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1 SENT RGAC CRON REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Roma Sezione Tribunale delle Imprese - Terza Sezione Civile, composto da dott. Francesco Mannino Presidente dott. Stefano Cardinali Giudice dott. Francesco Remo Scerrato Giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n° 27519, Ruolo Generale dell’anno 2014 e trattenuta in decisione all’udienza dell’11 aprile 2016, vertente TRA PRADO TRE SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Roma, via Pompeo Magno n° 2/b, presso lo studio dell’avv.to Filippo De Magistris e dell’avv.to Stefano Bassarelli, da cui è rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, in forza di procura speciale a margine dell’atto di citazione, OPPONENTE E PISANO Mirko, elettivamente domiciliato a Roma, circonvallazione Clodia n° 5, presso lo studio dell’avv.to Giovanni Tripodi, da cui è rappresentato e difeso in forza di procura speciale a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore, OPPOSTO OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo. Firmato Da: SCERRATO FRANCESCO REMO Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 1848 - Firmato Da: MANNINO FRANCESCO SAVER Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: b5 Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016 RG n. 27519/2014 Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016 http://bit.ly/2nJGZFL

Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016 RG n. 27519 ......Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016 RG n. 27519/2014 Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016 ... di due soci su quattro,

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N° SENT

N° RGAC

N° CRON

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Roma – Sezione Tribunale delle Imprese - Terza Sezione Civile,

composto da

dott. Francesco Mannino Presidente

dott. Stefano Cardinali Giudice

dott. Francesco Remo Scerrato Giudice relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, iscritta al n° 27519, Ruolo Generale dell’anno 2014

e trattenuta in decisione all’udienza dell’11 aprile 2016, vertente

TRA

PRADO TRE SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a

Roma, via Pompeo Magno n° 2/b, presso lo studio dell’avv.to Filippo De Magistris e

dell’avv.to Stefano Bassarelli, da cui è rappresentata e difesa, anche disgiuntamente,

in forza di procura speciale a margine dell’atto di citazione,

OPPONENTE

E

PISANO Mirko, elettivamente domiciliato a Roma, circonvallazione Clodia n° 5,

presso lo studio dell’avv.to Giovanni Tripodi, da cui è rappresentato e difeso in forza

di procura speciale a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore,

OPPOSTO

OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.

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CONCLUSIONI:

per la parte opponente (memoria ex art. 183/6 n° 2 c.p.c., richiamata all’udienza

di p.c.): “Piaccia all’Ecc.mo Giudice adito, ogni contraria domanda ed/od eccezione

disattesa e reietta, preliminarmente accertata la tardività e la conseguente, insanabile

inammissibilità della domanda per arricchimento senza causa formulata per la prima

volta in sede di note ex art.183 VI comma n.1: in via principale, accertare e dichiarare

l’inesistenza dei presupposti di legge per la concessione del decreto ingiuntivo e, per

l’effetto, dichiarare la nullità e/o l’inesistenza e, in ogni caso, l’illegittimità del

decreto ingiuntivo n. 5288/2014, comunque revocandolo e dichiarandolo privo di

effetti, con ogni conseguenza di legge; sempre in via principale, accertare e dichiarare

la nullità e/o l’annullabilità e, comunque, l’inefficacia dell’accordo negoziale per la

cessione delle quote della Prado Tre S.r.l. stante l’inesistenza e/o l’impossibilità ed/od

altro insanabile difetto dell’oggetto ivi dedotto e, in via subordinata, accertare

l’inesistenza di qualsivoglia comportamento inadempiente da parte dell’odierna

opponente rispetto ad ogni eventuale impegno e, conseguentemente, in ogni caso,

previa declaratoria dell’illegittimità di ogni correlata pretesa, dichiarare la nullità e/o

l’annullabilità e, in ogni caso, l’illegittimità del decreto ingiuntivo n. 5288/2014,

comunque revocandolo e dichiarandolo privo di effetti, con ogni conseguenza di

legge; in ogni caso condannare il convenuto al pagamento delle spese e delle

competenze relative al presente giudizio, da distrarsi in favore dei sottoscritti

procuratori che si dichiarano antistatari”;

per la parte opposta (memoria ex art. 183/6 n° 1 c.p.c., richiamata all’udienza di

p.c.): “Si insiste ai sensi dell’art 648 cpc per la provvisoria esecuzione del decreto

ingiuntivo opposto stante l’infondatezza dell’opposizione. Nel merito: confermare il

decreto ingiuntivo opposto e di conseguenza rigettare tutte le richieste di parte attrice

poiché infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate. In via subordinata e

per mero scrupolo difensivo, si chiede la restituzione della somma portata

dall’assegno di € 50.000,00 -previo accertamento dell’indebito arricchimento della

