu d'eau (Conversations with Ogotemmeli pour la traduction anglaise, en 1965). Grand succès de librairie, ce livre est écrit dans un style vivant, au croisement de la littérature, de l'ethnologie et de l'interview. Griaule expérimente ainsi un nouveau style d'écriture, plus respectueux du discours des informateurs mais aussi plus lisible. À travers ce classique de l'ethnologie, réédité en livre de poche, Griaule s'adresse en effet à un large public afin de dévoiler l'ampleur et la complexité de la mythologie et de la religion dogon. Voilà pourquoi Dieu

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Griaule che riporta le trentatre giornate delle conversazioni con Ogotemmeli, avviene in seguito a una segnalazione degli psicoanalisti Fritz Morgenthaler e Paul Parin32 incontrati nei sopralluoghi ai villaggi gemelli Ogol. Leggere l‟Orphanage parallelamente alla descrizione della cosmogonia Dogon quindi è un‟operazione incoerente, dal punto di vista della successione temporale degli avvenimenti, per riconoscere l‟origine delle scelte progettuali di van Eyck, ma la stessa discordanza cronologica diviene un enigma33 nella coincidenza dei contenuti e della „sintassi dei pensieri‟ che avvolgono l‟Orphanage.

Ora nella difficoltà di trovare un punto d‟inizio per l‟esposizione di un

sistema di relazioni, concluso e circolare, come la cosmogonia Dogon rivelata da Ogotommeli, si comincia con una riflessione interrotta nel punto in cui si cercava una figura per disegnare a memoria la planimetria dell‟Orphanage. Ci si era fermati in quel punto dove i criteri di scelta di una figura, o di un criterio, vengono a tal punto influenzati da suggestioni personali che in una prima fase analitica rischiano di compromettere la tenuta del lavoro. Non per questo però ora, in questo contesto, tali considerazioni assumono una propria plausibilità, soprattutto se questa figura emerge con lentezza e più che manifestarsi apertamente si fa trovare. Quantunque la sintassi della configurazione venga controllata soggettivamente a prescindere dalle suggestioni culturali, in quel momento di prima analisi dell‟opera si era estranei a quest‟ordine di coinvolgimenti extra-disciplinari. La relazione tra le parti del progetto si era andata a

d'eau occupe sans doute une place unique dans la „littérature‟ ethnologique.” (web.mae.u-paris10.fr/recherche/marceljf.html) 32 I contributi di Paul Parin, Il popolo dei Dogon/ 1 e di Fritz Morgenthaler, Il popolo dei Dogon/ 2, sono contenuti all‟interno di L’Interiorità del Tempo, op cit., pagg. 211-248. 33 Il libro di Griaule viene pubblicato in lingua francese per la prima volta nel 1948 e ottiene un grande successo di pubblico e anche alcune critiche; il testo è rivolto a un pubblico di non specialisti per cui non ha apparati che dimostrano le osservazioni ma si risolve nella ricostruzione delle conversazioni. “La conoscenza delle società „esotiche‟ dapprima riservata a un‟élite intellettuale, a poco a poco guadagnava terreno: „Dieu d‟Eau di Marcel Griaule, sola pubblicazione etnologica che si rivolgeva a un grande pubblico non specializzato, rese popolare la figura del vecchio cacciatore cieco Ogotemmeli facendone una specie di modello della saggezza africana.” (Presentazione di Geneviève Calame-Griaule, in Tito Spini e Sandro Spini, Togu Na – La casa della parola, Bollati Boringheri, Torino 2003, pag. 11).

fissare nella memoria associata alla figura di due mani proiettate sul foglio di carta. La chiave per trovare la soluzione era nascosta dalla sua stessa evidenza, davanti ai propri occhi, dopo ripetuti tentativi di disegnare una pianta dominata dalla ripetizione, la cui legge di aggregazione delle figure non è costruita sull‟immediatezza delle convergenze geometriche. Una testimonianza dello scultore Carel Visser, che visitava frequentemente van Eyck nel periodo di gestazione dell‟Orphanage riporta le seguenti impressioni: “And in the ground plan of the Orphanage you can see the motifs interweaving contrapuntally, just as in a fugue. The spaces combine to form two groups, two hands as it were, which meet in a large in-between area”34. Si può iniziare da questa coincidenza tra la necessità di afferrare le figure dell‟Orphanage con la propria memoria per poi trovarvi costruito l‟intero mondo dei Dogon che successivamente van Eyck incontrerà nei villaggi, nelle case e nelle parole del popolo di Bandiagara.

Inseguire le suggestioni di viaggio di van Eyck a Ogol Alto e Ogol

Basso, (i due villaggi gemelli dove Griaule aveva incontrato Ogotomelli) e quindi poi dal ritorno del suo viaggio, appena concluso l‟Orphanage, produce un trama sempre più fitta di relazioni tra le posizioni teoriche e gli esiti del progetto che verrà probabilmente reinterpretato, e rafforzato, dalle convergenze emerse da questa esperienza africana. Le combinazioni più sorprendenti si trovano comunque non nelle sue „scoperte‟ sul campo, per quanto il villaggio rappresenti realmente per i suoi abitanti una grande casa e una piccola città35, ma ancora più nel racconto di Griaule. Iniziamo dal centro del testo con la descrizione dell‟aspetto della grande casa di

34 Intervista di Strauven tenuta ad Amsterdam il 23 dicembre 1981, riportata in AvE the shape of relativity, op.cit., pag 310. L‟intervista a Visser riporta inoltre a un‟utile informazione sull‟uso della musica nella composizione che costituisce un ulteriore livello di riflessione della condizione psicologica-motivazionale nel corso dell‟elaborazione progettuale. 35 Fritz Morgenthaler descrive l‟escursione nel villaggio di Andiumbolo guidata da Dommo, che procede di casa in casa sovrapponendo l‟idea di casa in molte parti del villaggio, annullando la distinzione stessa tra casa e villaggio. Discriminante diviene non tanto la rappresentazione dei luoghi ma le persone che li abitano. Così lo psicanalista deduce che “A ciascuno di questi luoghi egli è legato da una parte ben determinata del suo senso di „sentirsi a casa‟. Ecco perché in questa cultura una casa non viene mai venduta, perché per casa si intendono le persone che vi abitano dentro”. Il popolo dei Dogon/ 2, op.cit., pag. 248.

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famiglia: “La grande casa di Ogotommeli non era un esempio di costruzione classica. Presentava una facciata povera, con nicchie polverose dove si intasavano gli altari dei bambini morti. … La casa di Amadigné presentava invece la scacchiera di vuoti e pieni, l‟insieme delle porte, dei nidi e dei fioroni conici tradizionali. … La facciata con le sue otto file di dieci nicchie – disse Ogotommeli – rappresenta gli otto antenati e la loro discendenza, numerosa quanto le dita delle loro mani. / In senso verticale le due serie di cinque colonne sono le dieci dita, e, quando si guarda una casa di fronte si vedono le due mani distese. Le nicchie sono le abitazioni degli antenati ed essi le occupano secondo l‟ordine della progenitura, cominciando dalla fila più alta. Conviene che non siano mai chiuse, perché esse hanno bisogno di respirare l‟aria aperta. La porta scolpita del primo piano comprende, o dovrebbe comprendere, otto file di ottanta personaggi, immagini degli uomini e delle donne nati dai primi antenati. … / Le otto colonnette che formano la cresta del muro, sono da sinistra a destra, gli altari degli antenati. Quando la casa è stretta e conta solo due o tre file verticali di nicchie, le colonnette sono meno numerose; nel caso contrario superano la decina, ma il numero tradizionale resta otto una per antenato. / L‟insieme della facciata con le sue otto file di dieci buchi scuri separati da parti piene più chiare, simboleggia la coperta dei morti, con le sue otto bande fatte di quadrati neri e bianchi, immagine, a sua volta, della terra dissodata e delimitata. / Questa facciata dà il nome alla maschera più alta, il cui apice s‟innalza di dieci cubiti sulla testa di colui che la indossa. Questa specie di pennone è diviso in dieci elementi formati da una griglia rettangolare traforata a quattro o cinque sbarre; e questi elementi sono separati da parti piene. Il pennone simboleggia l‟ordito del telaio e viene inclinato verso est e verso ovest per imitare la marcia diurna del sole.”36

La descrizione continua seguendo la conformazione della casa, la

disposizione di ciascun ambiente secondo la tradizione a cui veniva riconosciuta una funzione specifica della vita quotidiana così come rappresentava la vita degli antenati e al tempo stesso organi del corpo umano37. Ritroviamo un continuo richiamo tra la narrazione delle origini, il

36 Dieu d’Eau – incontri con Ogotemmeli, op.cit., pagg. 127, 128. 37 Si invita al confronto tra la descrizione della casa tradizionale Dogon (Dio d’acqua, op.cit.. pag. 129) con un brano di Alberti su onde sia nato il modo delle edificare (De re aedificatoria, op.cit., libro primo, cap. IX, pag. 15) poiché l‟analogia tra corpo ed edificio può

corpo umano e l‟ambiente della vita quotidiana collegati tra loro in modo imprescindibile per ciascun oggetto presente nel mondo dei Dogon. Se proviamo a elencare i principali artefatti che rappresentano l‟attività dell‟uomo, la coperta, la casa, l‟orto, il campo e il villaggio, essi sono definiti dal principio della tessitura, che, come abbiamo già visto, è l‟origine della parola stessa, lo strumento ultimo per rendere questi oggetti reali. La descrizione della casa e del villaggio è collegata, oltre che al corpo, all‟attività dell‟uomo e della donna; la descrizione della casa così diviene la narrazione dei „misteri‟ della vita e della morte.

Abbiamo riconosciuto in van Eyck un tentativo di ricucire „le false

alternative‟ e di individuare una scala di intervento, di trasformazione dello spazio fisico, in grado di superare le separazioni specialistiche tra architettura e urbanistica. Un mondo, estremamente semplice, consentiva di cogliere nella distanza che lo separava dalla cultura occidentale un modo di abitare, dove la casa e il villaggio erano governati dalle medesime leggi, riferite ai rapporti del corpo e allo svolgersi della vita stessa. Portando il discorso di analisi dei manufatti edilizi rilevati nei due villaggi gemelli al di fuori delle loro motivazioni sulla creazione del mondo, tralasciando il dialogo che abbiamo seguito finora e cogliendo la sola dimensione fisica dei manufatti analizzati, affrontando, come un archeologo, le case e i villaggi questo discorso non sarebbe mai iniziato, poiché ogni luogo era presente solo in virtù degli uomini e delle donne che lo abitavano38.

Una successione di eventi in cui ciascuno contiene il tutto, il cesto,

la casa, il villaggio e l‟universo tenuti assieme dalle stesse norme e quindi l‟annullamento della gerarchia così come l‟analogia albero-foglia, casa-città cercava di interrompere le sequenze gerarchiche „impoetiche‟ che tra i Dogon sembrano scomparire. Van Eyck scopre la realizzazione dei villaggi a coppie: i fenomeni-gemelli rappresentano una sorpresa „entusiasmante‟, a cui riconosce il principio di equilibrio che distingue quella forma di

essere valutata nella possibilità di trovare una posizione tra analogia e omologia riferita a casa e città (villaggio). 38 I due aspetti fisici su cui van Eyck legge i segni di un pensiero che attraversa le culture sono il rapporto tra la norma dettata dalla tradizione e la libertà di azione di un paesaggio costruito dall‟uomo, dove la varietà si combina con la „norma aperta‟ così come risulta descritta nella grande casa.

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società. Dalla gemellarità dei villaggi viene ribadito il principio di reciprocità che, sin dai primi documenti per il congresso di Dubrovnic, rimane per van Eyck un‟impronta metodologica, per cui ciascuna coppia oppositiva viene considerata come una „sequenza concatenata di fenomeni gemelli‟. La parola che contiene tutti questi pensieri è reciprocità, una parola impegnativa, che abbiamo già introdotto in più occasioni. Vi è un circuito di pensieri „suggestivo‟ nella prima opera di Lévi-Strauss39 sulla reciprocità e il dono che tiene assieme atteggiamenti dei popoli arcaici con indagini sulla psicologia infantile che ci riconduce alle esperienze di van Eyck per i playground e le sue intuizioni sulle interrelazioni tra i bambini, la città e l‟artista. Questa sovrapposizione del fanciullo e del primitivo ha affascinato studiosi di discipline che si occupano dello spirito dell‟uomo, e al tempo stesso l‟analogia è stata bloccata sul nascere dagli antropologi, ma non per questo è ininfluente sul versante della riflessione soggettiva e interpretativa, che per van Eyck, impegnato su entrambe i fronti, può aver favorito, combinandosi come due serie parallele di eventi.40

39 Ci si riferisce per quanto riguarda la relazione tra primitivi e psicologia infantile al capitolo L’illusione arcaica, del libro Strutture elementari della parentela (Feltrinelli, Milano 1969, pagg. 139-155). Con circuito di pensieri si vuole ricordare qui solo la combinazione di studi che dal lavoro di Mauss, maestro di Griaule, tramite i lavori di Lévi-Strauss richiedono un loro specifico ambito ampio per essere trattati che qui si rinvia. 40 Il tema è suggestivo e qui vale la combinazione tra le due serie bambini-adulti, società arcaiche-occidentali. Per evitare possibili fraintendimenti ci si limita a riportare un breve brano di Lévi-Strauss: “Indubbiamente il fanciullo non è un adulto; non lo è nella nostra società né in nessun‟altra, e in tutte è ugualmente lontano dal livello di pensiero dell‟adulto, così che la distinzione tra pensiero adulto e pensiero infantile taglia, se così si può dirsi, lungo una stessa linea tutte le culture e tutte le forme di organizzazione sociale. Non si può mai stabilire una coincidenza tra i due piani, per lontani che siano nel tempo e nello spazio gli esempi che vorranno scegliere. La cultura più primitiva è sempre una cultura adulta, e per ciò stesso incompatibile con le manifestazioni infantili che si possono osservare nella civiltà più evoluta”. Strutture elementari della parentela, op. cit., pag. 149. Martin Buber utilizzerà sul versante teologico la tesi opposta. Il ruolo degli studi antropologici era visto da alcuni intellettuali come una disciplina che riduceva lo spessore dei valori dell‟umanità; per quanto riguarda gli autori che sono stati coinvolti in questo scritto oltre a Martin Buber, su questa posizione deve essere collocata l‟opera di Erwin Gutkind e in particolare il suo The expanding Environment, Edizioni di Comunità, Milano 1955, prima edizione London 1953.

