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Ecra Finanza per la felicità La lezione del microcredito Alessandro A zzi Luigino Bruni Pier Ferdinando Casini Sergio Cofferati Giorgio Gomel Paolo Tarchi Giuseppe Tonello Stefano Zamagni Quaderni della Fondazione

Stefano Zamagni Finanza - creditocooperativo.it

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Ecra

Finanza per la felicitàLa lezione del microcredito

Alessandro AzziLuigino BruniPier Ferdinando CasiniSergio CofferatiGiorgio GomelPaolo TarchiGiuseppe TonelloStefano Zamagni

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Indice

Introduzione 7

Il credito e la responsabilità dell’amministratore pubblicodi Sergio Cofferati 9

L’attenzione del Parlamento agli strumenti della microfinanzadi Pier Ferdinando Casini 13

Banche per lo sviluppo: l’originalità del Credito Cooperativodi Alessandro Azzi 17

Il credito cambia l’orizzonte delle persone. E dei popoli.di Stefano Zamagni 23

Accesso al credito e dottrina sociale della Chiesa di monsignor Paolo Tarchi 31

Rimesse degli emigranti, microfinanza e sviluppo economicodi Giorgio Gomel 37

Economia, finanza e pubblica felicitàLuigino Bruni 43

L’esperienza della finanza popolare in Ecuadordi Giuseppe Tonello 51

Appedice. Carta dei Valori del Credito Cooperativo 59

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Fondazione Tertio Millennio–OnlusVia Massimo D’Azeglio, 3300184 RomaE-mail: [email protected]

I “Quaderni della Fondazione” sono a cura di Marco Reggio

Copertina, progetto grafico e impaginazioneStudio Adinolfi

Introduzione

C on questo numero si avvia il progetto editoriale “Quaderni dellaFondazione”, attraverso il quale la Fondazione Tertio Millennio –

Onlus intende sviluppare un dibattito interno al Credito Cooperativo suigrandi temi valoriali che guidano oggi l’azione delle BCC sul territorio, inpiena sintonia con gli obiettivi istituzionali che la Fondazione si è data.

Questo primo contributo è dedicato al tema della microfinanza e, spe-cificamente, al tema del credito quale strumento idoneo a creare il benes-sere diffuso della collettività o, per dirla con un termine ad effetto, a crea-re “felicità” in quanto armonia e pacifica convivenza sociale.

La pubblicazione riassume i contenuti del dibattito che si è tenuto il 4marzo 2005 a Bologna, presso la sede del Teatro Comunale, nel corso del con-vegno “Finanza per la felicità. La lezione del microcredito” organizzato daFedercasse, Cassa Padana, Emilbanca e dalla stessa Fondazione TertioMillennio, e al quale hanno partecipato autorevoli economisti ed esponentidella cooperazione di credito e del mondo accademico e istituzionale.

Ne è scaturito un documento sull’utilizzo della leva del credito perfavorire l’inclusione sociale, correggendo di fatto l’idea dominante delmicrocredito come strumento riservato a situazioni di grave disagio eco-nomico e sociale nei soli Paesi in via di sviluppo. In questo senso, il CreditoCooperativo non può non rilevare come il ricorso al credito abbia unaforte valenza etica, in linea del resto con gli orientamenti che emergonodalla dottrina sociale della Chiesa cattolica. Una connotazione che necaratterizza l’essenza più profonda ed è in grado di illuminare l’azionedi coloro che hanno la responsabilità di amministrarlo nella varietà disituazioni personali, familiari e imprenditoriali.

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Il credito e la responsabilità dell’amministratore pubblicodi Sergio CofferatiSindaco di Bologna

D are felicità alle persone che rappresenta dovrebbe essere anche tragli obiettivi di un amministratore. La felicità non è una provocazio-

ne, ma un obiettivo legittimo, che può essere praticato attraverso tante scel-te, a volte diverse tra di loro, qualche volta particolarmente innovative, conil fascino di tutto ciò che si presenta per la prima volta.

Ci sono funzioni importanti nel credito e nel risparmio che possonofavorire lo sviluppo e, soprattutto, possono essere strumenti diversi da quel-li tradizionali per un modello di sviluppo. Non è un caso che voi vi rivolgia-te a dei soggetti molto importanti per una comunità come la nostra. Non èun caso che molte esperienze di microcredito siano state fatte in Paesi lon-tani, per favorire una partecipazione e un coinvolgimento diretto, una rela-zione del tutto diversa tra l’utente e la banca.

La vera diversità, rispetto al resto dell’attività finanziaria e al resto dell’attivitànormale del credito e del risparmio, è proprio questa. Considero questo vostromodo di affrontare il mercato, il vostro mercato, un modo corrispondente adalcuni dei valori ai quali cerchiamo di fare riferimento anche noi.

Non è un caso che a Bologna ci sia tanta attenzione verso l’Università. Ilprofessor Zamagni ne è la prova concreta. C’è tanta attenzione intorno aqueste pratiche e anche nella parte più sensibile, ed è molto vasta, delnostro sistema economico e delle imprese.

Oggi le imprese sembrano “sfilarsi” dall’idea di responsabilità sociale, dall’i-dea di costruire la propria identità, di mantenere o rafforzare la propria repu-tazione. Penso che sia stata importante la scelta che l’Unione ha fatto con gli sti-moli che vennero allora da Jacques Delors per spingere il sistema economico ele imprese italiane a imboccare la strada della responsabilità sociale.

È molto difficile la pratica e il rapporto con gli stakeholders. È molto dif-ficile difendere la propria reputazione ed è altrettanto difficile trovare poi glistrumenti concreti con i quali agire perché la responsabilità non sia unasorta di chimera, ma sia il risultato e l’effetto di azioni quotidiane.

D’altro canto la città che vi ospita è una città nella quale non casualmen-te sono nate per prime alcune forme di rappresentanza collettiva, sia in eco-

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ne e di offerta di cultura per le giovani generazioni.Dall’altra parte c’è un vistoso rallentamento dei decessi, perché si vive

meglio. L’allungamento dell’aspettativa di vita è un’altra sfida per l’ammini-strazione, ma se voi sommate insieme l’aumento della natalità con l’aumen-to dell’aspettativa di vita, prodotto, in parte rilevante, anche dalla presenzadi nuovi cittadini – persone che sono nate altrove e vengono a vivere qui –vi rendete conto di come sia importante e impegnativo ciò che deve affron-tare un’amministrazione.

In questa nuova composizione c’è uno sviluppo crescente che voi state aiu-tando e che io considero molto importante: la crescita di nuove imprenditoria-lità, come per esempio il microcredito rivolto verso gli immigrati, verso le per-sone che sono nate altrove e che vengono qui, e che crescono anche qui, oppu-re si portano dai loro luoghi di origine questa voglia di impresa.

Bologna è il segmento di territorio europeo nel quale la vocazione all’im-presa è più alta che altrove: un bolognese su nove è un imprenditore, dun-que anche gli immigrati hanno oramai un’attenzione per le attività econo-miche che non è fatta soltanto della disponibilità del loro lavoro, ma anchedella voglia di intraprendere.

Le ipotesi concrete di intervento come quelle che voi avete praticato edelle quali state discutendo, sono molto importanti per rafforzare questoprocesso di coesione nel quale anche i nuovi cittadini sono importanticome quelli che sono nati qui e che continuano qui a vivere e a partecipa-re alla vita della loro comunità.

Non si tratta dunque, semplicemente, di ipotesi che riguardano unmondo lontano da noi. Riguardano noi, se è vero com’è vero che da oltrecent’anni questa esperienza delle Casse Rurali, che sono il fondamento del-l’esperienza del microcredito, hanno attecchito qui e sono cresciute.

Quando si hanno così tanti anni alle spalle vuol dire che si è importanti.Nulla vive così a lungo se la radice non è profonda, se l’attività non è fecon-da e non trova il consenso di coloro che stanno intorno. Voi questo siete riu-sciti a farlo e siete qui a discutere di un tema che sta molto a cuore anche anoi, per le ragioni che ho provato ad esporre.

Il benvenuto in questa città e il buon lavoro non sono una formula di rito,sono un ringraziamento convinto per quello che fate e per quello che farete sullabase delle discussioni che anche in queste ore siete qui chiamati a sviluppare.

Il vostro lavoro, gli approfondimenti che produrrete e le proposte chefarete saranno guardate da noi con tutto l’interesse, ed è molto alto, chemeritano.

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nomia che nel sociale. Ci sarà pure una ragione se qui è così forte l’idea diagire insieme, e come amministratore ne sono molto contento.

Qui si è organizzata nella seconda metà dell’Ottocento, sostanzialmen-te, tutta la nuova moderna forma di rappresentanza, quella del lavoro,delle imprese, delle professioni e del credito. Se guardate alla storia diBologna e dell’Emilia, ne avete conferma sistematica. Sono nate qui tuttele prime e significative forme collettive di rappresentanza che hannocostruito – anche attraverso il conflitto fisiologico tra rappresentanti diinteressi diversi – una storia che dura tutt’oggi. Ed è molto importante pernoi, perché è questo ciò che dà identità, che garantisce coesione e chepermette ad una comunità di poter crescere.

La capacità attrattiva di un territorio come quello di Bologna è data dadue cose che si sono storicamente sommate: la forte capacità di innovare inun sistema produttivo autoctono – non ci sono mai state qui grandi presen-ze internazionali – unita a ciò che veniva prodotto dall’Università, la più anti-ca Università del mondo, e dai centri di eccellenza. Questo ha rappresenta-to una molla, un motore per lo sviluppo e per la crescita. Dall’altra partec’era la coesione sociale, il viver bene di una comunità, quel viver bene chedà protezione alle persone, le rende partecipi e non conflittuali. Queste duecose insieme hanno fatto la forza di questi territori. Nella coesione e nellaprotezione ci sono tante forme possibili ed efficaci che possono essere atti-vate dall’amministrazione, che possono nascere spontaneamente, comenacquero spontaneamente le Casse Rurali, le cooperative, le varie organiz-zazioni del lavoro, da quello autonomo a quello dipendente. Tutte formeche, nella relazione che hanno costruito lungo il tempo, hanno garantitoflessibilità al sistema, capacità di attrarre, capacità di svilupparsi e di cresce-re, dunque benessere diffuso.

Quello che voi state qui proponendo, quello sul quale da tempo lavorate,sono secondo me la naturale evoluzione e prosecuzione di alcuni di questi valo-ri: l’idea della sostenibilità, che passa da un ruolo attivo delle persone coinvol-te nei processi economici, ma anche un’idea visibile e forte di solidarietà.

La nostra città è sfidata da cambiamenti profondissimi della sua strutturae della sua composizione sociale. A Bologna, da qualche anno, siamo in pre-senza di una crescita del tasso di natalità. Le tante parole spese, qualchevolta anche ironicamente, sulle nostre condizioni demografiche, non hannopiù fondamento. A Bologna, ed è un risultato importante ed è un dato estre-mamente positivo per la comunità, sono tornati a nascere bambini. Questosfida l’amministrazione a pensare alla scuola, al percorso lungo di formazio-

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L’attenzione del Parlamento agli strumenti della microfinanzadi Pier Ferdinando CasiniPresidente della Camera dei Deputati

I l microcredito, a dispetto della sua stessa denominazione, rappresentaoggi una realtà importante e complessa. Questo convegno ne coglie

assai efficacemente le tante dimensioni. Accanto all’aspetto economico neesiste uno di ordine etico e culturale; i profili nazionali si intersecano conquelli internazionali: non è un caso che l’Assemblea generale delle NazioniUnite abbia proclamato il 2005 “Anno Internazionale del Microcredito”.

E forse non è nemmeno un caso che la riflessione odierna sia stata pro-mossa e si svolga proprio in questa città, che unisce alla sua lunga e ricono-sciuta tradizione di vitalità economica un altrettanto radicato spirito di soli-darietà e di apertura verso gli altri.

Sono qualità che testimoniano con efficacia un dato di fondo: la realtàdel nostro microcredito si adatta per sua stessa natura ai caratteri struttura-li del nostro sistema economico. Un sistema in cui i protagonisti hanno ingran parte dimensioni medie o piccole, ma che però trae proprio da questasituazione una carica vitale straordinaria, che non ha forse paragoni nel restodel mondo.

È un dato di fatto: così è stato in passato e così non potrà che essere infuturo, a meno di non avventurarsi in una improbabile opera di riconversio-ne radicale della struttura della nostra economica.

Lo aveva intuito uno dei grandi maestri della dottrina sociale cattolica,Giuseppe Toniolo quando già nel 1909 scriveva che in Italia “nel suoingrandirsi, la banca impresa subisce dei limiti. Si perde in intensità ciòche si guadagna in estensione”. Basti pensare all’agricoltura e all’artigia-nato, da sempre assi portanti dell’economia italiana, in cui è ancora assaidiffusa la dimensione unipersonale.

In un quadro così vario ed articolato il microcredito rappresenta una levaimportante, che deve essere azionata con attenzione e con sagacia. Comepoche altre realtà, essa è infatti in grado di intercettare la domanda più pres-sante che sale dalle piccole imprese: quella del reperimento delle risorsefinanziarie per la propria attività.

Si tratta di una questione complessa, della quale il microcredito costitui-

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di strade, ferrovie, porti, insediamenti industriali – richiede capitali ingenti,investimenti a lungo termine, l’impegno di sistemi organizzativi articolati ecomplessi. Non è questo il terreno della microfinanza.

