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Le avventure di Pinocchio Storia di un burattino

Storia di un burattino - Narrativa, libri per ragazzi e … sulle prime, la buona donnina cominciò col dire che lei non era la pic-cola Fata dai capelli turchini: ma poi, vedendosi

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Le avventure di Pinocchio

Storia di un burattino

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LE AVVENTURE DI PINOCCHIO

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Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a bofonchiare e a piangere, perché voleva un paio di piedi nuovi.

Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta, lo lasciò piangere e dispe-rarsi per una mezza giornata: poi gli disse:

— E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo da casa tua?

— Vi prometto — disse il burattino singhiozzando — che da oggi in poi sarò buono...

— Tutti i ragazzi — replicò Geppetto — quando vogliono ottenere qualcosa, dicono così.

— Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore...

G eppetto rifà i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario.

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CAPITOLO VIII

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Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che destò una mezza rivoluzione.

Bisogna sapere che il sipario era tirato su e la commedia era già incomin-ciata.

Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra di loro e, secondo il solito, minacciavano da un momento all’altro di scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate.

La platea, tutta attenta, si mandava a male dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini, che gestivano e si trattavano d’ogni vitupero con tanta verità, come se fossero proprio due animali ragionevoli e due per-sone di questo mondo.

I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio, e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello,

esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine.

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CAPITOLO X

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In sulle prime, la buona donnina cominciò col dire che lei non era la pic-cola Fata dai capelli turchini: ma poi, vedendosi oramai scoperta e non vo-lendo mandare più in lungo la commedia, finì per farsi riconoscere, e disse a Pinocchio:

— Birba d’un burattino! Come mai ti sei accorto che ero io?— Gli è il gran bene che vi voglio, quello che me l’ha detto.— Ti ricordi, eh? Mi lasciasti bambina, e ora mi ritrovi donna; tanto donna,

che potrei quasi farti da mamma.— E io l’ho caro dimolto, perché così, invece di sorellina, vi chiamerò la mia

mamma. Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi!... Ma come avete fatto a crescere così presto?

P inocchio promette alla Fata di esser buono e di studiare, perché è stufo di fare il burattino

e vuol diventare un bravo ragazzo.

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CAPITOLO XXV

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Milano, 8 maggio 1938. È una splendida domenica e Roy Oliver Disney, fratello di Walt, sta uscendo dalla sua camera dell’hotel Principe di Savoia per raggiungere una sala riservata dove lo attendono cinque professionisti pronti a stilare l’atto co-stitutivo di una società di diritto italiano che garantirà alla Walt Disney Enterprises il controllo diretto dei proventi derivanti dallo sfruttamento commerciale dei propri personaggi nel nostro Paese senza più servirsi di intermediari. È un cambiamento necessario, considerati gli introiti sempre più consistenti che giungono alla società di famiglia dal mercato italiano dopo il successo di Biancaneve e i Sette Nani.

PINOCCHIO, STORIA DI UN FILM TANTO ATTESO

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• Un tour trionfale e buoni affari

È stato un processo lento che è durato quattro anni ma ora, finalmente, an-che in Italia come in Inghilterra tutti i contratti saranno gestiti direttamente da una società di totale proprietà della famiglia, la Creazioni Walt Disney S.A.I. Roy, inoltre, è particolarmente soddisfatto perché un’importantissima que-stione, che angosciava i fratelli Disney e che sembrava irrisolvibile, ha trovato una via d’uscita. Finalmente Pinocchio potrà essere portato sullo schermo.

Infatti il giorno prima, il 7 maggio, una lettera partita da Firenze a firma di En-rico Bemporad dava definitivamente il via libera ai legali della Disney a trattare direttamente con l’avvocato Aldo Alboretti e con l’ingegner Giuseppe Busala nonché con i responsabili della società CAIR (Cartoni Animati Italiani Roma) per recuperare bonariamente i diritti cinematografici de Le avventure di Pinoc-chio che detenevano da quattro anni. Roy non usa l’ascensore dell’albergo, preferisce servirsi delle scale per ammirare la struttura progettata dall’archi-tetto Cesare Tenca che, inaugurata il 6 aprile 1927, si affaccia sui giardini di Piazza Fiume, oggi Piazza della Repubblica.

