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N° SENT
N° RGAC
N° CRON
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Roma – Sezione Tribunale delle Imprese - Terza Sezione Civile,
composto da
dott. Francesco Mannino Presidente
dott. Stefano Cardinali Giudice
dott. Francesco Remo Scerrato Giudice relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n° 27519, Ruolo Generale dell’anno 2014
e trattenuta in decisione all’udienza dell’11 aprile 2016, vertente
TRA
PRADO TRE SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a
Roma, via Pompeo Magno n° 2/b, presso lo studio dell’avv.to Filippo De Magistris e
dell’avv.to Stefano Bassarelli, da cui è rappresentata e difesa, anche disgiuntamente,
in forza di procura speciale a margine dell’atto di citazione,
OPPONENTE
E
PISANO Mirko, elettivamente domiciliato a Roma, circonvallazione Clodia n° 5,
presso lo studio dell’avv.to Giovanni Tripodi, da cui è rappresentato e difeso in forza
di procura speciale a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore,
OPPOSTO
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.
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Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016
http://bit.ly/2nJGZFL
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CONCLUSIONI:
per la parte opponente (memoria ex art. 183/6 n° 2 c.p.c., richiamata all’udienza
di p.c.): “Piaccia all’Ecc.mo Giudice adito, ogni contraria domanda ed/od eccezione
disattesa e reietta, preliminarmente accertata la tardività e la conseguente, insanabile
inammissibilità della domanda per arricchimento senza causa formulata per la prima
volta in sede di note ex art.183 VI comma n.1: in via principale, accertare e dichiarare
l’inesistenza dei presupposti di legge per la concessione del decreto ingiuntivo e, per
l’effetto, dichiarare la nullità e/o l’inesistenza e, in ogni caso, l’illegittimità del
decreto ingiuntivo n. 5288/2014, comunque revocandolo e dichiarandolo privo di
effetti, con ogni conseguenza di legge; sempre in via principale, accertare e dichiarare
la nullità e/o l’annullabilità e, comunque, l’inefficacia dell’accordo negoziale per la
cessione delle quote della Prado Tre S.r.l. stante l’inesistenza e/o l’impossibilità ed/od
altro insanabile difetto dell’oggetto ivi dedotto e, in via subordinata, accertare
l’inesistenza di qualsivoglia comportamento inadempiente da parte dell’odierna
opponente rispetto ad ogni eventuale impegno e, conseguentemente, in ogni caso,
previa declaratoria dell’illegittimità di ogni correlata pretesa, dichiarare la nullità e/o
l’annullabilità e, in ogni caso, l’illegittimità del decreto ingiuntivo n. 5288/2014,
comunque revocandolo e dichiarandolo privo di effetti, con ogni conseguenza di
legge; in ogni caso condannare il convenuto al pagamento delle spese e delle
competenze relative al presente giudizio, da distrarsi in favore dei sottoscritti
procuratori che si dichiarano antistatari”;
per la parte opposta (memoria ex art. 183/6 n° 1 c.p.c., richiamata all’udienza di
p.c.): “Si insiste ai sensi dell’art 648 cpc per la provvisoria esecuzione del decreto
ingiuntivo opposto stante l’infondatezza dell’opposizione. Nel merito: confermare il
decreto ingiuntivo opposto e di conseguenza rigettare tutte le richieste di parte attrice
poiché infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate. In via subordinata e
per mero scrupolo difensivo, si chiede la restituzione della somma portata
dall’assegno di € 50.000,00 -previo accertamento dell’indebito arricchimento della
Prado Tre srl- e la condanna della medesima al pagamento della stessa somma a titolo
di indennizzo ex art. 2041 c.c.. Con vittoria di spese e onorari di causa”.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con tempestiva citazione l’attrice Prado Tre S.r.l. proponeva opposizione
avverso il decreto ingiuntivo n° 5288/2014 del 6/3/2014 di questo Tribunale (n°
79938/2013 Rg), ottenuto dal convenuto Pisano Mirko per il pagamento della
complessiva somma di 100.000,00 euro, oltre interessi e spese, a titolo di restituzione
del doppio della caparra a suo tempo versata dal Pisano a margine di una operazione
di acquisto del capitale della stessa opponente. Al riguardo l’attrice eccepiva la nullità
dell’accordo posto alla base del provvedimento monitorio, atteso che essa stessa
risultava cedente del proprio capitale sociale, nonché l’inesistenza di un qualsiasi
proprio preteso inadempimento contrattuale, non potendo essa rispondere delle
condotte dei propri soci non presentatisi davanti al notaio, nonché l’inammissibilità di
qualsiasi esame ex art. 1385 c.c. in sede monitoria. Tanto premesso, l’attrice
concludeva in citazione nei seguenti termini: “Piaccia al Giudice adito … in via
principale, accertare e dichiarare l’inesistenza dei presupposti di legge per la
concessione del decreto ingiuntivo e, per l’effetto, dichiarare la nullità e/o
l’inesistenza e, in ogni caso, l’illegittimità del decreto ingiuntivo n. 5288/2014,
comunque revocandolo e dichiarandolo privo di effetti, con ogni conseguenza di
legge; sempre in via principale, accertare e dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e,
comunque, l’inefficacia dell’accordo negoziale per la cessione delle quote della Prado
Tre S.r.l. stante l’inesistenza e/o l’impossibilità ed/od altro insanabile difetto
dell’oggetto ivi dedotto e, in via subordinata, accertare l’inesistenza di qualsivoglia
comportamento inadempiente da parte della odierna opponente rispetto ad ogni
eventuale impegno e, conseguentemente, in ogni caso, previa declaratoria
dell’illegittimità di ogni correlata pretesa, dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e, in
ogni caso, l’illegittimità del decreto ingiuntivo n. 5288/2014, comunque revocandolo
e dichiarandolo privo di effetti, con ogni conseguenza di legge; in ogni caso
condannare il convenuto al pagamento delle spese e delle competenze relative al
presente giudizio, da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori che si dichiarano
antistatari. …”.
