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SPECIALESPECIALESPECIALE IRRORATRICI SPECIALE Macchine Agricole maggio 2007 Domenico Pessina, Davide Facchinetti I parametri per una scelta attenta e ragionata; uno sguardo sulle novità più interessanti. Il punto sulle irroratrici Le macchine per la distribuzione di agrofarmaci, anche dette “macchine irroratrici”, possono essere classificate in macro- categorie, in base alle modalità di polverizzazione della miscela e di trasporto delle gocce. Sono deputate a polverizzare meccanicamente una miscela di acqua e principio attivo, distribuendola poi sul bersaglio. Le più diffuse sono denominate “barre irroratrici”, e producono una polverizzazione meccanica, per pressione. Esistono anche altre macchine, caratterizzate sempre da polverizzazione meccanica, che è però generata per reazione centrifuga, e poi ancora umettatrici e barre gocciolanti. I tipi più sofisticati sono invece dotati di apparati eiettori a due fluidi, dei quali il primo è la miscela da distribuire, mentre l’altro è rappresentato dall’aria che serve a seconda dei casi, a trasportare la miscela verso il bersaglio, oppure anche a frantumare la vena liquida e a generare le gocce. Queste macchine sono definite “atomizzatori”: con maggior dettaglio, possono essere ulteriormente classificate in modelli a polverizzazione meccanica (per pressione e trasporto della miscela con corrente d’aria) e modelli “pneumatici”, detti comunemente anche nebulizzatori, nei quali la corrente d’aria generata da un potente ventilatore provvede sia alla polverizzazione che al trasporto della miscela. Ci sono poi irroratrici ad aeroconvezione rotative (sono presenti peraltro pochissimi modelli sul mercato), e generatori di aerosol o “fogger”. Generalmente, le barre irroratrici non devono vincere la forza di gravità per portare il prodotto a bersaglio, e quindi non hanno bisogno di una corrente d’aria atta al trasporto delle goccioline; gli atomizzatori invece utilizzano proprio un flusso d’aria appositamente creato per far arrivare il prodotto sul bersaglio (e purtroppo a volte anche ben oltre). La classificazione illustrata non è però valida in tutti i casi: da alcuni anni sono infatti in commercio barre irroratrici dotate di “manichetta ad aria”, così come viceversa operano sul territorio vecchi modelli di irroratrici utilizzate per trattamenti

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IALE

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IALEIRRORATRICI

SPECIALE

Macchine Agricole maggio 2007

Domenico Pessina, Davide Facchinetti

I parametri per una scelta attenta e ragionata; uno sguardo sulle novità più interessanti.

Il punto sulle irroratrici

Le macchine per la distribuzione di agrofarmaci, anche dette “macchine irroratrici”, possono essere classificate in macro-categorie, in base alle modalità di polverizzazione della miscela e di trasporto delle gocce. Sono deputate a polverizzare meccanicamente una miscela di acqua e principio attivo, distribuendola poi sul bersaglio. Le più diffuse sono denominate “barre irroratrici”, e producono una polverizzazione meccanica, per pressione. Esistono anche altre macchine, caratterizzate sempre da

polverizzazione meccanica, che è però generata per reazione centrifuga, e poi ancora umettatrici e barre gocciolanti. I tipi più sofisticati sono invece dotati di apparati eiettori a due fluidi, dei quali il primo è la miscela da distribuire, mentre l’altro è rappresentato dall’aria che serve a seconda dei casi, a trasportare la miscela verso il bersaglio, oppure anche a frantumare la vena liquida e a generare le gocce. Queste macchine sono definite “atomizzatori”: con maggior dettaglio, possono essere ulteriormente classificate in

