62
R R i i a a s s s s u u n n t t i i d d i i S S T T O O R R I I A A D D E E L L P P E E N N S S I I E E R R O O E E C C O O N N O O M M I I C C O O Parte Prima a.a. 2006-2007 Maria Rosa Baglieri [email protected]

Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Storia Del Pensie

Citation preview

Page 1: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RRiiaassssuunnttii ddii

SSTTOORRIIAA DDEELL PPEENNSSIIEERROO

EECCOONNOOMMIICCOO PPaarrttee PPrriimmaa

a.a. 2006-2007

Maria Rosa Baglieri

[email protected]

Page 2: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte
Page 3: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 1

CAPITOLO 2. IL MERCANTILISMO, LA FISIOCRAZIA E GLI ALTRI PRECURSORI DEL PENSIERO

ECONOMICO CLASSICO

Il mercantilismo Mercantilismo è il nome con il quale viene solitamente indicato un

intero periodo sia nella letteratura, sia nell'attività economica, durato circa 250 anni, tra

il 1500 e il 1750.

Potere e ricchezza In questo periodo di declino del feudalesimo e di crescita dello Stato

nazionale, i mercantilisti tentarono di individuare le politiche più appropriate per favorire

la potenza e la ricchezza della nazione.

L'ipotesi fondamentale da cui essi partivano era che la ricchezza globale del mondo

fosse fissa: la ricchezza e il potere in uno stato potevano essere aumentati solo a spese

di qualche altro Stato. I mercantilisti si concentrarono dunque sul ruolo del commercio

internazionale, e della bilancia commerciale in particolare, come strumenti per favorire

la crescita economica.

Secondo la maggior parte di questi autori lo scopo dell'attività economica è la

produzione, non il consumo. L'aumento della ricchezza nazionale poteva quindi essere

ottenuto incoraggiando la produzione, aumentando le esportazioni e al tempo stesso

contenendo il consumo interno: la ricchezza della nazione era basata sulla povertà della

maggior parte dei suoi abitanti.

La politica economica suggerita da questi autori contemplava bassi livelli di salario

per due fondamentali motivi:

• per assicurare alla nazione un vantaggio competitivo sugli altri paesi;

• perché salari al disopra del livello di sussistenza avrebbero determinato un minore

sforzo lavorativo con conseguente contrazione della produzione nazionale.

La bilancia commerciale Seguendo le indicazioni del pensiero mercantilista un paese

dovrebbe incoraggiare le esportazioni e disincentivare le importazioni per mezzo di

tariffe, dazi, tasse, sussidi e qualsiasi altro mezzo che consente di raggiungere un

attivo della bilancia commerciale.

I primi mercantilisti si dichiaravano favorevoli a una bilancia commerciale in attivo

perché questa avrebbe generato un flusso di metalli preziosi verso la nazione (i primi

mercantilisti definivano la ricchezza di una nazione non in termini della sua produzione

o del suo consumo ma in termini delle sue riserve di metalli preziosi).

Se i primi mercantilisti sostenevano l'idea di una bilancia attiva nei confronti di un

singolo paese estero, successivamente si arrivò a sostenere la significatività soltanto

della bilancia complessiva verso il resto del mondo. L'Inghilterra, ad esempio, avrebbe

Page 4: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 [email protected] 2

potuto anche intrattenere un disavanzo commerciale con l'India se ne avesse importato

le materie prime a un costo così basso da produrre all'interno beni per l'esportazione e

raggiungere così l'attivo della bilancia complessiva.

Il mercantilismo e la moneta Le questioni e le perplessità sollevate dall'insistenza dei

mercantilisti sulla bilancia commerciale in attivo possono essere affrontate con più

attenzione si esamina la loro concezione della moneta.

Se i primi mercantilisti identificavano la ricchezza di una nazione con le sue riserve di

metalli preziosi (essi erano rimasti colpiti dalla portata del gigantesco flusso di metalli

preziosi che dall'America si riversava in Europa), gli autori successivi abbandonarono

questa posizione e furono in grado di sviluppare strumenti analitici importanti circa il

ruolo della moneta nell'economia.

La relazione tra quantità di moneta e il livello generale dei prezzi, per esempio, venne

riconosciuta già nel 1569 dal francese Jean Bodin: egli individuava l'incremento della

quantità di oro e di argento susseguente alla scoperta del "nuovo mondo" come il più

importante motivo della crescita del livello generale dei prezzi in Europa durante il

sedicesimo secolo.

Sul finire del XVII secolo John Locke fu in grado di analizzare il ruolo della moneta con

ancora maggiore precisione e dimostrò come il livello dell'attività economica dipendesse

dalla quantità di moneta e dalla sua velocità di circolazione.

A metà del XVIII secolo, David Hume presenta una descrizione ragionevolmente

completa delle interrelazioni esistenti tra il saldo della bilancia commerciale di un paese,

la quantità di moneta e il livello generale dei prezzi. Hume affermava in particolare che

sarebbe stato impossibile per l'economia mantenere costantemente un avanzo di

bilancio commerciale perché questo avrebbe provocato il suo interno un aumento della

quantità di oro e argento che, a sua volta, avrebbe causato un aumento di prezzi. La

continua fuoriuscita di oro e di argento sperimentate invece negli altri paesi avrebbe

portato a una caduta del livello dei loro prezzi interni. L'economia che inizialmente

sperimentasse un salto di bilancio positivo avrebbe perciò visto ridursi le proprie

esportazioni e aumentare le importazioni a causa dei suoi prezzi relativamente più alti e

il contrario sarebbe accaduto per l'economia che inizialmente si fosse trovata in una

situazione di disavanzo commerciale (questo “sistema” prende il nome di price specie-

flow mechanism). Solo verso la metà del XVIII secolo si arrivò a una certa padronanza

dei meccanismi che regolano un'economia di mercato.

Page 5: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 3

Una delle caratteristiche principali della letteratura mercantilista è data dalla convinzione che le

principali determinanti del livello di attività economica e del suo saggio di crescita, sono i fattori

monetari piuttosto che quelli reali; in particolare, viene sottolineato il ruolo essenziale di un

adeguata offerta di moneta per la crescita del commercio, tanto interno quanto internazionale,

così che variazioni della quantità di moneta dovrebbero comportare variazioni del livello della

produzione reale.

Il contributo teorico di mercantilisti Il risultato teorico più significativo dell'era

mercantilista fu il riconoscimento esplicito della possibilità di analizzare l'economia.

Tale sviluppo raggiunse l'apice dopo Isaac Newton e il suo impatto è avvertibile ancora

oggi. L'idea che le leggi dell'economia potessero essere scoperte grazie allo stesso

metodo d'indagine che aveva rivelato le leggi della fisica rappresentò un passo decisivo

verso gli sviluppi successivi della teoria economica.

Parecchi dei mercantilisti intravidero nell'economia una causalità quasi automatica e

ritenevano che, se si fossero comprese le regole della causalità, si sarebbe potuta

controllare l'economia. La legislazione, se disposta saggiamente, avrebbe potuto

influenzare il corso di eventi economici e l'analisi economica avrebbe saputo indicare

quali forme di intervento pubblico avrebbero consentito di raggiungere un obiettivo

prefissato.

Molti degli ultimi mercantilisti ammisero gli errori analitici commessi dai loro

predecessori e riconobbero:

• che la moneta non era una misura della ricchezza di una nazione;

• che tutte le nazioni non avrebbero potuto avere contemporaneamente un attivo di

bilancia commerciale;

• che nessun paese avrebbe potuto conservare un salto di bilancio positivo nel lungo

periodo;

• che il commercio avrebbe potuto portare vantaggi reciproci alle nazioni e che tali

vantaggi sarebbero aumentati per quelle nazioni che avessero sperimentato la

specializzazione e la divisione del lavoro.

Un numero sempre maggiore di autori iniziò a raccomandare una riduzione

dell'intervento pubblico dell'economia e la produzione letteraria racchiuse sempre più

affermazioni dell'incipiente liberismo classico. Nonostante tutto questo nessuno degli

economisti classici fu in grado di offrire una descrizione completa dell'operare di

un'economia di mercato, cioè del modo in cui si formano i prezzi e in cui vengono

collocate le risorse scarse. Quest'insuccesso può essere attribuito a un'importante

differenza tra pensiero mercantilista e pensiero classico: i mercantilisti erano

Page 6: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 [email protected] 4

convinti dell'esistenza di un conflitto fondamentale tra gli interessi privati e il benessere

pubblico e quindi ritenevano necessario che il governo incanalasse gli interessi

individuali verso il vantaggio collettivo; gli economisti classici invece intravedevano

un'armonia di fondo del sistema e immaginavano che il bene pubblico scaturisse

naturalmente dalla ricerca dell'interesse personale.

Precursori del pensiero classico

Thomas Mun Mun era un dirigente della Compagnia delle Indie Orientali che veniva

criticata per la sua attività in quanto contribuiva a determinare due risultati ritenuti

all'epoca poco desiderabili:

1. l'Inghilterra importava dall'India più di quanto gli portasse e

2. vi inviava, come mezzo di pagamento metalli preziosi.

Mun in effetti affermava che la ricchezza dell'Inghilterra veniva dal commercio estero e,

con impronta tipicamente mercantilista, confondeva la ricchezza di un paese con le

riserve di metalli preziosi; ne conseguiva che la bilancia commerciale fosse in attivo,

così che fosse garantito un afflusso di oro e argento verso le casse nazionali. A parere

di Mun il governo avrebbe dovuto regolamentare il commercio estero, così da

mantenere un attivo di bilancio:

• incoraggiando l'importazione di materie prime a basso costo e l'esportazione di beni

manufatti;

• stabilendo tariffe protezionistiche sui beni manufatti di importazione;

• adottando altre misure che favorissero la crescita della popolazione e il

mantenimento dei salari a un livello basso e concorrenziale.

Se da una parte Mun teorizzava queste posizioni tipicamente mercantiliste, allo stesso

tempo ne respingeva delle altre (proprio quelle che davano corpo alle critiche contro la

Compagnia delle Indie Orientali. La spiegazione di questa apparente contraddizione era

che, nonostante la desiderabilità di una favorevole bilancia commerciale verso tutti i

paesi, e l'indesiderabilità di una fuoriuscita di metalli preziosi, nel caso specifico

dell'India un bilancio in passivo e un deflusso di metalli preziosi sarebbero stati

complessivamente un beneficio per l'Inghilterra in quanto questo le avrebbe consentito

vantaggi commerciali verso il resto del mondo.

William Petty Petty è il primo pensatore che con cognizione di causa si fa promotore

dell'impiego di quelle che noi oggi chiameremo tecniche statistiche al fine di misurare i

fenomeni sociali. Egli tentò infatti di misurare la popolazione, il reddito nazionale, le

importazioni e le esportazioni, e lo stock di capitale della nazione, e tutto questo

Page 7: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 5

nonostante disponesse di tecniche assai primitive. La seconda intuizione di Petty di

esprimere le idee in termini di numero, peso e misura, e di accettare solo quelle

argomentazioni che hanno un visibile fondamento nella natura, rappresenta la "prima

pietra" del moderno approccio all'economia.

Bernard Mandeville Uno degli aspetti più interessanti in Mandeville è senza dubbio

l'idea di accettare uomini e donne come sono, piuttosto che tentare di propugnare

precetti morali in merito a come dovrebbero essere: il compito del governo è appunto

quello di partire dal dato dell'umanità imperfetta e piena di vizi, reindirizzando i

comportamenti tramite leggi e regolamenti verso il bene comune. In altre parole, egli era

convinto che il mondo fosse pieno di vizi, ma che nonostante questo "i vizi privati

potessero essere trasformati in benefici collettivi dall'opera accorta di un abile politico".

Ciò che faceva di Mandeville un mercantilista era l'insistenza sul ruolo del governo del

regolamentare il commercio estero così da assicurare un'eccedenza delle

esportazioni sulle importazioni.

Partendo dal presupposto che l'obiettivo della società è la produzione, Mandeville era

contro la pigrizia e a favore della popolazione numerosa in cui anche i bambini

lavorassero: una popolazione numerosa con un alto tasso di partecipazione alla forza

lavoro avrebbe determinato bassi salari, e questo avrebbe comportato per la nazione un

vantaggio comparato delle esportazioni e del commercio internazionale.

David Hume Hume potrebbe essere classificato tra i mercantilisti liberali, ossia tra

coloro che, con un piede ancora nel mercantilismo, già si muovevano verso l'economia

politica classica. L'adesione di Hume alle posizioni mercantiliste è rappresentata dalle

sue opinioni circa le conseguenze di un incremento graduale dell'offerta di moneta sul

livello della produzione in termini reali e dell'occupazione. Su questo punto la

differenza tra i mercantilisti e i classici sta nel fatto che mentre per i primi la produzione

in termini reali avrebbe potuto essere aumentata attraverso variazioni dell'offerta di

moneta, per i classici sarebbero state necessarie variazioni carattere reale piuttosto che

monetario, laddove variazioni dell'offerta di moneta avrebbero modificato soltanto il

livello generale di prezzi. La posizione di Hume era che, nonostante il livello assoluto di

denaro della nazione non avesse alcuna influenza sulla produzione in termini reali,

tuttavia un incremento graduale dell'offerta di moneta avrebbe comportato una

maggiore produzione.

Sono state poi sviluppate da Hume altre due idee che vale la pena ricordare. Hume era

interessato al legame tra libertà politica e libertà economica ed era convinto che un

Page 8: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 [email protected] 6

ampliamento della sfera di libertà economica dovesse accompagnarsi a una crescita

della libertà politica. La seconda è che Hume distinse per primo tra considerazioni di

tipo positivo e considerazioni di tipo normativo: ciò che deve essere (affermazione

normativa) non può essere derivato da ciò che è (affermazione positiva).

Richard Cantillon Cantillon è un pensatore originale dal punto di vista analitico, autore di

avanzamenti importanti verso la comprensione del funzionamento di un sistema di mercato e

seguace di Petty nello sforzo di quantificare il ragionamento economico, ma sfortunatamente ha

avuto scarsa influenza sul pensiero economico successivo.

La fisiocrazia La fisiocrazia nacque intorno al 1750 in Francia con l'obiettivo di studiare

l'interrelazione tra i diversi settori dell'economia e analizzare il funzionamento dei

mercati non regolamentati.

La legge naturale Il perno del pensiero fisiocratico è costituito dalla legge naturale. Il

fisiocratici erano convinti che vi fossero delle leggi naturali che governavano il

funzionamento dell'economia e che tali leggi fossero indipendenti dalla volontà degli

uomini: questi ultimi, però, avrebbero potuto studiarle e conoscerle in modo oggettivo,

così come facevano con le leggi delle scienze naturali.

L'interdipendenza del sistema economico Quando nacque il pensiero fisiocratico la

Francia conosceva la seguente situazione economica: mentre alcune zone del nord

della Francia si stavano modernizzando, la gran parte del paese restava ancorato alle

vecchie tecniche, comportando uno sviluppo complessivo irregolare. Per far fronte a

questo problema i fisiocratici intendevano scoprire la natura e le cause della ricchezza

delle nazioni, e le politiche più efficaci per promuovere la crescita economica.

Contrariamente ai mercantilisti, i fisiocratici misero al centro della loro analisi le forze

reali che promuovono lo sviluppo economico (piuttosto che la moneta).

Il sistema economico, a quell'epoca, produceva più beni di quelli necessari a ripagare i

costi reali che la società aveva sostenuto per produrli, e quindi presentava un

sovrappiù. I fisiocratici si dedicarono alla ricerca dell'origine e delle dimensioni del

sovrappiù dell'economia e questa loro ricerca culminò con l'idea del “prodotto netto”.

Secondo i fisiocratici era la produzione ottenuta impiegando la terra a dare luogo a un

sovrappiù o, come lo chiamavano i fisiocratici, "prodotto netto". Dopo che i vari fattori

della produzione (sementi, lavoro, macchinari ecc.) sono stati pagati, il raccolto annuale

lascia una parte ulteriore che i fisiocratici interpretarono con il risultato della produttività

della natura. Secondo questi autori, infatti, il lavoro avrebbe potuto produrre soltanto i

beni sufficienti a coprire i costi del lavoro e ciò sarebbe avvenuto analogamente anche

Page 9: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 7

per tutti gli altri fattori della produzione, con l'unica eccezione della terra. Le attività

economiche non agricole erano per questo motivo considerate "sterili" visto che in esse

non si creava alcun prodotto netto.

Avendo dunque stabilito che l'origine del prodotto netto andava ricercata nella

terra, i fisiocratici conclusero che la rendita sulla terra costituiva la misura del prodotto

netto della società.

La teoria elaborata dai fisiocratici sul funzionamento del sistema economico venne

sintetizzata da Quesnay (il leader di fisiocratici) nel Tableau économique

esemplificato nella figura in basso. In essa sono rappresentati tre settori della società,

vale a dire gli agricoltori, i proprietari fondiari, e gli artigiani e i servitori.

L'analisi dei fisiocratici inizia assumendo l'esistenza di un prodotto netto all'inizio del periodo di

produzione che si trova nelle mani dei proprietari terrieri e che è pari a 2.000 libbre (unità

monetaria francese prima del franco): esso è stato pagato loro a titolo di rendita in seguito

all'attività economica svolta nel periodo precedente.

In linea con l'ipotesi che solo la terra potesse generare un output più grande dei costi della sua

produzione, nel Tableau si assume che la produttività della terra sia pari al 100% (mentre

l'attività di artigiani, ad esempio, si traduce in beni prodotti il cui valore è uguale al pagamento

dei fattori della produzione).