Quando Francoise Choay osserva che il trattato di Alberti costituisce il punto di frattura in cui costruire perde la spontaneità che possedeva, paragonabile a quella della lingua, si penetra tramite gli esempi dei Dogon il limite a cui spingere l‟intuizione della Choay. L‟interpretazione di questa dimensione simbolica si fonda sulla possibilità della ripetizione dei concetti offerti dalla condizione propria dei popoli arcaici di possedere una storia stazionaria41 o forse di non possedere affatto un concetto di storia. La consapevolezza della difficoltà di considerare una sfera culturale, come quella espressa dai Dogon, dal punto di vista della cultura occidentale deve essere comunque tenuta in considerazione. L‟interesse non è rivolto esclusivamente a quelle culture in sé, ma allo scarto differenziale tra le culture come possibile riconoscimento di una, per quanto fragile, coalizione. La carica simbolica che recepiamo dal disegno di un mondo dove nulla è fissato per legge, ma ciò che governa gli eventi è la continuità di una tradizione stazionaria, che non viene incisa dalla varietà delle singole soluzioni, ci porta a riflettere sugli estremi a cui il mondo svelato da Ogotemmeli rinvia. La chiave di lettura per considerare ogni oggetto in rapporto alla cosmogonia degli „antenati‟, attribuisce un ruolo alle strutture simboliche che conservano in uno stato di crisi continua il limite che salvaguarda l‟autonomia tra reale e immaginario. La crisi di cui si parla è nella condizione di ascolto (lettura) e non nella voce di chi narra (Ogotemmeli), proprio per l‟ambizione di un disegno, di una disciplina di configurazione delle attività umane che consentiva di coniugare libertà e ordine, di tenere assieme l‟acqua e il fuoco42; si può scoprire un mondo che non conosce il bisogno di un intermediario tra realtà e immaginario, dove anche il mondo dopo la morte è simile al mondo della terra, e lo si può distinguere solo dal fatto che i frutti sono più lucidi43.

41 Razza e storia, op.cit., pagg. 22-28 42 Dieu d’Eau – incontri con Ogotemmeli, op.cit., pagg. 144-145. 43 “Il paradiso dei Dogon, dove risiedono i defunti, assomiglia alla stessa terra dei Dogon. I villaggi sono come quelli in cui vivono, i ricchi sono ricchi, i poveri sono poveri. Tutti vivono insieme alle loro famiglie, piantando miglio e cipolle come hanno fatto sulla terra. Nell‟arido sottobosco vi sono gli stessi alberi, anche se i frutti hanno un colore più bello, più smagliante, cosicché i morti possano dire di trovarsi in paradiso e non più nella terra dei Dogon.”, Paul Parin Il popolo dei Dogon/ 1, in L’Interiorità del Tempo, op cit., pag. 219.

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SHADRACH WOODS E IL RITORNO AL MITO DELLA QUARTA DIMENSIONE

3.02

Le esplorazioni etnografiche di van Eyck suggeriscono una dimensione verticale del tempo; tramite lo studio di condizioni di vita lontane nello spazio ma presenti nel medesimo tempo ci mostrano una straordinaria diversità con la tradizione culturale occidentale. Ciò che quelle esperienze ci dicono consiste nel fatto che, esplorando le estremità del mondo, si possono comprendere condizioni di vita che richiedono di riconsiderare lo sviluppo tendenzialmente lineare del progresso tecnologico, attivare altri parametri di giudizio sull‟esistenza dell‟uomo, per superare la visione esclusiva della cultura occidentale. Il punto di partenza per cercare la radice del problema che sostiene il progetto della BFU, porta a riconsiderare tale linearità interpretando i fenomeni secondo “il doppio senso del progresso”44. La necessità di testimoniare una coalizione tra le culture è una chiave di lettura di questo progetto ora che si manifesta tale evidenza con sempre maggior momento, considerando che gli aspetti tecnologici che investiva hanno attenuato la loro incisività.

La lettura degli esiti della costruzione di Shadrach Woods ci porta a riconoscere ora la validità culturale e la resa spaziale di una combinazione di rimandi ad altre tradizioni dell‟abitare. Sebbene varino le posizioni disciplinari tra la fase preliminare del progetto di Woods-Candilis e la parte esecutiva curata da Woods-Prouvé, non vi era nostalgia verso alcuna specifica tradizione, se non il tentativo di rinascita dell‟avanguardia, con un impulso di nuova intensità. Questo impulso creato dalla dimensione sempre maggiore dei fenomeni insediativi e dall‟incertezza delle previsioni trova nell‟influenza della scienza e nell‟accumulazione delle conoscenze extra-disciplinari un ruolo imprescindibile che si manifesta in un atteggiamento progettuale che operativamente mirava ad ampliare i contributi delle tecnologie industriali al settore edilizio. “…since we are aware that we live in a space-time 4-D world”45: questa affermazione viene posta da Woods a premessa della

44 Ci si riferisce al capitolo conclusivo del saggio già più volte menzionato di Levi-Strauss; vedi Razza e storia, op.cit., pag. 45-49. 45 Free University Berlin, in “World Architecture 2”, op.cit., pag. 113.

presentazione della BFU, e porta con sé più conseguenze e in primo luogo un‟opzione radicale nel considerare il rapporto tra passato e futuro che ci fa intendere l‟origine delle convinzioni dell‟autore. La consequenzialità spazio-tempo viene espressa, nella teoria della relatività ristretta, da un grafico a due dimensioni che rappresenta un evento fisico O. L‟evento fisico, se rappresentato graficamente, genera un cono di luce la cui superficie rappresenta tutte le traiettorie possibili della luce emessa da quell‟evento. Il grafico è rappresentato da due coni, il passato e il futuro specchiati rispetto l‟asse delle ascisse rappresentante lo spazio, il punto di congiunzione O dei coni è l‟evento; il presente, qui e ora (here-now), divide

il mondo tra passato e futuro e identifica quella parte del mondo che può ancora essere influenzata da ciò che accade in O46.

Le frontiere delle ricerche e delle scoperte scientifiche e/o culturali impegnano gli autori di entrambe le opere considerate verso direzioni opposte tra loro, ma non per questo si escludono le influenze reciproche. Per esempio l‟influenza delle geometrie non-euclidee rappresenta nelle intenzioni di van Eyck una via per esprimere un‟altra visione della realtà, il sorgere di un altro punto di vista e le aspettative che può contenere nell‟interpretazione della contemporaneità47. La fisica e l‟antropologia aprono agli artisti una nuova dimensione del tempo che propone così più strade da esplorare: un viaggio in estensione alla scoperta dei diversi spazi abitati dagli uomini trovando la contiguità di passato e futuro, oppure a riconoscere un universo infinito nel tempo, tenuto assieme da un unico punto di contatto O, congiunzione tra passato e futuro.

Le conquiste della scienza dell‟inizio del secolo, rappresentate nella loro acme dalla teoria generale della relatività, sollecitano le arti e divengono i mezzi per sostenere la discontinuità con i metodi tradizionali del costruire o quantomeno ne incalzano la trasformazione48. La nuova

46. Ci si riferisce alla illustrazione contenuta in Hermann Weyl, Space-Time-Matter, Dover Publications, s.l. (U.S.A.), 1922 47 “Now what is wonderful about this non-Eucledian idea – this other vision- is that it is contemporary; contemporary to all our difficulties social and political, economic and spiritual.” Ciam ’59 in Otterlo, op.cit., pag. 26. 48 In parte precedenti del testo abbiamo riportato, per sostenere questa tendenza, le opinioni di due autori, Giedion e Gropius, che per le loro differenti posizioni offrono un

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consapevolezza delle relazioni tra spazio e tempo in fisica spinge i progettisti a una riconsiderazione della fissità dello spazio in architettura, verso un nuovo paradigma che porta a riscoprire il mondo e le sue leggi. Non è un‟impresa condotta all‟interno di questo lavoro la ricostruzione dei tracciati che hanno intersecato le teorie della fisica dell‟inizio del secolo scorso nel mondo artistico, ma alcune questioni devono essere considerate, con cautela, per il ruolo avuto come sostegno nelle scelte delle trasformazioni insediative.

Abbiamo già citato [2.01.01] che nel 1908 “le pure ombre sono

destinate a scomparire”49 nella separazione dello spazio e del tempo verso la definizione di un continuum, proclamato da Minkowski e sostenuto da Giedion, nella caratterizzazione di una nuova tradizione che trova nel cubismo e nel futurismo le coeve traslazioni nell‟attività artistica delle scoperte scientifiche. Non si tratta della definizione di un primato tra arte e scienza, anzi il punto di forza consiste nel vedere la contiguità tra due strade, una convergenza, come tra asintoti che all‟inizio del secolo sembra si dirigano a convergere sul medesimo asse del tempo. Il movimento cubista domina le tendenze artistiche, come un‟intuizione dei processi futuri. Si trova nell‟alternativa al quinto postulato di Euclide50, per una geometria iperbolica, un‟affinità nello Zeitgeist tra il cubismo e le sue

evoluzioni, così come le conferme dovute alle scoperte di Einstein hanno successivamente alimentato. L‟esposizione divulgativa della teoria della relatività di Einstein pone un limite a questa euforia e al tempo stesso testimonia delle reazioni che i nuovi scenari scientifici stavano alimentando: “Un misterioso brivido coglie il non-matematico quando sente parlare di entità „quadridimensionali‟: una sensazione non dissimile da quella risvegliata all‟apparizione di uno spettro sul palcoscenico. Tuttavia non esiste affermazione più banale di quella che il mondo in cui viviamo è un continuo spazio-temporale a quattro dimensioni. / Lo spazio è un continuo tridimensionale … È stata la teoria della relatività a suggerirci di

ampio spettro di riconoscibilità dell‟influenza delle teorie scientifiche nel campo dell‟architettura-urbanistica. 49 Riferito alla frase di Minkowski in apertura dell‟Assemblea degli Scienziati della Natura e dei Medici tedeschi, 21 settembre 1908, riportata in due punti da Giedion in Spazio, Tempo e architettura, op.cit. 50 Data una qualsiasi retta r e un punto P non appartenente a essa, è possibile tracciare per P una e una sola retta parallela alla retta r data.

considerare l‟„universo‟ come avente quattro dimensioni, poiché secondo tale teoria il tempo viene defraudato della sua indipendenza…”51.

I riferimenti espliciti di Woods nelle sue applicazioni alla fisica vanno a un testo di carattere scientifico di Hermann Weyl che trattando della “relatività di spazio e tempo” introduce, dopo aver esposto la teoria della relatività, quella dell‟elettrodinamica proposta da Mei. Alla conclusione della complessa esposizione analitica Weyl riassume i contenuti della dimostrazione da cui Woods trae sostegno alla presentazione del saggio Urban Environment / The Search For System52. Si riporta per esteso il

brano di Weyl: “The great advance in our knowledge describe in this chapter - la teoria di Mei - consist in recognizing that the scene of action of reality is not a three dimensional Eucledian space but rather a four-dimensional world, in which space and time are linked together indissolubly. … It is remarkable that the three-dimensional geometry of the statical world that was put into a complete axiomatic system by Euclid has such translucent character, whereas we have been able to assume command over the four-dimensional geometry after a prolonged struggle and by referring to an extensive set of physical phenomena and empirical data. Only now the theory of relativity has succeede in enabling our knowledge of physical nature to get a full grasp of the fact of motion, of change in the world”53. Si riconoscono da queste poche righe i toni e le aspettative a cui Woods si richiama per esprimere la percezione nuova dell‟universo in cui viviamo e una società che orienterà il suo agire conseguentemente a questa nuova realtà54. Si devono però mettere in evidenza alcune questioni per calibrare il rapporto di Woods con le teorie scientifiche: la prima riguarda l‟uso strumentale di tali considerazioni alle esigenze di trasformazione ambientale nella società e nel grado di accelerazione delle modificazioni, che a partire dall‟esperienza in Marocco avevano iniziato ad affrontare.