modelli a polverizzazione

meccanica (per pressione e trasporto della miscela con corrente d’aria) e modelli “pneumatici”, detti comunemente anche nebulizzatori, nei quali la corrente d’aria generata da un potente ventilatore provvede sia alla polverizzazione che al trasporto della miscela. Ci sono poi irroratrici ad aeroconvezione rotative (sono presenti peraltro pochissimi modelli sul mercato), e generatori di aerosol o “fogger”. Generalmente, le barre irroratrici non devono vincere

la forza di gravità per portare il prodotto a bersaglio, e quindi non hanno bisogno di una corrente d’aria atta al trasporto delle goccioline; gli atomizzatori invece utilizzano proprio un flusso d’aria appositamente creato per far arrivare il prodotto sul bersaglio (e purtroppo a volte anche ben oltre). La classificazione illustrata non è però valida in tutti i casi: da alcuni anni sono infatti in commercio barre irroratrici dotate di “manichetta ad aria”, così come viceversa operano sul territorio vecchi modelli di irroratrici utilizzate per trattamenti

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di colture arboree (come i vigneti) che non utilizzano una corrente d’aria, in quanto costituite essenzialmente da una doppia barra operante in verticale. Le irroratrici non vengono utilizzate in esclusiva per l’esecuzione di trattamenti fitosanitari, ma sono anche impiegate (sempre più spesso) per la concimazione fogliare.

Lo scopo dei trattamenti fitosanitariDal punto di vista agronomico, il principale obiettivo da raggiungere operando con le macchine per la distribuzione di prodotti fitosanitari in forma liquida, è quello di

distribuire la quantità di principio attivo prevista, con la massima uniformità possibile, massimizzando la quota a bersaglio (cioè la parte che giunge sulla coltura, nel caso dell’effettuazione di trattamenti fitosanitari, o sul terreno nudo nel caso dei diserbi in pre-emergenza), minimizzando al contempo le inevitabili perdite nell’atmosfera che si verificano: a causa della deriva dovuta a correnti d’aria (fig. 1); per evaporazione della miscela, specie con alte temperature; per percolazione della miscela irrorata dalla vegetazione o per prodotto

erroneamente distribuito fuori bersaglio. Operando con attenzione con una moderna barra irroratrice, in buono stato di manutenzione, è

relativamente facile ottenere risultati più che soddisfacenti. Viceversa, con un atomizzatore la situazione si complica notevolmente: con quest’ultimo

Fig. 1 - Il fenomeno della deriva causa notevoli perdite di miscela nell’atmosfera.

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caso, nella normale operatività

si verifica infatti una molteplicità

di situazioni non riscontrabili con

le barre irroratrici. Generalmente,

con una barra irroratrice si opera

su bersagli distanti 50-100 cm dalla

barra e sotto di essa: in virtù della

forza di gravità, le gocce irrorate si

dirigono già naturalmente verso

il bersaglio, aiutate poi dall’energia

cinetica derivante dalla pressione

con la quale vengono espulse

attraverso l’ugello. Invece, con

il medesimo atomizzatore può

essere necessario dover irrorare sia

un vigneto a spalliera praticamente

spoglio (con la parete vegetativa

distante magari poche decine di

cm dagli ugelli), sia la parte apicale

di un pioppo o di un melo a vaso,

distante diversi metri in verticale,

per di più in presenza di una

vegetazione molto fitta (fig. 2). È

del tutto evidente che nel primo

caso sarà opportuna una corrente

d’aria molto debole, mentre nel

secondo sarà necessario un flusso

con portata e velocità elevate.

Cesari (1998) ha calcolato che

la “dose” di principio attivo può

essere ridotta anche del 20-25 %

in virtù della corretta regolazione

della macchina, grazie alla

quale la riduzione delle perdite

fuori bersaglio può arrivare al

50 %, ottenendo al contempo

una migliore copertura, specie

adottando bassi volumi di miscela.