Partendo dalla colonna centrale del

Tableau, i proprietari spendono il prodotto

netto dell'anno precedente acquistando

1.000 libbre di beni dagli artigiani e 1.000

libbre di beni agricoli dagli agricoltori

(corrispondenti alle linee diagonali

marroni). Le 1.000 libbre spese nel settore

agricolo generano 2.000 libbre di credito,

di cui metà sono dirette verso i proprietari

sotto forma di prodotti, e l'altra metà sotto

forma di rendita. Le 1.000 libbre di reddito

ricevute dagli artigiani vengono in parte

spese in beni agricoli (prima diagonale verde), e quindi, secondo l'ipotesi di base, generano un

identico prodotto netto: le 500 libbre della colonna di sinistra che si traducono quindi in un

uguale ammontare di rendita diretta verso i proprietari. Le spese degli agricoltori per i beni

prodotti dagli artigiani sono poi rappresentate dalle linee diagonali arancioni che vanno dalla

colonna di sinistra a quella di destra.

Page 10: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 [email protected] 8

I fisiocratici considerarono la "tavola economica" di Quesnay come il loro supremo

risultato analitico, capace di dare una rappresentazione, benché grossolana:

• del flusso dei redditi monetari tra i vari settori dell'economia;

• della creazione e della circolazione annuale del prodotto netto all'interno del sistema

economico.

I fisiocratici e la politica economica Nella teoria fisiocratica i prezzi si formavano sul

mercato per mezzo dell'attività economica, e tale processo di formazione dei prezzi

avrebbe potuto essere studiato perché soggiaceva alla legge naturale ed era quindi

indipendente dalla volontà degli individui. Nonostante essi non svilupparono una

coerente teoria di prezzi, furono in grado di giungere alla conclusione che la libera

concorrenza avrebbe prodotto i prezzi migliori e che la società nel suo insieme

avrebbe tratto beneficio se ciascun individuo avesse seguito il proprio interesse

personale.

Sulla base dell'ipotesi che l'unico settore economico che producesse prodotto netto

fosse l'agricoltura, essi stabilirono inoltre che il carico fiscale dovesse gravare in ultima

istanza sulla terra.

Ma la conclusione più importante a cui giunsero i fisiocratici fu la loro crescente

consapevolezza della funzione dei prezzi nell'integrare le attività dei vari settori

dell'economia. Essi riconobbero che un individuo all'interno di un'economia di mercato,

benché apparentemente sembri lavorare in modo indipendente, in realtà sta lavorando

per gli altri individui, così che le attività interdipendenti di tutti i soggetti sono integrate

per mezzo del sistema di prezzi.

L'idea di un'economia perlopiù capace di autoregolarsi veniva loro dalla convinzione

che esistesse un ordine naturale al di sopra delle intenzioni e dei comportamenti umani.

Le politiche mercantiliste sul commercio tanto in patria che all'estero vennero dunque

indicate dai fisiocratici come il principale ostacolo alla crescita economica, in

particolare fu il sistema fiscale ad essere attaccato sulla scorta della convinzione

dell'opportunità di una sola tassa da applicare ovviamente alla terra1.

Essi erano convinti che una politica di lassez faire sarebbe stata sufficiente a generare

una crescita imponente dell'agricoltura francese e a trasformarne la struttura basata

sull'impresa di piccole dimensioni, tipica dell'economia feudale, nella moderna

1 Delle molte regolamentazioni governative la più inopportuna per i fisiocratici era la proibizione dell'esportazione del grano francese che, a loro giudizio, manteneva basso il livello del prezzo del grano in Francia e impediva di conseguenza lo sviluppo agricolo.

Page 11: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 2 9

agricoltura su grande scala, con un aumento generale di ricchezza e di potenza per

l'intera economia francese.

Per i mercantilisti la fonte del prodotto netto era lo scambio, in particolare nella forma

del commercio internazionale, e perciò proponevano misure di politica economica che

promuovessero una bilancia commerciale in attivo. Per i fisiocratici la fonte del prodotto

netto era l'agricoltura, essi quindi sostenevano che il lassez faire avrebbe generato un

aumento della produzione agricola e, in ultima istanza, una crescita economica più

sostenuta.

Page 12: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 [email protected] 10

CAPITOLO 3. ADAM SMITH

Adam Smith e l'economia classica Adam Smith è unanimamente considerato il primo

degli economisti classici. La concezione di Smith a proposito dello scopo della scienza

economica segue quella dei mercantilisti, tendente alla spiegazione della natura e delle

cause della ricchezza delle nazioni.

L'analisi dei mercati e le conclusioni di politica economica La grandezza di Smith

viene dalla sua concezione dell'interdipendenza tra i vari settori dell'economia e

delle politiche che devono essere conseguentemente adottate per favorire la crescita

della ricchezza di una nazione.

Una politica economica contestualizzata La propensione smithiana al lassez faire è

fondata sull'approccio metodologico che si pone la seguente domanda: è vero che

l'esperienza dimostra che l'intervento del governo produce risultati migliori rispetto al

libero funzionamento dei mercati? Nel rispondere, Smith è disposto ad ammettere che i

mercati spesso non raggiungono risultati ideali dal punto di vista del benessere sociale,

ma per realismo è altresì convinto che le conseguenze dell'intervento pubblico fossero

ancora meno accettabili di quelle del libero mercato. Egli pertanto invocava il lassez

faire non perché riteneva che i mercati fossero perfetti ma perché nel contesto storico e

istituzionale dell'Inghilterra del suo tempo i mercati erano soliti raggiungere risultati

migliori di quelli ottenuti con la loro regolamentazione.

L'ordine naturale, l'armonia, e il “laissez faire” Il messaggio che traspare da quasi ogni

pagina della Ricchezza delle nazioni è che in un’economia di mercato non soggetta a

regolamentazione l'interesse privato condurrà all'ottenimento del bene comune.

La chiave per comprendere questo processo è tutta nell'attività dei capitalisti. Smith

dimostrò prima di tutto che i capitalisti non sono spinti da motivazioni altruistiche, ma

dalla ricerca del profitto: "se noi otteniamo il nostro pane quotidiano, questo non è

dovuto alla benevolenza del nostro panettiere!". Il capitalista considera il mercato in

termini di beni finali e al fine di incrementare i propri guadagni produce quei beni che

sono richiesti dalla popolazione; è poi la concorrenza fra capitalisti a far si che i beni

vengano prodotti a un costo che garantisce al produttore un ricavo appena sufficiente a

coprire i costi-opportunità dei vari fattori impiegati. Un profitto superiore a quello

normale in un certo settore dell'economia attirerà infatti nuove imprese, finché il prezzo

sarà sceso a un livello tale per cui siano eliminati gli extraprofitti.

Anche i consumatori, infine, hanno un certo controllo sull'intera economia tramite il loro

potere d'acquisto sul mercato: mutamenti nelle loro preferenze sono immediatamente

Page 13: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 11

rilevati dai prezzi in aumento o in diminuzione, e conseguentemente da profitti superiori

o inferiori delle diverse attività produttive.

La conclusione di Smith è di una certa meraviglia per come il mercato, senza essere

pianificato o pilotato dall'intervento pubblico, conduca a soddisfare i desideri dei

consumatori al minor costo sociale possibile. Nel gergo dell'economia moderna si

direbbe che si raggiunge una locazione ottima di risorse all'interno di mercati

concorrenziali non regolamentati.

Il funzionamento dei mercati concorrenziali Smith fu capace di specificare con notevole

accuratezza il meccanismo in base al quale il prezzo determinato in condizioni di

concorrenza eguagli nel lungo periodo il costo di produzione. Nel corso della sua analisi

della formazione dei prezzi e dell'allocazione delle risorse egli definì i prezzi di breve

periodo "prezzi di mercato", e quelli di lungo periodo, che costituivano l'oggetto

principale della sua trattazione, "prezzi naturali".

Se il prezzo di un bene finale si rivelasse superiore a quello naturale di lungo periodo,

questo implicherebbe profitti, o salari, o una rendita maggiori, nel settore in cui viene

prodotto, rispetto al livello naturale, e questo darebbe luogo a un processo di

aggiustamento durante il quale alcune risorse si sposterebbero dagli altri settori fino a

che si ristabilisse il prezzo naturale. In questo modo i mercati concorrenziali senza

regolamentazione da parte del governo garantirebbero non solo un’allocazione ottima

delle risorse ma anche il massimo saggio di crescita possibile.

Avendo stabilito la superiorità di mercati concorrenziali, Smith passa poi a costruire la sua

critica ai monopoli e agli interventi pubblici dell'economia. Egli infatti riconosce la tendenza da

parte degli uomini di affari a riunirsi allo scopo di monopolizzare il commercio, e benché non sia

in grado di specificare esattamente quale sarebbe il prezzo di monopolio, intuisce però che

rispetto alla concorrenza esso sarebbe mantenuto più alto attraverso la produzione di una

minore quantità di beni.

Smith critica molte delle proposte di regolamentazione avanzate a loro tempo dai mercantilisti,

e dimostra come esse portassero a un’allocazione delle risorse peggiore di quella ottenibile

tramite la concorrenza sui mercati. L'opinione di Smith è che molti degli argomenti adottati dai

mercantilisti a sostegno dell'intervento pubblico erano di fatto suggeriti da un interesse di parte

(i mercantilisti erano per la maggior parte dei commercianti), malgrado fossero apparentemente

diretti a promuovere il bene pubblico.

Nonostante la sua posizione generalmente contraria alla regolamentazione del commercio

internazionale, egli ammise l'eccezione per il caso delle tariffe volte a proteggere le industrie

nascenti. Analogamente, una regolamentazione si sarebbe resa necessaria qualora la politica

di un commercio internazionale assolutamente libero avesse indebolito la difesa della nazione.

Page 14: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 [email protected] 12

Il capitale e i capitalisti Smith sottolineò che la ricchezza corrente di una nazione

dipende dall'accumulazione del capitale, dato che è l'accumulazione a determinare la

divisione del lavoro e la proporzione della popolazione che è impiegata nei lavori

produttivi.

In secondo luogo, Smith arrivò alla conclusione che l'accumulazione di capitale gode

anche della proprietà di condurre allo sviluppo economico.

Infine, l'interesse individuale abbinato all'accumulazione di capitale, favorisce

un’allocazione ottimale del capitale tra le varie industrie.

Smith riteneva che i lavoratori non potessero accumulare capitale, poichè il livello dei

salari da loro percepiti permetteva soltanto la soddisfazione degli immediati desideri di

consumo; i proprietari terrieri, d'altro canto, pur avendo redditi sufficienti

all'accumulazione li spendevano per soddisfare la loro insaziabile proprensione per il

lusso, e quindi finivano per mantenere soltanto lavoro improduttivo.

Restavano quindi i membri della nascente classe industriale come unici soggetti dai

quali ci si potevano attendere comportamenti tesi alla realizzazione di profitti,

all'accumulazione di capitale tramite il risparmio e l'investimento, e quindi meritevoli,

secondo Smith, di essere considerati come i veri benefattori della società.

Una distribuzione del reddito diseguale a favore dei capitalisti era perciò di importanza

decisiva dal punto di vista della società, dal momento che senza tale disuguaglianza

tutto il prodotto annuale sarebbe stato consumato e non sarebbe stata possibile alcuna

crescita economica.

La natura e le cause della ricchezza delle nazioni L'opinione di Smith era che tutti

mercantilisti avevano fatto una certa confusione pensando la ricchezza nei termini di un

fondo formato dall'accumulazione di metalli preziosi invece che di un flusso annuale di

beni e servizi prodotti.

Lo scopo dell'attività economica è per Smith il consumo mentre il lavoro e la fonte per

eccellenza della ricchezza di una nazione.

Le cause della ricchezza delle nazioni Smith era convinto che la ricchezza di una

nazione dipendesse:

a) dalla produttività del lavoro, e

b) dalla proporzione di lavoratori impiegati in modo utile o produttivo.

Page 15: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 13

Cosa determina la produttività della forza lavoro? Nel Libro I della Ricchezza delle

nazioni, Smith afferma che la produttività del lavoro dipende dalla divisione del lavoro

(e dalla conseguente specializzazione).

Quando ogni lavoratore effettua tutte le operazioni necessarie per produrre uno spillo il

prodotto per lavoratore è molto basso, quando invece il processo produttivo è frazionato

in una serie di operazioni distinte, e ogni lavoratore si specializza in una sola di esse,

allora esso aumenta notevolmente.

È interessante notare che insieme ai benefici dal punto di vista economico legati alla

socializzazione, Smith sottolineò anche alcuni seri svantaggi dal punto di vista sociale. Uno

degli svantaggi della divisione del lavoro è che i lavoratori, costretti a compiti semplici e ripetitivi

che presto diventano monotoni, sono in un certo senso disumanizzati e assimilati a delle

macchine. Nonostante tali conseguenze negative, però, Smith non aveva dubbi che a conti fatti

la divisione del lavoro portasse a un aumento complessivo del benessere.

La divisione del lavoro a sua volta dipende da quella che Smith chiamava l'estensione

del mercato e dall'accumulazione di capitale. Infatti più grande è il mercato tanto

maggiore è la quantità vendibile e quindi l'opportunità di introdurle la divisione del

lavoro; essa può progredire soltanto in proporzione alla preventiva e graduale

accumulazione del capitale poichè l'accumulazione del capitale consente di sopportare

la distanza tra l'inizio della produzione e la vendita di prodotto finale.

Per Smith lavoro produttivo è quello impiegato per produrre beni vendibili, mentre

lavoro improduttivo è quello impiegato per produrre servizi.

Smith argomenta che l'attività dei capitalisti, determinando una maggiore produzione di

merci, sia di beneficio per la crescita economica e lo sviluppo, a differenza delle spese

dei proprietari terrieri dirette verso la servitù e verso altri beni intangibili che

costituiscono uno spreco. E poiché per Smith quel che è vero per l'individuo è anche

vero per la nazione, la ricchezza complessiva sarà tanto più grande quanto maggiore

sarà nell'economia la quota di forza lavoro assorbita dalla produzione di beni tangibili.

La divisione tra lavoro produttivo e improduttivo serve inoltre a Smith per articolare la

sua posizione circa il ruolo del governo in economia. Essendo la crescita economica

ostacolata dalla spesa pubblica destinata ai lavori improduttivi, la cosa migliore da fare

è ridurre l'intervento del governo, con la conseguenza di poter abbassare le tasse sui

capitalisti e consentire loro di accumulare più capitale.

Page 16: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 [email protected] 14

Tirando le somme la vera causa della ricchezza e l'accumulazione del capitale.

Se le due determinanti

immediate della ricchezza delle

nazioni, infatti, sono la

produttività del lavoro e la

proporzione tra lavori produttivi

e improduttivi, nel pensiero di

Smith (rappresentato dallo

schema accanto), entrambe

dipendono in ultima istanza

dall'accumulazione del capitale.

La crescita economica sarà

tanto più sostenuta quanto

maggiore è la proporzione con

la quale il prodotto totale è destinato all'accumulazione del capitale piuttosto che ai beni

di consumo.

L'accumulazione di capitale richiede un modello istituzionale di libero mercato e di

proprietà privata. È in condizioni di libero mercato che un dato livello della spesa di

investimento sarà allocato in modo da garantire il maggiore saggio possibile di crescita

economica, ed è in un sistema basato sulla proprietà privata che si potrà raggiungere

quella diseguale distribuzione del reddito necessario a sostenere alti saggi di

accumulazione del capitale.

La teoria del valore Cosa determina il prezzo di un bene? Cosa determina il livello

generale dei prezzi? Qual è la migliore misura del benessere?

Smith non diede una risposta chiara e priva di ambiguità a nessuna di queste tre

domande. Nel tentativo di fornire queste risposte egli elaborò varie teorie:

• una teoria dei prezzi relativi basata sul costo del lavoro e sul lavoro comandato

valida per la società primitiva e una basata sul costo di produzione per la società

avanzata;

• una teoria intesa a spiegare il livello generale dei prezzi;

• la formulazione di un indice che misurasse i cambiamenti di benessere nel tempo.

Page 17: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 15

Prima di analizzare le risposte di Smith alla domanda “Cosa determina il livello

generale dei prezzi?”, definiamo il significato di “prezzi relativi” e “valore” in Smith.

I prezzi relativi L'analisi smithiana dei prezzi relativi, riferita all'economia del suo tempo,

include due riferimenti temporali, il breve e il lungo periodo, e due grandi settori del

sistema economico, l'agricoltura e la manifattura.

Nel breve periodo, a volte chiamato anche periodo di mercato, Smith identifica per

entrambi settori delle curve di domande inclinate verso il basso e delle curve di offerta

inclinate verso l'alto, con i prezzi di mercato determinati da entrambe le forze.

Le contraddizioni emergono nell'analisi, più complessa, di prezzi naturali che si

riferiscono al lungo periodo. Nel settore agricolo il prezzo naturale è determinato dalla

domanda e dall'offerta, dato che la curva di offerta di lungo periodo è inclinata

positivamente ad indicare costi crescenti. Nel settore della manifattura, invece, tale

curva di offerta di lungo periodo è a volte assunta come perfettamente elastica

(orizzontale), e a volte inclinata verso il basso, ad indicare costi costanti nel primo caso,

o addirittura decrescenti nel secondo. Se dunque la curva è perfettamente elastica il

prezzo dipende interamente dal costo di produzione mentre se è inclinata

negativamente dipende al tempo stesso dalla domanda e dall'offerta.

Smith percepì senza incoerenza, il ruolo della domanda della formazione dei prezzi

naturali e nell'allocazione delle risorse tra i vari settori dell'economia. Nonostante ciò, al

di là della forma che può assumere la funzione di offerta di lungo periodo della

manifattura, l'enfasi è posta principalmente sul ruolo del costo di produzione nella

determinazione dei prezzi relativi, ed è un'enfasi caratteristica non solo di Smith ma

anche degli economisti classici successivi.

Il significato del valore Occorre distinguere tra valore di scambio, che è il potere che

ha un bene di acquistarne altri, cioè il suo prezzo, ed è una misura oggettiva espressa

dal mercato; e valore d'uso, che è dato dalla caratteristica che ha un bene di

soddisfare i desideri, e quindi dall'utilità se ne ricava possedendolo o consumandolo.

Dei vari tipi di utilità implicati dal consumo, Smith si concentrò sull'utilità totale piuttosto

che su quella marginale e fu proprio questo il suo errore.