È la seconda volta che Roy Disney visita l’Ita-lia e i suoi ricordi vanno a quei giorni del 1935 quando aveva seguito Walt in un tour dell’Euro-pa accompagnati dalle rispettive consorti, Edna e Lillian, e si erano assentati dagli Studios per due mesi. Anche per motivi di salute il viaggio in Europa, già progettato da oltre un anno, non era più rimandabile. Da una parte nel Vecchio Con-tinente Walt era ansioso di trovare documenta-zione e spunti creativi per i lungometraggi che aveva in programma di realizzare – Biancaneve, Pinocchio e Bambi sopra tutti – dall’altra voleva controllare di persona quali potevano essere le possibilità di sviluppo economico derivanti dallo sfruttamento commerciale dei propri personaggi.

Già dai primi mesi del 1934 Walt Disney aveva intrattenuto una fitta corrispondenza con Arnoldo Mondadori, che stimava per le indubbie qualità imprenditoriali e per il ricco catalogo che l’edi-tore e tipografo veronese era riuscito a costruire nel tempo. Nelle diverse lettere Mondadori non nascondeva certo il concreto interesse di voler portare nella sua casa editrice personaggi come Topolino e Paperino, e Disney da parte sua con-siderava il catalogo mondadoriano con autori come Luigi Pirandello, Gabriele D’Annunzio, Da-vid Herbert Lawrence, Antoine de Saint-Exupéry e Thomas Mann il posto ideale dove i suoi perso-naggi potevano trovare casa.

Nel 2014 Didier Ghez ha pubblicato questo documentatissimo saggio sul viaggio in Europa di Roy e Walt Disney, nell’estate del 1935.

In apertura, Mickey Mouse “invita caldamente” Walt Disney a visitare l’Italia, Paese che ha sempre avuto un rapporto privilegiato con le sue creazioni. Illustrazione di Silvia Ziche.

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In un primo momento Bambi sembrò spuntarla, ma, affascinato dalla persona-le versione teatrale di Pinocchio portata in scena dal regista Yasha Frank al Los Angeles’s Beaux Arts Theatre e influenzato dai suggerimenti di vari esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo come il giornalista francese Joseph-Marie Lo Duca, l’attore Douglas Fairbanks, o anche l’amica di famiglia K. Evers, Walt Disney decise che avrebbe realizzato il suo secondo lungometraggio dalla storia scritta da Collodi. Nel giugno del 1937 Disney e il suo team creativo avevano assistito all’anteprima della performance teatrale di Frank e, come ricorda Ben Sharpsteen, uno dei supervisor della Disney, “Walt fu subito entusiasta per gli spunti offerti da quella versione di Pinocchio […]. L’idea di Geppetto che viene ingoiato da una balena e di ragazzini lavativi trasformati in asini e altre cose del genere lo divertirono molto”. E non poteva essere diversamente vista la teatralità del testo collodiano. Nel corso dell’anno il nome di Pinocchio circolava sempre più nei corridoi degli Studios Disney e l’avvocato Gunther Lessing si adoperò immediatamente per verificare la disponibilità dei diritti per realizzare un film ba-sato sulla storia originale di Carlo Lorenzini. In molti Paesi, compresi gli Stati Uniti, il racconto era di pubblico dominio e quindi poteva essere liberamente utilizzato – Frank e altri registi avevano sfruttato la trama adattandola alle loro personali esigenze – ma nella maggior parte dei Paesi europei, inclusa l’Italia, i diritti per Pinocchio erano ancora detenuti dell’editore fiorentino Bemporad.