Prado Tre srl- e la condanna della medesima al pagamento della stessa somma a titolo

di indennizzo ex art. 2041 c.c.. Con vittoria di spese e onorari di causa”.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con tempestiva citazione l’attrice Prado Tre S.r.l. proponeva opposizione

avverso il decreto ingiuntivo n° 5288/2014 del 6/3/2014 di questo Tribunale (n°

79938/2013 Rg), ottenuto dal convenuto Pisano Mirko per il pagamento della

complessiva somma di 100.000,00 euro, oltre interessi e spese, a titolo di restituzione

del doppio della caparra a suo tempo versata dal Pisano a margine di una operazione

di acquisto del capitale della stessa opponente. Al riguardo l’attrice eccepiva la nullità

dell’accordo posto alla base del provvedimento monitorio, atteso che essa stessa

risultava cedente del proprio capitale sociale, nonché l’inesistenza di un qualsiasi

proprio preteso inadempimento contrattuale, non potendo essa rispondere delle

condotte dei propri soci non presentatisi davanti al notaio, nonché l’inammissibilità di

qualsiasi esame ex art. 1385 c.c. in sede monitoria. Tanto premesso, l’attrice

concludeva in citazione nei seguenti termini: “Piaccia al Giudice adito … in via

principale, accertare e dichiarare l’inesistenza dei presupposti di legge per la

concessione del decreto ingiuntivo e, per l’effetto, dichiarare la nullità e/o

l’inesistenza e, in ogni caso, l’illegittimità del decreto ingiuntivo n. 5288/2014,

comunque revocandolo e dichiarandolo privo di effetti, con ogni conseguenza di

legge; sempre in via principale, accertare e dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e,

comunque, l’inefficacia dell’accordo negoziale per la cessione delle quote della Prado

Tre S.r.l. stante l’inesistenza e/o l’impossibilità ed/od altro insanabile difetto

dell’oggetto ivi dedotto e, in via subordinata, accertare l’inesistenza di qualsivoglia

comportamento inadempiente da parte della odierna opponente rispetto ad ogni

eventuale impegno e, conseguentemente, in ogni caso, previa declaratoria

dell’illegittimità di ogni correlata pretesa, dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e, in

ogni caso, l’illegittimità del decreto ingiuntivo n. 5288/2014, comunque revocandolo

e dichiarandolo privo di effetti, con ogni conseguenza di legge; in ogni caso

condannare il convenuto al pagamento delle spese e delle competenze relative al

presente giudizio, da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori che si dichiarano

antistatari. …”.

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Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016RG n. 27519/2014

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Si costituiva in giudizio il convenuto Pisano Mirko, che concludeva per il

rigetto dell’opposizione, attesa l’infondatezza in fatto e in diritto di tutte le richieste

attoree, con la conseguente conferma del provvedimento monitorio e con vittoria di

spese di lite

Nel corso del giudizio era rigettata l’istanza ex art. 648 c.p.c. e si costituiva

nuovo procuratore per il convenuto, con conseguente definitiva precisazione delle

conclusioni da ambo le parti.

La causa veniva istruita solo con produzione di documentazione varia, essendo

stata ritenuta superflua ogni ulteriore attività istruttoria, ed all’udienza dell’11/4/2016

era trattenuta in decisione con l’assegnazione dei termini di legge per il deposito di

comparse conclusionali (60 giorni) e di memorie di replica (ulteriori 20 giorni): i

termini ex art. 190 c.p.c. sono scaduti il 30/6/2016.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’opposizione è fondata nei limiti di cui in motivazione, ma l’appellante va

condannata al pagamento della minor somma di 50.000,00 euro.

In punto di fatto si rammenta che con ricorso per decreto ingiuntivo l’odierno

convenuto opposto ha allegato che in data 1/10/2013 aveva proposto (per se o per

persona da nominare) all’odierna opponente (proprietaria dell’azienda di ristorazione

denominata ‘MET’) l’acquisto della totalità delle quote di partecipazione al proprio

capitale sociale; che il prezzo complessivo della cessione delle quote (comprensivo

anche della cessione dell’azienda MET) era stato fissato in €.1.400.000,00 da

corrispondere, quanto ad €.50.000,00, a titolo di caparra (importo poi effettivamente

versato a mezzo di assegno bancario tratto su BNL e del quale era prevista la

restituzione in caso di mancata accettazione); quanto a 400.000,00 euro alla stipula

dell’atto notarile di cessione (da perfezionarsi entro e non oltre il 30/10/2013) e

quanto al saldo residuo (da computarsi anche con riferimento alle poste debitorie

esistenti in capo alla Prado Tre S.r.l.) pari ad 250.00,00 euro in ulteriori tre rate

mensili decorrenti dalla stipula; che la proposta era poi stata effettivamente accettata

da parte della società, che in data 30/10/2013 aveva proceduto all’incasso

dell’assegno; che stante l’intervenuta accettazione della proposta, a mezzo

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telegramma del 3/11/2013, aveva confermato che la stipula per la cessione delle quote

avrebbe avuto luogo il giorno seguente presso lo studio del Notaio Pietro Marzano;

che il giorno 4/11/2014 (così come, precedentemente, in data 25/10/2013 e

30/10/2013) non si era potuto procedere alla stipula stante la mancata presentazione

di due soci su quattro, essendo infatti presenti solamente i soci Mangione Gaetano e

Nicotra Marcello; che con successiva comunicazione, a mezzo PEC, dell’8/11/2013, a

mezzo del proprio legale, aveva contestato alla Prado Tre S.r.l. il grave

inadempimento contrattuale, chiedendo la restituzione del doppio della caparra; che a

detta comunicazione aveva replicato in data 13/11/2013 la società ingiunta,

comunicando, peraltro in contrasto con quanto riportato nella proposta, che la somma

di 50.000,00 euro era stata versata quale mero finanziamento, sia pure propedeutico

alla cessione delle quote.