Fortunatamente, sono sempre

più numerose le macchine

irroratrici dotate di sistemi in

grado di adattare le modalità di

Efficacia EffEttiva fig. 2 a e b – Diversa è l’operatività di un atomizzatore in presenza di vegetazione scarsa o rigogliosa; nel primo caso le perdite per deriva sono notevoli.

volume irrorato

perditefuori

bersaglio

dispersionisu

bersaglioeccessivoaccumulo

dilavamento

gocciolamentoa terra

depositoefficace

depositoutilizzato

volu

me

effic

ace

deriva

evaporazione

a terra

fig. 3 – Dettaglio di un gruppo di distribuzione DPM (Distribuzione Proporzionale al regime Motore).

tipico diagramma di destinazione del prodotto irrorato.

Una serie di autorevoli ricerche internazionali (tra le quali la più famosa è certamente quella di Matthews, 1979) ha adeguatamente messo in evidenza come, operando con un atomizzatore su vigneto o frutteto, in condizione di vegetazione molto sviluppata, solamente una piccolissima frazione del prodotto irrorato (secondo alcuni pari a solamente il 2-3 %) giunge a bersaglio e soprattutto viene proficuamente utilizzata dal punto di vista biologico. Perdite e dispersioni sono quindi di elevatissima entità: è da considerare che

non solo la quantità di prodotto che va correttamente a «bersaglio» è minima, ma che un’altra quota viene sovrapposta alla precedente, risultando inutile o addirittura fitotossica. È da tenere ben presente che le dosi di agrofarmaco ed acqua generalmente consigliate in

etichetta vengono stabilite aggiungendo al quantitativo necessario le “normali” dispersioni; massimizzare quindi la quantità di prodotto a bersaglio può assicurare un’efficacia fitosanitaria equivalente del trattamento sia con un minore utilizzo di acqua, sia soprattutto di principio attivo, con un sicuro risparmio economico, a volte considerevole.

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irrorazione del flusso alla forma e

alla densità della coltura, nonché

alla posizione del bersaglio

rispetto alla macchina, così da

migliorare la penetrazione nella

vegetazione, la sua copertura

e diminuire le perdite a terra.

Anche i sistemi meccanici o

elettronici per adeguare la portata

del prodotto da distribuire alla

velocità di avanzamento riescono

a mantenere praticamente

costante la quantità di prodotto

distribuita sull’unità di superficie.

Per ottimizzare l’efficacia

del trattamento fitosanitario,

bisogna inoltre attuare la

miglior tempestività d’azione,

conoscendo le modalità di azione

del principio attivo impiegato;

essere consapevoli delle migliori

tecnologie utilizzabili, in relazione

alla situazione agronomica

della coltura; conoscere a

fondo le proprie attrezzature,

in particolare le regolazioni

possibili (fig. 3). Purtroppo, gran

parte delle macchine irroratrici

attualmente all’opera non

risultano essere più appropriate,

sia a causa della scarsa

manutenzione e/o della loro

notevole obsolescenza tecnica

(fig. 4), sia per il diffuso utilizzo

di macchine e/o regolazioni

che comportano l’erogazione di

correnti d’aria eccessive, che

provocano notevole deriva. Tra

l’altro, ciò si traduce in un inutile

consumo di energia, e quindi di

combustibile.

La concentrazione del principio attivoUn'eccessiva diluizione del p.a.

(principio attivo) nel veicolante

(l'acqua) potrebbe portare ad una

sua parziale o totale inefficacia,

mentre elevate concentrazioni

potrebbero generare fenomeni di

fitotossicità. Gocce con diametri

compresi tra 100 e 350 µm

(micron), che portino ad una

densità di almeno 100 impatti

per cm2, sono ideali per p.a. che

agiscono per contatto. Viceversa,

per trattamenti insetticidi

dove il p.a. viene ingerito, pur

risultando comunque importante

curare la densità e l’uniformità

dell’applicazione, il parametro

maggiormente determinante

per la riuscita del trattamento

è la sua concentrazione,

che deve essere più elevata

possibile. Nel caso invece di

trattamenti biologici effettuati

con Bacillus Thuringiensis,

l’efficacia ottimale è ottenuta

con elevati volumi di miscela,

e quindi basse concentrazioni.

