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Editoriale Bruno Pittau ARTE Annamaria Caracciolo FILOSOFIA Luigi Mazzarelli poesia Tommaso Iorco Woody Guthrie Mara Bua Bruno Pittau Mimmo Bua Pro-memo Maleficus RECENSIONI Elisabetta Rombi RIVISTA DI ARTI, CINEMA, POESIA, FILOSOFIA E LETTERATURA 7 Anno III – N° 7 settembre 2010 S O LiANA Edita a cura dell'associazione manuelfurru & co e di Broken Art

SOLIANA n°2 -02 7.pdf · • Intergrafica–Stanzaverde-Ilgiocodel’oca 1990 • Cagliari–Akropolis–Mostrapersonalediincisioni • Dublino–Ilgestoelamemoria–Europeanmailart

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EditorialeBruno Pittau

ARTEAnnamariaCaracciolo

FILOSOFIALuigi Mazzarelli

poesiaTommaso IorcoWoody Guthrie

Mara BuaBruno PittauMimmo Bua

Pro-memoMaleficus

RECENSIONIElisabetta Rombi

RIVISTA DI ARTI, CINEMA, POESIA, FILOSOFIA E LETTERATURA

7Anno III – N° 7settembre 2010

SOLiANA

Edita a curadell'associazionemanuelfurru & coe di Broken Art

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Soliana guerrigliera – Bruno Pittau

ArteAnnamaria Caracciolo

FilosofiaThèlema-azione / bozza n. 1 – Luigi Mazzarelli

PoesiaLa poesia futura, parte III – Tommaso IorcoIo e gli altri –Woody GuthrieSe –Mara BuaIl sole ferito –Mara BuaIl califfo dell’hascisc – Bruno PittauCosa significa poetare –Mimmo Bua

Pro-MemorieSicurezza –Maleficus

RecensioniMalacqua, di N. Pugliese – Elisabetta Rombi

SOLiANARivista di Arti • Poesia •Filosofia • Letteratura •FONDATA E DIRETTADAMIMMO BUA

Sommario

pag. 3

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13

314950515253

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www.soliana.net

Direttore editoriale:Placido Cherchi

Direttore responsabile:Anna Brotzu

Comitato di redazione:Placido CherchiGraziella EliaBruno Pittau

Elisabetta Rombi

Progetto graficoe impaginazione:Bruno Pittau

www.brokenart.org

AUTORIZZAZIONEDEL TRIBUNALE DI CAGLIARIn° 23/07 del 9.08.2007

Anno III

n. 7settembre 2010

Le opinioni espresse negliarticoli firmati impegnanoesclusivamente i loro autori.

Il Copyright © dei testi edelle immagini (saggi, poe-sie, racconti; disegni, foto-grafie, riproduzioni d’arte) èdei rispettivi autori.Tale materiale è liberamen-te utilizzabile per citazioni erecensioni, a condizione dicitare la fonte con il relativourl:www.soliana.net

Immagine di copertina:Bruno Pittau, Spazialità marine, 1987, monotipo acquerellato, cm 21 x 29,7

Solianasettembre 2010 2

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Soliana guerriglieraBruno Pittau

Solianasettembre 20103

La ragion d’essere di Soliana è sospesasull’orlo dell’abisso, tra l’eredità diThèlema e un presente sotto il piùoscuro e mortificante dominio dellamerce. Ma è l’unica sfida possibile per

noi vecchi e irriducibili sognatori di smisurataincoercibile utopia, e benché diseredati di tutto edemarginati nell’ultimo deserto del dominio, non cirinchiudiamo nell’afasia ludica del solipsismo del-l’idiota ma crediamo che l’arte sappia tagliarele teste e uccidere i mostri.

Dopo un dovuto e indispen-sabile momento “commemora-tivo”, un ricordo dei nostriamici prematuramente scom-parsi e un riannodarsi al lorolascito intellettuale, Solianacontinua a proporre gli scritti diLuigi Mazzarelli, ma questa voltacon un invito esplicito agli artisti perchéosino, riprendano, incomincino, a confrontarsi con gli aspettiteorici della prassi artistica e con il paradosso del loro “essere almondo”.

Pubblichiamo dunque uno degli ultimi testi elaborati daMazzarelli nel 2003, “Thèlema-azione”, destinato ad una ripresa delle pub-blicazioni e dell’attività della rivista, e manifesto di una nuova, più audace e radicale“Thèlema guerrigliera”. Si tratta di un testo che Mazzarelli scrisse quasi di getto e checertamente avrebbe sviluppato e rifinito prima di licenziarlo per la stampa. A noi nonresta che pubblicarlo così come ci è pervenuto, certi che la forma non del tutto compiu-ta e l’immediatezza della scrittura non inficiano il contenuto, che è anzi di stringenteattualità e costituisce un punto ineludibile della crisi mortale dell’arte.

«Poeta e realtà.La Musa del poeta che non è innamorato della realtà, non saràappunto la realtà e gli genererà figli dagli occhi cavi e dalle ossatenere».

F. Nietzsche

Annamaria Caracciolo,senza titolo, 1983,linoleumgrafiacm 48 x 45

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Solianasettembre 2010

“Cosa significa poetare”. Queste ultime(risalenti ai primi anni ’90 ed originaria-mente destinate alla fruizione didattica inalcune classi dell’istituto magistrale ‘Eleono-ra d’Arborea’ di Cagliari) vengono qui pub-blicate sia per rivelare un lato poco noto diMimmo Bua scrittore per vocazione e ‘inse-gnante’ per necessità, un lato che ha a chefare con la sua ineludibile necessità di porta-re anche nell’ambito dell’attività lavorativaquotidiana la sua inesausta ricerca di cono-scenza, ma anche (e soprattutto) perché die-tro un aspetto dichiaratamente “didattico” èpossibile rintracciare una sorprendente edanticipatoria sintesi divulgativa degli esitiultimi della sua ricerca personale, sintesi checontribuisce a definire una “chiave di lettu-ra” della sua adesione alla filosofia di SriAurobindo, quasi un “chiudere il cerchio”che inizia con Eraclito e passa per Heideg-ger per ricongiungersi col principio...

Fra i componimenti poetici abbiamoun omaggio e un MANIFESTO al grandeWoody Guthrie, il “padre” della musicafolk americana, l’Omero dalla voce di rug-gine, il cantore della Depressione deglianni ’30 e del New Deal, sindacalista ecomunista nell’America del senatoreMcCarty... che aveva scritto sulla sua chi-tarra: «this machine kills fascists». Pernoi passatisti e manichei è un’icona del-l’impegno che ci piace assai riproporre,giusto per essere ancor più inattuali.

Abbiamo poi due poesie di Mara Bua,composizioni “difficili” nonostante il lin-guaggio piano, asciutto e scarno. Vi siesprime un mondo di sofferenza con tuttala nobiltà del ripudio della “speranza” e,inaspettatamente, senza alcuna tetraggine,ma con struggente incanto di dura fiaba.

E infine una poesia del sottoscritto, “Ilcaliffo dell’hascisc”, che parrà senz’altroun inno antiproibizionista, ma in verità èun sogno di languore esistenziale propizia-to dalla Cannabis.

Chiude il numero la recensione diElisabetta Rombi su Malacqua, di NicolaPugliese; un libro edito nel ’77 e che l’au-tore è poco propenso a far ristampare; pernoi un motivo in più per parlarne.

1 L’elenco dei “post”, per chi è adeguatamenteaggiornato, è ormai smisurato. Sul “Moderno” le modesi sono sovrapposte e succedute quasi con cadenzaannuale... Ma rimane sempre lì il fantasma del “Moder-no”, sul quale continuano a proliferare i “linguaggi” dei“postumi” e dei “barbari”.

Mi rivolgo a quei pochi o pochissimiche “sanno leggere” e si riconoscono nellestridenti contraddizioni dell’artista post-post-moderno1 evidenziate dettagliatamen-te in “Thèlema-azione” e desiderano fareonestamente i conti con tale realtà. Perchéla prassi dell’artista è immersa in una realtàche annichilisce e svuota il fare di ognisenso; allora abbiamo o le beate animesemplici che dipingono madonne e fiorel-lini come se niente fosse, o abbiamo laribellione violenta, tanto più acuta quantopiù disperata e perdente, che si traduce inuna alta e consapevole qualità del “fare” etrova nel momento pubblico la sua mani-festazione di dissenso al dominio.

C’è dunque bisogno di confronto teo-rico, c’è bisogno di includere nella prassipittorica la consapevolezza, il confronto ela riflessione; nessuno può cavarsela dicen-do candidamente che «a me mi vienecosì...» o ancor meno gli è concessa alcunaconcrezione letteraria ad ammantare ilvuoto pittorico.

Questo vuol essere un impegno pro-grammatico della rivista ed è rivolto aglisperimentatori visivi di rara sensibilità esuperba inattualità, capaci di “mettersi ingioco”.

La sezione “arte” ospita AnnamariaCaracciolo, un’artista che collaborò assi-duamente alla rivista “Thèlema” con raragenerosità e febbrile entusiasmo, impron-tandone diversi numeri con i suoi originaliinterventi pittorici / materici incollati trale pagine e partecipando alle mostre e alleiniziative della rivista. Siamo lieti della suacollaborazione e della inesauribile e sor-prendente freschezza delle sue opere chequi presentiamo e che attraversano unvasto arco di tempo della sua produzione.

Questo numero è fortemente sbilanciatosulla sezione “poesia”, dalla III parte conclu-siva del lungo saggio di Tommaso Iorco“La poesia futura”, fino alla prima partedelle lezioni sulla poesia di Mimmo Bua

Nella pagina a fronte:Bruno Pittau,Smash, 1987,monotipo acquerellato,cm 21 x 29,7

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DELIBERAZIONI«I Persiani usano discutere i loro affari più

importanti in stato di ebrietà, e l’indomani si fannoripetere a digiuno ciò che avevano trovato buononella discussione: se lo trovano buono anche adigiuno lo accettano, altrimenti ci rinunciano.In compenso una cosa già discussa a digiuno,tornano a discuterla quando sono ubriachi».

(ERODOTO, Storie, I capitolo)

Aforismi

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Solianasettembre 2010 6

Bruno Pittau,Ritratto di Annamaria,2010,Fotografia rielaborata

MOSTRE RECENTI:

1989• Intergrafica – Stanza verde - Il gioco dell’oca

1990• Cagliari – Akropolis – Mostra personale di incisioni• Dublino – Il gesto e la memoria – European mail art

1991• Cagliari – Giornata Regionale dell’acqua –

Grazie acqua• Cagliari – Galleria comunale – La posta in gioco 2

1992• Cagliari – Mostra collettiva dei pittori sardi,

3° premio “Febbraio 1991”• Cagliari-Firenze – Free dogs club:

Inaugurazione e statuto• Calcata (Roma) – L’eremita 2 – mostra personale

1993• Nora-Cagliari – Teatro romano – La notte dei poeti• Cagliari – galleria “La Bacheca” – Palla al centro

1994• Bagno a Ripoli, Firenze – Creatività altenativa

a valori umani• Firenze – free dogs – Pelle di mondo opera

collettiva multimediale

1995• Castel San Pietro Terme – mostra di mail art

1996• Selargius Centro comunale di cultura –

Aspettando Ulisse1997

• Brasile, Bento Gonsalves – Poesia Virtual1998

• Bari – Venti e una poesia –Antiche liriche irlandesi illustrate

• Meana Sardo (Nu) – La Posta in gioco 3• Roma – Palazzo delle esposizioni – Recyclig art

2000• Università degli Studi di Sassari – Fé(a)sta convivio

artistico-letterario irlandese – Miti nuovi e antichid’Irlanda

• Parigi Le Rire• Castel San Pietro Terme – Mostra di mail art

2001• Parigi, Des Arbres• Castel San Pietro Terme – Mostra di mail art

2002• Cagliari, Galleria “La Bacheca” Carta Canta 2• Madrid, Arteria Grafica, Carta Canta 2• Madrid, Arteria Grafica, Personale di incisioni

• Castel San Pietro Terme – Mostra di mail art2003

• Venezia, Zero Tre Group – Lykannthropia• Firenze – Alle Giubbe Rosse – Presentazione

del Gruppo Zerotre2004

• Mestre – Venezia Forte Carpnedo –Performance dei Free Dogs

• Cagliari – Galleria G28 – collettiva• Firenze – Alle Giubbe Rosse – Presentazione

del Gruppo Zerotre• Arborea (OR) – Il cappello d’autore – collettiva• S. Antioco – Isola senza confini

2005• Napoli – Accademia di Belle Arti – Mostra personale

di incisioni• Castel San Pietro Terme – Mostra di mail art• Cagliari, Il segno nel libro – Ed. Illisso – Collettiva

2006• Cagliari, Il segno nel libro – Ed. Illisso, Libreria Miele

Amaro – Collettiva• Cagliari, Galleria “La Bacheca” – personale

2007• Ghilarza, 70° anniversario delle morte di Antonio

Gramsci – collettiva

• Cagliari, Galleria “La Bacheca” – personale2008

• Cagliari, Movimenti artistici periferici – personale• Cagliari, Spazio P – personale• Parigi – Enigme• Cagliari, T Hotel – Pecore• S. Antioco – Isola senza confini

2009• Palo del colle (BA) Convegno: Omaggio all’Artista

Franco Ferrovecchio• Rignano sull’Arno, Creativa mostra internazionale di

mail art• Firenze, Biblioteca delle Oblate “La Performance

interattiva” – Dalla Posta in gioco alle celebrazionirusselliane

• Firenze, Biblioteca delle Oblate –La force de la lettre2010

• Parigi, Des impression d’Afrique• Castel San Pietro Terme (BO), MAIL Artincontriamoci

ART DETOX• Cisterna di Latina, Mostra mail art.

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Annamaria Caracciolo

Annamaria Caracciolo,Pagina 1, Pagina 2,

1992,acrilico-plexiglass

serigrafato su mediumdensity,

cm 74 x 104

Annamaria Caracciolo, nasce a Cagliari il 07.02.1947, consegue il diploma di maturitàartistica anche sotto la guida dei Maestri Foiso Fois e Antonio Mura. Vive a Cagliaridove ha insegnato discipline pittoriche presso il Liceo Artistico Statale dal 1974 e doveopera attivamente dal 1968 nelle arti visive. Dal 1970 collabora con il regista PierfrancoZappareddu. Nel 1982 frequenta la stamperia L’Aquilone di Cagliari dove partecipa acorsi di incisione di tecniche incisorie sperimentali diretti da Franco Ferrovecchio e tec-niche antiche diretti da Giulia Napoleone. Nel 1984 aderisce alla prestigiosa rivistaThèlema fondata da Mimmo Bua e Luigi Mazzarelli che ebbe ampio risalto internazio-nale nel mondo dell’arte. Nei primi venti anni di attività oltre che presentare diversemostre personali, partecipa a numerose mostre e manifestazioni collettive.

Solianasettembre 20107

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Solianasettembre 2010 8

Annamaria Caracciolo, Cavallo, 1970, acrilico su cartone, cm 71 x 100

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Solianasettembre 20109

Annamaria Caracciolo, Senza titolo, 2002, tecnica mista su carta, cm 58 x 79

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Annamaria Caracciolo,serie pavimenti, 1992plexiglass serigrafatocm 33 x 33

Solianasettembre 2010 10

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Solianasettembre 201011

Annamaria Caracciolo,senza titolo, 2003tecnica mista su

plexiglass serigrafato,cm 45 x 40

In basso:Annamaria Caracciolo,

senza titolo, 2003tecnica mista su

plexiglass serigrafato,cm 45 x 40

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Solianasettembre 2010 12

Annamaria Caracciolo,Omaggio a MicheleCaracciolo, 2004,tecnica mista su carta,cm 66 x 56

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Thèlema-azioneBOZZA N. 1

Luigi Mazzarelli

I

L’Arte in Occidente è messa-in-forma del Divenire: tempo e spaziodella Comunità umana.

Dall’origine l’Arte occidentale (delDire del Pensare del Fare, ovvero del fareComunità e Storia) è la variabile dipen-dente del Regime che regola-domina iltempo e lo spazio dell’Uomo: Dominio!

Dall’origine un quantum dell’Artesfuggiva al Dominio. Dunque l’Arte sfug-giva all’Arte.

Ora non più. L’arte è inesorabilmenteArte del Dominio.

I bis

L’Arte è la più alta testimonianza delDivenire che testimoniando fissa e qualifi-ca: mette-in-forma. Ma mettere-in-forma ilDivenire è anche mettere-in-potenza laVolontà. La Volontà-in-potenza genera ilNuovo della Forma. L’Arte fissa ilDivenire ma dal Divenire viene ognoratravolta.

L’Arte è Verità e Forma: l’una è perma-nente, l’altra impermanente: dove la veritàpermane la forma svanisce; dove la Formapermane la Verità svanisce. Tra Verità eForma c’è dunque radicale contraddizione.

La Forma è sì strumento della veritàma è al contempo Volontà che si fa:

mette-in-potenza la forma-Mondo e ne fastrumento: Dominio. L’Arte che è domi-nio della Forma è perciò dominio e deldominio scorre inesorabile la genealogia.Fino alla prima potenza. Il nucleo dell’im-permanenza: il Dominio del Dominio: ilFuoco eterno.

Tra Verità e Forma l’Arte è condannata auna Doppiezza essenziale che solo raramentee sempre imperfettamente trova la stradaper la Sintesi. La Forma ha le sue leggi e tratutte quella che impone l’insuperabile tiran-nia: il Divenire. È dunque inesorabilmentecondannata al Nuovo e il Nuovo incessante-mente la trascina per i capelli. Quando siferma si corrompe, ritorna all’enigma inde-cifrabile che la precede.

Non ha perciò Autonomia. È condizio-nata. Dipende dalle variabili del tempo edello spazio che gli Uomini mettono-a-Regime, continuamente. Dipende dallaForma che la precede e che fa blocco colRegime. Vale a dire dipende dal Regimeche regola il tempo e lo spazio della Co-munità e che ratifica emenda rettifica ilblocco storico della messa-in-forma e lacandida alla conquista del Futuro. Dun-que l’Arte è la variabile dipendente delRegime che regola il tempo e lo spaziodell’Uomo entro la forma-comunitariache di volta in volta quest’ultimo eleggecome propria sede e teatro d’azione.

E tuttavia laddove la Forma pervienemiracolosamente alla verità e vi si fissa,qui l’Arte trova autenticamente il suoAutos, e nell’Autos universalità e trascen-

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Solianasettembre 2010 14

Luigi Mazzarelli,studio, 1977,matita su carta,cm 50 x 70

denza. Qui l’Arte svela l’essenza sua piùpropria e prefigura l’“Uomo di specie”,l’uomo dell’autocoscienza che contraddit-toriamente, tra Bene e Male, cerca strema-to la strada che lo riporta nel luogo lonta-no da cui molto molto tempo prima, nonsa più se è stato scacciato o si è avventuro-samente allontanato. Ma sono lampi, scin-tille di luce nell’interminabile sterminatocalare delle tenebre. Ma poiché il Divenireè la pena e insieme la speranza di tutti inaviganti, la Forma che fissa la luce non èsdoppiabile. Non è comunicabile fuori dalsoggetto. È inadeguata, soprattutto, e iflutti del divenire che l’incalzano la sman-giano a poco a poco. Il presente non puòaccoglierla tutta ed è subito memoria,archeologia.

Ma fissandosi in scintille che eccitano lamemoria dell’origine, l’Arte poteva sfuggi-re al dominio della Forma. L’Arte potevasfuggiva all’Arte. E la forma sfuggiva alfeticismo e all’alienazione. Sfuggiva allaForma. Questa virtù rara faceva dell’Artel’unica prassi dell’Uomo in cui la Volontà

poteva mettersi in contraddizione con laPotenza. L’unica prassi con la quale laComunità poteva rapportarsi in giustizia everità con la Natura, intesa come bene ina-lienabile di tutte le creature viventi, essastessa creatura vivente, e in essa ricercare lapropria continuità con l’Universo, e in essala propria radice divina.

Ora non più. Da quando il Dominioha conquistato il Mondo – l’intero globoterracqueo e i pianeti più prossimi e lecomunità tutte degli uomini – l’unicaverità dell’Arte è quella stessa che ucciden-do l’Arte ne fa un feticcio delirante checresce su se stessa in aggregati modulariautoproliferanti. Cancro! Essa è sprezzanteseparazione, arrogante infinitizzazione delframmento, dominio della quantità,assoggettamento delle coscienze,Dominio!

Thèlema è una delle (poche molte?Chissà) comunità ribelli superstiti dispersein questo resto di mondo che ha colto laverità dell’Arte, l’unica verità rimasta:

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quella che in essa ha vinto: il suo catastro-fico pervenire alla negazione di ogni altropossibile. La verità affermata, quella cheha vinto tutte le battaglie, tutte le guerre,è la verità che uccide la verità, la libertàche uccide la libertà, la bellezza che uccidela bellezza. In una parola l’arte che uccidel’arte nello stesso modo per il quale – pos-siamo dire – l’uomo uccide l’uomo. Inquesto evento catastrofico che si è rivelatoin tutta la sua terrificante portata negliultimi decenni del millennio sotto i nostriocchi, occorre vedere senza esitazioni nongià, semplicemente, la fine di un’epoca,ma la fine di un’era. L’Arte era l’ultimapossibilità concessa all’uomo di gestire il“Fuoco” esorcizzandone la distruttività.L’unica possibilità rimasta di godere deifrutti della terra senza farsi-farle violenza.L’ultimo strumento rimasto al Ribelle perliberare la Specie dalla condanna e costrui-re in pace e benessere il regno di Utopia.Dal momento in cui i ribelli sconfitti edispersi prendono atto dell’impossibilitàdi ogni possibile “Alternativa” e perciòdell’affermazione nell’Arte della verità vin-

cente: la reificazione, da questo momentoe solo da questo momento, inizial’Apocalisse!

Thèlema, dopo un lungo periodo didolorosa riflessione sulle ragioni della pro-pria “inattualità”, si ripropone all’Azionenel tentativo disperato e improbabile ditrovare il modo di uscire dal Mondo fattoin tutto e per tutto – irrimediabilmente! –a immagine del Dominio. Nel Frattempovive fino in fondo, senza pietà per sé,l’Apocalisse in corso. Non già per scoprir-ne le cause e dominarle, che sono da moltotempo note e insanabili, bensì per alimen-tare in essa come sopra la brace l’insanasperanza del Ritorno. Vive l’amaro insoste-nibile della Nudità radicale in cui è costret-to oggi il ribelle sconfitto e disperso maqui elabora, contro ogni ragionevole spe-ranza, inopinatamente, gli strumenti delRitorno. E in questo Vivere l’amaro, in que-sto vivo bruciare nel dolore in cui tuttavia lasperanza del Ritorno prende inopinatamen-te slancio, Thèlema fonda alla radice la suadialettica e in essa la sintesi da stabilire.

Solianasettembre 201015

Luigi Mazzarelli,studio, 1977,matita su carta,cm 50 x 70

• Questo disegno equello nella pagina pre-cedente rappresentanoalcuni studi del 1977 dicopia dal vero che Maz-zarelli considerava pro-pedeutici alla sua ricer-ca “astratta”.

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Solianasettembre 2010

II

L’Arte era libertà tra Volontà e Potenza daun alto e tra Finito e Infinito dall’altro. LaPotenza tende al Finito. La Volontà all’infi-nito. La Volontà di potenza è infinitizzazio-ne della finitezza o, al contrario finitizzazio-ne dell’infinito: il massimo della superbiacui le creature che abitano l’universo del-l’impermanenza possono concedersi.

L’arte è dominio della Forma. LaForma è Potenza e perciò Dominio. Essacade fatalmente sotto il dominio delDominio. Dunque l’Arte è tendenzial-mente Dominio.

Condizione della Potenza è la Volontà.Ma la Volontà può non volersi tradurre inPotenza. Può trattenersi al di qua o andareal di là. Dunque solo la Volontà è il regnoautentico della Libertà. Ma lo è essenzial-mente perché la volontà può spingersifino a scegliere di non volersi, cioè quan-do la Libertà si spinge fino al punto dinegarsi. Ovvero quando Volontà ePotenza entrano in conflitto antagonisticoall’interno della stessa soggettività che licostituisce.

C’è invece una dimensione intima-mente contraddittoria della Libertà in cuinon esistono limiti soggettivi al suo eserci-zio. È questo l’ambito della Potenza pura(sia essa potenza strumentale, brutalepotenza in atto o la potenza-in-potenzache intenziona-arma la soggettività e lamuove all’azione). Un ambito in cui laVolontà è tesa allo spasimo in un deliriodi conquista che non ha confini definiti.Un ambito in cui possono stare anche“Bellezza” e “Verità” ma solo la bellezza ela verità del Finito. Dunque bellezza everità del Limite. Ma è un limite, quello,che esse tentano continuamente di valica-re sebbene ne vengano inesorabilmentescacciate. Non per questo la Volontà èdimessa. (Solo con il Bene la Libertà acce-de facilmente all’Infinito ma giunta inesso si scioglie: ora Volontà e Potenza nonhanno più senso, tantomeno la Forma.Stava in questo la contraddizione insupe-rabile dell’Arte fino ai nostri giorni! La

16

Forma da essa manipolata non poteva nonaccontentarsi del Limite: era esattamentein quel limite che essa evocava l’Infinito:superarlo voleva dire sciogliersi... È l’attoestremo di superbia che tenta il limite delfinito pur nella finitezza, a istigare laPotenza a prendere il sopravvento sullaVolontà e a farne “volontà di potenza”. Etuttavia nell’irrisolto conflitto di finito einfinito l’Arte riponeva tutte le sue straor-dinarie ricchezze salvifiche, tutta la suastraordinaria malia. Solo quando l’Infinitodiventa esercizio della potenza comincia lacrisi irreversibile dell’Arte che conducel’Uomo alla rovina).