• Pinocchio e il cinema

L’idea di fare una riduzione cinematografica di Pinocchio risale agli inizi del se-colo scorso e fu l’italiana Cines a produrre a Torino il primo film nel 1911, in-terpretato dal clown acrobata Ferdinand Guillaume, in arte Polidor, per la regia di Giulio Antamoro. Il cineasta fu chiaramente influenzato dai disegni di Attilio Mussino – si nota specialmente nei costumi indossati dagli attori – ma, pur fedele al testo collodiano, si prese alcune stravaganti libertà narrative tali da far apparire anche quest’opera una sorta di pinocchiata. Per esempio, quando Geppetto e Pinocchio si salvano dalle fauci della balena finiscono nientemeno che nelle mani di una tribù di pellerossa che stanno pagaiando in canoa nei paraggi. Pinocchio poi riesce a fuggire dal villaggio indiano e trova rifugio in un accampamento militare nel quale i soldati lo aiutano a tornare a casa… sparandolo con un cannone. Una seconda pellicola ad azione vivente de Le avventure di Pinocchio fu girata dalla Cines nei primi anni Venti. Di questo film si hanno notizie frammentarie ma l’esistenza è certa perché un contratto del 13 maggio 1923 attesta che la società anonima Unione Cinematografica Italiana, nella quale la Cines è confluita nel 1919, detiene i diritti di ristampa non esclu-siva di questa pellicola fino alla fine del 1927, a fronte del pagamento a Enrico Bemporad della somma di 5.000 lire.

Alla scadenza di questo contratto l’editore fiorentino si attivò per la realizzazio-ne di un nuovo film con Pinocchio senza ottenere risultati concreti pur avendo in corso trattative “con importanti case italiane all’estero” non meglio specifica-te, finché cedette, il 3 maggio 1929, i diritti cinematografici di Pinocchio all’Ente Nazionale per la Cinematografia fino al 31 dicembre 1940. Questo contratto non ebbe però alcuna esecuzione, tanto che Bemporad si sentì libero il 26 gen-naio 1933 di indirizzare una lettera alla sede italiana di una major hollywoodiana

Sopra, una locandina del primo Pinocchio ad azione

vivente realizzato dalla Cines nel 1911 con il fantasista

Polidor (Ferdinand Guillaume) come protagonista.

Sotto, la silhouette del Pinocchio di Ugo Amadoro

come sarebbe dovuto apparire nel film annunciato nel 1930 sulla rivista Cinematografo.

In basso, Ofuji Noburo celebre animatore giapponese

che realizzò nel 1932 una versione animata di

Pinocchio con la tecnica delle silhouettes.

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come la Metro Goldwyn Mayer, cercando di interessarla al progetto filmico col-lodiano. Sul piatto, oltre ai diritti internazionali per la versione ad azione vivente, Bemporad offre: “cosa che nessuna casa cinematografica ha potuto fare, […] il diritto di riproduzione di questa divertentissima storia in cartoni animati, perché essa si presta in modo mirabile a sì fatta riproduzione”. Il compenso richiesto è di 100.000 lire, metà per l’animazione, metà per il film tradizionale. L’attivismo di Enrico Bemporad nel cercare di spingere i diritti cinematografici di Pinocchio si spiega facilmente con la difficile situazione finanziaria in cui versava la Casa editrice. Pochi introiti derivati dai diritti secondari di Pinocchio sarebbero maturati dai disegni di Mussino che alcune società avevano riutiliz-zato per una campagna comune di raccolta promozionale di figurine.

Le figurine di Pinocchio erano inserite nei prodotti di diverse aziende: Belloni & C, Distillerie Donini, Elvea, La Faraona, Mira Lanza, Nestlé, Isolabella, Pasti-glie Leone, Polenghi Lombardo, Saiwa e Società acque gasate & affini.

Da segnalare, quantomeno come curiosità, quello che intanto stava acca-dendo dall’altra parte del globo terrestre. Nel 1932 il maestro d’animazione giapponese Ofuji Noburo (1900-1961) produceva un film di Pinocchio realiz-zato con una raffinata tecnica di silhouettes che aveva messo a punto sullo stile della regista tedesca Lotte Reiniger. Purtroppo, a quanto se ne sa, il film è andato completamente perduto. Noburo sarà attivo anche nel dopoguerra realizzando pellicole come Kujira (La balena, 1953) un racconto per bambini e Yuerei sen (La nave fantasma, 1955) tratto da una leggenda nipponica.

Tornando all’Italia, nei primi mesi del 1934 Bemporad è di nuovo in trattativa, questa volta con Alberto Roatto, ragioniere milanese con il pallino della produzione

Sopra, l’album per la raccolta delle figurine di Pinocchio, concorso realizzato congiuntamente da diverse aziende. Quella che oggi chiameremmo un’operazione di co-marketing in piena regola. In alto, alcune delle figurine della collezione.