Da parte sua la società opponente ha eccepito -da un lato- la radicale ed

insanabile nullità del titolo contrattuale posto alla base della pretesa monitoria, atteso

che la ‘proposta di cessione di quote’ prospettava la cessione dell’intero pacchetto

della partecipazione societaria della Prado Tre S.r.l. da parte della stessa Prado Tre

S.r.l., così realizzandosi l’impossibilità dell’oggetto negoziale, e -dall’altro- la “ …

illegittima delibazione di inadempimento che il giudice del procedimento monitorio

ha compiuto sulla base di una ricostruzione del tutto incongrua sia sotto il profilo

fattuale quanto abnorme sotto quello delle relative conseguenze giuridiche …” (cfr.

da ultimo, così in comparsa conclusionale).

Inoltre, quanto alla dedotta esistenza di un grave inadempimento negoziale in

capo ad essa attrice, quest’ultima in citazione ha eccepito che, in base alla stessa

prospettazione dell’opposto, detto lamentato inadempimento andava ascritto alla

condotta dei soci di essa attrice, prospettazione rispetto alla quale l’odierna attrice

deduceva che “ … parte ingiungente non abbia fornito alcun indizio comprovante

l’esistenza del preteso inadempimento nonché l’imputabilità dello stesso all’attrice

opponente, essendosi meramente limitata ad argomentare circa la riferita (e,

comunque, indimostrata) assenza di due dei quattro soci di Prado Tre in sede di

convocata stipula. Circostanza in merito alla quale l’odierna comparente nulla ha,

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peraltro, potuto dedurre, avendo in ogni caso contestato l’assoluta fuorvianza delle

allegazioni e pretese del convenuto opposto il quale ha argomentato l’inadempimento

da parte della odierna opponente al solo fine di ottenere un indebito vantaggio

patrimoniale. …” (cfr. così, da ultimo, in comparsa conclusionale).

In sede di comparsa di risposta, il convenuto opposto ha ricondotto la

controversia nell’ambito della tematica del contratto di vendita di cosa altrui,

ribadendo che, a fronte della conclusione del contratto e dell’incasso dell’assegno

portante la caparra, vi era stato l’inadempimento della società opponente.

Preliminarmente, trattandosi di oggetto di causa alla luce delle eccezioni

dell’opponente, giova ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento

anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito

dell’opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie

regole processuali (cfr. art. 645, 2° comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli

oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/2003; Cass. 6421/2003), con la

conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di

legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno

della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento

alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass.

15026/2005; Cass. 15186/2003; Cass. 6663/2002); quindi il diritto del preteso

creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere

adeguatamente provato, indipendentemente dall’esistenza -ovvero, persistenza- dei

presupposti di legge richiesti per l’emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass.

20613/2011).

Pertanto, rilevato che, contrariamente a quanto dedotto dall’opponente, non

emerge alcuna abnormità in ordine alla decisione del Giudice del monitorio -sul

punto poi si tornerà-, non vi è ora alcuna preclusione in ordine all’accertamento del

merito, in relazione ai fatti prospettati nel ricorso monitorio, contenente una normale

domanda di condanna: è pacifico che sia con il ricorso per decreto ingiuntivo che con

la domanda di rigetto dell’opposizione vi è implicitamente esercizio di un’azione di

condanna (cfr. Cass. 10104/1996; Cass. 9021/2005: “La richiesta di conferma del

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decreto ingiuntivo opposto, formulata dal creditore al momento della costituzione o

nel corso del giudizio di opposizione, comprende in sé in modo implicito la richiesta

di condanna al pagamento del credito o di una parte di esso, che può pertanto essere

pronunziata dal giudice per un importo inferiore a quello per il quale è stato emesso

il decreto ingiuntivo, anche in difetto di esplicita domanda in tal senso, senza

incorrere in vizio d ultrapetizione”).

Passando al merito, valgono le seguenti osservazioni.

Benché effettivamente nel ricorso non vi fosse alcun cenno alla fattispecie

contrattuale della vendita di cosa altrui, appare innegabile che, tenuti fermi i fatti

allegati e le richieste formulate in ricorso, ben possa prospettarsi appunto la

fattispecie negoziale della vendita di cosa altrui.

Al riguardo, in ciò in astratto condividendo le deduzioni svolte in citazione

dall’opponente, sarebbe sicuramente nullo, per inesistenza dell’oggetto, un contratto

in cui una S.r.l. vendesse il proprio capitale a terzi, anche in considerazione del fatto

che le quote del capitale sociale appartengono ai soci e non alla società e che solo i

primi possono essere considerati parti di un eventuale contratto di cessione.

Sul punto va ricordato che in base all’art. 2474 c.c. (nuovo testo) -si tratta di

disciplina identica a quella contenuta nell’art. 2483 c.c. (vecchio testo)- è previsto che

“in nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni

proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto o la loro

sottoscrizione”: si tratta di disposizione imperativa che impone il divieto, presidiato

dalla sanzione di nullità in caso di violazione, di operazioni della società che possano

intaccare l’integrità del capitale sociale ovvero che possano comunque incidere sulla

stessa formazione e composizione della compagine sociale.