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Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016
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Si costituiva in giudizio il convenuto Pisano Mirko, che concludeva per il
rigetto dell’opposizione, attesa l’infondatezza in fatto e in diritto di tutte le richieste
attoree, con la conseguente conferma del provvedimento monitorio e con vittoria di
spese di lite
Nel corso del giudizio era rigettata l’istanza ex art. 648 c.p.c. e si costituiva
nuovo procuratore per il convenuto, con conseguente definitiva precisazione delle
conclusioni da ambo le parti.
La causa veniva istruita solo con produzione di documentazione varia, essendo
stata ritenuta superflua ogni ulteriore attività istruttoria, ed all’udienza dell’11/4/2016
era trattenuta in decisione con l’assegnazione dei termini di legge per il deposito di
comparse conclusionali (60 giorni) e di memorie di replica (ulteriori 20 giorni): i
termini ex art. 190 c.p.c. sono scaduti il 30/6/2016.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’opposizione è fondata nei limiti di cui in motivazione, ma l’appellante va
condannata al pagamento della minor somma di 50.000,00 euro.
In punto di fatto si rammenta che con ricorso per decreto ingiuntivo l’odierno
convenuto opposto ha allegato che in data 1/10/2013 aveva proposto (per se o per
persona da nominare) all’odierna opponente (proprietaria dell’azienda di ristorazione
denominata ‘MET’) l’acquisto della totalità delle quote di partecipazione al proprio
capitale sociale; che il prezzo complessivo della cessione delle quote (comprensivo
anche della cessione dell’azienda MET) era stato fissato in €.1.400.000,00 da
corrispondere, quanto ad €.50.000,00, a titolo di caparra (importo poi effettivamente
versato a mezzo di assegno bancario tratto su BNL e del quale era prevista la
restituzione in caso di mancata accettazione); quanto a 400.000,00 euro alla stipula
dell’atto notarile di cessione (da perfezionarsi entro e non oltre il 30/10/2013) e
quanto al saldo residuo (da computarsi anche con riferimento alle poste debitorie
esistenti in capo alla Prado Tre S.r.l.) pari ad 250.00,00 euro in ulteriori tre rate
mensili decorrenti dalla stipula; che la proposta era poi stata effettivamente accettata
da parte della società, che in data 30/10/2013 aveva proceduto all’incasso
dell’assegno; che stante l’intervenuta accettazione della proposta, a mezzo
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Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016RG n. 27519/2014
Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016
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telegramma del 3/11/2013, aveva confermato che la stipula per la cessione delle quote
avrebbe avuto luogo il giorno seguente presso lo studio del Notaio Pietro Marzano;
che il giorno 4/11/2014 (così come, precedentemente, in data 25/10/2013 e
30/10/2013) non si era potuto procedere alla stipula stante la mancata presentazione
di due soci su quattro, essendo infatti presenti solamente i soci Mangione Gaetano e
Nicotra Marcello; che con successiva comunicazione, a mezzo PEC, dell’8/11/2013, a
mezzo del proprio legale, aveva contestato alla Prado Tre S.r.l. il grave
inadempimento contrattuale, chiedendo la restituzione del doppio della caparra; che a
detta comunicazione aveva replicato in data 13/11/2013 la società ingiunta,
comunicando, peraltro in contrasto con quanto riportato nella proposta, che la somma
di 50.000,00 euro era stata versata quale mero finanziamento, sia pure propedeutico
alla cessione delle quote.
Da parte sua la società opponente ha eccepito -da un lato- la radicale ed
insanabile nullità del titolo contrattuale posto alla base della pretesa monitoria, atteso
che la ‘proposta di cessione di quote’ prospettava la cessione dell’intero pacchetto
della partecipazione societaria della Prado Tre S.r.l. da parte della stessa Prado Tre
S.r.l., così realizzandosi l’impossibilità dell’oggetto negoziale, e -dall’altro- la “ …
illegittima delibazione di inadempimento che il giudice del procedimento monitorio
ha compiuto sulla base di una ricostruzione del tutto incongrua sia sotto il profilo
fattuale quanto abnorme sotto quello delle relative conseguenze giuridiche …” (cfr.
da ultimo, così in comparsa conclusionale).