Da non dimenticare che anche

i coformulanti (adesivanti,

antievaporanti, emulsionanti)

possono favorire il successo del

trattamento, limitando fenomeni

sfavorevoli e/o esaltando effetti

voluti.

Dimensione delle gocceÈ ormai fuor di dubbio che gocce

più grandi (utilizzate con gli alti

volumi) determinano una minore

efficacia fitosanitaria; il passaggio

da gocce di 500 μm a 200 μm di

diametro porta ad un raddoppio

dell'efficacia dell'intervento.

Riducendo le gocce a 100 μm,

si ottiene un ulteriore aumento

del 18-20%. Operare con gocce

più piccole rende più arduo il

controllo delle perdite per deriva

e per evaporazione, specie in

presenza di forti correnti d’aria.

Peraltro, le gocce più grandi

(> 500 μm) hanno una minore

adesività e sono quindi causa di

maggiori perdite per ruscellamento

dalle foglie per il conseguente

gocciolamento a terra. Inoltre,

la loro notevole inerzia, unita ad

un'alta resistenza aerodinamica,

ne pregiudica in modo notevole la

capacità di penetrazione all’interno

delle masse vegetali. In ogni

caso, la deriva è il fenomeno più

difficile da limitare: pertanto, le

gocce finissime (< 100 μm) sono

assolutamente da evitare.

Eso- ED EnDo-FarMacII principi attivi utilizzati nei prodotti fitosanitari si dividono in eso- ed endo-farmaci. I primi vengono applicati all’esterno della pianta, e non sono in grado di attraversarne la cuticola, per penetrare poi all’interno dei tessuti vegetali; esercitano quindi un’azione soltanto preventiva, per cui il trattamento dovrà essere effettuato nei momenti più opportuni e in maniera tempestiva. In tal caso, la vegetazione protetta sarà solo quella direttamente a contatto con il p.a. (principio attivo); l’azione curativa sarà attiva soltanto in presenza di patogeni che si sviluppano esternamente alla pianta. Gli endofarmaci riescono invece a traslocare all’interno dei tessuti vegetali, e risultano efficaci anche su patogeni insediati all’interno della coltura. Pertanto, la tempestività di intervento e una perfetta copertura non sono imperativi per questi p.a. A loro volta, gli endofarmaci possono essere classificati in diverse categorie, a seconda delle modalità di traslocazione:- sono “citotropici”, se possono compiere percorsi inter- o intra-cellulari, limitatamente alla zona adiacente alla penetrazione; - sono “translaminari”, se sono in grado di passare dall’una all’altra delle due pagine fogliari; - sono “sistemici”, se sono trasferiti in ogni organo della pianta mediante la circolazione linfatica.Gli endofarmaci comportano un vantaggio importante, e cioè che la loro penetrazione all’interno della coltura evita perdite di prodotto per dilavamento nell’eventualità di piogge successive al trattamento.

Fig. 4 – Una tipica barra irroratrice obsoleta, dalla manutenzione trascurata.

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Macchine Agricole maggio 200780

Il volume di miscelaCon “volume” si intende

comunemente il quantitativo

di liquido (acqua + formulato +

eventuali coadiuvanti) distribuito

su una determinata superficie

unitaria (generalmente 1 ha),

seppur in certi casi il medesimo

termine possa riferirsi a parametri

quali il volume d'aria soffiato

da una ventola o la quantità di

vegetazione. L’acqua non ha

realmente una funzione attiva, ma

funge da “veicolo” per il p.a., in

pratica con lo scopo di distribuire

il più uniformemente possibile una

certa quantità di formulato su una

determinata superficie. I termini

“alto”, “medio”, “basso”, “molto

basso” e “ultra basso”, se correlati

al volume, indicano solitamente

una quantità (approssimativa) di

miscela distribuita su 1 ha, ma si

caratterizzano con valori numerici

molto differenti, se riferiti di volta

in volta a trattamenti su terreno

nudo, su colture erbacee o su

colture arboree (tab. 1).