La Potenza tende costantemente aldominio del Finito entro cui, pur definen-dosi, tenta di forzarne i limiti. Per forzar-ne i limiti il Dominio spinge la Volontà dipotenza al di là del bene e del male fino aespiantare il cuore della Natura. Solo inquesto modo diventa quella primigenia,maligna, forza tellurica che già Prometeopiegò ai suoi fini inconfessati quandorubò il “Fuoco” agli dèi. Potenza telluricail cui possesso induce a coltivare la volontàsuprema di penetrare nei principî segretidel Caos per conquistarlo e così giungere,in caotica finitudine ed estrema superbia,a competere in potenza con l’Infinito. IlDominio diventa così “Natura” separata.“Destino” parallelo.

L’Arte è lo strumento primigenio dellaPotenza liberata tesa al dominio dellaForma (o della Forma tesa alla liberazionee al dominio della Potenza). Ma poichéalla Forma concorre ogni movimento delDivenire e l’Arte è essenzialmente l’Artedella messa-in-forma del divenire , laTecnica, da molti considerata lo strumen-to primigenio del Dominio, è solo unostrumento subordinato. È l’Arte che hafatto incommensurabile la Tecnica di cuiper lungo tempo, nella civiltà occidentale,ha condiviso il nome. IndubbiamenteArte più Tecnica è uguale a Scienza. Ma laScienza stessa è subordinata all’Arte.

Onde crescere in Potenza, ovvero inDominio, l’Arte è istigata a sciogliere ilacci che avvincono la Libertà che la porta

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da ogni opzione morale affinché la forzatellurica di cui si fa strumento supremo siagestita in tutta la sua smisurata potenza.Ma così operando si lascia circondare dalFinito che inesorabilmente la riconduce aisuoi limiti e la caccia con ignominia nellaparte bassa del Cosmo. È nel dominioincontrastato del Finito che essa diventa intutto e per tutto arte demoniaca e sogna diaggirare la condanna che la raggela e, for-zando i limiti della sua natura, accederefinalmente all’immortalità. Così appuntoSatana, l’eterno che nega l’eterno.

È appunto il Bene che mette in con-traddizione la Volontà con la Potenza. Lasola Potenza che la “Morale” ammette èquella stessa che ha la capacità di negarsiogniqualvolta sta per cedere all’impulso dilasciarsi andare a se stessa e procedere ine-sorabilmente al di là del Limite in superbafinitudine. Dunque una Potenza che ètemperata dalla volontà e non già da essastimolata.

Se la Potenza smisurata del “Fuoco”viene accortamente ingabbiata e inclinata aconciliarsi col Limite e dimette la sua arro-ganza, la parte alta del Cosmo può ritorna-re alla luce dell’intelletto. Solo così ilFinito si può schiudere all’Ulteriore s-fon-dando ogni “Diaframma” tra il di qua e l’aldi là e mettendo in crisi alla radice ognimessa-in-forma. Solo la messa in conti-nuità tra Finito e Infinito rende l’Uomoautenticamente libero. Solo l’uomo chesceglie liberamente di porre un limite allapotenza che lo separa dalla Natura puòpervenire alla visione estatica dell’Inef-fabile e cercare la forma corrispondente.Mai prima vista, udita, pensata.

L’Arte di ramificarsi tra Cielo e Terra,tra Potenza e Volontà è dunque l’Arte chedà forma all’Ineffabile, essa stessa ineffabi-le quantunque formabile fattibile. Questae solo questa è l’Arte di cui ha bisognol’uomo, non già per riprendere possessodel Mondo ma per ritornarvi in pace earmonia. Non è affatto stabilito però chepossa tornarvi. Non è affatto detto che inquesto Mondo possa trionfare la Giustiziae nella Giustizia trionfare il Bene...

III

C’è la faccia in ombra di Dio, potenzaoscura, che aspira a separarsi poiché soloseparandosi si connatura al Divenire e neldivenire può aspirare ad avere il controllodi tutte le sue creature. Ma solo sel’Ombra si separa, la Luce può brillare intutta la sua potenza e la divinità apparirein tutto il suo splendore. L’uomo, fatto difango e impuro, è nato nel Grigio: metàombra, metà luce. Solo quando l’Ombrasi separa sperimenta davvero e il Bene e ilMale e sceglie liberamente... Solo conl’Apocalisse l’Uomo ha visione certa delBene e del Male. Solo con l’Apocalisse laLibertà tocca gli estremi della Verità e ha itermini autentici della scelta.

Il Bene è il Supremo l’Infinito l’Eternol’Uno il Tutto l’Essere. Il Male è tutto ciòche con scienza e determinazione –Volontà maligna! – oscura la visione pienadell’Essere. Il Male è l’enigma dell’Uomoe della sua Libertà: la Libertà stessa si èfatta uomo con l’uomo. È il voler esseredella finitudine in suprema arroganza cheambisce rovesciare l’ordine supremo einstaurare il regno del Caos: il regno incui la Libertà non ha più limiti.

Dunque l’Uomo naviga (a vista) traBene e Male, Paradiso e Inferno, in asso-luta libertà e non è affatto detto che eglidebba scegliere il “Paradiso”. Anzi, è pre-cipitato così in profondo negli abissi delmale, che è assai più probabile abbia scel-to (con soddisfazione) l’“Inferno”. Certosono in molti oggi coloro che si sonopersuasi che questo Mondo, il loromondo, è un inferno! Ebbene, che perl’Uomo possa non esservi salvezza è unevento del tutto nuovo. Guai perdere divista per un solo istante questa radicalenovità del suo tormentato divenire: la”Storia”. Coloro che non accettanol’Esistente – questo mondo, il mondo deldominio – si trovano ora in una situazio-ne impossibile.

Ne scaturiscono conseguenze terrifi-canti inaudite.

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• Con il trionfo del Dominio su tutto iltempo e lo spazio dell’Uomo l’Arte auten-tica non ha più di che porsi in essere,dunque non ha più forma, dunque non ènel mondo delle forme in cui siamo statigettati.• A fronte dell’Arte del Dominio c’è oral’Arte del Vuoto e della Nudità. Il vuoto èl’oggetto, la nudità è la condizione sogget-tiva di chi vi attende.• Nel vuoto dell’arte dell’uomo s’è inse-diata l’Arte della nudità della ribellionedel sogno.

• Il soggetto dell’Arte vuota (radicalmen-te negativa) è l’Artista nudo. Il soggettodell’Arte piena (radicalmente positiva) èl’artista collaborazionista. Alla prima cor-risponde la verità (vuota: è la verità del-l’impotenza e dell’ineffabilità in cercadella forma corrispondente), alla secondala realtà (piena: la storia, gli uomini, ilmondo).• Gli artisti che collaborano con il“Reale” sono funzione organica delRegime (del tempo e dello spazio) in tuttii suoi comparti: scientifico, artistico, tec-

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Luigi Mazzarelli,senza titolo, 1987

acquerello,cm 50 x 70

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nologico, mediatico. Sono essi i funzionariefficienti e fedeli della messa-in-forma delmondo qui ora sempre per noi.• L’Arte della nudità e della ribellione ècostretta nella dimensione più radical-mente negativa cui lo spirito critico puògiungere ma per non essere autodistruttivao votarsi all’abiura le deve corrisponderenecessariamente il positivo. L’Utopia e laComunità del sogno sono appunto il suopositivo, l’unica forma che le è concessa. Etutta via di Forma e di Prassi che in-formapur sempre si tratta! ...

• Nell’orizzonte della nudità e dellaribellione l’Arte non ha più forma e gliArtisti non hanno più parte.• L’Arte del Regime è l’arte del “bellod’artificio” e del “Reale” ovvero Arte dellaPotenza.• L’Arte dell’Utopia è l’arte del vero delbello e del giusto, ovvero Arte dellavolontà.

• La frattura tra Arte e Arte è avvenutacon la Modernità ma si è resa drammati-camente evidente solo dopo la dissoluzio-ne della filosofia hegeliana.• Nel seno della cultura che più o menopacificamente aveva convissuto con ilPotere, prende forma la Soggettività artisti-ca ribelle tendenzialmente antiborghesepoiché da subito ha la percezione che lagrande rivoluzione con la quale la borghe-sia assume il potere tradisce nella sostanza enella forma le più radicali istanze morali epolitiche che la motivavano nel profondo.• La soggettività artistica ribelle è l’espres-sione più autentica di quelle istanze cheessa coglie, ancor prima che nella realtàsociale e politica nel cuore della propriacondizione. Una condizione che compren-de il “Ruolo” e le “Competenze”, oltre cheil “senso” del proprio essere Artisti e intel-lettuali che abitano un mondo ostile.• La Soggettività artistica ribelle nascesostanzialmente in una condizione diabbandono e di disperazione. Artisti eintellettuali hanno più o meno confusa-mente la percezione di essere stati abban-donati dal “principe” e dal “principio direaltà”, perciò essi cercano nuovi principîe nuove realtà. Danno comunque per

certo che la Borghesia non sa che farsenedella cultura e dell’arte!• La Soggettività artistica ribelle nascedunque nel seno della Borghesia ma vi siribella. Ciò la conduce a una fatale dop-piezza. È in questa fatale doppiezza che essacostituisce alla radice l’Arte moderna.• Pur proiettata nel Futuro o nel Passato(sempre intesi come Fuga), mantiene unrapporto malato con il Presente che perce-pisce come colpa ed espiazione e che purvorrebbe “liberare” o che vive con malcela-to disprezzo. Rispetto al Futuro cerca didefinire una nuova ontologia incontro allaquale si autodefinisce Avanguardia.Rispetto al Presente è Decadentismo: esi-stenza malata, dolore, denuncia, rinuncia,spesso un lasciarsi andare con un misto dicompiacimento e di disprezzo. Anche inquesto atteggiamento c’è un voler marcarelo stacco rispetto alla mentalità e ai valoridominanti. Per questo stacco è indubbia-mente insensato parlare di Avanguardia masi può a ragione parlare di Limbo. Essotuttavia si inserisce nell’area dell’avanguar-dia nella quale trova una sua approssimataidentità. D’altro canto la unisce all’altromovimento della soggettività ribelle la cri-tica dell’esistente oltre il fatto che nella suaradicalità è portata naturalmente a fondarenuovi linguaggi. È Avanguardia anchequando la “fuga” si orienta prevalentemen-te all’indietro piuttosto che avanti.• L’Arte moderna si costituisce dunquecome Avanguardia ed è un movimentoessenzialmente antiborghese e perciò, inmisura spesso inconsapevole oscura e con-traddittoria, anti moderna. Di qui unaDoppiezza che la fessura da cima a fondo,una Doppiezza peraltro fondante.• Ma è Avanguardia anche nel suo essereoscuramente nichilistica. Per negare finoin fondo la sua anima borghese essa deveannichilirsi. Per negare le forme dell’esi-stente essa tende ineluttabilmente a pro-durre il nulla. Produce altresì il nullaquando si adagia sul negativo e si fa deca-dente. E di fatto si annichilisce nel duplicemovimento in cui si è costituita: Essenzaed Esistenza, Ontologia e Fenomenologia.Movimenti che non solo si compenetrano,ma inesorabilmente si pongono in conflit-to antagonistico.

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• L’Avanguardia artistica gestita dallasoggettività artistica ribelle giunge al nul-la nei due movimenti che la caratterizza-vano, nel primo di questi alle soglie dellaprima grande guerra (il Suprematismo),nel secondo (forse ancora più addentroalla soggettività dell’artista), nell’imme-diato secondo dopoguerra. È intorno al1945 (tra Dadaismo e Informale, da unlato e tra cubofuturismo e pittura ogget-tiva dall’altro) che la Soggettività artisticaribelle sopravvissuta alle mille catastrofidel Novecento (alle quali pur concorsecon coscienza oscura) prende coscienzapiù o meno confusamente della mortedella sua arte e per essa e in essa della dis-soluzione della Forma per mezzo dellaquale aveva cercato di costituirsi e libe-rarsi.• Con la fine storica dell’Arte d’Avan-guardia (o, se si crede, con una cesura sto-rica drammatica e fatale) la Soggettivitàribelle resta senza forma in una Nuditàcaratteristica. È a questa Nudità cheThèlema fa riferimento nel suo disporsi inarmi sul fronte quanto mai tempestosodell’esistente.

• La sola arte che oggi ha forma, quindi,è l’arte del Potere.• È il Potere che decide che cosa è Arte.• Ciò che il Potere decide essere arteperde per sempre la sua necessità.• Oggi l’Arte è solo un gioco della libertàdel Potere. Giammai solo un gioco dellalibertà.• Ciò che cade sotto il dominio delPotere è sua libertà.• È arte tutto ciò che cade sotto il domi-nio della libertà del Potere.• Oggi la libertà del Potere copre l’interoglobo terracqueo. Dunque tutto ciò cheaccade in esso è espressione piena della sualibertà.

• Dunque tutto ciò che accade sotto ildominio del Dominio può essere Arte.Ma la decisione in merito spetta in ultimaistanza al medesimo.• E poiché è il Potere (il mercato del-l’arte e l’industria della Messa-in-forma)a decidere che cosa è ora e sempre Arte.L’Arte è.

• Non è (non già più, ormai) l’ArteAltra... la sola, un tempo: l’Arte che aspi-rava all’“universale”.• Se pertanto si è potuto parlare di Mortedell’Arte o Fine storica dell’Arte ciò ha pocoo nulla a che vedere con l’orizzonte che ilPotere ha deciso e ogni volta decide di met-tere sotto dominante artistica e/o estetica. Èmorta (o perlomeno drammaticamenteinterrotta) l’“Arte che aspirava all’universa-le”, l’Arte dell’Autos, l’Arte della Dell’Entegenerico marxiano, della Specie, vale a direl’arte che riusciva a preservare una suaautonomia a dispetto del Dominio, o, nellafattispecie, l’Arte nata nel cuore pulsantedell’Occidente alla quale peraltro spetta ilmerito di aver dato forma alle sue più bellemetafore. Morta o brutalmente interrottaperché interrotta ne è la continuità, reciso ilsenso, smarrita la chiave, messo in crisi l’u-niversalità, delegittimato i soggetti e laprassi che la costituivano, sottratto i fini,alienato la fruizione e i fruitori.• I motivi della sua brutale morte-inter-ruzione sono tanti, discussi e discutibili.Thèlema sostiene la tesi secondo cui l’uni-ca possibilità di sopravvivenza dell’arte inepoca moderna era in rapporto con l’ele-zione della Soggettività artistica a motoree centro della ribellione dell’Uomo controla Borghesia trionfante e il dominioincontrastato della Tecnica da essa postain conflitto con la Natura.• Non la persuade invece la tesi secondocui nell’Arte moderna agivano conflittual-mente le tendenze pro o contro il Domi-nio. Agivano innegabilmente delle tensioni(quelle che abbiamo definito in altro luogo“Espressive” e “costruttive”) ma in nessuncaso si sono poste al loro interno in chiaveantagonistica. La grande questione della“caduta e la salvezza dell’arte moderna”non è mai stata posta in termini di soste-gno al Regime. Solo marginalmente laSoggettività artistica nei panni dell’Artistad’avanguardia ha pensato la “Salvezza”come ingresso dell’arte sperimentale nelcampo del dominio. D’altro canto la tesisecondo cui l’Arte d’Avanguardia fu lostrumento della Soggettività ribelle portanecessariamente a escludere l’esistenza alsuo interno di una robusta componente“riformistica”. Le tendenze compromisso-

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rie erano piuttosto espressione della“Doppiezza essenziale” dell’Arte modernafondata con il romanticismo... La questio-ne è tuttavia aperta. Thèlema dibatterà alungo in merito, data la centralità dell’ar-gomento. ...• Dunque l’Arte moderna si intreccia afilo doppio con il movimento di ribellionedella Soggettività subalterna. L’Artemoderna è ribellione e al tempo stesso èanelito alla Libertà. Non può esserci veraribellione senza anelito alla Libertà.

• Ma tra Ribellione e libertà c’è unaprofonda contraddizione. La libertà èanche la stella polare del Dominio, ilquale proprio in ciò mette in atto l’artedella potenza: vale a dire quel connubio diArte e Scienza o, se si crede di Techne nelsenso storico più originario, che ha fattola sua fortuna. Anche l’oppresso è liberoentro le regole imposte dal Dominio (oche il Dominio subisce entro le condizionida lui stesso poste). L’oppresso deve per-tanto compiere un primo passo per acce-

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Luigi Mazzarelli,senza titolo, 1987acquerello,cm 50 x 70

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dere alla libertà che egli elegge a sua stella:liberarsi. Ma egli si libera pensando allasua stella. Dunque Liberazione e Libertàsono i due poli complementari dellaSoggettività artistica ribelle. Non può,non deve per nessuna ragione, il ribelle,gestirli isolatamente. Resta da chiarire checosa è Libertà per il ribelle... Certo una“libertà condizionata” dalla Morale, mache cosa è Morale?• Se in merito all’Arte del Regime, lelinee di sviluppo sembrano chiare, nonaltrettanto lo sono per l’Arte della libera-zione dato che la Soggettività ribellesopravvissuta alla disfatta della Sinistranon ha più ne arte né parte. Su questodato di fatto incontrovertibile Thèlemaguerrigliera avanza una sua strategia diintervento nella quale non solo il “Granderifiuto” non è superato ma anzi ribadito.• Una strategia che pone difficili proble-mi. Cerchiamo di enucleare i principali. Ilproblema centrale che non si può scioglie-re è al tempo stesso il punto d’avvio dellaproblematica in oggetto. È possibile oggi,per coloro che vi si oppongono al regimedi Globalizzazione del Dominio, “farearte”? No, se per Arte intendiamo l’Arteper l’Arte quale si è venuta configurandodalla seconda metà del diciannovesimosecolo fino alla seconda metà del ventesi-mo: cioè un’arte che sperava di sottrarsi aldominio chiudendosi in una sua presuntaautonomia. Tale Autonomia se era proble-matica prima è impossibile oggi nell’epocain cui tutte le autonomie reali, tutte leidentità e tutte le patrie sono state dissol-te. No, se associamo l’Arte alla “Tradi-zione” (Guènon) poiché quell’arte erainscindibilmente connessa allo “Spiritodel tempo” (Hegel) in cui, di epoca inepoca prendeva forma. No se per Arteintendiamo la messa-in-forma sotto domi-nante estetica gestita direttamente dall’in-dustria. Invero l’unica che oggi può legit-timamente aspirare a rappresentare l’epo-ca, ovvero, se è lecito dire, lo “spirito deltempo”. Ogni civiltà ha l’Arte che si meri-ta. La civiltà attuale che è la civiltà dellatecnica e dello spettacolo ha così la suaArte. Chi può negarlo?• Resta ai ribelli in rotta l’Arte della libe-razione... un liberarsi di ciò che oggi viene

detto arte, anzitutto e perciò della sogget-tività artistica che vi è impigliata... poi ilresto, se ne avanza, la Rivoluzione! ... Perintenderci chiameremo la prima “Arteauratica”, la seconda “Arte dell’Autos”, laterza “Arte di regime” e la quarta “Arterivoluzionaria”.• L’Arte per l’arte, vale a dire l’Arte aura-tica oggi possibile (Vattimo la definirebbe“Ontologia della decorazione” o “Arte deldeclino”) è oggi controrivoluzionaria,anzitutto perché mistifica facendo leva sudi una autonomia che non possiede, quin-di essenzialmente perché il suo orizzonteconclamato è il nichilismo. Cresce su sestessa, cresce sul nulla sostenuta danient’altro che dalla tecnica che qui e orala costituisce. Questa è la sua essenza.Dire poi che non si trascende, non giungeal fine, non si apre all’origine, non com-pendia l’uomo, non lo universalizza etc, ècome voler cercare ciò che apposta si èannullato.• Thèlema rilancia il rifiuto radicale diMarcuse ma lo attualizza in una situazioneulteriormente deteriorata. Essa però nonsi appiattisce nella negazione. Spinge sì lanegazione fino alle estreme conseguenze(l’uscita fuori dal mondo espugnato dalDominio) ma nell’estrema negazionesegna l’inizio della Risalità. La sua strate-gia consiste dunque nell’aprire i giochi làdove tutto è negato. Thèlema è perciòrisalita.• Due sono le prospettive della Risalitada disporre in tensione dialettica: la partecritica (Pars destruens) e la parte costrutti-va. Per nessuna ragione le due prospettivedevono essere separate. La loro separazio-ne porta alla dissoluzione di ogni autenti-co progetto di risalita. La Dimensionenegativa si positivitizza nell’Espressione. Laparte positiva si negativizza nellaCostruzione. Chiamiamo la dimensioneoperativa della prima Espressionismo e ladimensione operativa della secondaCostruttivismo. Per queste due componen-ti essenziali della creatività ribelle sononati durante l’epoca delle Avanguardie imovimenti storici corrispettivi. Ma essinon sono in alcun modo riproponibiliproprio in quanto hanno separato ciò chedovrebbero dovuto unire.

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• La dimensione negativa separata daquella positiva conduce fatalmente a con-validare il Presente, cioè a convalidare orae sempre il Negativo. Di pari passo ladimensione positiva separata dalla criticadel presente finisce fatalmente per raffor-zare il sistema che si vorrebbe distruggere.Dunque la prima convalida, la secondarazionalizza il Dominio.• Occorre dunque trovare il punto dicontatto tra questi due atteggiamenti nelpresente. È questo il problema dei proble-mi che si presenta ai sopravvissuti dellaRibellione. Ciò equivale in pratica a farearte senza arte, prassi senza prassi, mondosenza mondo. Difficile. Improbabile.Possibile solo nell’Utopia.• Molto più semplice ipotizzare un’Artedella Liberazione. Ma non c’è liberazionenel negare un mondo che è nato e vivenella negazione più radicale: il nulla! Chinega il Presente ha spesso in mente un

Passato da rivitalizzare. Un Eterno darivendicare. Un Eterno ritorno da sospira-re: il Passato è avanti, prendilo! E così, vai,prendilo! Quanto sono ingenui gli uomi-ni! Da oltre un secolo la filosofia cerca l’e-stremo passaggio a nord-ovest. Oggi ilDominio ride di tutto questo perché tuttii sospiri della filosofia per il presente per ilpassato e per il futuro gli sono in pugno.E dunque quale Presente, quale Passato,quale Futuro? Thèlema è ancora ferma-mente radicata in una convinzione supre-ma: seppure c’è una essenza uomo chetrae vita dalla Natura, seppure c’è unaNatura soffio vitale dell’essere, per l’uomodella caduta e del dolore non resta che ilTempo, sua dannazione sua salvezza. È ilTempo – vuoi Storia vuoi Forma – la suadannazione! Nulla gli è dato per l’indietronel fiume diveniente delle forme viventi.Se vuole deve prendere. Tempo. Prenderetempo è la sua salvezza. Rapsodie può di

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Luigi Mazzarelli,senza titolo, 1978,

olio su tela,cm 70 x 100

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tanto in tanto. Belle. Irripetibili. Brevi.Vere. Mai troppo. Troppo brevi sempre.Parziali troppo. Monche soprattutto. Ilseguito, la parte mancante essenziale dico,è avanti nella Storia non ancora detta,ancora da patire. Chi può negare?L’essenza dell’uomo quantunque data nonfu detta! L’Arte della Liberazione è sì unadolorosa necessità ma non è difficile pen-sarla. Un po’ più difficile desiderarla. Piùdifficile deciderla. Ancora più difficile sce-gliere gli strumenti. Più difficile usarli invista della vittoria. Quasi improbabile vin-cere. Ma la Liberazione è solo l’inizio. Ildifficile. La Liberazione è il negativo. LaForma il positivo. Sta in questa relazioneimprescindibile tutta l’enorme difficoltàdell’intrapresa la dove risalire semplice-mente è ancora stare nel niente. Peggiosprofondarvi ancora di più. Ma la Formadeve essere liberata dalle calcificazioni chela pietrificano e nel fanno un feticcio...