Sarebbe tuttavia un grave errore considerare le condizioni di contesto intermini puramente materiali. C’è anche un contesto immateriale – fatto difiducia, di esposizione equilibrata al rischio, di apertura positiva ai mutamentied all’innovazione – in mancanza del quale ogni intervento infrastrutturale,per quanto grandioso, rischia di non raggiungere gli effetti attesi.

Nel creare questo contesto la finanza di piccola dimensione può farsirealmente mezzo per la felicità.

Lì dove la dignità dell’uomo è esposta alle offese gravi della mancanza,della privazione e del bisogno, l’agevolare l’avvio di una attività imprendito-riale o contribuire comunque alla soddisfazione di una necessità materiale,per quanto piccola possa essere, rappresenta un volano fortissimo per valo-rizzare lo spirito di iniziativa individuale e, al tempo stesso, il senso diresponsabilità dei singoli nei riguardi della società in cui vivono.

In questo senso, il microcredito costituisce uno strumento privilegiatotra quelli che, favorendo lo sviluppo, promuovono la ricchezza delle nazionie la pace fra i popoli.

sce ovviamente solo un tassello. Ma che la microfinanza possa giocarvi unruolo attivo è una consapevolezza che comincia a diffondersi presso gli ope-ratori impegnati in prima linea su questi temi.

Il Parlamento ha dimostrato una attenzione concreta agli strumenti dellamicrofinanza: ricordo ad esempio le misure introdotte di recente per favori-re lo sviluppo dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi. Ma molto significa-tivo mi sembra anche il fatto che nella stessa direzione si sta orientando lostesso sistema bancario, che sta apprestando gradualmente i servizi indi-spensabili.

Bisogna allora proseguire su questa strada: lo sviluppo del microcredito– in una prospettiva di equilibrio e di stabilità – è uno strumento di cui lapolitica economica ed il sistema produttivo italiano non possono privarsi.

L’obiettivo di una crescita economica sostenuta ed allo stesso tempo sta-bile ed equilibrata non rappresenta una sfida solamente italiana: tutta lacomunità internazionale si sta interrogando sulle strade da seguire perrispondere ai mutamenti dell’economia globalizzata, soprattutto per evitareche le grandi opportunità che oggi si schiudono possano tramutarsi doma-ni, nelle realtà più difficili, in fattori di esclusione e di ritardo.

C’è dunque un ambito più ampio in cui la pratica del microcredito puòprodurre effetti nuovi e fecondi: quello della cooperazione internazionale infavore dei Paesi in via di sviluppo. E questo soprattutto nella fase presente,in cui il sistema dei finanziamenti “a pioggia” ispirato ad un modello di tipovetero-assistenziale, ha manifestato con chiarezza tutti i suoi limiti.

Oggi la frontiera della cooperazione internazionale sta nel creare sul ter-ritorio le condizioni strutturali per avviare il circuito di uno sviluppo solidoe duraturo. Non sorprende, dunque, se le istituzioni che esercitano questaforma di credito si stanno diffondendo rapidamente proprio nei Paesi in cui,anche secondo i dati delle Nazioni Unite, è scarsa la possibilità di accesso aitradizionali canali del finanziamento bancario.

È in quei contesti difficili che il microcredito ha una marcia in più.Sostenere progetti che nascono dall’iniziativa degli individui e delle comu-nità locali significa affermare un modello di sviluppo vincente: un modelloradicato direttamente nella cultura e nelle tradizioni dei popoli e volto amettere a frutto le risorse e le potenzialità degli uomini lì dove esse si sonoformate e sono maturate.

Nessuno si illude ovviamente che questa azione possa sostituirsi aglistrumenti della cooperazione gestiti direttamente dalle istituzioni pubbli-che. Il contesto infrastrutturale di un Paese in via di sviluppo – quello fatto

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Banche per lo sviluppo: l’originalità del Credito Cooperativodi Alessandro AzziPresidente di Federcasse Presidente della Fondazione Tertio Millennio – Onlus

I n un momento nel quale la finanza è sollecitata ad interrogare se stes-sa, a riflettere sul proprio ruolo nell’economia globalizzata, a chiedersi

se essa debba ritenersi funzionale, e in che modo, allo sviluppo, e poi a qualemodello di sviluppo, in questa stagione storica parlare di microcredito (o dimicrofinanza o di finanza popolare) ha un valore ed un sapore che è anchepolitico. Vuol dire richiamarsi a valori di fondo, da cui discendono strategie econcrete scelte operative. Vuol dire sostenere, con forza, che non può esistereuna finanza che sia meramente speculativa. Vuol dire ricordare che credito erisparmio cambiano l’orizzonte delle persone. Perché ottenere credito signifi-ca ottenere “fiducia”, acquisire, attraverso la “cittadinanza economica”, anchequella “sociale”. Significa, in ultima analisi, contribuire a tracciare un processodi crescita che parte dal basso, che mira ad includere e valorizzare le risorse diognuno, piccole o grandi che siano, decentrando le opportunità.

L’esperienza che ho avuto la possibilità di vivere in prima persona visitandol’Ecuador, nell’ambito del progetto Microfinanza Campesina che la categoriadelle BCC sta conducendo in partnership con Codesarrollo ha però accresciu-to la mia convinzione e la mia determinazione su come e quanto la finanzapopolare cambi la vita delle persone. In minuscole comunità, spesso difficil-mente raggiungibili, ad altitudini da vertigine, ho visto da vicino cosa il circuitodella fiducia applicato alla finanza può produrre. Lì si agisce su bisogni primarie vitali dell’uomo: l’acquisto di un piccolo attrezzo da lavoro, di un animale, disementi sono microinvestimenti che cambiano davvero la vita, perché signifi-cano cibo, poi una casa non di fango e paglia, poi il miglioramento delle con-dizioni sanitarie e la possibilità di andare a scuola.

Mi viene in mente la storia di una piccola donna, leader di una coopera-tiva di donne. Ci descriveva la loro storia come raccontasse della loro libera-zione. Ci spiegava che con il piccolo prestito della Cassa Rurale hanno com-prato dei porcellini, poi dei maiali, e via via animali più grandi. Hanno avutocarne e latte. Non più fame e qualche risorsa da investire. Sono arrivate a

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stare e vivere solo con gli altri. D’altronde, fiducia, coesione, motivazionenon a caso sono oggi censiti tra gli asset di un’azienda, costituendone unospecifico capitale. Peraltro di immenso valore, perché inimitabile o difficil-mente riproducibile.

È pienamente soddisfacente il Pil, il Prodotto interno lordo, che rappre-senta il reddito di un Paese sulla base del calcolo di tutti i beni e servizi fina-li in esso prodotti in un determinato periodo di tempo, o – forse – dovrem-mo introdurre un indice a più largo spettro, ad esempio il Fil, l’indice diFelicità interna lorda, nel quale abbiano spazio anche fattori intangibili comela fiducia, la coesione, lo spirito imprenditoriale, la stessa felicità? Vale lapena soffermarsi su questa sfida, che non pochi organismi e studiosi hannolanciato e va sostenuta la ricerca in questa direzione, perché davvero il Pilnon riesce a raccontare il livello di soddisfazione e di felicità di una nazione.Ed anche quella è crescita.

Le “finanze popolari” sono un fenomeno in crescita, ma con ampi mar-gini di ulteriore diffusione. Dal 1997, anno in cui si è svolto il primo SummitMondiale del Microcredito, al quale parteciparono rappresentanti da 137Paesi, con il sostegno di numerosi capi di stato e di governo e l’incoraggia-mento delle istituzioni internazionali, sono stati formulati 2.186 programmidi microfinanza, secondo il Rapporto della Campagna internazionale delmicrocredito.

Alla fine del 2001, i programmi di microcredito attivi nel mondo rag-giungevano circa 55 milioni di persone, quasi 24 milioni in più rispettoall’anno precedente. I destinatari dei crediti considerati “poverissimi” erano27 milioni, e di questi 21 milioni 170 mila erano donne.

Ma, al di là dei numeri, qual è la lezione che arriva dalla “finanza popola-re”? Innanzi tutto ci riporta, e ci richiama, all’origine e all’essenza del nostromestiere di “fare banca”.

Ma ci insegna anche altro. E traggo spunto dalle esperienza che il CreditoCooperativo sta vivendo. Penso al Cile, Paese nel quale 8 BCC venete insie-me al Mlal (Movimento Laici America Latina) hanno avviato un programmadi microfinanziamenti a favore di giovani imprenditori e indigeni Mapucheche vivono e lavorano nelle grandi periferie di Santiago e nel sud del Paese.Penso, in particolare, all’Ecuador, nel quale la nostra categoria, in partner-ship con Codesarrollo, cooperativa di secondo livello, sta promuovendo esostenendo lo sviluppo di una rete di Casse Rurali nel Paese andino.

Ricordo, per coloro che non conoscessero in dettaglio questo progetto,la Microfinanza Campesina, che esso opera ormai da quattro anni e si pone

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realizzare il sogno del pieno riscatto comprandosi la loro terra. OppureMarina che viveva alle porte di Quito, tre figli ed un marito che l’ha lasciata,che con un prestito di 20 dollari e una vicinanza e comprensione senza prez-zo da parte delle altre socie della Cassa, ha potuto avviare una piccola atti-vità di coltivazione. Il nome di quella Cassa Rurale era “Nueva Vida”.

Consideriamo, però, che questo circuito, con qualche doveroso adattamentoai diversi contesti, non è stato poi molto diverso anche qui in Italia. Ed è ancoraattuale la riflessione sul tema dell’inclusione. Se, infatti, secondo il ProgrammaOnu per lo Sviluppo, l’80% della popolazione mondiale ottiene solo il 5,4% delcredito erogato dal sistema bancario e, secondo il Rapporto sullo Sviluppo delPianeta 2002 della Banca Mondiale, i Paesi dove larghi strati della popolazionevivono con meno di un dollaro al giorno ricevono solo l’1,1% del credito mon-diale, è pure vero che il tema riguarda anche i Paesi ricchi.

Nel nostro Paese, secondo l’indagine sui bilanci delle famiglie dellaBanca d’Italia, oltre 2 milioni 900 mila famiglie, il 14,1% del totale, non acce-de ai servizi bancari.

Per tutte le ragioni che ho citato, vorrei però proporre un cambiamentodi terminologia. Per convenzione, infatti, definiamo questa operatività“microfinanza” facendo riferimento agli importi unitari esigui all’interno digrandi flussi; dovremmo chiamarla, invece, finanza con la “f ” maiuscola.Penso sia, infatti, una finanza “grande” quella che consente alle persone diguardare con maggiore speranza al proprio futuro. Allora, come ci invitanoa fare i nostri amici dell’Ecuador, la chiamerò “finanza popolare”. Popolare:ovvero dei popoli, ovvero plurale e accessibile.

Parlo di una finanza che si compromette, al servizio di obiettivi che la tra-valicano. E che non si limitano al semplice aumento della ricchezza e del red-dito procapite, non rientrano nel perimetro di una generica crescita, non siaccontentano neppure di riferirsi allo “sviluppo”, ma puntano ad uno svi-luppo con specifiche qualità ed accezioni: uno sviluppo che parte dal basso,che coinvolge, che promuove protagonismo e cooperazione.

Il messaggio che intendiamo ribadire, in primo luogo al nostro internoma anche oltre, è che la finanza deve essere per la felicità, ovvero per il ben-essere, che volutamente pronuncio staccato, inteso in senso globale. E nonsi tratta affatto di sterile utopia o di buonismo, ma di realismo, anche da unpunto di vista economico. Gli economisti hanno infatti sottolineato che nonc’è, nel mondo occidentale, nessun collegamento fra trend di aumento delreddito procapite e soddisfazione delle persone e delle comunità locali, per-ché la felicità non è un bene individuale ma relazionale, che si può conqui-

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ti aiuto adesso nell’aspettativa (assolutamente vaga, incerta e non calcolata)che tu mi aiuterai in futuro. Sarebbe peraltro questo uno dei meccanismi suiquali si basa l’efficienza della finanza popolare.

Io credo che la reciprocità sia un atteggiamento di intelligente rispetto,oltre che di lungimiranza. Perché non ci può essere uno sviluppo dei poverisenza i poveri ed un loro ruolo attivo. Ed in questa logica funziona la formulacooperativa, basata sul protagonismo dei soggetti e delle loro comunità, sulcoinvolgimento dei poveri, non solo come “portatori di esigenze”, ma anchecome parte della soluzione dei problemi. E non a caso la grammatica coopera-tiva pare funzionare a qualunque latitudine. Sulle Ande e nel cuore dell’Europa.

Terza lezione, infine (ma solo per dovere di sintesi): il dovere di pensarein termini “politici”. Perché si possa parlare davvero di “finanza per lo svi-luppo” è necessario, infatti, puntare non soltanto sulla concretezza e sul-l’immediatezza della risposta alle mille esigenze che la situazione sollecita,ma progressivamente avere l’ambizione, e l’attenzione, di presidiare le poli-tiche che i singoli casi sottendono. Per cercare di dare risposte che, oltreall’immediato, guardino anche al lungo periodo. Per incidere davvero. E,allora, è necessario riferirsi anche ai contesti regolamentari, che hanno,ovviamente, un rilievo decisivo nel determinare o meno la crescita di un’e-sperienza. In Italia le Casse Rurali si sono affermate anche perché un notogovernatore della Banca d’Italia degli anni ’50, Donato Menichella, pensava,sono le sue parole, che “i capitali dovranno essere soprattutto forniti da isti-tuzioni piccole, periferiche, che vivano accanto ad ogni piccolo proprietario,che vivano della sua stessa vita, giacché chi sta lontano non riesce ad apprez-zare la natura del bisogno e la serietà del bisogno”. Occorre perciò che leregole tengano conto del valore e della funzione delle finanze popolari.