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mille pericoli di cui è costellato il suo viaggio verso il premio finale della raggiunta umanità. Disney e i suoi hanno praticamente riscolpito il ciocco di Geppetto e con esso contemporaneamente plasmato una versione dell’intera storia più adatta allo schermo, un medium con esigenze profondamente diverse da quelle della carta stampata. Dal lancio del film avranno origine infinite e mai cessate diatribe tra “collodiani” e “disneyani”, ma forse è una falsa prospettiva perché quel che Pinocchio ha perso sullo schermo in complessità, texture e sfaccetta-ture ha guadagnato in universalità diventando uno dei personaggi più amati di tutti i tempi e a tutte le latitudini.

• Il grande giorno

Il lancio di Pinocchio, come già era avvenuto per Biancaneve, è preceduto e supportato da un’aggressiva campagna di marketing, coordinata da Herman “Kay” Kamen, che dal 1932 si occupa del settore licensing e merchandishing. Il programma viene presentato a giugno 1939 durante la convention organizzata dalla RKO. Cinquantasei licenziatari sono già al lavoro per portare sul mercato piatti, figure in ceramica, vasellame, gioielleria, bomboniere, giocattoli di legno, spartiti, vestiti, costumi e maschere, bambole, penne, cornici fotografiche, libri, fermacapelli, fazzoletti, posate per bambini, bicchieri, saponette scolpite, can-dele, cravatte per ragazzi, sciarpe e cinture, felpe, palloni, gomme da mastica-re, lecca lecca, toppe, scatole metalliche, cartoline augurali, cristalleria, dischi, benzina, olio motore, ombrelli, impermeabili e naturalmente la versione a fumetti per i quotidiani, prodotta dal King Features Syndicate e affidata allo stesso team che ha realizzato quella di Biancaneve e i Sette Nani: Merrill De Maris per i testi e Hank Porter e Bob Grant per i disegni.

La vita cinematografica di Pinocchio, a differenza di quella che è stata per Biancaneve, si presenta tutta in salita perché sul mercato sono presenti due competitori di tutto rispetto. Da una parte c’è il produttore Max Fleischer che, dopo avere arruolato nel suo staff alcuni degli animatori di Biancaneve come Grim Natwick e James Culhane, ha lavorato duramente riuscendo a portare I Viaggi di Gulliver sullo schermo già da dicembre. La Paramount, che distribu-isce il film, lo sta quindi annunciando come seguito di Biancaneve, essendo al momento il secondo lungometraggio della storia dell’animazione. Dall’altra, qualche settimana prima della presentazione di Pinocchio sugli schermi è ar-rivato un kolossal come Via col Vento. Nonostante tutto questo, il 7 febbraio 1940 Pinocchio viene presentato con un’ottima accoglienza in una prima mondiale a New York al The Center Theatre alla quale partecipano oltre 3.500 personalità tra cui Edward G. Robinson, Irving Berlin e quasi l’intero clan dei Rockefeller. Due giorni dopo l’exploit si ripete al Pantages Theatre di Los Angeles con la presenza di Walt e Lilly Disney e del miglior parterre hollywo-odiano da Marlen Dietrich a Ginger Rogers, da Spencer Tracy ai Fratelli Marx e del viceconsole italiano Alfredo Trinchieri.

Mentre negli Stati Uniti si iniziano a raccogliere i frutti del successo di Pinoc-chio, per il resto del mondo la Disney prepara un ambizioso programma che lascia ai vari talenti locali la massima libertà nel doppiare i dialoghi e adattare le musiche. Svezia, Olanda e Francia sono le prime nazioni in Europa a ricevere

Il 9 febbraio 1940, due giorni dopo la prima di New York, Pinocchio viene proiettato

al Pantages Theatre di Los Angeles. Le luminarie sottolineano che si tratta di

un lungometraggio in technicolor girato con l’apparecchiatura

di ripresa multiplane.Sotto, una marionetta

da collezione di Pinocchio del 1939, realizzata dalla

Knickerbocker Toy Co. in legno e vinile e con abiti

in tessuto. L’etichetta al collo recita: “Non è un giocattolo.

Per collezionisti adulti maggiori di 14 anni”.

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i materiali necessari alla localizzazione. Seguono i doppiaggi in portoghese e spagnolo per i mercati del Sud America.