Ecco dunque il passo successivo nell’im-probabilità...• Dunque la Liberazione è in vista dellaForma. L’intuizione da mettere in formaper Thèlema ha i seguenti nomi. Ipotesi.Laboratorio. L’Ipotesi è la Forma. IlLaboratorio è lo Strumento. Va da sé cheuna forma ipotetica è sempre pronta ascomparire. Ecco un altro quantum di dif-ficoltà...• Ma la Liberazione stessa ha duemomenti. Uno Espressivo e uno costrutti-vo. La dimensione espressiva è in rapportocon la Critica. La dimensione costruttivacon la Forma. Ma riguardo alla FormaThèlema ha la spiccata tendenza a ritenereche non possa darsi Forma significativache non sia in rapporto al suo tempo.Parimenti non può darsi Forma vitale chenon sia nuova. La Forma è divenire e inquanto tale condannata a una perenne tra-sformazione. La Storia è la conferma più

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Luigi Mazzarelli,senza titolo, 1978,olio su tela,cm 70 x 100

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autorevole della caducità della Forma. LaStoria stessa è Forma. E tuttavia Thèlemapone la Forma al di là e al di qua delladimensione storica che fino ad oggi l’hagestita. Al di qua la dà difforme in unadimensione che definisce “pre-mondo”. Aldi là la dà solida come già da sempre for-mata quantunque imprendibile.• L’Arte autentica che continua a mante-nere intatta la sua attualità nel presente èl’arte che ha totalizzato le esperienze delsuo tempo in una visione illuminante delDietro e dell’Avanti. La sostanza in cuiessa si coagula è l’Opera. Dunque l’obiet-tivo più alto cui l’Arte aspira è l’Operaintesa come confluenza miracolosa diForma Prassi e Comunità. L’arte del passa-to fu grande quando illumina l’universodelle Referenze dalle quali attinge il suonutrimento. Avanti e dietro ha la Civiltà enella Civiltà una visione ampia dell’uomonella totalità delle sue relazioni e proiezio-ni finalistiche. Fuori da quelle referenze,insieme storiche e naturali, l’Arte è nulla.Linguaggio del nulla è ciò che lo descrive.• Il punto focale del progetto Thèlema –Thèlema non è se non Progetto – si con-centra intorno alla Prassi, ha come stru-mento il Linguaggio e come Referente laComunità. La Comunità è al tempo stessoil fine poiché solo in minima parte è datae solo in minima parte risponde al biso-gno.• Ciò da cui non si può prescindere èche nell’epoca della postmodernità (otarda Modernità): 1) la Prassi è completa-mente assorbita dalla Tecnica; 2) laComunità si è dissolta nella Globaliz-zazione; 3) il Linguaggio è la lingua chetenta il nulla e nulla dice. L’Arte chesegue, – l’Arte che Thèlema ha definitoper un verso l’Arte dei resti (e delle deie-zioni) e per l’altro l’Arte del Regime –consegue ineluttabilmente a questi treeventi macroscopici in cui la Storia-Storiagiunge al suo vertice e supera se stessa.Sicuramente con l’avvento della Moder-nità, ma probabilmente anche prima,l’Arte non può essere pensata astrattamen-te in una sua presunta autonomia tecnico-linguistica. Né può essere pensata comeespressione anodina dell’Io, sia esso asso-luto isolato o desolato. Né l’Arte né gli

Artisti possono sussistere se manca il pre-supposto che al tempo stesso è il fine delloro costituirsi: la Comunità. È laComunità che stabilisce i tempi e i modidel suo rapporto con la divinità, colmondo e con se stessa. E questo è ancorpiù vero quando il mondo la divinità e lacomunità stessa sono superati dal Domi-nio che assurge alla totalità del dominio.• È questa condizione affatto nuova dellaStoria dell’uomo che pone ai sopravvissutiallo sterminio della ribellione condizioniaffatto particolari di resistenza e contrat-tacco nella dimensione affatto particolaredi chi si trova costretto a vivere in unacondizione affatto nuova di “fuori mondo”.Non si badi di “oltre mondo” o di “fugadal mondo”, come da oltre un buon seco-lo si è soliti dire ma in una condizione diaccerchiamento espropriazione annichili-mento e disperazione come mai primacreatura vivente aveva provato nell’abissodell’anima sua nel cuore stesso del mondoin cui la sorte canagliescamente “getta”con noncuranza. A questo diabolico accer-chiamento per il risucchio si può reagire ocon il lasciarsi annichilire nelle forme piùo meno gradevoli più o meno sgradevoligestite dal Dominio o con un andare fuoricome mai a nessuno per l’addietro era riu-scito o anche solo era riuscito a pensare.• Thèlema esce fuori! E suggerisce unabattuta sprezzante ai suoi nemici: ThèlemaFa fuori! Perciò si costituisce in Comunitàdel sogno. Ed ecco ciò che per questo attoaudace e pur necessario consegue.• Essa si costituisce in Comunità costi-tuente costitutivamente imperfetta e orga-nizza la sua Prassi in vista dell’Opera. Ilprodotto di tale prassi non può che essereimperfetto e transeunte per quanto altopossa essere il livello qualitativo dell’e-spressività raggiunta e il suo grado internodi coesione e coerenza. Essa è valida quan-do per così dire si trasforma in sanguedella Comunità sostituente e le offre così laragione della sua esistenza. Come taleviene assorbita dai membri della Comu-nità e diventa esperienza autentica, prassi.Non può tuttavia pretendere altra veritàche questa poc’anzi detta. È una Prassi chenon può mai chiudersi. Ha sempre unSeguito. Il Seguito è conferma o smentita,

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verità o falsità. Ma la verità è tale se essaha un seguito... ...• Il Lavoro così prodotto (l’Arte cosìfatta) è costitutivamente imperfetto e nellasua imperfezione molesta e dannosa. Ilpositivo che l’accompagna (ma sempretende a volgersi in negativo) è il suo carat-tere eminentemente strumentale. È unmomento della costruzione della “Cat-tedrale” di cui la Comunità costituentecostruisce il suo pezzo.• Ogni ipostatizzazione dei momentiessenziali tesi al conseguimento dell’Operaè una recisione o re-scissione. Un Feticcio.Ogni feticcio gronda sangue.• E così come il Pezzo reciso gronda san-gue anche l’Io dell’Arte-fice che gli corri-sponde gronda sangue. È vero che datempo immemorabile esiste la praticadella cauterizzazione ma ciò non fa partedegli ideali di Thèlema... L’Io dell’arteficeha una sua costitutiva incompletezza nellafase storica che viviamo per la quale preci-samente Thèlema lo erige a fondamentodella sua comunità.• Ma anche la Comunità costituente è ori-ginariamente mancante nella sua identitàe aggregazione. Perciò è obbligata a stabi-lire relazioni improbabili con tutte lecomunità che si costituiscono anch’esse invista dell’Opera entro la “Comunità refe-rente” sullo sfondo attivo della Comunità-Mondo.• Tra la dimensione negativa espressiva intensione perennemente critica che dà voceal vissuto e la dimensione positiva costrut-tiva deve potersi stabilire un rapporto fon-dante. Esse concorrono inseparabilmenteall’Opera. In linea di principio.• È da definire il rapporto tra l’Individuoe il Collettivo nell’ambito del lavorocomunitario che si impegna nella costru-zione dell’Opera. Parimenti il rapporto traStrumenti e Progetto. Per il primo si puògià dire che l’Individuo è subordinato alCollettivo ma nella misura in cui è l’indi-viduo stesso che liberamente vi si subordi-na quando decide liberamente di concor-rere all’Opera. La Comunità non imponevincoli di sorta.• Poiché il “Pezzo” che egli contribuiscea costruire è in se stesso inessenziale e poi-ché l’unico privilegio è concorrere

all’Opera, il singolo non ha prerogativedelle quali avvalersi per farsi valere suglialtri. È la stessa incommensurabilitàdell’Opera, il suo respiro immenso, che ridi-mensionano ogni apporto individuale.• Ciò detto non si può dimenticare nep-pure per un istante che la litigiosità chemina alla radice ogni libera aggregazionedi umani è ognora devastante. Ancor piùin questa stagione dell’uomo in cui sonoprevalsi senza più remore gli antichi egoi-smi di casta. Farsi illusioni in merito oltreche poco credibile è da cretini. Ci sonomille modi in cui l’egoismo ha modo dirivalersi quando il principio di autoritàviene meno. Da sempre l’uomo ha impa-rato a vedere nel principio di autorità laconditio della coesistenza e dell’unione.Morale e Stato sono i due termini (per lopiù in stretto rapporto) che hanno con-sentito la coesistenza e al contempo nehanno costituito la legittimazione. Non acaso il riconoscimento dell’unicum hacostituito, da Stirner in poi, la base dell’u-nica morale credibile dei tempi moderni.Nonostante ciò Thèlema ripudia i duemodi storici di affermazione del principiodi autorità oscillanti alternativamente trabene pubblico e bene privato poiché inentrambi vige la volontà di potenza. Inquestione è per l’appunto la Volontà dipotenza! Ma metterla in questione nellapratica è estremamente improbabile. Equesta improbabilità Thèlema la tenta nelpiù improbabile dei modi: non già desi-stendo dalla volontà e dalla potenza inun’aura di sublimazione e rinuncia maconvalidando da un lato la volontà e dal-l’altro la potenza, separatamente o in unrapporto inedito... Ne parleremo dopo.• Altro problema di difficile soluzionema essenziale alla nuova prassi cheThèlema cerca di fondare, è definire ilrapporto tra strumenti operativi e proget-to, diciamo, in estrema sintesi, il rapportotra Mezzo e Fine. Nell’epoca moderna ilMezzo si è trasformato in fine, perciòsono nati reificazione alienazione e fetici-smo tecnico: si può dire in generale che laTechne si è trasformata in fine, si è finaliz-zata in se medesima. Thèlema cerca lastrada che rovescia il rapporto delle prio-rità: è il fine che prende la tangente e

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afferma la sua assoluta priorità. Non giànei termini per i quali il fine giustifica ilmezzo poiché non può essere dato unmezzo che nella sua essenza è in contrad-dizione con il fine che persegue, come nel-l’ottica machiavellica, ma piuttosto nelsenso che il Mezzo accetta umilmente ilsuo vassallaggio e sparisce quando giungeal fine. Sparisce poiché già contiene nellasua essenza questa disposizione all’umiltàe alla più docile subordinazione. Thèlemaqualifica questa inedita prassi la Prassivaporosa. La Prassi vaporosa dispone inti-mamente del Mezzo che scompare, che sisublima appena giunge in prossimità delFine irraggiungibile... sarà il fine stesso chelo aspirerà a sé, riconoscendone come sua l’a-

spirazione. Anche il Segno dovrà entrarenella Prassi vaporosa affinché mai piùfeticcio possa nuovamente sedurre ingan-nare disorientare imprigionare nei suoimeandri sintattici. Dire, articolare ilsenso, non sarà mai più, come nella prassirecente dell’Avanguardia artistica, disposi-zione coatta alla forma minimale e infor-male, giacché dire è articolare il senso inmodo chiaro e distinto, come giustamenteaffermava il buon Cartesio, ma in unadimensione gnostica mai da lui neppuresognata.• Thèlema si costituisce, s’è detto, in dueistanze fondamentali: L’istanza critica allaquale presiederà la Redazione della rivistanella nuova edizione di cui si parlerà tra

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Luigi Mazzarelli,senza titolo, 2005,

tecnica mista,cm 70 x 100

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poco e l’istanza Laboratorio che concorreràcon la prima alla definizione della lineaculturale da seguire. Potremmo dire grossomodo che la prima è l’istanza teorica e laseconda quella Pratica ma solo a patto didare per acquisito una volta per tutte chequeste due componenti essenziali del“fare” sono in Thèlema poste in un rap-porto problematico in attesa del quale ilsenso comune viene destituito di ogniautorità. Dal momento che la strutturaorganizzativa della Comunità è aperta insommo grado non è necessario che le dueistanze siano interconnesse in ogni istante.Esse godono di una relativa autonomia,ma solo per il periodo necessario alla for-mulazione dei modi e delle forme dell’in-contro. In linea di massima è però stabili-to che il momento del Laboratorio puòessere assunto dai singoli membri dellacomunità. Ma di questi aspetti parleremonella sezione delle tesi assegnata all’orga-nizzazione.

Della struttura organizzativa può giàora essere detto che in linea di principioessa è concepita tenendo a mente ilmodello confederativo. Con una sostan-ziale differenza. Se la confederazione haper oggetto di regola il rapporto statualetra unità complesse differenti (categoriesociali, etnie, popoli, istituti regionali,nazioni...), in questo caso l’unità è datadal singolo individuo del quale pertantoviene riconosciuta tanto la complessità e ladifferenza quanto l’autonomia. L’io delsingolo è riconosciuto sovrano e autono-mo, nessun vincolo societario, nessunamessa tra parentesi della “sovranità” chegli attiene può coinvolgerlo. Mai, per nes-suna ragione. Quantunque, come diremo,l’Io non è altro in fondo che l’area dell’ab-bandono e dell’espiazione, oltre che dellaresponsabilità sebbene, già all’origine,contraddittoriamente, l’area della “respon-sabilità limitata” ......• La dimensione Laboratorio è piuttostopreliminare al problema dell’esporre-espor-si nei riguardi di terzi: i mitici destinataridi un circuito che si costituisce in unastruttura (ma meglio sarebbe dire aura)autarchica. Thèlema nega ogni dignità alcircuito di comunicazione in vari modiconnesso al Dominio. Non ha esitazioni

in proposito: il circuito di comunicazioneesistente è interamente nelle mani delRegime: accedervi a qualunque titolo èaccettare di farne parte e non solo perquel tanto. Per nessuna ragione Thèlemapotrebbe farne uso. Ma neppure potrebbegestire in proprio un circuito che avessegli stessi caratteri di esponibilità. Faremostre, ad esempio, sarebbe impensabile.Thèlema non ha nulla da mostrare a“terzi”. Anzitutto perché ciò che elaboranon ha “esponibilità” e poi perché non esisteun “terzo” della comunicazione che essamette in opera: la comunicazione che essamette in opera è sempre interna! Se peresempio un membro della comunità chesi è impegnato in un progetto ha dacomunicare i risultati del proprio lavoronon lo mostra in luogo franco a terzi ma lomette in rapporto diretto con i membridella Comunità entro il progetto di cui èparte e solo rispetto al quale ha senso. Intale progetto la parte può essere inclusaesclusa o posta in riserva. Ma a farlo nonè né il membro che la propone né lacomunità ma il progetto stesso. Certo,può darsi il caso che la Comunità conse-gua risultati che ritiene utile ai finidell’Opera “mostrare in pubblico”. Sidovranno allora trovare i tempi e i modidi effettuare tale “esposizione” in rappor-to alla circostanza e in continuità con laCostituzione della Comunità. È impossi-bile anticipare...• C’è anche da considerare l’avvio dellaRivista. Vale a dire l’atto costituente diThèlema guerrigliera. In questi termini: èvero che Thèlema “preesiste” e che unabuona parte dei membri che la costitui-scono comunicano tra loro senza alcunamediazione da parte del Circuito dicomunicazione vigente. Sono i cosiddetti“amici chiamati” di cui daremo notiziacon la pubblicazione degli atti preparatoriper il dodicesimo supplemento del nume-ro zero di Thèlema, ma la Rivista di batta-glia e il Laboratorio che Thèlema pensaper attuare i propri scopi hanno bisognodi trovare nell’orizzonte della Comunità diriferimento un quadro umano più ampioancor prima che per dare al progetto unrespiro autenticamente comunitario, perdargli più modestamente una base su cui

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poggiare. Anche se non è affatto detto chequesto bisogno trovi rispondenza nellasituazione reale, come diremo in altraparte di queste stesse tesi. Tentare è inogni caso doveroso. Potrebbe allora ren-dersi necessario fare uso momentanea-mente del Circuito dei Media. Consape-voli tuttavia del fatto che un uso siffatto èmolto rischioso e che la possibilità di esse-re imbottigliati in esso è tutt’altro cheremota.• D’altro canto Thèlema sa che la Dop-piezza a cui anche per un solo istante sidovesse piegare, potrebbe condurla nelcuore della Doppiezza che costituisce allaradice la Modernità dalla quale appuntoessa si dà soggettivamente come volontà difuga e di rigenerazione. Sembrerebbe atutta prima che il problema si ponga par-ticolarmente quando Thèlema si dovesseproiettare nel Positivo, come peraltro ècostretta a fare per statuto. Sarebbe assaipiù semplice restare nella dimensionenegativa. Ma è solo un’apparenza. Nelladimensione operativa (di laboratorio) ilprogetto che tradisce il Thelos cui èproiettato e che viene messo esorbitata-mente in vista come a priori inaggirabile,viene da questo stesso smascherato oltread essere costantemente messo sotto indi-ce di nulla quando pretende darsi comefeticcio e come ipostasi. È molto piùrischiosa invece la dimensione critica per-ché soggiacendo al negativo si finisce perrestare impigliati nella Doppiezza e di qui,fatalmente, trovare lo sbocco nelTradimento.• Perciò vanno ben strutturate e dispostenella giusta successione le sequenze delladimensione critica alla quale deve esserericonosciuta una sua positività a fronte diun ulteriore grado di negatività. In questosenso: la Critica non può mai pretenderedi giungere alla forma definitiva se non arischio di diventare essa stessa feticcio.Perciò ha da essere problematica e aperta.Costantemente proiettata tra passato efuturo nel presente in cui erige il suopunto di osservazione. E il punto nodaleconsiste in questo: che la Critica radicalenasce nel presente è non ha che il futurocome autentico termine di raffronto separte dal presupposto che il vero il bene il

giusto e il bene (che tutti li comprende)non ha mai trovato finora la forma corri-spondente nell’altezza nell’estensione enella profondità che al più alto livello licomprende.• Thèlema non dà niente di tutto questoper scontato. Termini e Referenti vannodefiniti. Che cosa è Dimensione critica e inessa e per suo tramite Pensiero critico? Èpossibile esercitare la critica senza una cor-relativa prassi della liberazione? Che cosa èPrassi critica? Può rientrare nella prassi cri-tica il Fare arte? Con quali strumenti inquali modalità di esercizio in quali limiticon quali fini?• L’unico dato certo è che la dimensionecritica ha come proiezione il Passato e ilFuturo, come leva il Presente. BisognoSogno Desiderio è futuro. Nostalgia ilpassato. La critica fugge dal presente. Ciòche critica è irrimediabilmente avvenuto;là dove apparecchia i suoi strumenti diindagine la vita è irrimediabilmente passa-ta... Che cosa di quella vita è fuggevoleche cosa è duraturo? ... Dove si apre ilfuturo nello stesso momento in cui si ina-bissa il passato all’estremo opposto? NelContinuo! l’Eternità dell’uomo è nelContinuo! La Critica vera, la critica maiu-scola è la ricerca della Continuità che faSpecie. È questo l’orizzonte laico in cui ilpensiero critico radicale ha ritagliato fino-ra la sua nicchia. È oggi sufficiente all’uomodella ribellione e della nudità radicale que-sto orizzonte della finitudine là dove il fini-to stesso è stato interamente colonizzato esoggiogato dal Dominio?• Peraltro la Critica che ha trovato i pas-saggi fatali che danno accesso allaContinuità deve trovare e apparecchiaregli strumenti e i protocolli d’uso per illancio delle ipotesi. Ma è proprio su que-sto lato che si apre il fronte del che farecon la negatività...• La tesi di fondo da cui parte Thèlema èche la Continuità è stata interrotta a segui-to del pervenire del Dominio alla Totalità.Esso ha conquistato l’intero globo terrac-queo e tutte le coordinate del tempo del-l’uomo. Tempo e spazio, geografia e sto-ria, natura e biologia della finitudine sonoin suo possesso. Ma esso ha realizzatoanche il Modulo e attraverso il modulo

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indefinitamente ripetuto l’eterno ritornodel presente. Non è più l’avvento dell’infi-nito o del finito della natura e dell’uomoma è l’avvento dell’epoca dell’in-de-finitoindefinitamente (in-enne) uguale. Inragione di questo evento inaudito iltempo stesso si è fermato. Interrotta laContinuità nella più abissale cesura che lastoria dell’uomo ha conosciuto, passato efuturo in libertà e alterità sono irrimedia-bilmente tramontati. Dove rintracciareallora la Continuità della Specie, ovverodove rintracciare una continuità in virtùdella quale la “Storia” (il “tempo”) possanuovamente aprirsi alla sua vera essenza,vale a dire nella sua fondante continuitàcon la Natura? Con quali strumenti?

• La tesi di fondo che sostiene l’interodiscorso di Thèlema sta ovviamente nelpre... che una Continuità è... supposta,rispetto a un soggetto costituente che pre-suppone e nel presupporre si costituisce.Tale è in effetti la specie Uomo-Natura chesopravanza le specie Homo historicus chefinora si sono succedute nel regno delmondo. L’orizzonte storico dell’uomodeve essere ampliato se non vuole ridursialle coordinate immanentistiche delDominio. Il passato e il futuro devonoessere nuovamente posti in continuità.• E se pertanto si è creata nel fronte piùavanzato del tempo e dello spazio unaabissale frattura, “operare” in essa è comesospendersi nel vuoto sospesi a un filo.

■Luigi Mazzarelli – 2003

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Luigi Mazzarelli,senza titolo, 1987acquerello,cm 50 x 70

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La poesia futuraa cura di Tommaso Iorco

La ricerca della verità anima l’indaginefilosofica e, in parte, scientifica (perlome-no la branca detta ‘filosofia della scienza’);il desiderio moderno di un continuoapprofondimento di taluni aspetti dellaverità viene efficacemente descritto da SriAurobindo mediante una citazione rigve-dica: «Mentre ascende di vetta in vetta,diventa chiaro alla vista il molto che restaancora da scoprire». Tuttavia, tale moto diinesausta ascesa deve essere integrato daun movimento che appartenga non soloalla mente ma al dominio dell’essenza verain noi, espresso, sempre dai rishi vedici,con queste parole suggestive: «Nuovi stativengono alla nascita, velo dopo velo ci sirisveglia alla conoscenza, nel grembo dellaMadre l’anima vede pienamente». E que-sto anelito verso la verità non è esclusiva-mente trascendente, anzi, comprende l’al-tro dei cinque soli di cui sopra: la vita.Nell’arte, tuttavia, la verità e la vita nonsono sufficienti: deve esserci bellezza egioia. Questi sono quattro dei cinque soliindicati da Sri Aurobindo che l’umanitàcerca più o meno oscuramente. Se neaggiunge perciò un ultimo (che in realtà è

Dopo la grandiosa ouverture costi-tuita dalla prima parte del saggiodi Sri Aurobindo, colma di

fecondissime semenze, si apre la secondaparte, nella quale trovano naturale germi-nazione le più importanti caratteristichedella poesia del futuro. Gli otto capitoliche cercheremo qui di riassumere e citare,andrebbero senz’altro letti per intero. Ciauguriamo pertanto di non tradire lo spi-rito dell’opera nel tagliuzzare più o menoarbitrariamente qui e là, ma di offrire unostimolo persuasivo per un dovutoapprofondimento del testo originale.

Cominciamo con il capitolo XXV, TheIdeal Spirit of Poetry (“Lo spirito idealedella poesia”).

«Una poesia intuitiva rivelatrice, delgenere che abbiamo sin qui esaminato,darebbe voce alla suprema armonia di 5poteri eterni: Verità, Bellezza, Delizia,Vita e Spirito. Questi sono invero i 5 piùgrandi lampi ideali o i 5 soli della poesia.Ed è verso di loro che le menti più alte epiù elevate stanno rivolgendo in moltimodi il loro pensiero ed il loro desideriocon una forza nuova di perseveranza».

PARTE III:

Un mondo nuovo

«Un mondo nuovo è nato, è nato, è nato!Siamo nel bel mezzo del periodo di transizione in cui il vecchio

perdura, onnipotente, dominando la coscienza comune, ma in cuicomincia anche a profilarsi un nuovo assolutamente impercettibile,

e che pure lavora e cresce; fino a che verrà il momento in cuisarà abbastanza forte da imporsi in modo visibile».

Mère, da L’Agenda (10 luglio 1957)

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il più essenziale): la ricerca e l’espressionedello spirituale, giacché ogni potere esi-stente proviene dallo Spirito divino, ne èuna sua manifestazione.

«Di conseguenza l’essenza della poesia èeternamente la stessa ed il suo potereessenziale e la grandezza del genio impie-gato possono ben essere gli stessi qualun-que sia la struttura, sia che si tratti diOmero che canta gli eroi che combattonodavanti le mura di Troia o Odisseo chevaga tra le meraviglie di isole remote emagiche con il cuore rivolto al lontanofocolare perduto, di Shakespeare chedispiega nel suo molteplice e variegatoaffresco la musica e le passioni della vita, odi Dante che erra tra le sue terribili e beati-fiche visioni di Inferno, Purgatorio eParadiso, o di Valmiki che canta l’uomoideale che simboleggia Dio ed il giganteegoista Rakshasa simbolo della fieravolontà del sé nel loro fronteggiarsi, a par-tire dalla loro divina diversa legge dell’esse-re, nella lotta voluta dagli dei, o di unmistico Vamadeva o Vishwamtwa che can-tano in strani e vividi simboli dimenticatil’azione degli dei e le glorie della Verità,labattaglia ed il viaggio verso la Luce, le ric-chezze e l’ascesa sacrificale dell’anima versol’Immortalità. Poiché, sia che a dar formasia l’immaginazione ispirata che ha radicinella terra, o il soffio dell’anima o la ragio-ne ispirata o l’alta visione intuitiva spiri-tuale, il genio del grande poeta afferreràsempre una qualche verità dell’essere,unqualche soffio di vita, un qualche poteredello spirito e lo porterà alla luce con unaforza suprema in tutta la sua bellezza per lasua e nostra delizia e gioia».