Abbiamo sostenuto, e non per piaggeria, che dal progetto MicrofinanzaCampesina abbiamo imparato molto. Di fatto, questa esperienza si sta rivelandola più grande “scuola di formazione” delle nostre BCC. Una scuola, professiona-le ed umana insieme, frequentata ormai da oltre 200 tra amministratori e dirigentidel Credito Cooperativo, che ha dato di ritorno, una motivazione, un entusiasmo,uno slancio che nessun altro corso sarebbe mai riuscito a generare.

Inoltre, dalla Microfinanza Campesina viene un ulteriore stimolo alnostro “fare sistema”, perché è un’esperienza che costruisce ponti, tesserelazioni, crea legami.

Infine, è uno stimolo al recuperare l’orgoglio di fare banca per lo svilup-po. Come banchieri e come bancari. Ed un tonico alla nostra capacità diintraprendere, di sognare e di realizzare.

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l’obiettivo di “invertire i flussi della ricchezza”, ovvero di contribuire adattuare un semplice principio, quello che i nostri amici sintetizzano nello slo-gan “il denaro dei poveri per i poveri”, trattenendo la manodopera, la ric-chezza, i risparmi laddove vengono generati, puntando sull’autosviluppo. IlCredito Cooperativo ha messo a disposizione un plafond, che oggi ha supe-rato i 13 milioni di dollari, con la recente sottoscrizione del pool delle BCClaziali e di quelle venete (quest’ultimo prestito, tra l’altro con un arco tem-porale di sette anni, consentirà di erogare crediti ai campesinos per il riscat-to della terra). Il tasso praticato è del 4%. Tale provvista è utilizzata daCodesarrollo, attraverso la sua capillare struttura decentrata, per erogare ifinanziamenti alle singole banche o eventualmente ai loro clienti, laddove cisono le realtà meno organizzate. A queste risorse, si affiancano quelle rac-colte come azioni di donazione, che vanno ad irrobustire il patrimonio diCodesarrollo, ampliandone la capacità operativa. Inoltre, il CreditoCooperativo ha messo a disposizione le proprie esperienze e competenze, ilproprio know-how e ha lavorato per facilitare le relazioni tra Codesarrolloed alcuni organismi istituzionali: penso alla Banca Interamericana diSviluppo (Bid), all’Ifad (Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo), maanche al prezioso rapporto che si è creato tra organismi regolatori di Italiaed Ecuador, come la Banca d’Italia e l’omologa Superintendencia de Bancos,in vista della formulazione di una riforma legislativa che riconosca e favori-sca il ruolo delle Casse Rurali nel Paese andino.

Sono sostanzialmente tre le “lezioni” che possiamo trarre da questa esperienza. La prima è che, nella promozione dello sviluppo, il capitale finanziario è

soltanto uno degli ingredienti. Essenziale, ma non determinante. Ci sono,infatti, altre dotazioni di capitale di cui è necessario disporre: il capitaleumano, quello relazionale, quello infrastrutturale, quello fiduciario.

Occorre, allora, puntare sull’education. Far crescere, dal basso, la cultu-ra, privilegiando la formazione, anche come garanzia che il meccanismo, unavolta innescato, si possa mantenere, autosostenendosi. In secondo luogo,occorre lavorare in una logica di coalizione e di rete. Un progetto sarà vin-cente, sarà davvero un buon progetto, infatti, quanto più sarà condiviso,quanto più sarà espressione e motore di “rete”. Si pensi, tanto per essereconcreti, ai vitali collegamenti tra finanza, progetti di miglioramento opera-tivo, organizzazioni non governative, rete del commercio equo e solidale.

La seconda lezione è quella della reciprocità. Un filosofo ha affermatoche nella reciprocità c’è una sorta di combinazione di ciò che si potrebbechiamare altruismo di breve periodo e interesse personale di lungo periodo:

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Il credito cambia l’orizzonte delle persone. E dei popolidi Stefano ZamagniDocente di Istituzioni di economiaUniversità di Bologna

S e chiedessimo all’uomo della strada di associare alla parola finanza un’al-tra parola, difficilmente ascolteremmo la parola “felicità”. Eppure, biso-

gna ricordarlo sempre, questo termine è all’origine dell’attività finanziaria.Quando la finanza, per come noi la intendiamo oggi, è nata, è stata considera-ta da subito un veicolo per la felicità pubblica: essa, infatti nasce all’interno diuna particolare matrice culturale, che prende forma in quella fase storica chevede la fine del feudalesimo e l’avvento dell’umanesimo civile.

I primi banchieri sono stati i francescani, cosa su cui non riflettiamo abba-stanza. I francescani – l’ordine che più aveva fatto della povertà, ma nondella miseria, la cifra della propria identità religiosa. È questo un fatto, su cuinon si riflette abbastanza.

Il concetto di banca moderna prende vita dai Monti di Pietà. Il primo nac-que a Perugia, nel 1467 poi si diffusero a Siena, Bologna, Ascoli, e via viaaltrove. Decisiva, al riguardo, fu la predicazione di Bernardino da Siena e diBernardino da Feltre. Nessuno prima di allora aveva pensato di inventare labanca. C’erano bensì i cambia valute, e quelli che prestavano denaro spessocon intenti usurari, ma non c’era la banca intesa in senso moderno. Un gran-de economista come Schumpeter non ha avuto esitazioni ad indicare comela prima elaborazione di pensiero economico non sia avvenuta in Inghilterra(o in America, che ancora non si conosceva), ma è nata qui da noi in Italiaall’interno del pensiero francescano.

La frase tratta dall’insegnamento francescano (databile alla fine delTrecento) che mi ha sempre colpito e che non esito a farla commentare aimiei studenti è la seguente: “L’elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vive-re. Perché vivere significa produrre e l’elemosina non aiuta a produrre”.

Se si riuscisse a capire l’intensità e l’efficacia di una proposizione delgenere non ci sarebbe bisogno di molto d’altro. Ripeto, siamo alla fine delTrecento in casa francescana. Qual è, allora il significato di tale insegna-mento? Si può vivere e si può sopravvivere, ma per vivere bisogna produr-re. Questo vuole dire mettere tutti nelle condizioni di partecipare al “gioco

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ra, essi risparmiano. Inoltre anche i poveri sono capaci di attivare iniziativedi microimprenditorialità, ma non hanno coloro i quali sono disposti ascommettere sulle loro capacità. Per questo il razionamento del credito col-pisce i poveri doppiamente, perché non consente loro di crescere, utiliz-zando quegli stessi strumenti che invece vengono riconosciuti a chi è piùdotato di risorse, a chi, paradossalmente, avrebbe meno bisogno.

Capiamo che questo è un paradosso che deve farci riflettere. Questomodo di ragionare ci porta a comprendere che la povertà oggi non è solomancanza di reddito e neppure incapacità di spesa. Oggi povertà è essen-zialmente privazione e vulnerabilità. Senza strumenti che ci aiutino a svilup-pare il nostro potenziale, che ci privino di opportunità di crescita, non riu-sciamo a vivere, cioè ad essere persone autenticamente umane. Ebbene, lostrumento che oggi maggiormente attua la possibilità di sviluppare le capa-cità e quindi di togliere dalla privazione è lo strumento finanziario.Ragionare in questi termini porta a conseguenze di grande momento.

L’altro aspetto della povertà oggi è la vulnerabilità. Questo significa chele emergenze o le incertezze di cui tutti inevitabilmente soffriamo e che sem-pre ci saranno, colpiscono maggiormente i meno abbienti, i più poveri. Difronte ad un’emergenza è sempre il più povero che soffre di più, proprioperché è più vulnerabile. Ne deriva che dobbiamo riuscire a comprendereche le forme di aiuto o di lotta alla povertà oggi devono sempre più assu-mere la forma dell’asset building e sempre meno quella dei trasferimenti direddito. Ci vorrà ancora del tempo perché questa idea si affermi nell’opi-nione pubblica e soprattutto nella mente e nella agenda dei nostri politici.

La mia tesi è che da adesso in poi i nostri poveri avranno soprattutto biso-gno di proteggersi dalla vulnerabilità, e per sconfiggere la vulnerabilità cheguarda al futuro e non al presente abbiamo bisogno di aiutarli nella costruzio-ne di beni patrimoniali. Altrimenti se noi insistiamo con il trasferimento di red-dito, anche con la leva del fisco, quello che succede è che “costringiamo” ipoveri ad adottare in forma perversa il modello neoconsumista.

Di queste cose molti non parlano perché a qualcuno tutto ciò può darfastidio. Certo, questa è una posizione che ha delle conseguenze moltoimportanti. Ce lo ha ricordato di recente papa Giovanni Paolo II quando haavvertito di fare attenzione al neoconsumismo, perché questo costringe ipoveri a rimanere tali, a consumare beni che spesso non sono importanti odessenziali, ma servono solo ad assecondare fenomeni di imitazione.

Il modo per aiutare i poveri è insegnare loro come si gestisce il rispar-mio. Il sistema delle banche commerciali, non ha interesse a fare ciò. Se io

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economico”, cioè consentire a tutti di produrre e di contribuire al benecomune. Con l’elemosina ti do da mangiare, ma non ti consento di pro-durre, ti faccio sopravvivere ma non ti aiuto a vivere.

Parlare di “finanza per la felicità” vuol dire recuperare oggi, a distanza dioltre sei secoli, una intuizione profonda che è stata magna pars in quella cul-tura che si è soliti identificare con l’umanesimo civile. Noi italiani abbiamoregalato al mondo il modello di civiltà cittadina, ed uno dei punti centrali dellaciviltà cittadina è stata l’economia di mercato e, con esse, la finanza.

Questi fatti vanno ricordati, perché altrimenti sembra che l’idea delmicrocredito o anche della microfinanza siano nate solo in questi ultimianni. Male facciamo noi italiani ad andare al seguito di altre correnti di pen-siero, dimenticando in tal modo le nostre radici. Ovviamente le forme così,come gli strumenti finanziari, sono oggi diversi, ma l’idea base della finanza,che la si voglia chiamare etica o adesso microfinanza, risale a oltre sei secolifa così come le evidenze storiche mostrano.

Nell’attuale passaggio d’epoca se c’ è una parola che è inflazionata è la paro-la “diritto”. Mai come in questo momento storico si è sentito parlare di diritti. Èuna cosa bella, però ci si dimentica – mentre affermiamo questo – che c’è undiritto che ancora non è messo al centro dell’attenzione: il diritto dell’accesso alcredito, e il diritto alla gestione razionale del risparmio. Chissà perché, quandoparliamo di diritti il riferimento è sempre e solo ai diritti civili, ai diritti sindacali,ai diritti politici, ai diritti religiosi e non anche al diritto, che ogni essere umanodeve vedersi garantito, di poter vivere e non solamente sopravvivere.

Nei nostri stessi Paesi dell’Occidente avanzato, tra cui l’Italia, l’idea in base allaquale sono tanti oggi coloro i quali vogliono uscire dalla povertà rifiutando peròl’assistenzialismo; coloro che vogliono uscire dalla povertà servendosi delleopportunità che il mercato – inteso come istituzione economica-fondamentale –è in grado di offrire loro. Abbiamo ancora nel retro della nostra mente l’ideasecondo la quale i poveri vanno aiutati con l’elemosina oppure, per usare unaparola un po’ più di moda, con la filantropia, pubblica o privata che sia.

Dobbiamo invece capire una volta per tutte che la filantropia non portalontano perché, così come accade con l’elemosina, può servire per le situa-zioni di emergenza, ma non si può pensare di far uscire dalle trappole dellapovertà soggetti – sono tantissimi – con strumenti che neppure i francesca-ni del Trecento avevano individuato come risolutivi.

Tutto questo porta a comprendere che se c’è una categoria di soggettiche ha bisogno dei servizi finanziari è quella dei poveri. Sono questi ultimiche hanno particolare bisogno dei servizi, perché anche se in piccola misu-

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to, che però andranno usate in relazione alle varie politiche di aiuto. Lamicrofinanza rivolta a quella fascia che abbiamo chiamato dei “poveri eco-nomicamente attivi”, deve poter essere sostenibile.

Nella storia ormai ultrasecolare del movimento cooperativo, italiano inparticolare, troppo a lungo si è ritenuto che le ragioni della cooperazionepotessero essere difese adeguatamente sulla base di accordi, di coperture, ofiancheggiamenti con il mondo della politica.

Dobbiamo invece capire che oggi tutto questo non serve più: il movi-mento cooperativo deve tornare a credere che mai potrà esservi un pro-gresso duraturo per le proprie idee, e soprattutto per questo tipo di impre-sa, senza la produzione di un pensiero forte, robusto, di un pensiero orien-tato all’azione e non di un pensiero astratto. In altre parole, dobbiamo tor-nare a capire che una realtà come quella del movimento cooperativo nonpuò reggersi da sola e neppure con il sostegno, come dire, della dimensio-ne politica. Dobbiamo tornare a produrre un pensiero orientato all’azione.