51 Albert Einstein, Relatività: esposizione divulgativa, in Opere Scelte, Bollati Boringheri, Torino 1988. 52 Urban Environment / The Search For System, op.cit., pag.151 53 Hermann Weyl, Space-Time-Matter, op.cit., pag. 217 54 Qui non si interviene sul problema di come avviene il cambiamento; si è riferito poco sopra della posizione di Kuhn espressa nel 1962 e la si ritiene una valida espressione del comune modo di sentire e partecipare all‟evoluzione scientifica all‟inizio degli anni sessanta.

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Le esigenze di trasformazione, così come già Ecochard aveva messo in evidenza, dipendono in modo inestricabile dal tempo in cui le scelte pianificatorie riescono a intervenire nell‟affrontare l‟emergenza delle trasformazioni55. Ciò che interessa Woods non sarà collegare le nove pagine della dimostrazione sulla teoria dell‟elettrodinamica di Mie precedenti alle conclusioni di Weyl quanto, piuttosto, considerare la necessità di trovare un nesso tra spazio e tempo come esigenza espressa dalla società contemporanea56. Ecco che allora tale mutuazione dal campo scientifico deriva non tanto dalla priorità del modo scientifico di definire i problemi trasmissibili tra i saperi, ma da una coincidenza delle soluzioni. L‟uso strumentale di Woods è rinvenibile indirettamente da un‟opera ad ampia divulgazione dello stesso Weyl pubblicata nel 1951 dal titolo Simmetry. In questo saggio57 Weyl affronta una sintesi delle sue

conoscenze scientifiche, interpretate tramite la simmetria, dove porta argomentazioni dell‟equivalenza tra destra e sinistra in natura, le simmetrie complesse dei cristalli, dei fiocchi di neve e in particolare sulla struttura degli alveari58. Il principio di organizzazione simmetrica che Woods aveva escluso come inattuale, secondo le esigenze della società contemporanea, ed esplicato amputando un‟ala del Campidoglio, viene interpretato da Weyl come: “Simmetry is a vast subject, significant in art and nature. Mathematics lies at its root, and it would be hard to find a better one on which to demonstrate the working of the mathematical intellect.”59

Definito lo scarto con cui Woods impiega e seleziona queste teorie,

a uso delle esigenze concrete, interne ai problemi delle trasformazioni dello spazio fisico, quindi propriamente disciplinari, si deve evidenziare che

55 Vedi [1.01.02] 56 Dopo qualche ripensamento si è deciso di non trattare direttamente nel testo il contributo di Erwin Gutkind a conclusione del suo The expanding Environment, op.cit., pagg. 51-84 poiché apriva a una aspettativa sulla dissoluzione della città che era estranea alle intenzioni che il progetto per la BFU esprimeva nel definire una parte di città e non „la fine della città‟, La quarta dimensione come è esplorata da Gutkind seguendo il sogno di una nuova società ha alcuni punti di contatto nella definizione di un‟organizzazione senza centro, ma travalica l‟operatività a cui le ipotesi di Woods si riferivano. 57 Rielaborato da quattro lezioni tenute nel 1951 alla Princeton University. 58Si veda il capitolo Ornamental Simmetry in Simmetry, op.cit., pagg. 83-115. 59 Ibidem, pag. 145; questa interpretazione di Weyl della natura avrà messo in crisi anche più di qualche critica di stampo organicista.

il testo Space-Time-Matter di Weyl da cui Woods trae le sue considerazioni

è stato scritto nel 1918. Quindi Woods non si riferisce a scoperte recenti e non vi era l‟entusiastica partecipazione che contraddistinse per esempio il coinvolgimento di van Doesburg. L‟entusiasmo e il convincimento nel cogliere l‟occasione di reinterpretazione dello spazio richiedono dunque di distinguere tra due condizioni di relazione tra arte e scienza così come si manifesta contemporaneamente in van Doesburg e per esempio in Pavel Florenskij all‟inizio degli anni venti e quindi successivamente, nel secondo dopoguerra, quando l‟effetto delle scoperte era stato sedimentato. Il contributo di Florenskij al dibattito non è valutabile e anzi la sua influenza può ritenersi irrilevante negli ambiti culturali che stiamo affrontando. O meglio difficile da valutare in questo lavoro, rispetto alle vicende su cui interveniamo, esprime tuttavia una condizione di consapevolezza delle potenzialità insite nel rapporto tra spazio e tempo che brevemente vanno riferite. “Nel tempo qualsiasi oggetto reale ha infallibilmente la sua durata, che sia grande o piccola non ha importanza. Ma essa infallibilmente esiste: è lo spessore secondo la quarta coordinata, secondo il tempo, e un oggetto soltanto tridimensionale, cioè di durata zero, di spessore nullo rispetto al tempo, è un‟astrazione e in nessun modo può essere considerato parte della realtà.”60 Di contro il manifesto di van Doesburg Towards plastic architecture può venir inteso come il punto di contatto più

evidente tra le motivazioni di Woods e le precedenti intersecazioni tra arte e scienza. L‟intero manifesto di van Doesburg riflette, nei suoi 16 punti, una necessità di discontinuità con la tradizione che, sebbene non vi sia un evidente contatto tra le motivazioni estetiche di van Doesburg e quelle riferibili a esigenze sociali di Woods, vede in comune una discontinuità nella definizione degli strumenti operativi della progettazione; in particolare nel punto 10 Space and time61 è possibile riconoscere una contiguità di

stile e di contenuti alla ricerca di una nuova operatività sostenuta dal coinvolgimento, inevitabile, della dimensione tempo.

60 Pavel Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, Adelphi, Edizioni, Milano 1995. 61 “10 Space and time. The new architecture calculates not only with space but also with time as an architectural value. The unity of space and time will give architectural form a new and completely plastic aspect, that is, a four-dimensional, plastic space-time aspect. “ (Van Doesburg De Stijl, Series XII, 6-7, 1924, pag. 78-83) in Josst Baljeu, Theo van Doesburg, MacMillan publishing, New York 1974, pagg. 142-147.

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Abbozzando uno scenario, possiamo considerare i contributi di Florenskij come le argomentazioni rilevanti, a un livello di riflessione aperto sulle potenzialità che la combinazione tra pensiero scientifico ed estetico poteva portare come contributo all‟avanzamento della riflessione, e gli interventi di van Doesburg i più vicini nel cogliere l‟atteggiamento di sfida e cambiamento che Woods manifestava nei suoi scritti successivi al 1960, riferendo entrambi come conseguenti alle motivazioni dell‟imprescindibilità di considerare la quarta dimensione, il tempo, alla base di un nuovo approccio progettuale. Tuttavia l‟intervento più significativo, da considerare come un riflesso stabile nella formazione di Woods, è il breve saggio scritto da Le Corbusier nel 1945 dal titolo L’Espace Indicible. Lo spazio

indicibile costituisce un apice nell‟interpretazione dell‟opera di Le Corbusier che risulta tangente alle problematiche su cui si è intervenuti sinora.

L‟accezione in cui Woods si rivolge alla quarta dimensione è rivolta

alla mutuazione di un aspetto specifico delle scienze esatte, applicato secondo una congeniale necessità di considerare il tempo come quarta dimensione delle trasformazioni fisiche e sociali. Il punto di vista di Le Corbusier nel 1945 è rovesciato dal versante scientifico a quello poetico, la quarta dimensione appare dalla lettura di Le Corbusier più vicina all‟estasi estetica che alla dimostrazione di un teorema. Lo spazio indicibile aumenta in modo esponenziale il grado di complessità per affrontare i livelli di senso di questa catacresi62, il tema non è comunque eludibile per due motivi. Il primo è relativo a intendere l‟influenza delle argomentazioni di Le Corbusier sulla quarta dimensione, in particolare quelle contenute ne “Il Modulor”, e come possano aver fornito una suggestione iniziale in Woods per riconoscerne le potenzialità teoriche e di interpretazione dell‟evoluzione fisica e sociale, come una porta per inoltrarsi nel futuro. Al tempo stesso il momento in cui è stato scritto il testo ci riporta al preambolo di questo lavoro: “L'an 1945 compte des millions de sinistrés sans abri, tendus désespérément vers l'espoir d'une transformation immédiate de leur situation”63. Quindi una contestualizzazione emotiva del punto di partenza è anche un modo per inquadrare le condizioni di lavoro in cui il gruppo Candilis e Woods si è andato a formare alla guida di un uomo che

62 Il riferimento alla figura retorica della catacresi dovrà essere confermato da ulteriori verifiche; si è voluta in ogni caso indicare la figura che al momento si è riconosciuta come la più aderente alla locuzione. 63 L’espace Indicible- Le Corbusier, Savina, dessins et sculptures, éd. Sers, Paris 1984.

affrontava le sfide “lasciando intatta la mia libertà che deve dipendere solo dal mio modo di sentire e non dalla mia ragione”64. Il sentimento dello spazio65 è la condizione fondamentale che Le Corbusier definisce come la dote indispensabile per l‟architetto e “L'art est science spatiale par excellence”.

I lineamenti che abbiamo prospettato sinora leggendo gli

atteggiamenti disciplinari tra il versante scientifico e artistico vengono ricondotti da Le Corbusier in una sintesi ineguagliabile. Riportiamo due brani per fissare il passaggio in cui Le Corbusier connette la sua lettura della questione della quarta dimensione con la locuzione dello spazio indicibile ritraendosi dalla dimostrazione scientifica dei fatti, con un atteggiamento analogo con cui si rivolge a Einstein per sottoporgli le ragioni del Modulor, ma esprimendo il fenomeno filtrato dalla sua sensibilità66 e dalla condizione in cui si è manifestata ai suoi esordi nel movimento cubista67. “Sans la moindre prétention, je fais une déclaration relative à la „magnification‟ de l'espace que des artistes de ma génération ont abordée dans les élans si prodigieusement créateurs du cubisme, vers 1910. Ils ont parlé de quatrième dimension, avec plus ou moins d'intuition et de clairvoyance, peu importe. Une vie consacrée à l'art, et tout particulièrement à la recherche d'une harmonie, m'a permis, par la pratique

64 Il Modulor, op.cit. [1.01.03] 65 “L’espace Indicible ”, op.cit . “Aujourd'hui où l'architecte remet à l'ingénieur une part de son travail et de sa responsabilité, l'accession à la profession ne devrait être consentie qu'aux individus dûment dotés du sentiment de l'espace, faculté que la méthode synthétique de diagnostic de l'individualité se charge de déceler. Privé de ce sens, l'architecte perd sa raison d'être et son droit à exister.” Queste parole sulle caratteristiche dell‟architetto, „sentite da vicino‟ potrebbero essere la base per uno studio critico delle opere del team Candilis Woods 66 Il Modulor, op.cit., pag. 29. 67 La quarta dimensione e il coinvolgimento del cubismo con l‟evoluzione delle scoperte scientifiche viene affrontato da Linda Henderson (Linda Dalrymple Henderson, The fourth dimension and Non Euclidean Geometry in Modern Art, Princeton University Press, Princeton 1983) che mette in luce la relazione tra le teorie di Einstein e i primi influssi sul cubismo che per evidenti ragioni cronologiche non possono essere riconosciute direttamente come la principale influenza dei movimenti artistici. Per riconoscere tali influenze ci si deve orientare verso gli scritti di Minkowsky e Charles H. Hinton così come le reazioni più evidenti in alcuni testi divulgativi, tra cui il celebre Flatland di Edwin A. Abbott.