Una corretta scelta del “volume”

da distribuire deve quindi

considerare:

- le caratteristiche di deposizione

del formulato utilizzato;

- il tipo di applicazione;

- le caratteristiche dimensionali

del bersaglio (posizione, distanza,

spessore della chioma);

- le condizioni meteorologiche.

È però importante considerare

anche il costo totale

dell'effettuazione dei trattamenti,

che aumenta proporzionalmente

insieme ai volumi, dati i

maggiori tempi necessari per

la preparazione della miscela,

il ripetuto riempimento del

serbatoio, e il relativo trasporto

fino alla zona di operatività

(se non è disponibile acqua in

loco). È relativamente semplice

determinare il minimo volume

necessario per “coprire” un

terreno nudo (ad esempio per

diserbi in pre-emergenza),

mentre la difficoltà aumenta

quando si devono trattare delle

superfici fogliari di una parete

complessa. Fino a pochi anni fa

(ma accade ancora oggi, in certi

comprensori) il volume utilizzato

era assolutamente esagerato; oggi

si sta assistendo ad un’auspiscabile

riduzione, con risvolti positivi

sia dal punto di vista economico,

che da quello tecnico/ambientale.

L'aumento della concentrazione

della miscela porta al problema

del (ri)calcolo dei dosaggi sulla

base delle informazioni fornite sul

prodotto: purtroppo, ancora oggi

spesso le etichette definiscono

la concentrazione (o la dose) ad

ettolitro, ed è quindi necessario

correlare tale valore con un

determinato volume di riferimento,

sempre riportato in etichetta

(fig. 5). Se, addirittura, neppure

questa informazione è fornita,

bisogna rifarsi ad una vecchia regola,

cioè quella del “volume standard”,

che è riferito a 1000 l/ha per i vigneti

e 1500 l/ha per i frutteti.

Ad esempio:

- dose in etichetta: 600 g/hl;

- volume di riferimento: 1000 l/ha

(= 10 hl/ha)

- dose ad ettaro: 600 g/hl x 10 hl/ha

= 6000 g/ha

- volume realmente distribuito:

3 hl/ha

- dose da miscelare: 6000 g/ha /

3 hl/ha = 2000 g/hl (= 2 kg/ha)

Per le barre irroratrici, alcune

ricerche hanno accertato

che i valori più consoni per la

massimizzazione dell’efficacia dei

trattamenti rientrano all’interno

degli intervalli illustrati in tab. 2.

Per quanto riguarda gli

atomizzatori, la situazione

sull'intero territorio nazionale

è troppo difforme (sia per le

forme di impianto e le cultivar

utilizzate, sia per quanto riguarda

la meteorologia), e risulta

quindi davvero impossibile

la preparazione di un quadro

universalmente valido. Basti

pensare al riguardo che i volumi

possono variare da un minimo

di 50 l/ha (per nebulizzatori

pneumatici che intervengono ai

primi stadi vegetativi, ad esempio

su vigneti o frutteti a spalliera),

fino ad oltre 20 volte tanto (> 1000

l/ha), per atomizzatori tradizionali

su frutteti a vaso.