Non è un caso che andando a frequentare gli ambienti universitari, italianie stranieri e leggendo i testi su cui si formano i nostri giovani, si trovino benpochi libri che parlano di microfinanza. Lo stesso Credito Cooperativo vienenon dico dimenticato, ma visto con sufficienza. C’è poi il maligno di turno cheparla della copertura politica che ha garantito gli sgravi fiscali, il che è una men-zogna. Si capisce però che è questo il modo in cui si formano le opinioni; chepoi vengono divulgate dai media. Si tratta allora di produrre un pensiero chedimostri la fallacia di quelle argomentazioni, perché – come ormai dimostra lapiù recente elaborazione di teoria economica – la forma cooperativa di impre-sa non è affatto una forma di impresa. Il problema è che oggi nessuno dice que-sto, e purtroppo le teorie economiche sul comportamento degli uomini cam-biano il loro comportamento. Ad esempio, se scrivo e insegno che l’impresacooperativa non ha ragion d’essere, non ha futuro, questa teoria quando venis-se creduta e imparata genererà esattamente quel risultato.

Questo vuol dire anche che il movimento cooperativo deve tornaread investire in cultura; obiettivo questo che, deve essere detto, non sem-pre è stato perseguito con lungimiranza. Ricordo che i Probi pionieri diRochdale, nel 1844, quando nacque la prima cooperativa di successo,inserirono nel loro statuto (per altro in un momento storico in cui inInghilterra la fame “si tagliava a fette”) la seguente clausola: “Il 5% degliutili di esercizio di ogni anno deve essere investito in formazione e cul-tura”. Il 5%, in un’epoca in cui uno poteva pensare che l’unico obiettivoera quello di sopravvivere! Ed in effetti era proprio così!

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vado in una banca commerciale con mille, duemila, tremila euro all’anno dirisparmio, quella banca non me li prende perché i costi di transazione, comediciamo noi, sono superiori al vantaggio che essa può trarne. I poveri in que-sto caso sono costretti a consumare e allora avete i paradossi di gente chevive in baracche, ma che ha l’ultimo modello di telefonino.

Su tutto questo si innesta il tema della microfinanza. Che non è solo micro-credito, ma anche gestione del risparmio. Le Casse Rurali sono nate esatta-mente per questo: non solo per fare credito, ma anche per gestire il risparmiodei piccoli risparmiatori. Ora, è indispensabile distinguere tra due categorie dipoveri: quelli che nel linguaggio internazionale vanno sotto il nome degli “eco-nomically active poor” e gli “extremely poor” cioè tra i poveri economicamen-te attivi e i poveri estremi. I poveri “estremi” o “assoluti” sono coloro i qualihanno, meno di due dollari al giorno per vivere; in altre parole sono coloro chea stento sopravvivono e il loro numero ammonta oggi un miliardo. Esiste peròl’altra categoria di poveri, quelli che si collocano nella fascia di reddito che vatra la linea della povertà assoluta e la linea della povertà relativa. Il loro nume-ro è stato stimato dalla Banca Mondiale in 500 milioni di persone circa.

La microfinanza, nella forma sia del microcredito sia del microrisparmio,deve allora caratterizzarsi in maniera diversa. E il pericolo che corrono colo-ro i quali si battono per migliorare questa situazione è di essere derisi difronte agli insuccessi. È questa la ragione per la quale non possiamo per-metterci di sbagliare. Ecco perché, per esempio, chi opera all’interno delmovimento cooperativo nelle sue varie espressioni ha una responsabilità inpiù: se fallisce un’impresa di tipo capitalistico tutti diranno “è normale”,“fisiologico”, “se muore un’impresa ne nasce un’altra”. Ma se fallisce un’im-presa cooperativa è un disastro inteso in senso culturale, poiché ci sarannomolti pronti a dire: “Avete visto? Le vostre idee sono mera utopia, non fun-zionano abbandoniamole, lasciamo perdere”.

Per questi motivi è importante che nella progettazione e nell’azionedalla microfinanza si debba chiarire se ci rivolgiamo ai poveri estremi o aipoveri economicamente attivi. Per come è la situazione attuale, a questaseconda categoria (secondo dati della Banca Mondiale nel 2003), in tutto ilmondo, sono stati destinati 2.572 progetti per un totale di circa 67 milioni dipersone raggiunte. Rispetto all’esistenza di mezzo miliardo di persone nellafascia dei poveri economicamente attivi questo è un dato che fa riflettere.

Una riflessione può essere legata al fatto che agire in quest’ultimo setto-re vuol dire assicurarsi un mercato importante. Nei confronti invece deipoveri “estremi”, è chiaro che si possono anche attivare forme microcredi-

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per usare la celebre frase di Polanyi. Da qui l’appello rivolto alla società civile a“proteggere la società” dal mercato, con l’argomento che i rapporti veramenteumani (come l’amicizia, la fiducia, il dono, la reciprocità non strumentale, l’a-more, ecc.), risulterebbero erosi dalla logica di mercato. Questa visione, chepure coglie alcune dinamiche dei mercati reali, tende a vedere l’economico eil mercato come di per sé disumanizzanti, come meccanismi distruttori di quel“capitale sociale” indispensabile per ogni convivenza autenticamente umanaoltre che per ogni progresso economico.

È da questa polarità di visioni che sono discese, a livello politico, le dueconcezioni, ancor’oggi prevalenti, circa il modo di concepire il ruolo delmercato nelle nostre società. Da un lato, quella del mercato come mezzo perrisolvere il problema politico, una concezione pienamente in sintonia con lospirito, anche se non sempre con la prassi, del liberalismo classico. Dall’altrolato, quella del mercato come “male necessario”, di una istituzione cioè dicui non si può fare a meno, ma pur sempre “male” da cui guardarsi, e dun-que da tenere sotto controllo ad opera dello Stato.

La visione del rapporto mercato-società favorita dalle BCC si colloca inuna prospettiva radicalmente diversa rispetto alle visioni oggi prevalenti.L’idea centrale di tale visione è una concezione che guarda all’esperienzadella socialità umana e della reciprocità all’interno di una normale vita eco-nomica, né a lato, né prima, né dopo. Essa ci dice che i principi “altri” dalprofitto e dallo scambio strumentale possono – se si vuole – trovare postodentro l’attività economica. In tal modo si supera certamente la visione chevede l’economico come luogo eticamente neutrale basato unicamente sulprincipio dello scambio di equivalenti. Ma si va oltre anche l’altra concezio-ne che vede la solidarietà appannaggio di altri momenti o sfere della vita civi-le, una visione questa che non è più sostenibile.

Chiudo con un messaggio che ci viene da un celebre racconto di Kafkadal titolo “La Tana”. È la storia di uno strano animale preso dalla fissazioneche un qualche estraneo possa penetrare nella tana e disturbarlo, fargli delmale. E per questo escogita ogni sorta di sistema di sicurezza occupandorisorse e tempo per alzare barriere, fino al punto di ridurre ogni occasionedi incontro con gli altri. Il racconto di Kafka finisce con la tana che si tra-sforma in una trappola mortale. Ecco, il movimento cooperativo oggi deveassolutamente evitare che la tana, cioè il successo che ha ottenuto – meri-tandoselo pienamente – possa trasformarsi in una trappola mortale. Ma homotivo di ritenere, per la conoscenza che ho dei fatti, che così non sarà. Oper lo meno che non sarà così per il movimento cooperativo italiano.

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Un’altra osservazione. Si pone la domanda: quale è il fine ultimo che la“microfinanza persegue?”. Non esito a rispondere che questo fine è la diffu-sione, per via di contagio, del principio di reciprocità. Quel principio di reci-procità di cui hanno massimamente bisogno anche le altre sfere dell’econo-mia, perché – come ormai sta diventando chiaro – non si può andare avan-ti solo sulla base del principio di efficienza o sulla base del principio di ridi-stribuzione. Se noi non iniettiamo nel canale dell’economia il principio direciprocità potremo anche crescere nel senso del Pil ma questo andrà a sca-pito della felicità pubblica. Ecco allora perché la funzione strategica dellamicrofinanza non è solo quella di aiutare questo o quello, cosa che già di persé è importante, ma è quello di mandare un messaggio all’intera società:senza una reciprocità declinata in maniera adeguata ai tempi nostri le nostresocietà non saranno capaci di futuro.

Oggi si stanno confrontando due visioni opposte nel modo di concepirequale debba essere il rapporto tra la sfera economica e la sfera del sociale (odella solidarietà). Da una parte vi sono coloro che vedono nell’estensione deimercati e della logica dell’efficienza la soluzione a tutti i mali sociali; dall’altrachi invece vede l’avanzare dei mercati come una minaccia per la vita civile, equindi li combatte e si protegge da essi. La prima visione, considera l’impresacome un ente “a-sociale”. Per questa concezione, che si rifà ad alcune tradizio-ni e interpretazioni più o meno distorte dell’ideologia liberale, il sociale è net-tamente distinto dalla meccanica del mercato, che si presenta come un’istitu-zione eticamente e socialmente neutrale. Al mercato è richiesta l’efficienza equindi la creazione di ricchezza, l’allargamento della “torta”. La solidarietà, inve-ce, inizia proprio laddove finisce il mercato, fornendo criteri dell’azione politi-ca per la suddivisione della torta e dell’assegnazione delle “fette” agli individui,o alternativamente, la solidarietà interviene in quelle pieghe della società nonancora raggiunte dal mercato. In questa visione, o ideologia, i mercati operanosempre e comunque per il bene comune, sono la più alta forma di società civi-le, e qualunque intervento, fosse anche per scopi solidali (vedi la Tobin Tax), èvisto come intralcio e dunque dannoso e immorale.

Agli antipodi di questa visione troviamo l’altro approccio, che vede l’impre-sa come essenzialmente antisociale. Questa concezione, che ha tra i suoi teori-ci più celebri autori come Karl Marx e Karl Polanyi, e come espressione oggi piùvisibile alcune delle componenti del “popolo di Seattle”, si caratterizza inveceper concepire il mercato come luogo dello sfruttamento e della sopraffazionedel forte sul debole. La società sarebbe minacciata dai mercati, e l’avanzamen-to di questi ultimi verrebbe interpretato come “desertificazione della società”,

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Accesso al credito e dottrina sociale della Chiesa di monsignor Paolo TarchiDirettore dell’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro Conferenza Episcopale Italiana

Una spiritualità dell’accesso al credito

N el discorso della montagna, nel Vangelo secondo Matteo, troviamo uncomando, all’interno del tema sul come rapportarsi con i nemici: “Da’

a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle” (Mt5,42).

Il tema dell’accesso al credito è richiamato con evidenza nella secondaparte di questo comando: “A chi desidera da te un prestito non volgere lespalle”.

La storia ci insegna la fatica dei poveri o dei nullatenenti a costruire per-corsi di liberazione dalla miseria e dal sottosviluppo e come il credito in que-sti casi abbia sempre a che fare con l’usura. Pensiamo al riguardo al prezio-so servizio svolto verso i poveri che erano tra noi dalle Casse Rurali agli inizidel secolo passato, sotto la grande spinta della prima enciclica sociale, laRerum novarum (1891). La possibilità di accedere al credito per tutti si pre-senta, oggi come allora, come uno strumento di sviluppo e di crescita dalbasso, ma anche di prevenzione o di uscita dal ricatto mortale dell’usura.

Conosciamo come la Bibbia, e in particolare la tradizione profetica, stim-matizza gli imbrogli, l’usura, gli sfruttamenti, le vistose ingiustizie, specieverso i più poveri.

Leggiamo ad esempio nel salmo 14: “Presta denaro senza fare usura enon accettare doni contro l’innocente. Colui che agisce in questo modoresterà saldo per sempre” (Sal 14,5).

E il profeta Michea: “Guai a coloro che meditano l’iniquità […] Sonoavidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uo-mo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità” (Mi 2,1-2).

E il profeta Isaia a proposito del digiuno, tema tipicamente quaresi-male: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le cateneinique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezza-re ogni giogo? (Is 58,6).

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Il libro degli Atti degli Apostoli (Cfr At 4,32-34) attesta l’esperienza di comeil mettere in comune i beni, in questo caso i risparmi, libera il povero dal biso-gno: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore soloe un’anima sola […] ogni cosa era fra loro comune […] godevano di grandesimpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso”. Non si tratta tanto di metterein comune la proprietà dei capitali finanziari, ma di poter beneficiare delladisponibilità anticipata di capitali che ancora non si possiedono.

Quando la dottrina sociale della Chiesa afferma il principio della comu-ne destinazione dei beni sottintende che anche il sistema finanziario debbaessere reso accessibile a tutti.

Impegnarsi per garantire l’accesso al credito a tutti, vuole dire assumerel’alto comando che l’evangelista Luca richiama: “Se prestate a coloro da cuisperate ricevere, che merito ne avete? […] prestate senza sperare nulla, e ilvostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo” (Lc 6, 34-35).

Sappiamo che il microcredito e la microfinanza non è esclusivamenteuna prassi cristiana (anche se i cattolici hanno mostrato la loro creativitàevangelica per rispondere nel tempo alle esigenze soprattutto dei più pove-ri, basta ricordare i Monti di Pietà già nel XIV secolo, e poi le Casse Rurali ele Banche Popolari ecc.).

In Bangladesh esso è stato sviluppato in un cultura islamica, e in Indiain una cultura induista.

Si può però dire che c’è una risorsa di valori e di motivazioni propria-mente cristiana nella prassi di un accesso alla finanza per tutti.