Ma nel vecchio continente, da quasi un anno sconvolto dalla guerra, la situa-zione non è per niente facile e Roy deve purtroppo ridimensionare i progetti che aveva nel cassetto. A marzo 1940 la versione americana, che non ha bisogno

di doppiaggio, viene proiettata al London New Gallery. Ma i risultati non sono per niente entusiasmanti. A fine ciclo Pinocchio incasserà in Inghilterra solo 200.000 dollari contro i due milioni di Biancaneve.

In Italia, patria di Pinocchio dove ci sono le migliori aspettative di successo, la situazione è quanto mai incerta. Il film potrebbe essere distribuito entro pochi mesi, ma già da settembre il governo ha varato una serie di leggi protezioni-stiche, che riducono drasticamente le importazioni dagli Stati Uniti. Eccetto Topolino, tutti i fumetti provenienti d’oltreoceano sono al bando e scompaiono settimana dopo settimana dai giornali per ragazzi. Anche il numero dei film d’im-portazione si riduce in breve tempo e solo pochissime pellicole di produzione statunitense riescono a raggiungere gli schermi italiani. A gennaio, per protesta, le principali major hollywoodiane boicottano il mercato italiano ma senza otte-nere alcun risultato apprezzabile. Nonostante tutto Roy è fiducioso e cerca una soluzione per forzare la mano alla dirigenza politica.

Sotto, l’etichetta del vinile di “When you Wish Upon a Star”, nell’edizione britannica di His Master’s Voice. La canzone, composta da Leigh Harline per i testi di Ned Washington vinse il premio come miglior canzone originale agli Academy Awards del 1941.

A partire dal 24 dicembre1939 (circa due mesi prima del debutto cinematografico!) sui giornali americani viene pubblicata in tavole domenicali la versione a fumetti di Pinocchio, scritta da Merrill De Maris e disegnata e inchiostrata da Hank Porter e Bob Grant.

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La Fila produce un astuccio in cartone sagomato con matite colorate, la Lenci e la Furga preparano l’asinello in ceramica policroma e il bambolotto snodabile di Geppetto che però raggiungono i negozi solo nel dopoguerra. La Carroccio dei fratelli Boschi realizza la confezione Pinocchio salterino e sarà la prima a mettere in commercio gli albi attivi Albo di costruzione Pinocchio e Il guardaroba di Pinocchio, ripresi dalle edizioni Whitman del 1939 Pinocchio Cut-Out Book e Pinocchio Doll Cut-Outs. A questi seguono le serie I pastelli di Pinocchio, Albo di Pittura Pinocchio e Disegno a sorpresa Pinocchio. Il catalogo dell’editore monze-se si arricchisce poi di altri titoli pubblicati fino al 1943 con copertine del pittore Giacinto Galbiati come Il collega di Pinocchio, La tavolozza di Pinocchio e una serie di decalcomanie. Tuttavia, il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra contro la Francia e la Gran Bretagna e il sogno va in frantumi. Nessun film americano verrà più proiettato sugli schermi del Paese, nemmeno Pinocchio.

• Pinocchio Disney made in Marzocco

Anche se ora c’è la certezza che il film non uscirà, la popolarità del personag-gio è tale che i licenziatari decidono di iniziare a distribuire i propri prodotti. Sull’onda del film, nel novembre 1940, esce il primo titolo Marzocco: Walt Disney racconta Le avventure di Pinocchio di C. Collodi. Il testo non è quello di Lorenzini, ma una libera traduzione dell’edizione Random House Walt Di-sney’s Version of Pinocchio (1939). Anche parte delle illustrazioni vengono

riprese dal volume statunitense, mentre quelle a tre colori fuori testo, come alcune di quelle interne in bianco e nero, sono invece opera dello Studio IPI di Fabio Mauro ed Enri-co Krasnik. Inizialmente è stata la Salani a commissionare il lavoro allo studio milanese – come si legge sul retro delle tavole originali – perché convinta di poter avere in licenza questo e altri titoli da inserire nel proprio catalogo, ma sarà Marzocco, in forza degli accordi stipulati nel 1938 con la Disney, a pubblicare il volume, che viene poi ristampato nel marzo 1941. Curiosa la traduzione dei nomi di alcuni personaggi dalla versione inglese. Mentre il grillo parlante mantiene il nome di “Jiminy”, il Gatto e la Volpe così gene-ricamente chiamati, in una sola occasione vengono definiti in modo più specifico: “G. Uomolosco” per “la volpe infa-me” e “Gedeone” per “il gatto brigante”.