È chiaro che l'utilità totale dell'acqua è maggiore di quella dei diamanti. Tuttavia, poiché

l'utilità marginale di un bene spesso diminuisce l'aumentare del suo consumo, è

piuttosto probabile che un'unità addizionale di acqua conferisca meno utilità rispetto a

un'unità addizionale di diamanti. Il prezzo che siamo disposti a pagare per un bene non

dipende dalla sua utilità totale ma da quella marginale. Smith non riconobbe questo

Page 18: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 [email protected] 16

passaggio: questo spiega perché egli non riuscisse né a trovare una soluzione

convincente al paradosso dell'acqua e dei diamanti, né ad individuare la relazione

appropriata tra valore d'uso e valore di scambio.

Le tre teorie smithiane dei prezzi relativi Le tre teorie dei prezzi relativi sviluppate da

Smith sono:

• una teoria del valore basata sul costo del lavoro;

• una teoria del valore basata sul lavoro comandato;

• una teoria del valore basata sul costo di produzione.

A tal fine egli ipotizzò due stadi dell'economia ben distinti: uno stadio rozzo e primitivo,

o società primitiva, definita come un'economia in cui il capitale non è stato accumulato e

la terra non è stata fatta oggetto di appropriazione individuale; e un'economia avanzata,

in cui il capitale e la terra non sono più beni liberi (hanno cioè un prezzo maggiore di

zero).

Per il primo di questi due stadi dell'economia egli suggerì due spiegazioni dei prezzi

relativi, una basata sul costo del lavoro e una basata sul lavoro comandato.

La teoria del costo del lavoro in una società primitiva Smith sostiene che in

un'economia in cui non esistono terra e capitale, o in cui essi sono beni liberi, il

valore di scambio (o il prezzo) di un bene è determinato dalla quantità di lavoro

necessaria per produrlo.

Se occorrono due ore per catturare un castoro o pure due cervi, Smith concluse che

due cervi dovranno valere sul mercato quando un castoro, ovvero il prezzo di un

castoro sarà il doppio di quello di un cervo. Il rapporto di scambio per cui due cervi

valgono come un castoro è nella terminologia di Smith il prezzo naturale, o, in termini

moderni, il prezzo di equilibrio di lungo periodo. Supponiamo che in seguito a un

aumento della domanda di castoro il mercato genera un nuovo prezzo, poniamo tre

cervi uguale un castoro, CtCv 13 = . Il prezzo del castoro sale e contemporaneamente

quello del cervo scende: per Smith questo è un prezzo di mercato, o, in termini moderni,

un prezzo di equilibrio di breve periodo. In seguito a questa modifica i cacciatori non si

dedicano più alla caccia del cervo, ma solo a quella del castoro. Essi possono

procurarsi il cervo che desiderano non solo attraverso la caccia, ma anche in modo

indiretto, per mezzo della caccia di castori da scambiare poi contro cervi sul mercato.

La conseguenza di questo meccanismo è una maggiore offerta di castori e una minore

offerta di cervi, così che il prezzo dei primi scende e quello dei secondi aumenta.

Page 19: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 17

Abbiamo in tal modo stabilito che tutti prezzi superiori a CvCt 21 = sono prezzi di

disequilibrio, e che le forze di mercato provvederanno ad abbassarli fino al loro livello di

equilibrio di lungo periodo. Analogamente, ogni volta che il prezzo è inferiore a

CvCt 21 = l'offerta di castori calerà e il prezzo dei castori salirà fino a quel livello che

Smith chiamava naturale.

Questo modello smithiano di determinazione del prezzo attraverso una teoria del costo

del lavoro in una società primitiva incontra dei limiti:

a) Smith riconobbe che la quantità di lavoro richiesta dalla produzione di un bene non

può essere misurata in termini di ore-lavoro, poichè oltre che del tempo bisogna

tener conto anche dell'ingegnosità o dell'abilità del lavoratore e della difficoltà o della

sgradevolezza delle varie mansioni. Il problema che si trovò di fronte a questo punto

era per lui insormontabile: se la quantità di lavoro è funzione di parecchie variabili,

allora occorre trovare il modo di stabilire la loro importanza relativa. Il tentativo di

Smith consiste nel ricondurre il tempo, la fatica e l'abilità di una prestazione di lavoro

a un denominatore comune, assumendo che le differenze in queste variabili si

riflettano nel salario con cui viene retribuito il lavoro.

Dire, come faceva Smith, che la retribuzione del lavoro è una misura dell'ammontare

relativo del tempo, della fatica e dell'abilità richiesti per produrre un bene è un modo

di aggirare il problema: così si finisce infatti per affermare che un bene vale in base

al salario pagato, non in base alla quantità di lavoro contenuto in esso. Il

ragionamento è circolare, perché in questo modo un insieme di prezzi, i salari, viene

utilizzato per spiegare un altro insieme di prezzi.

b) L'ipotesi di Smith che i cacciatori di questo stato arcaico della società siano

comunque agenti razionali, calcolatori, e guidati dalla ricerca del tornaconto

personale, proprio come se fossero in una sala di contrattazioni di borsa anziché in

una tribù di primitivi, viene smentita dall'antropologia culturale che porterebbe a

considerare invece fattori quali le abitudini e le usanze.

c) C'è poi nel modello di Smith l'ipotesi di concorrenza perfetta: i cacciatori prendono i

prezzi come dati e possono solo adattare le quantità.

d) Smith ipotizza che sia il castoro che il cervo possono essere procurati in grandi

quantità a un costo medio costante per unità di prodotto, o, in altre parole, che le

curve di offerta nel lungo periodo sono orizzontali o perfettamente elastiche, mentre

ci si dovrebbe attendere che le ore necessarie per uccidere un castoro crescano con

Page 20: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 [email protected] 18

l'offerta complessiva di castori, così che la curva di offerta risulti inclinata

positivamente.

Assumendo costi costanti la domanda non giova alcun ruolo nel determinare i prezzi

relativi di lungo periodo: le sue eventuali variazioni avrebbero come unico effetto una

riallocazione dei fattori della produzione tra le varie industrie, ma nessuna influenza

sui prezzi di lungo periodo. Tali prezzi, quindi, dipendono interamente dal costo di

produzione, o dall'offerta. Nel caso in cui, come nel modello di Smith, il lavoro sia

l'unico costo di produzione, ne risulta una teoria del valore-lavoro.

e) Il modello di Smith, infine, è fondamentalmente statico. Si tratta di un'analisi

"atemporale" in quanto, partendo da una posizione di equilibrio di lungo periodo,

ipotizza alcuni disturbi e quindi ricava l'equilibrio finale, senza considerare il sentiero

temporale delle variabili del sistema: il processo di aggiustamento è dunque trattato

come istantaneo.

Il lavoro comandato in una società primitiva Seguendo Smith, nella teoria del lavoro

comandato "il valore di ogni merce per la persona che la possiede e che non intende

usarla o consumarla personalmente ma scambiarla con altre merci, è dunque uguale

alla quantità di lavoro che le consente di acquistare o avere a disposizione".

In altri termini, chi acquista un bene si risparmia il lavoro cui avrebbe dovuto sottoporsi

per produrlo direttamente. Il valore del bene è quindi il lavoro risparmiato da chi

acquista la merce, ovvero "comandato", attraverso l'atto di scambio, al produttore della

merce medesima. Quindi, ad esempio, il bene x "comanda" il lavoro necessario a

produrre il bene y con cui si scambia.

Per rimanere nell'esempio fatto in precedenza, sappiamo che un castoro comanderà

due ore di lavoro e che un cervo comanderà un'ora di lavoro, così che il loro prezzo

relativo sarà di nuovo CvCt 21 = : in una società primitiva avremo dunque lo stesso

prezzo sia che adottiamo la teoria del costo di lavoro che la teoria del lavoro

comandato.

La teoria del lavoro in una società avanzata In una società avanzata il capitale è stato

accumulato e la terra è stata fatta oggetto di appropriazione individuale. Dunque

nell'economia avanzata non ci sono più beni liberi, il prezzo finale di ogni bene deve

includere una quota per la retribuzione dei capitalisti, che prenderà la forma dei profitti,

e una quota per la retribuzione dei proprietari terrieri, che prenderà la forma della

rendita.

Page 21: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 19

In una società avanzata l'acquirente di un castoro dovrà offrire più unità di lavoro di

quelle necessarie a procurarselo, perché ora occorre includere anche un pagamento al

capitalista e al proprietario della terra oltre a quello che spetta al lavoratore.

Una volta che il capitale è stato cumulato e la terra fatta oggetto di appropriazione, e

quindi si devono pagare profitti e rendite, la teoria del lavoro come costo e la teoria del

lavoro comandato non coincidono più.

Tuttavia, se si considera il prezzo relativo di cervo e castoro si vede che i loro rapporto

di scambio è identico nelle due teorie, ciò dipende da un'ipotesi cruciale: le retribuzioni

del lavoro costituiscono la stessa quota proporzionale del prezzo finale in tutte le

industrie.

In altri termini, in un sistema economico progredito il lavoro contenuto è minore del

lavoro comandato ma se il costo del lavoro incide per la stessa percentuale sul prezzo

finale per tutte le industrie i prezzi relativi sono gli stessi per entrambe le teorie.

Ma un'ipotesi del genere non può ritenersi coerente con le condizioni prevalenti in

un'economia progredita in cui la fertilità di terreni non è uniforme e la rendita sarà

probabilmente una quota del prezzo finale diversa per i beni prodotti su terre di diversa

qualità. Così pure i rapporti capitale-lavoro varieranno probabilmente da industria a

industria e il profitto tenderà a rappresentare una quota superiore del prezzo finale nelle

industrie a maggior intensità di capitale.

Smith si rese conto di alcune delle reali difficoltà connesse con la teoria dei prezzi

relativi basata sulla quantità di lavoro e, non riuscendo a risolverle dal punto di vista

teorico, per il modello di un'economia progredita abbandonò la teoria basata sulla

quantità di lavoro a favore di una teoria basata sul costo di produzione.

La teoria dei prezzi relativi basata sul costo di produzione Il valore di un bene dipende

dalle remunerazioni accordate a tutti i fattori della produzione, e quindi anche al capitale

e alla terra, oltre che al lavoro.

Il costo totale per produrre un castoro è allora uguale a salari, profitti e rendite,

)()()()( CtRCtPCtWCtTC ++= , e ugualmente per il cervo sarà

)()()()( CvRCvPCvWCvTC ++= . Il prezzo relativo di castoro e cervo può essere così

ricavato dal rapporto )()( CvTCCtTC .

Secondo Smith il prevalere della concorrenza farebbe sì che l'interesse personale di

imprenditori, di lavoratori e di proprietari terrieri porti a prezzi naturali uguali ai costi di

produzione.

Page 22: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 [email protected] 20

La teoria della distribuzione Poiché salari, profitti e rendite, in un sistema economico,

non sono altro che prezzi, i loro valori relativi determineranno la distribuzione dei redditi

al suo interno.

I salari Le diverse teorie proposte da Smith per spiegare i salari possono essere

rintracciate nell'ottavo capitolo del Libro I, dove egli appoggiò una teoria della

sussistenza, una teoria della produttività, una teoria della contrattazione, una teoria

della rivendicazione residuale, e una teoria del fondo-salari. Ai nostri fini gli aspetti che

meritano un commento sono due.

1. Innanzitutto Smith mise in chiaro che nel processo di contrattazione sul salario i

lavoratori partono da una posizione di svantaggio. Non solo i datori di lavoro sono

molto meno numerosi dei lavoratori, e questo permette loro di accordarsi più

facilmente per rafforzare la propria posizione, ma la legge permette questa loro

coalizione mentre proibisce ai lavoratori di costituirsi in sindacato.

2. Inoltre i datori di lavoro possono contare su un’ampia disponibilità di risorse che

consentono loro di sopravvivere anche quando non impiegano lavoro, come durante

uno sciopero o una serrata, mentre "senza impiego molti lavoratori non potrebbero

sussistere neppure per una settimana, pochi un mese, e quasi nessuno un anno".

Questi passaggi indeboliscono le sue stesse argomentazioni circa il funzionamento

"benevolente" dei mercati.

La dottrina del fondo-salari Tale dottrina parte dall'assunto che vi sia un fondo fisso di

capitale destinato al pagamento dei salari, reso necessario per l'intervallo di tempo

richiesto dal processo produttivo: tra il suo inizio e la vendita finale dei prodotti, infatti, è

necessario che vi siano delle merci, prodotte in precedenza, che i lavoratori possono

usare per mangiare, per vestirsi e per tutte le altre necessità della vita. La fonte di

questa massa di merci, o fondo-salari, è il risparmio dei capitalisti.

Dati il fondo-salari e la dimensione della forza lavoro, il loro rapporto determina il saggio

di salario.

lavoro forza

salari -fondosalario di saggio =

Un aumento del saggio di salario avrebbe comportato un aumento della popolazione e

della forza lavoro, così che il salario sarebbe pian piano ricaduto al suo livello di

partenza.

I profitti Smith sembra accettare senza obiezioni di sorta la legittimità del profitto quale

remunerazione per l'attività socialmente utile svolta dal capitalista, vale a dire per aver

Page 23: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 21

fornito ai lavoratori, durante il processo produttivo, i mezzi di sostentamento e i

macchinari con cui lavorare. A loro volta i lavoratori tollerano questa deduzione

dall'output perché non hanno i materiali per lavorare e perché non sono in condizioni di

mantenersi in modo indipendente. Il profitto è quindi visto come la risultante di due

componenti: una remunerazione per il rischio sopportato, e una remunerazione a titolo

di puro interesse.

Le rendite Vi sono almeno quattro teorie smithiane sull'origine della rendita, tutte in

contraddizione tra di loro:

1. la domanda di proprietari terrieri;

2. il monopolio;

3. i vantaggi differenziali;

4. la generosità della natura.

All'inizio della Ricchezza delle nazioni la rendita è vista come una delle determinanti dei

prezzi, mentre nei capitoli successivi Smith considera la rendita come determinata dai

prezzi.

L'andamento nel tempo del saggio di profitto Smith addusse a tre ragioni per giustificare

la previsione che il saggio di profitto sarebbe caduto nel corso del tempo.

1. La concorrenza sul mercato del lavoro. Spinti dall'accumulazione del capitale, i

capitalisti si sarebbero fatti concorrenza sul mercato del lavoro provocando la

crescita dei salari, cosa che a parere di Smith avrebbe spinto in basso i profitti.

2. La concorrenza sul mercato dei beni. Via via che l'output fosse aumentato, i

capitalisti avrebbero dovuto farsi concorrenza sul mercato dei beni, abbassando i

prezzi di vendita e riducendo quindi i profitti.

3. La concorrenza sul mercato degli investimenti. Stante l'opinione di Smith che

esistesse solo un numero limitato di opportunità d'investimento, una cresciuta

accumulazione di capitale avrebbe provocato profitti sempre minori.

Il benessere e il livello generale dei prezzi Le altre due domande a cui Smith cercò di

dare risposta erano: Cosa determina il livello generale dei prezzi? Qual è la migliore

misura del benessere?

L'obiettivo di Smith consisteva nel pervenire a una definizione e a una successiva

misurazione del benessere in un sistema economico dove si producessero due o più

prodotti finali.

Se si adotta la definizione per la quale il benessere coincide con il consumo totale o con

il prodotto della società, nel caso di un'economia multi-prodotto vi è un problema da

Page 24: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

ADAM SMITH

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 3 [email protected] 22

risolvere a monte, cioè quello di sommare tra loro l'output o il consumo di prodotti

diversi. Una possibile soluzione a questo problema è la conversione di tutti prodotti in

un'unica unità di misura. Supponiamo che tale unità di misura sia data dall'unità di conto

monetaria. Nelle nostre economie l'output totale è misurato sommando il valore

monetario di ciascun bene per ottenere quello che chiamiamo prodotto interno lordo. Se

dunque il prodotto interno lordo aumenta da un anno all'altro siamo autorizzati a

pensare che sia aumentato anche il benessere?

Misurare in questo modo i cambiamenti di benessere in un'economia multi-prodotto

presenta delle difficoltà, poiché l'unità di misura scelta, cioè la moneta come unità di

conto, è a sua volta variabile con il livello generale dei prezzi: così facendo, il valore

monetario dell'output può non rappresentare fedelmente ciò che realmente è stato

prodotto. Smith pensò dapprima alla possibilità di utilizzare l'oro o l'argento come

numerario, ma dovette concludere che si trattava di una misura altrettanto

insoddisfacente essendo il loro prezzo variabile. Quindi provò con il lavoro, ma anche in

questo caso trovò che il suo prezzo non era stabile nel tempo. Alla fine l'unica misura

invariante di valore che riuscì ad identificare al fine di valutare i cambiamenti di

benessere fu la disutilità del lavoro.

Se il valore monetario della produzione aumenta del 10 per cento, e il livello generale

dei prezzi misurato in base al prezzo dell'oro aumenta del 10 per cento, allora il valore

reale dell'output non cambia. Il benessere invece aumenta se la disutilità richiesta per

produrre questo stesso output diminuisce, o, detto più semplicemente, se riusciamo a

produrre la stessa quantità di prodotto impiegando meno lavoro.

Page 25: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 23

CAPITOLO 4. RICARDO E MALTHUS

La dottrina malthusiana della popolazione Il principio fondamentale espresso da

Malthus è che la popolazione tende a crescere con maggiore velocità dell'offerta di

cibo, tale principio si fonda su due ipotesi:

1. il cibo è necessario all'esistenza dell'umanità;

2. la passione tra i due sessi è altrettanto necessaria e quindi non potrà mai venire

meno.

Egli era convinto che gli esseri umani, a meno di efficaci misure di controllo

demografico, si sarebbero moltiplicati in progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16...)

laddove la velocità di crescita dell'offerta di cibo avrebbe seguito una progressione

aritmetica (1, 2, 3, 4, 5...) e questa è, secondo Malthus, la vera causa della povertà e

della miseria.