Inoltre, quanto alla dedotta esistenza di un grave inadempimento negoziale in
capo ad essa attrice, quest’ultima in citazione ha eccepito che, in base alla stessa
prospettazione dell’opposto, detto lamentato inadempimento andava ascritto alla
condotta dei soci di essa attrice, prospettazione rispetto alla quale l’odierna attrice
deduceva che “ … parte ingiungente non abbia fornito alcun indizio comprovante
l’esistenza del preteso inadempimento nonché l’imputabilità dello stesso all’attrice
opponente, essendosi meramente limitata ad argomentare circa la riferita (e,
comunque, indimostrata) assenza di due dei quattro soci di Prado Tre in sede di
convocata stipula. Circostanza in merito alla quale l’odierna comparente nulla ha,
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peraltro, potuto dedurre, avendo in ogni caso contestato l’assoluta fuorvianza delle
allegazioni e pretese del convenuto opposto il quale ha argomentato l’inadempimento
da parte della odierna opponente al solo fine di ottenere un indebito vantaggio
patrimoniale. …” (cfr. così, da ultimo, in comparsa conclusionale).
In sede di comparsa di risposta, il convenuto opposto ha ricondotto la
controversia nell’ambito della tematica del contratto di vendita di cosa altrui,
ribadendo che, a fronte della conclusione del contratto e dell’incasso dell’assegno
portante la caparra, vi era stato l’inadempimento della società opponente.
Preliminarmente, trattandosi di oggetto di causa alla luce delle eccezioni
dell’opponente, giova ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento
anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito
dell’opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie
regole processuali (cfr. art. 645, 2° comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli
oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/2003; Cass. 6421/2003), con la
conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di
legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno
della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento
alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass.
15026/2005; Cass. 15186/2003; Cass. 6663/2002); quindi il diritto del preteso
creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere
adeguatamente provato, indipendentemente dall’esistenza -ovvero, persistenza- dei
presupposti di legge richiesti per l’emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass.
20613/2011).
Pertanto, rilevato che, contrariamente a quanto dedotto dall’opponente, non
emerge alcuna abnormità in ordine alla decisione del Giudice del monitorio -sul
punto poi si tornerà-, non vi è ora alcuna preclusione in ordine all’accertamento del
merito, in relazione ai fatti prospettati nel ricorso monitorio, contenente una normale
domanda di condanna: è pacifico che sia con il ricorso per decreto ingiuntivo che con
la domanda di rigetto dell’opposizione vi è implicitamente esercizio di un’azione di
condanna (cfr. Cass. 10104/1996; Cass. 9021/2005: “La richiesta di conferma del
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decreto ingiuntivo opposto, formulata dal creditore al momento della costituzione o
nel corso del giudizio di opposizione, comprende in sé in modo implicito la richiesta
di condanna al pagamento del credito o di una parte di esso, che può pertanto essere
pronunziata dal giudice per un importo inferiore a quello per il quale è stato emesso
il decreto ingiuntivo, anche in difetto di esplicita domanda in tal senso, senza
incorrere in vizio d ultrapetizione”).
Passando al merito, valgono le seguenti osservazioni.
Benché effettivamente nel ricorso non vi fosse alcun cenno alla fattispecie
contrattuale della vendita di cosa altrui, appare innegabile che, tenuti fermi i fatti
allegati e le richieste formulate in ricorso, ben possa prospettarsi appunto la
fattispecie negoziale della vendita di cosa altrui.
Al riguardo, in ciò in astratto condividendo le deduzioni svolte in citazione
dall’opponente, sarebbe sicuramente nullo, per inesistenza dell’oggetto, un contratto
in cui una S.r.l. vendesse il proprio capitale a terzi, anche in considerazione del fatto
che le quote del capitale sociale appartengono ai soci e non alla società e che solo i
primi possono essere considerati parti di un eventuale contratto di cessione.
Sul punto va ricordato che in base all’art. 2474 c.c. (nuovo testo) -si tratta di
disciplina identica a quella contenuta nell’art. 2483 c.c. (vecchio testo)- è previsto che
“in nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni
proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto o la loro
sottoscrizione”: si tratta di disposizione imperativa che impone il divieto, presidiato
dalla sanzione di nullità in caso di violazione, di operazioni della società che possano
intaccare l’integrità del capitale sociale ovvero che possano comunque incidere sulla
stessa formazione e composizione della compagine sociale.
In giurisprudenza è stato peraltro affermato che in astratto non sarebbe vietata
alla società la vendita del proprio capitale in termini appunto di vendita di cosa altrui:
sul punto la Cassazione ha avuto modo di precisare, con riferimento alla vecchia
disciplina societaria, ma il principio è ugualmente valido attesa la ricordata
coincidenza fra l’art. 2474 c.c. (nuovo testo) e l’art. 2483 c.c. (vecchio testo), che “in
tema di società a responsabilità limitata, la disposizione dell'art. 2483 c.c. -la quale
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fa divieto alla società, a garanzia dell'integrità del capitale sociale, di acquistare
proprie quote- non osta a che essa possa vendere le quote del socio quali beni altrui,
ai sensi dell'art. 1478 c.c., ossia assumendo l'obbligo di procurarne l'acquisto al
compratore, dato che l'automatismo e l'immediatezza del trasferimento al compratore
stesso di dette quote evita, nel momento in cui siano conseguite dalla società, che
questa divenga ‘partecipante di se stessa’, con pregiudizio della consistenza del
capitale” (cfr. Cass. 796/2000).