Dottrina sociale della Chiesa, microcredito e microfinanza

Già nelle considerazioni finora svolte si coglie come il microcredito e lamicrofinanza sono una risposta a bisogni fondamentali della persona umana,cuore e centro della dottrina sociale della Chiesa. Si tratta infatti di una que-stione di diritti umani e di sviluppo integrale della persona umana, e di ognipersona umana. L’attenzione al microcredito e alla microfinanza infatti nonè soltanto una strategia di sviluppo economico.

La forza del microcredito e della microfinanza deriva dalla convinzioneideale e valoriale sottostante, cioè il considerare l’accesso al credito un dirit-to fondamentale della persona. Ciò significa porre l’accento sulla libertà diogni persona di trovare autonomamente, e anche insieme agli altri, ad esem-pio valorizzando la cooperazione, la propria via di realizzazione nella società.

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Un prestito rappresenta, per chi lo riceve, la possibilità di anticipare con-sumi o investimenti che permetteranno un miglioramento delle propriecondizioni economiche, le quali a loro volta consentiranno di rimborsare ilprestito con gli interessi.

L’usura non permette ciò, perché il prestito usuraio logora la stessa capa-cità futura di produrre reddito dato che l’impegno, non solo lavorativo maanche psicologico, di ripagare gli interessi, erode tale autonomia e progres-so economico e rende schiavi dell’usuraio (nel 2004 più di 1.000 italianisotto usura si sono suicidati per disperazione).

Il prestare piuttosto che il regalare rivela qualcosa di profondo dell’ani-mo umano e favorisce la creazione di rapporti di reciprocità.

Il regalare per certi aspetti è unidirezionale. Una volta che un bene èstato donato si potrebbe chiudere il rapporto. Se poi il donare è una prassicontinuativa si possono creare situazioni di dipendenza, corruzione, assi-stenzialismo e clientelismo.

Nella parabola del buon samaritano possiamo cogliere un singolareesempio di relazioni virtuose che può produrre un prestito. L’albergatoreinfatti, da un minimo microprestito iniziale di due denari ricevuti dal buonsamaritano, fornisce un servizio sanitario al povero derubato e mezzo mortoche gli viene consegnato; se decidesse di prendersi cura fino in fondo delsuo ospite (come gli ha suggerito il samaritano), potrebbe essere spinto asostenere nuove spese, andando a credito del buon samaritano che si eraimpegnato a saldare il debito al suo ritorno.

Nella parabola si osserva che, oltre alla iniziale e unilaterale generositàdel samaritano, nascono rapporti di reciprocità tra l’albergatore e il samari-tano dentro il rapporto di un doppio credito (prima il samaritano anticipa isoldi di un servizio e poi si impegna a rimborsare l’albergatore se questi asua volta anticipa ulteriori spese).

Fare un prestito pone l’interlocutore in una posizione di pari dignità:egli non ruba i soldi, né li mendica, stipula invece un contratto per cui siimpegna a pagare il costo di un servizio di prestito con una prestazionemonetaria (gli interessi).

Dall’altra parte, chi offre il prestito, si espone a un rischio nei confrontidi chi lo riceve, anche condividendo il rischio imprenditoriale di chi si fa pre-stare denaro. Facendo un prestito si afferma che l’altro è capace di essere diparola ed è capace di produrre, con il suo ingegno e il suo lavoro, un reddi-to e quindi anche un risparmio. Concedere prestiti crea legami sociali edistribuisce a livello sociale il rischio di un attività d’impresa.

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Conclusioni

Alla luce di quanto abbiamo detto, l’accesso al credito per tutti è dunque unagrande sfida culturale e una grande opportunità. L’Anno Internazionale delMicrocredito 2005 promosso dalle Nazioni Unite può costituire davvero l’i-nizio di un tempo nuovo. La sfida culturale che abbiamo davanti è rendereprotagonisti della lotta alla povertà tutti i cittadini, educando ad un consu-mo socialmente responsabile e al tempo stesso ad un risparmio socialmen-te responsabile, che possa incontrare il mondo della microfinanza.

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La concessione del credito infatti è un atto di fiducia nella capacità del bene-ficiario di definire il proprio percorso di sviluppo; è il riconoscimento delladignità di ogni uomo, anche se povero o senza educazione.

Il microcredito e la microfinanza entrano nella riflessione della dottrinasociale della Chiesa in quanto intendono abbattere il muro di isolamentoattorno ai poveri, garantire loro una certa eguaglianza di opportunità, resti-tuire loro la libertà di decidere della loro vita e dare loro la capacità di riscat-tarsi e riacquistare la propria dignità umana; inoltre, perché promuovonoprincipi cardini della dottrina sociale della Chiesa quali la sussidiarietà, lasolidarietà, la cooperazione. Ad esempio la sussidiarietà dal basso, che abili-ta soprattutto le donne che ricevono il credito, a prendersi direttamentecura della propria famiglia (bimbi, invalidi, anziani) nelle loro esigenze ali-mentari, sanitarie, scolastiche, abitative, affettive1.

Il microcredito e la microfinanza sono scuola di solidarietà e di coopera-zione tra poveri, sia perché molti microcrediti sono concessi a gruppi neiquali ognuno si fa garante per l’altro, sia perché molte iniziative di microfi-nanza sono delle vere microimprese sotto forma di cooperativa che accre-scono il tessuto di collaborazione e di fiducia reciproca, il capitale sociale.

Papa Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio già nel 1967 così siesprimeva: “La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentirea tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino” (n. 65).

Il diritto allo sviluppo, per la dottrina sociale della Chiesa si fonda suiseguenti principi: unità di origine e comunanza di destino della famigliaumana; eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignitàumana; destinazione universale dei beni della terra; integralità della nozionedi sviluppo; centralità della persona umana; solidarietà2.

“[…] sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri —persone e popoli — come un fardello e come fastidiosi importuni, che pre-tendono di consumare quanto altri hanno prodotto. I poveri chiedono ildiritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto laloro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più pro-spero. L’elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita mora-le, culturale ed anche economica dell’intera umanità”3.

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1 Cfr Familiaris Consortio 452 Compendio della dottrina sociale della Chiesa 4463 Centesimus annus 28

Rimesse degli emigranti,microfinanza e sviluppo economicodi Giorgio GomelDirettore dell’Ufficio Relazioni Internazionali Banca d’Italia

I l tema delle rimesse degli immigrati verso i loro luoghi di origine e dellegame che può scaturire tra rimesse, microfinanza e sviluppo econo-

mico è quello che voglio affrontare con voi oggi. In molti Paesi in via di sviluppo l’accesso ai servizi finanziari è limitato da

condizioni che impediscono agli individui, di realizzare il proprio spiritoimprenditoriale, il loro potenziale di intrapresa e frenano quindi la crescitaeconomica.

Il mercato mondiale della microfinanza è potenzialmente molto vasto,circa 500 milioni di persone secondo stime del Fondo MonetarioInternazionale, ma solo poco più di un decimo del totale si avvantaggia diquesto strumento. Il divario è quindi troppo ampio per la portata di singoligoverni e donatori. Per questo oggi si guarda con maggiore attenzione alruolo di istituti di microfinanza che operano anche su base commerciale,che possono mobilitare risorse attraverso la raccolta di depositi, ma anchesulla base del ricorso a prestiti.

In concreto, la funzione di questi istituti è quella di fornire ai più poveristrumenti per gestire gli effetti di shock di reddito, perché i poveri sono piùesposti a tali shock connessi al mutare delle condizioni generali dell’economia.

Oggi nei Paesi in via di sviluppo la maggior parte degli istituti di microfi-nanza sono organizzazioni non profit, essenzialmente organizzazioni nongovernative, finanziate prevalentemente da agenzie multilaterali di sviluppo.Negli anni recenti non sono mancati in questo settore anche interventi dibanche commerciali; i mercati su cui esse operano si connotano tipicamen-te per scarsa protezione legale del creditore, assenza di meccanismi coerci-tivi di applicazione delle norme, deboli infrastrutture e scarsa vigilanza pru-denziale da parte dalla Banca Centrale o degli organismi di vigilanza in gene-rale sulle istituzioni che raccolgono il risparmio.

Per superare questi limiti gli istituti di microfinanza hanno sviluppato tec-niche operative come il repeated lending, che fraziona i prestiti in piccole

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me fra rimesse degli emigrati, investimenti e sviluppo locale. Alcune caratteristi-che delle reti di sportelli della microfinanza la rendono effettivamente uno stru-mento adatto ad essere inserito nei circuiti di trasferimento e impiego dellerimesse.

La diffusione, per esempio, in zone rurali che sono povere di servizifinanziari e le relazioni di carattere fiduciario con settori della popolazionenon coinvolti nel normale processo di intermediazione finanziaria rendonoin effetti la microfinanza un mezzo idoneo per agevolare le rimesse nel lorotratto finale, cioè nel momento in cui queste recapitano denaro ai beneficiariultimi nel luogo di residenza delle famiglie degli emigranti. E qualora a que-ste istituzioni fosse concessa anche la facoltà di raccolta di risparmio essepotrebbero offrire servizi finanziari di deposito e di investimento.

Lasciatemi dire qualcosa sul fenomeno delle rimesse in generale. Permolti Paesi in via di sviluppo esse sono diventate un’importante fonte difinanziamento esterno. Nel 2003, ultimo dato disponibile, sono state paria 93 miliardi di dollari, più del doppio rispetto ai livelli del 1993, due voltesuperiori come ammontare ai capitali privati di debito e quasi cinquevolte i flussi di risorse ufficiali.

Oggi le rimesse sono la seconda fonte di finanziamento esterno dopo gliinvestimenti diretti. Gli investimenti diretti che affluiscono ai Paesi emer-genti e in via di sviluppo sono infatti circa 150 miliardi di dollari, mentre lerimesse degli emigrati si aggirano sui 100 miliardi.

Ma oltre a questo fatto dimensionale, le rimesse presentano connotatidiversi rispetto ad altre categorie di flussi di capitali e molto importanti dalpunto di vista degli effetti sullo sviluppo economico. Innanzi tutto, sono piùequamente distribuite fra i Paesi destinatari; inoltre tendono ad essere sta-bili nel tempo, meno volatili di altri flussi di capitale privato.

Se, per esempio, guardate a momenti di acuta crisi finanziaria come allafine degli anni ‘90 in Asia Orientale o agli inizi di questo secolo in Turchia,od anche in Argentina o in Brasile, questi Paesi hanno subito una forte con-trazione sia dei flussi privati di capitali sia dei finanziamenti ufficiali, ma nonhanno sofferto di una contrazione delle rimesse.

Ci si può attendere, anche in futuro nel medio periodo, una espansionerobusta delle rimesse, sia perché nelle economie più avanzate c’è una crescitaabbastanza solida del reddito, sia perché le pressioni migratorie continuano adessere molto forti, e le migrazioni tenderanno a persistere nel tempo; maanche perché è in atto uno sforzo per ridurre i costi di trasferimento dei fondi.Se le previsioni di tassi di crescita nei volumi delle rimesse degli ultimi anni fos-

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tranches con frequenti rimborsi, oppure meccanismi di responsabilità con-giunta in cui si costituiscono gruppi di debitori che accedono a turno aifinanziamenti e sono responsabili in solido delle eventuali inadempienzedegli altri membri.

Accanto a queste tipologie si sono sviluppate, anche se meno diffusa-mente, alcune forme di diversificazione dell’offerta di servizi come la raccol-ta di risparmio, la piccola assicurazione e l’offerta di servizi di pagamento.

Vorrei dire qualcosa su quanto sta accadendo in alcuni Paesi delMediterraneo e del Medio Oriente, non perché siano più importanti di altrearee del mondo, ma perché sulla esperienza dell’Asia e del Sudamerica giàesiste vasta letteratura.

Cito qualche dato da uno studio delle Nazioni Unite: dal 1999 ad oggi lamicrofinanza nelle regioni del Mediterraneo e del Medio Oriente ha fatto gran-di progressi, ma molto resta ancora da fare. Il numero di prenditori era di circa129.000 e oggi è superiore a 700.000. Il portafoglio prestiti è passato da 49milioni di dollari a 240 milioni. Il livello di penetrazione che possiamo misura-re guardando al rapporto tra prenditori effettivi e dimensione del mercatopotenziale – che è il numero di famiglie povere – è ancora molto basso e assaidifforme fra Paesi.

Per esempio, il Paese con il più basso tasso di penetrazione è lo Yemencon circa il 3%, mentre molto più alto esso risulta in Tunisia e Marocco, supe-rando anche il 100%. Ma nel complesso soltanto il 40% del mercato poten-ziale del Mediterraneo e del Medio Oriente è oggi raggiunto da istituti dimicrofinanza.

La maggior parte dei prenditori opera nel settore del commercio, ma alsecondo posto, a differenza di altre parti del mondo, penso per esempioall’America Latina, l’area di maggiore concentrazione è quella del settoremanifatturiero e non dei servizi.

La maggior parte dei prenditori sono donne. Circa il 60%, anche in regio-ni come quelle del Mediterraneo e del Medio Oriente.

La gamma dei servizi offerti resta limitata: la forma di gran lunga più dif-fusa è il microcredito, mentre assai più limitato è l’accesso ai servizi di depo-sito, di risparmio, di microassicurazione, di trasferimento di bonifici. Questoaccade perché la maggior parte degli istituti di microfinanza non può legal-mente raccogliere risparmio, che è tutt’ora prerogativa esclusiva delle ban-che. Quindi la previsione di un quadro normativo che consenta a tali istitu-ti di raccogliere risparmio risulta essenziale.