La conclusione di Malthus andava verso la direzione dei controlli dello sviluppo

demografico atti a mantenerlo in linea con i saggi di crescita dell'offerta di alimenti. Di

tali forme di controllo egli ne prese in esame alcune, in particolare distinse tra due tipi di

controllo: positivo e negativo. I controlli di tipo positivo sono sostanzialmente incrementi

del tasso di mortalità dovuti a guerre, carestie, malattie ed altri tipi di eventi catastrofici.

Quelli di tipo negativo sono costituiti invece da diminuzione del tasso di natalità,

ottenuta prevalentemente rinviando i matrimoni nel tempo: Malthus tuttavia commentò

che quest'ultima soluzione avrebbe comportato vizio, miseria e degrado, poiché

avrebbe favorito le relazioni sessuali prematrimoniali.

Insoddisfatto della sua prima esposizione, Malthus pubblicò nel 1803 una seconda

edizione del suo saggio. Mentre nella prima edizione i controlli demografici

conducevano inevitabilmente al vizio e alla miseria, ora ne viene considerato un nuovo

tipo basato su un freno di natura morale per il quale posticipare i matrimoni implica

l'esclusione di rapporti sessuali prematrimoniali.

La tesi malthusiana della popolazione soffre di numerose limitazioni. Come molti dei

suoi contemporanei, Malthus non ha mai discusso seriamente la fattibilità di controlli

demografici tramite la contraccezione. Egli inoltre confondeva il desiderio istintivo di

relazioni sessuali con il desiderio di avere figli.

Un'ulteriore difficoltà in Malthus è la sua ipotesi secondo cui la produzione di cibo non

può crescere più velocemente della popolazione, cioè la negazione già in linea di

principio della possibilità che uno sviluppo delle tecniche agricole riuscisse a garantire

Page 26: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 [email protected] 24

aumenti della produzione alimentare sufficienti a nutrire una popolazione sempre

crescente.

Nonostante i suoi limiti, la tesi malthusiana della popolazione ebbe comunque un

importante applicazione all'interno della teoria e della politica economica classica: la

dottrina del fondo-salari. In base alle prescrizioni di tale "dottrina" un incremento del

salario reale avrebbe comportato un aumento della popolazione, che a sua volta

avrebbe poi portato a una diminuzione del salario sino a che questo fosse ritornato al

proprio livello di partenza.

L'economista che più di ogni altro incorporò la teoria malthusiana della popolazione

nell'economia politica classica fu David Ricardo.

Ricardo: il metodo, le motivazioni, lo scopo

Il metodo di Ricardo Il metodo seguito da Ricardo rappresenta una rottura palese con

quello di Smith, comportando il passaggio da una combinazione imprecisa di teoria e

descrizione storica a una metodologia basata su modelli di notevole astrazione teorica.

Lo scopo della scienza economica secondo Ricardo Laddove Adam Smith condivideva

la preoccupazione mercantilista per le forze che determinano la ricchezza delle nazioni,

l'obiettivo principale di Ricardo e quello della determinazione delle leggi che

governano la distribuzione del reddito tra proprietari terrieri, capitalisti e lavoratori.

L'attenzione di Ricardo era dunque rivolta a ciò che è ora indicato come distribuzione

funzionale del reddito, cioè alle quote relative del prodotto annuale che vanno al lavoro,

al capitale e alla terra.

Quel che interessava Ricardo era in particolare di mettere a fuoco i cambiamenti che

avvenivano nel corso del tempo nella distribuzione funzionale del reddito sotto il profilo

macroeconomico. Per affrontare questo problema egli prese come contesto di

riferimento una società composta da tre classi: i capitalisti, che ricevono profitti e

interessi; i proprietari terrieri, che ricevono rendite; e i lavoratori, che ricevono salari.

Il modello ricardiano

Una panoramica Nel modello ricardiano vi sono tre grandi gruppi di soggetti economici:

i capitalisti, i lavoratori e i proprietari terrieri. I primi assolvono alle funzioni

fondamentali dell'attività economica, dal momento che sono i produttori, i dirigenti e i

soggetti più importanti in quanto:

• contribuiscono ad allocare le risorse in modo efficiente spostando i loro capitali

laddove questi possono rendere maggiormente e quindi nei settori dove la domanda

Page 27: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 25

dei consumatori (in condizioni di concorrenza perfetta) viene soddisfatta al minor

costo sociale possibile;

• mediante il loro risparmio e i loro investimenti si collocano all'origine della crescita

economica.

I lavoratori hanno invece un ruolo essenzialmente passivo.

Per spiegare il salario reale Ricardo si affida alla dottrina del fondo-salari e alla teoria

malthusiana della popolazione: in questo caso dunque

lavoro forza

salari - fondo reale salario =

La dimensione del fondo-salari è data dall'accumulazione del capitale, mentre la

dimensione della forza lavoro è regolata dal principio malthusiano. Se il fondo-salari

aumenta in seguito all'accumulazione, allora nel breve periodo cresceranno anche i

salari reali; ma questo farà poi aumentare la popolazione e la forza lavoro, fino a che si

raggiunga l'equilibrio di lungo periodo dove i salari reali sono ritornati a loro livello di

sussistenza.

Vi è infine la classe dei proprietari terrieri che nel sistema ricardiano sono

rappresentati come veri e propri parassiti. I proprietari terrieri ricevono il loro reddito,

cioè la rendita, semplicemente per il possesso che hanno di uno dei fattori della

produzione, ma senza svolgere alcuna funzione socialmente utile.

La relazione che intercorre tra questi tre gruppi e la crescita della ricchezza della

nazione è la seguente: il prodotto totale, o reddito lordo, viene distribuito ai lavoratori, ai

capitalisti e ai proprietari terrieri; in particolare, la parte che non è impiegata per pagare

il salario di sussistenza e per rimpiazzare i beni capitali esauriti nel processo produttivo

viene definita come reddito netto, o sovrappiù:

netto reddito nto)deprezzame asussistenz di (salari - lordo reddito =+

Esso consiste dunque nella somma dei profitti, delle rendite e della quota di salari al di

sopra del livello di sussistenza: nell'equilibrio di lungo periodo, dove i salari sono a loro

livello di sussistenza, il reddito netto è quindi uguale semplicemente alla somma dei

profitti e delle rendite.

Dal momento che i lavoratori e i proprietari terrieri spendono il loro reddito interamente

in consumi, i profitti sono l'unica possibile fonte di risparmio e, quindi, di accumulazione

di capitale. Attraverso la sua teoria della rendita Ricardo giunse alla conclusione che se

i profitti fossero calati e le rendite aumentate, nel corso del tempo sarebbe avvenuta

una redistribuzione del reddito a favore dei proprietari terrieri che avrebbe

Page 28: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 [email protected] 26

conseguentemente condotto alla riduzione del saggio di crescita del sistema

economico.

Strumenti analitici e ipotesi Ricardo sviluppò un modello teorico assai raffinato ed

esaustivo, e nel far ciò adottò una serie di strumenti analitici e di ipotesi.

• Una teoria del costo del lavoro, in base alla quale le variazioni dei prezzi relativi nel

corso del tempo sono spiegate da quelle del costo del lavoro misurato in ore.

• La neutralità della moneta, per cui variazioni dell'offerta di moneta avrebbero potuto

comportare variazioni sia del livello assoluto dei prezzi che dei prezzi relativi. A

Ricardo, tuttavia, interessavano le variazioni dei prezzi relativi diverse da quelle

causate dalle variazioni dell'offerta di moneta, e quindi fece nel suo modello

l'assunzione che quest'ultima non avrebbe influenzato i prezzi relativi.

• Coefficienti di produzione fissi per il lavoro e per il capitale. Il rapporto capitale-lavoro

è fisso in base a considerazioni tecnologiche per qualsiasi tipo di produzione e non

varia al variare dell'output.

• Rendimenti costanti nel settore manifatturiero e rendimenti decrescenti in

quell'agricolo.

• Piena occupazione, ossia l'ipotesi che l'economia tende automaticamente, nel lungo

periodo, verso la piena occupazione delle risorse.

• Concorrenza perfetta, per la quale il mercato è formato da tanti produttori

indipendenti che vendono prodotti omogenei e che non sono in grado di influenzare il

prezzo di equilibrio.

• I soggetti economici sono visti come individui razionali e calcolatori: i capitalisti

cercano di raggiungere il maggior tasso possibile di profitto, i lavoratori salari più alti

e i proprietari terrieri le rendite più elevate possibili.

• La tesi malthusiana sulla popolazione, per la quale la popolazione tende a crescere

più velocemente rispetto alla produzione alimentare.

• La dottrina del fondo-salari, che prevede che il saggio di salario sia uguale al fondo-

salari diviso per la dimensione della forza lavoro.

La teoria ricardiana della rendita

I rendimenti decrescenti Il principio dei rendimenti decrescenti afferma che se un fattore

della produzione viene progressivamente aumentato mentre gli altri fattori restano

costanti, il tasso d'incremento del prodotto totale è via via minore.

Page 29: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 27

La rendita vista dal lato del prodotto Per Ricardo vi sono due ragioni che spiegano

l'esistenza della rendita: la scarsità di terra fertile; la legge dei rendimenti decrescenti.

Ricardo considerava la rendita un pagamento al proprietario della terra tale da

eguagliare il saggio di profitto su terre di fertilità differente.

Ipotizziamo terre di tre qualità diverse: assumiamo che alla terra di qualità A vengono

applicate tre unità di lavoro e capitale, due unità alla terra di qualità B, e una unità alla

terra di qualità C. I prodotti marginali dei tre apprezzamenti sono riportati nella tabella

sotto:

Il margine intensivo illustra l'effetto dell'applicazione di unità successive di lavoro e di

capitale su un dato apprezzamento di terra. Se si applica una sola unità alla terra di

qualità A, si ottengono 100 quintali di grano; se ne viene applicata una seconda il

prodotto totale è di 190 quintali e il prodotto marginale di questa seconda unità è di 90

quintali, e così via. Esso illustra quindi il principio dei rendimenti marginali decrescenti,

che nel nostro esempio si assume operativo fin dalla prima unità applicata.

Man mano che il prodotto marginale sulla terra di qualità A diminuisce, aumenta la

convenienza a usare terre di qualità inferiore nella produzione. Lo spostamento dalla

terra di qualità A a quella di qualità B, ad esempio dalla pianura, più fertile, alla collina,

rappresenta il margine estensivo.

Per comprendere la nozione ricardiana possiamo ora misurare la rendita di queste

terre: se essa è il pagamento al proprietario che uguaglia i saggi di profitto per i diversi

appezzamenti, la rendita sulla terra di qualità A è 30 quintali, quella sulla terra di qualità

B è 10 quintali e quella sulla terra di qualità C è zero. Il processo concorrenziale che

conduce a tale risultato è il seguente. Se si applicasse una singola unità di lavoro e

capitale a tre apprezzamenti di qualità C si otterrebbe un prodotto complessivo di 240

quintali; mentre tre unità di lavoro e capitale su un'appezzamento di qualità A

renderebbero 270 quintali (100+90+80). Il prezzo (cioè la rendita) della terra A pertanto

crescerà per via della concorrenza che si faranno di agricoltori per assicurarsela, fino a

che esso arriverà a 30 quintali di grano, che è il prezzo che uguaglia il profitto sulle terre

di diversa qualità.

Page 30: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 [email protected] 28

La rendita vista dal lato dei costi Il costo marginale si definisce come l'incremento del

costo totale che deve essere sostenuto per poter produrre un'unità addizionale di

prodotto finale.

Con l'abbassarsi del margine intensivo i costi marginali aumentano e quello dell'ultimo

quintale per A è lo stesso del costo marginale per l'ultimo quintale prodotto sulle terre B

e C. Nell'equilibrio di lungo periodo dunque, allorché i prodotti marginali in termini fisici

sono uniformi sulle diverse terre, al margine i costi marginali devono essere uguali per

definizione.

Questo modello del funzionamento del settore agricolo evidenzia alcuni aspetti

importanti:

• la concorrenza tra gli agricoltori sul mercato farà convergere il prezzo del grano

verso il costo marginale dell'unità di output più costosa;

• la concorrenza per la terra più fertile avrà l'effetto di fruttare delle rendite ai proprietari

delle terre migliori;

• la concorrenza assicurerà che su tutti i tipi di terra vi sia un saggio di profitto

uniforme.

Nello schema di Ricardo la rendita è dunque determinata dal prezzo, non viceversa: gli

alti prezzi del grano che si registravano in quegli anni non erano causati dagli alti livelli

delle rendite, ma, al contrario, erano le rendite ad essere alte perché era alto il prezzo

del grano.

In base all'analisi precedente si può concludere che le restrizioni alle importazioni

introdotte con le leggi sul grano avrebbero provocato la caduta dei margini intensivo ed

estensivo, a causa della scarsità di terra fertile e del principio dei rendimenti

decrescenti, mentre i prodotti marginali in termini fisici di unità addizionali di lavoro e

capitale sarebbero calati: i costi marginali sarebbero conseguentemente cresciuti

provocando la crescita, a propria volta, dei prezzi del grano e delle rendite.

La teoria del valore in Ricardo Che cosa provoca le variazioni nel tempo dei prezzi

relativi?

La teoria ricardiana del valore basata sul costo del lavoro Alla questione del valore

Ricardo dedica il capitolo di apertura del suo libro, e fin dal principio è evidente la sua

premura nel prendere le distanze dalle posizioni di Adam Smith. Ricardo afferma

esplicitamente che il valore dipende dalla quantità di lavoro necessario alla produzione,

non dai salari pagati ai lavoratori.

Page 31: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 29

Chiarito questo, egli si rivolge alla confusione tra valore d'uso e valore di scambio.

Mentre Smith, che aveva illustrato tale questione per mezzo del paradosso dell'acqua e

dei diamanti, non vedeva uno stretto collegamento tra i due concetti, Ricardo sostenne

che il valore d'uso era essenziale per l'esistenza del valore di scambio, anche se non

per la sua misura. In termini moderni, ciò equivale ad affermare che la condizione finché

un bene abbia un prezzo sul mercato è data dall'esistenza di una domanda, ma, al

tempo stesso, che la domanda non costituisce la misura del prezzo. Il prezzo dei beni

che danno qualche utilità deriva da due fonti: la loro scarsità e la quantità di lavoro

necessario a produrli.

Beni prodotti in un contesto concorrenziale Dopo aver esaminato le argomentazioni di

Smith sulle cause determinanti i prezzi relativi, Ricardo scarta le teoria del valore basata

sul lavoro comandato e sul costo di produzione a favore di una teoria basata sul costo

del lavoro.

Le difficoltà in una teoria del valore basata sul costo del lavoro Analizziamo la soluzione

data da Ricardo a cinque dei problemi fondamentali che attendono chiunque si accinga

a elaborare una teoria del valore-lavoro:

1. misurare le quantità di lavoro;

2. tenere in considerazione il fatto che le abilità dei lavoratori sono diverse;

3. spiegare come la presenza di beni capitali influenzi i prezzi;

4. come includere la terra fra i fattori che determinano i prezzi;

5. come includere i profitti tra i fattori che determinano i prezzi.

Una misura della quantità di lavoro. È la quantità di lavoro a determinare i prezzi, non

la sua remunerazione. La soluzione individuata da Ricardo consiste nel misurare la

quantità di lavoro attraverso il tempo richiesto dalla produzione di un bene, ossia

semplicemente attraverso le ore lavorate.

Le diverse abilità dei lavoratori. Tale soluzione però ripropone lo stesso problema

che Smith aveva cercato di evitare, quello del lavoro qualificato: se in un'ora di lavoro

uno si procura due cervi e l'altro se le procura uno solo, come si fa a stabilire qual’è la

quantità di lavoro necessaria a produrre un cervo? Ricardo identifica la soluzione

nell'utilizzo dei salari quale misura della loro produttività relativa. Il salario pagato al

lavoratore che si procura due cervi sarà il doppio di quello pagato al lavoratore meno

produttivo. In apparenza sembrerebbe che egli incappi qui nello stesso ragionamento

circolare smithiano, dato che i salari relativi (che non sono altro che prezzi) vengono

impiegati per spiegare i prezzi relativi; in realtà Ricardo non intende spiegare i prezzi

Page 32: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 [email protected] 30

relativi in un dato istante nel tempo, ma a elaborare una teoria in grado di spiegarne le

variazioni nel tempo, e in questo caso il ragionamento non è più circolare. Infatti, se le

differenze dei salari dei lavoratori imputabili alle loro diverse abilità sono costanti nel

tempo, ciò significa che le variazioni dei prezzi dei prodotti finali non saranno provocate

dalla remunerazione del lavoro.

I beni capitali. La maggior parte dei beni è prodotta utilizzando sia lavoro che capitale;

occorre chiarire l'influenza del capitale sui prezzi dei beni finali. Per Ricardo il problema

si risolve semplicemente considerando il capitale come lavoro accumulato, cioè lavoro

che è stato utilizzato in un periodo precedente.

Quando un bene è prodotto utilizzando lavoro e capitale, il capitale si deprezza nel

corso del processo produttivo. L'idea di Ricardo è dunque di trattare il problema del

capitale sommando, al lavoro che viene impiegato in modo diretto e immediato, il tempo

equivalente al deprezzamento dei beni capitali all'interno del processo produttivo.

La rendita sulla terra. Supponiamo che vi siano due lavoratori con capacità identiche

che lavorano su due apprezzamenti di terra di fertilità differente. Dato che in un anno il

lavoratore impiegato sulla terra fertile produrrà rispetto a quello impiegato sulla terra

meno fertile quantità maggiori, come si fa a stabilire qual’è la quantità di lavoro

necessaria a produrre un quintale di grano? A questo problema Ricardo rispose

attraverso la sua teoria della rendita. In base ad essa il prezzo dipende dal costo

marginale del quintale di grano prodotto nel modo meno efficiente: il prezzo, cioè, e

determinato al margine, dove la rendita è nulla.

Come abbiamo già visto, è la rendita ad essere determinata dal prezzo, e non

viceversa: le diverse rendite riscosse dai proprietari di terre di fertilità differente non

avranno quindi alcuna influenza sui cambiamenti dei prezzi relativi nel corso del tempo.