La citata sentenza, pur ritenendo il principio non rilevante ai fini della
decisione del caso concreto (cfr. citata Cass. 796/2000 in motivazione: “
…(l)'eventuale qualificabilità del contratto in questione come vendita di cose altrui,
con il corollario dell'applicabilità ad essa di detto principio, non potrebbe però
approdare ad un risultato utile per la ricorrente …”), richiama il precedente di Cass.
13123/1992, ribadendo, con riferimento all’art. 2483 c.c., che “ … (d)etta norma …
non osta a che la società possa vendere le quote del socio quali beni altrui, ai sensi
dell'art. 1478 cod. civ., cioè assumendo l'obbligo di procurarne l'acquisto al
compratore, dato che l'automatismo e l'immediatezza del trasferimento al compratore
medesimo di dette quote, nel momento in cui siano conseguite dalla società, evita che
questa divenga in effetti ‘partecipante di se stessa’ (con pregiudizio della consistenza
del capitale)…” (cfr. citata sentenza, in motivazione).
Più approfondita e pienamente condivisibile appare la motivazione di
quest’ultima sentenza (Cass. 13123/1992) che, nel prevedere l’astratta ammissibilità
della vendita del proprio capitale da parte della società in termini appunto di vendita
di cosa altrui, pone peraltro in doveroso risalto il rapporto fra questa fattispecie
negoziale e la ratio sottesa al ricordato divieto di cui al citato art. 2483 c.c. (vecchio
testo), giungendo a sostenere la validità del negozio se ed in quanto la concreta
regolamentazione del rapporto obbligatorio, nascente dal contratto di cessione, non si
ponga in contrasto con il divieto in parola.
Al riguardo è stato precisato che “ … il passaggio della titolarità del diritto
dal terzo al venditore, costituisce un momento logico, più che temporale, stante
l'istantaneità tra l'acquisizione da parte del venditore ed il trasferimento
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all'acquirente; costituisce, inoltre, un momento logico, più che reale, essendo
caratterizzato da una realità istantanea in un assetto di situazioni volte al
trasferimento dal terzo al compratore, senza che il patrimonio, e quindi il capitale,
della venditrice società a responsabilità limitata ne venga necessariamente coinvolto,
in un assetto di interessi che direttamente non confligge con la linea logica della
tutela perseguita con il precetto dell'art. 2483 c.c.. …”; che “ … Tra l'acquisto di
quote previste dall'art. 2483 c.c. e l'acquisto previsto dal 2° comma dell'art. 1478
c.c., che abbia ad oggetto delle quote, la differenza non è meramente quantitativa in
relazione alla durata degli effetti, ma implica una difformità qualitativa in relazione
alla natura degli effetti, in cui l'istantaneità del trapasso è indice della differenza
funzionale tra situazioni che lo stesso termine (acquisto) esprime in diverse
dimensioni strutturali. …”; che “ … L'istantaneità dell'acquisizione ex art. 1478,
secondo comma, c.c. non coinvolge, sul piano degli effetti reali, il capitale della
società venditrice e non integra la fattispecie confliggente con il precetto preclusivo
dell'art. 2482. …”, con la precisazione di estrema rilevanza che “ … Né le
obbligazioni finanziarie connesse all'acquisto del bene del terzo integrano
necessariamente le altre situazioni oggetto dello stesso divieto (garanzia sulle quote;
prestito o garanzia da parte della società per il trasferimento delle quote stesse),
salva sempre la sussistenza contingente di dette situazioni da accertare di volta in
volta. …” e che “ … Le svolte osservazioni consentono, di conseguenza, di affermare
che la vendita delle quote appartenenti ai propri soci da parte di una società a
responsabilità limitata, nella forma dell'art. 1478 c.c., non confligge necessariamente
con il precetto dell'art. 2483 c.c., ed è legittimamente configurabile. …” (cfr. Cass.
13123/1992, in motivazione).
In conclusione ritiene il Collegio di poter ribadire che la vendita, in entrambe
le forme di cui all’art. 1478 c.c., delle quote appartenenti ai propri soci, da parte di
una società a responsabilità limitata, di per sé non viola il divieto previsto dall’art.
2483 c.c. ed è pertanto astrattamente valida, dovendosi verificare caso per caso se ed
in quali termini il regolamento negoziale si ponga in effettivo e concreto contrasto
con la ratio della ricordata disposizione imperativa.