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des trois arts: architecture. sculpture et peinture, d'observer à mon tour le phénomène. / La quatrième dimension semble être le moment d'évasion illimitée provoquée par une consonance exceptionnelle juste des moyens plastiques mis en œuvre et par eux déclenchée. / Ce n'est pas l'effet du thème choisi mais c'est une victoire de proportionnement en toutes choses - physique de l'ouvrage comme aussi efficience des intentions contrôlées ou non, saisies ou insaisissables, existantes toutefois et redevables à l'intuition, ce miracle catalyseur des sapiences acquises, assimilées, voire oubliées. Car dans une œuvre aboutie et réussie, sont enfouies des masses d'intention, un véritable monde, qui se révèle à qui de droit, ce qui veut dire: à qui le mérite. / Alors une profondeur sans bornes s'ouvre, efface les murs, chasse les présences contingentes, accomplit le miracle de l'espace indicible.”68 La quarta dimensione è in Le Corbusier qualcosa di molto diverso allora dalle accezioni che si riscontrano negli autori interessati a una sorta di aggiornamento scientifico, per Le Corbusier è, anzi, sembra essere, “il momento di evasione illimitata … cancella i muri, caccia le presenze contingenti, … compie il miracolo dello spazio indicibile”. Ogni commento a questo punto diviene inutile; si insisterà ad abbozzare una riflessione per cogliere le potenzialità di aperture espressive che il tema contiene, con la consapevolezza di accogliere il rischio di coinvolgere dimensioni imponderabili. Le Corbusier tornerà a usare questa locuzione, lo spazio indicibile, in un successivo momento, nel 1961, in un‟intervista sul convento de La Tourette riferendolo a un luogo e a una costruzione. Lo slittamento di significato che si coglie dai due contesti in cui la locuzione è inserita viene definito dalla distanza tra ciò che la realtà rappresenta e ciò che l‟artista desidera dall‟opera69. Vi è una differenza tra il riconoscimento di uno spazio fisico intraducibile nel linguaggio, poiché esiste e rende evidente con la sua presenza il silenzio che accoglie e lo rende appunto

68 Espace Indicibile, op.cit; riportato anche in Il Modulor, op.cit., pag. 31,32 e poi ripresi in Modulor 2, pagg. 23, 24. 69 La differenza tra i due momenti si potrebbe leggere per analogia nell‟arte figurativa secondo la trattazione che Florenskij pone tra costruzione e composizione; vedi Lo spazio e il tempo nell’arte, op.cit., pagg. 87 e segg. In particolare il capitolo Il tempo e lo spazio (pagg. 133-202) è stato un punto di riferimento rilevante per cogliere le potenzialità critiche della quarta dimensione tramite un autore che si ritiene sufficientemente distaccato dai coinvolgimenti immediati nella critica.

indicibile. Prima di questo momento di identificazione del concetto la locuzione non è rivolta come guida all‟osservatore, è l‟espressione stessa che si autosostiene; in un primo momento il coinvolgimento in questa condizione di “evasione illimitata” è generato dalla sintesi dell‟esperienza artistica di architettura, pittura e scultura nel loro reciproco intreccio, lasciando un margine aperto di libertà all‟immaginazione a cui l‟indeterminatezza conduce. Avanzare la suggestione di riconoscere nell‟indicibile il tempo che viene „defraudato della sua indipendenza‟ comporta la sublimazione nello spazio di una sintesi di grado superiore. L‟indicibile viene qui inteso come il ritirarsi dal commento per annullare il tempo, il silenzio implica una sospensione del tempo. La sintesi di architettura, pittura e scultura diviene per Le Corbusier il traguardo imprevedibile che vince la sfida del tempo e porta l‟artista a cogliere la dimensione sincronica dei valori dell‟agire umano. Le suggestioni di Le Corbusier alla vista del Partenone esprimono questa condizione di derealizzazione70 che costituirà un‟emozione determinante per ogni suo atto successivo e in particolar modo per la ricerca di una sintesi tra le arti. Proviamo ad abbandonare il campo poetico e argomentare i due termini decontestualizzati, per riportare la quarta dimensione alla condizione delle tre dimensioni, verticale, orizzontale e profondità considerate assieme al tempo secondo la condizione di conoscenza dei fenomeni fisici in cui veniva impiegata. Smontando il caleidoscopio di Le Corbusier troviamo che il divenire indicibile, l‟architettura quando abbandona la sua contingenza, “le masse di intenzione nascoste”, si unisce indissolubilmente al tempo e non richiede di dimostrare le proprie ragioni. Queste considerazioni vengono qui svolte grazie ad un „fondamento‟ che è il fulcro attorno cui si muove questa riflessione. Una similitudine di de Saussure ripetuta due volte nei Manoscritti di Harvard ha

costituito tramite la sua semplicità una via per avanzare la ricerca di un legame tra tempo e spazio: “…le sensazioni si registrano. Il tempo è per

70 Uno spunto di riflessione da approfondire viene dal viaggio di Sigmund Freud e del fratello ad Atene nell‟autunno del 1904 così come viene riportato dallo stesso Freud nel 1936. Il saggio di Elvio Facchinelli, La mente estatica, Adelphi, Milano 1989, pagg. 127-152 potrebbe a questo riguardo costituire un utile punto di partenza.

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l‟orecchio ciò che lo spazio è per la vista. [8.81]”71. Questa similitudine crea un legame tra le argomentazioni di Le Corbusier sull‟emozione estetica come funzione dello spazio e le sollecitazioni che vengono tradotte in un‟armonia, “manifestazione di un‟acustica plastica”72 che gli consente di cogliere la sintonia con uno degli “ordini più sottili portatore di gioia (la musica) o di oppressione (il frastuono)”73. Le Corbusier ci rinvia, seguendo il tema della quarta dimensione, a un mondo che crea una distanza apparentemente incolmabile con il denominatore comune delle esperienze progettuali su cui abbiamo finora lavorato. Lo sguardo rivolto alla società e i suoi bisogni sollevava, ma certamente non precludeva, i progettisti da una ricerca estetica subordinante i valori di ordine sociale: la combinazione degli intenti doveva infatti esprimersi ed essere condivisa nella forbice tra etica ed estetica. Il senso degli interessi su cui si fondavano le premesse tipologiche era contrassegnato da un accento accordato agli aspetti sociali e „umanistici‟ della costruzione. Questo per quanto riguarda gli intenti; se poi gli esiti coglievano un ulteriore livello di senso era una conseguenza di intenzioni comprese, più che dalla volontà di sintesi dei fenomeni artistici. Alla locuzione lecorbusieriana dell‟Espace Indicibile si avvicina un‟altra

immagine, un‟altra arte, ritenuta di scarsa rilevanza nel mondo occidentale che collega il suono con lo spazio, lì dove le condizioni dell‟abitare non conoscono l‟architettura, l‟arte è affidata a una voce, la voce del cantore dei tappeti. La realizzazione dei tappeti a nodi tradizionalmente consisteva nel lavoro di giovani ragazze che con esili e agili mani ripetevano migliaia di nodi al giorno per realizzare tappeti in lana composti da milioni di nodi. L‟esecuzione dei tappeti era guidata da un maestro che con un canto comandava filo per filo i colori per la composizione del tappeto. Riferirsi a un‟arte che richiede un vivo sforzo per essere considerata rispetto alla ricerca di una comunione universale delle arti potrebbe risultare paradossale, se riferito al Kunstwollen e alla dipendenza a queste intenzioni dell‟arte rispetto alla definizione delle tecniche dominanti. Eppure

71 Ferdinand de Saussure, Manoscritti di Harvard, a cura di Hermann Parret, Editori Laterza, Roma-Bari 1994, pagg. 69, 87. 72 L’espace Indicibile, op.cit. 73 Ibidem.

si scorge una sintonia nella figura del cantore di tappeti che nel (puro) deserto guida, a memoria, l‟esecuzione di questi luoghi segnati da simboli che rivelano la radice del senso dell‟abitare che il mondo occidentale consegna all‟architettura. Il tappeto a nodi è il prodotto delle popolazioni che vivono nel deserto; esso rappresenta la forma che il nomade assegna allo spazio della propria vita, è nel senso primordiale del termine la sua casa, lo spazio di vita e di identificazione del proprio luogo, viste le condizioni di esistenza dei popoli dediti alla pastorizia. L‟Habitat del nomade, che abita l‟indistinta continuità del deserto, si riflette così nella bidimensionalità del tappeto. I suoi bordi costituiscono il recinto in cui si entra all‟interno, così diviene il luogo per la preghiera, e i bordi i disegni che raccontano una storia sostantivata dai significati dei colori. Tuttavia i colori non sono una rappresentazione come una pittura, sono lo spazio stesso che racchiude, quindi un‟altra architettura. I termini in cui abbiamo riconosciuto la sintesi delle arti, traguardo dell‟Occidente, pone il tappeto, inteso nel suo contesto di esistenza, come il superamento del limite decorativo e diviene „architettura bidimensionale‟ in termini di sottrazione. Queste considerazioni si devono alle lezioni di estetica di Sergio Bettini tenute nel 1962: “Ma questa simbologia, ancora generica, dei colori, si accentua poi, si precisa nei singoli disegni. È in essi che riconosciamo la forma data al tempo – inteso come dimensione della vita – dall‟artista orientale: quei disegni non sono affatto rappresentativi e nemmeno decorativi: raccolgono il senso delle vicende della natura e della vita umana, delle opere e dei giorni: ognun d‟essi ha così il suo significato nell‟ordine dell‟esistenza”74.

74 Sergio Bettini, Tempo e forma. Scritti 1935-1977, Quodlibet, Macerata 1996 (estratto della dispensa delle Lezioni di Estetica del 1962-63). Il saggio di Bettini è ricco di stimolanti considerazioni sul tema del tappeto, sulla cultura nomade, e sul rapporto tra spazio e tempo in contesti straordinari come il deserto. Una riflessione sulla decorazione potrebbe essere attivata appunto dal contesto del (puro) deserto e dalle implicazioni che William Morris attribuiva a quel luogo estremo. Si riportano alcuni dei passaggi più significativi del saggio di Bettini che sono stati parafrasati nel testo. “Il vero tappeto non ha propriamente nessuna di queste funzioni: non è veste che copra il corpo o drappo che adorni la casa; per la semplice ragione che è esso stesso la casa. … Il tappeto per l‟orientale, almeno in origine, nomade, è appunto quel che per il cittadino è la casa, nel suo significato primordiale, esistenziale: è, voglio dire, la forma che egli dà allo spazio della propria vita. … Scelto così il tipo di tappeto preparati telaio e trama, le ragazze a posto, il maestro

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Avvicinare uno dei brani più affascinanti ed ermetici del maestro dell‟architettura del XX secolo con un processo così evidentemente senza profondità, una manifestazione di superficie trattenuta dalla memoria di una figura anonima d‟artista, presumibilmente scomparsa, sembrerà incomprensibile, eppure nel cogliere la distanza può, forse oggi, rivelarsi utile. La giustapposizione e l‟incrocio di culture è sembrato l‟humus in cui è cresciuto il progetto della BFU e l‟estremo tra l‟inventore dell‟espressione l‟“espace indicibile”75 e il cantore di tappeti non porta verso la conclusione ma apre a uno spazio aperto agli apici di culture diverse appartenenti al dominio dell‟ineffabile. Entrambi rivolti a dare forma al tempo. Nel 1969 Woods, rientrato negli Stati Uniti, scrive il saggio più significativo per comprendere il destino che immaginava per la BFU76. Il cambiamento di prospettiva nel tempo “the future is now” rende evidente la consapevolezza che l‟attesa per il cambiamento, per il “new type of man” a cui si era appellato il team 10, almeno a partire dal 1962, era arrivata a un limite dell‟attesa e l‟evolversi delle condizioni sociali potevano costituire un punto di arrivo, o meglio, un nuovo punto di partenza. Questo saggio

cominciava a cantare i suoi colori: rosso, giallo giallo, nero nero e così via. Non aveva disegno o cartone sott‟occhio: si valeva soltanto della memoria.” In questo senso disegnare a memoria l‟Orphanage è un po‟ come tornare alle origini di un‟arte: la memoria porta a riconoscere i punti da segnare per ricostruire il disegno, e riproporre la pianta dell‟edificio come un tappeto può essere un‟osservazione, quindi, condivisibile (vedi Simon Sadler, Situationist City, MIT Press, Canbridge Mass. 1998, pag. 30). 75 “L‟architecture d‟aujourd‟hui”, giugno-luglio, 1961, pag. 3. La considerazione dell‟espressione di Le Corbusier deriva oltre che dal rapporto con la quarta dimensione che è l‟argomento trainante del capitolo, dal considerare il progetto de La Tourette, iniziato nel 1953, a cui l‟espressione viene dedicata, come un segnale di tensione nel riflettere sulla città e la sua memoria. La Tourette, seppur non compaia in questo testo direttamente, è stata la realizzazione che più ha spinto a investigare questa dimensione di mezzo tra grande casa e piccola città, poiché nella lettura della Tourette si riconosce la volontà di dare forma a un‟idea di comunità, per quanto introversa, sospesa da terra e dedicata a un unico obiettivo comune rivolto altrove. 76 “I think that we got beyond arbitrary formalism a few years ago and were able to go through a rational process to design that had its basis in non-formalist organizations and systems of relationship, and this begins to produce a new kind of architecture, not necessarily as dead-pan as so many examples of it are, when delight, humor, love are left out of the systems.” Waiting for printout, op.cit., pag. 7.

dal titolo Waiting for printout scritto come professore di Urban Design ad

Harvard non ha per nulla le caratteristiche di un saggio accademico, è aggrappato a un presente che richiede una cura sconfinata. Le preoccupazioni ecologiche sul destino di un mondo che non possiede più „terra incognita‟ sono lo sfondo problematico per iniziare ad affrontare i problemi di cambiamento e sviluppo dell‟Habitat (naturale): “with the present realities of its given space-time, and takes minimum commitments so as to leave the greatest possible number of options open”. Il saggio si apre con un omaggio a Beckett; le ultime due battute prima del calare del sipario di Waiting for Godot, il titolo alternativo presentato nell‟apertura risponde al senso di indeterminatezza per il futuro, Build to Uncertainity,

ma al tempo stesso pone una „sconfinata determinazione‟ a cogliere i problemi del presente. Le esperienze urbanistiche per la realizzazione dei modelli di nuove città come Chandigarh e Brasilia non raccolgono le aspettative per le necessità delle città di ogni giorno. Gli argomenti che Woods affronta stanno al di là del „Sunday urbanism‟, che ignora le due questioni più rilevanti, la limitazione delle risorse naturali, e l‟iniquità della distribuzione delle risorse nel pianeta. Ecco allora che l‟anti-formalismo e l‟interesse a intendere le relazioni non esclusive di ordine e caos trovano il loro contesto, nella considerazione dell‟ambiente come un valore comprensivo delle esigenze della quotidianità, proiettando la sua attenta e necessaria valutazione nel futuro. Nel 1969 le proposizioni di Woods si sono così rese assai più radicali, ma negli aspetti progettuali non sono sostanzialmente cambiate da quando, alla fine del 1962, abbiamo affrontato il punto di contrasto tra van Eyck e Woods, nel momento fondamentale in cui si manifestavano le condizioni per l‟evoluzione teorica del concetto di web. Ciò che cambia è la consapevolezza dei problemi. Abbiamo avuto modo di capire quale era la poetica di van Eyck nel corso di quella discussione [1.03.06], ma il pensiero di Woods era rimasto sospeso nella sua frase conclusiva “Then there is no point in talking about this any more. We are talking about different poetry”. La reazione arrivava da un‟analogia di van Eyck tra la geometria e l‟alfabeto, in cui la poesia scaturiva dalla combinazione polisemica delle parole. È arrivato il momento di domandarsi, a quale altra poesia (poetica) si riferiva Woods. Il problema della forma negata della BFU sembra distante dalle questioni di predilezione letteraria, la differente