In giurisprudenza è stato peraltro affermato che in astratto non sarebbe vietata

alla società la vendita del proprio capitale in termini appunto di vendita di cosa altrui:

sul punto la Cassazione ha avuto modo di precisare, con riferimento alla vecchia

disciplina societaria, ma il principio è ugualmente valido attesa la ricordata

coincidenza fra l’art. 2474 c.c. (nuovo testo) e l’art. 2483 c.c. (vecchio testo), che “in

tema di società a responsabilità limitata, la disposizione dell'art. 2483 c.c. -la quale

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fa divieto alla società, a garanzia dell'integrità del capitale sociale, di acquistare

proprie quote- non osta a che essa possa vendere le quote del socio quali beni altrui,

ai sensi dell'art. 1478 c.c., ossia assumendo l'obbligo di procurarne l'acquisto al

compratore, dato che l'automatismo e l'immediatezza del trasferimento al compratore

stesso di dette quote evita, nel momento in cui siano conseguite dalla società, che

questa divenga ‘partecipante di se stessa’, con pregiudizio della consistenza del

capitale” (cfr. Cass. 796/2000).

La citata sentenza, pur ritenendo il principio non rilevante ai fini della

decisione del caso concreto (cfr. citata Cass. 796/2000 in motivazione: “

…(l)'eventuale qualificabilità del contratto in questione come vendita di cose altrui,

con il corollario dell'applicabilità ad essa di detto principio, non potrebbe però

approdare ad un risultato utile per la ricorrente …”), richiama il precedente di Cass.

13123/1992, ribadendo, con riferimento all’art. 2483 c.c., che “ … (d)etta norma …

non osta a che la società possa vendere le quote del socio quali beni altrui, ai sensi

dell'art. 1478 cod. civ., cioè assumendo l'obbligo di procurarne l'acquisto al

compratore, dato che l'automatismo e l'immediatezza del trasferimento al compratore

medesimo di dette quote, nel momento in cui siano conseguite dalla società, evita che

questa divenga in effetti ‘partecipante di se stessa’ (con pregiudizio della consistenza

del capitale)…” (cfr. citata sentenza, in motivazione).

Più approfondita e pienamente condivisibile appare la motivazione di

quest’ultima sentenza (Cass. 13123/1992) che, nel prevedere l’astratta ammissibilità

della vendita del proprio capitale da parte della società in termini appunto di vendita

di cosa altrui, pone peraltro in doveroso risalto il rapporto fra questa fattispecie

negoziale e la ratio sottesa al ricordato divieto di cui al citato art. 2483 c.c. (vecchio

testo), giungendo a sostenere la validità del negozio se ed in quanto la concreta

regolamentazione del rapporto obbligatorio, nascente dal contratto di cessione, non si

ponga in contrasto con il divieto in parola.

Al riguardo è stato precisato che “ … il passaggio della titolarità del diritto

dal terzo al venditore, costituisce un momento logico, più che temporale, stante

l'istantaneità tra l'acquisizione da parte del venditore ed il trasferimento

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all'acquirente; costituisce, inoltre, un momento logico, più che reale, essendo

caratterizzato da una realità istantanea in un assetto di situazioni volte al

trasferimento dal terzo al compratore, senza che il patrimonio, e quindi il capitale,

della venditrice società a responsabilità limitata ne venga necessariamente coinvolto,

in un assetto di interessi che direttamente non confligge con la linea logica della

tutela perseguita con il precetto dell'art. 2483 c.c.. …”; che “ … Tra l'acquisto di

quote previste dall'art. 2483 c.c. e l'acquisto previsto dal 2° comma dell'art. 1478

c.c., che abbia ad oggetto delle quote, la differenza non è meramente quantitativa in

relazione alla durata degli effetti, ma implica una difformità qualitativa in relazione

alla natura degli effetti, in cui l'istantaneità del trapasso è indice della differenza

funzionale tra situazioni che lo stesso termine (acquisto) esprime in diverse

dimensioni strutturali. …”; che “ … L'istantaneità dell'acquisizione ex art. 1478,

secondo comma, c.c. non coinvolge, sul piano degli effetti reali, il capitale della

società venditrice e non integra la fattispecie confliggente con il precetto preclusivo

dell'art. 2482. …”, con la precisazione di estrema rilevanza che “ … Né le

obbligazioni finanziarie connesse all'acquisto del bene del terzo integrano

necessariamente le altre situazioni oggetto dello stesso divieto (garanzia sulle quote;

prestito o garanzia da parte della società per il trasferimento delle quote stesse),

salva sempre la sussistenza contingente di dette situazioni da accertare di volta in

volta. …” e che “ … Le svolte osservazioni consentono, di conseguenza, di affermare

che la vendita delle quote appartenenti ai propri soci da parte di una società a

responsabilità limitata, nella forma dell'art. 1478 c.c., non confligge necessariamente

con il precetto dell'art. 2483 c.c., ed è legittimamente configurabile. …” (cfr. Cass.

13123/1992, in motivazione).

In conclusione ritiene il Collegio di poter ribadire che la vendita, in entrambe

le forme di cui all’art. 1478 c.c., delle quote appartenenti ai propri soci, da parte di

una società a responsabilità limitata, di per sé non viola il divieto previsto dall’art.

2483 c.c. ed è pertanto astrattamente valida, dovendosi verificare caso per caso se ed

in quali termini il regolamento negoziale si ponga in effettivo e concreto contrasto

con la ratio della ricordata disposizione imperativa.

