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diritto / ORIZZONTI Giovanni Bausilio SPLENDORE ARAGONESE Cendon LIBRI

SPLENDORE ARAGONESEDa allora, progressivo è stato il processo di decadimento che oggi appare inarrestabile e con scarse prospettive di recupero. Napoli è stata definita il pianeta

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Page 1: SPLENDORE ARAGONESEDa allora, progressivo è stato il processo di decadimento che oggi appare inarrestabile e con scarse prospettive di recupero. Napoli è stata definita il pianeta

diritto / ORIZZONTI

Giovanni Bausilio

SPLENDORE ARAGONESE

Cendon LIBRI

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Diritto – Orizzonti

Giovanni Bausilio è avvocato, docente di Diritto ed economia

Oltre ad aver pubblicato molti testi ed articoli aventi ad oggetto argomenti di Diritto Privato,

Economia Politica, Scienza delle Finanze, Procedura contenziosa Tributaria, Contenzioso

penale e procedura penale tributaria, coltiva interessi per la Storia di Napoli che è la sua

città natale. In questo versante ha pubblicato :”La storia di Napoli dalle origini al 1860” in

lingua napoletana;”Le origini della lingua napoletana”; “Utopia napoletana” (la rivoluzione di

Masaniello); “Due regine nella tempesta” e “Pensieri napoletani”.

E’ finalizzata a far conoscere un periodo storico caratterizzato dalla rinascita di una Città

che, dopo la presenza di Normanni, Svevi ed Angioini, si avviava a divenire uno dei più

importanti centri culturali d’Europa.

Tale periodo, definito Rinascimentale, fu rappresentato da interventi sul tessuto urbano,

mutando l’aspetto della Città che già aveva avuto inizio con il governo angioino. Tale

trasformazione ebbe il suo compimento con opere di chiara cultura umanistica che

contribuirono a rendere Napoli un punto di riferimento per alcuni popoli europei.

Collana diritto / ORIZZONTI

Edizione maggio 2015

Copyright © MMXIV

ARACNE editrice Int.le S.r.l.

www.aracneeditrice.it

[email protected]

via Quarto Negroni, 15

00040 Ariccia (RM)

ISBN 978-88-548-8417-5

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione, di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i

microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati in tutti i Paesi.

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III

A MARIA

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IV

La Storia è un filo impalpabile che lega il passato al presente e conduce all’avvenire.

G.B.

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CAPITOLO PRIMO

Considerazioni iniziali

Dopo l’ultimo conflitto mondiale, una nota canzone di Galdieri e Barberis

terminava con questi versi:

Penzo a Napule comm’era

Penzo a Napule comm’è.

Queste parole, a un napoletano verace, fanno riflettere. Premesso che

rifuggiamo da un’immagine di una Napoli oleografica e fatta per i turisti o

per gli emigranti di un tempo ormai trascorso, desideriamo, nella

contrapposizione temporale e quindi storica, porre in evidenza che è esistito

un passato tanto diverso e unico nella storia del popolo napoletano, il quale

è stato da sempre, a un tempo, amato e vituperato.

Questo contrasto di sentimenti fu ben evidenziato da Peter Gunn nel suo

“ Napoli un palinsesto”, quando pose l’accento sul comportamento degli

stranieri verso la città di Napoli. Egli, a tal fine, evidenziò che:

“ se, dunque, ondate di turisti inglesi, americani, tedeschi invadono Capri, Ischia o

Positano, pochi di essi si sforzano di passare per la città antica”.