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Tornando alla fattispecie che qui ci occupa, va ricordato, come risulta dalla
documentazione in atti, che in data 1/10/2013 l’odierno opposto aveva formulato
proposta scritta di acquisto, per sé o per società da nominare, dell’intero capitale
sociale della Prado Tre S.r.l., al prezzo complessivo di euro 1.400.000,00; che, per
quanto qui di specifico interesse, era previsto il versamento, a titolo di caparra, di
50.000,00 euro alla sottoscrizione della proposta mediante “ … assegno bancario non
trasferibile num. 3043342129-09 tratto sulla Banca Bnl filiale di Fiumicino loc. Testa
di Lepre. In caso di mancata accettazione da parte della società Prado Tre S.r.l.
l’assegno suddetto verrà restituito; …” (cfr. doc. 1 fascicolo monitorio: proposta di
acquisto); che con raccomandata a/r del 29/10/2013, ricevuta il 31/10/2013, la società
aveva comunicato, con sottoscrizione della proposta, la propria accettazione; che in
calce alla proposta era apposta la sottoscrizione per accettazione da parte
dell’amministratore della Prado Tre S.r.l.: si tratta di sottoscrizione non
disconosciuta, apposta sulla dicitura “Per accettazione della proposta:
l’amministratore della Prado Tre S.r.l.”, con timbro della medesima società; che in
data 30/10/2013 l’odierna società opponente aveva provveduto a presentare
all’incasso l’assegno in questione, regolarmente pagato (cfr. doc. 2 del fascicolo del
monitorio: assegno fronte-retro con attestazione della banca); che non era stato rogato
l’atto definitivo.
Dunque, a seguito della processualmente emersa accettazione della proposta,
la società opponente aveva accettato di vendere al Pisano (per sé e/o per società da
nominare) le quote dell’intero proprio capitale sociale, da intendere appunto come
beni di terzi, ossia dei propri soci.
Appare fuori discussione che le parti fossero ben consapevoli della altruità
della cosa; infatti anche per il proponente Pisano il regime di pubblicità costituito
dall’iscrizione della società nel Registro delle Imprese presso la locale CCIAA rende
non dubitabile la conoscibilità dell’appartenenza del capitale ai singoli soci.
L’art. 1478 c.c., nel ribadire la piena legittimità della vendita di cose altrui,
vendita da cui derivano effetti di natura obbligatoria a carico del venditore, prevede
che “se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore,
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questi è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore” (1° comma) e che “il
compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà
dal titolare di essa” (2° comma).
Ricordata l’astratta ipotizzabilità anche di un contratto preliminare di vendita
di cosa altrui -in tale ipotesi il promittente venditore deve provvedere
all’adempimento dell’obbligazione assunta (far acquistare la proprietà del bene al
promissario acquirente) entro il termine previsto per il definitivo (cfr. Cass.
4164/2015)-, nel caso di specie ritiene il Collegio che si sia in presenza di un
contratto definitivo di vendita di cosa altrui, a ciò non ostando né la previsione della
riserva di indicazione dell’intestatario dei beni da nominare (cfr. artt. 1401 e ss c.c.: si
tratta di previsione applicabile anche a contratti definitivi) né la pattuizione
dell’incontro davanti al notaio, trattandosi invero di mera formalità necessaria per la
successiva iscrizione presso il Registro delle Imprese (cfr. art. 2470 c.c.).
Nell’ipotesi di vendita di cosa altrui l’adempimento da parte del venditore può
avvenire o mediante l’acquisto della proprietà della cosa da parte di costui, con
automatico trasferimento al compratore, ovvero mediante vendita diretta della cosa
dal terzo al compratore, purché detto trasferimento sia chiaramente e manifestamente
l’effetto dell’attività in tal senso svolta dal venditore presso il terzo (cfr. Cass.
13987/2010: “In tema di contratto preliminare di vendita di cosa altrui, l'obbligo del
promittente venditore di procurare l'acquisto della proprietà della cosa può essere
adempiuto sia mediante un siffatto acquisto da parte sua e con il trasferimento della
relativa proprietà al promissario acquirente, sia mediante vendita diretta della cosa
medesima dal terzo a detto promissario, purché tale trasferimento abbia luogo in
conseguenza di una attività svolta dallo stesso promittente alienante nell'ambito dei
suoi rapporti con il proprietario e che quest'ultimo manifesti, in modo chiaro e
inequivoco, la volontà di vendere il bene al promissario acquirente e in ragione
dell'adempimento degli obblighi assunti nei confronti del promittente venditore”).
Tanto premesso e chiarito in ordine all’astratta validità del contratto di
cessione delle quote sociali, da parte della società a responsabilità limitata, in termini
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appunto di vendita di cose altrui, si tratta di verificare se la disciplina pattizia incida
in concreto sulla validità del negozio.
Per arrivare a questo risultato è necessario verificare la concreta disciplina
negoziale, il tipo di domanda sottesa alla richiesta di condanna al pagamento del
doppio della caparra e la fondatezza o meno dell’eccepito inadempimento.
Alla luce del dato contrattuale, è processualmente emerso che l’importo di
50.000,00 euro era stato previsto a titolo di caparra confirmatoria (cfr. doc. 1 di parte
opposta: proposta di cessione quote, con in calce l’accettazione della S.r.l.: “ … Il
prezzo proposto … è fissato, d’accordo fra le parti, in euro 1.400.000,00 … . Tale
importo verrà così corrisposto: euro 50.000,00 …. a titolo di caparra alla
sottoscrizione della presente proposta … …”).
Analogamente risulta per tabulas -ed in ogni caso si tratta di circostanza non
contestata dall’attrice- che il predetto assegno, ad ulteriore dimostrazione della
conclusione del contratto, era stato incassato dalla società.