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Tornando alla fattispecie che qui ci occupa, va ricordato, come risulta dalla

documentazione in atti, che in data 1/10/2013 l’odierno opposto aveva formulato

proposta scritta di acquisto, per sé o per società da nominare, dell’intero capitale

sociale della Prado Tre S.r.l., al prezzo complessivo di euro 1.400.000,00; che, per

quanto qui di specifico interesse, era previsto il versamento, a titolo di caparra, di

50.000,00 euro alla sottoscrizione della proposta mediante “ … assegno bancario non

trasferibile num. 3043342129-09 tratto sulla Banca Bnl filiale di Fiumicino loc. Testa

di Lepre. In caso di mancata accettazione da parte della società Prado Tre S.r.l.

l’assegno suddetto verrà restituito; …” (cfr. doc. 1 fascicolo monitorio: proposta di

acquisto); che con raccomandata a/r del 29/10/2013, ricevuta il 31/10/2013, la società

aveva comunicato, con sottoscrizione della proposta, la propria accettazione; che in

calce alla proposta era apposta la sottoscrizione per accettazione da parte

dell’amministratore della Prado Tre S.r.l.: si tratta di sottoscrizione non

disconosciuta, apposta sulla dicitura “Per accettazione della proposta:

l’amministratore della Prado Tre S.r.l.”, con timbro della medesima società; che in

data 30/10/2013 l’odierna società opponente aveva provveduto a presentare

all’incasso l’assegno in questione, regolarmente pagato (cfr. doc. 2 del fascicolo del

monitorio: assegno fronte-retro con attestazione della banca); che non era stato rogato

l’atto definitivo.

Dunque, a seguito della processualmente emersa accettazione della proposta,

la società opponente aveva accettato di vendere al Pisano (per sé e/o per società da

nominare) le quote dell’intero proprio capitale sociale, da intendere appunto come

beni di terzi, ossia dei propri soci.

Appare fuori discussione che le parti fossero ben consapevoli della altruità

della cosa; infatti anche per il proponente Pisano il regime di pubblicità costituito

dall’iscrizione della società nel Registro delle Imprese presso la locale CCIAA rende

non dubitabile la conoscibilità dell’appartenenza del capitale ai singoli soci.

L’art. 1478 c.c., nel ribadire la piena legittimità della vendita di cose altrui,

vendita da cui derivano effetti di natura obbligatoria a carico del venditore, prevede

che “se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore,

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questi è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore” (1° comma) e che “il

compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà

dal titolare di essa” (2° comma).

Ricordata l’astratta ipotizzabilità anche di un contratto preliminare di vendita

di cosa altrui -in tale ipotesi il promittente venditore deve provvedere

all’adempimento dell’obbligazione assunta (far acquistare la proprietà del bene al

promissario acquirente) entro il termine previsto per il definitivo (cfr. Cass.

4164/2015)-, nel caso di specie ritiene il Collegio che si sia in presenza di un

contratto definitivo di vendita di cosa altrui, a ciò non ostando né la previsione della

riserva di indicazione dell’intestatario dei beni da nominare (cfr. artt. 1401 e ss c.c.: si

tratta di previsione applicabile anche a contratti definitivi) né la pattuizione

dell’incontro davanti al notaio, trattandosi invero di mera formalità necessaria per la

successiva iscrizione presso il Registro delle Imprese (cfr. art. 2470 c.c.).

Nell’ipotesi di vendita di cosa altrui l’adempimento da parte del venditore può

avvenire o mediante l’acquisto della proprietà della cosa da parte di costui, con

automatico trasferimento al compratore, ovvero mediante vendita diretta della cosa

dal terzo al compratore, purché detto trasferimento sia chiaramente e manifestamente

l’effetto dell’attività in tal senso svolta dal venditore presso il terzo (cfr. Cass.

13987/2010: “In tema di contratto preliminare di vendita di cosa altrui, l'obbligo del

promittente venditore di procurare l'acquisto della proprietà della cosa può essere

adempiuto sia mediante un siffatto acquisto da parte sua e con il trasferimento della

relativa proprietà al promissario acquirente, sia mediante vendita diretta della cosa

medesima dal terzo a detto promissario, purché tale trasferimento abbia luogo in

conseguenza di una attività svolta dallo stesso promittente alienante nell'ambito dei

suoi rapporti con il proprietario e che quest'ultimo manifesti, in modo chiaro e

inequivoco, la volontà di vendere il bene al promissario acquirente e in ragione

dell'adempimento degli obblighi assunti nei confronti del promittente venditore”).

Tanto premesso e chiarito in ordine all’astratta validità del contratto di

cessione delle quote sociali, da parte della società a responsabilità limitata, in termini

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appunto di vendita di cose altrui, si tratta di verificare se la disciplina pattizia incida

in concreto sulla validità del negozio.

Per arrivare a questo risultato è necessario verificare la concreta disciplina

negoziale, il tipo di domanda sottesa alla richiesta di condanna al pagamento del

doppio della caparra e la fondatezza o meno dell’eccepito inadempimento.