La microfinanza può costituire un habitat favorevole per lo sviluppo del lega-

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L’ultima mia considerazione riguarda il legame tra rimesse e microfinan-za. Non è agevole questo processo di integrazione tra i due momenti, inquanto una serie di limiti ne ostacola l’evoluzione. Dal lato della microfi-nanza ho ricordato prima come limite importante il fatto che la maggiorparte degli istituti di microfinanza distribuiscono risorse ma non le raccol-gono; ma anche dal lato delle rimesse ci sono degli ostacoli che attengonosoprattutto al fatto che le rimesse sono spesso trasferite attraverso canaliinformali, cioè il corriere o l’amico dell’emigrante che viaggia e porta con séil denaro, tutti mezzi che esulano dal canale bancario formale.

Per questo bisogna agire sia sul piano della microfinanza che su quellodelle rimesse. Dal lato della microfinanza, sono essenziali riforme di caratte-re legislativo e normativo che, per esempio, consentano alle strutture dimicrofinanza di raccogliere il risparmio – come è successo di recente in Perù– ma saranno necessari anche programmi di collaborazione tra istituti dimicrofinanza e banche, come nel caso del progetto di MicrofinanzaCampesina in Ecuador promosso dalle Banche di Credito Cooperativo.

Sul piano delle rimesse, è indispensabile accelerare il processo di banca-rizzazione degli emigranti, cioè facilitare l’accesso degli emigranti ai servizibancari tradizionali o ai servizi bancari innovativi, e questo attraverso l’offer-ta non solo di servizi di trasferimento a basso costo – oggi costa troppo tra-sferire rimesse utilizzando il sistema bancario – ma anche di servizi collega-ti. C’è bisogno, in sostanza, che gli impiegati agli sportelli sappiano comuni-care con gli emigranti nella loro lingua e facilitare così le relazioni con il siste-ma bancario.

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sero confermate anche per il futuro, esse potrebbero diventare la maggiorfonte di finanziamento esterno per i Paesi in via di sviluppo.

I flussi maggiori in termini assoluti sono indirizzati verso alcune grandieconomie emergenti dell’Asia e dell’America latina. In un orizzonte di 10anni, i maggiori paesi che hanno beneficiato di rimesse, in assoluto, sonostati l’India, il Messico e le Filippine. In termini relativi, cioè rispetto al red-dito, sono i Paesi più poveri del mondo quelli per i quali le rimesse sonopiù rilevanti. I Paesi del Mediterraneo ricevono mediamente ogni anno unflusso di rimesse di circa 14 miliardi di dollari, un sesto del totale mondia-le delle rimesse degli emigrati. Il 3,5% del reddito e l’11% delle importa-zioni di questi Paesi sono finanziati dalle rimesse.

Il fenomeno delle rimesse e dei loro benefici sullo sviluppo economicoha sollevato di recente un forte interesse sia del mondo accademico sia deipolicy makers e delle istituzioni finanziarie internazionali. Perché? Perché lerimesse, da un lato, costituiscono un introito di riserve valutarie per il Paesericevente e questo allenta il vincolo della bilancia dei pagamenti, ampliandola capacità di importare beni strumentali dai Paesi più avanzati, e, dall’altro,accrescono il reddito disponibile nei Paesi beneficiari e, quindi, amplianol’insieme delle opportunità sia di risparmio e investimento sia di consumo.

C’è un punto molto importante da ricordare e che il dibattito interna-zionale adesso sottolinea, e cioè che per il proficuo utilizzo delle risorse chederivano dalle rimesse è molto importante l’ambiente giuridico, normativo,istituzionale. Questo perché? Perché là dove i Paesi poveri soffrono di uncontesto istituzionale debole in cui non c’è certezza del diritto, allora è nor-male e naturale che ci sia un incentivo maggiore ad impiegare i proventidelle rimesse al sostegno del consumo delle famiglie; quando invece l’am-biente giuridico-istituzionale è più virtuoso, allora è maggiore lo stimolo adinvestire almeno un parte di tali fondi che vanno al di là della mera sussi-stenza in attività produttive di medie e piccole dimensioni con ripercussionipiù favorevoli nel medio periodo per lo sviluppo e la riduzione della povertà.

Infine, è importante il legame fra rimesse e canali bancari di trasferimen-to delle risorse. È molto importante sviluppare i sistemi bancari locali e pre-disporre in loco, cioè nei Paesi di destinazione delle rimesse che sono i Paesidi origine degli emigranti, strumenti finanziari locali che consentano loro dipoter canalizzare meglio il denaro verso i luoghi di provenienza, destinan-dolo all’avvio di piccole attività produttive, all’acquisto di beni durevoli, ainvestimenti in capitale umano e poi anche a programmi previdenziali, assi-curativi, di risparmio individuale.

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Economia, finanza e pubblica felicitàAlcune ragioni per un recupero della tradizione civile italiana

di Luigino BruniDocente di Economia politicaUniversità di Milano – Bicocca

Le rivoluzioni degli stati e le rovine delle Repubbliche quasi non si sono altronde derivate che dalla negligenza della pubblica utilità (Antonio Genovesi, Diceosina, p. 262).

I n questo intervento mi propongo di suggerire una riflessione su alcuniinterrogativi, o addirittura paradossi, che il microcredito, la microfinan-

za e in generale quella che chiamiamo la “finanza etica”, rappresentanorispetto al modo prevalente di intendere oggi l’attività economica.

Gli interrogativi o i paradossi nascono dal fatto che tradizionalmente ilmercato, e dunque la finanza e il credito, è chiamato ad occuparsi di effi-cienza, non di solidarietà né di lotta alla povertà. La riduzione della povertàe l’aumento della solidarietà sono solo effetti indiretti, non necessari e nonintenzionali della “mano invisibile” dei mercati. Microfinanza e microcreditosono, invece, esperienze al tempo stesso di mercato ma che si prefiggonodirettamente, sistematicamente e intenzionalmente di alleviare la povertà, diaumentare la solidarietà e di contribuire così alla pubblica felicità.

Quale è la natura del mercato? La prospettiva dell’economia civile

Il primo punto su cui concentrare la nostra attenzione consiste nel rifletteresulla natura del mercato. Il mercato ci viene tradizionalmente presentatocome lo strumento per aumentare la ricchezza tramite la divisione del lavo-ro, risultato garantito da istituzioni non corrotte e da chiari diritti di pro-prietà. Nei libri di testo nelle nostre università il mercato è un incontro difunzioni o di curve, che funziona tanto meglio quanto più è anonimo e

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che ne fa un’icona dell’approccio al credito tipico della tradizione civile, cen-trata attorno al principio del dono-reciprocità.

Nelle sue Lezioni di economia civile (cap. XIII) egli ricorda la lunga tra-dizione della proibizione del prestito a interesse, e le motivazioni addottedai vari filosofi, ricordando però “che questi autori parlavano e insegnavanoin questo modo nel tempo medesimo che Atene e l’altre città della Grecia,e Roma in Italia, senza fare niun conto di questa loro filosofia, erano ripienedi banchieri e di altri prestatori ad usura” (Lezioni, II, cap. 13, § 5, p. 192)

4.

La critica che invece Genovesi condivide è che spesso “non vi sia niunaproporzione tra il comodo che dà il denaro, e le usure le quali se ne paga-no” (Ib., p. 196), ma questa ingiustizia “non può annullare il valore delcomodo che dà il denaro” (Ibid.). Ricorda poi, entrando in temi centrali pernoi, che il “mutuo è contratto di pura beneficienza e di sincerissima amici-zia: è dunque un beneficio. Ora i benefici non si apprezzano, né si danno adinteresse”. Il mutuo infatti era considerato un contratto a titolo gratuito, echi esige usura dal proprio mutuo “converte l’amicizia e l’umanità in mer-canzia; e per sì fatto modo si studia di sbarbicarla da’ cuori umani”. Per que-sto se “Platone, Aristotele, Catone, Varrone insegnavano questo, essi aveva-no senza dubbio nessuno la ragione dal canto loro” (Ib., p. 197). Genovesiperò nega che il prestito di denaro sia mutuo (a titolo gratuito o di benefi-cenza) ma ritiene che sia un contratto a titolo oneroso, come l’uso o la loca-zione, e quindi “niente può impedire che non si esiga il prezzo corrente delcomodo”. Niente, eccetto una circostanza, per noi molto importante: che ilrichiedente il prestito sia un povero. Il prestito fatto al “giovanetto di mondoche vogli comparire in commedia adorno di ricche vesti” (Ib., p. 198), non èper Genovesi un mutuo, ma un contratto (come la locazione). Diversa cosaè il mutuo, che – ancora in quel tempo – era un atto molto vicino al signifi-cato etimologico di mutuum, reciproco. Infatti egli distingue tra mutuo chenon è mutuo (ma locazione), e il mutuum ut mutuum, che chiama “mutuoreciproco” (Ib., p. 200), mentre il mutuo che non è mutuo lo chiama “per-muta”, o semplicemente “contratto” (Ib., p. 201).

Le due transazioni coesistono nella vita civile, perché “la massima, quelche vuoi che si sia fatto, tu farai con gli altri, non è solamente massima del

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quanto più impersonale (la concorrenza perfetta). La tradizione che si rifàdirettamente ad Adam Smith (1776), vede il mercato come un ambito dellavita sociale distinto dagli altri ambiti, e retto da un suo principio fondativo:la ricerca del self-interest. Il mercato è una istituzione mirabile proprio per-ché non ha bisogno di ipotesi antropologiche più ottimiste o generose perpoter portare i suoi frutti di civiltà: un mercato è tanto più civile quanto piùè capace di trasformare gli interessi privati in virtù pubbliche, le private feli-cità in felicità pubblica. Anzi, da questa tradizione azioni direttamente orien-tate al bene comune o al bene di altri sono guardate con sospetto: “I havenever known much good done by those who affected to trade for the publicgood”

1. Il solo modo per contribuire efficacemente al bene comune è perse-

guire il proprio interesse, l’unico per il quale abbiamo sufficienti informa-zioni e conoscenza.

Questa concezione del mercato è, però, solo una visione, sebbene quellache più ha influenzato e ancora influenza l’economia occidentale moderna.

Se guardiamo, infatti, al mercato dalla prospettiva della tradizione ita-liana di economia, nota con l’espressione di economia civile

2, ci rendiamo

subito conto che la storia è più lunga e complessa di quella che raccontia-mo ai nostri studenti o che diffondiamo nei mass media. Il mercato appa-re, infatti, subito un “luogo” a più dimensioni, nel quale trovano spazioall’interno del mercato anche altri principi fondativi, tra cui la reciprocitàe la redistribuzione della ricchezza. Così, mentre Smith in Scozia teorizza-va la nuova economia di mercato come la dinamica degli interessi e la coo-perazione di mercato come una “cooperation without benevolence”,Genovesi a Napoli scriveva le sue Lezioni di economia civile (1765), tuttecostruite attorno all’idea-chiave che la principale risorsa per lo sviluppo diuna nazione non è il commercio ma la reciprocità: un Paese, un regnocome diceva, si sviluppa se riesce ad attivare la reciprocità tra le persone,che non è concepita solo come mutuo vantaggio (anche), ma come“mutua assistenza”.

Genovesi, e tutta la tradizione civile napoletana (pensiamo al grandeFilangieri), dedicò molta attenzione al tema del credito, anche per il conte-sto sociale in cui operava

3. La sua analisi presenta una particolare chiarezza,

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1 Smith (1976[1776], p. 456).2 Rimando per approfondimenti a Bruni e Zamagni (2004).3 Nel Regno di Napoli le banche erano molto rare, e il credito era quasi interamente in manoagli usurai.

4 A Genovesi preme dimostrare l’infondatezza teorica che porta ad accettare il pagamento diun prezzo per l’uso di case, carrozze o utensili e non per l’uso del denaro, poiché, specifica,l’interesse non è il prezzo per avere l’uso del denaro, bensì “il prezzo del comodo e dell’uti-lità che dà a colui il quale prende a prestanza” (Ib., p. 193).

tosto il suo reinserimento sociale ad un livello paritario con il resto della comu-nità. La reciprocità, infatti, richiede uguaglianza, libertà e simmetria; finché ilpovero “non torna a dare” non c’è esperienza di reciprocità e non c’è sviluppo.

L’esperimento di successo della Grameen Bank in Bangladesh nasce,come per gli antichi Monti, da una grande innovazione: l’inversione del rap-porto garanzia-fiducia: “Ho dato fiducia prima di dare garanzie”, ha ripetutoin tutti i modi Yunus. Ed ha funzionato: oggi i membri delle 1.175 filiali dellaGrameen Bank sono oltre due milioni, la maggioranza dei quali sono donne,e il passo di sofferenza (attorno al 10%) è di gran lunga inferiore a quellodelle altre banche nei Paesi in via di sviluppo.

Un altro paradosso, legato ai problemi che diventano risorse attraverso ilmicrocredito, è infatti connesso alla valorizzazione, inedita, della donna. Èimportante sottolinearlo soprattutto alla luce del fatto che, a mio parere, viè un parte della letteratura economica che fraintende il ruolo delle donne.Spesso si fa riferimento ad una maggiore propensione femminile alla resti-tuzione di un credito da ricondursi ad un problema di reputazione: la donnapaga più degli uomini la mancata fedeltà alla parola data. Personalmentecredo che il discorso sia più complesso. L’aspetto cruciale di questa relazio-ne consiste nel fatto che, per la donna, il rapporto interpersonale è da con-siderarsi un fine e non un mezzo; il bene relazionale – la grande risorsa delmicrocredito che non si rivolge a soggetti isolati ma a persone inserite ingruppi comunitari – è costruito proprio sulla base di rapporti così intesi, ela donna ne è creatrice privilegiata.