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poetica era una frattura disciplinare77, non un problema di gusto. La descrizione di van Eyck d‟altronde suggeriva la disciplina per elementi di Durand. Parole o note per comporre, erano molto distanti dal mondo culturale di Woods prodotto da slanci verso il futuro e dalla percezione della „crisi del senso‟ che avvolgeva la società. Non ci sorprendiamo se nella poesia che contrappuntava alcune citazioni e le preferenze di Woods, compare, evidente, la figura di Samuel Beckett. Nel riferire dell‟interpretazione del tempo, come il fattore che innesca le discriminanti nella concezione delle due opere e recuperando i due scenari di riferimento, in cui si muovevano i progettisti nella definizione dei principi progettuali, due immagini letterarie hanno prima stimolato e poi sostenuto questa posizione. Abbiamo parlato del grande edificio della cosmogonia Dogon, la complessità del racconto della creazione. In questo lavoro, dedicato a sostenere le differenze nell‟interpretazione del tempo, le conversazioni di Griaule con il cacciatore cieco si misuravano, si confrontavano, con un testo di Beckett: Krapp’s last tape. Un dialogo

chiamato in causa dalla breve lettera ironica-malinconica di Woods Remember the spring of the old days - on listening to Crap’s last tape (scritta in risposta alle critiche sulla BFU nell‟incontro del 1973). Crap per Krapp è il segno della delusione di Woods che trova nei nastri giudizi

severi e forse anche qualche incomprensione78, comunque utile per intendere i punti di vista nelle diverse concezioni dello spazio. Se “crap‟s last tape” ascoltati da Woods hanno rilevato i contrasti sull‟interpretazione della BFU, il testo di Beckett mette di fronte alla vita di un uomo nel futuro il silenzio, la solitudine dell‟uomo moderno che dialoga con la propria voce registrata, nelle descrizioni di notti oramai passate. Quest‟opera drammatica di Beckett ci parla del tempo e fa capire di riflesso che la dimensione del futuro in Woods non è una meccanica aspettativa del futuro; l‟intensità con cui all‟inizio degli anni sessanta sosteneva le sorti del futuro, nel ‟68 era rivolta all‟azione immediata, nel 1973, tramite i versi di Beckett in dialogo con se stesso, parla dal futuro del suo passato. “Past midnight. Never knew such silence. The earth might be uninhabited. / Pause . / Here I end this reel. Box.(pause)-three, spool-(pause)-five. (Pause). Perhaps my best years are gone. When there was a chanche of

77 Ciò non pregiudica la consequenzialità dialettica tra le due posizioni, tra l‟omologia di van Eyck dell‟albero e la foglia con l‟evoluzione teorica di Woods 78 Incomprensioni già documentate precedentemente [2.03.02].

happiness. But I wouldn‟t want them back. Not with the fire in me now. No, I wouldn‟t want them back. / Krapp motionless staring before him. The tape runs on silence. CURTAIN.”79

79 Samuel Beckett, Krapp’s last tape, in The complete dramatic works, Faber and Faber, London 2006 (scritto in inglese all‟inizio del 1958.)

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TIPO e SENSO

3.03

La conclusione di un lavoro è il momento in cui si debbono riconoscere i dubbi più utili che tale lavoro è riuscito a reggere lungo il percorso di raccolta degli argomenti, tanto più se a sostegno di una tesi che programmaticamente ha cercato di tenere assieme cose differenti tra loro. Il tipo è stato il nesso individuato per sostenere la lettura tra due modi di dare senso alle trasformazioni dello spazio fisico; un‟interpretazione con l‟ausilio dello strumento tipologico che non implica manifestamente l‟utilizzo di questo strumento da parte dei progettisti, o forse grazie a un utilizzo „inconscio‟, non inconsapevole ma spontaneo. Si è messo in evidenza quanto il tipo fosse usato con cognizione teorica e operativa per esempio da Jaap Bakema nell‟ambiente culturale in cui sono maturati i progetti e quanto sia uno strumento indispensabile per gestire i processi progettuali „illustrati‟ da van Eyck, così come si è descritta la capacità di manipolazione dei tipi edilizi nei progetti per Casablanca di Candilis e Woods. L‟esercizio del dubbio si è reso necessario dalla constatazione delle differenze nella concezione dello spazio delle due costruzioni di cui si è cercata l‟origine nella diversa interpretazione del proprio tempo da parte degli autori. Queste diverse concezioni dello spazio in riferimento al tempo con cui si misuravano ha „stressato‟ la nozione di tipo al punto da mettere in crisi la stessa appartenenza alla medesima matrice tipologica delle due opere. La difficoltà a salvaguardare il legame di appartenenza al medesimo tipo è stata comunque sempre contenuta all‟interno di un fenomeno insediativo condiviso dal gruppo che lo promuoveva e che insisteva su una linea di ricerca verso una specifica idea di comunità. Il problema dell‟appartenenza al medesimo tipo non può che essere posto successivamente alla manifestazione e alla ricaduta disciplinare sulle opere e offre l‟occasione per due riflessioni. La prima consiste nel capire la portata di uno scarto, un distacco, tra forma e tipo, poiché la diversità si esplicita nella forma e quindi comporta una evidente difficoltà ad appartenere al medesimo tipo; ciò che è la causa del dubbio, questa volta subito, nasce dalla diversità della forma. L‟ipotesi per superare questa difficoltà di classificazione morfologica si è sviluppata a partire da una considerazione di carattere scalare, infatti si è specificato il tipo, non in termini di tipo edilizio ma di tipo insediativo, poiché la scala di intervento non era contenuta all‟interno del singolo edificio, ma si poneva in entrambi i

casi su un piano intermedio tra edificio e città. Dal punto di vista della scala insediativa le differenze nell‟aggregazione delle singole unità vengono individuate non dalla loro forma, ma in base al sistema di relazioni tra le parti. Inoltre il rapporto tendenzialmente orizzontale nell‟aggregazione dei volumi edilizi offre sufficienti garanzie di separazione rispetto ai tipi insediativi contigui. Così le differenze nell‟organizzazione degli elementi distributivi, che caratterizzano i tipi a scala edilizia, vengono subordinate alla scala insediativa per contenere entrambe le diverse concezioni dello spazio continuo e discontinuo. Lo spazio discontinuo dell‟Orphanage è, rispetto alla continuità ostinata delle Strasse della BFU, una condizione di diversità (vedi 2.03.01-04) che contempla due idee di forma difficilmente compatibili tra loro, ma al tempo stesso, oltre alla tendenza allo sviluppo orizzontale, il sistema delle relazioni all‟interno degli edifici possiede analogie altrettanto rilevanti quali il principio iterativo, l‟introversione, l‟ambiguità-ambivalenza dell‟artefatto tra edificio e città, una serie di relazioni strutturali in grado di tenere assieme i due complessi di edifici nella loro diversità. Il problema di affrontare la relazione tra forma e tipo diviene ora inevitabile e coinvolge l‟idea di forma come portatrice di senso80. A questo punto quindi troviamo un punto di difficoltà e anche la ragione per cui si è evitato di coinvolgere precedentemente queste considerazioni, in quanto ci si trovava di fronte a un caso di studio, la BFU, in cui il rapporto tra senso, forma e materia era giocato nel tentativo di mettere in crisi la mediazione della forma. Quindi si è omesso di attivare una categoria cui uno dei due termini del confronto era sordo e la distinzione si è raccolta all‟interno della opposizione tra composizione e progettazione (a cui si ritiene di aver offerto sufficienti elementi di prova)81.

80 Vedi la voce tipo (a cura di Carlos Martì Arìs), in Dizionario critico illustrato delle voci più utili all’architetto moderno, fondazione Angelo Masieri, Venezia 1993, pagg. 183-193. 81 Un accenno a un secondo problema di ordine generale, che richiede ulteriori studi, più ampi di questa occasione81, è l‟effetto di retroazione sul tipo, inteso come strumento progettuale, al variare del materiale che perviene dalla valenza classificatoria di accumulo delle conoscenze in architettura. Il tipo, se inteso come intermediario tra il piano del contenuto e il piano dell‟espressione, è „catalizzatore‟ dei processi progettuali e così questo secondo problema non avrebbe ragione di porsi, in quanto la retrosintesi si fonda sulla certezza del ruolo neutro di catalizzatore. Il ruolo classificatorio del tipo richiede inevitabilmente stabilità; sul versante progettuale il fatto che il concetto di tipo si venga a

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Proviamo a riassumere le componenti del problema che pone la BFU per un‟analisi riferita al tipo. Innanzitutto l‟atteggiamento di Woods è così determinato e univoco a ricercare i fatti – “facts” – necessari alla

“creazione di un ambiente per ciascuna scala delle associazioni umane” che non si apre solo un conflitto per rifiutare la fissità del prodotto architettonico formalmente compiuto, ma un rovesciamento di campo82 radicale, che supera il nodo della qualità dell‟oggetto, per rivolgersi all‟urgenza di scoprire nuovi problemi: “The problems which we face in making our world are entirely new, for our society is entirely new”83. Queste considerazioni, se comportano la rinuncia a misurarsi con una forma determinata trovano un appiglio, di cui si dovrà verificare la tenuta, nella definizione canonica di tipo. Il tipo, se inteso non come un recinto all‟interno del quale alcune cose sono ammesse e altre no, ci pone a intervenire anche qualora non sia specificatamente la forma che attiva il processo di riconoscimento, presupposto che tra i prodotti dell‟uomo nulla suscettibile di descrizione può sfuggire alle maglie della classificazione tipologica84. Utilizzando la differenza canonica tra tipo e modello85 troviamo

modificare con gli oggetti con cui interagisce ci riporta alla considerazione del tipo come strumento e inevitabilmente con cicli ora indefinibili. La trasformazione è possibile, forse con rapporti temporali paragonabili in proporzione come la realizzazione di ogni singolo edificio può influire su un singolo tipo edilizio. Questo secondo problema va letto come un tentativo di apertura di riflessione che si pone per la difficoltà di classificazione nei casi di studio in riferimento al rapporto tra edificio e città. Il caso che apre questo problema non è l‟Orphanage, poiché un episodio isolato (per quanto vi fossero in quegli stessi anni in corso esperienze progettuali analoghe) non promuove difficoltà di classificazione, ma si delinea nella giustapposizione con l‟esperienza della BFU. 82 Urban Environment – The search For System, op.cit. “All this have meanings held over from previous civilizations and societies; meanings good or bad, in any case, meanings which do nothing but obscure the issues today.” pag. 151 83 Ibidem. 84 Questa considerazione è riferita alla faccia classificatoria del tipo; per esempio possiamo descrivere quelle porzioni „grigie‟ della città araba che da agglomerato incoerente tendono a trasformarsi in città costruita, città di pietra. Bidonville o aree di conformazione analoga, denominate „tnaker‟ si possono individuare nella mappa di Casablanca del 1900 che riporta oltre alla classica suddivisione in medina e mellah una terza dizione attribuita a un‟area interna o a cavallo tra le mura, con un sistema di distribuzione che ricorda un sistema venoso contrapposto alle arterie della città costruita [mat. 1.01.02a]. Anche per il tnaker vi è questa necessità di essere classificate e lo sono e per quanto questo possa essere da

che la „ricerca del sistema BFU‟ accoglie l‟indeterminatezza del tipo non come il punto di partenza dell‟iter progettuale, ma come punto di arrivo – riferendosi al dominio di ricerche dello strutturalismo si potrebbe definire di “tipo zero” 86 Il sistema della BFU allora, paradossalmente, passa tramite la negazione della composizione all‟esaltazione del tipo, oltre il limite delle convenzioni, come strumento operativo per la progettazione. Woods non risulta si sia espresso direttamente sulla questione tipologica87 nel suo approccio teorico; si potrebbe per analogia di temi associare il suo punto di