Il dato letterale consente di attribuire alla consegna ed al successivo
incameramento di detta somma di denaro, all’atto della conclusione del contratto, la
natura di caparra confirmatoria, in quanto versata a rafforzamento e garanzia
dell’impegno assunto dal cessionario.
Dunque già dal dato testuale emerge che il contratto, nel prevedere la
corresponsione di una caparra confirmatoria e quindi implicitamente l’obbligo in
capo alla società del pagamento del doppio in caso di suo inadempimento, si pone in
contrasto con il divieto di cui al più volte richiamato art. 2474 c.c..
L’effettivo svolgimento del rapporto contrattuale corrobora in fatto detta
conclusione.
L’opponente, quanto meno nella risposta stragiudiziale del 13/11/2013 (doc. 6
del monitorio) alla richiesta del Pisano di pagamento del doppio della caparra (doc. 5
del monitorio), aveva sostenuto che la somma di 50.000,00 sarebbe stata versata dal
Pisano quale mero finanziamento, sia pure propedeutico alla cessione delle quote.
Si tratta di deduzione che poi non ha trovato ulteriore prospettazione e prova
negli atti di causa, mentre -come detto- non è contestata (art. 115 c.p.c.) la circostanza
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dell’avvenuto incasso dell’assegno e quindi dell’incameramento di 50.000,00 euro da
parte della società.
A fronte dell’eccepito inadempimento della cedente, l’opposto ha richiesto la
restituzione del doppio della caparra, implicitamente invocando la previsione di cui
all’art. 1385 c.c.; quindi si deve procedere all’accertamento della legittimità del
recesso del cessionario per eccepito inadempimento della promittente venditrice,
odierna opponente.
Non rileva che la parte opposta non abbia espressamente formulato domanda
di accertamento della legittimità del proprio recesso dal contratto, in quanto la stessa
deve ritenersi implicitamente proposta, avendo l’ingiungente instato per la condanna
alla restituzione del doppio della caparra (cfr. Cass. 2032/1994: “Con riguardo
alla caparra confirmatoria, regolata dall'art. 1385 cod. civ., una domanda
di recesso, ancorché non formalmente proposta, può ritenersi egualmente, anche
se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia
richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta come
ragione legittimante la pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione
del doppio della caparra a lei a suo tempo corrisposta quale unica ed esaustiva
sanzione risarcitoria di siffatta inadempienza”).
Del resto lo stesso principio vale, mutatis mutandis, nel caso di domanda di
risoluzione da ritenere implicitamente proposta nel caso di domanda di restituzione
della prestazione eseguita in forza di quel determinato contratto (cfr. Cass.
21230/2009; Cass. 21113/2013”.
In tema di esercizio del diritto di recesso, valgono le seguenti osservazioni.
Come discorso di carattere generale e di inquadramento della disciplina di
legge, va ricordato che l’esercizio del diritto di recesso, previsto in caso di
versamento di caparra confirmatoria ex art. 1385, 2° comma, c.c., configura uno
speciale strumento di risoluzione di diritto del contratto, in quanto presuppone pur
sempre l’inadempimento della controparte, avente i medesimi caratteri
dell’inadempimento (grave e di non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse
dell’altra parte) che giustifica la risoluzione giudiziale (cfr. Cass. 18266/2011; Cass.
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409/2012; Cass. 17489/2012); che il legittimo esercizio del diritto di recesso da parte
del contraente non inadempiente comporta il riconoscimento del diritto di trattenere la
caparra (se inadempiente è il promissario acquirente) ovvero di ottenere il doppio
della somma versata a titolo di caparra confirmatoria (se inadempiente è invece il
promittente venditore); che sussiste, quanto alla domanda risarcitoria, l’alternatività
dei rimedi risarcitori previsti rispettivamente dal 2° e 3° comma dell’art. 1385 c.c.: la
parte non inadempiente può scegliere se optare per il recesso con richiesta della
caparra (o del suo doppio) ovvero per l’esecuzione o la risoluzione del contratto con
richiesta di risarcimento del danno, in base ai principi generali, ma non può avvalersi
di entrambi cumulativamente (cfr. Cass. 16221/2002). Se la parte non inadempiente
preferisce esercitare il recesso e richiedere la restituzione della caparra (o il doppio),
la caparra mantiene la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno e
non si può pretendere altro a titolo di risarcimento, mentre, qualora la parte non
inadempiente preferisca domandare la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il
diritto al risarcimento del danno rimane regolato esclusivamente dalle norme generali,
per cui il pregiudizio subito dovrà in tal caso essere provato nell’an e nel quantum
(cfr. Cass. 18850/2004): in quest’ultimo caso la caparra perde pertanto la suddetta
funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno (cfr. Cass. 13828/2000;
Cass. 3555/2003).
Si rammenta inoltre che, nel caso di inadempimento del promittente venditore
e quindi di condanna alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo versata dal
promissario acquirente, l’obbligazione in parola integra una obbligazione pecuniaria e
che si tratta di un debito di valuta.