I profitti. Dopo aver esaminato a fondo i problemi legati al ruolo dei profitti all'interno

della teoria del valore, Ricardo giunge alla conclusione che la loro influenza è

quantitativamente trascurabile: le variazioni dei prezzi relativi nel tempo dipendono dai

cambiamenti nelle quantità relative di lavoro incorporato nei beni.

La teoria ricardiana della distribuzione Cosa determina la distribuzione funzionale

del reddito tra salari, profitti e rendite a un dato istante temporale? Come si modifica nel

tempo la distribuzione del reddito in presenza di sviluppo economico? E quali sono le

conseguenze delle leggi sul grano sulla distribuzione del reddito e sul saggio di

crescita?

Page 33: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 31

La teoria della distribuzione Con l'aiuto di un semplice grafico è possibile ripercorrere il

ragionamento ricardiano sulla distribuzione del reddito, a partire dal modello in cui dosi

di capitale e lavoro (in proporzioni fisse) vengono via via aggiunte alla quantità data di

terra disponibile nel sistema economico.

Nel grafico di seguito le dosi successive di capitale e lavoro sono riportate sull'asse

orizzontale, i loro prodotti marginali in termini fisici sono misurati in quintali di grano

sull'asse verticale.

La retta verde (ABM) rappresenta tali prodotti marginali in termini fisici. Ipotizziamo di

partire da una situazione di equilibrio assumendo che una certa quantità di capitale e

lavoro, rappresentata dal segmento OC, venga applicata alla terra disponibile. Il

prodotto marginale dell'ultima unità applicata di capitale e lavoro è dunque dato dal

segmento BC, e il prodotto totale dell'agricoltura è uguale all'area OABC, dal momento

che il prodotto totale è la somma di tutti prodotti marginali. Il problema è ora

determinare la divisione del prodotto totale tra salari, profitti e rendite.

Determiniamo prima di tutto la

rendita: al margine essa cade a

zero, e tutto il prodotto sopra la

linea BD costituisce la

remunerazione del proprietario

terriero. La rendita è dunque uguale

all'area DAB. Il livello di sussistenza

dei salari lo si ricava dalla teoria

malthusiana della popolazione, e

nel nostro esempio è pari alla linea

arancione EFN: questo implica che il saggio di salario è misurato da FC e i salari totali

dall'area OEFC. Infine, se si sottrae il saggio di salario dal prodotto marginale calcolato

al margine, il profitto per l'ultima dose di capitale e lavoro è dato da BF, mentre il profitto

totale è dato dall'area EDBF.

In questo mondo siamo riusciti a dividere il prodotto totale nelle sue quote di rendita

(DAB), profitto (EDBF) e salario (OEFC). Il passaggio cruciale è quello per cui il livello di

profitti dipende dal prodotto marginale dell'ultima dose di capitale e lavoro e dal livello di

sussistenza del salario reale.

La distribuzione del reddito nel corso del tempo Come variano nel tempo le quote di

reddito nazionale ricevuto da capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori? Non trovando

Page 34: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 [email protected] 32

risposte esaurienti nell'analisi di Smith o di altri autori Ricardo dovette in un certo senso

elaborare una propria teoria, secondo la quale la conclusione era la medesima

raggiunta da Smith, cioè che il saggio di profitto sarebbe caduto con il trascorrere del

tempo, ma le ragioni addotte da questi (la concorrenza sul mercato del lavoro, gli

investimenti, e dei beni) andavano respinte.

Ricardo attribuisce quindi a Smith la risposta giusta al suo problema di fondo (e cioè

che i profitti sarebbero caduti nel corso del tempo) ma per delle motivazioni sbagliate.

L'analisi di Ricardo consiste nel prendere in considerazione un sistema economico

"giovane" e seguirlo passo passo nel suo processo di sviluppo, secondo la seguente

sequenza.

All'inizio la caratteristica principale è un elevato saggio di profitto e, poiché questo ne è

la fonte, un elevato saggio di accumulazione del capitale. L'accumulazione a sua volta

mantiene alti i saggi di salario reale così che, in base all'ipotesi malthusiana, la

popolazione aumenta: via via che questo processo si svolge vengono richieste quantità

sempre maggiori di prodotti alimentari dal settore agricolo, dove i margini intensivo ed

estensivo si abbassano con lo sfruttamento superiore delle terre già coltivate e la

messa a coltura di terre sempre meno fertili.

In seguito all’abbassarsi dei margini le rendite aumentano mentre i profitti diminuiscono.

Ne consegue che l'accumulazione decelera progressivamente fino a cessare del tutto

quando il profitto diventa nullo e l'intera dinamica del capitalismo viene ad essere

bloccata: non ci sono profitti, non c'è accumulazione del capitale e quindi crescita

economica, la popolazione ha cessato di crescere, i salari sono a livello di sussistenza

e le rendite hanno raggiunto il livello massimo.

L'intero processo può essere rappresentato sempre per mezzo del grafico precedente

riproposto di seguito.

Quando l'accumulazione del capitale e la

popolazione aumentano nel corso della

fase di crescita, sempre più unità di

capitale e lavoro vengono applicate alla

quantità fissa di terra. Se il margine si

estende in modo che OI rappresenta

l'ultima dose di capitale e lavoro, il nuovo

e più elevato livello della rendita è dato

Page 35: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 33

dall'area GAH, i profitti si sono ridotti all'area EGHJ e l'ammontare dei salari corrisponde

all'area OEJI.

Utilizzando la terra in modo sempre più

intensivo il livello della rendita aumenta

progressivamente fino a che il prodotto

totale si ripartisce esclusivamente tra

salari e rendite, i profitti divengono nulli.

Questo è lo stato stazionario: OP sono

le dosi di capitale e lavoro impiegate,

EAQ e la rendita, OEQP i salari.

Le leggi sul grano avrebbero accelerato questo processo; esse avrebbero portato a

un'espansione della produzione nazionale, avrebbero quindi avuto l'effetto di premere

sui margini intensivo ed estensivo, cosicché i profitti si sarebbero ridotti con l'aumentare

delle rendite. In sostanza tali leggi avevano l'effetto poco desiderabile di rallentare la

crescita e di affrettare l'avvicinarsi dello stato stazionario.

Il vantaggio comparato Ricardo fece ricorso al vantaggio comparato per sostenere la

causa della libertà dei commerci. Se la nazione A riesce a produrre un bene a un costo

inferiore della nazione B, e viceversa la nazione B riesce a produrre un altro bene a

costi inferiori rispetto ad A, allora entrambe le nazioni potrebbero guadagnare dalla

specializzazione nella produzione e dal successivo commercio.

Il vantaggio assoluto Se una nazione ha un vantaggio assoluto nella produzione di una

merce, e un'altra nazione ha un vantaggio assoluto nella produzione di un altra merce,

ciascuna di queste guadagna se si specializza nella produzione della merce che le

costa meno produrre.

Il vantaggio comparato Ma cosa accade quando un paese è più efficiente dell'altro nella

produzione di tutte le merci?

Analizziamo la tabella seguente...

Vino (litri) Stoffa (metri)

Inghilterra 12 6 Portogallo 8 1

In questa situazione l'Inghilterra ha una produttività superiore a quella portoghese in

entrambe le industrie, e, corrispondentemente, i suoi costi di produzione misurati in

tempo di lavoro sono minori per entrambi beni. Il principio del vantaggio comparato

Page 36: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 [email protected] 34

mostra che anche con i dati di questa tabella il commercio sarà la soluzione più

vantaggiosa per entrambe le nazioni.

Non è il vantaggio assoluto il criterio cruciale che determina la convenienza del

commercio internazionale, ma il vantaggio comparato. In quest'esempio si vede che

l'Inghilterra ha un vantaggio comparato nella produzione di stoffa così come il

Portogallo lo ha nella produzione di vino. Come si fa a determinarlo? Occorre

esaminare le produttività relative all'interno di ciascun sistema economico: il vantaggio

comparato degli inglesi nella produzione di stoffa risulta dal fatto che mentre in

Inghilterra una unità addizionale di stoffa implica la perdita di due unità di vino, in

Portogallo i litri di vino cui bisogna rinunciare sono 8; d'altro canto il vantaggio

comparato dei portoghesi per produrre il vino è indicato dal fatto che per avere un litro

di vino in più in Portogallo si rinuncia a solo 1/8 di metro di stoffa, mentre in Inghilterra

occorre 1/2 metro.

Ciò che conta non è il confronto tra la produttività dell'industria inglese del vino e quella

portoghese, ma il confronto tra i costi opportunità della stoffa nei due paesi. Con i dati

della tabella precedente possiamo costruire una nuova tabella e misurare i costi

opportunità dei due beni nei due paesi. Mantenendo l'ipotesi ricardiana della piena

occupazione, se vogliamo produrre quantità maggiori di un bene in un'industria il costo

da sostenere può essere misurato in termini della quantità di beni cui dobbiamo

rinunciare in altre industrie per poter spostare risorse verso l'industria in espansione.

Nel nostro semplice modello a due beni il costo opportunità di un bene è esprimibile nei

termini dell'altro bene.

Vino Stoffa

Inghilterra ½ metro di stoffa 2 litri di vino Portogallo 1/8 metro di stoffa 8 litri di vino

In Inghilterra il costo opportunità della stoffa (2 litri di vino) è minore di quello

portoghese (8 litri di vino), mentre il costo opportunità di vino è minore in Portogallo (1/8

metro di stoffa) che in Inghilterra (1/2 metro di stoffa).

Perciò se l'Inghilterra produce stoffa e la scambia con il vino prodotto dal Portogallo la

produzione totale di entrambi i beni a livello mondiale è superiore a prima, ed entrambi i

paesi possono trarne un guadagno.

Se dunque il principio smithiano del vantaggio assoluto aveva incrinato la posizione

mercantilista di protezione dell'industria, la dottrina del vantaggio comparato la distrusse

del tutto.

Page 37: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 35

Stabilità e crescita in un'economia capitalistica La legge di Say afferma che un

sistema capitalistico garantisce automaticamente la piena occupazione delle sue risorse

e alti tassi di crescita economica.

La concezione mercantilista della domanda aggregata Se per la maggior parte dei

mercantilisti la parsimonia e il risparmio dei soggetti economici rappresentavano un

bene per la nazione, vi erano però alcuni di essi che ritenevano che il risparmio avrebbe

condotto alla disoccupazione, e che soltanto una maggiore spesa per i consumi

avrebbe provocato un incremento dell'attività economica e dunque un vantaggio

collettivo. Tra i più spinti sostenitori di questa posizione ricordiamo Bernard Mandeville

secondo cui la prosperità e l'occupazione sono conseguenza delle spese, in particolare

delle spese per i consumi di lusso, mentre il risparmio avrebbe danneggiato l'economia

abbassandone il livello di produzione e di occupazione.

La concezione di Smith della domanda aggregata Smith respinse apertamente le

posizioni di Mandeville e dei mercantilisti sostenitori dell'orientamento appena descritto:

a suo parere erano invece frugalità e parsimonia a dover essere apprezzate, dato il

ruolo svolto nel suo sistema teorico dall'accumulazione del capitale come determinante

principale della crescita e della prosperità. Secondo Smith il risparmio non riduce la

domanda aggregata ma semplicemente la reindirizza dai beni di consumo verso i beni

di investimento.

Il sottoconsumismo malthusiano Anche per Ricardo l'accumulazione di capitale è la

principale determinante della crescita della ricchezza per una nazione. Tuttavia l'analisi

di questi due autori (Smith e Ricardo) è basata esclusivamente su considerazioni dal

lato dell'offerta aggregata: la crescita è limitata soltanto dal grado con cui una nazione

può aumentare la sua offerta di lavoro, di capitale e di risorse naturali. Cosa succede

invece quando la domanda aggregata per il prodotto finito scende al di sotto dell'offerta,

provocando una situazione di sottooccupazione o di depressione?

All'inizio del 1800 ci si pose il problema e Lord Lauderdale e Jean Charles Sismondi

misero in discussione la possibilità che un sistema economico garantisca in modo

automatico la piena utilizzazione delle risorse. Nel 1820 Malthus riprese le loro

argomentazioni e diede vita con Ricardo a un dibattito divenuto famoso. Malthus

affermò che il processo di risparmio e investimento non può proseguire indefinitamente

senza condurre nel lungo periodo alla stagnazione. Il punto di partenza è che esiste un

tasso appropriato di accumulazione di capitale che l'economia riesce ad assorbire, e

che un livello troppo elevato di risparmi e investimenti creano dei problemi: infatti, da un

Page 38: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 [email protected] 36

lato, con il risparmio si riduce la domanda per i beni di consumo, e dall'altro con

l'investimento si determina la produzione di più beni di consumo nel futuro.

La conclusione di Malthus era la seguente: poiché la domanda effettiva dei lavoratori e

dei capitalisti si dimostra essere insufficiente, occorre che il divario sia colmato da quei

soggetti che nella società consumano senza produrre, ossia da coloro che forniscono

servizi e dai proprietari terrieri. Una delle funzioni sociali dei proprietari terrieri è dunque

quella di consumare senza produrre, e per questa via contribuire a impedire la

depressione e l'eventuale stagnazione dell'economia.

La legge di Say Per i sostenitori della legge di Say, il processo di produzione dei beni è

sufficiente a generare un potere d'acquisto tale da poterli poi ricomprare sul mercato a

prezzi soddisfacenti, essendo il fenomeno della sovrapproduzione possibile per mercati

particolari ma non a livello dell'intero sistema economico. Qualsiasi flessione nel livello

generale dell'attività economica sarebbe stato infatti di breve durata, poiché il mercato

da solo avrebbe ripristinato il pieno impiego delle risorse, e questo spiega perché i

classici insistessero nel sostenere che nel lungo periodo non vi sarebbe stata

un'accumulazione di capitale in eccesso.

Il valore del prodotto annuale è distribuito a titolo di potere d'acquisto tra i vari soggetti

economici e non si pone quindi il problema di accertare se il potere d'acquisto generato

dal processo produttivo sia sempre sufficiente al riacquisto dei beni prodotti.

L'offerta crea la propria domanda: tutto il potere d'acquisto potenziale sarebbe ritornato

al mercato a titolo di domanda o per beni di consumo o per beni di investimento.

La "controversia bullionista" Le posizioni di Ricardo sulla legge di Say si svilupparono

nel corso delle dispute a cui ci si riferisce con il nome di controversia bullionista che

ebbero luogo agli inizi del 1800 in merito alle cause dell'inflazione verificatasi al tempo

delle guerre napoleoniche. I bullionisti la identificavano nell'espansione monetaria

verificatasi nel corso delle guerre, mentre per gli anti-bullonisti le cause erano diverse e

complesse, e comunque includevano anche fattori reali, come ad esempio le cattive

annate per i raccolti.

Uno dei principali esponenti della corrente anti-bullionista fu Robert Torrens che diede

un'esposizione di quelle posizioni teoriche nel suo Saggio sulla moneta e la valuta

cartacea.

All'interno di questo dibattito Ricardo divenne presto uno degli alfieri della posizione

bullionista la quale, anticipando l’attuale monetarismo, vedeva nell'inflazione un

fenomeno esclusivamente monetario. Partendo dalla concezione che il funzionamento

Page 39: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

RICARDO E MALTHUS

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 4 37

dell'economia risieda tutto nel settore reale, la sua teoria monetaria descrive la moneta

come nient'altro che un velo che ricopre l'economia reale, e gli interventi che egli fece

nel corso della disputa sono pensati esattamente con l'obiettivo di rimuovere quel velo.

La disoccupazione tecnologica Ricardo analizzò anche le conseguenze

dell'introduzione delle macchine nell'economia. Egli era dell'idea che se il macchinario

di nuova introduzione viene finanziato destinando a capitale fisso quello che prima era

capitale circolante, allora il fondo-salari si riduce generando disoccupazione. Se però il

nuovo macchinario viene finanziato con il risparmio piuttosto che con il capitale

circolante, allora la disoccupazione non si verifica.

Page 40: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 [email protected] 38

CAPITOLO 5. JOHN STUART MILL E IL DECLINO DELL’ECONOMIA POLITICA CLASSICA

Gli sviluppi teorici post-ricardiani

Lo scopo e il metodo propri della scienza economica Ricardo non si pose mai

direttamente il problema della metodologia più appropriata alla scienza economica, un

problema al quale trovarono invece una soluzione i suoi seguaci.

Le due più consapevoli esposizioni che videro la luce in questo periodo a proposito

della questione dello scopo e del metodo più appropriati per la scienza economica

furono quelle di Nassau Senior e di John Stuart Mill.

Senior definisce l'economia politica come la scienza "in cui si tratta la natura della

produzione e della distribuzione delle ricchezze". Secondo Senior le fondamenta

scientifiche dell'economia politica potrebbero essere ricondotte a quattro principi

evidenti di per sé, e il compito dell'economista sarebbe quello di approntare una

terminologia curata e di seguire le regole della logica al fine di assicurarsi che le

conclusioni raggiunte discendano effettivamente dalle premesse iniziali. Secondo

Senior le quattro proposizioni di base sulle quali poggiano le fondamenta dell'economia

in quanto scienza sono:

1. il principio di razionalità, ossia il principio secondo cui gli individui sono esseri

razionali calcolatori, e cercano sempre di procurarsi la maggiore ricchezza con il

minore sacrificio possibile;

2. la dottrina malthusiana della popolazione;

3. il principio dei rendimenti decrescenti in agricoltura;

4. storicamente, il principio dei rendimenti crescenti nell'industria.

Senior fu uno dei primi economisti ad affermare in modo inequivocabile che la scienza

economica doveva essere una scienza positiva; egli era convinto infatti che un

economista dovesse prestare molta attenzione a distinguere tra giudizi normativi e

analisi economica di tipo descrittivo. Uno degli esempi di questa posizione che

appaiono nel suo sistema teorico è la distinzione tra le leggi universali che regolano la

natura e la produzione della ricchezza, e i principi che governano la distribuzione del

reddito, i quali sono invece contingenti rispetto alle usanze e alla struttura istituzionale

che caratterizzano un particolare sistema economico.