Uniformità di polverizzazioneLa qualità del trattamento,

specie se di copertura, dipende

moltissimo da una corretta

polverizzazione, che deve

primariamente mirare alla massima

uniformità dimensionale possibile

delle gocce e alla migliore stabilità

dell’erogatore rispetto al bersaglio,

per mantenere costante nel

tempo e nello spazio la distanza

Tabella 1 - Quantità di miscela distribuita (riferita all’unità di superficie = 1 ha), in relazione alle comuni definizioni di “volume”, per coltivazioni erbacee e arboree (da Matthews, 1986).Volume Coltureerbaceedipienocampo(l/ha) Colturearboree(l/ha)alto > 600 > 1000medio 200 - 600 500 - 1000basso 50 - 200 200 - 500molto basso 5 - 50 50 - 200ultra basso < 5 < 50

Fig. 5 – Etichetta di un agrofarmaco, con indicazione della dose e del volume di riferimento (EnvIDor®240 sc, Bayer cropscience srl).

Tabella 2 - Volumi di distribuzione massimi ammissibili e consigliati per alcune comuni colture.TipodiColtura Trattamentodiserbante Trattamentofungicida (l/ha) oinsetticida(l/ha)*

massimo** consigliato massimo** consigliatoCereali vernini 400 150-250 500 300Mais, girasole, sorgo 500 pre =150-250 600 400-500 post =300-400Riso 400 150-300 600 250-300Pomodoro, patata 500 300 1000 600-700Barbabietola 400 pre =150 post =300 700 300-400* volumi riferiti al massimo sviluppo vegetativo.** non è consentito superare le dosi massime di sostanza attiva/ha indicate in etichetta.

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maggio 2007 Macchine Agricole 81

tra gli ugelli e la vegetazione.

Per diminuire le oscillazioni in

senso trasversale, sulle irroratrici

trainate è opportuno privilegiare

assi a carreggiata larga, dotati

di pneumatici a bassa pressione

(fig. 6), ed eventualmente dei

sistemi di sospensione. Per le barre

irroratrici, sia su modelli portati

che trainati, è raccomandabile

adottare sistemi stabilizzatori

(fig. 7), che possono essere di

tipo passivo (ormai molto diffusi)

o attivo (purtroppo ancora rari e

molto costosi).

È fondamentale marciare ad una

velocità che sia la più costante

possibile, affinché si mantengano le

condizioni che sono state definite

come “ottimali” in sede di taratura.

Ciò è importante non solo per le

macchine a “pressione costante”,

ma anche per le macchine con

distribuzione proporzionale alla

velocità di avanzamento o al

regime di rotazione della pdp. Per

il mantenimento di una buona

qualità di spruzzo è fondamentale

sostituire periodicamente gli

ugelli ed è corretto effettuare la

loro sostituzione quando erogano

una portata del 10% superiore

rispetto al valore nominale. Il

problema non è tanto l’aumento

della portata, quanto piuttosto il

grave peggioramento della qualità

di spruzzo, con la produzione di

una gamma dimensionale di gocce

estremamente disomogenea, e

una conformazione irregolare della

geometria dello spruzzo (fig. 8). Dal

punto di vista della durata, il miglior

materiale per le punte di spruzzo

è la ceramica, seguito dall’acciaio

temprato, dai polimeri plastici

e infine da ottone e alluminio;

questi ultimi due risultano essere

i materiali dalle prestazioni più

modeste. Anche i filtri rivestono una

notevole importanza per il corretto

funzionamento della macchina,

in quanto riducono l’abrasione

degli ugelli ed evitano fastidiose

occlusioni. Tutti i filtri presenti

sulla macchina (all'ingresso della

cisterna principale, sull'aspirazione

e in mandata della pompa) devono

essere ispezionabili anche a

serbatoio pieno, e caratterizzati da

maglie progressivamente più fitte

lungo il circuito; la dimensione

delle maglie del filtro più selettivo

(quello più a valle nel circuito)

deve logicamente essere inferiore

al diametro del foro degli ugelli.

Anche la pressione di lavoro

è un parametro fondamentale,

considerando che ogni ugello è

progettato per lavorare entro un

determinato intervallo

di pressione, al di fuori

del quale la qualità

dello spruzzo peggiora

(a volte non di poco).