Nel passato, questi cinque lumi dellacreazione artistica sono stati espressi inmodo più o meno efficace dai grandipoeti. La poesia del futuro dovrà comple-tare ciò che è stato iniziato, innalzandolo aregioni più distintamente spirituali, sor-genti originarie della vera poesia. «La poe-sia futura, se compie in pieno la promessache lì è soltanto riccamente accennata,accenderà questi 5 lampi del nostro esseree li solleverà più in alto ed illuminerà conessi un territorio più vasto, molte regioniancora invisibili alla nostra vista, ne farànon più lampi in qualche limitato tempio

della bellezza, ma soli nei cieli della nostramente più alta ad illuminare la nostra piùampia vita interiore. Sarà una poesia diuna nuova e più ampia visione di sé edella Natura e di Dio e di tutte le cose chesi offre all’uomo e della sua possibile rea-lizzazione in una umanità più nobile e piùdivina; e non li canterà soltanto con ilpotere dell’intelligenza immaginativa, ilsenso estatico ed esaltato della fervidagioia e passione di vita, ma si leverà a con-templarli da una luce più intensa e liincorporerà in una più rivelatrice forza delmondo. Essa sarà soprattutto una poesiadella ragione intuitiva, dei sensi intuitivi,della delizia intuitiva dell’anima in noi, daquesta rafforzata fonte di ispirazione (deri-veranno) un maggiore entusiasmo ed esta-si poetici, ed essa potrà persino innalzarsiverso ancor più grandi poteri di rivelazio-ne più vicini alla diretta visione e paroladella Sovramente da cui proviene tutta l’i-spirazione creativa».

Il piano dell’Overmind, che Sri Auro-bindo pone al culmine della scala fenome-nica, corrisponde alla Mente divina, l’apo-geo della coscienza mentale (in un’ascesagraduale e metodica, Sri Aurobindo descri-ve con cura i piani che dalla mente razio-nale si elevano verso una ‘mente superiore’,una ‘mente illuminata’, una ‘mente intuiti-va’, per poi sboccare nell’Overmind, inquel ‘surmentale’ che costituisce l’apogeonaturale della mente). Al di là, passandooltre questo triplice emisfero inferiore del-l’esistenza, si estende e risplende il soledella Verità sopramentale, anello di con-giunzione con il superiore triplice emisferodi Sat-Cit-Ananda – Esistenza, Coscienza,Beatitudine supreme.

«Una poesia di questo genere non haaffatto bisogno di essere qualcosa di alto eremoto ed intangibile, ma renderà anche lecose più alte vicine e visibili, canterà gran-diosamente e degnamente di tutto ciò cheè stato cantato, di tutto ciò che noi siamo,dal corpo esterno al vero Dio o Sé, del fini-to e dell’infinito, del transeunte e del-l’Eterno, ma con una visione di fusionenuova e riconciliatrice che li renderà pernoi diversi da ciò che sono stati e tuttaviagli stessi. Pur nel suo sollevarsi alle massimealtezze, essa non scorderà la terra sottostan-

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dannoso, sebbene agisca in modo ribelle etortuoso, serve lo scopo ampio, multifor-me ed adattabile della madre. Ora è qual-cosa di questa Verità infinita che la poesiariesce a darci con un alto potere, nellaforma di bellezza che le è propria, con isuoi mezzi opulenti Il canale è diverso daquello delle sue altre attività poiché ilpotere è di un altro tipo. [...] La veritàdella poesia non è la verità della filosofia ola verità della scienza o la verità della reli-gione soltanto, poiché è un’altra modalitàdi espressione di sé della Verità infinitacosì diversa da sembrar dare un’altra visio-ne delle cose e rivela un aspetto dell’espe-rienza del tutto diverso. Un poeta puòavere un credo religioso o sostenere unsistema filosofico o considerare se stesso,come Lucrezio o alcuni poeti Indiani,come un pensatore filosofico o essere alcontempo un uomo di scienza comeGoethe, ma, nel momento stesso in cuiinizia a scrivere in versi il suo sistema dipensiero o la sua dissertazione scientificao, come Wordsworth o Dryden, ci infliggesermoni in rima o dispute teologiche, eglista contravvenendo alle regole. [...] Ediventa difficile per lui mantenere l’auten-tico spirito poetico e l’ispirazione pura».

Un problema, questo, assai delicato efondamentale, con il quale la poesia futu-ra non può non fare i conti: «Questadistinzione tra la verità poetica e le altre,abbastanza sentita ma non sempre benosservata, e la loro fusione ed il loro puntod’incontro è qualcosa che merita di esserediscusso; poiché, se la poesia deve faretutto ciò che può per noi nella nuova era,essa includerà sempre di più nel suo ambi-to molto che sarà in comune con la filoso-fia, la religione e persino la scienza e tutta-via allo stesso tempo essa svilupperà inmodo più intenso la speciale bellezza ed ilparticolare potere della sua propria visionee del suo proprio modo. [...] Il filosofovede alla arida luce della ragione, procedespassionatamente con una severa analisied astrazione del contenuto intellettualedella verità, un logico e lento procedere daun’idea all’idea pura, con un metodo diffi-cile e nebuloso per la mente comune earido, difficile, impossibile per la mentepoetica. Poiché la mente poetica vede in

te ma non si confinerà in essa, bensì sco-prirà altre realtà ed i loro poteri sull’uomoed assumerà come suo dominio tutti i pianidell’esistenza. Essa riprenderà e trasformerài segreti dei vecchi poeti e scoprirà nuovisegreti nascosti, trasfigurerà i vecchi ritmicon l’insistere della voce del suo spirito piùprofondo e sottile e creerà nuove e diversearmonie e rivelerà altri e più grandi poteri espiriti della lingua; pur procedendo dalpassato e dal presente non sarà limitata deessi, dalle loro regole e forme e canoni, madispiegherà la sua propria, diversa e perfet-ta arte della poesia. Tale almeno è il suotendere ideale e già lo stesso tentativosarebbe come un elisir rinvigorente e por-rebbe ancora una volta lo spirito poeticosul fronte luminoso dei poteri e delle guidedella costante ascesa dell’anima dell’uma-nità. Essa sarà, come l’Agni vedico, la guidadel viaggio, l’infiammato datore della paro-la, yuva ritava, priyo atithir amartyo man-drajihvo, ritacid ritava, il Giovane, il Veg-gente, l’amato Ospite immortale dalla lin-gua mielata, il Trovatore, lo Scopritoreconsapevole della Verità, nato come unafiamma dalla terra e tuttavia celeste mes-saggero degli Immortali».

Il capitolo successivo, The Sun of PoeticTruth (“Il sole della verità poetica”),approfondisce il concetto poetico diverità; l’espressione poetica della verità,infatti, è assai differente dalla sua espres-sione filosofica. Dopo una breve rifles-sione preliminare, Sri Aurobindo entra nelcuore del problema: «La Verità poetica dicui sto parlando [...] è una dea infinita, ilfronte ed il viso dell’Infinito ed Aditi inpersona, la illimitata madre di tutti gli dei.Questa Verità infinita, eterna ed eterna-mente creatrice non è nemica dell’imma-ginazione né della fantasia pura, poichéanche esse sono divinità e possono avereuna delle sue facce o maschere espressive,e l’immaginazione è forse il vero coloredel suo processo creativo; le sue nascite emovimenti sono innumerevoli, il suopasso sciolto e molteplice e, tramite i suoipoteri divini ed i suoi mezzi universali,essa può trovare la sua strada verso i suoitesori di ricchezza, e persino l’errore è suofiglio illegittimo ed anch’esso, sebbene

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upanishadici, in particolare, insieme allaBhagavad-Gita), per poi concludere sof-fermandosi sulla differenza d’espressionepoetica di verità filosofiche e mistiche, el’espressione filosofica o religiosa di questestesse verità. «La vera distinzione dunqueè nello scopo primario o essenziale dellapoesia e nella condizione ineludibile chequesto scopo pone all’arte. La sua funzio-ne non è quella di insegnare un qualchetipo di verità, anzi non è per nulla di inse-gnare, né di perseguire la conoscenza, nédi servire uno scopo etico o religioso, madi personificare la bellezza nel mondo edare delizia. Ma allo stesso tempo fa partedella sua funzione più alta servire lo spiri-to ed illuminare e condurre tramite la bel-lezza, tramite una alta delizia rivelatrice,l’anima dell’uomo. Ed il suo campo ètutta l’esperienza dell’anima, il suo appelloè alla risposta estetica dell’anima a tuttociò che la tocca in sé o nel mondo. Essa èuno degli alti e bei poteri della nostrainteriorità e può essere un potere dellanostra vita interiore. Tutta l’infinita Veritàdell’essere che può essere resa parte diquella vita, tutto ciò che può essere resovero e bello e vivo in quella esperienza èverità poetica e soggetto adatto alla poesia.[...] Il poeta ascende a quella fonte mera-vigliosa nella sua mente supercosciente eci riporta qualcosa, una visione del suoaspetto e delle sue opere. Trovare la via inquella regione con il sé risvegliato significaessere il poeta-veggente e scoprire il poterepiù alto della parola ispirata, il Mantra».

E veniamo al capitolo successivo, inti-tolato The Breath of Greater Life (“Il soffiodella vita più grande”). Qui, SriAurobindo, come il titolo fa presagire,approfondisce la poesia in quanto espres-sione della vita. «La poesia è la voce ritmi-ca della vita, ma è una delle voci interiori,non una delle voci di superficie. E quantopiù il poeta esprime nella sua opera laverità interiore della sua funzione, tantopiù grande è la sua creazione, mentre nonsembra essere essenziale o davvero impor-tante se il suo metodo sia dichiaratamentesoggettivo o oggettivo, il suo apparentepotere più esteriore o interiore, o se si trat-ti dell’anima dell’individuo o del gruppo odell’anima della Natura o della specie

un istante in un flash luminoso, in unaesperienza toccante, in un estatico fluiredella parola, nello splendore delle forme,in uno spontaneo sovrapporsi di ispirazio-ne ad ispirazione, le scintille che sprizzanodagli zoccoli del bianco cavallo fiammeg-giante Dadhicravan che galoppa fino allacima della montagna degli dei o il soffiocolorato delle ali che sbattono della covatairidescente del Pensiero che vola sulla terrao punta in alto verso il cielo. [...] L’occhiodel poeta ama guardare alla vita pulsante,attiva, nel suo ritmo e sintesi perfetti, nonnei suoi singoli costituenti, ed ancor menonelle sue parti dissezionate, ed il suosguardo afferra l’anima di meraviglia dellecose, non il miracolo meccanico. [...] Lamente del poeta vede per intuizione e per-cezione diretta e porta alla luce ciò cheesse gli danno, ponendo l’accento e dandoforma all’immagine totale, e l’aspetto chelo entusiasma è l’anima vivente dellaforma, della vita che l’ispira, del pensierocreativo che sta dietro e del sottostantemovimento di supporto dell’anima ed unaritmica armonia di tutte queste cose rive-lata alla sua delizia nella loro bellezza».

Potremmo dire che l’uomo tenta diafferrare e di esprimere la Verità unica edeterna mediante l’utilizzo di molteplicistrumenti: l’analisi filosofica, la pura ricer-ca scientifica, la dottrina teologica e altroancora. La poesia, nel suo più alto caratte-re ispirato e rivelatorio, giunge all’espres-sione della medesima Verità (l’espressione,si badi bene, non la ricerca), ma lo faattraverso il puro volo spirituale – che sieleva ben al di sopra della ragione e la suaferrea logica – esprimentesi in termini dipura bellezza.

«La poesia è data per chiamata direttadi tre poteri, ispirazione, bellezza e delizia,ed essa li porta a noi e ci conduce a lorotramite il magico incanto della parola rit-mica ispirata. Se riesce a farlo in modoperfetto essa ha portato a compimento lasua opera».

Sri Aurobindo esamina a fondo, inquesto capitolo, in che modo la poesiapuò esprimere concetti filosofici o religio-si, offrendo esempi dalla letteratura greca(bellissimo l’esempio tratto dall’Antigonedi Sofocle) e sanscrita (i mistici vedici e

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le in una singola parola ed azione. E tutta-via sono le avventure e le prove, è la forzaed il coraggio dell’anima dell’uomonell’‘Odissea’ a costituirne la grandezza,non il banale accadimento o le circostanzeavventurose intorno, ed è lo scontro di spi-riti grandi e forti con gli dei che si abbassa-no a prendervi parte a fare la grandezzadell’‘Iliade’, non semplicemente l’azione el’agitazione della battaglia. La forma este-riore delle opere di Shakespeare è un som-movimento di emozione e passione, dipensiero ed azione che vengono fuori daun personaggio nel fermentare di senti-menti e passioni, ma è la sua interpretazio-ne vivente della verità e dei poteri dell’ani-ma di vita dell’uomo che costituisce il ful-cro e la grandezza della sua opera ed ilresto senza di essa sarebbe soltanto untumulto vano e brutale. L’assenza o il difet-

umana o dello spirito eterno ed universalein loro la cui bellezza e realtà vivente trovaespressione nelle sue parole. Questa veritàuniversale della poesia può venire alquantocelata dalla forma e dalla preoccupazioneper questo o quel mezzo esteriore diespressione dell’anima nell’opera del poeta.L’umanità nel suo sviluppo sembra proce-dere a partire dalle cose più esteriori edandare sempre più verso l’interiore così dapoter accedere alle altezze più grandi dellavita dello spirito. Così la prima poesia sioccupava maggiormente di una presenta-zione semplice, naturale, diretta ed esternadella vita. Un bardo epico antico comeOmero pensa muovendosi e sembra esserecostantemente trasportato nel corso di unaazione incessante e sembra dar forma nelsuo andare soltanto a quel tanto di pensie-ro e sentimento che emerge forte e natura-

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Annamaria Caracciolo,Ritratto, 2008

tecnica mista su carta,cm 38 x 28

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mito o del sogno, o spingersi ad uno sguar-do più grande sul futuro. La poesia può,invero con qualche pericolo, occuparsidella scena attuale, persino di problemi diattualità sociale, un compito questo cheviene spesso affidato alla mente creativacome se fosse adatto ad essa; ma essa loesplica con successo soltanto quando tienein poco conto ciò che appartiene al mo-mento ed al tempo ed alla superficie, e neporta invece alla luce le radici di interesseuniversale o eterno o la connessione concose più grandi e profonde. Ciò che ilpoeta prende in prestito dal momento è laparte meno duratura della sua opera e vivesoltanto se è subordinata e posta in strettarelazione con le realtà meno transeunti. Edè così perché è l’anima eternamente accre-scentesi dell’uomo, e l’intimo sé delle cose ele loro forme più durature e significative acostituire il vero oggetto della sua visione».

E qui entriamo nel vivo della poesia delfuturo e nel compito dell’artista a venire:«La poesia nel passato ha parlato molto didei e poteri dietro l’esistenza, ma sotto lamaschera di leggende e miti, qualche voltadi Dio, e non come di una viva esperien-za, bensì più spesso nella forma stabilitadalle religioni e dalle chiese e senza unavera bellezza e conoscenza. Ma ora lamente dell’uomo si sta aprendo più larga-mente alla verità più profonda del Divino,del Sé, dello Spirito, della Presenza eternanon separata e distante ma vicina a noi,attorno e dentro, lo Spirito nel mondo, ilSé più grande nell’uomo e nella sua spe-cie, lo Spirito in tutto ciò che è e vive, laDivinità, l’Esistenza, il Potere, la Bellezza,la Delizia eterna che aleggia sopra ognicosa, sostiene ogni cosa e si manifesta adogni rinnovarsi della Creazione. Una poe-sia che vive in questa visione deve darciuna nuova presentazione ed interpretazio-ne della vita, poiché di per sé al primotocco questa capacità di vedere ricostrui-sce e dà per noi nuova forma al mondo eci dà un senso più grande ed una piùvasta, sottile e profonda forma della nostraesistenza».

Una poetica così concepita, non è pernulla concentrata in modo esclusivo sullatrascendenza, giacché vede ogni cosa comeuna manifestazione del Divino. «La poesia

to di questo più grande elemento è ciò cherende immensamente inferiore tutto ilresto del dramma Elisabettiano. E qualun-que sia la forma o aspetto esteriore dellapoesia, la stessa legge vuole che la poesiasia un potere di auto espressione dello spi-rito e laddove l’anima delle cose si rivelamaggiormente nella sua vera vita permezzo della parola ritmica, lì c’è il compi-mento più pieno della funzione del poeta».

Dunque, per Sri Aurobindo, «la poesiaè un potere di auto-espressione dello spiri-to». Qualche anno dopo, Onofri scriverà,come abbiamo visto, che «l’arte è unostrumento di auto-rivelazione spirituale».

Ne consegue che la poesia non puòlimitarsi a esprimere i crudi fatti della vita,ma deve darci almeno dei bagliori dell’es-senza della vita, dei suoi moti nascosti,delle radici da cui la superficie si alimenta.«L’opera più grande del poeta è di aprircinuovi reami di visione, nuovi territori del-l’essere, nostri e del mondo, ed egli lo fapersino quando tratta di cose pratiche.Omero con tutto il suo vigore epico di pre-sentazione esteriore non ci mostra gli eroi ociò che accade davanti Troia nella lororealtà fattuale, così come gli uomini liavrebbero visti normalmente ma piuttostocome apparivano o avrebbero potuto appa-rire agli occhi degli dei. La grandezza diShakespeare non sta nel suo riprodurre gliavvenimenti o gli uomini così come noi livediamo nel quotidiano, – altri suoi con-temporanei avrebbero potuto fare altrettan-to, pur con meno radiante forza di genio,ma con più realistica crudezza di colori osquallore della verità quotidiana, – mabensì nel suo mostrarci nei suoi personaggie temi ciò che è essenziale, intimo, eterno,universale nell’uomo e nella Natura e nelFato e per il quale gli aspetti esteriori sonosecondari, ciò che appartiene a tutti i tempima non è ovvio all’esperienza del momen-to; quando lo scorgiamo la vita ci presentaun altro aspetto e diviene più profondadella sua maschera attuale a noi visibile nelmomento. È per questo che il poeta prefe-risce istintivamente allontanarsi dall’osses-sione della meschina quotidianità, dal reali-smo della vita quotidiana per volgersi alsuo sé interiore creativo, ad un immagina-rio scenario del passato, alla lucente aria del

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l’anima e la forma di delizia e bellezza nonprendano possesso della visione dellaverità e diano immortalità al respiro ed alcorpo della vita. La delizia è l’anima del-l’esistenza, la bellezza la espressione delsenso, la forma concentrata della delizia; equeste due cose fondamentali tendono adessere una per la mente dell’artista e delpoeta, sebbene esse siano abbastanza spes-so separate nella nostra esperienza piùcruda mentale e vitale. Questi due poterigemelli si incontrano, producono unaconsonanza della perfetta armonia dellasua opera e sono le prime divinità che egliserve, tutte le altre semplicemente si ritro-vano intorno ad esse e cercano di essereammesse all’anima della delizia ed al privi-legio della bellezza e si devono rendereaccettabili a loro prima di potersi unire aloro in una unità attraente ed inevitabile».

Così comincia il capitolo intitolato TheSoul of Poetic Delight and Beauty (“L’animadella delizia e bellezza poetiche”). In unmondo come l’attuale, in cui il culto delbello è per lo più confinato tra le quattromura dei musei, oppure volgarmente svili-to, le considerazioni contenute in questocapitolo possono risultare difficili. Inoltre,il senso estetico sembra qualcosa di diame-tralmente opposto alla ricerca di una qual-che verità, compresa – a maggior ragione –la ricerca della Verità assoluta. Eppure,non è sempre stato così, e non solo inIndia, dove la cultura vedico-upanishadicaha dato prova di un mirabile e felicissimomatrimonio fra verità e bellezza. «IlGiappone e la Cina, in particolare la Cinadel sud, poiché il nord è stato appesantitoda una tendenza ad una idea più esterna eformale di misura e di armonia, avevano inmodo diverso questa fusione della mentespirituale ed estetica come tratto distintivodella loro arte e cultura. La Persia possede-va una specie di sensuale magia nel trasfor-mare l’estetica derivante dalla delizia evisione psichica, e la Grecia antica compìla sua opera di fondare la civiltà europeaunendo ad una sottile ed attiva intelligenzaun fine spirito estetico e l’adorazione dellabellezza. Ed ancora le nazioni Celtichesembrano aver avuto dalla natura una deli-catezza e sottigliezza psichica unite ad unistintivo volgersi alla bellezza nell’immagi-

che dà voce alla unità e totalità del nostroessere e della Natura e dei mondi e di Dionon renderà l’attualità della nostra vitaterrena meno ma più reale e ricca e pienaed ampia e vivente per gli uomini.Conoscere altri paesi non significa smi-nuire il nostro ma ampliarlo ed aiutarlo adacquisire un più grande potere del suoproprio essere, e conoscere le altre regionidell’anima significa ampliare i nostri con-fini e rendere più opulenta e bella la terrasulla quale viviamo. Portare gli dei nellanostra vita significa sollevarla ai suoi pro-pri più divini poteri. Vivere in stretta eduratura intimità con la Natura e lo spiri-to in essa significa liberare la nostra vitaquotidiana dalla sua prigione di preoccu-pazioni ristrette al quotidiano e dare almomento che viviamo il respiro delTempo e lo scenario dell’eternità, ed all’a-gire quotidiano una base di pace eterna el’ampia forza del Potere universale. PortareDio nella vita, il senso del sé in noi, nellanostra personalità e nel nostro divenire,portare i poteri e le visioni dell’Infinitonella nostra esistenza mentale e materiale,l’unità del sé nella nostra esperienza e neisentimenti e nelle relazioni del cuore edella mente con tutto ciò che ci circondasignifica aiutare a rendere divino il nostroessere e la nostra vita, abbattere le barrieredi divisione e cecità e svelare la divinitàche l’uomo individuale e l’umanità tuttapossono diventare se lo vogliono e con-durci alla nostra maggiore perfezione vita-le. Questo è ciò che una poesia futura puòfare per noi nel modo e nella misura incui la poesia può fare queste cose, tramitela visione, tramite il potere della parola,tramite l’attrazione della bellezza e delladelizia di ciò che ci mostra. [...] Questapoesia sarà la voce e l’espressione ritmicadella nostra più grande, totale, infinita esi-stenza e ci darà il senso più forte ed infini-to, la gioia spirituale e vitale, il potereesaltante di un respiro più grande di vita».

Ma tutto ciò non è ancora sufficiente.«La luce della verità, il respiro della vita,per quanto siano cose grandi e potenti,non sono abbastanza per dare alla poesiaquel tocco di immortalità e perfezioneuna piccola quantità del quale è abbastan-za per farla durare nei secoli, a meno che

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o anima di delizia in contatto con le imper-sonali ed eterne fontane della gioia e dellabellezza che crea da quella fonte e, tramitela sua alchimia, trasmuta ogni esperienza inuna forma dell’Ananda dello spirito». Equando il poeta si pone al servizio di questaimmortale Gioia d’essere, «... egli diviene ilportavoce dello spirito eterno di bellezza edelizia e partecipa di quell’altissimo rapi-mento creativo e di espressione del sé che èvicino all’estasi originaria che diede vitaall’esistenza e cioè l’Ananda divina. Questorapimento, i divini possessione ed entusia-smo Platonici, non nascono dal mentale,ma dall’esperienza dell’anima, e quanto piùla mente di superficie si intromette, tantopiù questa divina passione è indebolita ediluita da uno spirito meno potente». Lascelta da fare è dunque una sola: «il veggen-te, il poeta, l’artista, i figli della luce dellospirito e della intuizione sono se stessi sola-mente quando vivono nelle profondità del-l’anima, rifiutano di lasciarsi trascinare dalrichiamo superficiale della mente e dellavita e aspettano piuttosto di sentire le lorovoci più grandi. [...] La delizia e la bellezzapoetica nascono da un rapimento piùprofondo e non dal febbrile interesse egodimento della vita e dell’esistenza dellamente di superficie».

Ovviamente, molte sono le provinciedel nostro essere, e altrettante possonoessere le dimensioni di coscienza che l’artepuò esprimere. «Questa Ananda, questadelizia, quest’estasi che è l’anima della bel-lezza poetica funziona come altre cose,quali la verità poetica o il respiro poeticodella vita, su livelli diversi, in diversi campidi azione, con la stessa legge che abbiamoosservato altrove dell’emergere di un piùricco e profondo aspetto di sé quanto piùsi spinge all’interno e verso l’alto, daiminori ai più nascosti poteri della sua rive-lazione. Questa anima più fine di deliziaemerge dalla mente fisica e dall’essere, neprende le esperienze e le trasforma tramiteil suo innato e peculiare potere in forme dibellezza, fonde in sé le esperienze dell’ani-ma della vita e sull’onda della sua estasipoetica trasmuta in bellezza il loro potere epassione, ingloba tutta la vita e le formenella mente di pensiero riflessivo e li cam-bia in bellezza e rapimento di pensiero che

nazione a cui sicuramente dobbiamomolto del meglio nella letteratura Inglese.[...] Il giorno in cui torneremo all’anticaadorazione della delizia e della bellezza saràil giorno della nostra salvezza; poiché senzadi esse non può esserci né sicura nobiltà,né dolcezza nella poesia e nell’arte, né unadignità soddisfatta ed una pienezza di vitané una armoniosa perfezione dello spirito».