In situazioni di non-cooperazione generalizzata, dovute magari ad unacrisi sociale e/o economica, c’è un estremo bisogno di ricreare il tessuto direciprocità, ma il processo non si attiva se qualcuno non inizia rischiandosenza avere sufficienti garanzie. E così, Paesi interi precipitano nella trappo-la della povertà – pensiamo, per esempio, all’esperienza recentedell’Argentina. In questi contesti, il microcredito svolge una funzione fonda-mentale. In situazioni bloccate da una sfiducia generalizzata, c’è un estremobisogno di rilancio dell’impresa; tale necessità è, però, complicata dal fattoche non esistono banche disposte a concedere loro fiducia per mancanza digaranzie. Così, Paesi interi precipitano nella trappola della povertà.

Una possibile via d’uscita consiste proprio nell’innescare un meccanismoche trae ispirazione dal principio riflessivo della fiducia. Tale meccanismo,che opera quotidianamente nelle nostre famiglie e che va opportunamentericondotto all’economia, non si avvia finché non c’è qualcuno che cominciaa dare fiducia anche quando non esistono garanzie di ritorno. È questo

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Vangelo, ma della natura altresì e della comune ragione degli uomini. Non èdunque vero che la presente teoria degl’interessi sbarbichi i contratti gra-tuiti” (Ibid.). La presenza come controparte del povero introduce peròimportanti cambiamenti, e commentando l’Antico e il Nuovo Testamento, ibrani utilizzati dai teologi per giustificare il divieto di prestito a usura, spie-ga che “a’ fratelli poveri si dee il beneficio per due ragioni, perché povero (equesta è ragion comune tra gli uomini), e perché concittadino: ogni cittadi-no ha un dritto di patto sociale di essere soccorso dal concittadino”. Per que-sto la “proposizione generale è: TU HAI IL DIRITTO DI DARE AD USURA AI TUOI FRA-TELLI: l’eccezione, posto che non sieno poveri” (Ib., p. 203, maiuscolo nel-l’originale).

Per Genovesi dunque, e al culmine della tradizione civile dell’economia,è il principio di reciprocità il nesso primitivo che precede sia il mutuo-con-tratto che il mutuo-dono.

Dai Monti di Pietà alla Grameen Bank: finanza come reciprocità

L’origine storica della microfinanza e del microcredito è normalmente asso-ciata alla Grameen Bank del banchiere dei poveri Muhammad Yunus. Inrealtà, dal punto di vista che stiamo sinora sviluppando, dobbiamo afferma-re la vera origine di queste esperienze moderne è da individuare nei Montidi Pietà, i quali furono inventati dai francescani durante l’Umanesimo civileitaliano (Todeschini 2002)

5. I Monti di Pietà nascono come istituzioni prepo-

ste alla “cura della povertà”, per consentire cioè ai poveri congiunturali direinserirsi pienamente nelle dinamiche di reciprocità della vita civile. I fran-cescani, quindi, individuano nella povertà non un problema, ma una risorsadi sviluppo; esattamente come oggi fanno le moderne istituzioni di micro-credito, rendendo accessibile il credito a fasce sociali che restano fuori daicircuiti “normali” della finanza, trasformando così i poveri in risorse per losviluppo sociale ed economico, e immettendo nei circuiti bancari, economi-ci e imprenditoriali nuovi attori. La tradizione dei Monti è stata poi svilup-pata dalle Casse Rurali prima (oggi Banche di Credito Cooperativo) e damolte Casse di Risparmio.

Obiettivo dei Monti di Pietà non era l’assistenza eterna al povero quanto piut-

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5 I primi Monti (a Perugia, Ascoli, Foligno), risalgono alla seconda metà del ’400.

ternità, che nell’Illuminismo fu sottolineato soprattutto dai napoletani, inparticolare da Gaetano Filangieri, che mise in evidenza il legame forte tralibertà, uguaglianza, reciprocità e fraternità.

È dunque una grande sfida culturale, e un notevole arricchimento sulpiano antropologico e sociale, pensare oggi la finanza etica all’interno dellatradizione civile della pubblica felicità.

Bibliografia

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Marzorati, Milano 1973. Prima edizione, Napoli, 1766.Genovesi, A., Lezioni di commercio o sia di economia civile, Società

Tipografica dei Classici Italiani, Milano, 1824. Prima edizione, Napoli,1765-67.

Smith Adam (1976)[1776], The Wealth of Nations, Oxford University Press.Todeschini, G. (2002), I mercanti e il tempio. La società cristiana e il cir-

colo virtuoso della ricchezza fra Medioevo ed Età Moderna, Il Mulino, Bologna.

Yunus, M. (1998), Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano.

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ingranaggio che sblocca la trappola della povertà.Conclusioni

Il mercato, come è stato comunemente inteso, è “consumatore” ma non“produttore” di beni relazionali, di reciprocità e di fiducia genuina (da nonconfondere con la reputazione, che è assimilabile ad un bene di mercato,acquisibile con opportune certificazioni).

La tradizione dell’economia civile, lo abbiamo detto, vede invece il mer-cato in un modo diverso. Infatti, se leggiamo la microfinanza e in generale lafinanza aperta alla dimensione etica come valore intrinseco (e non solo stru-mentale), ci accorgiamo che queste realtà “consumano” beni relazionali – inquanto necessitano di fiducia e di genuinità – ma, al tempo stesso, ne pro-ducono al loro interno: tutte le volte che nasce un nuovo progetto avvienela nascita di beni relazionali tra quel gruppo di persone e quella istituzionefinanziaria. E, lo sappiamo, un bene relazionale non può crearsi se non esi-ste almeno una componente di gratuità. Si pensi, ad esempio, al legame d’a-micizia, paradigma ed icona del bene relazionale in quanto strettamente cor-relato proprio al bisogno di gratuità, di amore, di impegno civile e di fiducia.

In conclusione, la grande sfida della microfinanza diviene, quindi, riusci-re ad espandersi senza perdere il principio stesso di gratuità che ne è fon-damento, anche quando interagisce con gli incentivi monetari.

Quanto fin qui detto ci riporta al suggestivo titolo di questo convegno:“La finanza per la felicità”. Il tema proposto, infatti, è un evidente riferi-mento al mercato come ad un luogo che va oltre il semplice incontro diinteressi. Per questa ragione proporrei, in riferimento al caso italiano, diparlare più di finanza civile.

La mia speranza è che si trovi una via italiana o mediterranea del micro-credito. Non a caso l’economia come scienza nasce in Italia: la prima catte-dra, retta da Antonio Genovesi, venne istituita a Napoli nel 1754 e nacquecon il motto di “scienza della pubblica felicità”. La felicità è pubblica poichéstrettamente connessa al rapporto con gli altri. È noto il detto: “Si può esse-re ricchi da soli, ma per essere felici occorre essere almeno in due”. La ric-chezza, infatti, può anche essere usata contro gli altri, ma la felicità o è ditutti o non è di nessuno. Si può essere ricchi tra poveri, ma non si può esse-re felici tra infelici. Ecco perché la povertà, o meglio, la miseria, va curata,anche perché l’infelicità dell’indigente si ripercuote anche su di noi. Si cogliequindi come la felicità pubblica sia profondamente legata al principio di fra-ternità. Esiste, infatti, un rapporto profondo tra la felicità e il principio di fra-

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L’esperienza della finanza popolare in Ecuadordi Giuseppe TonelloPresidente di CodesarrolloDirettore del Fondo Ecuatoriano Popolorum Progressio

A bbiamo chiesto ai campesinos e agli indios dell’Ecuador quale è laloro principale aspirazione. La risposta più frequente è stata questa:

“Vogliamo essere felici e vivere in pace”.Francamente ci aspettavamo qualcosa di più, qualcosa di diverso. Ma

sono stati gli stessi indios e campesinos a farci capire la portata e il signifi-cato della loro risposta. Per essere felici, ci hanno detto, dobbiamo risolverei nostri principali problemi e costruire condizioni di vita che riflettano ladignità di ogni persona umana. Com’è possibile essere felici se in alcunecomunità indigene il 30% dei bambini muore prima di compiere i 5 anni, seil 65% dei bambini delle aree rurali è denutrito, se molte famiglie sono divi-se a causa dell’emigrazione, se i giovani non trovano lavoro, se le case sonocapanne di terra e paglia o di assi sconnesse, se non ci sono soldi per curar-si, se il 35% della popolazione vive sotto la soglia dell’indigenza, ossia conmeno di un dollaro al giorno?

Com’è possibile vivere in pace in uno stato che esclude i poveri dalla vitapubblica, che li lascia senza scuole, senza strade, senza acqua, senza luce esenza servizi sanitari, mentre dà il 15% del suo bilancio ai militari?

Com’è possibile nutrire sentimenti di pace verso gli usurai, verso i com-mercianti sfruttatori, verso i funzionari pubblici che non fanno il loro dovere,verso i giudici che danno la ragione ai più forti e ai più ricchi, anche quandohanno torto, verso gli esperti e i consulenti della lotta alla povertà, che produ-cono documenti che pochi leggono e ricette che nessuno applica?

I poveri dell’Ecuador ci insegnano che la felicità e la pace si costrui-scono a poco a poco, dentro ogni persona, con molto sforzo, che la spe-ranza non muore mai, che ogni giorno si può fare un passo avanti, chel’essere vale più dell’avere.

L’enciclica Populorum progressio di Paolo VI, da cui prendono il nome el’ispirazione il Fondo Ecuatoriano Populorum Progressio (Fepp) e laCooperativa Desarrollo de los Pueblos (Sviluppo dei popoli) a cui apparten-

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È un problema grave, ma le soluzioni ci sono. I campesinos hanno scoper-to che vince la povertà solo chi produce più di quanto consuma. La differenzafra la produzione e il consumo è il risparmio. Dove vanno a finire i risparmi deipoveri? Quasi sempre nelle banche, che non fanno loro dei prestiti.

Sono queste le riflessioni e constatazioni che stanno alla base di uno deifenomeni sociali ed economici più importanti dell’Ecuador negli ultimi anni.

Sono nate le Casse Rurali, le banche comunali, le cooperative di rispar-mio e credito: i poveri hanno cominciato ad organizzarsi per amministrare iloro soldi. “La plata de los pobres para los pobres” (i soldi dei poveri per ipoveri) è uno degli slogan di Codesarrollo, la nostra cooperativa di cui sonosocie già una settantina di organizzazioni popolari, e che è legata a oltre 700gruppi rurali che fanno finanza locale.

Non è che tutti i poveri possano risparmiare allo stesso modo. I più pove-ri fra i poveri ci dicono: “Non riusciamo a risparmiare, siamo pieni di debi-ti”. Allora c’è da studiare la loro economia per capire come mai il loro scar-sissimo consumo è superiore alla ancor più scarsa produzione. Poi bisognaaiutarli ad intervenire e a cambiare la situazione, a volte più con le idee checon i soldi.

Conosco persone, uomini e donne, che due anni fa non riuscivano arisparmiare niente. Oggi ce la fanno a risparmiare uno o due dollari al mese.Sono persone nella cui testa è successa una rivoluzione. Prima tendevano lamano aspettando quello che poteva venire dallo stato, dalla chiesa, dallacooperazione internazionale, dalle fondazioni, dalle persone di buon cuore.Da quando risparmiano sentono che il loro sviluppo dipende da loro stessi.Non sono più spettatori, sono attori, protagonisti. Il fatto in sé è più impor-tante della quantità di soldi che riescono a raccogliere, anche perché le pic-cole Casse Rurali che si formano vengono assistite nell’aspetto tecnico eamministrativo e il risparmio della gente viene moltiplicato.

Il Fondo Ecuatoriano Populorum Progressio presta i suoi servizi a circa60.000 famiglie di contadini, indigeni e neri, che formano 1.200 organizzazionidi base.

Circa 700 di questi gruppi, 30.000 famiglie, hanno organizzato o stannoorganizzando la loro finanza locale: raccolgono i risparmi dei soci e danno lorodei prestiti. Ciò che raccolgono è meno di quanto prestano. La differenza ècoperta da Codesarrollo, la Cooperativa Desarrollo de los Pueblos, che dirigeverso le campagne i fondi che raccoglie in città e anche all’estero, special-mente qui in Italia, invertendo così i flussi di quell’economia, che, per regolauniversale, tende più a concentrare la ricchezza che a distribuirla con equità.

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go, ci insegna che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace” e che “il vero svi-luppo è il passaggio di tutta la persona e di tutte le persone da condizioni divita meno umane a condizioni di vita più umane”. Le condizioni menoumane sono proprie di chi è privo del minimo indispensabile per vivere,come pure di chi, avendo tutto, è mutilato dall’egoismo. Sono parole dellaPopulorum progressio.

Noi, in Ecuador, abbiamo scelto di lavorare con coloro che sono vittimedella povertà materiale: gli indios delle Ande e dell’Amazzonia, i neri del lito-rale dell’Oceano Pacifico, i contadini meticci e mulatti che fanno fatica a tro-vare la loro identità culturale.

Stiamo con loro quando si impegnano nel campo dell’organizzazionepopolare, formando cooperative, associazioni, comunas, Casse Rurali, unio-ni a federazioni di gruppi e comunità di base, reti e consorzi.