Così delineato l’ambito dogmatico della domanda e ritenuta, in punto di fatto,
pacifica la consegna di 50.000,00 euro a titolo di caparra confirmatoria, ribadisce il
Collegio che nella domanda di risoluzione contrattuale, cui -come detto- è parificato
il recesso, il creditore è tenuto a provare soltanto l’esistenza della fonte (negoziale o
legale) del suo diritto e la scadenza del termine per l’adempimento, ma non anche
l’inadempimento da parte dell’obbligato, che va meramente allegato, dovendo infatti
essere quest’ultimo, cioè il debitore, a provare l’esistenza di un fatto modificativo,
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impeditivo o estintivo dell’altrui pretesa (cfr. Cass. SU 13533/2001; Cass. 9439/2008;
Cass. 15677/2009; Cass. 3373/2010; Cass. 15659/2011; Cass. 7530/2012; Cass.
8901/2013).
In base al contratto era previsto, oltre al pagamento di ulteriore tranche di
400.000,00 euro al momento dell’atto notarile, che quest’ultimo “ … avverrà entro e
non oltre il 30 ottobre 2013 …” (cfr. citata proposta dell’1/10/2013): si è detto che si
tratta di formalità necessaria per la successiva iscrizione del trasferimento delle quote
nel Registro delle Imprese.
L’opposto ha prodotto copia di un telegramma, da cui emerge che era stato
concordato un nuovo incontro per il 4/11/2013 (cfr. doc. 3 del monitorio: telegramma
del 3/11/2013 delle ore 17:07: “Facendo seguito alla vostra A/R del 31/1072013 vi
confermiamo la proposta di cessione di quote fissata per il giorno 4/11/2013 alle ore
15.00, notaio Pietro Marzano via Asiago 9 Roma”), cui aveva fatto seguito
raccomandata del proprio legale dell’8/11/2013 di contestazione del grave
inadempimento dell’odierna attrice sul presupposto che “ … malgrado vari incontri
fissati davanti al notaio Pietro Marzano (in data 25/19/2013, 30/10/2013 e 4/11/2013),
non si è potuto addivenire a tale stipula a causa della mancata presentazione dei vostri
soci …”, con formale richiesta di “ … restituzione del doppio della caparra … pari
alla somma di euro 100.000,00 …” (cfr. doc. 5 del monitorio: comunicazione PEC
dell’8/11/2013 dell’avv.to Spaccatrosi).
Pertanto, è evidente che l’opposto abbia fornito la prova del titolo (contratto di
cessione di beni altrui) e della scadenza del termine per l’adempimento (quanto meno
il 4/11/2013), mentre da parte della società opponente non è stata fornita la prova che,
entro il termine originariamente pattuito ovvero entro il termine di comune accordo
prorogato al 4/11/2013, avesse adempiuto all’obbligo contrattualmente assunto di
ottenere il trasferimento delle quote dai propri soci al Pisano ovvero di acquisirle per
l’immediato ritrasferimento al Pisano.
Analogamente non risulta alcuna prova, in base a conferente allegazione,
dell’esistenza di fatti impeditivi o modificativi, come p.es., un eventuale accordo per
la previsione di una ulteriore proroga del termine per l’adempimento.
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In conclusione si è in presenza di inadempimento colpevole e grave da parte
dell’odierna opponente, cui corrisponde tanto la legittimità del recesso operato dal
Pisano, quale mezzo di autotutela riconosciutogli dall’ordinamento per reagire
all’altrui inadempimento, quanto astrattamente l’ipotizzabilità di una condanna
dell’opponente al pagamento del doppio della caparra confirmatoria.
Se queste premesse in fatto ed in diritto sono esatte, è allora conseguenziale
che, come ben delibato dal Giudice del monitorio alla luce delle superiori premesse
sugli oneri probatori a carico delle parti, l’opponente, inadempiente alle obbligazioni
assunte, sarebbe tenuta, a fronte del legittimo recesso operato dal promittente
cessionario, alla corresponsione del doppio della caparra confirmatoria a suo tempo
versata dal Pisano.
Non vi è alcuna contestazione (art. 115 c.p.c.) né -come detto- in ordine alla
natura del versamento né in ordine all’ammontare (50.000,00 euro) della predetta
caparra né altresì in ordine all’effettivo incasso della somma.
Portando a sintesi le superiori osservazioni in fatto e in diritto, appare allora
evidente che anche in concreto, per come si sono svolti i fatti, il regolamento
negoziale, desumibile dal citato contratto di cessione di quote nelle forme del
contratto di vendita di cose altrui, si pone in palese violazione della disposizione
imperativa (attualmente art. 2474 c.c.), che impone alla società di non compiere
operazioni (acquisto, prestazione di garanzia, ecc.) che, come nel caso di specie,
incidono sulla integrità del capitale sociale; infatti la previsione contrattuale della
corresponsione di una somma a titolo di caparra confirmatoria e la previsione di legge
della condanna al pagamento del doppio in caso di inadempimento, come peraltro
emerso in concreto, comporterebbero una incidenza negativa sul capitale sociale.
In conclusione, sia pure per vizio diverso da quello indicato dall’opponente, il
contratto di cessione di quote di cui alla proposta dell’1/10/2013 è nullo per
violazione del divieto di cui all’art. 2474 c.c..