A questo punto, Sri Aurobindo si con-centra su taluni aspetti fondamentali dellospirito di delizia e bellezza, connessi con lapercezione concreta dell’universale Gioiad’essere celata nelle cose. Risulta difficileinoltrarsi in un simile dominio senza citareper intero, perché ogni singola frase contie-ne implicazioni immensamente profonde,legate all’esperienza spirituale stessadell’Autore, che abbraccia completamentela vita. Sarebbe anzi utile, se non indispen-sabile, conoscere la vita e l’esperienza di SriAurobindo anche solo sommariamente, peresempio attraverso la lettura della bella bio-grafia scritta da Satprem, intitolata SriAurobindo, l’Avventura della Coscienza. Perragioni di spazio, preferiamo lasciare al let-tore la libertà di fare i dovuti approfondi-menti, e di citare una frase che ci sembra diimmediata utilità, che la poesia contempo-ranea dovrebbe a nostro avviso fare propria:«L’errore fatto è di confondere le fonti didelizia e bellezza poetiche con i più superfi-ciali interesse, dolore e piacere che la mentenormale riceve nel primo, non ancora tra-sformato richiamo del pensiero, della vita,del sentimento». L’artista contemporaneotroppo spesso presta la propria voce allaparte più superficiale della coscienzaumana, potremmo quasi dire alla sua per-sonalità frontale più o meno immersa nellafutilità, mentre nei momenti di autenticaaspirazione egli sa bene che è l’altro se stes-so a dirigere, quell’essere di luce e di estasiche dimora in lui o al di sopra di lui, inqualità di eterno bambino divino che guar-da ogni cosa con amore, con meraviglia,con appagata consapevolezza. «Il poeta hain sé una doppia personalità, un doppiostrumento di risposta alla vita ed alla esi-stenza. C’è in lui l’uomo normale assorbitonel semplice vivere che pensa e sente edagisce come gli altri e c’è il veggente, l’uo-mo al di sopra del normale, la super anima

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tutto l’esistente luminoso e meraviglioso ebello può essere uno dei doni del futuro.[...] Questo cambiamento significherà chela poesia potrà riprendere su una scalamaggiore, con una più ampia e rilucentevisione l’influenza maggiore che essa avevaun tempo sulla vita dell’umanità nelleantiche e nobili culture».

Sappiamo quanto abbia significato lapoesia dei Veda, delle Upanishad, delMahabharata per la storia dell’India, ol’Iliade e l’Odissea per la storia dellaGrecia e dell’Europa. E se questo fossenulla in rapporto agli effetti che la poesianel mondo a venire potrà suscitare?

«La bellezza e delizia di tutte le cosefisiche illuminate dalla meraviglia del séspirituale segreto che è allo stesso tempol’abitante e l’autore della forma, la bellezzae la delizia del variegato, multiforme, mol-teplice miracolo della vita reso cento volteancora più profondamente significativodalla grandezza e dalla dolcezza e dall’at-traente pregnanza dell’anima profonda chesi autocrea e che fa della vita la sua epica, ilsuo dramma, la sua lirica, la bellezza e deli-

scopre e contiene nuovi valori di anima eNatura ed esistenza.

Ed in tutte le sue opere si avverte la suapeculiare essenza di una intuitiva deliziache in esse dà forma introducendovi tuttociò che può dei suoi propri intimi ed eter-ni valori di delizia. Ma è quando quellamente intuitiva che si scopre, osserva, creada sé stessa in un più alto potere di luce evisione di quanto sia possibile su un livel-lo intellettuale o su altri entra in gioco, edabbiamo adesso qualche segno di questoemergere, è allora che siamo più vicini allepiù potenti fonti della delizia e bellezzauniversali ed eterne, più vicini al suopieno ed ampio vedere, al suo rapimentoche tutto abbraccia. Questa mente interio-re è il primo potere nativo del sé e dellospirito che lascia cadere i suoi veli piùbassi e la vera vita e l’estasi dello spiritonella sua creazione è una vita di deliziaspirituale autosperimentata ed un lumino-so Ananda.

La bellezza e la delizia di una tale ispi-razione intuitiva più grande, una poesia diquesto Ananda spirituale che ci rende

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Annamaria Caracciolo,Tappeto volante, 1988acrilico su tela,cm 43 x 43

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prima una musica di melodie sempliciscaturenti da sé che lo spirito ascolta conpiacere e tramite cui rende eterno l’incan-to della scoperta di sé o del ricordo».

E dopo avere riflettuto sulla differenzatra il volo lirico dell’età classica e dell’etàmoderna, Sri Aurobindo traccia le coordi-nate per la poesia lirica del futuro: «Laeffusione lirica decisivamente rivelatricedeve arrivare quando il poeta ha imparatoa vivere creativamente soltanto nella inte-riore e spirituale visione ed identità del suosé con il sé dei suoi oggetti e delle sueimmagini, ed a cantare soltanto a partiredalla più profonda emozione spirituale cheè l’estasi della sensazione di quella identitào almeno di una qualche estrema vicinanzaalla sua esattezza di tocco e visione. Allorapossiamo scoprire che questa Ananda, que-sta delizia spirituale, poiché è qualcosa dipiù intimo ed inebriante dell’emozione, haportato con sé una libertà sconosciuta diformazione e parola precise ancorché mol-teplici e dalle molte suggestioni. [...]L’intima ed intuitiva poesia del futuro avràtutta la gamma inesauribile e le comples-sità profonde dell’immaginazione cosmicadi cui essa sarà l’interprete ed alla qualeessa deve adattare cento armonici toni liri-ci singoli e separati e combinati tra di lorodi espressione pregnante o riccamente toc-cante, mentre d’altro canto raggiungeràquella assoluta e spoglia semplicità divisione profonda ed essenziale nella qualeil pensiero è sublimato in una trasluciditàdi luce e di visione, il sentimento oltrepas-sa se stesso nella pura estasi spirituale e laparola si rarefà in una pura voce prove-niente dal silenzio. La visione determineràla forma lirica e scoprirà le identità di unritmo ineludibile e standard inferiori nonprevarranno sulla purezza di questo princi-pio spirituale». Quindi si passa all’analisidegli stilemi della poesia drammatica: «Uncambiamento spirituale deve allo stessomodo verificarsi per quanto riguarda l’in-tento e la forma del dramma [...] Tutto ildramma deve essere un movimento di vitaed azione poiché la sua modalità di presen-tazione è tramite la parola degli esseriviventi e l’interazione delle loro nature, maugualmente il vero interesse, tranne cheper i generi meno poetici, è l’interno

zia dello spirito nel pensiero, il veggente, ilpensatore, l’interprete della sua propriacreazione e del suo proprio essere che aleg-gia su tutto ciò che egli è e fa nell’uomo enel mondo e costantemente lo rivede e glidà forma nuova tramite l’insistenza ed ilpotere del suo pensare, questa sarà lasostanza della poesia più grande che deveancora essere scritta. E questo può esseresoltanto se e per quanto l’anima dell’uomoguarda o sente persino oltre queste cose evede e dà voce all’eterno e ne conosce ledivinità e giunge ad un qualche intimocontatto con l’estasi infinita che è la fontedella delizia e bellezza universali».

I tre ultimi capitoli sono forse i piùbelli, e il loro titolo li accomuna alquanto:The Power of the Spirit (“Il potere delloSpirito”), seguito da The Form and theSpirit (“La forma e lo Spirito”), per poiarrivare a The Word and the Spirit (“LaParola e lo Spirito”). In realtà, gli ultimitre capitoli e la conclusione finale conten-gono un crescendo di immagini e di indi-cazioni stimolanti e meravigliose sullapoesia del futuro. Bisognerebbe riportarliper intero. Limitiamoci a qualche brevepassaggio.

«Una poesia nata direttamente dallospirito e piena del suo potere e dunqueuna più ampia e profonda espressione disé dell’anima e della mente della razza èciò che stiamo cercando e ciò che le ten-denze più profonde della mente creativasembrano essere sul punto di produrre».

Sri Aurobindo riflette quindi sul carat-tere dei tre generi poetici: la poesia lirica,drammatica, epica. Anzitutto la poesia li-rica: «L’impulso lirico è l’originario espontaneo creatore della forma poetica, ilsuono la prima scoperta della possibilità diuna più alta in quanto ritmica intensità diauto espressione. [...] La lirica è unmomento di elevata esperienza dell’anima,talvolta breve in un fugace aereo rapimen-to, in una pregnante estasi di pena, digioia o di miscuglio di emozioni o in unaveloce esaltazione di tono più grave, tal-volta prolungato nella ripetizione o varia-zione della stessa nota, talvolta legantesi inuna successione sostenuta ad altri mo-menti che hanno origine da esso o sonosuggeriti dal suo motivo centrale. È dap-

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ancora giovane dell’umanità, e che l’epicaletteraria ed un artificiale prolungarsi diessa in un’era intellettuale ed una genuinapoesia epica non siano più possibili adessoo nel futuro. Questo è un confondere laforma e le circostanze con la realtà centra-le. L’epica, una grande storia poetica del-l’uomo, del mondo o degli dei, non devenecessariamente configurarsi come unamovimentata presentazione di azione ester-na: la creazione di Roma voluta dagli dei,la lotta tra il bene ed il male presentatadalla grande poesia Indiana, la processionedei secoli o il viaggio del veggente attraver-so i tre mondi ultraterreni sono temi altret-tanto adatti della guerra e delle avventureprimitive per l’immaginazione del creatoreepico. L’epica dell’anima maggiormentevista dall’interno così come la vedrà unapoesia intuitiva, è il suo argomento piùgrande ed è questo genere supremo chepossiamo aspettarci da una qualcheprofonda e potente voce del futuro. Suopotrà essere il canto di più grande altezzache rivelerà dalla cima più alta e con il piùampio campo di visione il destino dellospirito umano e la presenze ed i modi e loscopo della divinità nell’uomo e nell’uni-verso».

Tutto ciò implica una trasformazioneinsieme della forma e della sostanza.

«Come nella teoria Vedica è lo Spiritoche crea i mondi tramite la Parola, così ilpoeta tramite la sua Parola creativa portain essere in sé ed in noi in modo ampio oframmentario, in momenti isolati o inforti concentrazioni un mondo interioredi esseri oggetti ed esperienze».El poeta es un pequeño Dios, recita un

verso di Vicente Huidobro.«Se li consideriamo nella loro profon-

dità psicologica e non solamente nei loroaspetti più esterni, noi vedremo che ciòche costituisce la parola e le dà la vita eforza e significato è una sottile forzacosciente che dà forma ed è l’anima delcorpo del suono: è una Natura-Forzasupercosciente che trae il suo materiale dalnostro subcosciente ma che procede conconsapevolezza sempre crescente del suooperare nella mente umana che si sviluppain una direzione fondamentale benchévaria nel linguaggio».

movimento e l’azione dell’anima poiché laparola drammatica è interessante poetica-mente soltanto quando è uno strumentodi auto espressione umana e non semplice-mente un supporto ad una serie di avveni-menti che richiamano l’attenzione. Ildramma futuro sarà diverso dall’operaromantica o dalla tragedia poiché ciò che ildiscorso drammatico rappresenterà saràqualcosa di più interno dell’anima di vita edella sua brillante esibizione di passioni epersonaggi. [...] Il personaggio nell’operasarà lo spirito nell’uomo, diversificato omolteplice in molti esseri umani le cuiinterne relazioni spirituali ne determine-ranno lo sviluppo molto più intimamenteche la loro vita esterna, ed il culminesaranno i passi verso la soluzione di queiproblemi spirituali della nostra esistenzache sono in realtà alla radice ed includonoe condizionano tutti gli altri. Il drammanon sarà più una interpretazione del Fatoo del Karma autodeterminantesi o delsemplice o complesso naturale intrecciarsidei movimenti di vita umana, ma una rive-lazione dell’Anima come suo proprio fatoe determinatore della sua vita e del suokarma e dietro di essa dei poteri e deimovimenti dello spirito nell’universo».

Dulcis in fundo, giunge il turno dellapoesia epica: «Lo spirito e lo scopo delleforme epica e narrativa della poesia devonoanch’esse subire lo stesso cambiamento tra-sfigurante. [...] Una poesia narrativa inten-sa, intensa nella semplicità o nella ricchez-za di sfumature significative, sarà la piùprofonda e sottile arte di questo tipo infuturo e le sue strutture appropriate saran-no determinate dai bisogni di questo moti-vo artistico interiore. [...] Ci sarà lì la stessavisione regolatrice come nella poesia liricae nel dramma; soltanto il metodo di svi-luppo seguirà le necessità della più estesa,circostanziata ed esternamente sviluppan-tesi forma propria della poesia narrativa.L’epica è soltanto la presentazione narrativasu un canovaccio più ampio e con unamaggiore elevazione, grandezza e vastità dispirito, parola e movimento. È stato talvol-ta asserito che l’epica sia propria soltantodelle età primitive, quando la freschezza divita rendeva una storia di ampia e sempliceazione di supremo interesse per la mente

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de il pensiero o l’immagine in un dischiu-dersi di nuovi significati di tipo molto piùinteriore, di una più profondamente rive-latrice visione, emozione, risposta spiri-tuale».

Ancora un esempio dalla penna alata diSri Aurobindo:

I am alone with my own self for space

«Ed oltre questo primo linguaggio diilluminazione intuitive noi giungiamo adun livello più alto o ad una parola poeticaispirata che ci apporta non soltanto puraluce e bellezza e profondità inesauribili,ma una più grande, commossa estasi dipensiero, vista e parola più alti o ampi eche ha come suo culmine la parola inevi-tabile, assoluta e rivelatrice». Come inquesto verso di Sri Aurobindo:

Voyaging through worldsof splendour and of calm

«Il genio del poeta può produrre operadi alta bellezza o di notevole grandezza inognuna di queste gradazioni di parolapoetica, ma è l’espressione più puramenteintuitiva, ispirata o rivelatrice che la piùrara e più difficile per la mente umana dapadroneggiare ed è questa che noi mag-giormente apprezziamo. Il suo potere nonsoltanto ci commuove e tocca maggior-mente ma esso conduce l’anima ad unapiù spiritualmente profonda luce di visio-ne ed estasi di sentimento persino di ideeed oggetti comuni, e, nella sua forza piùalta, a pensieri e cose che sorpassano ilmodo, l’ampiezza, i limiti di profonditàdella normale intelligenza. [...] La poesiafutura, se essa è del genere che ho delinea-to, avente come suo scopo l’espressione diuna qualche verità interiore delle cose cheessa assume come suo argomento, deveessere perfettamente adeguata al suo com-pito, esprimerlo nel modo più interiore, equesto può essere fatto soltanto se, tra-scendendo l’espressione più intellettuale oesteriormente vitale e sensuale, essa parlapienamente il linguaggio di una mente evisione ed immaginazione intuitive, di unsenso intuitivo, di una emozione intuitiva,di un sentimento vitale intuitivo, che può

Sri Aurobindo fa espressa menzionealla “Parola che vede” (Pashyanti Vac) deltantra, cui abbiamo già accennato, e preci-sa ulteriormente i livelli della ‘OverheadPoetry’, la poesia che giunge da sferesovrarazionali: «Questa parola che vede haessa stessa tuttavia differenti livelli del suopotere di visione ed espressione dellavisione. Il primo e più semplice potere silimita ad una chiara adeguatezza poeticaed è nel suo punto più basso difficilmentedistinguibile dalla prosa tranne che per lasua più compatta e vivida forza di presen-tazione e la sottile differenza data dalritmo che apporta un richiamo vivente eaggiunge qualcosa di una vicinanza emoti-va e di sensazioni a ciò che altrimentisarebbe poco più che una espressioneintellettuale; ma con una più alta e sottilechiarezza questo modo ha il potere di farcinon soltanto capire adeguatamente, mavedere l’oggetto o l’idea in una certa tem-perata lucidità di visione».

Sri Aurobindo propone alcuni esempidel grado poetico adeguato; noi riportia-mo qui un suo verso:

My thoughts shall be houndsof light for thy power to loose.

«Il secondo potere cerca di andare oltrequesta fine e perfetta adeguatezza nelle sueintensità, cerca una più ricca o potenteespressione, non semplicemente giusta edadeguata alla visione poetica ma dinamicae fortemente efficace». Citiamo un altroverso di Sri Aurobindo:

Black fire and gold firestrove towards one bliss.

«C’è una più intima visione, una piùpenetrante visione spirituale, una parolapiù intensa e rivelatrice, che fa vibraremaggiormente l’anima. Si ha qui unaprima scoperta di sé quando uno stile ade-guato o dinamicamente efficace è solleva-to ad una più grande illuminazione nellaquale la mente interiore vede e sente l’og-getto, l’emozione, l’idea non soltantochiaramente o riccamente o distintamenteo potentemente, ma in un flash o unirrompere di luce trasformante che accen-

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cazione del suo saggio, passò ad altra vita;Sri Aurobindo ha invece avuto tutto iltempo (più di trent’anni) per dedicarsi auna ricca produzione poetica, dando ilmeglio di sé proprio negli anni dellamaturità: una abbondante produzione liri-ca e due vasti poemi epici, Ilion e Savitri –quest’ultimo il suo capolavoro, colmo dal-l’inizio alla fine della più alta espressionemantrica; mai, per dirla con le parole diSatprem, «segreti così numerosi erano statiespressi con così tanta bellezza».

Quindi, per concludere, esattamentecome abbiamo fatto nel caso di ArturoOnofri, riportiamo alcune liriche di SriAurobindo, appartenenti a diversimomenti del proprio sviluppo creativo. Lepoesie vengono qui offerte nell’originaleinglese e nella traduzione poetica realizza-ta dal sottoscritto1. Si ricorda che arianuova edizioni ha appena pubblicato ilvolume contenente le poesie liriche di SriAurobindo (Sri Aurobindo, Poesie, 2009),mentre negli anni precedenti ha pubblica-to, dello stesso Autore, due testi dramma-turgici – il dramma lirico Perseo il liberato-re (2006) e la commedia romantica I visirdi Bassora (2007) – e un poema epico, Ilio(2008). Tutti corredati, doverosamente,dal testo originale a fronte. In programmafigura anche la pubblicazione dell’epopeaSavitri e delle restanti tre drammaturgie,offrendo così l’intera produzione poeticadi Sri Aurobindo a disposizione del lettoreitaliano.

La prima delle tre liriche con cui inten-diamo concludere, risale ai primi anni delsuo soggiorno a Pondicherry, pertantonon molto distante (presumibilmente dipoco posteriore) dalla compilazione delsaggio oggetto del presente articolo. Lapoesia possiede un ritmo particolarissimo,che la rima baciata rende ancor più incisi-vo, oltre a una musicalità gioiosa e spu-meggiante, esprimente nel modo più effi-cace possibile la folgorante rapidità dell’e-sperienza descritta-vissuta.

afferrare in una peculiarmente intima lucedi conoscenza, tramite una identità spiri-tuale, nel modo più interiore il pensiero,la vista, l’immagine, il senso, la vita, ilsentimento di ciò a cui essa è chiamata adar voce. La voce della poesia proviene dauna regione al di sopra di noi, da unpiano del nostro essere al di sopra ed oltrela nostra comprensione personale, unasupermente che vede le cose nella loroverità più interiore e più ampia tramiteuna identità spirituale e con una luminosabrillantezza e rapimento ed il suo linguag-gio naturale è una parola rivelatrice, ispi-rata, intuitiva, limpida o sottilmentevibrante o densamente compressa con lagloria di questa estasi e luminosità».

E giungiamo così al capitolo conclusi-vo, nel quale Sri Aurobindo cerca di rias-sumere il compito del poeta del futuro –«Si tratta in realtà di una visione cosmicapiù ampia, della comprensione della divi-nità nel mondo e nell’uomo, delle suepossibilità divine così come della grandez-za del potere che si manifesta in ciò cheegli è, di un innalzarsi spiritualizzato delsuo pensiero e sentimento e senso ed azio-ne, di un cuore e di una mente psichicamaggiormente sviluppati, di una più verae profonda comprensione della sua naturae del significato del mondo, di un chiama-re potenzialità più divine e valori più spi-rituali nello scopo e nella struttura dellasua vita che è il richiamo all’umanità, laprospettiva ad essa offerta dal lento dispie-garsi del Sé dell’universo adesso più chia-ramente disvelato».

Sarebbe interessante, a questo punto,estrarre dalla ricca produzione epistolaredi Sri Aurobindo ulteriori osservazionisull’arte poetica, se non fosse opportunomettere un punto finale a questo lungoarticolo.

E, giunti alla fine di questa tutto som-mato rapida scorsa del saggio di ArturoOnofri e del saggio di Sri Aurobindo, cilimitiamo a notare un’unica differenza (vene sono parecchie, in realtà, e importan-tissime) tra i due Artisti, che ebbe impli-cazioni assai profonde sulla loro poetica. Ilpoeta italiano, pochi anni dopo la pubbli-

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1 Nota degli editori di Soliana: per gentile concessionedella casa editrice aria nuova.

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Revelation

Someone leaping from the rocksPast me ran with wind-blown locksLike a startled bright surmiseVisible to mortal eyes, –Just a cheek of frightened roseThat with sudden beauty glows,Just a footstep like the windAnd the hurried glance behind.And then nothing, – as a thoughtEscapes the mind ere it is caught.Someone of the heavenly routFrom behind the veil ran out.

La traduzione cerca, nei limiti del possibile, di restituire almeno in parte il suo origi-nale movimento compatto e illuminante, mantenendo la rima baciata e cercando diconferire al ritmo una analoga incalzante intensità. Il verso è, per forza di cose, l’endeca-sillabo.

Rivelazione

Qualcuno, dalle rocce, di sfuggita,capelli al vento, m’è apparso in volata,come improvvisa illazione essenzialeresa visibile all’occhio mortalegiusto una guancia di rosa impauritache di bellezza fulminea è vestita,un rumore di passo come il ventoe uno sguardo all’indietro, disattento,E poi, più nulla – simile a un pensieroche fugge prima d’esser preso intiero.Qualcuno dalle scie dell’infinitoda dietro il velo di corsa è fuggito.

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La seconda lirica risale invece agli anni Trenta; essa reca in calce la datazione 16 otto-bre 1933 e sappiamo anche – da una lettera personale di Sri Aurobindo, che venne com-posta di getto, «in pochi minuti». Notiamo anzitutto l’evoluzione poetica di SriAurobindo, che acquista col passare del tempo un ritmo al tempo stesso più intimo epiù alto, un movimento vastissimo e di assoluta derivazione spirituale. Entriamo qui neldominio della parola inevitabile e, quindi, del mantra. Tre perfettissime quartine di versia rime alternate si trasformano in un puro volo lirico di immensa estasi unitiva e beatifi-ca oltre ogni dire.

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Trance

A naked and silver-pointed starFloating near the halo of the moon;

A storm-rack, the pale sky’s fringe and bar,Over waters stilling into swoon.

My mind is awake in stirless trance,Hushed my heart, a burden of delight;

Dispelled is the senses’ flicker-dance,Mute the body aureate with light.

O star of creation pure and free,Halo-moon of ecstasy unknown,

Storm-breath of the soul-change yet to be,Ocean self enraptured and alone!

La traduzione, avvalendosi nuovamente dell’endecasillabo, si arrangia come può nelcercare di trasporre questo ampio e luminoso volo nei cieli dell’infinito, pregno di unadivina burrasca, foriera di un radicale mutamento di coscienza.

Trance

Una stella d’argento nuda a puntafluttua attorno all’alone della luna;

una tempesta si preannuncia in cielo,sopra acque che stillano in deliquio.

In trance immota la mia mente è desta,tacito il cuore, fardello di gioia;

spenta è la danza guizzante dei sensi,silente il corpo, aureato di luce.

O stella di creazione pura e libera,luna d’alone di un’estasi ignota,

furia del cambio-d’anima a venire,sé oceanico ebbro e solingo!

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Sri Aurobindo risponde ad alcune domande specifiche, postegli dal corrispondentecui abbiamo appena fatto riferimento, in relazione a questa lirica. A proposito del deci-mo verso, Sri Aurobindo spiega la creazione della parola composta “Halo-moon” (quitradotta con “luna d’alone”): «Si tratta naturalmente della “luna con il suo alone”, mavolevo dare una suggestione, se non della forma centrale inghiottita nell’alone, perlome-no della luna e dell’alone quali forme di un unico e identico splendore estatico, comequando ci si trova sprofondati nell’estasi». Mentre, alla domanda di chiarimento delverso immediatamente successivo, particolarmente criptico, Sri Aurobindo spiega: «È ilsollevarsi brusco che precede il cambiamento. La trance conduce un cambiamento dicoscienza esteriore e della natura. Non c’è alcuna filosofia». Infine, in merito al verso dichiusura, gli viene chiesto se l’oceano rappresenta il Sé divino, al che Sri Aurobindo silimita a rispondere: «Sì, esatto».

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sformare il mondo e la materia – comeMère e Sri Aurobindo intendono fare –occorre operare una trasformazione radi-cale del corpo, mediante la discesa deipoteri superiori della coscienza.

Passiamo alla terza lirica, appartenenteagli anni Quaranta (il 1942, per la preci-sione). Essa descrive una esperienza capi-tale nel Lavoro di Sri Aurobindo e diMère: la discesa del Potere divino nelcorpo materiale, nella realtà fisica. Per tra-

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• La traduzione degli stralci tratti da The Future Poetry di Sri Aurobindo è stata realizzata da Graziella Eliae Mimmo Bua.

Descent

All my cells thrill swept by a surge of splendour,Soul and body stir with a mighty rapture,Light and still more light like an ocean billows

Over me, round me.

Rigid, motionless, fixed like a hill or statue,Vast my body feels and upbears the world’s weight;Dire the large descent of the Godhead enters

Limbs that are mortal.

Voiceless, thronged, Infinity crowds upon me;Presses down a glory of power eternal;Mind and heart grow one with the cosmic wideness;

Stilled are earth’a murmurs.

Swiftly, swiftly crossing the golden spacesKnowledge leaps, a torrent of rapid lighnings;Thoughts that left the Ineffable’s flamng mansions,

Blaze in my spirit.

Slow the heart-beats’ rhythm like a giant hammer’s;Missioned voices drive to me from God’s doorwayWords that live not save upon Nature’s summits,

Ecstasy’s chariots.