Inoltre, le variazioni

cicliche di pressione

(pulsazioni) delle

pompe volumetriche

vanno minimizzate,

gonfiando adeguatamente

il compensatore (definito

comunemente anche “polmone”)

ad una pressione pari a circa l’80%

di quella di esercizio.

Penetrazione della miscela nella massa vegetaleIl trasporto e la penetrazione

del prodotto all’interno

della vegetazione è la fase

probabilmente più difficile da

controllare. In assenza di un

ventilatore, ovvero usando

le “vecchie” barre irroratrici

disposte in verticale, si ottiene

una ridottissima penetrazione,

cui si cerca di ovviare adottando

pressioni di esercizio spesso

superiori a 50 bar, onde caricare

di una notevole energia il getto

di acqua. Questa tecnica è

però deleteria, perché prevede

l'adozione di volumi molto alti,

generando allo stesso tempo

elevato percolamento a terra e

gocce finissime estremamente

soggette all’effetto deriva. È

quindi evidente che per effettuare

un buon trattamento su piante

arboree in piena vegetazione è

sempre necessario l’ausilio di

una corrente di aria, che realizza

il trasporto della miscela. La

soluzione del problema prevede

che il flusso d’aria trasporti le

gocce sulla e all'interno della

vegetazione da trattare, senza

però passare oltre; il getto d’aria

va poi possibilmente direzionato

solo dove si vuole applicare il

prodotto, anche perché l’aria

fuori bersaglio genera comunque

Fig. 7 – I sistemi di stabilizzazione passiva sulle barre irroratrici hanno una notevole inerzia, che causa problemi in caso di terreno accidentato e con larghezze di lavoro notevoli.

Fig. 6 – Un atomizzatore equipaggiato con pneumatici larghi; i solchi creati dal passaggio del trattore che lo traina sono notevoli, ma l'operatrice non li aggrava.

Fig. 8 – ad una conformazione irregolare della geometria dello spruzzo e ad indesiderati gocciolamenti contribuiscono anche tubazioni mal posizionate.

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SPECIALEIRRORATRICI

Macchine Agricole maggio 200782

turbolenze che si trascinano le

gocce, rappresentando tra l'altro

un dannoso dispendio energetico.

Il mantenere una ridotta distanza

dal bersaglio porta ad una migliore

distribuzione, con un aumento

del 20% circa nella quantità

depositata ed una marcata

riduzione di potenza necessaria al

funzionamento del ventilatore. Nel

lontano 1971 Randall dimostrò che

per una buona penetrazione una

portata d'aria notevole è fattore

molto più favorevole che un'elevata

velocità, poiché dal punto di vista

energetico nel primo caso l'energia

viene maggiormente conservata,

rispetto ad un getto veloce ma

con bassa portata. In pratica,

per stabilire quale sia la velocità

dell’aria ideale caso per caso è utile

fare una semplice verifica pratica,

tecnicamente definita “prova in

bianco” (cioè effettuata con sola

acqua e aria, ma nelle effettive

condizioni di lavoro). Come

indicazione visiva, su un vigneto a

spalliera bisognerebbe regolare il

ventilatore affinché il flusso d'aria

faccia ondeggiare leggermente

le foglie più esterne: a ciò

corrisponde una velocità dell’aria

di circa 2 m/s, che è considerata

sperimentalmente la velocità

limite per la massimizzazione del

deposito fogliare. Su un frutteto

a vaso la cosa si complica, poiché

la penetrazione della miscela

nella parete vegetativa più vicina

agli ugelli e in quella più lontana

sono estremamente differenti. In

tal caso, bisogna operare come

illustrato precedentemente,

osservando però anche le foglie

disposte a circa 2/3 della distanza

tra la macchina e parte distale

della vegetazione: se sono tese

a bandiera, il getto è eccessivo,

e pertanto saranno elevate le

dispersioni di p.a. oltre il bersaglio.

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