Tale atteggiamento l’Autore notò anche negli italiani del nord i quali

anche se per ragioni di lavoro convenivano in città, rifuggivano dal visitare

la Napoli storica e si portavano al Vomero o in appartamenti moderni per

trascorrervi il tempo necessario per le loro incombenze. Per fortuna, questo

comportamento è in gran parte mutato e si riscontra dalla presenza, a volte

massiccia, di persone provenienti da molte parti del modo che attraverso il

centro storico, visitano musei e non si lasciano sedurre soltanto dalle

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bellezze di Sorrento, Ischia e Capri. Intanto, resta l’amaro in bocca se si va

con la mente nel passato, rileggendo le Patrie Storie che non sono sempre

grigie e nebulose, ma lasciano intravedere momenti di luce e di splendore

anche se coperti dai luoghi comuni e dalle convinzioni circa l’inoperosità

del napoletano, la rassegnazione, la speranza senza fine anche se, senza

frutti, di un domani migliore e così via. Chi ha avuto, come lo scrivente,

l’opportunità e il piacere di leggere qualche pagina di Storia Patria, si sarà

reso conto quanto mutati siano Napoli ed il suo popolo anche se a

quest’ultimo gli sono rimasti, quali contrassegni indelebili i caratteri della

genialità, della trasgressività, dell’estemporaneità, della rassegnazione

fatalistica, della sfiducia nelle istituzioni e dell’arte di arrangiarsi.

I primi due, mai come oggi, si confondono, ma il secondo costituisce la

finalizzazione del primo e si manifesta come atavica opposizione all’ordine

costituito e alle regole obbligatorie per tutti. L’estemporaneità è la risultante

della mancanza di un sistema di vita ben definito: vivere orazianamente è

stata la costante di buona parte di questo popolo: “ carpe diem, quam

minimum credula postero”.

La rassegnazione fatalistica è stata instillata nell’animo del napoletano dai

continui mutamenti della sua condizione civile a seguito del periodico

succedersi delle dinastie che, con occhiuta rapina, hanno sottratto a Napoli

quanto c’era di meglio e aggravando le sue condizioni d’endemica miseria:

Napule pare ‘nu franfellicche,

ognuno vene allicca saluta e se ne và!1

La venuta d’ogni nuova dinastia creò nel napoletano l’effimera illusione

che il dominatore di turno sarebbe stato portatore di una nuova libertà e,

perciò che le cronache del tempo ci parlano di una plebe commossa per il

cambiamento attuato.

Quella libertà era imposta, ma non conquistata la quale ultima aveva,

storicamente, i connotati del vero ed era non ambigua come quella che era

elargita dall’alto al suddito.

1 Napoli sembra una caramella: ognuno viene, lecca e riparte.

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Il fatalismo è il contrassegno più evidente della gente del sud, anche se,

contrariamente alla comune opinione, non crediamo che sia con esso

connaturato, ma creato dalle condizioni sociali determinatesi nel corso della

sua storia.

Il fatalismo di questa gente è la sfiducia in un avvenire migliore:

chello che addà succedere, succedarrà!

Questo stato d’animo si riscontra anche nei confronti della natura.

Non vive il napoletano ancora all’ombra del “distruggitor Vesevo”?

Non è detto che vi sarà un’eruzione ma, anche se accadrà, chi dice che io

debba soccombere?

La sfiducia nelle istituzioni nasce dai cambiamenti continui di coloro che

si sono succeduti nel reggimento della cosa pubblica di questa città. Il

napoletano non ha mai amato l’eterna stabilità di un governo perché ha

sempre ritenuto che il successivo sarebbe stato migliore di quello presente.

Ciò che induce a meditare e nello stesso tempo stupisce, è l’ereditarietà di

quei sentimenti i quali poi altro non sono altro che convinzioni. Di

generazione, in generazione il napoletano ha trasferito ai posteri il suo

atteggiamento nei riguardi del mondo esterno.

Tutto ciò non è da imputare completamente al carattere, al modo di essere

di questo popolo perché tale atteggiamento, storicamente, ha trovato le sue

radici anche nei comportamenti del padrone e, a tal fine, Benedetto Croce

rilevava:

<l’Italia meridionale ci si mostra nelle storie, nelle cronache, nei documenti, per secoli,

un paese in preda alle usurpazioni e prepotenze baronali, povero, con agricoltura primitiva,

con scarsissima ricchezza mobiliare, con diffuso servilismo e congiunta ferocia, e,

insomma, in condizioni tutt’altro che prospere, eque e benigne>.