All the world is changed to a single oneness;Souls undying, infinite forces, meeting,Join in God-dance weaving a seamless Nature,

Rhythm of the Deathless.

Mind and heart and body, one harp of being,Cry that anthem, finding the notes eternal, –Light and might and bliss and immortal wisdom

Clasping for ever.

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In questo caso, per la traduzione si è fatto ricorso al verso martelliano con, in aggiun-ta, un settenario in chiusura di ogni quartina, al fine di riprodurre qualcosa della mae-stosità trionfale e potente del movimento ritmico originale.

Discesa

Ogni mia cellula vibra nella splendida marea,in una possente ebbrezza danzano anima e corpo,luce e sempre nuova luce simile a un oceano fluttuasu di me, intorno a me.

Denso, come pietra, immoto come colle o come statua,il vasto mio corpo sente e porta il peso del mondo;terribile, la discesa della Deità vasta penetrain un corpo perituro.

Privo di voce, compatto, l’Infinito in me fluisce;una gloria di potenza preme eterna per entrare;mente e cuore sono uno con la distesa del cosmo.Muti i mormorii del mondo.

Celermente, celermente attraverso spazi d’oroirrompe la conoscenza, torrente di lampi celeri;pensieri che logge ardenti dell’Ineffabile erutta,nel mio spirito s’infiammano.

Lentamente batte il cuore, come colpi d’un gigante;voci portano, foriere, dalle chiuse del Divino,parole vive soltanto sui picchi della Natura,carri trionfali dell’estasi.

Tutto il mondo si tramuta in una sola unità;s’incontrano imperiture anime e forze infiniteunendosi nella danza divina con la Natura,al ritmo del Senza-morte.

La mente e il cuore e il corpo, unica arpa dell’essere,intonano quella strofe, cercando le note eterne– luce e potere e gioia e saggezza imperituraeternamente abbracciati.

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Per gentile concessione della casa editrice aria nuova.Si ricorda che aria nuova edizioni ha appena pubblicato il volume contenente le poesie liriche di Sri Aurobindo

(Sri Aurobindo, Poesie, 2009), mentre negli anni precedenti ha pubblicato, dello stesso Autore, due testi drammatur-gici – il dramma lirico Perseo il liberatore (2006) e la commedia romantica I visir di Bassora (2007) – e un poemaepico, Ilio (2008). Tutti corredati, doverosamente, dal testo originale a fronte. In programma figura anche la pubbli-cazione dell’epopea Savitri e delle restanti tre drammaturgie, offrendo così l’intera produzione poetica di SriAurobindo a disposizione del lettore italiano.

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edete quando penso a me e agli altrivoglio dire a me e agli altri come Walt Whitman, Will Rogers,

Pushkin, Sandburg, ed altri ed altri ancora,sento che dovrei dire qualcosa in propositoperché so che di tanto in tanto ve ne preoccupatee vi chiedete perché insomma non posso essere come uno o due di loroanche se mi picchio in testa col martello più pesante della città.Non ci riesco proprio e anche se ci provassi non ci riuscirei maie quello che più conta è che per di più non ne ho nessuna vogliaperché non posso starmene qui seduto a fissare un foglio di cartamezza giornata tra una parola e l’altracome poteva permettersi Walt Whitman.E non so parlare senza dire come riusciva così bene a Pushkinné posso lavorare per i padroni e contro di loro come faceva Rogers.Né posso fare a meno di dire quello che mi viene da direcosa in cui Sandburg era un espertoe come la maggior parte di questi altri libri di poesie che prendo in mano per leggeree che di corsa rimetto giù perché non parlano il mio dialetto e il mio linguaggio.Se fossi convinto che Whitman ha usato il mio linguaggio e i miei pensierise fossi convinto che Will ha dato voce al mio dialetto e ai miei sentimentise mai sentissi che il signor Pushkin ha espresso i miei sentimenti più schiettio se Carl Sandburg avesse già raccontato le storie vere della mia genteo se qualche camionista, o operaio col martello pneumatico o qualche donna conducente di trenoin un punto qualsiasi di questo pianeta avesse già detto quello che dico iobe’, allora non starei a spaccarmi le unghie dieci ore al giornocercando di ritagliare pensieri e sentimenti vecchi e nuovi per tentare di esprimerlinon sprecherò tempo a cercare di parlare chiaro come Walt Whitmane non mi spremerò troppo per pensare in maniera limpida come Will Rogerse non competerò con Carl Sandburgper la semplice ragione che non è la loro vita o la loro storia quella che voglio scriveree loro non hanno certo scritto le mie parole e la storia della mia gentee poi ho visto e sentito puzza di qualche parola falsa in Whitmanin Rogers, Sandburg, Pushkin, in te e me, e in tutti gli altried è questa la ragione di fondo per cuiho voluto togliere questa crosta secca e dissodare un tratto di terra nuovae farci crescere il mio linguaggio e i miei sentimenti[...]

Io e gli altri (WOODY GUTHRIE, “Born to win”, 1947)

Io e gli altriWoody Guthrie

V

nella pagina a fianco:Bruno Pittau,

Hey, hey Woody Guthrie,1990-2010,

tecnica mista su carta,cm 21 x 29,7

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E sequesti stramaledetti

sognicome boiavolesserodecapitarela mia gioiadando fuocoalle emozioni

come a un pagliaioe

nella loro cenerevolessero sepellirmi...Vivrei / nella notte

senza volernepiù uscire.L’ombrasarebbela tana

d’ogni turbolenzadello spirito

senza piùaneliti

alla soavitàdel sonnoche mordela sua testaper sognare

il divino inavvertitoche ognuno

si portadentrocomeun canto

in sottotono.

SeMara Bua

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Il sole rideva sempree cantava attraversole bocche delle sue stelle,ma un giorno l’uomo disse:se io mi illuminassi di tenebresarei forse meno infelice?Se cantassi con le voci sonantidella mia anima,sarei forse l’uomoche tutti credono io sia?Sono stanca, ho camminato a lungo,dice l’uomo semplice.Ma all’uomo semplicecome al piccolo granello di rocciavoglio ritornare.Perché lì il sole,lì la gioia,l’entusiasmo del vitale andare.

Il sole feritoMara Bua

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C’era una volta un califfo o qualcosa di simileche a dispetto della sua originee delle sue condizioni attualiera assolutamente nobile in ogni atto e pensieroma si ridusse a bere caffèfino ad averne l’umore tetroe diceva dalla finestra alle donnealte e con grandi pesi sulla testatornate domani mattinavenite presto a svegliarmie non andate via senza il mio salutopoiché non è l’alba a darmi fortunama l’hascisc e altre bevande dolciche mi corrompono la veglialunga e disperata.Per questo vi chiedonon andate viatornate ancora ogni mattino.

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Il califfo dell’hasciscBruno Pittau

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1.

«L’uomo non vive di solo pane»:tutti i saperi tradizionali ciinsegnano che l’uomo è “spi-

rito-anima-corpo”; che un “raggio divino”,un raggio di luce lo unisce al Cosmo,all’Infinito, al Principio.

Ci dicono che l’uomo non è soltanto la“misura delle cose” ma è un “tramite” frail cielo e la terra.

Uno dei più importanti studiosi delsimbolismo e della Tradizione intesa comeFilosofia o Sapienza perenne, TitusBurckhardt, scrive:

«Fra tutti gli esseri di questo mondo,l’uomo è il solo la cui visione intellettualeracchiude ogni cosa, mentre gli altri esseriorganici hanno soltanto delle visioni par-ziali di esso... Attraverso le forme sensibili,l’uomo coglie le forme sottili e le essenzespirituali. Si può dunque affermare chel’uomo, che è un microcosmo, e l’univer-so, che è un macrocosmo, sono simili adue specchi che si riflettono a vicenda: daun lato, l’uomo esiste soltanto in relazionecon il macrocosmo (l’universo) di cui faparte e lo determina; dall’altro egli cono-sce il macrocosmo e ciò significa che tuttele possibilità che si dispiegano nel mondo[tutto ciò che può manifestarsi nel mondoe di fatto si manifesta] sono contenute inmodo principiale nell’essenza intellettualedell’uomo». (Titus Burckhardt)

«Contenute in modo principiale»,significa: contenute in quanto princìpi, inquanto potenzialità da attualizzare, cioèda “realizzare”: l’uomo conosce in quantola sua capacità intellettiva, unita alla sua

volontà, si dispone a conoscere e si sforzadi conoscere: l’essenza intellettuale del-l’uomo è dunque la sua attitudine allaconoscenza e la capacità che ha l’uomo diplasmare la sua volontà nella conoscenza.

In questo senso l’uomo, individual-mente, (in quanto “microcosmo”) è supe-riore agli animali e alle piante: eppurequesti sono “relativamente” superioriall’uomo in quanto in essi la specie (l’i-stinto di appartenenza alla specie) predo-mina sulla autonomia individuale. Neivegetali e nei minerali specie e individua-lità sono perfettamente fusi. Per questo sidice che «l’animale non può decaderenella stessa misura in cui può decaderel’uomo». Decadere qui significa: allonta-narsi dal suo principio, che è quello diconoscer-si in sé stesso.

Un grande poeta vissuto tra il 1770 e il1843, Friedrich Hölderlin, in una sua poe-sia che comincia «Nel soave azzurro brillacon il suo tetto metallico il campanile...»dice che «poeticamente l’uomo abita ilmondo». Un filosofo del nostro secolo,M. Heidegger, ha dedicato un suo scrittoall’interpretazione (ermeneutica) di questoverso e degli altri concetti che ad esso silegano nella composizione poetica diHölderlin.

Che i poeti talvolta abitino poetica-mente, egli scrive, è una cosa che si puòcapire. Ma che cosa si deve intenderequando si dice che “l’uomo”, cioè ogniuomo abita “poeticamente”?

Il nostro abitare odierno, – aggiunge ilfilosofo – oltre che dalla “crisi delle abita-

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Cosa significa poetareMimmo Bua

«...Poeticamente abita l’uomo...». Ovvero: cosa significa “poetare”?

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zioni” è ossessionato da altre cose: il lavo-ro, la ricerca del vantaggio e del successo,la crescente “schiavitù” nei confronti del-l’industria del tempo libero e dei diverti-menti; e, aggiungiamo noi, la trasforma-zione dello stesso sapere, della “cultura”,in un “business”, un affare commerciale.

«La poesia – continua il filosofo – vieneo negata come un inutile sentimentalismoo come un perdersi nell’irreale, o respintacome una fuga nell’idillio, oppure catalo-gata nell’ambito della ‘letteratura’». Inten-dendo per ‘letteratura’ qualcosa di inutile,un’occupazione paragonabile a un hobby oa una forma di bricolage o passa-tempo.Inoltre il “valore” della poesia viene stabili-to in base alla “mutevole attualità delmomento”: anche la poesia cioè, nella an-gusta misura in cui circola, è anch’essa sog-getta alle “mode”, si tratti di mode “lette-rarie” o di mode determinate da un condi-zionamento “ideologico” di massa, analogoa quello che induce in milioni di personela forma più diffusa di “incantamento”moderno, che è la pubblicità.

Uno dei pregiudizi più diffusi dellanostra epoca è che la natura dei poeti èquella di non saper vedere “il reale”.Invece di “agire”, i poeti “sognano”. E tut-to ciò che fanno è frutto della loro imma-ginazione. La nostra epoca contrapponeviolentemente all’immaginare il “fare” e,in un certo senso, obbliga tutti al “fare”,negando il “diritto di esistere” a chi voles-se soltanto “immaginare” (o “contempla-re”, o meditare, o pensare).

Eppure il significato del fare ci derivada un termine greco che è “Pòiesis”.Originariamente, anche per la culturaoccidentale, dunque, il “fare” e il “poetare”avevano una identica radice linguistica eterminologica.

2.

Dobbiamo anche noi chiederci, quin-di, se il “poetare” e l’“abitare” siano

davvero diventati così inconciliabili, duecose incompatibili. Il filosofo Heidegger,propone, per cercare di capire se questaincompatibilità esista davvero, di conside-rare l’esistenza dell’uomo proprio a partiredall’abitare. Naturalmente non si trattadell’abitare nel senso di “avere” o “occupa-

re” un alloggio, ma dell’abitare in modoessenziale, come può essere inteso nell’e-spressione “abitare nel mondo”, quindi“vivere, esistere nel mondo”: in questosenso essenziale l’abitare è qualcosa di piùgrande e di più alto rispetto all’avere unluogo in cui “alloggiare” e al procurarsi “ilpane” di cui cibarsi.

Quando [il poeta] Hölderlin parla del-l’abitare, dunque, egli guarda al tratto fon-damentale dell’esser-ci dell’uomo”, cioèall’aspetto fondamentale, nel senso di ciòche è “più importante” dell’essere al mon-do dell’uomo. In questo senso, il poeta cidice che l’abitare è un “poetare”; cioè cheproprio il “poetare” (la poesia, dunque)rende, in primissimo luogo, l’abitare unabitare.

Come dire che, senza poesia, l’uomonon potrebbe abitare il mondo. Anzi, chel’essenza dell’abitare [il mondo] coincideproprio con l’essenza del poetare, dellapoesia.

Il filosofo che cerca di interpretare,cioè di “capire” le parole del poeta, ci pro-pone una semplice riflessione: che consistenel chiederci “con quale mezzo noi perve-niamo ad una abitazione”. La risposta,abbastanza ovvia, è: “mediante il costrui-re”. L’abitare, anche nel senso più “mate-riale” del termine, presuppone sempre un“costruire”.

Ora il filosofo ci ricorda che anche il“poetare” è un “costruire”. Anzi, aggiungeche “forse, il poetare è il costruire pereccellenza”.

Per capire questo, ci dice il filosofo,dobbiamo riflettere sull’essenza del lin-guaggio, e cioè sul vero significato dellaparola. E questo è diventato particolar-mente difficile da quando “tutto un infu-riare di discorsi, di scritti, di parole tele-trasmesse avviluppa la terra”. È come sepiù l’uso della parola si va diffondendo emeno noi riusciamo a capire dell’essenzadella parola stessa. Viviamo in un mondodove tutto è “messaggio”, “comunicazio-ne”, “discorso”, “parola”, cioè “linguaggio”e non siamo più capaci di comprenderel’essenza, il significato fondamentale del“mezzo” che più frequentemente usiamo.

A questo proposito il filosofo ci ricordaqual è il vero rapporto fra l’uomo e il lin-

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guaggio; e ce lo ricorda con un paradosso,con una frase che ci suona “strana”, quasi“assurda”: “L’uomo si comporta come sefosse il creatore e il padrone del linguag-gio, mentre invece è il linguaggio cherimane il signore dell’uomo”.

Cerchiamo di capire questo “parados-so”: esso significa anzitutto che l’uomonon può fare a meno del linguaggio; senzail linguaggio l’uomo non potrebbe comu-nicare con gli altri, non potrebbe conosce-re il mondo che lo circonda, non potrebbeelevarsi alle più alte “vette” dello spirito e,naturalmente, non potrebbe poetare; manon potrebbe neppure “abitare” il mondo.Se abitare presuppone innanzitutto un“costruire”, l’uomo, senza linguaggio, nonpotrebbe costruire niente. L’uomo dunqueparla mediante il linguaggio: e parlaresignifica comunicare, conoscere, abitare,costruire. Il filosofo, tuttavia, vuol comu-nicarci un concetto ancora più difficile eprofondo: egli ci dice che “nel senso auten-tico, è il linguaggio che parla all’uomo”.Questa espressione significa che l’uomointerroga il linguaggio, ascolta il linguag-gio e risponde al linguaggio. Senza adden-trarci oltre in questa “difficoltà” ci accon-tentiamo di capire che per usare la parolal’uomo deve saper ascoltare la parola.Ascoltare la parola significa, semplicemen-te, comprenderla, impossessarsi della paro-la, incorporarla: quindi l’uomo può dirsi“padrone del linguaggio” solo quando sa“ascoltare” la parola e sa comprenderla.

Quando tutto questo non accade, lungidal potersi dire “padrone” del linguaggio,l’uomo ne resta “schiavo”: egli agisce senzacapire, si fa strumentalizzare dalle parolealtrui senza comprenderle. In questo casoun linguaggio “estraneo” parla all’uomo mal’uomo, più che ascoltarlo, lo subisce: quin-di più che agire si ritrova ad “essere agito”,a comportarsi cioè non come uomo liberodi pensare e di agire, ma come un automa,che fa quello che gli altri gli dicono di fare,e più che “rispondere” alle parole degli altriesegue dei comandi: come fa appunto ilcomputer, l’intelligenza detta “artificiale”.

Il filosofo Heidegger ci ricorda, a que-sto proposito, che per avere un vero rap-porto di “comunicazione” col linguaggio ildire (parlare) dell’uomo deve essere libero.

E a questo proposito scrive una frase checercheremo di capire a fondo:

«Quanto più un poeta è poetante,tanto più il suo dire è libero».

3.

Cerchiamo dunque di capire in chesenso il dire del poeta è libero o,

come suggerisce Heidegger, è il più libero.Abbiamo visto che “poetare” e “abitare”

hanno in comune qualcosa di essenziale,un significato fondamentale che ha a chefare con l’essere, lo stare al mondo; abbia-mo visto che l’abitare e il poetare presup-pongono un “costruire”. Ora dobbiamocercare di capire come tutto questo ha ache fare con uno dei valori fondamentaliaffermati dall’umanità: la libertà.

Per capire questo seguiamo ancora la“lettura” che il filosofo ci propone delpoeta Hölderlin, ricomponendo i versi diquella poesia dove a un certo punto èdetto che “poeticamente abita l’uomo...”.Il verso che contiene questa espressionedice:

«Pieno di merito, ma poeticamente, abital’uomo su questa terra».

La lettura proposta da Heidegger si sof-ferma sul senso da dare a quel “ma” chesepara “pieno di merito” da “poeticamen-te”; l’interpretazione di Heidegger è chebisogna intendere il verso in questo modo:“certamente l’uomo abita questa terrapieno di merito”; ovvero, l’uomo col suoabitare si rende certo meritevole e in moltisensi. Infatti l’uomo «si prende cura dellecose che crescono sulla terra e custodisceciò che per lui è cresciuto». L’uomo dun-que cura e protegge; inoltre costruiscecose che non potrebbero nascere e svilup-parsi da sole. «Costruzioni e fabbricati, –commenta il filosofo – in questo senso,non sono soltanto gli edifici [le abitazioni]ma tutte le cose prodotte dalla mano del-l’uomo ed eseguite da lui».

E tuttavia Heidegger ci richiama a unaconsiderazione più profonda a propositodell’essenza, del fondamento del coltivaree del costruire. Cerchiamo di capirlo apartire da questa frase:

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«Il coltivare-costruire del contadinoche si prende cura del campo, oppurequello di chi costruisce edifici e fabbriche,o di quello che prepara utensili e strumen-ti, è una conseguenza essenziale dell’abita-re, ma non il suo fondamento o addirittu-ra la sua fondazione».

Cerchiamo prima di tutto di capire ilsignificato dei termini usati da Heidegger:egli ci parla di un “costruire” e di un “col-tivare” pratico, materiale, quello che per-mette di procurare agli uomini, il cibo,l’abitazione, gli strumenti di lavoro, lafabbrica, gli edifici della scuola e dell’am-ministrazione ecc. ecc.; ma ci dice ancheche tutto ciò è “conseguenza” di qualco-s’altro, cioè viene dopo, presuppone qual-cosa d’altro. E questo qualcosa d’altro è ilfondamento stesso del coltivare-costruire.Come non si può costruire una casa senzaaver prima edificato le fondamenta cosìnon si potrebbe costruire tutto ciò chel’uomo è in grado di edificare senza unfondamento, una fondazione del costruirestesso.

Questa “fondazione”, aggiunge il filo-sofo, «deve accadere in un altro modo delcoltivare-costruire».

Ora dobbiamo cercare di capire cosasia questo altro modo, che costituisce ilfondamento stesso del coltivare-costruire.

Torniamo all’interpretazione dei dueversi della poesia di Hölderlin: essi parla-no dei meriti che l’uomo si procura nelsemplice “abitare” il mondo. Tali meritil’uomo li procura mediante l’opera delcoltivare-costruire «che si pratica general-mente e spesso esclusivamente»: si parlaqui dei “meriti” procurati col lavoro, col“sudore della fronte” di cui parlano anchealcuni passi biblici.

«Tuttavia – aggiunge ancora Heidegger,interpretando i versi di Hölderlin – l’uo-mo è capace dell’abitare solo se già in unaltro modo ha costruito, costruisce e rima-ne intenzionato a costruire».

È questo il senso da dare, secondo ilfilosofo, a quel “ma” che nei versi delpoeta precede il “poeticamente”.

In sostanza Hölderlin ci dice che l’abi-tare poetico precede l’abitare che possia-mo definire pratico dell’uomo su questaterra. E ci dice anche che l’abitare poetico

è il fondamento (ciò che precede e sostie-ne) l’abitare pratico, come si intende“generalmente” e spesso “esclusivamente”.

4.

Ora possiamo prendere in considera-zione in modo più esteso ed analiti-

co che cosa dice, poeticamente, cioè pen-sando e scrivendo da poeta, Hölderlin,sull’abitare poetico dell’uomo.

Abbiamo già chiarito che l’abitare poe-tico si differenzia dall’abitare pratico. Maalla fine, se riusciremo a capire il significa-to profondo dei suoi versi, scopriremo cheHölderlin vuol dire che abitare poetico eabitare pratico sono, in definitiva, unamedesima cosa. Anzi, ci dice di più: chesolo se la abita “poeticamente” l’uomopuò dire che davvero abita questa terra.

Prendiamo ora in considerazione laserie dei versi della poesia di Hölderlinche vanno dal 24° al 38°, suddividendoli,come anche Heidegger fa nel suo scritto.

Ai versi di cui abbiamo già analizzato ilcommento Hölderlin fa seguire unadomanda:

«Può un uomo, quando la sua vita non èche pena,

Guardare il cielo e dire: cosìAnch’io voglio essere? Sì»

Come vediamo alla domanda, piutto-sto complessa, segue una semplice e preci-sa risposta, che è un assenso: “Sì”; ovverouna risposta affermativa che denota una“fiduciosa sicurezza”

Se la risposta è facile da capire, con unacomprensione immediata, il modo in cuiviene formulata la domanda richiede qual-che spiegazione: seguiamo in questo tenta-tivo di comprensione il commento diHeidegger.

L’uomo si sforza di procurarsi meritosoprattutto quando la sua vita “non è chepena”, sofferenza determinata dal bisogno;più grande è la pena (la sofferenza) più altoè il merito. Heidegger commenta in questomodo: «Solo nella sfera della pura penal’uomo si procura meriti in abbondanza».La “pura pena” ci fa pensare a una sofferen-za “totale”, alla quale il filosofo fa corri-

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spondere una “abbondanza di meriti” chel’uomo si procura, tentando di riscattarsidalla sofferenza. Ma, pur essendo l’uomocostretto dentro questa sfera della sofferen-za, e proprio a partire dalla sua vita che è,soprattutto, sofferenza, sacrificio (e nonsemplice ricerca del piacere, come moltioggi credono) l’uomo, ci dice Hölderlin,può “guardare verso il cielo”. E guardandoverso il cielo, verso i celesti (gli dei o gliangeli) l’uomo può dire a se stesso: “Anch’iovoglio essere così”, vale a dire “come i cele-sti, come gli dei, come gli angeli”.

Ma che cosa vuol dire che l’uomo“guarda verso il cielo”? Non si tratta solodi “guardare”, nel senso del levare gliocchi verso l’alto; si tratta di una cosa piùsemplice ma allo stesso tempo più profon-da. Infatti, guardando verso il cielo l’uo-mo misura la distanza che da esso lo sepa-ra; Heidegger, nel suo commento, diceche in questo modo l’uomo “misura ladimensione” che separa il cielo dalla terra

e scopre, o ri-scopre, che il cielo è ciò checoncepiamo come “verso l’alto”, mentre laterra è ciò che concepiamo come “verso ilbasso”.

Secondo le parole di Hölderlin, «l’uo-mo misura da un capo all’altro la dimen-sione, in quanto si misura con i celesti».

Riflettiamo: “da un capo all’altro” vuoldire che l’uomo misura da entrambe le“direzioni”; misurando dall’alto verso ilbasso e dal basso verso l’alto egli scopre, ori-scopre, la dimensione della “verticalità”.Ed è scoprendo questa dimensione cheegli “si misura” con i celesti: vale a dire, “siconfronta”, fa una sorta di paragone fra lasua vita “che non è che pena” e quella deicelesti, che egli identifica, più o menovagamente, con la “felicità”, cioè con l’as-senza di pena, di quel dolore, di quellasofferenza che, invece, caratterizzano lavita “umana” su questa terra.

Se abbiamo compreso bene questosenso del “misurare” al quale accenna

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Annamaria Caracciolo,Senza titolo, 1991,tecnica mista su tela,cm 145 x 145

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Hölderlin allora non ci sarà difficile capireanche ciò che il poeta vuol dire accostan-do l’abitare e il misurare. Seguiamo ancorail commento di Heidegger in proposito:

«L’uomo, in quanto è uomo, si è giàsempre misurato rispetto a qualcosa diceleste e con qualcosa di celeste». Si dicequi che l’uomo è “abituato” a misurarsicol cielo da sempre.

«L’abitare dell’uomo sta in questomisurare-disporre la dimensione guardan-do verso l’alto; nella dimensione il cielo ela terra hanno parimenti il loro posto».