Alla luce del dato contrattuale, è processualmente emerso che l’importo di

50.000,00 euro era stato previsto a titolo di caparra confirmatoria (cfr. doc. 1 di parte

opposta: proposta di cessione quote, con in calce l’accettazione della S.r.l.: “ … Il

prezzo proposto … è fissato, d’accordo fra le parti, in euro 1.400.000,00 … . Tale

importo verrà così corrisposto: euro 50.000,00 …. a titolo di caparra alla

sottoscrizione della presente proposta … …”).

Analogamente risulta per tabulas -ed in ogni caso si tratta di circostanza non

contestata dall’attrice- che il predetto assegno, ad ulteriore dimostrazione della

conclusione del contratto, era stato incassato dalla società.

Il dato letterale consente di attribuire alla consegna ed al successivo

incameramento di detta somma di denaro, all’atto della conclusione del contratto, la

natura di caparra confirmatoria, in quanto versata a rafforzamento e garanzia

dell’impegno assunto dal cessionario.

Dunque già dal dato testuale emerge che il contratto, nel prevedere la

corresponsione di una caparra confirmatoria e quindi implicitamente l’obbligo in

capo alla società del pagamento del doppio in caso di suo inadempimento, si pone in

contrasto con il divieto di cui al più volte richiamato art. 2474 c.c..

L’effettivo svolgimento del rapporto contrattuale corrobora in fatto detta

conclusione.

L’opponente, quanto meno nella risposta stragiudiziale del 13/11/2013 (doc. 6

del monitorio) alla richiesta del Pisano di pagamento del doppio della caparra (doc. 5

del monitorio), aveva sostenuto che la somma di 50.000,00 sarebbe stata versata dal

Pisano quale mero finanziamento, sia pure propedeutico alla cessione delle quote.

Si tratta di deduzione che poi non ha trovato ulteriore prospettazione e prova

negli atti di causa, mentre -come detto- non è contestata (art. 115 c.p.c.) la circostanza

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dell’avvenuto incasso dell’assegno e quindi dell’incameramento di 50.000,00 euro da

parte della società.

A fronte dell’eccepito inadempimento della cedente, l’opposto ha richiesto la

restituzione del doppio della caparra, implicitamente invocando la previsione di cui

all’art. 1385 c.c.; quindi si deve procedere all’accertamento della legittimità del

recesso del cessionario per eccepito inadempimento della promittente venditrice,

odierna opponente.

Non rileva che la parte opposta non abbia espressamente formulato domanda

di accertamento della legittimità del proprio recesso dal contratto, in quanto la stessa

deve ritenersi implicitamente proposta, avendo l’ingiungente instato per la condanna

alla restituzione del doppio della caparra (cfr. Cass. 2032/1994: “Con riguardo

alla caparra confirmatoria, regolata dall'art. 1385 cod. civ., una domanda

di recesso, ancorché non formalmente proposta, può ritenersi egualmente, anche

se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia

richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta come

ragione legittimante la pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione

del doppio della caparra a lei a suo tempo corrisposta quale unica ed esaustiva

sanzione risarcitoria di siffatta inadempienza”).

Del resto lo stesso principio vale, mutatis mutandis, nel caso di domanda di

risoluzione da ritenere implicitamente proposta nel caso di domanda di restituzione

della prestazione eseguita in forza di quel determinato contratto (cfr. Cass.

21230/2009; Cass. 21113/2013”.

In tema di esercizio del diritto di recesso, valgono le seguenti osservazioni.

Come discorso di carattere generale e di inquadramento della disciplina di

legge, va ricordato che l’esercizio del diritto di recesso, previsto in caso di

versamento di caparra confirmatoria ex art. 1385, 2° comma, c.c., configura uno

speciale strumento di risoluzione di diritto del contratto, in quanto presuppone pur

sempre l’inadempimento della controparte, avente i medesimi caratteri

dell’inadempimento (grave e di non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse

dell’altra parte) che giustifica la risoluzione giudiziale (cfr. Cass. 18266/2011; Cass.

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409/2012; Cass. 17489/2012); che il legittimo esercizio del diritto di recesso da parte

del contraente non inadempiente comporta il riconoscimento del diritto di trattenere la

caparra (se inadempiente è il promissario acquirente) ovvero di ottenere il doppio

della somma versata a titolo di caparra confirmatoria (se inadempiente è invece il

promittente venditore); che sussiste, quanto alla domanda risarcitoria, l’alternatività

dei rimedi risarcitori previsti rispettivamente dal 2° e 3° comma dell’art. 1385 c.c.: la

parte non inadempiente può scegliere se optare per il recesso con richiesta della

caparra (o del suo doppio) ovvero per l’esecuzione o la risoluzione del contratto con

richiesta di risarcimento del danno, in base ai principi generali, ma non può avvalersi

di entrambi cumulativamente (cfr. Cass. 16221/2002). Se la parte non inadempiente

preferisce esercitare il recesso e richiedere la restituzione della caparra (o il doppio),

la caparra mantiene la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno e

non si può pretendere altro a titolo di risarcimento, mentre, qualora la parte non

inadempiente preferisca domandare la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il

diritto al risarcimento del danno rimane regolato esclusivamente dalle norme generali,

per cui il pregiudizio subito dovrà in tal caso essere provato nell’an e nel quantum

(cfr. Cass. 18850/2004): in quest’ultimo caso la caparra perde pertanto la suddetta

funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno (cfr. Cass. 13828/2000;

Cass. 3555/2003).