L'economista dovrebbe occuparsi di ciò che "è" piuttosto che di ciò che "dovrebbe

essere": "le conclusioni a cui giunge, qualunque sia la loro generalità e il loro grado di

verità, non lo autorizzano minimamente ad aggiungere una singola parola di

commento".

Page 41: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 39

La dottrina malthusiana della popolazione Malgrado egli fosse giunto nel 1836 a

descrivere tale teoria come uno dei pilastri portanti sui quali si fondava la scienza

economica, già nel 1829 aveva pubblicato la corrispondenza da lui trattenuta con

Malthus, insieme con alcune lezioni tenute l'anno precedente, dove si metteva

seriamente in discussione la proposizione malthusiana secondo cui la popolazione

tenderebbe ad aumentare più velocemente dell'offerta di cibo: la conclusione di Senior

in quel caso era stata a favore dell'evidenza storica, dalla quale si vedeva come fosse

invece l'offerta di cibo a crescere più velocemente rispetto alla popolazione.

La riluttanza ad abbandonare la teoria malthusiana della popolazione può essere

compresa quando si pensi al ruolo decisivo che essa occupa all'interno dello schema

analitico ricardiano.

Nell'esempio della teoria ricardiana

della distribuzione riportato nella

figura, il livello di sussistenza dei

salari (EN) è ricavato dalla teoria

malthusiana della popolazione: ma

se il livello di sussistenza dei salari

non può più essere determinato con

precisione, allora la curva EN ha

un'infinità di possibili forme e

posizioni, e il calcolo dei profitti e salari a un istante temporale, così come quello delle

variazioni della distribuzione del reddito nel corso del tempo, resta indeterminato.

La teoria ricardiana della distribuzione del reddito dipende quindi in modo decisivo da

quella malthusiana della popolazione.

La dottrina del fondo-salari Secondo il meccanismo descritto dalla teoria malthusiana,

allorché il salario si trova al suo livello di sussistenza, un aumento dei salari reali

dell'anno corrente non avrebbe ripercussioni sul futuro livello per almeno qualche anno,

secondo l'età media di ingresso nella forza lavoro. Ammettendo ad esempio che si

verifichino aumenti immediati della popolazione conseguentemente ad aumenti del

salario reale, l'offerta di lavoro non ne sarebbe influenzata per almeno quattordici anni.

La dottrina del fondo-salari implica invece una spiegazione di breve periodo del livello di

salari e suggerisce una dipendenza del salario unitario dalla domanda e dall'offerta di

lavoro. La domanda di lavoro nell'accezione qui considerata è fissata dalla dimensione

Page 42: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 [email protected] 40

del fondo-salari, ossia dalla dimensione di quella parte di capitale che è stata

precedentemente accantonata per poter pagare i lavoratori.

Conosciuta tale dimensione, il saggio di salario di breve periodo è quindi determinato

semplicemente dividendo il fondo-salari per il numero di soggetti presenti sul mercato

del lavoro. Nel breve periodo, essendo il fondo-salari fisso nel suo montare, la quantità

di lavoro è a sua volta fissa e il saggio di salario determinato in modo univoco.

Quando, per i problemi teorici che abbiamo illustrato nei paragrafi precedenti, si arrivò

ad accantonare la teoria malthusiana della popolazione, la dottrina del fondo-salari

dovette sobbarcarsi l'onere di fornire una spiegazione del livello di salari tanto nel breve

quanto nel lungo periodo: un compito semplicemente impossibile ad assolversi, dal

momento che non vi era nulla in tale dottrina che dicesse alcunché riguardo l'offerta di

lavoro di lungo periodo. Eppure furono in molti, sia fra gli autori di successo che fra i

divulgatori, ad invocarla allo scopo di contrastare gli sforzi dei lavoratori diretti ad

ottenere salari più elevati, in modo particolare quegli sforzi che andavano compiendosi

attraverso la formazione dei sindacati.

I rendimenti (storicamente) decrescenti La posizione di fondo di Ricardo consisteva nel

ritenere che, applicando quantità successive di lavoro e capitale ad una quantità fissa di

terra, il loro prodotto marginale si sarebbe progressivamente ridotto. Lo sviluppo

tecnologico applicato al settore agricolo avrebbe poi potuto, teoricamente,

controbilanciare in modo esatto tali rendimenti decrescenti di breve periodo, oppure

controbilanciarli solo parzialmente, oppure ancora più che controbilanciarli, così che nel

lungo periodo in tale settore sarebbe stato storicamente possibile il verificarsi di

rendimenti di scala costanti, decrescenti o crescenti. A questo proposito Ricardo,

riteneva che lo sviluppo tecnologico non sarebbe stato in grado di controbilanciare i

rendimenti decrescenti di breve periodo, e quindi formulò la previsione che storicamente

si sarebbe assistito a rendimenti decrescenti in agricoltura.

Tutti i dati allora disponibili sull'economia britannica indicavano però che le previsioni

del modello ricardiano, fondate sul fatto che il settore agricolo avrebbe storicamente

sperimentato rendimenti decrescenti di scala, erano sbagliate.

Avvenne così che gli economisti ricardiani, curiosamente, da un lato ammettevano

l'evidenza storica e dall'altro continuavano ad attenersi fedelmente al modello

tradizionale e alla sua predizione che i rendimenti sarebbero successivamente diminuiti.

Essi enfatizzavano esclusivamente il processo deduttivo grazie al quale il ragionamento

doveva svolgersi a partire da un dato insieme di ipotesi iniziali, con la conseguenza che

Page 43: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 41

si sentivano autorizzati a ignorare le contraddizioni tra il modello e i fatti, per

concentrarsi nel raffinamento logico della loro struttura teorica.

La caduta tendenziale del saggio di profitto Nell'opinione di Ricardo la caduta

tendenziale del saggio di profitto si sarebbe protratta fino a che questo si fosse

annullato, ossia finché si fosse raggiunto lo stato stazionario con una redistribuzione del

reddito dei capitalisti a favore dei proprietari terrieri.

Nonostante non avessero il riscontro dell'evidenza empirica sul fenomeno dei

rendimenti storicamente decrescenti nel settore agricolo, e della caduta tendenziale del

saggio di profitto con il successivo graduale approssimarsi dello stato stazionario, gli

economisti ricardiani, e in particolare John Stuart Mill, insistevano nell’attenersi a tali

previsioni.

La teoria del profitto (e dell'interesse) Ricardo era giunto alla conclusione che le

variazioni del saggio di profitto non avessero un ruolo significativo nello spiegare le

variazioni nel tempo dei prezzi relativi. In sostanza egli decise che, sebbene in teoria i

prezzi relativi dipendessero sia dal costo del lavoro che dal costo del capitale (il

secondo essendo rappresentato dai profitti), di fatto l'importanza dei profitti nella loro

determinazione era così poco rilevante da poter essere trascurata. La particolare

modellizzazione approntata da Ricardo non mancò per questo motivo di attirare

l'attenzione di molti economisti, che si sforzarono successivamente di perfezionarne la

coerenza logica includendovi, oltre ai costi di produzione imputabili al fattore lavoro,

anche i costi imputabili al fattore capitale.

La preoccupazione dei suoi seguaci per la teoria del valore venne poi acuita dagli

attacchi che a questa venivano portati dai socialisti ricardiani, i quali vi facevano ricorso

per dimostrare che il lavoro veniva sfruttato, perché pur producendo l'intero prodotto

esso non veniva remunerato nella stessa misura sotto forma di salari.

Il contributo più significativo che venne dato nella prima fase del periodo post-ricardiano

alla teoria del valore e del profitto fu quello di Nassau Senior, che per primo tentò di

sviluppare una teoria dell'interesse basata sull'astinenza. Nel formulare la propria teoria

del valore Senior attribuì, dal lato della domanda, molta più importanza all'utilità di

quanta gliene avesse attribuita Ricardo, e analogamente, dal lato dell'offerta, enfatizzò il

ruolo della disutilità quale costo reale della produzione. Ricorrendo alle ipotesi

fondamentali fatte dall'economia politica classica in merito alla psicologia dei soggetti

economici, egli sostenne che gli individui erano razionali e calcolatori.

Page 44: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 [email protected] 42

I salari diventavano così il premio pagato ai lavoratori per compensarli della fatica spesa

attraverso il lavoro; e dato che se si vogliono produrre beni capitali occorre che

qualcuno si astenga dal consumo, i capitalisti sicuramente non rinuncerebbero a

possibili consumi a meno che non siano compensati per il loro sacrificio. Essendo il

lavoro e il capitale due fattori necessari alla produzione dei beni finali, il prezzo di questi

ultimi dovrebbe essere sufficientemente alto da poter remunerare entrambi i costi reali

sostenuti per la produzione.

In questo modo Senior elaborò una teoria del valore basata sul costo di produzione,

dove il salario era interpretato come il rimborso ai lavoratori e il profitto come il rimborso

ai prestatori di capitale. In tal modo egli non diede alcuna giustificazione sociale o

economica al fatto della riscossione degli interessi sui capitali acquisiti per dono o per

eredità. Per questo motivo la teoria dell'interesse di Senior finì alla lunga per suscitare

molti più interrogativi di quanti ne avesse risolti.

John Stuart Mill: il retroterra culturale del suo sistema di pensiero

L'approccio di Mill all'economia politica Per Mill la scienza economica è una scienza

ipotetica fondata sul metodo a priori: l'economista e cioè colui che pone determinate

assunzioni iniziali e da quelle deduce le conclusioni.

Data l'impraticabilità del metodo sperimentale della scienza economica, gli economisti

sono quindi costretti ad affidarsi al ragionamento deduttivo, non potendo ricorrere a

quelle analisi induttive rivelatesi feconde nell'ambito delle scienze naturali. Nonostante

questa impostazione, Mill afferma che le conclusioni raggiunte dagli economisti in virtù

dei loro modelli deduttivi dovrebbero essere verificate alla luce dei fatti registrati nella

realtà. Il manifestarsi di una contraddizione dei risultati previsti utilizzando il metodo

deduttivo e l'evidenza empirica potrebbe infatti rivelare, a parere di Mill, la presenza di

importanti "fattori di disturbo" in precedenza sottovalutati. Tali fattori potrebbero, o

costringere l'economista a ripartire da nuove ipotesi, e quindi giungere attraverso il

ragionamento deduttivo a nuove conclusioni, oppure segnalare l'effetto dell'operare di

forze di natura non economica non tenute in debita considerazione da parte

dell'economista.

I "fattori di disturbo" divennero però ben presto il tappeto sotto il quale gli economisti

iniziarono a nascondere tutte le divergenze che si verificavano tra le previsioni teoriche

derivabili dal modello economico ricardiano e l'evidenza empirica.

La distinzione tra economia positiva ed economia normativa che occupava un posto di

rilievo all'interno del pensiero di Senior viene ripresa da Mill. L'intenzione di Mill è quella

Page 45: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 43

di mostrare che la gran parte degli economisti suoi contemporanei sono in errore nel

ritenere che né le leggi della produzione né quelle della distribuzione potrebbero essere

modificate per mezzo della struttura istituzionale della società. Dal suo punto di vista,

infatti, se le leggi della produzione sono ineludibili, in realtà la distribuzione personale

del reddito è suscettibile di essere modificata attraverso interventi di riforma sociale.

La predizione dello stato stazionario, nel quale i salari sarebbero stati al loro livello di

sussistenza, ossia la predizione che scaturiva dalla teoria ricardiana, viene

controbilanciata dalla convinzione più ottimistica di Mill per la quale nel corso del tempo

si sarebbero instaurati standard di vita sociale più ragionevoli e umanitari, così da

garantire una distribuzione dei redditi più equa e egualitaria.

Egli vede perciò con favore l'applicazione di alte aliquote di imposizione fiscale sulle

eredità, ma si oppone alla tassazione progressiva perché ne teme gli effetti in termini di

disincentivo; invoca poi la formazione di cooperative di produttori poiché ritiene che i

lavoratori avrebbero notevoli incentivi ad aumentare la propria produttività se potessero

percepire non soltanto il loro salario, ma anche i profitti e gli interessi attivi delle

cooperative. Inoltre giunge alla conclusione che le conseguenze dei rendimenti

decrescenti nel settore agricolo potrebbero essere mitigate dalla crescita del livello

culturale dei cittadini e dalla riduzione del saggio di crescita della popolazione ottenibile

grazie al rinvio di matrimoni e al controllo delle nascite.

Secondo Mill, infine, la società non può modificare le funzioni di produzione, ma di fatto

ha la capacità di modellare una distribuzione personale del reddito che risponda ai

propri giudizi di valore.

L'influenza esercitata da Jeremy Bentham Bentham partiva dall'idea che gli uomini

sono motivati all'azione da due forti desideri: raggiungere il piacere ed evitare il dolore.

Se la società fosse riuscita a misurare i piaceri si sarebbero perciò potute promuovere

leggi appropriate così da assicurare la maggior quantità possibile di piacere al maggior

numero possibile di persone.

Proprio come questi filosofi radicali (di cui Bentham era un esponente) Mill era molto

interessato alle questioni di riforma economica, politica e sociale, ma arrivò a

respingere, almeno parzialmente, alcuni aspetti del benthamismo che suo padre

(James Mill) aveva invece accettato; egli in particolare criticava:

• il calcolo edonista dei piaceri e delle pene quale strumento per analizzare la

totalità del comportamento umano;

• il fatto che i filosofi radicali non erano abbastanza radicali.

Page 46: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 [email protected] 44

"Laissez faire", interventismo o socialismo? Mill potrebbe essere collocato, dal punto di

vista delle politiche pubbliche, a metà strada tra il liberismo classico e il socialismo.

Analizziamo le sue ideee sulle politiche pubbliche.

Ruolo del governo. Mill affermava in proposito che l'unico esercizio legittimo del potere

da parte del governo al di sopra e contro la volontà del singolo individuo sarebbe

consistito nell'"impedirgli di nuocere agli altri". Mill tuttavia abbandonò nel tempo questa

posizione rigorosamente liberale e riconobbe che l'assenza di intervento da parte del

governo non comporterebbe necessariamente il raggiungimento della massima libertà,

poiché quest'ultima è impedita da molti altri ostacoli che di fatto soltanto la legislazione

o il governo potrebbero rimuovere.

Funzionamento dei mercati. Mill percepisce l'esistenza di un conflitto di classe tra i

proprietari terrieri e gli altri gruppi sociali. Per via di tale conflitto egli esprime la propria

condanna verso i proprietari terrieri, pervenendo poi a raccomandazioni di politica

economica che suggeriscono di espropriarli di tutti gli ulteriori incrementi delle rendite e

del valore della terra.

Proprietà privata. I diritti di proprietà privata non sono visti come assoluti, e la società

potrebbe eliminarli nel caso in cui li giudicasse in conflitto con il bene comune. Ma se si

fosse corretta la legislazione sulla proprietà privata con lo scopo di raggiungere una

distribuzione del reddito più equa e una più stretta conformità del contributo dato dagli

individui al sistema economico e il loro redditi, "allora il principio della proprietà

individuale non avrebbe avuto nessuna necessaria connessione con quei mali fisici e

sociali che quasi tutti gli scrittori socialisti ritengono invece inseparabili da esso".

Concorrenza. Per Mill la concorrenza è fondamentalmente benigna e la conseguenza

del potere di monopolio all'interno dei mercati sarebbe un'allocazione inefficiente delle

risorse.

Un differente stato stazionario Mill si attenne fedelmente al modello ricardiano di base,

che prevedeva saggi di profitto decrescenti nel tempo e il raggiungimento dello stato

stazionario. Tuttavia lo stato stazionario che egli prefigurò era assai diverso da quello

triste e deprimente immaginato da Ricardo. Mill considerava la felicità individuale, il

benessere e il miglioramento generale come criteri per tracciare il profilo della buona

società; egli era consapevole che questi non fossero necessariamente misurabili

attraverso beni materiali ed arrivò ad affermare che "è soltanto nei paesi arretrati che

una maggiore produzione rappresenta ancora uno scopo importante; in quelli più

progrediti, ciò di cui vi è bisogno è una maggiore distribuzione".

Page 47: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 45

La teoria economica milliana

Il ruolo assegnato alla teoria Mill era convinto dell'esistenza di due forze che

governavano la distribuzione del reddito: la concorrenza e la consuetudine. Egli mise

in evidenza come l’operare della concorrenza all'interno di un'economia di mercato

fosse un fenomeno relativamente recente per il suo tempo, e che se si fosse guardato

alla storia passata si sarebbe scoperto che usi e consuetudini avevano da sempre

occupato un ruolo centrale nella soluzione dei problemi legati alla distribuzione del

reddito.

La teoria del valore L'idea di fondo di Mill è che affinché un bene possa avere un valore

di scambio, e quindi un prezzo, occorre che esso sia utile e difficile da ottenere.

Se l'offerta fosse limitata in modo assoluto, allora la curva di offerta sarebbe

perfettamente inelastica (verticale) e il prezzo dipenderebbe dalla domanda e offerta

(figura A). Di fatto secondo Mill questa è una classe di merci relativamente poco

importanti, visto che poche merci presentano un'offerta perfettamente inelastica: si

tratta per lo più di vini, opere d'arte, libri vari... Egli però fa uso di questo primo caso per

analizzare quelle situazioni di monopolio in cui il monopolista ha la possibilità di limitare

l'offerta in modo artificioso.

Il secondo gruppo di merci, i beni manufatti, presentano invece una curva di offerta

perfettamente elastica (orizzontale), e a proposto di questi Mill conclude che il loro

prezzo è determinato dal costo di produzione; in questo caso infatti egli adotta l'ipotesi

che tutte le industrie manifatturiere producano a costi costanti (figura B), cioè che i loro

costi marginali non si modificano all'aumentare del livello di produzione.