(Croce B. 1958, 30).

Greci, Romani, Goti, Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini,

Aragonesi, Spagnoli, Borbone, Francesi e, dulcis in fundo, Piemontesi.

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A ciascuno di questi, il napoletano ha sempre riservato accoglienze

particolari, ma ha dovuto ricredersi nel corso degli anni, attraverso

rivoluzioni e moti popolari per combattere la rapacità dei governanti.

Questo continuo succedersi di dominazioni è stato contrassegnato dalla

gioia iniziale nella speranza di un domani migliore, ma anche dalle lacrime

copiose e dal sangue versato per le disattese promesse di tutti quelli che

sono venuti in questa terra di conquista.

In questo richiamo del passato, le parole di uno dei nostri maggiori

pensatori appaiono appropriate, e degne di essere rilette:

<Infine, il paese chiuso in quei confini è stato lungo i secoli, e fino ai nostri giorni,

celebrato e invidiato e bramato come ricchissimo per profusi doni di natura, una terra

promessa o un paradiso; e ora, tutt’all’opposto, pregiato o compassionato come uno dei più

aridi e poveri: e certo la fertilità delle zone campane (alle quali si arrestavano gli

osservatori dei tempi andati), e anche di alcuni tratti della costa pugliese, è come una bella

decora zione da teatro, e dietro c’ è molta nuda roccia, molta terra ingrata, con scarsi fiumi,

e avare e irregolari piogge e larghe plaghe di malaria. Ma poi da queste osservazioni si vuol

trarre la conseguenza che il Regno non potesse avere storia se non miserabile; cd è illazione

arbitraria perché in terre povere si è svolta vigorosa storia politica quando i loro abitatori

hanno dispiegato animo grande, e terre fertilissime sono state asservite e sfruttate da

stranieri. Se la condizione naturale delle terre determinasse la storia politica, questa

dovrebbe essere scritta dagli agronomi, e non dai politici: il che par duro a concedere>.

(Croce B. 1958, 46).

A parte la rivoluzione di Masaniello del 1647 e quella tendente a

introdurre la repubblica giacobina del 1799, i vari moti popolari sono stati,

più che altro tentativi che non determinarono strutturali mutamenti delle

condizioni sociali del popolo. In questo continuo divenire, le varie dinastie

hanno lasciato la loro impronta e di una di esse intendiamo narrarne le

vicende umane.

Con l’avvento dell’ultima dinastia, quella Savoia, unificatrice dell’Italia e

che doveva regnare dal 1860 al 1948, Napoli decadde dal suo ruolo storico

di Capitale per diventare una delle tante province sia pure capoluogo di

Regione.

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Questa perdita di rango comportò che essa fosse dimenticata come capitale

per entrare a far parte del più vasto problema conosciuto come “ Questione

meridionale”.

L’arte di arrangiarsi è propria del popolo napoletano in provocata della

mancanza di un lavoro stabile in quanto, da secoli, il Meridione è stato

tenuto lontano dalla naturale evoluzione sociale ed economica proprie dei

territori del nord. Da allora, progressivo è stato il processo di decadimento

che oggi appare inarrestabile e con scarse prospettive di recupero.

Napoli è stata definita il pianeta del disagio, prevalentemente economico e

sociale ma, a nostro parere, non culturale.

Il napoletano vive anche nell’eterna speranza di un futuro migliore, per

mancanza di certezze presenti. Tutto ciò ci spinge a parlare di un passato

che, anche se ci appare come fenomeno scarsamente lenitivo delle presenti

condizioni, tuttavia ci fa ricordare che anche Napoli ha avuto un passato

che, tra alterne vicende, si manifestò come radioso.

Già a Benedetto Croce, la lettura di pagine di storia del passato antico,

faceva vedere l’antica Capitale in un’atmosfera fatta di luce e di grandezza.

Agli occhi della sua mente, il regno, così chiamato senz’altra aggiunta, dalla

dominazione sveva – normanna, si “trasfigurava” come uno degli stati più

importanti d’Europa, proteso verso la conquista di posti di primato nel

progresso sociale.