La mancata uscita di Pinocchio spinge la Marzocco a puntare nuovamente sul testo collodiano ma con un occhio attento all’iconografia disneyana per la parte illustrativa. Affi-da quindi direttamente allo Studio IPI la realizzazione di una serie di immagini più fedeli ai personaggi e alle situazioni del testo originale e che non ci sono nel film.

A marzo 1941 solo una parte di queste trovano spazio sul volume Pinocchio che propone in copertina un disegno di Hank Porter ripreso dall’edizione Whitman Pinocchio – The Walt Disney Children’s Library. Nonostante sotto il titolo ven-ga strillato “illustrazioni tratte dal film Walt Disney”, le immagini

La Marzocco inizialmente pubblicizza il titolo dedicato

al burattino comeLa storia di Pinocchio.

Con la pubblicazione diventerà poi Le avventure di Pinocchio

(sotto). Contiene quattro tavole fuori testo a tre colori

realizzate dallo Studio IPI.

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sono una libera interpretazione di Mauro e Krasnik che in stile disneyano danno forma grafica a personaggi come maestro Ciliegia e a situazioni collodiane an-che di estrema crudezza come – una per tutte – l’impiccagione di Pinocchio che Disney ha ovviamente deciso di non utilizzare nel suo lungometraggio.

Le altre immagini che la Casa editrice ha commissionato allo Studio IPI, ri-maste inedite a causa degli eventi bellici, resteranno nell’archivio Giunti per settantacinque anni fino a vedere la luce solo ora in questo volume.

La mancanza di materiale originale che non può arrivare dagli Stati Uniti per-mette allo Studio IPI di realizzarne di nuovo anche per altri editori come le Edi-zioni Suvini Zerboni che con la Tipo-Litografia A. Berinzaghi danno alle stampe Le canzoni di Pinocchio e I grandi filmi illustrati – Pinocchio. In quest’ultimo troviamo una foto autografata di Walt Disney e le firme degli sceneggiatori e ani-matori che hanno lavorato al film. Se da un lato non tutte le illustrazioni realizzate dallo Studio IPI vengono pubblicate, dall’altro, parte di quelle già edite nei due volumi di Marzocco vengono ripubblicate nel 1943 nel volume Le avventure di Pinocchio che, curato da Cesare Zavattini, esce nella Collezione Universale Einaudi. È questa l’ultima presenza del Pinocchio in stile disneyano del periodo bellico. Bisogna aspettare il 1946 perché Walt Disney racconta Le avventure di Pinocchio di C. Collodi venga nuovamente ristampato da Marzocco, la ver-sione a fumetti appaia a puntate su Topolino, e il 5 novembre 1947 perché il film venga proiettato nei cinematografi. Finalmente il cartone tanto atteso ha raggiunto gli schermi italiani. Molti bambini che nel 1940 hanno sperato di ve-derlo, ora un po’ più grandi, possono esaudire il loro sogno. Tra questi anche un giovane lettore che, folgorato da Biancaneve e deluso dalla mancata pro-grammazione di Pinocchio, da Venezia mandava missive e disegni al giornale Topolino. Dimostrava già eccellenti doti artistiche e voleva disegnare i cartoni animati. Si chiamava Romano Scarpa e dopo pochi anni sarebbe diventato il principale esponente dei Disney Italiani. Nella sua lunga carriera ha disegnato più di quattrocento storie con i personaggi disneyani. Alcune di queste utilizza-no Biancaneve e i Sette nani. Nessuna ha per protagonista Pinocchio.

Alcune delle edizioni Marzocco di Pinocchio.Da sinistra quella del 1941,al centro e a destra due versioni del 1949.Le illustrazioni all’interno sono made in Italy a cura dello Studio IPI, nello stile lanciato da Walt Disney conil lungometraggio animato.

Nel 1943 Le avventure di Pinocchio sono ristampate da Einaudi nella Collezione Universale Einaudi con alcune delle immagini delle pubblicazioni Marzocco. L’edizione è curatada Cesare Zavattini.