Passando all’esame della domanda subordinata, la stessa ben può essere
interpretata come domanda restitutoria conseguente all’accoglimento dell’eccezione
di nullità del contratto; va applicata al riguardo la disciplina in tema di indebito
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oggettivo, con previsione della condanna dell’accipiens al pagamento degli interessi
dal giorno del pagamento, nel caso in cui lo stesso fosse in mala fede nel momento in
cui aveva percepito la somma da restituire, ovvero dal giorno della domanda, nel caso
di buona fede (che si presume).
Per mera completezza espositiva si ritiene ultronea, in aggiunta alla domanda
restitutoria, la richiesta di accertamento dell’indebito arricchimento da parte della
opponente (cfr. fin da Cass. 1024/1971: “Quando le parti chiedono la restituzione
delle prestazioni rispettivamente eseguite un dipendenza di un rapporto negoziale
dichiarato nullo, per l’accoglimento delle rispettive pretese è necessario, e nello
stesso tempo sufficiente, secondo la disciplina propria della ripetizione dell’indebito
oggettivo, il ricorso dei requisiti della avvenuta esecuzione delle prestazioni
(pagamento) e della nullità del titolo (contratto) in virtù del quale tale esecuzione
aveva avuto luogo; non occorre anche la prova della sussistenza dell’arricchimento
del patrimonio dell’accipiens e della corrispondente diminuzione di quello del
solvens, che, essendo questi requisiti caratteristici dell’azione generale di
arricchimento senza causa, non costituisce elemento necessario per la ripetizione
dell’indebito”).
Nel caso di specie, non emergendo alcun elemento atto a consentire di
superare la presunzione di buona fede in capo all’accipiens (ossia l’odierna
opponente, rectius il proprio amministratore e legale rappresentante, ex art. 1391
c.c.), l’opponente va condannata alla restituzione della somma di 50.000,00 euro,
oltre interessi legali dalla domanda (data di deposito della memoria ex art. 183/6 n° 1
c.p.c.) fino al saldo effettivo.
Tali essendo le risultanze di causa, va accolta l’opposizione al decreto
ingiuntivo n° 5288/2014 del 6/3/2014 di questo Tribunale (n° 79938/2013 Rg), ma
l’opponente va condannata al pagamento, a titolo di restituzione di quanto ricevuto in
forza di un contratto nullo, della somma di 50.000,00 euro, oltre accessori su indicati.
La possibilità di revoca del decreto ingiuntivo opposto e di contestuale
condanna per la differenza è pacifica in giurisprudenza, in quanto -si riprende il
discorso su anticipato- sia con il ricorso per decreto ingiuntivo che con la domanda di
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rigetto dell’opposizione vi è esercizio di un’azione di condanna; quindi non vi
sarebbe alcuna ultrapetizione neanche a fronte di una mera richiesta di conferma del
decreto ingiuntivo opposto e nulla impedisce, in caso di revoca del decreto ingiuntivo
per parziale infondatezza della pretesa azionata in via monitoria ovvero per questioni
formali attinenti al decreto monitorio, che l’opponente possa essere condannato al
pagamento della somma accertata come ancora dovuta alla data della sentenza (cfr.
Cass. 1954/2009; Cass. 9021/2005; Cass. 15186/2003): sul punto si consideri la
disciplina di cui all’art. 653, 2° comma, c.p.c..
Per quanto riguarda il regime delle spese dell’intera procedura -si rammenta
che la procedura (fase monitoria e fase di opposizione) è unica e che il decreto
ingiuntivo è stato revocato anche in ordine al capo delle spese-, ritiene il Collegio,
atteso l’esito complessivo del giudizio, che le spese dell’intera procedura debbano
essere compensate per 1/2 e poste a carico dell’opponente per il residuo, stante il
grado di soccombenza.
Si dà atto che per la liquidazione delle spese deve essere applicato il Decreto
Ministero Giustizia n° 55 del 10/3/2014 (GU n° 77 del 2/4/2014) sui nuovi parametri
forensi, entrato in vigore il 3/4/2014.
Va nuovamente riconosciuto il rimborso forfettario (art. 2, 2° comma, citato
DM 55/2014).
P.Q.M.
definitivamente pronunciando:
in accoglimento dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo opposto n° 5288/2014
del 6/3/2014 di questo Tribunale (n° 79938/2013 Rg);
condanna peraltro l’opponente Prado S.r.l. al pagamento, in favore dell’opposto
Pisano Mirko e a titolo restitutorio, della complessiva somma di 50.000,00 euro, oltre
agli interessi indicati in motivazione;
compensa per 1/2 le spese di lite e pone a carico della società opponente, per il grado
di soccombenza, il residuo, che liquida in 3.000,00 euro per compensi professionali,
oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge.
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Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016RG n. 27519/2014
Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016
http://bit.ly/2nJGZFL
19
Così deciso a Roma, l’ 11/10/2016
il Presidente
dott. Francesco Mannino
il Giudice estensore
dott. Francesco Remo Scerrato
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Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016RG n. 27519/2014
Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016
http://bit.ly/2nJGZFL