alcuni considerato una provocazione, sono un tipo che certamente ebbe un rilievo nel definire le caratteristiche insediative del fenomeno che abbiamo illustrato. Intervenire sul rapporto tra senso e tipo consente di liberare la faccia della classificazione del tipo da giudizi di valore preventivi. Qui si è dato un taglio parziale alla complessa questione sulla tipologica, ad esempio seguire la lettura di Rafael Moneo (On Tipology, Oppositions n 28, Summer 1978) ci porta ad avvicinare le grids di Durand alla BFU e riconsiderare la „composizione‟ per assi della BFU. 85 Ci si riferisce alla definizione di Quatremère de Quincy nel Dizionario storico di architettura, Marsilio, Venezia 1985, pagg. 273-276, come punto di partenza imprescindibile: “Tutto è preciso e dato nel modello; tutto è più o meno vago nel „tipo”, e più avanti nel testo specifica, “Essi confondono la idea di tipo (ragione originaria della cosa) che non potrebbe né prescrivere né fornire il motivo o il mezzo d‟una similitudine esatta, colla idea di modello (cosa completa) che costringe a una rassomiglianza formale”. 86 Una strada possibile di interpretazione dell‟indeterminatezza consiste nel legare la proposta di Woods alla questione del “tipo zero” nei termini che possiamo riassumere dalle parole di Lévi-Strauss: “Queste istituzioni non avrebbero nessuna proprietà intrinseca se non quella di introdurre le condizioni preliminari all‟esistenza del sistema sociale da cui dipendono” in Esistono le organizzazione dualiste?, (Antropologia strutturale op.cit., pag. 180). Sostenendo l‟impronta strutturalista della BFU si ipotizza di avvicinare la costruzione al concetto stesso da cui dipende; se traduciamo le parole di Lévi-Strauss dal campo di indagine delle parentele a quello delle relazioni organizzative e ritorniamo al principio organizzativo della BFU “a minimum structuring organization” troviamo un‟assonanza con il tema della „casella vuota‟ a indicare la necessità di lasciare una possibilità di ricerca aperta. 87 Se non indirettamente riferendosi alle posizioni di Bakema durante il convegno di Abbey Royamount (vedi 1.03.06), discutendo di composizione per tipi. È comunque marginale, nella lettura di un‟opera, definire il grado di coinvolgimento compreso dall‟autore sulla questione tipologica, così come questo punto del manifesto suggerisce al tempo stesso il rifiuto e la consapevolezza del problema in van Doesburg.

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vista al distacco di van Doesburg, che ancora per paradosso88 ci fornisce una delle più stringenti esposizioni della relazione tra forma e tipo: “1 Form. The basis for a healthy development of architecture (and of art in general) is the suppression of all form-ideas insofar as this concept implies a predetermined type. Instead of using earlier style types as models and thus imitating previous historical styles, one necessarily must pose the problem of architecture entirely anew.”89 Per le nostre applicazioni di lettura critica il rapporto si consuma tra l‟artefatto e la disciplina nel suo insieme; come possiamo intervenire nella classificazione tipologica di un sistema spaziale, inteso come strumento, “a minimum structuring organization”, basato su una griglia virtuale che contiene al suo interno le ragioni delle variazioni nella sua forma? Non riuscendo a catalogare l‟intenzione progettuale in base alla forma ma alla sua traccia, troviamo alcuni punti di appoggio in una rilettura di Quatremère de Quincy proposta da Argan: “Il tipo … non è una forma definita, ma uno schema o un progetto di forma, esso risulta dall‟esperienza di forme realizzate come forme artistiche, ma le presenta per così dire, devitalizzate … Ciò significa che, accertando in partenza la riduzione al tipo, l‟artista si libera dell‟influenza condizionante di una determinata forma storica, la neutralizza; assume cioè il passato come un fatto compiuto in sé non più suscettibile di sviluppo”.90 Nel contesto in cui l‟opera di Woods si va a collocare, l‟istanza di lasciare „minimum commitments‟ il minimo vincolo verso il futuro comporta un effetto sulla forma su cui non si proietta più il destino della comunità come propria testimonianza. Woods vede alterarsi il processo cumulativo di crescita per stratificazione delle città che, in riferimento alla crescita

88 “La forza dei paradossi risiede in questo: non sono contraddittori, ma ci fanno assistere alla genesi della contraddizione”, Logica del senso, op.cit. 89 Towards plastic architecture, op.cit., pag. 142. 90 Tipologia, voce a cura di Giulio Carlo Argan, in Enciclopedia Universale dell’arte, Istituto per la Collaborazione Culturale, Venezia-Roma 1966, vol. XIV, figg. 4, 5. La trattazione di Argan è assai più articolata e i ritagli di citazione sono stati operati in moto tendenzioso per far emergere una possibile convergenza che al tempo stesso allontana una coincidenza. La compresenza nello stesso paragrafo di due modi di intendere il tipo da parte di van Doesburg e Argan differendo nella interpretazione del termine tipo esprimono, se letti in successione, un processo evolutivo che conserva il medesimo obiettivo a cui la BFU infine cerca di dare un ulteriore contributo. Le oscillazioni nell‟interpretazione del tipo potrebbero poi convincere delle „potenzialità creative‟ della questione tipologica in ambito teorico.

demografica, non potrà sommare parte a parte ma attivare un processo di cambiamento continuo. L‟interpretazione di questo scenario è puramente speculativa in quanto sebbene le più preoccupanti e catastrofiche statistiche di crescita demografica si siano rivelate quasi sottostimate, rispetto alla condizione demografica attuale, le preoccupazioni di molti architetti militanti negli anni sessanta91 sono state relegate ad altre discipline92. Ritornare sui fondamenti definiti da Woods come requisiti progettuali riferiti alla sua idea del nuovo destino a venire serve per evidenziare la difficoltà ad articolare una posizione sul ruolo della forma come interpretazione della società, oltre il manifesto anti-formalismo.

La forma, la frontiera più solida dell‟architettura per attribuire un senso allo spazio costruito, già assediata dalla dottrina funzionalista, viene affrontata con una nuova strategia che associamo alla posizione di Deleuze sul „non senso‟93 che viene fatta intervenire per comprendere, o per raccogliere a posteriori, le potenzialità della intuizione di Woods. Ciò che emerge dalle sue sperimentazioni progettuali non è rivolto a un nuovo stile, che avrebbe semplicemente cambiato la pelle di strutture quasi-eterne, ma alla flessibilità di un sistema controllato dalle aspettative di ogni presente, poiché l‟incertezza, l‟impossibilità di prevedere veniva ritenuta la nuova condizione strutturale delle città. Il funzionalismo riduce il rapporto tra forma e contenuto a una relazione onomatopeica94, dove il suono e il significato tendono a coincidere. La forma per la BFU non è definibile in quanto celata in una griglia virtuale, ciò che appare è temporaneo e modificabile, ciò che permane è il sistema di relazioni, che diviene

91 Basti pensare alla XIV Triennale di Milano del 1968. 92 Le osservazioni di Woods comunque rimangono lì dal lontano 1969 pronte, Waiting for Printout, aspettando il loro ritaglio di verità. 93 Si riportano alcuni brani di Deleuze poiché sono il modo che si ritiene più efficace per trasmettere il problema: “Quando supponiamo che non senso indica proprio il senso, vogliamo indicare, al contrario, che il senso e il non senso hanno un rapporto specifico che non può essere ricalcato sul rapporto del vero e del falso, cioè che non può essere concepito semplicemente come un rapporto di esclusione. … così il non senso non possiede alcun senso particolare, ma si oppone all‟assenza di senso, e non al senso che produce in eccesso … Il non senso è a un tempo ciò che non ha senso ma che, in quanto tale, si oppone all‟assenza di senso operando la donazione di senso”. Logica del senso, op.cit., pagg. 66-69. 94 Alan Colquhoun, Typology and design method, in “Perspecta”, n. 12, 1969, pagg. 71-74.

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contenuto delle azioni di modificazione, una traccia95. Riflettere invece su questa costruzione, come ancora oggi si presenta, intatta, a prescindere dalle sue potenzialità di modificazione, è un‟operazione che riducendo il grado di complessità della proposta e limitandosi esclusivamente all‟analisi fisica dell‟artefatto ne esclude il contesto culturale in cui è stata realizzata. Tuttavia pur compiendo questa operazione di „derivata‟, la resistenza della problematicità della forma risulta riconoscibile, si manifesta come un tutto pieno, non si evidenzia nel suo limite verso l‟esterno, ma nel creare all‟interno del complesso edilizio frammenti di spazio aperto che il sistema stesso produce. La difficoltà di affrontare un‟analisi tipologica è evidente: se la forma è ciò che sostanzia il senso di un artefatto, il non senso a cui ci rivolgiamo ferma questa progressione alla soglia del difforme oppure apre verso un non detto che diviene un terreno fertile per mettere alla prova i nostri intenti di classificazione tipologica. L‟esempio della BFU ci porta a non escludere da principio la possibilità di compilare le istruzioni per la costruzione di un artefatto, ripetibile in innumerevoli variazioni, sostenuto da una struttura determinata, ma le cui relazioni interne restano da definire nel tempo secondo le esigenze degli utenti. Questa ipotesi provocatoria mette in discussione il concetto di tipo nella sua formula, resiste comunque all‟interno del suo campo di definizione, così come il non senso appartiene alla significazione e non all‟assenza di senso.

È utile ora introdurre alcune questioni sul senso96, in quei campi dove abbiamo delle coincidenze di interesse, utilizziamo una considerazione sull‟opera di Beckett svolta da Theodor Wiesegrund Adorno: “I drammi di Beckett sono assurdi non a causa dell‟assenza di ogni senso – in tal caso sarebbero irrilevanti – ma perché dibattono il senso. … Le opere d‟arte che si spogliano dell‟apparenza di sensatezza non perdono per questo il loro aspetto paralinguistico. Con la stessa determinatezza con cui le opere tradizionali annunciano il loro senso positivo, esse enunciano come proprio senso l‟insensatezza. Di questo

95 “…traccia, ciò che non si lascia riassumere nella semplicità del presente”, in Jacques Deridda, Della grammatologia, Jaka Book, Milano 1969, pag. 74. 96 Si deve distinguere tra le due fonti di queste riflessioni la prima fondativa è riferita a Deleuze in Logica del senso, il riferimento alla lettura di Beckett è tratto da Adorno. La distanza tra i due autori non permette di confondere i diversi punti di vista.

l‟arte è oggi capace: negando conseguentemente il senso essa rende giustizia ai postulati che una volta costituivano il senso delle opere”97. Questa non è ovviamente una spiegazione del distacco di Woods dalle tecniche compositive, le ragioni dell‟anti-architetto sono dirette al corpo della società e alle sue esigenze; questa di Adorno è la posizione della critica che interviene a cogliere lo spirito del processo in Beckett di cui proviamo a trovare un riflesso in Woods per non abbandonare le sue motivazioni nell‟angolo del rifiuto, ma ricondurle a un‟occasione del mestiere di architetto. Con lo studio della BFU ci troviamo a osservare una forma che viene sublimata nella struttura interna delle relazioni e questa condizione di criticità della forma ci avvicina „pericolosamente‟ al campo dell‟indeterminatezza del tipo. Vi è un secondo aspetto rilevante dopo aver riconosciuto la difficoltà a intendere il principio progettuale della BFU in riferimento a il suo esito in termini di forma: riguarda il versante disciplinare e il dibattito che questa costruzione in progress ha suscitato. L‟operazione compiuta da Alison Smithson nell‟articolo How to read and recognize mat-building98 crea le condizioni per considerare la BFU come esito di un processo di definizione di modalità insediative che dall‟identificazione di costanti morfologiche nell‟organizzazione a ritroso dei precedenti presenta un fenomeno insediativo che suggerisce la „nascita di un tipo‟. La ponderazione di tale ipotesi, seppur difficile da sostenere e non dimostrabile per un singolo episodio, in quanto esito di un processo collettivo, offre tuttavia alcuni elementi di interesse per domandarsi se il concetto di tipo, inteso come strumento progettuale e classificatorio, possa subire diverse declinazioni operative rispetto alle variazioni della forma degli artefatti con cui interagisce. La crisi semantica del tipo99 nella nuova visione della Smithson sembra momentaneamente superata da un esito, un edificio che realizzava un principio progettuale che dissimulava le problematiche della forma. Le affermazioni sulla nascita di un tipo, naturalmente, comportano anche

97 Theodor W. Adorno, Teoria estetica, op.cit., pag. 259. 98 Op.cit. [2.03.02, la strada interna]. L‟articolo della Smithson consta di un breve testo di circa 2000 battute e della sequenza dei precedenti. La rilevanza in questo lavoro più che al saggio in sé deve essere rivolta all‟influenza che ebbe nel dibattito disciplinare. 99 Vittorio Gregotti, Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano 1966, pag. 157.