Si rammenta inoltre che, nel caso di inadempimento del promittente venditore

e quindi di condanna alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo versata dal

promissario acquirente, l’obbligazione in parola integra una obbligazione pecuniaria e

che si tratta di un debito di valuta.

Così delineato l’ambito dogmatico della domanda e ritenuta, in punto di fatto,

pacifica la consegna di 50.000,00 euro a titolo di caparra confirmatoria, ribadisce il

Collegio che nella domanda di risoluzione contrattuale, cui -come detto- è parificato

il recesso, il creditore è tenuto a provare soltanto l’esistenza della fonte (negoziale o

legale) del suo diritto e la scadenza del termine per l’adempimento, ma non anche

l’inadempimento da parte dell’obbligato, che va meramente allegato, dovendo infatti

essere quest’ultimo, cioè il debitore, a provare l’esistenza di un fatto modificativo,

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impeditivo o estintivo dell’altrui pretesa (cfr. Cass. SU 13533/2001; Cass. 9439/2008;

Cass. 15677/2009; Cass. 3373/2010; Cass. 15659/2011; Cass. 7530/2012; Cass.

8901/2013).

In base al contratto era previsto, oltre al pagamento di ulteriore tranche di

400.000,00 euro al momento dell’atto notarile, che quest’ultimo “ … avverrà entro e

non oltre il 30 ottobre 2013 …” (cfr. citata proposta dell’1/10/2013): si è detto che si

tratta di formalità necessaria per la successiva iscrizione del trasferimento delle quote

nel Registro delle Imprese.

L’opposto ha prodotto copia di un telegramma, da cui emerge che era stato

concordato un nuovo incontro per il 4/11/2013 (cfr. doc. 3 del monitorio: telegramma

del 3/11/2013 delle ore 17:07: “Facendo seguito alla vostra A/R del 31/1072013 vi

confermiamo la proposta di cessione di quote fissata per il giorno 4/11/2013 alle ore

15.00, notaio Pietro Marzano via Asiago 9 Roma”), cui aveva fatto seguito

raccomandata del proprio legale dell’8/11/2013 di contestazione del grave

inadempimento dell’odierna attrice sul presupposto che “ … malgrado vari incontri

fissati davanti al notaio Pietro Marzano (in data 25/19/2013, 30/10/2013 e 4/11/2013),

non si è potuto addivenire a tale stipula a causa della mancata presentazione dei vostri

soci …”, con formale richiesta di “ … restituzione del doppio della caparra … pari

alla somma di euro 100.000,00 …” (cfr. doc. 5 del monitorio: comunicazione PEC

dell’8/11/2013 dell’avv.to Spaccatrosi).

Pertanto, è evidente che l’opposto abbia fornito la prova del titolo (contratto di

cessione di beni altrui) e della scadenza del termine per l’adempimento (quanto meno

il 4/11/2013), mentre da parte della società opponente non è stata fornita la prova che,

entro il termine originariamente pattuito ovvero entro il termine di comune accordo

prorogato al 4/11/2013, avesse adempiuto all’obbligo contrattualmente assunto di

ottenere il trasferimento delle quote dai propri soci al Pisano ovvero di acquisirle per

l’immediato ritrasferimento al Pisano.

Analogamente non risulta alcuna prova, in base a conferente allegazione,

dell’esistenza di fatti impeditivi o modificativi, come p.es., un eventuale accordo per

la previsione di una ulteriore proroga del termine per l’adempimento.

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Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016RG n. 27519/2014

Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016

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In conclusione si è in presenza di inadempimento colpevole e grave da parte

dell’odierna opponente, cui corrisponde tanto la legittimità del recesso operato dal

Pisano, quale mezzo di autotutela riconosciutogli dall’ordinamento per reagire

all’altrui inadempimento, quanto astrattamente l’ipotizzabilità di una condanna

dell’opponente al pagamento del doppio della caparra confirmatoria.

Se queste premesse in fatto ed in diritto sono esatte, è allora conseguenziale

che, come ben delibato dal Giudice del monitorio alla luce delle superiori premesse

sugli oneri probatori a carico delle parti, l’opponente, inadempiente alle obbligazioni

assunte, sarebbe tenuta, a fronte del legittimo recesso operato dal promittente

cessionario, alla corresponsione del doppio della caparra confirmatoria a suo tempo

versata dal Pisano.

Non vi è alcuna contestazione (art. 115 c.p.c.) né -come detto- in ordine alla

natura del versamento né in ordine all’ammontare (50.000,00 euro) della predetta

caparra né altresì in ordine all’effettivo incasso della somma.

Portando a sintesi le superiori osservazioni in fatto e in diritto, appare allora

evidente che anche in concreto, per come si sono svolti i fatti, il regolamento

negoziale, desumibile dal citato contratto di cessione di quote nelle forme del

contratto di vendita di cose altrui, si pone in palese violazione della disposizione

imperativa (attualmente art. 2474 c.c.), che impone alla società di non compiere

operazioni (acquisto, prestazione di garanzia, ecc.) che, come nel caso di specie,

incidono sulla integrità del capitale sociale; infatti la previsione contrattuale della

corresponsione di una somma a titolo di caparra confirmatoria e la previsione di legge

della condanna al pagamento del doppio in caso di inadempimento, come peraltro

emerso in concreto, comporterebbero una incidenza negativa sul capitale sociale.