Riflettiamo attentamente ora su questedue affermazioni di Heidegger: la prima cidice che l’uomo è portato, per sua natura,a guardare verso l’alto e, quindi, a misura-re la sua posizione, che sta “in basso”rispetto al cielo, con l’alto che è rappre-sentato proprio dal cielo. Il “misurarsi” èin questo senso un “confrontarsi”. Laseconda affermazione ci dice che l’abitare,lo stare attivamente su questa terra, coin-cide esattamente con questo “misurare”.Ma qui “misurare” equivale a “disporre ladimensione”; cioè, come abbiamo detto,“intuire esattamente la verticalità” (odimensione verticale contrapposta, in uncerto senso, o distinta da, quella orizzon-tale). Guardando verso l’alto, verso ilcielo, l’uomo “dispone”, cioè comprende estabilisce, la dimensione della verticalità.Quindi intuisce una cosa ancora piùimportante: che nella dimensione verticaleil cielo e la terra hanno ognuno il suoposto. Il cielo è “l’alto”, la terra è “ilbasso”: in questo senso cielo e terraappaiono distinti e “lontani”.

Ma poiché fanno parte di un’unica“dimensione” questa distanza fra cielo eterra non è incolmabile: se l’uomo guardaverso l’alto, verso il cielo, il cielo puòguardare verso il basso, verso la terra.Cielo e terra pur occupando “posizioni”diverse fanno parte di un’unica dimensio-ne: e ciò assicura l’uomo che gli è possibilemisurarsi col cielo. L’uomo, ci dicono iversi che abbiamo appena commentato,“può guardare” fiducioso verso il cielo easpirare ad essere “come il cielo”; l’uomoche “poeticamente” abita sulla terra puòaspirare ad essere come gli esseri che “abi-tano” nel cielo.

Anche Hölderlin sembra quindi volerciconfermare l’assunto da cui siamo partitial momento di chiederci “cosa significapoetare”. L’assunto dal quale siamo partitiè un’affermazione comune a tutti i saperitradizionali che ci dice che l’uomo nonsolo è misura delle cose ma è anche il tra-mite fra la terra e il cielo. Ed è propriomisurando la distanza fra cielo e terra, la“dimensione verticale”, che l’uomo, comedice Hölderlin, può legittimamente aspi-rare ad essere questo tramite, vale a direun termine dell’unione fra cielo e terrache in apparenza sembrano separati dauna distanza incolmabile.

Ma per essere questo termine di unionefra cielo e terra, l’uomo deve sforzarsi diabitare “poeticamente” il mondo: e ciòsignifica, semplicemente, prenderecoscienza del fatto che solo abitandolopoeticamente l’uomo può dire di abitare“veramente” il mondo.

5.

Questa parte della nostra lezione-inter-rogazione su “cosa significa poetare”

si sofferma sul significato del verbo “misu-rare” così come è usato poeticamente daHölderlin e come è illustrato nel com-mento di Heidegger.

Per far questo riportiamo innanzituttoi versi successivi della poesia di Hölderlin,fino al punto in cui sono “collocati” quellida cui siamo partiti. Dopo aver risposto“Sì” alla domanda se l’uomo possa “guar-dare il cielo e dire: così / anch’io voglioessere”, la poesia continua:

Fino a che l’amiciziaL’amicizia schietta ancora dura nel cuoreNon fa male l’uomo a misurarsiCon la divinità. Dio è sconosciuto?È egli manifesto e aperto come il cielo?QuestoPiuttosto io credo. Questa è la misura

dell’uomo.Pieno di merito, ma poeticamente, abitaL’uomo su questa terra.

Nei primi quattro versi Hölderlin cidice che l’uomo “fa bene a misurarsi conla divinità”, almeno finché sente nel

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profondo del suo cuore l’amicizia “schiet-ta”, cioè pura.

Possiamo domandarci cosa sia la “puraamicizia” di cui parla il poeta: essa è sicu-ramente quel sentimento profondo chemette in condizione l’uomo di comunica-re con se stesso e con gli altri; l’amicizia,l’amore verso l’altro, è ciò che ci fa perce-pire quello che ci immedesima negli altri,la natura comune a noi e agli altri. Il sen-timento dell’amicizia, che è nel “cuore”,prima che nella mente, ci fa superare lebarriere del nostro “egotismo” e ci permet-te di amare noi stessi e gli altri, al di làdell’utile che da questa espansione versol’altro pensiamo di ricavare. L’amicizia“pura” o “schietta” è, per definizione“disinteressata”: non nasce da un impulsoegoistico o utilitaristico, ma dal semplicedesiderio di conoscere l’altro, rispettare eamare l’altro, per poter conoscere e rispet-tare meglio noi stessi.

Questo sentimento d’amicizia pura è,secondo Hölderlin, la condizione che per-mette all’uomo di “misurarsi” con la divi-nità: ciò che lo fa sentire, dunque, “simile”alla divinità e in condizione di comunica-re con essa. E quel che un altro grandepoeta, contemporaneo di Hölderlin, UgoFoscolo, nel suo celebre carme “Ai sepol-cri” chiamava “corrispondenza di amorosisensi” dicendola “divina cosa negliumani”: essa ha a che fare, secondo ipoeti, i mistici e tutti coloro che si rifannoa un pensiero tradizionale, detto ancheFilosofia Perenne, con quel “raggio divi-no” che collega l’uomo all’universo e alsuo Principio. D’altra parte anche in tuttele grandi religioni monoteiste (e tutte letradizioni si ispirano a un principio unico,anche quelle non propriamente religiose)fanno dell’amore un principio divino, ciòche collega e riconduce l’uomo a Dio,qualunque sia il nome che a Dio vieneattribuito.

Si può dire dunque che questo profon-do sentimento di “amicizia pura” costitui-sca l’essenza stessa dell’uomo, o la baseessenziale di quella che è stata definita,anche, la sua virtù primigenia.

Questa importante premessa ci per-mette di capire i passi più difficili delcommento di Heidegger alla poesia di

Hölderlin, proprio a proposito del “misu-rare”. Nei passi che ora affrontiamoHeidegger parla di “misurazione-disposi-zione”: essa riguarda non tanto la terra,nel senso della misurazione puramentegeometrica, quanto “l’essenza umana inrelazione alla dimensione che le è assegna-ta”. Tale dimensione, propria dell’essenzaumana, è, come abbiamo visto, la dimen-sione verticale, quella che, come ripeteHeidegger, “porta l’uno verso l’altro, ilcielo e la terra”. O, se vogliamo semplifi-care, permette la comunicazione fra cielo eterra. A questa precisazione seguono trepassaggi molto importanti per capirequale rapporto esiste fra il “misurare”,l’“abitare” e il “poetare”; vale a dire, per lacomprensione del senso ultimo di tuttol’argomento che abbiamo cercato di illu-strare.

I passaggi in questione sono i seguenti:«La misurazione-disposizione dell’es-

senza umana in relazione alla dimensioneche le è assegnata porta l’abitare nella suafisionomia essenziale».

«Il misurare-disporre della dimensioneè l’elemento in cui l’abitare umano trovala sua garanzia, in base alla quale dura».

«Il misurare-disporre è la poeticità del-l’abitare. Poetare è un misurare».

Prima di analizzare ogni singolo pas-saggio cerchiamo di cogliere il senso del-l’intero discorso: la misurazione-disposi-zione della dimensione essenziale dell’uo-mo definisce anche ciò che è essenzialerispetto all’abitare; essa è ciò che garanti-sce il senso e la durata dell’abitare propriodell’uomo; in quanto è un abitare “poeti-camente” la terra, lo stesso atto del poeta-re è, in definitiva, un “misurare”. Il ragio-namento stabilisce dunque una perfettaequivalenza fra “abitare”, “poetare” e“misurare”.

Abbiamo già spiegato cosa si deveintendere per “misurazione” della dimen-sione essenziale dell’uomo: essa non èaltro che il misurarsi, il confrontarsi con ilcielo, quindi con ciò che è divino, o non-umano. Questa misurazione, questo misu-rarsi che è un confrontarsi, definisce ilsenso stesso dell’abitare umano su questaterra: come dire che se l’uomo non samisurarsi col cielo non può neppure abita-

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Note e commentialle Lezioni sulla poesia

1.Saperi tradizionali:

Ci riferiamo a quel corpo di dottrine e conoscenzeuniversali noto agli studiosi come Tradizione, o

Filosofia Perenne, o Filosofia universale. Naturalmentenon tutti gli studiosi moderni accettano questa defini-zione e tantomeno questo corpo di dottrine e conoscen-ze, soprattutto in quella parte del mondo che siamo soli-ti chiamare Occidente, che è l’area geografica e culturalealla quale anche noi apparteniamo.

La “mentalità occidentale moderna”, bisogna dire, èspesso decisamente contraria a riconoscere un valore diverità alle conoscenze tradizionali. Tuttavia si può direche queste hanno avuto una importantissima funzionenella “fondazione” stessa della cultura dell’Occidente,nella quale si riconoscono due componenti principali: latradizione religiosa ebraico-cristiana e la tradizione delpensiero greco, in particolare la dottrina detta del Logos,figlio della Voce (parola) e dell’Intelletto (conoscenzaintellettuale). Il significato della parola Logos ha subitonel corso della storia occidentale una sorta di “scissione”fra “senso religioso” e “senso filosofico”, una divisioneche non sussisteva tuttavia nell’antichità classica e nelperiodo Medioevale. A partire dal XIV secolo il concettodi Ragione tende a sostituire quello di Logos, e nella cul-tura occidentale si affermano le correnti razionalisticheche tendono a rendere autonoma la “ragione” (la mente,il pensiero) dall’Intelletto.

La “ragione” così concepita diventa sinonimo di“scienza” in un senso di approssimazione, conoscenzastatistica, relativa, spesso soltanto ipotetica, che perde divista la “ricerca della verità”, quando addirittura non virinuncia esplicitamente, come in molte “correnti” (o“mode”) del pensiero contemporaneo.

Per capire la differenza decisiva e sostanziale che sicrea anche nell’esperienza poetica (e nel modo di inten-dere la poesia), che è il tema che qui ci interessa più spe-cificamente, possiamo prendere in considerazione unatendenza poetica moderna come quella detta “simboli-

smo” e la poesia eminentemente “simbolica” di Dante,ancora considerato il più grande poeta dell’Occidente: ilsimbolismo di Dante è un “simbolismo che sa”, mentrequello dei moderni si presenta esso stesso come un “sim-bolismo che cerca”. Il primo si basa su Figure che nellaTradizione sono considerate non solo “figure di parola”ma “figure del pensiero”, immagini simboliche cheriflettono analogicamente la Verità, la vera “essenza” delmondo e del divino. Il simbolismo che cerca si limita a“inventare” figure di parole che hanno, per stessaammissione dei poeti che si chiamavano e si chiamano“simbolisti”, un mero carattere soggettivo, psicologico,quasi sempre casuale negli accostamenti e nelle corri-spondenze fra immagine, parola, suono. Avremo mododi tornare sull’argomento in una successiva lezione, incui affronteremo specificamente l’aspetto “simbolico”nella poesia tradizionale e nella poesia moderna.

Conoscer-si veramente

La sintesi stessa del “sapere”, del “conoscere”, per gli anti-chi era contenuta nell’esortazione: “Conosci te stesso”.Per la Filosofia Universale il conoscere è ancora intesocome un “risvegliarsi a se stesso”. Non si tratta, però, diuna conoscenza da intendere come pura e semplice“introspezione psicologica”, in senso individualistico. Insenso tradizionale questo principio del “conoscere se stes-so” presuppone la presenza nell’uomo del “raggio divino”di cui si parla all’inizio di questa pagina; e il “risvegliarsi”a se stesso, in questo senso, è inteso come un “identificar-si” in esso. Nella filosofia greca antica “Conosci te stesso”era la massima di Socrate, considerato uno dei massimifondatori del pensiero greco poi “ereditato” da tuttol’Occidente; per Socrate e per i suoi immediati successori,Platone e Aristotele, la massima mantiene il carattereessenziale sinteticamente indicato in questa nota.

Anche la poesia di Hölderlin che nel prosieguo diquesta lezione viene rianalizzata alla luce del celebrecommento che di essa ne ha dato il filosofo MartinHeidegger (considerato uno dei più importanti filosofidel nostro secolo), e che è centrata sulla “natura” e sul“significato essenziale” della poesia come espressionestessa dell’«abitare sulla terra», può essere consideratauna meditazione sul «conoscere se stessi».

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re veramente la terra; oppure la abita inmodo passivo, in modo improprio, nondegno della sua essenza umana.

Misurarsi col cielo è infatti la “garanziadella durata” dell’abitare stesso: è questoun concetto su cui varrebbe la pena di sof-fermarsi per le sue implicazioni culturali esociali proprio con l’epoca in cui viviamo,che più di ogni altra appare minacciata dalrischio di “estinzione” della stessa specieumana per via del rischio connesso all’usodella tecnica che di tutto tiene conto tran-ne che dei reali e più vitali interessi e biso-gni dell’uomo, che hanno a che fare colvivere “in pace” e perseguendo, per quan-to è possibile, la “felicità” e la “sicurezza”.Se la intendiamo in questo modo, la man-canza di una “garanzia di durata” ha a chefare direttamente col fatto che l’uomo, per

volersi misurare esclusivamente con sestesso, e per aver trasformato questo misu-rarsi in competizione violenta, ha dimen-ticato o trascura il “misurarsi” col cielo,col divino, e con quanto di divino c’è nel-l’essenza stessa dell’uomo.

Misurarsi col cielo è l’atto indispensa-bile per poter abitare poeticamente ilmondo: quindi il “poetare” non è altroche questo misurarsi dell’uomo col divino.E tutto ciò è ancora possibile, come cidice Hölderlin, se l’uomo riesce a conser-vare nel profondo del cuore il sentimentoe il significato dell’“amicizia pura”, chepossiamo chiamare, anche, senso di soli-darietà di ognuno con tutti gli altri esseriumani: cioè il principio, l’idea e il senti-mento della fratellanza.

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Commercializzazione della cultura

Questo fenomeno caratteristico dell’epoca contempora-nea è strettamente connesso al fatto che questa tende adassoggettare qualsiasi altra produzione o valore al cosìdetto “profitto”, al quale si adegua il concetto stesso di“utile”. Uno dei pregiudizi più diffusi del nostro tempoè infatti quello secondo cui «è utile solo ciò che procuraun guadagno o un vantaggio individuale». Secondoalcuni critici della cultura moderna questo falso e assur-do “principio” rappresenta la sintesi stessa della “filoso-fia” (come “modo di pensare”) del nostro tempo. Sullasottomissione di tutti i “valori” umani, da quelli sociali aquelli religiosi, da quelli morali a quelli che scaturisconodai principi più elementari della convivenza umana, al“supremo valore” del “profitto” si possono fare un’infi-nità di esempi. Alcune riflessioni su questo tema verran-no proposte negli esercizi indicati al termine della primasezione di questa lezione.

Pòiesis

Il significato di questo termine, in greco antico, è “pro-duzione”, ma anche “preparazione”, “costruzione”, “pro-creazione”; quindi “composizione” e “creazione”, insenso artistico e specificamente “poetico”; proprio perquesto significato originario il termine è diventato sino-nimo di “arte poetica”, “poesia” e, per traslato, “operapoetica, poema, carme” talvolta anche “genere poetico”.Il termine deriva dal verbo poièo, che ha questa serie disignificati: faccio, fabbrico, costruisco; lavoro, foggio,formo, faccio con arte; creo, produco, do l’essere a...; ma,in secondo luogo, significa anche: celebro, compio sacri-fici, coltivo, pratico (un’arte), do la parola, quindi “com-pongo”, “scrivo”, rappresento, dipingo poeticamente.

È da sottolineare che il “fare” per gli antichi coinci-deva con tutti gli altri significati attribuiti allo stessoverbo, e che al significato propriamente artistico è stret-tamente connesso un significato di ordine rituale o ceri-moniale, quindi di tipo eminentemente religioso, insenso proprio, che è «tutto ciò che riguarda il divino e ilrapporto del divino con l’umano».

2.“Essenza dell’abitare = essenza del poetare”.

Queste espressioni richiedono un chiarimento essenziale:che riguarda cioè il loro significato principale. Già ilnostro modo usuale di esprimerci, come si vede, denotache noi stabiliamo una concordanza fra “essenza” e “prin-cipio”; ciò che è “essenziale” è anche “principale”, rispettoa ciò che riteniamo “non-essenziale” o “secondario”.Essenza, dunque, significa, in senso figurato, quello che insenso materiale diciamo l’essenza da cui si ricava, adesempio, un profumo. Chimicamente è possibile estrarrel’essenza di un fiore e ottenere il suo profumo caratteristi-co anche in assenza del fiore da cui l’essenza è stata tratta.

Quanto all’abitare, possiamo perciò dire: esiste unsenso generico, comune, dell’abitare, che corrisponde alnostro “alloggiare”, usare un’abitazione; e tuttavia que-sto significato dell’abitare non è essenziale. Essenziale èil suo senso più “astratto”, come lo usiamo nell’espres-sione “l’uomo abita la terra”; che equivale a “l’uomovive sulla terra”. E in questo stesso senso “vivere” è piùessenziale di “esistere” e del semplice sopra-vivere(sopravvivere), cioè vivere sopra, sulla superficie del pia-neta. Abitare nel senso del vivere coinvolge tutti i sensiche noi siamo in grado di attribuire al vivere, nel senso,appunto, del “vivere pienamente e profondamente”, checomprende il “conoscere” e l’”operare”, l’essere consape-vole e l’essere utile agli altri. In una parola l’abitare, insenso essenziale, si riferisce al vivere di cui l’uomo èdegno, quindi alla dignità e alla qualità del vivere.

Per abitare la terra l’uomo deve pensare e costruire.Heidegger ci spiega che questo abitare-costruire è analo-go al poetare. Sul significato di “analogia” avremo mododi parlare a proposito del “simbolo”, che costituiscel’immagine fondamentale del poetico e della poesia.

Sul paradosso del linguaggio

Chiariamo innanzitutto cosa significa il termine “para-dosso”; sul dizionario troviamo questa definizione:“contrario alla comune opinione, all’aspettativa”; quindiqualcosa che “pur essendo esatto, apparentemente sem-bra errato”; oppure “asserzione incredibile, in netto con-trasto con la comune opinione”. Il paradosso ha dunquea che fare con qualcosa che non è come sembra in appa-renza, anche se questa “apparenza” sembra “incredibile”all’opinione comune. Il paradosso contiene quindi unaverità “profonda” che l’opinione comune a volte non sacomprendere, ma che, nonostante questo, è più vera diciò che sembra in apparenza.

In questo senso il “paradosso” ha a che fare col“meraviglioso” che, nel linguaggio religioso, si chiamaanche “miracoloso”. A questo proposito i grandi filosofigreci, in particolare Platone e Aristotele, dicevano che “ilmeraviglioso è l’essenza e il principio (nel senso dell’ini-zio) del sapere, della conoscenza”. La mentalità comunedella nostra epoca si è letteralmente specializzata nell’e-spungere (nell’allontanare e togliere) dalla “realtà” tuttociò che sa di meraviglioso: in questo senso il mito è statoabbassato alla favola e quest’ultima alla “bugia pietosa” oall’innocuo inganno di cui ci si serve per dire le cose a chinon capisce più (i vecchi) a chi non può ancora capire (ibambini). Ma proprio i miti, e anche le favole, contengo-no quasi sempre verità che potremmo definire, anche,“paradossali”, cioè apparentemente incredibili, in realtàprofonde; che si possono capire solo se si fa (o si è ingrado di compiere) lo sforzo necessario per comprenderle.

Anche il “meraviglioso” e il “paradossale” che disolito fa parte delle ricostruzioni storiche (nella forma,ad esempio dei “miti di fondazione” delle varie civiltàdel passato o della serie infinita e universale dei miti checostituivano la “cultura popolare” delle civiltà tradizio-nali, anche nel passato più recente) viene distinto dallericostruzioni storiche dette “scientifiche” o “obiettive”.Non mancherà occasione di vedere, invece, come spesso,togliendo quel “meraviglioso” che è conservato nei miti,noi non saremmo in grado di capire il vero senso dellastoria, che non sempre può essere inteso in modo“scientifico”, bensì va inteso e può essere inteso solo inmodo “simbolico”.

Linguaggio e ascolto

Uno scrittore contemporaneo piuttosto noto, MilanKundera, sostiene, in un suo fortunato romanzo, chel’uomo moderno o contemporaneo non sa più ascoltarela parola dell’altro e forse neppure la sua parola: poiché èspesso dominato dalla volontà di “affermarsi”, di “preva-lere” sugli altri l’uomo contemporaneo, e in particolarequello che si ritiene o è ritenuto un “artista” (si tratti dipoeta, di scultore, di pittore o di scrittore) tende a “cat-turare l’orecchio altrui”, ma non per farsi ascoltare,bensì per imporsi all’altro.

La capacità di ascoltare la parola, sia quella scrittache quella orale, è naturalmente un dato ineliminabileda ogni forma di “insegnamento” e di “apprendimento”che sia davvero tale. Senza ascoltare attentamente non sipuò apprendere, cioè non si può “far propria” la parolaaltrui. Uno degli intenti principali di questa lezione,proprio per quanto riguarda i passaggi apparentementepiù “difficili”, consiste nel riproporre, come fa del restoHeidegger, la fondamentale importanza dell’ascoltare edel saper ascoltare. Che significa anche, o soprattutto,

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Solianasettembre 2010

ascoltare meditando, ascoltare riflettendo; non limitan-dosi cioè ad ascoltare passivamente, senza una fortevolontà di capire e far proprio, anche criticamente, ciòche si ascolta.

Linguaggio e libertà

Che cosa significa veramente essere liberi? Questo argo-mento non può certo essere esaurito in una breve notadi commento. Nessuno di voi però ha dubbi su quantosia importante, oggi e in ogni epoca, essere e sentirsi“liberi”.

La libertà non può essere la semplice facoltà conces-sa ad ognuno di “fare quel che gli pare”: a ben guardareuna simile “libertà” corrisponde esattamente al suo con-trario; significherebbe infatti che ciascuno, lasciato libe-ro di obbedire ai propri impulsi individuali, non tieneconto degli impulsi individuali di ogni altro uomo;quindi più che a una effettiva libertà di tutti ciò porte-rebbe alla sopraffazione e alla legge del più forte (comepurtroppo succede spesso sotto i nostri occhi nelle gran-di e nelle piccole guerre di tutti i giorni).

Un aspetto importante della libertà è dunque lacapacità e l’impegno costante di “rispettare” gli altri,tener conto non solo delle proprie personali esigenze,ma anche delle esigenze degli altri, in particolare di colo-ro con cui abbiamo a che fare quotidianamente, ma nonsolo, ovviamente. Questo rispetto che è essenziale allavera libertà presuppone la capacità di “ascoltare” vera-mente gli altri, cioè le parole, i sentimenti, i bisognidegli altri; vale a dire, come sostiene Heidegger, il lin-guaggio, che prima di essere una semplice “convenzionelinguistica” è il modo essenziale, principale e fondamen-tale, con cui gli uomini possono esprimersi, cioèmostrarsi agli altri e farsi capire dagli altri.

L’uomo che impara a fare questo è, come ci ricorda-no sia il poeta che il filosofo, il solo che può dirsi davve-ro capace, o degno, di fare e comprendere “poesia”(ricordando in proposito il significato originario diPòiesis e di poièo, che è stato richiamato nel commentoalla precedente sezione).

3.Coltivare-costruire

Con queste parole il filosofo vuole sintetizzare l’operareumano che appartiene alla sfera eminentemente praticadel fare o dell’abitare; questo tipo di operare, secondo ilpoeta, è ciò che all’uomo rende merito. Ancora oggi sipensa che il merito di ciascuno dipende, o dovrebbedipendere, dal suo buon operare. Sappiamo che nonsempre però questo accade nella realtà delle cose: certifenomeni come il carrierismo o il clientelismo, quandoaddirittura non si tratta di vera e propria corruzione,aumentano la confusione non solo dei ruoli e delleresponsabilità che ognuno dovrebbe avere, ma alteranoanche la considerazione che si dovrebbe avere per i meri-ti effettivi da riconoscere a ciascuno. Sta di fatto,comunque, che l’uomo in genere, per quanto possa esse-re sostituito in parte o semplicemente assistito dallemacchine, non può fare a meno del coltivare-costruire.Anche se non sempre il riconoscimento dei meriti realiappare alterato o rovesciato, siamo ancora in grado didistinguere fra i meriti reali che ognuno si procura colsuo operare e il “prestigio” o il “potere” che può derivarea qualcuno senza aver altro merito che un particolaretipo di “furbizia”.Tale furbizia spesso confina con la capacità di ingannareo illudere molti altri: tuttavia, almeno dal punto di vistadella morale, ampi settori della società sono ancora incondizione di riconoscere i reali meriti di chi dà un con-tributo importante alla società stessa.

Il fondamento del coltivare-costruire

A una lettura superficiale può sembrare che Heideggerintende riconoscere più importanza all’attività che chia-miamo “intellettuale” che non a quella che chiamiamo“manuale”. E tuttavia non sembra questo il modo piùcorretto di interpretare il suo pensiero e tantomeno ciòche poeticamente ci dice Hölderlin. Ciò che qui si dice èche ogni attività umana può e deve essere considerataun’opera d’arte, non nel senso “separato” che oggi si dàall’arte ma in quello originario che ogni singola operapresuppone un artefice: chiunque partecipa all’opera delcoltivare-costruire, in questo senso, è da considerare un“artefice”. Anche in Europa, fino al Medioevo, comeancora succede almeno in parte nelle società tradizionalidell’Oriente, la differenza fra l’artista e l’artigiano eramolto meno marcata di quanto oggi non sia: entrambequeste figure si identificavano in quella dell’artefice.