Proponiamo loro di dedicare tempo, risorse e fatica alla loro formazioneumana, cristiana e professionale, in modo che possano affrontare con buoneprobabilità di successo le sfide della concorrenza e della globalizzazione, inuna società spesso crudele nei confronti dei poveri.

L’organizzazione e la formazione sono una buona base per ripensare ecostruire in modo diverso la partecipazione dei contadini in tutta la filieradella produzione, della trasformazione dei prodotti per mezzo di sempliciprocessi di industrializzazione, della commercializzazione e di ogni tipo direlazione con il mercato. Si produce nell’agricoltura di ciclo lungo, medio ecorto, nell’allevamento, nel settore forestale, nell’artigianato, nell’agroindu-stria del latte, delle carni, della lana, della frutta, del grano, ecc.

Si creano nuovi posti di lavoro nel settore terziario dell’economia, neiservizi che rendono più vivibile la vita nella comunità rurali.

Dedichiamo uno sforzo speciale per aiutare i campesinos a capire emodificare a loro favore le regole del mercato. I poveri delle Ande vanno almercato e fanno mercato con la testa bassa, sconfitti in partenza, certi diessere sfruttati. Devono andarci come attori, come protagonisti, con la testaalta perché i loro prodotti sono buoni. Ma è ancora più utile che loro stessiorganizzino nuove forme e strutture di mercato, dentro e fuori dell’Ecuador.

Abbiamo imparato in questi anni che il mercato più importante è quello dacui dipendono gli altri mercati, il mercato del denaro. I poveri non bussanoalle porte delle banche, perché sanno che non saranno mai serviti. Per lorosono sempre aperte le porte degli usurai. Ma il costo del servizio che ricevo-no è tale da lasciarli ancora più poveri a volte e schiavi per sempre. Agli usuraiin Ecuador si paga dal 5 al 10% di interesse mensile. Dal 60 al 120% annuale.

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dolore, allo sfruttamento, all’umiliazione e all’esclusione, la sobrietà, l’austerità,e l’essenzialità, la nonviolenza, la relazione sempre positiva e affettuosa conDio.

È probabile che questi valori cent’anni fa, al tempo delle prime CasseRurali, fossero più presenti di oggi nella vita e nella cultura degli italiani.Trovare questi valori, vissuti con semplicità e dignità, fra i poveridell’Ecuador, fa nascere anche in Italia la nostalgia del tempo dei nonni, lavoglia di semplificare, la necessità dell’essenziale, l’urgenza di riaffermare ilprimato delle persone, delle famiglie e delle comunità sopra le cose, sopra ibeni materiali, sopra i soldi, che da soli non danno la felicità e non costrui-scono la pace.

Riceviamo molto. Non potremmo fare ciò che facciamo senza l’aiutodelle BCC. Diamo con un sorriso di riconoscenza tutto ciò che possiamodare e specialmente quella ricchezza umana, che i poveri ci hanno insegna-to a scoprire, come un fiore profumato, in mezzo alle spine della povertà.

Comunichiamo e facciamo toccare con mano l’entusiasmo e l’onestà concui assumono la conduzione del loro destino nuovi attori sociali, prima quasicompletamente emarginati, come le donne, i giovani, gli indios.

Vorrei adesso rivolgere un invito a tutti voi, specialmente ai giovani.I problemi dei poveri del Sud del mondo si risolvono in parte anche nel

Nord, dove continua a concentrarsi la ricchezza, la tecnologia e il potere.Questo spiega perché anche la gente tende a emigrare dal Sud al Nord delmondo.

Bisogna pensare e costruire un mondo più bello di quello attuale.Questo esige nuovi atteggiamenti nel Nord del mondo e specialmente in Italia:

- esigere dal governo italiano una politica seria e generosa di coopera-zione internazionale;

- consumare meno (energia, materie prime, acqua);- consumare di più i prodotti del Sud del mondo, quelli del commercio

equo e solidale. Se si sviluppa un mercato giusto, la gente resta a casa sua,non pensa più a emigrare;

- assumere atteggiamenti positivi di rispetto, accoglienza, integrazione esimpatia verso gli emigranti: quelli bravi sono certamente più numerosi diquelli meno bravi;

- legarsi a esperienze di volontariato, locale, nazionale e internazionale;regalare ore, giorni o anni della propria vita a chi ne ha di bisogno;

- soldi: mettere mano al portafoglio, rinunciando a qualcosa di caro per darloai poveri, per mezzo di organizzazioni e persone che meritano fiducia.

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L’alleato italiano di Codesarrollo è Federcasse, la Federazione Nazionaledelle Banche di Credito Cooperativo Casse Rurali.

Sono oltre 100 le BCC italiane che, fra tutte, finora hanno prestato aCodesarrollo circa 13 milioni di dollari in condizioni molto vantaggiose. Altri tremilioni ci arriveranno nelle prossime settimane. Noi abbiamo già restituito piùdi 6 milioni con assoluta precisione e puntualità, perché i campesinos sonomolto puntuali nel restituire a Codesarrollo. Questo vuol dire che i fidi chehanno ricevuto sono stati investiti in attività produttive redditizie.

Oltre ai prestiti Codesarrollo ha ricevuto dal sistema Federcasse, forma-to dalle BCC e da altre aziende, tra cui Iccrea Holding, Iccrea Banca, BancaAgrileasing, e dalla Fondazione Tertio Millennio, anche assistenza tecnica,idee per programmare il futuro e circa un milione e mezzo di dollari comedonazione per l’aumento del capitale sociale e per la formazione dei diri-genti delle Casse Rurali. Queste donazioni, per la loro maggior parte, pro-vengono dai dirigenti, soci e clienti delle BCC, che così diventano “azionistidi donazione” di Codesarrollo. Adesso sta per partire il nuovo progetto del-l’agricoltura, che darà una maggior consistenza a tutti gli investimenti dellefamiglie e comunità, con l’obbiettivo di raggiungere la sicurezza alimentaree di produrre eccedenze da portare al mercato.

Non c’è una struttura per portare avanti quella che oggi è una delle piùgrandi e originali operazioni di cooperazione internazionale, in quest’Italiain cui già non funziona o funziona molto male la cooperazione pubblica. Illavoro viene fatto da chi crede in noi, da chi ci vuol bene.

La Cassa Padana della provincia di Brescia ed Emilbanca della provinciadi Bologna, che organizzano questo incontro, sono due delle BCC che ci aiu-tano di più. Le altre sono BCC della Lombardia, dell’Alto Adige, del Trentino,del Friuli Venezia Giulia, del Veneto, dell’Emilia Romagna, della Toscana,delle Marche, del Lazio e dell’Umbria. Presto si uniranno BCC del Piemontee della Puglia. Stiamo unendo le BCC italiane con il filo della solidarietà inter-nazionale.

Abbiamo stabilito con loro una relazione di amicizia, di stima, di rispettoe di scambio.

Dall’Ecuador non restituiamo solo i soldi che abbiamo ricevuto e gliinteressi dovuti. Ci pare di dare ai nostri partner italiani anche qualcosadella nostra visione della realtà ancora legata ai valori semplici e genuinidella vita rurale.

I valori culturali della popolazione delle Ande sono la solidarietà, lo spiritocomunitario, l’amore alla terra, alla natura e alla vita, la resistenza di fronte al

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AppendiceLa finanza popolare è molto più del microcredito

Nel microcredito, che è piccolo per definizione, che è fatto di gocce, c’èqualcuno che dà il credito e qualcuno che lo riceve. Chi lo dà, esterno, tendea essere più importante di chi lo riceve.

La finanza popolare è grande come il mare, che è fatto di tutte le gocceche vengono dalle famiglie povere, dalle comunità. È quindi una grandefinanza, come quella costruita in Italia dalle BCC. Ma ciò che più la distingueè il fatto che parte dalla gente, parte dal risparmio popolare, è sinonimo digestione locale e fiducia. Le famiglie che si uniscono per risparmiare, graziealla fiducia che nasce fra di loro, saranno unite anche per portare a buon ter-mine la loro lotta contro la povertà, per costruire l’economia del benessere,per essere felici e vivere in pace.

Finanza per la felicità e la pace: in Italia, in Ecuador e nel mondo intero.

F i n a n z a p e r l a f e l i c i t à

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Carta dei Valori del Credito Cooperativo

1. Primato e centralità della persona

Il Credito Cooperativo ispira la propria attività all’attenzione e alla promo-zione della persona.

Il Credito Cooperativo è un sistema di banche costituite da persone chelavorano per le persone.

Il Credito Cooperativo investe sul capitale umano – costituito dai soci,dai clienti e dai collaboratori – per valorizzarlo stabilmente.

2. L’impegno

L’impegno del Credito Cooperativo si concentra, in particolare, nel soddi-sfare i bisogni finanziari dei soci e dei clienti, ricercando il miglioramentocontinuo della qualità e della convenienza dei prodotti e dei servizi offerti.

Obiettivo del Credito Cooperativo è produrre utilità e vantaggi, è crearevalore economico, sociale e culturale a beneficio dei soci e della comunitàlocale e “fabbricare” fiducia.

Lo stile di servizio, la buona conoscenza del territorio, l’eccellenza nellarelazione con i soci e clienti, l’approccio solidale, la cura della professiona-lità costituiscono lo stimolo costante per chi amministra le aziende delCredito Cooperativo e per chi vi presta la propria attività professionale.

3. Autonomia

L’autonomia è uno dei princìpi fondamentali del Credito Cooperativo. Taleprincipio è vitale e fecondo solo se coordinato, collegato e integrato nel“sistema” del Credito Cooperativo.

4. Promozione della partecipazione

Il Credito Cooperativo promuove la partecipazione al proprio interno e inparticolare quella dei soci alla vita della cooperativa.

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nità locale, il suo sviluppo economico, sociale e culturale. Il CreditoCooperativo esplica un’attività imprenditoriale “a responsabilità sociale”,non soltanto finanziaria, ed al servizio dell’economia civile.

8. Formazione permanente

Il Credito Cooperativo si impegna a favorire la crescita delle competenze edella professionalità degli amministratori, dirigenti, collaboratori e la cresci-ta e la diffusione della cultura economica, sociale, civile nei soci e nellecomunità locali.

9. Soci

I soci del Credito Cooperativo si impegnano sul proprio onore a contribui-re allo sviluppo della banca lavorando intensamente con essa, promuoven-done lo spirito e l’adesione presso la comunità locale e dando chiaro esem-pio di controllo democratico, eguaglianza di diritti, equità e solidarietà tra icomponenti la base sociale.

Fedeli allo spirito dei fondatori, i soci credono ed aderiscono ad un codiceetico fondato sull’onestà, la trasparenza, la responsabilità sociale, l’altruismo.

10. Amministratori

Gli amministratori del Credito Cooperativo si impegnano sul proprio onorea partecipare alle decisioni in coscienza ed autonomia, a creare valore eco-nomico e sociale per i soci e la comunità, a dedicare il tempo necessario atale incarico, a curare personalmente la propria qualificazione professionalee formazione permanente.

11. Dipendenti

I dipendenti del Credito Cooperativo si impegnano sul proprio onore a col-tivare la propria capacità di relazione orientata al riconoscimento della sin-golarità della persona e a dedicare intelligenza, impegno qualificato, tempoalla formazione permanente e spirito cooperativo al raggiungimento degliobiettivi economici e sociali della banca per la quale lavorano.

C a r t a d e i V a l o r i d e l C r e d t o C o o p e r a t i v o

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Il Credito Cooperativo favorisce la partecipazione degli operatori localialla vita economica, privilegiando le famiglie e le piccole imprese; promuo-ve l’accesso al credito, contribuisce alla parificazione delle opportunità.

5. Cooperazione

Lo stile cooperativo è il segreto del successo. L’unione delle forze, il lavorodi gruppo, la condivisione leale degli obiettivi sono il futuro della coopera-zione di credito. La cooperazione tra le banche cooperative attraverso lestrutture locali, regionali, nazionali e internazionali è condizione per con-servarne l’autonomia e migliorarne il servizio a soci e clienti.

6. Utilità, servizio e benefici

Il Credito Cooperativo non ha scopo di lucro. Il conseguimento di un equo risultato, e non la distribuzione del profit-

to, è la meta che guida la gestione del Credito Cooperativo. Il risultato utiledella gestione è strumento per perpetuare la promozione del benessere deisoci e del territorio di riferimento, al servizio dei quali si pone il CreditoCooperativo.

Esso è altresì testimonianza di capacità imprenditoriale e misura dell’ef-ficienza organizzativa, nonché condizione indispensabile per l’autofinanzia-mento e lo sviluppo della singola banca cooperativa.

Il Credito Cooperativo continuerà a destinare tale utile al rafforzamentodelle riserve – in misura almeno pari a quella indicata dalla legge – e ad altreattività di utilità sociale condivise dai soci.

Il patrimonio accumulato è un bene prezioso da preservare e da difen-dere nel rispetto dei fondatori e nell’interesse delle generazioni future.

I soci del Credito Cooperativo possono, con le modalità più opportune,ottenere benefici in proporzione all’attività finanziaria singolarmente svoltacon la propria banca cooperativa.

7. Promozione dello sviluppo locale

Il Credito Cooperativo è legato alla comunità locale che lo esprime da un’al-leanza durevole per lo sviluppo.

Attraverso la propria attività creditizia e mediante la destinazione annua-le di una parte degli utili della gestione promuove il benessere della comu-

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© Ecra - Edizioni del Credito CooperativoVia M. D’Azeglio, 33 - 00184 Roma - Telefono 064741157 - Fax 064826503

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Finito di stampare nel mese di novembre 2005