Per quanto riguarda invece il terzo gruppo di beni (figura C), ovvero quelli prodotti nel

settore agricolo, l'ipotesi di Mill è di una produzione soggetta a costi crescenti, dove

cioè i costi marginali aumentano con l'aumentare dell'output prodotto: il prezzo di tali

merci è determinato dal costo di produzione registrato nelle circostanze meno

favorevoli.

Page 48: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 [email protected] 46

La teoria del commercio internazionale Mill si sofferma sul modo in cui i vantaggi del

commercio internazionale si ripartiscono tra le diverse nazioni che vi partecipano. L'idea

di fondo di Mill consiste nel far dipendere le ragioni di scambio dalla domanda per i

prodotti importati da parte dei due paesi. La forza relativa delle domande di importazioni

è legata, a giudizio di Mill, alle tendenze e alle condizioni dei consumatori dei due paesi.

Egli approfondì la nozione di "tendenze e condizioni di consumatori", indicando in modo

chiaro che con tale fraseologia si riferiva alle posizioni e alle elasticità delle curve di

domanda, e senza aver mai esplicitamente introdotto il concetto di elasticità della

domanda, di fatto egli stava descrivendo proprio i casi di domande caratterizzate da

elasticità, inelasticità ed elasticità unitaria.

La teoria monetaria di Mill e l'eccesso di offerta: una ripresa della legge di Say Mill si

schierò a favore della legge di Say controbattendo l'argomento, avanzato da molti

"sottoconsumisti", in base al quale il sistema economico avrebbe tratto giovamento se i

ricchi avessero risparmiato di meno e speso di più in consumi improduttivi.

Mill giunse a distinguere tre possibili tipi di sistemi economici:

• un'economia di baratto;

• un'economia dove la moneta è una merce e non esiste credito;

• un'economia dove esiste credito monetario.

In un'economia di baratto non potrebbe mai esserci un tasso di insufficienza della

domanda aggregata, dal momento che una qualsiasi decisione di offerta di merci

presuppone a propria volta una domanda per quelle stesse merci; in un sistema

economico di questo tipo ogni singolo produttore o ogni singola impresa produrrebbero

e porrebbero in vendita il proprio prodotto solo in seguito al desiderio di ottenere altri

beni. Se in questo sistema si introduce la moneta intesa solo come mezzo di scambio la

conclusione non cambia; se però la moneta assolve anche alla funzione di riserva di

valore, allora un venditore potrebbe anche non tornare immediatamente sul mercato per

effettuare i propri acquisti.

Mill dimostrò che con l'introduzione del credito avrebbe potuto verificarsi il caso di una

sovrapproduzione di merci a livello di sistema economico nel suo complesso: una

sovraemissione di credito in un periodo di espansione e di prosperità avrebbe potuto

essere seguita da una contrazione del credito in seguito a un'ondata di pessimismo

nella comunità degli affari.

A parere di Mill, quindi, l'introduzione del credito in un sistema economico avrebbe

consentito la possibilità di un eccesso di offerta a livello aggregato, non a causa del

Page 49: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 47

fenomeno malthusiano della sovrapproduzione dovuta a saturazione del mercato, ma a

causa del modificarsi delle aspettative da parte del mondo degli affari.

La scuola metallica e la scuola bancaria La prosecuzione del dibattito bullionista è

nota come la controversia tra la scuola metallica e la scuola bancaria.

La scuola metallica si rifaceva la posizione bullionista e sosteneva che un regime di

circolazione misto (ossia consistente di banconote e di oro) avrebbe dovuto essere

soggetto ad una rigida regolamentazione, e che quindi la quantità di monete in

circolazione avrebbe dovuto essere fatta variare esattamente allo stesso modo in cui

sarebbe variata se il sistema fosse stato completamente metallico. I suoi fautori

sostenevano che questa politica era infatti l'unica che impedisse delle missioni

inflazionistiche.

La scuola bancaria, dal canto suo, invocava la necessità di una politica monetaria più

flessibile e sosteneva che non vi sarebbe stato bisogno di effettuare alcun controllo

sull'emissione di banconote fintanto che le banche avessero agito in accordo con la

dottrina delle cambiali reali.

La teoria monetaria di Mill si collocò a mezza strada tra la scuola bancaria e quella

metallica: a suo modo di vedere infatti le indicazioni della scuola bancaria sarebbero

state quelle più corrette da applicare in tempi normali, cioè quando i mercati fossero

stati tranquilli. Però la dottrina delle cambiali reali non avrebbe rappresentato un solido

riferimento teorico valido in qualsiasi situazione: nel caso di periodi caratterizzati da una

crescita finanziaria speculativa, infatti, Mill riteneva che la politica economica suggerita

dalla scuola metallica, consistente nel legare l'emissione di banconote alla quantità

d'oro disponibile come riserva, diventava quella più appropriata da seguire.

Il fondo-salari e la ritrattazione di Mill La dottrina del fondo-salari fu utilizzata al tempo di

Mill da alcuni economisti e da una serie di divulgatori come uno degli argomenti da

opporre alla formazione dei sindacati. In base a tale dottrina il saggio di salario era

determinato dalla dimensione della forza lavoro e dal fondo-salari, cosicché qualsiasi

tentativo messo in atto dai lavoratori per alzare il livello delle retribuzioni si sarebbe

rivelato comunque vano.

Benché accettasse la dottrina del fondo-salari, Mill giunse a sostenere la formazione di

sindacati dei lavoratori, seguendo il ragionamento di Adam Smith che aveva osservato

come il singolo lavoratore non sindacalizzato si sarebbe trovato in una situazione di

svantaggio concorrenziale rispetto al proprio datore di lavoro quando avessero stabilito

contrattualmente la remunerazione.

Page 50: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

JOHN STUART MILL

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 5 [email protected] 48

Secondo la dottrina del fondo-salari la domanda di lavoro era fissata in modo assoluto

dalla dimensione del fondo-salari; Mill sostenne che laddove sia fisso l'ammontare

massimo dei fondi disponibili al pagamento dei salari, una data forza lavoro e un dato

livello di salario potrebbero anche non esaurire quest'ammontare fisso. Seguendo

questo ragionamento il saggio di salario non risulta determinato in modo univoco, anzi,

sarebbero possibili diversi livelli salariali, essendoci così lo spazio perché i sindacati

possano alzare il saggio corrente attraverso il processo della contrattazione.

Page 51: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 49

CAPITOLO 6. KARL MARX

Uno sguardo d’insieme

L’obiettivo perseguito da Marx La teoria economica di Marx è il risultato

dell'applicazione della sua concezione della storia all'economia capitalista, e rispecchia

il suo sforzo di svelare le leggi della dinamica del capitalismo. Laddove gli altri

economisti classici prima di lui si erano concentrati sull'equilibrio statico del sistema

economico, Marx si concentrò piuttosto sul processo dinamico del cambiamento.

La concezione marxiana della storia L'analisi del capitalismo compiuta da Marx non è

altro che l'applicazione, con riferimento al sistema economico della propria epoca, della

concezione della storia che egli derivò da Hegel. Quest'ultimo aveva sostenuto che la

storia non procede, come molti credevano, in modo ciclico attraverso una serie di

situazioni che si ripetono, ma si evolve in modo lineare e progressivo, determinato da

una triade di forze che egli denominò tesi, antitesi e sintesi. In ogni istante temporale

esiste un'idea dominante, la tesi, che viene però presto contraddetta dal suo opposto,

l'antitesi: da questo conflitto di idee scaturisce una sintesi, che rappresenta il

raggiungimento di una forma di verità superiore ed è allo stesso tempo la tesi del

periodo storico successivo. Il nome dato da Hegel a questo processo infinito di

evoluzione storica, così come al modello utilizzato per investigarlo, era quello di

"dialettica".

Anche Marx fece ricorso a un metodo di indagine dialettico simile a quello adottato dal

suo maestro; tuttavia il suo apparato filosofico si differenziava da quello di Hegel,

idealistico, per le sue connotazioni materialistiche. Per Hegel il mondo dove si sarebbe

verificato il cambiamento era quello delle idee, mentre per Marx era quello della

materia, contenente in sé i semi di un conflitto perenne, ed è per questa ragione che la

filosofia marxiana viene spesso indicata con il nome di materialismo dialettico.

Nell'opinione di Marx qualsiasi società può essere considerata dal punto di vista

analitico come composta da due aspetti: le forze della produzione e i rapporti di

produzione.

Le forze di produzione costituiscono la tecnologia impiegata dalla società per produrre

i beni materiali: esse quindi si manifestano nell'abilità dei lavoratori, nella conoscenza

scientifica, negli strumenti e nei beni capitali, e hanno natura intrinsecamente dinamica.

I rapporti di produzione sono invece rappresentabili come le "regole del gioco", e

includono le relazioni tra una persona e un'altra, ossia i rapporti sociali, e le relazioni tra

le persone e le cose, ossia i rapporti di proprietà.

Page 52: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 [email protected] 50

A differenza delle forze della produzione, che sono mutevoli e dinamiche, i rapporti di

produzione sono di natura statica e sono vincolati al proprio passato. Questa

caratteristica della staticità dei rapporti di produzione è rafforzata da quella che Marx

indica come la "sovrastruttura sociale", che ha appunto lo scopo di conservare i

rapporti di produzione che si sono venuti determinando storicamente: si tratta dell'arte,

della letteratura, della musica, della filosofia, della giurisprudenza, della religione e di

tutte le altre forme di vita culturale accettate dalla società, le quali sono organizzate in

modo tale da mantenere intatti i rapporti di produzione esistenti, ossia lo status quo.

I rapporti di produzione, con la loro staticità, hanno il ruolo della tesi, mentre le forze

della produzione, con la loro mutevolezza e dinamicità, hanno il ruolo dell'antitesi.

All'inizio di ogni periodo storico vi è armonia tra le forze e i rapporti di produzione, ma

nel corso del tempo i cambiamenti che interessano le prime introducono una serie di

contraddizioni nel sistema. Tali contraddizioni si manifesteranno, diceva Marx, nella

forma di una lotta di classe, e alla fine diverranno così intense da determinare un

periodo di rivoluzione sociale, al termine del quale scaturirà un nuovo genere di

rapporti di produzione, più adeguato alle mutate forze produttive. Il nuovo insieme di

rapporti di produzione rappresenterà la sintesi generata dal conflitto tra la vecchia tesi

(i rapporti di produzione) e l'antitesi (le forze della produzione), e avrà il ruolo della

nuova tesi all'interno del periodo storico successivo: a questo punto si sarà di nuovo

raggiunta l'armonia, anche se non si dovrà attendere molto perché la dinamica delle

forze di produzione faccia nascere altre contraddizioni.

Qualche precisazione sulla dialettica marxiana Marx sostiene che l'economia politica

classica si è limitata ad accettare i mercati come un dato di fatto, senza considerare la

natura della proprietà privata e gli effetti indotti dall'esistenza dei mercati sulle persone.

Vivendo in un'economia capitalista gli esseri umani sarebbero rimasti intimamente

alienati da se stessi. A suo parere, infatti, la proprietà privata e il sistema di mercato

conducono a svalutare e privare di senso tutto ciò con cui entrano in contatto, e quindi

anche gli individui, la cui sorte è l'alienazione della propria identità. La stessa

alienazione intrinseca ai diritti di proprietà e al sistema dei mercati avrebbe spinto gli

individui a liberarsi dal mercato per creare una società dove non fosse esistita la

proprietà privata e quindi nemmeno l'alienazione che l'accompagna.

Il capitalismo reca dunque in sé i germi della propria distruzione, che sarebbe avvenuta

via via che si fossero sviluppati gli inevitabili conflitti indotti dal cambiamento nelle forze

della produzione. Con la caduta del capitalismo sarebbe emerso un nuovo tipo di

Page 53: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 51

relazioni di produzione che Marx individuò sotto il nome di socialismo, e questo avrebbe

in seguito dato vita, come ultimo stadio, al comunismo.

Socialismo e comunismo Socialismo e comunismo sono dunque per Marx degli stati

attraverso i quali sarebbe passato il processo di evoluzione della storia.

Il socialismo, nell'accezione di Marx, è quel particolare insieme di rapporti di produzione che

avrebbe seguito il capitalismo e che ancora ne avrebbe contenuto delle tracce. Se una delle

principali caratteristiche del capitalismo è quella per cui i mezzi di produzione, ossia il capitale,

non sono posseduti o controllati dal proletariato, il cambiamento fondamentale che sarebbe

intervenuto nella transizione dal capitalismo al socialismo sarebbe stato il possesso dei mezzi di

produzione da parte del proletariato. Accanto a questa sostanziale trasformazione, il socialismo

avrebbe tuttavia conservato dei residui del capitalismo, nel senso che l'attività economica

sarebbe comunque stata organizzata, sostanzialmente, in base a un sistema di incentivi: per

indurre le persone a lavorare si sarebbe comunque dovuto in qualche modo compensarle.

Il comunismo, secondo l'accezione di Marx, sarebbe scaturito dal superamento dei sistemi

economici di tipo socialista, e avrebbe comportato, rispetto a questi, alcune differenziazioni

notevoli. Le persone sarebbero state infatti motivate al lavoro in modo autonomo, senza cioè

bisogno di incentivi di tipo materiale o monetario; sarebbero scomparse le classi sociali esistenti

sia nel capitalismo sia, in misura minore, nel socialismo: il comunismo avrebbe portato con sé

una società senza classi dove perfino lo Stato si sarebbe ridotto sino a scomparire.

Le teorie economiche di Marx

L’approccio metodologico di Marx Se nell'approccio metodologico della teoria ortodossa

il principale legame di causalità va dalle parti al tutto, nello schema analitico marxiano il

tutto determina le parti.

Merci e classi Il primo passo compiuto da Marx fu quello di esaminare la relazione di

scambio che esiste tra i capitalisti, ovvero coloro che posseggono i mezzi di produzione,

e i proletari, coloro che vendono il proprio lavoro sul mercato. Egli riteneva infatti che

tale relazione illustrasse bene quella che è una delle principali caratteristiche del

capitalismo: la separazione del lavoro dalla proprietà dei mezzi di produzione.

Marx decise di esaminare le forze che determinavano sia i prezzi delle merci prodotte

con l'impiego del lavoro, sia il prezzo con cui veniva remunerato il lavoro in seguito alla

fatica spesa della produzione delle merci.

La teoria del valore-lavoro di Marx Dal momento che i prezzi delle merci rendono

manifeste alcune relazioni di tipo quantitativo, tutte le merci devono per forza avere un

elemento in comune, quantitativamente misurabile in modo certo. Il lavoro è l'elemento

Page 54: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 [email protected] 52

comune a tutte le merci ed è proprio la quantità di lavoro necessaria alla produzione

delle merci il fattore che governa la determinazione dei prezzi relativi.

Per Marx l'unico costo sociale richiesto dalla produzione delle merci è il lavoro. La

quantità totale di lavoro disponibile all'interno della società per produrre merci è una

quantità omogenea, chiamata, appunto, lavoro astratto. La produzione di una qualsiasi

merce richiederebbe l'impiego di una parte dell'intera offerta di lavoro astratto, e i prezzi

relativi delle varie merci rispetterebbero le diverse quantità di questa astratta offerta di

lavoro, misurata in ore di lavoro, necessaria alla loro produzione.

La nozione secondo cui è il lavoro contenuto nelle merci a determinare il loro valore solleva

però quel problema che abbiamo già incontrato e che potremmo chiamare del lavoro

qualificato. Per far fronte a questo problema Marx propone di misurare la quantità di lavoro

richiesto dalla produzione di un bene attraverso il "tempo di lavoro socialmente necessario",

definito come il tempo di lavoro impiegato nella produzione da parte di un lavoratore in

possesso del livello medio di abilità normalmente posseduta dai lavoratori in quel periodo.

Un altro problema delicato che occorre affrontare all'interno di una teoria del valore-

lavoro è dato dall'influenza esercitata dai beni capitali sulla formazione dei prezzi

relativi. Su questo punto Marx adotta la soluzione che era già stata individuata da

Ricardo, ovvero quella di considerare il capitale come lavoro accumulato. In base a

tale soluzione il tempo di lavoro necessario a produrre un bene finisce per coincidere

con il numero di ore di lavoro immediatamente applicato alla produzione, più il numero

di ore di lavoro richiesto dalla produzione del capitale andato poi distrutto nel processo

di produzione.

Una teoria del valore-lavoro deve poi risolvere tutte le questioni legate all'esistenza di terre di

diversa fertilità, per cui la stessa quantità di tempo di lavoro conduce a una diversa produzione.

Marx affronta questo problema facendo ricorso alla teoria della rendita differenziale già

sviluppata da Ricardo. In base a questa teoria la superiore produttività del lavoro svolto su una

terra di maggiore fertilità è assorbita dal proprietario terriero a titolo di rendita differenziale, e la

concorrenza farebbe sì che la rendita pagata sulle terre migliori cresca fino a che il saggio di

profitto risulti lo stesso su tutti gli apprezzamenti. In questa accezione è dunque la rendita ad

essere determinata dal prezzo, piuttosto che il contrario.

L'algebra marxiana Nella costruzione analitica di Marx il valore di una merce è sempre

scomponibile in tre parti:

SVC ++=valore

Page 55: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 53

Il capitale costante (C) è definito come la spesa dei capitalisti per le materie prime e il

costo del deprezzamento sul capitale fisso. Conviene considerarlo come la somma di

tutti i costi non da lavoro che i capitalisti sostengono per produrre le merci.

Il capitale variabile (V) è definito come la somma delle spese per salari e stipendi.

Il plusvalore (S) è un valore residuo, ottenuto sottraendo le spese per il capitale

costante e per il capitale variabile dal ricavo lordo dei capitalisti.

Secondo Marx le spese per il capitale costante fruttano ai capitalisti un ritorno di un

ammontare esattamente uguale, da cui il nome di capitale costante. Le spese per il

capitale variabile invece, laddove gli affari siano profittevoli, generano un ritorno di

entità superiore. Attraverso questa duplice ipotesi Marx riesce ad incorporare nel suo

sistema teorico l'ipotesi fondamentale che solo il lavoro crea il valore.