Nella semibarbarica Europa, il regno acquistò la condizione di civile

monarchia fondata dal primo Ruggiero per poi assurgere a stato moderno

sotto Federico II il quale ben sapeva tenere a bada i baroni avidi e

prepotenti, garantendo, nello stesso tempo, giustizia e libertà al popolo.

I problemi del sistema feudale non si manifestarono attraverso moti

violenti e rivoluzionari e furono superati non con le armi, ma con la ragione

e il diritto. I diritti che avrebbero dovuto, dovunque, competere a tutti i

cittadini, nel regno ebbero il primo riconoscimento.

Fu soltanto con Federico, coadiuvato da uomini capaci, che nel regno

iniziò un processo di benessere e di cultura interessando molti Paesi del

bacino del Mediterraneo e della stessa Europa centrale. E' alla presenza di

questi iniziali bagliori di moderna civiltà e dal loro confronto con le epoche

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successive che nacque il disagio delle persone avvezze a vivere nel rispetto

dei reciproci civili diritti e dei doveri.

Il dolore del presente c’induce a parlare dell’antico perché quali che siano

state le Case regnanti che hanno fatto il bello e il cattivo tempo su questo

territorio, anche nel male hanno lasciato segni di un glorioso e indelebile

passato cui il popolo ha partecipato più come suddito che come

protagonista.

Il napoletano è stato, da sempre, spettatore dell’altrui gloria e, come da

sempre accade, coinvolto, suo malgrado, nelle guerre tra ricchi e potenti.

Appare necessario precisare che quando i ricchi si fanno guerra, sono i

poveri a morire.

Non è retorico ritenere che Napoli sia un pianeta che non fa parte

dell’intera galassia delle città italiane. La città nella quale oggi noi viviamo

non è quella di un tempo: è totalmente diversa, ma anche nella diversità si

scopre che “alle genti svela di che lagrime e di che sangue” è fatta la sua

storia.

Sulla facciata del Palazzo Reale di Napoli, in Piazza del Plebiscito, fanno

bella mostra di sé, le statue dei re di Napoli. E’ una vera e propria pagina di

storia, sia pure in pietra, ma anche la pietra a saperla ascoltare, ha una sua

voce e quella che si presenta alla vista del viandante il quale, dal normanno

Ruggiero a Vittorio Emanuele II di Savoia, ci può far subito rilevare quali e

quante siano state le dinastie più importanti che si sono succedute sul regno

di Napoli.

Peter Gunn ha considerato Napoli “ un palinsesto”, nel suo omonimo

libro. Ciò appare vero dal fatto che dalle strade, dai monumenti, dalla storia

di tutti i giorni, dai comportamenti del popolo napoletano traspare quanto

già è avvenuto prima e si è stratificato nel tempo anche se ai più non appare

in maniera evidente. Si è trattato in molti casi, di una supina e rassegnata

accettazione del quotidiano anche se in alcuni casi, l’aspirazione era risposta

in un domani migliore con l’avvento di un nuovo governo.

Quella storia in pietra è, tuttavia, manchevole di una delle pagine più

importanti che avrebbe dovuto indicare la presenza in questi territori, del

Vicereame spagnolo, quale longa manus della Spagna, che qui governò con

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indicibili effetti negativi, dal 1503 al 1734, in altre parole per 231 anni

influenzando fortemente il costume, il carattere e la società partenopea.

Tra i personaggi rappresentati su quella facciata, nel suo aspetto freddo e

severo si presenta appunto Alfonso I d’Aragona, della cui vicenda

partenopea pubblica e privata e dei suoi eredi, ci accingiamo a parlare.

L’aspirazione è quella di non rifarci a luoghi comuni fatti di episodi bellici e

di conquista,ma di narrare quanto di positivo la venuta aragonese apportò al

Regno di Napoli anche se tale apporto utilizzò, come sempre accade negli

eventi umani, violenza e sopraffazione.