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l‟eventualità del suo epilogo dal punto di vista operativo. La sorpresa di questa affermazione azzardata può essere subito attenuata dal riconoscimento della conclusione di un iter sostenuto da una condizione sociale straordinaria, che se riferita ai tempi di definizione dei tipi in architettura può sembrare come una zattera durante un naufragio.100 L‟intervento della Smithson non si espone direttamente investendo il terreno della tipologia, ma ne crea le condizioni. Abbiamo utilizzato come guida, per verificare la possibilità argomentativa di queste riflessioni (e non la loro prova) la voce tipologia101 curata da Argan che pone l‟eventualità della „nascita di un tipo‟ e abbiamo scorto nell‟intervento della Smithson le condizioni necessarie (ma non sufficienti) per promuovere l‟argomento, che abbiamo già precedentemente individuato con i lineamenti di un nuovo paradigma102. La tensione nel tenere unita la polemica tra oggetti comparabili è un indicatore della possibilità di riconoscerli come appartenenti a un tipo; il confronto serrato tra la BFU e un‟immagine di Giant‟s Causeway, un breve tratto di scogliera dell‟Irlanda del Nord con le caratteristiche rocce a forma esagonale, viene scelto dalla Smithson per illustrare la realizzazione di un edificio assicurativo ad Appeldoorn che malgrado le critiche evidentemente contribuisce a evidenziare il fenomeno insediativo riferito al tipo a matrice. L‟evidenza della somiglianza tra l‟edificio di Hermann Hertzberger ad Appeldorn e il suggestivo „gioco‟ della natura è efficace; oltre all‟analogia formale il confronto pone una questione del rapporto tra un caso della natura che si misura in modo stupefacente con la forma, tanto da trovare il suo fascino in questo corto-circuito di ambiguità a scala del paesaggio103.

100 L‟analogia è volutamente ambigua; il lettore ovviamente può scegliere la sua interpretazione, chi scrive pensa a un naufrago che nella zattera può trovare la salvezza, altri, gli armatori, possono dolersi per la nave perduta. 101 Tipologia, voce a cura di Giulio Carlo Argan, in Enciclopedia Universale dell’arte, op.cit. “La nascita di un tipo è dunque condizionata dal fatto che già esista una serie di edifici aventi tra loro una evidente analogia funzionale e formale; in altri termini, quando un tipo si fissa nella teoria o nella prassi architettonica esso già esiste, in una determinata condizione storico-culturale, come risposta a un insieme di esigenze ideologiche o religiose o pratiche.” Si veda inoltre On Tipology op.cit pag. 28 102 [1.04.04] 103 Il microscopio, ma anche la sola osservazione a occhio nudo ci mostra i rapporti tra geometria e natura; basti per questo tornare al libro di Weyl Simmetry. La suggestione delle

In Giant‟s Causeway la geometria, improvvisamente, si mette al servizio della natura seguendo la misura umana. La scelta dell‟esempio da parte della Smithson è evidentemente sostenuta dalla critica “heavy loaded” che si contrappone alla leggerezza delle soluzioni costruttive della BFU. La critica che vi possiamo leggere oltre che in termini di contrapposizione tra leggerezza e pesantezza è rivolta alla persistenza da tempi immemorabili di Giants Causeway contrapposta alla possibilità di trasformazione e di interpretazione del futuro della BFU; questo il messaggio selezionato dall‟immagine come più evidente disapprovazione attribuita dalla Smithson. Vi interpretiamo in modo defilato anche una considerazione definitiva di ostilità alla forma che nell‟esempio proposto appartiene alla materia senza distinzione104. Il progetto per Appeldoorn rappresenta l‟altro estremo dell‟oscillazione attorno a cui collocare il tipo a matrice e il riferimento diretto è rivolto dalla Smithson alla procedura compositiva dell‟Orphanage: “Appeldoorn‟s architect, by using his own particolar inheritance – the Children‟s house…”105. Per distinguere un fenomeno insediativo106 è necessario definire una serie e l‟Orphanage gioca un ruolo nodale anche nella sequenza a ritroso che individua i precedenti della BFU. Infatti nella sequenza predisposta dalla Smithson tra i progetti illustrati precedenti all‟Orphanage, a parte Katsura, la villa imperiale a Kyoto, non riscontriamo

colonne esagonali di basalto nella costa irlandese dipende dalla vicinanza con la scala umana, con la percezione di un disegno della natura a una misura prossima a quella dell‟uomo. 104 La scelta di riportare nell‟articolo Giant‟s causeway può aprire a più fronti di riflessione: la questione a prima vista richiama è il rapporto forma-materia ma se poi si guarda al rapporto tra geometria e natura il problema diviene relativo alla scala in cui si osservano gli oggetti o il paesaggio. Non si sono trovate reazioni alla provocazione della Smithson, quindi è difficile capire quale sia stato il livello di lettura di questa ironica sostituzione; ciò che la rende interessante è la sua enigmatica capacità di attivare più livelli di riflessione. Per esempio partendo da questo principio: “ciò che cangia è la materia ciò in cui essa cangia è la forma”, Aristotele , Metafisica, Laterza, Roma-Bari 1990, Libro XII, 2-3, 1070 a. 105 how to read and recognize mat-building, op.cit., pag. 573. 106 Si alterna l‟utilizzo del termine fenomeno a tipo insediativo; come criterio generale si usa fenomeno quando ci si rivolge a opinioni che avvengono contestualmente, ossia senza la possibilità di riconoscere il fenomeno con una distanza storica; quando si allarga la prospettiva il fenomeno diviene tipo.

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le caratteristiche che abbiamo individuato per circoscrivere il fenomeno. Diviene allora importante considerare gli elementi di specificità dell‟Orphanage rispetto ad altri tipi e le procedure di manipolazione tipologica che hanno condotto alla „profonda modificazione strutturale‟107 del tipo di partenza nel processo progettuale dell‟Orphanage. Il tipo a patio108 viene trascelto da van Eyck come base per le prime tre serie di schemi organizzativi del processo progettuale, poi nel passaggio in cui il patio centrale si contraeva, sino a scomparire a favore di un‟articolazione interna unitaria, abbiamo identificato il punto di convergenza delle componenti formali e distributive in cui riconoscere la definizione della struttura del progetto [dis. 10]. L‟analisi della sequenza degli elaborati grafici nel loro avvicinarsi alla soluzione architettonica dell‟Orphanage ha individuato una procedura progettuale di ordine tipologico che avanza per gradi successivi operando all‟interno delle „tradizionali‟ tecniche compositive, anzi per usare un termine di van Eyck che ne accentua le potenzialità, tramite una “disciplina configurativa”. Ritornando sulla questione della nascita di un tipo, come traccia si è tentata un‟argomentazione per ricondurre l‟emergere di un fenomeno insediativo all‟interno della trattazione sulla tipologia. Favoriti da un dubbio sulla plausibilità verso realizzazioni che non erano appartenenti alla medesima serie per la loro forma ma per i loro principi ordinatori e per il fatto determinante che una comunità disciplinare si riconosceva in questo fenomeno, anche tramite posizioni contrastanti sugli esiti progettuali, eppure necessari, poiché tali contrasti erano la base dell‟operabilità del confronto. La sequenza dei precedenti disposta dalla Smithson suggerisce che l‟inizio della „profonda modificazione strutturale‟ è conseguente al progetto dell‟Orphanage, esito di un metodo che esalta il procedimento compositivo forzando il rapporto tra parti e intero. La verifica di questo aspetto è dimostrabile nel disegno, si manifesta nel modo più evidente nelle intenzioni dell‟autore e per questo si è data una tale evidenza alle ricerche etnografiche sui Dogon, poiché lì emerge un valore di unità qui perduto e lì trovato.

107 Tipologia, voce a cura di Giulio Carlo Argan, in Enciclopedia Universale dell’arte, op.cit. 108 Sulla rilevanza del tipo a patio riferito alla dimensione ideologica nei progetti indirizzati a un forte spirito umanistico si è trattato nel capitolo 1.04.04 Un nuovo paradigma.

L‟indifferenza apparente dei due termini, senso e tipo, che comprendono gli estremi di questo scritto, possono attivare in una realtà remota, ma presente, una distanza tra concetti difficili da misurare. In una società dove il lavoro possiede ancora109 una dimensione sacra110 le rivelazioni di Ogotommeli agiscono come una forza magnetica tra due poli. L‟ambivalenza tra la tessitura e il dono della parola per i Dogon contiene un creato di forme che si intrecciano tra loro in tutte le attività, coinvolgendo il corpo dell‟uomo, gli antenati, il campo per coltivare il miglio, la coperta del morto111 e ogni cosa, in un unico disegno riconoscibile solo rivolgendosi alla tradizione, senza distinzione tra bisogni e desideri. Tutte le attività della comunità Dogon tendono ad avvicinarsi a un unico disegno; un disegno dominante tende ad avvolgere ogni cosa in ogni livello della loro vita. Possiamo parlare di tipo per esempio per la pianta del villaggio o per la casa, probabilmente per il visitatore occidentale può essere un utile strumento di catalogazione ma se proviamo a riflettere tramite le loro regole di aggregazione non sembra che la cultura Dogon avesse necessità del tipo. Anzi tutto sembra rivolto all‟annullamento della classificazione che richiede separazione in quanto il senso, la parola, che è nata dalla tessitura avvolge tutte le vite. Abbiamo suggerito una lettura della BFU dove il tipo diviene più che strumento, e tende a sovrapporsi allo stesso principio progettuale che escludendo la fissità della forma viene traslato in non senso. Nella condizione esemplare di una visione del tempo verticale come nel villaggio Dogon, il senso viene a inglobare il tipo, poiché classificare ossia separare, ridurre a poche componenti trasmissibili, è integrato nel senso come se non fosse possibile distinguerlo.

109 Alcune questioni rilevanti sulla permanenza delle tradizioni nell‟area di Bandiagara si trovano in Togu Na, op.cit. 110 Per quanto non sia emerso finora nello scritto sono risultati determinanti ai fini degli indirizzi presi in riferimento al rapporto tra tempo e natura alcuni scritti di Mircea Elide e in particolare il saggio Homo faber e homo religious, in Mircea Eliade, Spezzare il tetto della casa, Jaca Book, Milano 1997, pagg. 245-257. 111 È una scacchiera tessuta; “Essa simboleggia: la coperta del morto, con le sue otto file di quadrati neri e bianchi che esprimono la moltiplicazione delle otto famiglie; / -la facciata della grande casa, con le sue ottanta nicchie, dimore degli antenati; - i campi coltivati, tessuti come la coperta; / - i villaggi, con le loro viuzze che fungono da cuciture, e, in modo più ampio, tutta la regione abitata, dissodata o utilizzata dagli uomini.” Dio d’acqua, op.cit. pag. 149.

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Ci si trova così tra due estremi nel far interagire senso e tipo: senso rivela se stesso solo nel movimento del soggetto e tipo è un‟astrazione che scompare in fronte alla realtà dell‟oggetto così entrambi condividono la condizione di essere intermediari e di non poter essere fissati definitivamente. Tuttavia l‟interrelazione tra i due termini crea una griglia di interpretazione per tenere assieme punti di vista diversi che è stata lo strumento utilizzato per la comparazione tra l‟Orphanage e la BFU, per infine scoprire che senso e tipo definiscono, in questi due casi di studio, tali oscillazioni nei loro rapporti che portano a riconoscere i limiti in cui ciascuno, reciprocamente, tende ad annullarsi nell‟altro.

Per far cogliere tali oscillazioni si utilizza l‟immagine di un accampamento nomade paragonato alla scogliera irlandese per stabilire un contrasto adeguato all‟analogia proposta dalla Smithson. L‟esempio dell‟accampamento nomade viene suggerito leggendo i resoconti dell‟incontro di Rotterdam precedente di alcuni mesi alla stesura dell‟articolo della Smithson, dove viene affrontato il tema “the nature of fabrics which can support spontaneity and diversity”112. Il sovrapporre l‟immagine della tenda come simbolo di permanenza sostenuta da van Eyck113: “When I see a Bedouin tent, I have an enormous feeling of permanence, even if they move somewhere else, that still gives me an idea of permanence” con la scogliera di Giant‟s Causeway incrocia due paradossi che sono entrambi generatori di un senso convergente. Quindi, per mettere in equilibrio il paragone proposto dalla Smithson, sempre operando con il metodo delle serie parallele, suggeriamo il confronto della scogliera di Giant‟s Causeway con un‟immagine dell‟accampamento del re del Marocco installato per una visita ufficiale avvenuta nel gennaio 2006 a Chechaouen. Così una grande opera in pietra della natura viene comparata con un sofisticato villaggio, una reggia nomade, per tenere assieme due configurazioni, l‟una della natura rivolta verso l‟uomo, l‟altra dell‟uomo per abitare la natura, che invitano a trarre le ultime deduzioni, astraendo in immagini, sul dissidio tra struttura-permanenza e forma-persistenza.

112 Team 10 meetings, op.cit., pagg 130-145. 113 Tenuto conto che la Smithson era tra le maggiori sostenitrici della BFU ancor più dei partner di Woods, abbiamo selezionato a rappresentare un‟immagine dei due edifici incrociando edifici e progettisti-sostenitori.

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L’ARCHEOLOGO DEL FUTURO

3.04

La definizione di un nesso risolutivo nell‟ipotesi della consequenzialità tra l‟Orphanage e la BFU è il passaggio più difficile. Questa ipotesi è già stata anticipata dal punto di vista dei contenuti nei dialoghi di Royamount e verificata nel merito delle procedure compositive, evidenti nel processo progettuale di van Eyck, e portate a un „grado zero‟ nel sistema elaborato da Woods. Combinando queste due condizioni e sommandole si constata che le possibilità offerte da questa storia, per quanto recente, per riconoscere una crescita della conoscenza in architettura, richiede di operare sui limiti della disciplina, non al centro delle sue prerogative, ma verificandone la tenuta sui bordi114.