L’artefice, nella visione della filosofia tradizionale, ècolui che realizza nell’opera un’idea, una forma; e questaidea, questa forma, prima di incarnarsi nell’opera è nellamente, nel pensiero, nell’intelletto dell’artefice. È questoche Heidegger vuol dire quando scrive che “l’uomo ècapace dell’abitare solo se già in altro modo ha costruito,costruisce e rimane intenzionato a costruire”. In ogniopera che si rispetti il “progetto” dell’opera stessa vieneprima della sua esecuzione; in questo senso il “progetta-re” è un’attività che precede e fa parte intimamente delcoltivare-costruire.

È ciò che afferma questo passo tratto da un vecchiotesto persiano (Mathnavî):

«Osserva nell’architetto l’idea della casa, riposta nelsuo cuore come un seme nella terra; quell’idea emergeda lui come un germoglio dal suolo... Furono l’occasio-ne e il concetto dell’architetto a fornire gli utensili e letravi. Che altro, se non un’idea, un’occasione e un con-cetto, è la fonte di tutte le arti? Il principio, che è pen-siero, trova fine nell’opera; e sappi che in questo modofu fatto il mondo nell’eternità: I frutti appaiono primanel pensiero del cuore, ma soltanto all’ultimo li si vedeeffettivamente».

Se alla luce di queste ultime considerazioni richia-miamo alla mente la serie dei significati legati al terminePòiesis e al verbo da cui questo termine deriva, e li arti-coliamo attorno al concetto stesso dell’operare umano,capiamo quando si dice che l’abitare “poetico” è il fon-damento dell’abitare umano e capiamo anche che “poe-tico” qui è usato in un senso molto più ampio e profon-do del semplice fare o inventare poesie.

Se abbiamo ben compreso questo senso più ampio eprofondo allora possiamo anche semplificare dicendoche il “progettare” è il fondamento del coltivare-costrui-re. Ma anche il verbo progettare va inteso in tutta la suaportata, che è molto di più del modo generico o partico-lare in cui si usa oggi per indicare il lavoro dell’ingegne-re, del geometra o del costruttore di case.

Il riferimento qui è al progettare l’esistenza umana,ovvero dare un senso di prospettiva alla vita dell’interaumanità: in questo senso il progettare potrebbe anchecoincidere con la politica; anche questa non da intende-re nel senso ristretto e spesso negativo in cui oggi la siintende ma nel nobile e alto senso che aveva ancora pergli antichi filosofi greci; per i quali la politica era “l’arteche uomini liberi erano in grado di esercitare per garan-tire la libertà di tutti gli altri”.

4.L’umano e il divino

Fra le separatezze apparentemente inconciliabili delnostro tempo c’è anche, forse più accentuata di tutte lealtre, quella fra l’umano e il divino, fra il sacro e il profa-no. Anche questa è una distinzione che si è andata

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Solianasettembre 201063

accentuando in Europa e nell’Occidente soltanto negliultimi secoli, e va di pari passo con l’abnorme sviluppodelle tecniche e delle scienze applicative. È a partire dalsecolo scorso che alcune correnti di pensiero vanno teo-rizzando la possibilità di un progresso tecnologico illimi-tato che, prima o poi, sarà capace di garantire agli uomi-ni una sorta di “paradiso in terra”. C’è da dire però chemolti, soprattutto in Oriente, ma anche in Occidente,non hanno mai rinunciato a un qualche punto di riferi-mento di tipo tradizionale: in particolare quello religio-so. Tuttavia la religione è spesso vissuta anch’essa comeun “sentimento privato” o come un modo di pensaredistinto e separato da quello che si richiama alla scienzao a un sapere e a dei comportamenti genericamente defi-nibili come “laici”.

Oggi, man mano che si aggrava la crisi dell’idea di“progresso”, per via dei gravi fenomeni che hannoaccompagnato uno sviluppo tecnologico per troppi versieccessivo e ingiustificato dal punto di vista dei reali van-taggi che l’uomo può ricavarne, anche quell’atteggia-mento mentale chiamato “razionalismo” tende ad anda-re in crisi; e a questa crisi si accompagnano fenomenianche gravi o preoccupanti di irrazionalismo: si pensinon tanto alle correnti di pensiero che vengono etichet-tate con questo nome quanto a tristi fenomeni delcostume come il diffondersi delle droghe, del settarismo,del razzismo, del nazionalismo o del tribalismo esaspera-ti, tutti fenomeni che si accompagnano ad altrettantogravi manifestazioni di violenza disgregatrice e di intol-leranza disumana.

Il “guardare verso l’alto” come lo intendono siaHölderlin che Heidegger si riferisce, più che al punto divista religioso in senso stretto, al punto di vista cosìdetto “metafisico”. Il significato originario della meta-fisica è quello di un sapere, di una “dottrina” che è “al disopra” della fisica. Questo sapere viene considerato diorigine non-umana, allo stesso modo in cui le grandireligioni considerano rivelata dalla divinità la verità con-tenuta nelle scritture sacre. Tutte le grandi religioni siispirano al punto di vista metafisico; così come si puòdire che tutte le verità fondamentali professate dalle reli-gioni cambiano nelle forme o nelle apparenze, ma sonosostanzialmente uguali nei contenuti più profondi.Quello che meno si conosce è che non tutte le grandiconcezioni metafisiche hanno a che fare con una religio-ne intesa in senso “storico”: ad esempio le grandi tradi-zioni orientali, come l’induismo e il taoismo, non fannocapo a una chiesa e a una gerarchia organizzata in sensopropriamente religioso e, soprattutto, non praticanoquello che sembra essere un dato caratteristico e condi-zionante di altre religioni come quella cristiana o quellaislamica, il “proselitismo”, di cui il missionarismo è unaspecifica variante soprattutto occidentale. Esse si affida-no più alla forza persuasiva delle verità intuite e cono-sciute che non alla pratica delle “conversioni”. Inoltrenon affermano verità accettate per fede ma basano laloro dottrina sulle facoltà più alte della conoscenza intel-lettuale dell’uomo.

Un altro dato importante da tener presente, comun-que, è il fatto che tutte le grandi religioni si possonoconsiderare come “adattamenti” di una sola Tradizioneo Religione Universale alle caratteristiche particolari didifferenti civiltà in differenti epoche storiche. Avremomodo di analizzare più da vicino qualcuno di questiimportanti “adattamenti” durante lo studio della storia.

Non è possibile qui esporre in maniera compiuta ilpunto di vista metafisico che, senza contrapporsi a quel-lo religioso, in parte se ne distingue, mentre non è inalcun modo conciliabile col punto di vista prettamente“razionalistico” su cui si basano le così dette “scienze”moderne. Per la metafisica non esistono tante conoscen-ze separate ma un’unica forma fondamentale della cono-scenza che ha a che fare con la ricerca della verità,

suscettibile di molte applicazioni, ma tutte secondarierispetto ai principi essenziali su cui la metafisica si fondae ai quali tutte le altre scienze sono strettamente collega-te, anche se varia il loro “punto di vista”.

Ciò che è importante qui considerare, per capire ipassi citati nella quarta sezione, è che, dal punto di vistadella metafisica, e quindi del sapere tradizionale, ilmondo è una teofania, cioè una manifestazione “lumi-nosa” della divinità. “Come è in alto così è in basso”.Per cui tutto ciò che appare e che l’uomo può conoscereè un “simbolo” della divinità; la stessa essenza dell’uomonon è da cercare nel carattere mobile e cangiante del suoego apparente (della sua ‘personalità’ individuale) manella “identità del raggio divino” che rappresenta il col-legamento reale dell’individualità umana col cosmo econ la divinità.

È a questa concezione che si riferiscono siaHölderlin che Heidegger quando parlano di “guardare ilcielo”, “essere come il cielo”, “misurare la dimensioneverticale che unisce l’uomo e il cielo”.

Per cui l’uomo diventa non l’elemento che sanciscela separazione fra umano e divino, fra sacro e profano,ma proprio al contrario, il tramite, l’elemento che unisceintrinsecamente, che realizza l’unità fra la terra e il cielo.

“Abitare poeticamente il mondo” vuol dire, in defi-nitiva, operare in vista di questa realizzazione.

5.Misura e misurazione

Per Hölderlin la “misura” dell’uomo è il suo confrontar-si con il cielo, ovvero con l’universo e la divinità. E que-sto confronto segna la durata dell’uomo. Se l’uomo“misura” la sua esistenza solo in riferimento alla sua vitaterrena il suo abitare nel mondo rischia di diventare“passivo”; passivo non nel senso di non procurarsi altrimeriti, quelli legati all’attività pratica e quotidiana, manel senso della mancanza di prospettiva e di lungimiran-za. Per il pensiero metafisico, così come per tutte le reli-gioni, il destino dell’uomo non è legato esclusivamentealla sua esistenza terrestre. L’uomo, in quanto è collega-to al “raggio divino” è destinato a ricongiungersi alladivinità: attorno a questo importante motivo, che èessenziale per il senso da attribuire alla vita umana, siintreccia, nel pensiero religioso, il concetto di “colpa” edi “salvezza”. La concezione metafisica più che dareimportanza alla “colpa” (al “peccato”) imputa ogniforma di devianza umana fondamentalmente alla “igno-ranza”, vale a dire alla mancanza di vera conoscenza.“Misurarsi” con se stesso e col cielo, allora, significa perl’uomo in primo luogo conoscere se stesso e il suo desti-no, la sua finalità.

Le tradizioni orientali espongono questo processo diconoscenza del Sé appunto come un “identificarsi” colPrincipio che l’uomo ha in sé, in quel “luogo” simboli-camente detto “cuore”. L’amore che l’uomo prova per sée per gli altri è il segno di una tensione da trasformare inamore per la sua essenza divina. Dante, di cui avremomodo di parlare in altre occasioni, ha sviluppato questateoria dell’amore come “elevazione” dal sentimento d’a-more per la “Donna” (simbolo della Sapienza o Sophia)alla identificazione nel Principio Divino; egli lo rappre-senta come “viaggio” simbolico nella dimensione dellaverticalità: dal “basso” estremo rappresentatodall’Inferno all’Alto dei cieli rappresentato dal Paradiso.

Anche per Dante, quindi, il significato ultimo dellapoesia era il misurarsi dell’uomo col divino: non a caso èstato detto di Dante che egli ci rappresenta il mondo, lastoria dell’umanità l’uomo e il suo destino come se lovedesse “dal punto di vista di Dio”, per indicare agliuomini come si può elevarsi dall’abisso alla beatitudine.

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La maggior ango-scia dell’odiernasocietà civilizzata

è la “sicurezza”. Ognu-no ben sa che il propriopacifico vicino, per nondire dell’amata consorteo del parente prossimo,può improvvisamenteuccidervi per interesse o,più spesso, per i motivipiù futili e insensati.

Ovvero accade che manchi del tutto unmovente qualsiasi a spiegare il delitto.Salvo che per “movente” non si vogliaintendere anche lo sfuggire alla noia, ilpuro divertimento di uccidere per vederese la vittima fa una faccia terrorizzatacome nei video-giochi.

In questo senso le indagini degli inve-stigatori sarebbero disorientate dalla com-pleta assenza di un movente qualsiasi permotivare il crimine; ma, d’altro canto, lacompleta idiozia e incompetenza crimina-le degli autori del delitto facilita enorme-mente la risoluzione del caso.

Benché spesso il delitto sia premeditatoe brillantemente pianificato nell’esecuzio-ne, difetta vistosamente di un qualunquealibi. Sembra che l’astuto criminale sol-tanto dopo il misfatto venga colto dallapreoccupazione di non farsi scoprire. Eallora si procura un alibi talmente sgan-gherato che dopo un quarto d’ora ha giàle manette ai polsi ed i flash dei fotografiaddosso.

Una società civile non esiterebbe unsolo istante e impiccherebbe senza tantestorie questi idioti. Invece cosa accadenella nostra civiltà decadente? Che i figli

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uccidono i genitori per intascarne l’ereditàe i giudici, dopo appena pochi mesi di“rieducazione”, coccolati e vezzeggiati dapsicologi e intervistatori, dispongono chegli assassini entrino in possesso dell’ereditàe badino per il futuro a rigar dritto.

Ripeto, una società civile li affiderebbeal boia; una società barbara e crudele licondannerebbe all’ergastolo; una societàin sfacelo, decadente e corrotta, cosa fa? Siostina a chiederne il pentimento, il ravve-dimento, il recupero, la conversione...

Solo Er Canaro, famoso per l’effera-tezza della sua vendetta assassina, negliultimi tempi ha restituito dignità e onestàal crimine pronunciando la celebre frase:«Se rinascessi lo rifarei di nuovo», chetanto ha commosso gli anziani boia inpensione e tutte le persone oneste e dibuona coscienza. E che invece è stata ese-crata e deplorata dai falsi “buoni”, dagliipocriti idealisti che vorrebbero un’uma-nità scialba ed incolore senza guerre emassacri.

ALSO SPRACH MALEFICUS

Sicurezza

Bruno Pittau,Crash, 1988,trasferibili su acetato efotomeccanica

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Solianasettembre 201065

MalacquaElisabetta Rombi

coscienze. Una coralità, quella delPugliese, che Calvino considera affine alromanzo di Matilde Serao.

L’acqua piovana è connotata da termininegativi «violenza, rancore duro predeter-minato, accanimento irreversibile». Unaviolenza che provoca morte. L’impossibi-lità di far fronte agli accadimenti è resa inestrema ironia «Questa città è davvero dicartone, possibile che qualche ora soltanto dipioggia?, eh possibile, possibile, cosa vuoifarci?, quelli del servizio meteo dell’aeropor-to dovrebbero mettere i cartelli: domanipiove, napoletani, trasferitevi a Roma»

Pur nell’uso, tutto originale della pun-teggiatura, seguiamo in modo efficace lepieghe dei discorsi. Una signora non vuoleabbandonare lo stabile, non l’ha fatto nep-pure durante i bombardamenti, mentrecercano di dissuaderla lei obietta «... ed iodove vado a dormire stanotte?, in albergo?,ed a spese di chi?, del Comune di Napoli».Poi ancora dentro e fuori i pensieri ditutti.

La pioggia nella sua violenza sospendela vita, ne svia i percorsi, e non c’è piùtempo di fare ciò che si rimandava.Mentre Andreoli Carlo si guarda allo spec-

Pubblicato dall’Einaudi nel 1977,Malacqua di Nicola Pugliese, è unodei tanti libri dimenticati, ingiusta-

mente scomparsi. Recensire un libro chesi può trovare solo in biblioteca è una pro-vocazione e un invito.

L’invito ad una ristampa perchéMalacqua ritorni tra gli scaffali delle libre-rie. Un libro in cui Napoli è protagonistapuò illuminare alcune note vicende dellacronaca attuale di questa città.

Certo le illumina col suo particolarestile e linguaggio, in un tono che va daltragico al grottesco, dal lirico al sarcastico.

L’incipit viene da Horcynus Orca diStefano D’arrigo, straordinario testo dicommistioni linguistiche tra italiano ealtre lingue o dialetti. Un libro di mare èdunque l’incipit di questo lungo raccontodove la vera protagonista è la città. Lavicenda si snoda in quattro giorni dipioggia intensi. Malacqua, o acqua mala,è proprio la pioggia che crea disastri, vit-time e sembra non debba mai finire mapreludere ad un accadimento epocale.Qualcosa incombe sinistro sulla città e sututti i suoi abitanti come una premoni-zione.

Andreoli Carlo è l’unico personaggioche nella moltitudine di voci ci accompa-gnerà sempre, quasi un alter ego dell’auto-re. Stessa professione, giornalista, lo tro-viamo all’inizio del libro, in tutti i punticruciali, e infine nell’ultimo capitolo.

Il ritmo veloce della narrazione è affi-dato al linguaggio. Scivolando fuori e den-tro ai vari personaggi fa seguire eventioggettivi ad interrogazioni interiori, dialo-ghi, riflessioni e confronti. In piena libertàdi flusso di coscienza, di molteplici

NICOLA PUGLIESE nascea Milano nel 1944, ma vive aNapoli per quasi tutta la suavita. È fratello del registaArmando Pugliese. Eredita dalpadre la professione di giorna-lista e scrive per molti anni sulRoma, testata all’epoca di pro-prietà di Achille Lauro. Nel1977, scoperto da Calvino,pubblica per i Coralli della casaeditrice Einaudi il suo romanzod’esordio: Malacqua. Nel corsodegli anni Ottanta, Pugliese siritira a vita privata pressoAvella, un paesino alle porte diAvellino. Nel 2008, per unapiccola casa editrice napoleta-na, viene dato alle stampe ilsuo secondo libro, La NaveNera, una raccolta di raccontidai toni kafkiani.

Italo Calvino ha scritto cheMalacqua è un libro «che haun senso e una forza e unacomunicativa» e ha indicatonel romanzo corale di MatildeSerao un preciso riferimento.Della tradizione letterariameridionale, Pugliese riprendee rinnova gli umori sanguigni,il gusto del fantastico, trattan-doli con una consapevolezzalucida, quasi crudele.

Nel 2010, sotto l’egida dellaFondazione Premio Napoli, èstato pubblicato un saggio dicritica letteraria dedicato aMalacqua, in cui viene rico-struita la vicenda editoriale ela fortuna del libro. Il saggio,di Giuseppe Pesce, si intitolaNapoli, il Dolore e la Non-sto-r ia: Malacqua di NicolaPugliese, un piccolo capolavo-ro del secondo Novecento.

Opere* Malacqua, Einaudi,Torino 1977.

* La Nave Nera,Compagnia dei Trovatori,Napoli 2008.

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chio la sua testa «va in giroper la città» a riassumere glieventi. E in tutto quel pen-sare è un’interrogazione difondo, Dov’è il significatoultimo?, nelle pietre diCastel dell’Ovo?, dov’è? fin-ché l’umidità raggiunge ilcervello...

Si fa strada la consape-volezza che la pioggiaavrebbe per sempre cam-biato la prospettiva dellecose, che la vita sarebbemutata. Anche S. Gennaroè impotente, «povero vec-chio stupido S. Gennaro, conquell’ampolla sua del sangueche si scioglie a infastidire, adividere i pensieri, a creareconfusione».

Dal Castello del Maschio Angioinorisuonano voci ambiguamente umane,come di moltitudine. Un urlo scompostoe innaturale viene da sotto un bancoquando il fascio di luce del vigile durantel’ispezione al castello colpisce una bambo-la. «Mirasciotto Vincenzo vigile urbanosemplice disse sissignore e s’inoltrò nellaseconda fila di banchi, ed arrivato al terzobanco si fermò, se ne scese in ginocchio, simise a quattro zampe... Fece un rispettosocenno verso l’assessore, ... come per dire sevuole vedere, anche Lei come me deve met-tersi a quattro zampe per terra. L’assessorenon ebbe difficoltà alcuna, e tutti gli altripoi della delegazione, anche se non richiesti,tutti giù per terra...»

Attendono l’urlo niente di pericoloso sipoteva sopportare... ma insomma anche unurlo preventivato non è cosa da poco...

Il grido straziante attraversa la città,non valsero carezze di madri. L’acqua scava,incide e scava, distrugge tutte le difese.Danneggia il traffico illecito di sigarette diDi Gennaro Carmela. Le autorità studia-no il sistema di far tacere le voci prove-nienti dalla bambola, si scomodano tutti igradi delle autorità non essendo affattochiaro di chi è quella competenza (inbambole stregate?).

L’acqua provoca interruzioni nell’im-pianto elettrico: squadre dell’Enel girano

per cercare di riparare i guasti perché «ildisagio andava anche al di là del fatto con-tingente, era psicologico e politico insieme,che le masse non possono restare al buio, per-ché il buio fomenta disordini e distrugge ilrispetto delle gerarchie».

La scoperta di altre bambole nei luoghidei crolli e delle vittime suscita la doman-da: che cosa rappresentavano le bambole,un segno di morte?

Andreoli Carlo, attende che la storia sicomponga, da una notizia all’altra, fino almosaico attendibile.

Interessante nella sua crudele ironia ilcaso della casa pericolante di SavastanoAniello, crollata, si sapeva che sarebbecrollata ma intanto lui non poteva andar-sene (dove poi?) era in coda per l’assegna-zione delle case popolari, così in coda cheil funzionario gli aveva consigliato di farealtri sette figli per salire in graduatoria...Adesso la casa è crollata e il problema nonesiste più: Aniello e tutta la sua famigliasono morti.

Andreoli Carlo, nel rumore delle tele-scriventi, con la notte che “gli svolazzavaintorno. In una tazzina (poteva mancare?)di caffè bollente lui cerca di affogare gliinterrogativi, di chiedersi pazienza e intan-to i suoi pensieri scivolano verso un amoreprivato.

La pioggia arriva a nascondere la luce,come se il giorno non fosse nato. E l’ac-

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certo a sollecitare i bassi istinti delle cosid-dette masse.

La pioggia, con la sua presenza oscura,continua a suscitare interrogazioni. Alloraviene rievocato un evento premonitore del5 agosto scorso, una domenica mattina.

Quando, per un inspiegabile motivo, leautorità decidono di chiudere il lungoma-re ai monelli dei vicoli. I ragazzini si appo-stano per ore per capire quando poteraccedere al mare infine si arrendono.Allora è il mare a sollevarsi, a gonfiarsi esotto gli occhi di tutti, primi quelli delleguardie che si ritrovano con i piedi amollo, a raggiungere i ragazzini casa percasa.

Curiosa anche la vicenda delle moneti-ne che suonano. Qui, come per il mare, èuna sorta di risarcimento ai piccoli schiac-ciati dal potere adulto. Accade ad unabimba la cui madre ha spaccato la radioimpedendole di ascoltare la musica, cheuna monetina da cinque lire suoni la suamusica preferita, le basta pensare ad unacanzone ed eccola. Ma è musica solo perle bambine, gli adulti non possono sentir-la. Non c’è verso di fare commercio dellemonete.

Nell’ultima parte del libro Carlo siinterroga ancora inutilmente su una ridi-cola insignificante verità. Napoli è cittàcostruita sul vuoto, osserva. Prova allora ildesiderio vano di fuggire. Ciò che accadeintorno a lui si mischia con le riflessioni,paure, considerazioni, si domanda fino ache punto si può assorbire l’acqua. Qualeè il momento limite? L’interrogazione èaffidata ai lettori da risolvere.

Malacqua va letto trasversalmente:nella sua ironia nasconde verità. E mentrediverte col suo taglio leggero racconta tra-gedie. Qualcuno lo ha definito un gialloesistenziale.

Il libro all’Einaudi fu scelto da Calvinoche chiese al Pugliese alcune correzioni,l’autore rifiutò. Il testo fu quindi pubbli-cato senza mutare neppure una virgola.Un personaggio, il Pugliese, alla Salinger.È proprio la sua volontà di non apparirecome persona lasciando spazio solo all’o-pera che lo rende per noi meritevole diattenzione.

qua è definita insinuante dolce remissiva,così testardamente regolare, regolare, sì, esenza appello. Irace Salvatore nel suo dialo-go interno discute coi figli, lui custode sisacrifica perché i figli studino perché unalaurea serve, poi si insinua in lui il dubbioche la laurea non serve proprio a nulla,però mica può dirlo ai figli...Ma che vuoi fare?, dirgli ragazzi miei

ma che studiate a fare?, dirgli fate come vipare tanto la vita è un gran casino?, e noquesto non si può. E ricorda le cinghiate disuo padre sulla faccia per costringerlo alavorare la terra e lui Salvatore che invecese n’era andato in città... adesso mentre siinterroga si rende conto che la sua vita sen’è andata mentre rimane nel quotidianoprolungandosi come un’agonia «e quandoquesto accade lui si alza, sempre, e dice vadoin giardino che ho da fare».

Un presentimento labile oscuro e confu-so attraversa la città. Ma qualcuno evita dipensare ad un evento straordinario: certoè evento tragico (i crolli), ma pure sconta-to, per qualche verso, «nella prospettivaantica di una città che vive la sua vita sottoforma di continua moltiplicazione, Se ven-gono moltiplicati i bambini, e i disoccupati,e le donne in mezzo alla strada, e quelli chesi devono arrangiare, perché non anche imorti?»

La vita riassorbe tutto, i fatti stempera-no e ciascuno «rincorreva i pensieri suoi.Com’è forte la vita in presenza della morte,come acquista coscienza e si ribella, e fermasi alza a dire di no». Napoli ha superatoaltre piogge. Paga la sua tangente, la città,e sopravvive.

Infine si spezza la solidarietà dellamorte e ciascuno segue i morti suoi...

Insieme alle fantasie di una rivoltapopolare, è l’analisi della politica e delladiplomazia, le strategie di dare e avere tramaggioranza e opposizione. Compare quiun inceneritore d’oro, siamo negli anniSettanta, il problema della speculazioneintorno all’immondizia sembra eterno aNapoli...

E in tutto quello scambio di favori tramaggioranza e opposizione, è il sottiledisprezzo della gente da parte dei politici.Che il consiglio comunale non è un

comizio, un incontro di piazza, e non serve

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