Come nasce il plusvalore nel contesto dei mercati concorrenziali? Il lavoro è la sola

merce che ha la capacità di creare plusvalore.

Se in quattro ore di lavoro un lavoratore riesce a produrre merci sufficienti per

acquistare tutto quanto è necessario al suo mantenimento, allora il prezzo del lavoro

sarà equivalente a quattro ore di tempo lavorativo, e le spese di un capitalista per il

capitale variabile sarà equivalente a quattro ore di tempo lavorativo. Se la giornata

lavorativa fosse lunga soltanto quattro ore allora non verrebbe generato alcun

plusvalore o reddito da proprietà.

Una giornata lavorativa più lunga, come ad esempio quella di otto ore, genera invece un

plusvalore poiché, dopo che il lavoro è stato remunerato con il salario determinato in

modo concorrenziale e pari a quattro ore di tempo di lavoro, rimane un surplus di merci

pari a quanto prodotto nelle altre quattro ore di lavoro.

Marx definisce "saggio di plusvalore" o "saggio di sfruttamento" il rapporto tra

plusvalore (S) e spese per il capitale variabile (V):

V

SS == ' plusvalore di saggio

Poichè è il capitalista a possedere e controllare i mezzi di produzione, questi è nella

condizione di chiedere ai lavoratori di lavorare più a lungo di quello che sarebbe

strettamente necessario al loro mantenimento e di trarne quindi un reddito da proprietà

uguale al plusvalore.

Il plusvalore creato dal lavoratore gli è sottratto a causa della mancanza di controllo sui

mezzi di produzione. L'unica soluzione che avrebbe potuto mettere fine a questa

situazione sarebbe quindi stata una rivoluzione, che avesse lo scopo di espropriare i

Page 56: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 [email protected] 54

capitalisti dei loro mezzi di produzione e di restituire il plusvalore a chi lo aveva creato,

ossia ai lavoratori proletari.

Di nuovo sull'algebra marxiana Sono possibili diversi modi di aumentare il saggio di

plusvalore: un allungamento della giornata lavorativa, un aumento della produttività del

lavoro, una riduzione della quantità di merce equivalente al salario reale con cui si

remunera il lavoro. Il capitalista, sostiene Marx, cerca costantemente di aumentare il

saggio di plusvalore attraverso un allungamento della giornata lavorativa o un

incremento della produttività del lavoro. Poco invece può fare per abbassare il salario

reale dei lavoratori, poiché il saggio di salario è determinato dalle forze dei mercati

concorrenziali.

Il saggio di profitto è uguale al rapporto tra il saggio di plusvalore e le anticipazioni per

il capitale totale:

VC

SP

+== profitto di saggio

.

La composizione organica del capitale (il termine con il quale Marx indicava

l'intensità di capitale di un'industria o di una singola impresa) è invece uguale al

rapporto tra le spese per il capitale costante e le spese per il capitale totale:

VC

CQ

+== capitale del organica necomposizio

.

Essendo il saggio di plusvalore pari al rapporto tra il plusvalore e le spese per il

capitale variabile,

V

SS == ' plusvalore di saggio

,

quanto maggiore è questo rapporto, tanto più l'impresa o l'industria sarà ad elevata

intensità di capitale.

Attraverso alcuni passaggi algebrici rispetto alle definizioni precedenti di plusvalore,

saggio di profitto e composizione organica del capitale, si può dimostrare che il saggio

di profitto varia direttamente con il saggio di plusvalore e inversamente con la

composizione organica del capitale:

)1(' profitto di saggio QSP −== .

Alcuni problemi con la teoria del valore di Marx Marx partiva dall'ipotesi che il

funzionamento dei mercati perfettamente concorrenziali avrebbe portato

automaticamente all'uguaglianza del saggio di plusvalore in tutte le industrie e in tutte le

Page 57: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 55

imprese; e che le stesse forze concorrenziali avrebbero determinato un saggio uniforme

di profitto per tutte le imprese e per tutte le industrie.

Per esempio, un saggio di profitto superiore che si fosse verificato in un settore di

un'industria o del sistema economico avrebbe provocato uno spostamento di risorse tali

da ristabilire, nel lungo periodo, l'uniformità del saggio di profitto in tutti i settori.

Se dunque sia il saggio di plusvalore, sia il saggio di profitto, devono essere uniformi

all'interno del sistema economico, allora lo sarà necessariamente anche la

composizione organica del capitale, come si può facilmente dimostrare.

Il saggio di profitto è dato dalla formula )1(' QSP −= ; se il saggio di plusvalore ( 'S ) e

quello di profitto ( P ) sono ovunque gli stessi nel sistema economico per via del

funzionamento concorrenziale del mercato, allora anche la composizione organica del

capitale (Q ) dovrà essere allo stesso livello in ogni impresa e in ogni industria.

Tuttavia è un fatto osservabile che sia il rapporto tra capitale del lavoro, sia la

composizione organica di capitale, differiscono da un'industria all'altra.

La soluzione trovata da Marx e alcune delle sue implicazioni La teoria del valore-lavoro

impiegata nel corso di primi due volumi del Capitale è costruita sulla base dell'ipotesi

restrittiva che la composizione organica del capitale sia la stessa per tutte le industrie,

mentre nel terzo volume Marx provò ad eliminare quest'ipotesi iniziale e s'impegnò a

sviluppare una teoria del valore-lavoro che avesse una propria coerenza interna. La

cosa non gli riuscì e tale difficoltà incontrata dalla teoria del valore-lavoro di Marx è

anche divenuta famosa con il nome di problema della trasformazione: con esso si

vuole alludere al tentativo fatto da Marx nel terzo volume del Capitale di "trasformare" il

valore delle merci nei prezzi di mercato, per poter trattare anche il caso generale di un

sistema economico caratterizzato da industrie con differenti intensità di capitale.

Anche se indubbiamente lo spessore teorico del sistema marxiano risulta

complessivamente indebolito dalla confutazione della sua teoria del valore-lavoro, egli

avrebbe potuto sollevare quelle questioni di ordine etico che gli stavano a cuore, e in

modo particolare sottolineare le gravi iniquità della distribuzione del reddito in un regime

capitalistico, senza dover necessariamente fare riferimento a questa particolare teoria

del valore.

L'analisi marxiana del capitalismo Nella sua analisi del capitalismo Marx giunse a

enunciare alcuni principi che sono conosciuti come "leggi marxiane". Queste leggi del

capitalismo includono:

• trasformazione di un "esercito industriale di riserva" composto dai disoccupati;

Page 58: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 [email protected] 56

• la caduta tendenziale del saggio di profitto;

• le crisi economiche ricorrenti;

• la progressiva concentrazione industriale in un numero sempre più piccolo di

imprese e l'impoverimento progressivo del proletariato.

L'esercito industriale di riserva composto dai disoccupati. Marx non condivide la teoria

malthusiana della popolazione. Secondo gli economisti classici l'accumulazione del

capitale conduce a una maggiore domanda di lavoro e a una conseguente crescita del

salario reale dei lavoratori, ma qualsiasi aumento dei salari provocherebbe un aumento

della popolazione e della forza lavoro tale da riportarli a livello di sussistenza (teoria

malthusiana).

Il rifiuto di questa teoria comporta per Marx il dover rispondere alla domanda: cosa

impedirebbe al plusvalore e ai profitti di ridursi progressivamente fino a zero in

corrispondenza del continuo aumento dei salari? La risposta di Marx a

quest'interrogativo è contenuta nella sua analisi dell'esercito di riserva dei disoccupati.

Secondo Marx, infatti, sul mercato del lavoro vi è sempre un eccesso di offerta che ha

l'effetto di comprimere i salari e mantenere così livelli positivi e significativi del

plusvalore e dei profitti. Le motivazioni a monte di questo perenne eccesso di offerta di

lavoro sono più di una:

• sostituzione della manodopera con macchinari all'interno dei processi di produzione;

• ingresso di nuovi elementi nella forza lavoro.

Durante i periodi di espansione dell'attività economica e di accumulazione del capitale i

salari aumentano e l'esercito di riserva si riduce; tuttavia la crescita dei salari porta alla

lunga a una riduzione del profitto, cosa a cui i capitalisti reagiscono sostituendo

lavoratori impiegati con macchine. La disoccupazione generata da questa sostituzione

tra capitale e lavoro abbassa nuovamente i salari e ripristina i profitti.

Il presupposto di Marx equivale a respingere la legge di Say e quindi la sua previsione

di pieno impiego delle risorse presenti nel sistema.

La caduta tendenziale del saggio di profitto. Nel modello marxiano il saggio di profitto

varia direttamente con il saggio di plusvalore, e inversamente con la composizione

organica del capitale, secondo la formula: )1(' QSP −= .

Assumendo che il saggio di plusvalore non si modifichi con l'andare del tempo, ciò

significa che qualsiasi incremento della composizione organica del capitale avrà come

conseguenza la riduzione del saggio di profitto.

Page 59: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 57

Essendo Marx persuaso che la concorrenza, sia sul mercato di beni che sul mercato del

lavoro, avrebbe comportato il progressivo aumento della composizione organica del

capitale, egli giunse la conclusione che i saggi di profitto si sarebbero

conseguentemente ridotti.

Secondo Marx il capitalista è portato per sua natura a cercare di accumulare capitale; tale

accumulazione di capitale comporta anche che un aumento di capitale variabile comanderebbe

maggiori quantità di lavoro, spingendo i salari verso l'alto e riducendo la dimensione

dell'esercito industriale di riserva composto dai disoccupati. Dato che all'aumentare dei salari il

saggio di plusvalore dovrebbe diminuire, anche il saggio di profitto varierebbe nella stessa

direzione. La reazione dei capitalisti di fronte all'aumento dei salari e alla riduzione dei profitti

sarebbe quindi di sostituire lavoratori impiegati con macchinari, cioè di incrementare la

composizione organica del capitale per cui i profitti sarebbero spinti ulteriormente verso il

basso.

Anche il processo concorrenziale sul mercato dei beni avrebbe come conseguenza una

progressiva riduzione del saggio di profitto, poiché i capitalisti cercherebbero costantemente di

ridurre i costi di produzione per poter vendere i beni finali a un prezzo inferiore. La spinta

competitiva tra i capitalisti riporterebbe a cercare nuovi e meno costosi metodi di produzione per

ridurre il tempo di lavoro socialmente necessario richiesto dalla produzione di una determinata

merce. Tuttavia queste nuove tecniche, più efficienti, si risolverebbero quasi sempre in un

aumento della composizione organica del capitale, la quale a propria volta avrebbe l'effetto di

provocare una progressiva riduzione dei profitti.

L'origine delle crisi economiche. Marx non accettò la legge di Say, ovvero quel principio

secondo cui, al di là di fluttuazioni di minore importanza nel livello del prodotto,

un'economia capitalista avrebbe manifestato la tendenza ad operare sempre a un livello

corrispondente al pieno impiego delle risorse.

Egli ammetteva che in una semplice economia di baratto i soggetti economici

producono beni o per il valore d'uso che ne possono trarre consumandoli direttamente,

o per il valore d'uso che ne traggono barattandoli, e che in tali circostanze la produzione

e il consumo sono perfettamente sincronizzati: se qualcuno produce le scarpe, lo fa per

metterle in piedi o per scambiarle, ad esempio, con del cibo.

L'introduzione della moneta in un sistema economico di questo tipo non distoglie

necessariamente la produzione da questa sua finalità: in un'economia monetaria, infatti,

i produttori scambiano beni contro moneta, e la moneta è a sua volta scambiata contro

altri beni che portano un valore d'uso a chi consuma (la moneta è dunque

l'intermediario degli scambi).

Page 60: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 [email protected] 58

Possiamo rappresentare in modo schematico come segue i due tipi di sistema

economico appena descritti:

economia di baratto MM → M = merci

economia monetaria MDM →→ D = denaro

Il capitalismo comporta invece un’mportante modifica della finalità dell'attività

economica, che dalla produzione di valori d'uso si rivolge ora alla produzione di valori di

scambio. Il capitalista, entra nel mercato come portatore di denaro, acquista i fattori

della produzione e li coordina in vista della produzione delle merci; allorché le merci

siano state prodotte, egli le cede sul mercato in cambio di nuovo denaro, e il suo

successo è misurato esattamente dal plusvalore che egli riesce a realizzare, ovvero

dalla differenza tra le quantità iniziale e finale di denaro a sua disposizione.

Un'economia di tipo capitalistico può perciò essere schematicamente rappresentata in

questo modo: 'DMD →→

dove la differenza D∆ tra 'D e D rappresenta il plusvalore realizzato dal capitalista.

In un'economia capitalista, orientata alla realizzazione di valori di scambio e di profitti, la

sovrapproduzione diventa una possibilità concreta.

L'approccio di fondo con cui Marx si accostò allo studio delle fluttuazioni economiche fu

quello di esaminare come avrebbero reagito i capitalisti una volta posti di fronte a

variazioni nel saggio di profitto.

Le fluttuazioni cicliche. Uno dei modelli di fluttuazione economica suggeriti da Marx è

quello delle fluttuazioni cicliche o ricorrenti. Egli ipotizzò che un'improvvisa

accelerazione del progresso tecnologico potesse generare un ciclo economico. Tale

accelerazione avrebbe riguardato anche l'accumulazione del capitale e, con essa, la

domanda di lavoro da parte delle imprese: la dimensione dell'esercito industriale di

riserva si sarebbe ridotta, i salari sarebbero cresciuti, il plusvalore diminuito e così pure

il saggio di plusvalore e il saggio di profitto. La riduzione del saggio di profitto avrebbe a

sua volta decelerato l'accumulazione di capitale, innescando una spirale depressiva per

l'intero sistema economico. La fase di depressione economica, secondo Marx, avrebbe

tuttavia contenuto in sé quegli elementi che presto o tardi avrebbero generato una

nuova espansione: con il contrarsi della produzione e l’infoltirsi dell'esercito industriale

di riserva dei disoccupati, infatti, sarebbe senz'altro cresciuta la pressione competitiva

sul livello di salario, la cui diminuzione avrebbe migliorato l'opportunità di profitto. A

questo punto i livelli di profitti superiori avrebbero stimolato il processo di

Page 61: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

Maria Rosa Baglieri LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 59

accumulazione del capitale e l'attività economica avrebbe ripreso quota con l'inizio della

fase espansiva del ciclo.

Le crisi derivanti da sproporzione. Marx mise in discussione la capacità che il mercato

potesse assolvere senza problemi il compito di allocare le risorse tra i vari settori.

Si supponga che vi sia un aumento della domanda di prodotti dell'industria A e una

diminuzione della domanda di prodotti dell'industria B. In un'economia di tipo

capitalistico dove tutto funzioni regolarmente, i prezzi e i profitti dell'industria A

aumenterebbero mentre diminuirebbero quelli dell'industria B, e la reazione dei

capitalisti a questo mutamento nei profitti sarebbe quella di spostare risorse

dall'industria in declino verso quella in espansione. In questo modo l'eccesso di offerta,

o la sovrapproduzione, che si è verificato nell'industria B sarebbe un fenomeno di breve

durata e non avrebbe alcuna influenza percettibile sul livello generale dell'attività

economica.

In aperto contrasto con le posizioni degli economisti classici, Marx sostenne che la

disoccupazione creata nell'industria B in seguito al contrarsi della domanda avrebbe

potuto estendersi al resto del sistema e provocare un declino generale per l'attività

economica.

La concentrazione e centralizzazione del capitale. Marx era consapevole del fenomeno

della crescita delle dimensioni delle imprese e del conseguente indebolimento della

logica concorrenziale al crescere del potere monopolistico. Egli giunse alla conclusione

che tale fenomeno derivava sia dalla concentrazione che dalla centralizzazione

progressive del capitale. Una crescente concentrazione del capitale si verifica

allorché singoli capitalisti accumulano quantità di capitale sempre maggiori, e quindi

aumentano l'ammontare complessivo di capitale soggetto al loro controllo: le dimensioni

dell'impresa o dell'unità produttiva aumentano corrispondentemente, e il grado di

concorrenza sui mercati tende a diminuire.

L'altra ragione, ancor più importante, adottata per spiegare il ridursi della concorrenza

sui mercati è quella legata alla centralizzazione del capitale, che si realizzi in seguito

a una redistribuzione del capitale già esistente tale da lasciarne il possesso e il controllo

nelle mani di un numero sempre minore di persone. Marx sostenne che le imprese di

dimensioni superiori sarebbero state in grado di conseguire delle economie di scala e di

produrre a costi medi inferiori di quelli delle imprese più piccole, così che la concorrenza

tra le prime e le seconde avrebbe portato alla scomparsa delle imprese di dimensioni

più ridotte e alla creazione di monopolio.

Page 62: Storia Del Pensiero Economico Colander Prima Parte

KARL MARX

LANDRETH & COLANDER - CAPITOLO 6 [email protected] 60

L'immiseramento progressivo del proletariato. L'immiseramento progressivo del

proletariato è la dizione utilizzata da Marx per riferirsi a un'altra delle contraddizioni che

avrebbero portato alla crisi finale del capitalismo. Di questa particolare tesi, oggetto di

accesi dibattiti, sono state date tre diverse interpretazioni, non necessariamente

incompatibili tra di loro.

1. Secondo la prima interpretazione, il crescente immiseramento del proletariato in

termini assoluti implica che il reddito reale per la maggior parte dei lavoratori

sarebbe diminuito con lo sviluppo del capitalismo.

2. Una seconda interpretazione possibile fa riferimento a un crescente immiseramento

del proletariato in senso relativo, volendo con ciò indicare che la quota del reddito

nazionale spettante al proletariato diminuisce nel corso del tempo.

3. La terza ed ultima interpretazione della dottrina dell'immiseramento progressivo del

proletariato è che essa riguarda aspetti non economici della vita, ovvero il fatto che

l'avanzare del capitalismo avrebbe assoggettato la maggioranza delle persone al

processo della produzione industriale, deteriorando progressivamente la qualità

della vita.