In conclusione, sia pure per vizio diverso da quello indicato dall’opponente, il

contratto di cessione di quote di cui alla proposta dell’1/10/2013 è nullo per

violazione del divieto di cui all’art. 2474 c.c..

Passando all’esame della domanda subordinata, la stessa ben può essere

interpretata come domanda restitutoria conseguente all’accoglimento dell’eccezione

di nullità del contratto; va applicata al riguardo la disciplina in tema di indebito

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Sentenza n. 21742/2016 pubbl. il 21/11/2016RG n. 27519/2014

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oggettivo, con previsione della condanna dell’accipiens al pagamento degli interessi

dal giorno del pagamento, nel caso in cui lo stesso fosse in mala fede nel momento in

cui aveva percepito la somma da restituire, ovvero dal giorno della domanda, nel caso

di buona fede (che si presume).

Per mera completezza espositiva si ritiene ultronea, in aggiunta alla domanda

restitutoria, la richiesta di accertamento dell’indebito arricchimento da parte della

opponente (cfr. fin da Cass. 1024/1971: “Quando le parti chiedono la restituzione

delle prestazioni rispettivamente eseguite un dipendenza di un rapporto negoziale

dichiarato nullo, per l’accoglimento delle rispettive pretese è necessario, e nello

stesso tempo sufficiente, secondo la disciplina propria della ripetizione dell’indebito

oggettivo, il ricorso dei requisiti della avvenuta esecuzione delle prestazioni

(pagamento) e della nullità del titolo (contratto) in virtù del quale tale esecuzione

aveva avuto luogo; non occorre anche la prova della sussistenza dell’arricchimento

del patrimonio dell’accipiens e della corrispondente diminuzione di quello del

solvens, che, essendo questi requisiti caratteristici dell’azione generale di

arricchimento senza causa, non costituisce elemento necessario per la ripetizione

dell’indebito”).

Nel caso di specie, non emergendo alcun elemento atto a consentire di

superare la presunzione di buona fede in capo all’accipiens (ossia l’odierna

opponente, rectius il proprio amministratore e legale rappresentante, ex art. 1391

c.c.), l’opponente va condannata alla restituzione della somma di 50.000,00 euro,

oltre interessi legali dalla domanda (data di deposito della memoria ex art. 183/6 n° 1

c.p.c.) fino al saldo effettivo.

Tali essendo le risultanze di causa, va accolta l’opposizione al decreto

ingiuntivo n° 5288/2014 del 6/3/2014 di questo Tribunale (n° 79938/2013 Rg), ma

l’opponente va condannata al pagamento, a titolo di restituzione di quanto ricevuto in

forza di un contratto nullo, della somma di 50.000,00 euro, oltre accessori su indicati.

La possibilità di revoca del decreto ingiuntivo opposto e di contestuale

condanna per la differenza è pacifica in giurisprudenza, in quanto -si riprende il

discorso su anticipato- sia con il ricorso per decreto ingiuntivo che con la domanda di

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Repert. n. 21465/2016 del 21/11/2016

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rigetto dell’opposizione vi è esercizio di un’azione di condanna; quindi non vi

sarebbe alcuna ultrapetizione neanche a fronte di una mera richiesta di conferma del

decreto ingiuntivo opposto e nulla impedisce, in caso di revoca del decreto ingiuntivo

per parziale infondatezza della pretesa azionata in via monitoria ovvero per questioni

formali attinenti al decreto monitorio, che l’opponente possa essere condannato al

pagamento della somma accertata come ancora dovuta alla data della sentenza (cfr.

Cass. 1954/2009; Cass. 9021/2005; Cass. 15186/2003): sul punto si consideri la

disciplina di cui all’art. 653, 2° comma, c.p.c..

Per quanto riguarda il regime delle spese dell’intera procedura -si rammenta

che la procedura (fase monitoria e fase di opposizione) è unica e che il decreto

ingiuntivo è stato revocato anche in ordine al capo delle spese-, ritiene il Collegio,

atteso l’esito complessivo del giudizio, che le spese dell’intera procedura debbano

essere compensate per 1/2 e poste a carico dell’opponente per il residuo, stante il

grado di soccombenza.

Si dà atto che per la liquidazione delle spese deve essere applicato il Decreto

Ministero Giustizia n° 55 del 10/3/2014 (GU n° 77 del 2/4/2014) sui nuovi parametri

forensi, entrato in vigore il 3/4/2014.

Va nuovamente riconosciuto il rimborso forfettario (art. 2, 2° comma, citato

DM 55/2014).

P.Q.M.

definitivamente pronunciando:

in accoglimento dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo opposto n° 5288/2014

del 6/3/2014 di questo Tribunale (n° 79938/2013 Rg);

condanna peraltro l’opponente Prado S.r.l. al pagamento, in favore dell’opposto

Pisano Mirko e a titolo restitutorio, della complessiva somma di 50.000,00 euro, oltre

agli interessi indicati in motivazione;

compensa per 1/2 le spese di lite e pone a carico della società opponente, per il grado

di soccombenza, il residuo, che liquida in 3.000,00 euro per compensi professionali,

oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge.

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Così deciso a Roma, l’ 11/10/2016

il Presidente

dott. Francesco Mannino

il Giudice estensore

dott. Francesco Remo Scerrato

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