“There were doors all round the hall, but they were all locked; and when Alice had been all the way down one side up the other, trying every door, she walked sadly down the middle, wondering how she was ever to get out again.” 115 Il paradosso della città senza il movimento dei bambini è un pensiero che ci colpisce per la sua evidenza, e lo troviamo interpretato e risolto in una piccola città che li accoglie. Il „non senso,‟ come chiave di lettura della proposta di Woods ha portato a interpretare il grado di libertà

ovvero sulla libertà di crisi. 114 Un bordo come un muro con molte porte, le stesse porte che si presentano ad Alice nel paese delle meraviglie all‟inizio dell‟avventura. La lettura di Alice e di altri racconti di Carroll fatta da Gilles Deleuze in Logica del senso è l‟impulso che ha sostenuto l‟ultima parte di questo lavoro e la ragione per cui si è affrontata la questione, vertendo attorno al paradosso come generatore del senso. Leggendo gli spazi dell‟Orphanage come un racconto, la chiamata in causa di Carroll diviene quasi inevitabile. Il passaggio dal grande al piccolo, la costante attenzione a cogliere l‟ambiguità, il doppio senso o meglio l‟intercalarsi tra senso e non senso sono i temi che lungo l‟attività teorica di van Eyck hanno costituito il fulcro di un modo di operare, „luoghi e occasioni‟ che in Alice appaiono, in Deleuze diventano discorso. Così si ricorda la sfida al senso comune rivolta dall‟immaginazione nel corso del primo intervento di van Eyck a Bridgewater nel 1947, e come il paradosso in Deleuze „distrugge il senso comune come assegnazione di identità fisse,‟ (Logica del senso , op.cit., pag. 11). 115 Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland, Everyman‟s Library, London 1992, pag. 15.

del sistema costruttivo della BFU come un tentativo di aprire un varco alla generazione di senso. Queste chiavi di lettura sono date dai libri di alcuni studiosi che si riconoscono nello „strutturalismo‟, scritti quasi contemporaneamente alle vicende progettuali. Quindi sono intese come l‟espressione di un momento storico in cui ciascuna disciplina, con un moto convergente, arriva a trovare punti di tangenza. L‟esempio dell‟interpretazione dell‟Orphanage come campione della corrente culturale dello strutturalismo è emblematico di questa indipendenza dell‟autore il quale all‟interno del suo lavoro coglie un filo di pensieri che poi ritrova al di fuori del suo tavolo da disegno. Abbiamo sostenuto che una valutazione dei criteri progettuali, nel suo valore topologico, della concezione strutturale del dispositivo organizzativo, e del „linguaggio‟116 della costruzione nella serie Orphanage-BFU rendeva questa omologazione dell‟Orphanage da ricollocare rispetto alla chiarezza dei requisiti della BFU117.

Nelle diverse condizioni culturali vi sono delle costruzioni che realizzano, rendono visibile e memorabile un momento storico. L‟interesse che raccolgono è legato alla sintonia con i valori che assumono rispetto a quelli che la società cerca, in relazione ai significati che un‟opera per la propria qualità intrinseca è in grado di trasmettere. Abbiamo visto nell‟Orphanage e nella BFU dei valori condivisi espressi in modi diversi ma concilianti verso la creazione di un ambiente sospeso tra l‟edificio e la città; in entrambi i casi non un grande edificio né una piccola città ma una scala insediativa che interveniva nello spazio tra le cose, per un “„habitat‟ organically integrated in a environment”118. Un obiettivo distante e mobile comparso per pochi anni a cavallo degli anni sessanta e poi in un decennio rimosso dall‟orizzonte disciplinare119. La reazione all‟interpretazione delle

116 Se l‟Orphanage può essere paragonato a un racconto, allora la BFU presenta la disponibilità di un linguaggio. 117 La ricerca d‟altronde ha evitato di ripercorrere la strada delle classificazioni della critica; si è intervenuti sul filone megastruttura per riposizionare i problemi, poiché portava delle rilevanti valutazioni nel rapporto tra edificio e città. Altre questioni che hanno coinvolto queste architetture come per esempio il „brutalismo‟ (l‟Orphanage) sono state evitate. 118 Vedere definizione di Habitat nell‟invito al X CIAM di Algeri. 119 Il tentativo di costruire a partire da queste esperienze una genealogia viene affrontato da Timothy Hyde in una pubblicazione dedicata all‟ospedale di Le Corbusier a Venezia. Ciò che risulta da questa selezione è che la tendenza a organizzare un Habitat organicamente

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esigenze della società ha poi separato nuovamente il campo di ricerca in due discipline, rendendo distanti le reciproche esigenze. Ma queste sono distanze misurabili e non diversità imponderabili. Ciò che comunque rende difficile il confronto è che, di fatto, la sperimentazione del tipo insediativo si è fermata a poche situazioni specifiche, ad attrezzature speciali, e non ha affrontato il grande problema dell‟edilizia residenziale pubblica. L‟unico tentativo di van Eyck per l‟intervento sperimentale di Buikslotermeer si era risolto con un „fallimento‟. Le successive sperimentazioni, per esempio a Lima, sono evidentemente orientate verso il tipo a patio, senza cercare il livello di integrazione proprio della matrice. Qui ci si ferma evitando la questione sulle potenzialità degli sviluppi futuri o le verifiche attuali del tipo insediativo. Si vuole fissare piuttosto un momento preciso, poiché evidenzia una presa di responsabilità e un atteggiamento di autocritica, che oltre a trasmetterci in modo diretto i problemi, rimane una condizione costante di assunzione di responsabilità. La trasmissione delle responsabilità viene definito tra le generazioni da un testimone rappresentato dai problemi dell‟Habitat per il grande numero, un tema che dall‟inizio degli anni cinquanta poneva gli architetti di fronte alle responsabilità delle trasformazioni fisiche e costituiva il dominio del loro agire.

Una finzione ci fa comprendere queste tensioni, ed è la storia di un

archeologo che nel 2000 scava le rovine delle periferie, realizzate nel dopoguerra, immaginate coperte dalla polvere di un‟eruzione, come accadde a Pompei con le polveri del Vesuvio. A questo archeologo, che nel 2000 scava tra le rovine delle periferie e delle nuove città realizzate nel dopoguerra, si vuole chiedere quali saranno le sue valutazioni sui modi di vita degli uomini che vivevano quei luoghi. Bakema e van Eyck in un momento di „entusiamo riflessivo‟ pubblicano su “Forum” un breve intervento intitolato 1960-2000120, in risposta alla lettera di Le Corbusier

integrato, uno spazio di mezzo tra casa e città, non sia stato più affrontata come possibile soluzione se non limitata a casi straordinari. La raccolta è utile, poiché mette in evidenza la sostanziale interruzione (a parte alcune realizzazioni di Hertzberger) della operatività del tipo successivamente all‟inizio degli anni settanta (Timothy Hide, How to construct an architectural genealogy, in Le Corbusier‟s Venice Hospital, op.cit., pag. 104-117). 120 “Forum”, n. 1, 1962 pag. 74; il testo era stato scritto precedentemente alla lettera di Le Corbusier (5 luglio 1961) nelle sue linee essenziali e veicolato tramite il bollettino del B.P.H. (Post Box for the development of the Habitat) del 27 gennaio 1961. Il fatto che sia il

che valuta l‟attività del congresso di Otterlo: “Je suis très content de voir la ligne de conduite adoptée par les gens d‟Otterlo”121. Il gioco del tempo nella finzione di Bakema e van Eyck, che pongono una domanda all‟archeologo nel futuro, rovescia la condizione dell‟architetto che costruisce le forme per quel futuro immediato. Quindi si crea la necessità della verifica delle responsabilità del proprio agire a due generazioni di distanza e la volontà di raccogliere un giudizio, che già riconoscevano come critico; anziché affrontare l‟idea del futuro soltanto tramite il carico di aspettative che la società in quel preciso momento gli assegnava.

L‟archeologo che si troverà a comparare i resti delle case a patio di

Pompei con le periferie del dopoguerra, quale giudizio darà sulle comunità di cui indaga le rovine? Vi sono varie direzione in cui questa scena aperta si può evolvere. L‟interesse consiste proprio in questa consapevolezza di allora per scegliere l‟indirizzo della propria storia, e ora che anche quel futuro si è rivelato si vuole cercare ancora il „contributo insostituibile alla secolare ricerca del senso della storia‟. La ricerca dell‟archeologo che con i suoi strumenti scava nei sedimenti del tempo e opera una catalogazione dei suoi reperti contiene le potenzialità, tramite l‟architettura, di riconoscere indizi dei valori che le comunità assumono attraverso il tempo per poterle leggere assieme. Tutte le epoche compaiono al di fuori delle cause e delle intenzioni, stratificate nella loro realtà fisica, e i criteri di ricerca trattano ogni cosa con il medesimo riguardo e attenzione poiché ogni frammento può aiutare a ricomporre la storia. Al tempo stesso ora le domande rivolte all‟archeologo, per capire cosa può trovare, ci fanno recuperare una traccia per il futuro. Cosa cerca l‟archeologo immaginato ci pone di fronte a una

disegno di Le Corbusier che il saggio di Bakema e van Eyck vertano sulla questione delle generazioni, disegnando le fasi del tempo, rende a una prima lettura evidente la consequenzialità dell‟intervento „1960-2000‟ con le fasi disegnate da Le Corbusier e rappresentate da un uomo sulle spalle dell‟altro. Il fatto che invece il saggio sia precedente di alcuni mesi può aprire due possibilità. La prima, che si tratti di una coincidenza sfruttata opportunamente da Bakema e van Eyck, la seconda consiste nell‟ipotesi, da verificare con riscontri d‟archivio, che la lettera sia stata anche suggerita a Le Corbusier dalla lettura del bollettino del B.P.H. di gennaio, e quindi diverrebbe parte di un dialogo ancora leggibile nelle due pagine di Forum. 121 Pubblicata in “Forum” n. 1, 1962, pag. 73 riprodotta nella scheda [mat. 1.02.03b] con il disegno dei due uomini uno sulle spalle dell‟altro a iniziare una piramide di uomini per innalzare un vessillo.

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domanda rivelatrice, senza tempo: “Could the ruins of our housing for the great number convince the archeologist that this age was the age of more freedom for everybody?”122.

122 “Forum”, n. 1, 1962, pag. 74.

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INDICE

SUCCESSIONE E ANALISI DEGLI EVENTI 1.01 Habitat

1.01.01 Esame di recupero 1.01.02 Casablanca e l‟emergenza del grande numero 1.01.03 Immaginazione come nesso tra vita e arte 1.01.04 L‟approccio ecologico 1.01.05 The greater reality of the doorstep

1.02 Sulle spalle dei giganti

1.02.01 Crisi (e perdita) d‟identità 1.02.02 Anomalie 1.02.03 Autonomia e riconciliazione 1.02.04 Knowledge is a servant of thought and thought is a

satellite of feeling

1.02.05 Rettifiche 1.03 Dialoghi costruttivi

1.03.01 Altre idee 1.03.02 La sfera architettura-città 1.03.03 Il cliente anonimo: intenti ed esiti 1.03.04 The door to the future must be left open

1.03.05 Città e Società, trasformazioni reciproche 1.03.06 Il dattiloscritto di Clarissa Woods 1.03.07 Riflessioni sul dominio della città

1.04 Nuova dimensione insediativa

1.04.01 I limiti dell‟Architettura 1.04.02 Processo di trasformazione del sistema insediativo 1.04.03 La trama urbana 1.04.04 Un nuovo paradigma 1.04.05 Un progetto di frontiera

LETTURA COMPARATA DEGLI ARTEFATTI 2.01 Sequenze di avvicinamento

2.01.01 Relazioni con il contesto (cercate e/o trovate) 2.01.02 Modi d‟uso: efficienza e trasformazioni 2.01.03 Osservazioni in dettaglio

2.02 Dai requisiti funzionali ai principi progettuali

2.02.01 L‟Orphanage: un caso difficile 2.02.02 La varietà rigorosa, una tessitura composta 2.02.03 BFU: nuovi modelli organizzativi per l‟università 2.02.04 L‟ordine flessibile, la maglia a due scale Modulor + M 2.02.05 Lo spazio in funzione del tempo

2.03 Concezione dello spazio

2.03.01 Notte e giorno 2.03.02 La strada interna 2.03.03 A bunch of places

2.03.04 L‟edificio come strumento 2.04 Procedimenti progettuali

2.04.01 Il processo compositivo dell‟Orphanage: pensiero obliquo 2.04.02 I dieci punti del paradigma di un‟equipe per la BFU 2.04.03 Confronto

INTERPRETAZIONE DEL TEMPO 3.01 Aldo van Eyck e “gli incontri con Ogotemmeli” 3.02 Shadrach Woods e il ritorno al mito della quarta dimensione

3.03 Tipo e senso

3.04 L‟archeologo del futuro